Tre cose, tre - Olio Officina

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Tre cose, tre - Olio Officina
direttore LUIGI CARICATO - [email protected]
società > cultura
Tre cose, tre
Ciccio Sultano dixit: "Il sale, alimento primo, è simbolo di purezza, l’olio per trasportare i sapori e il formaggio ragusano,
perché non riesco a pensare a qualcos’altro". Il prezzo? "E' dato dal costo, ma il costo è dato dall’uomo, dalle sue
capacità. Questione d’onore"
Nicola Dal Falco
“Sono un barocco d’avanguardia” - dice di se stesso, intendendo due cose: la scelta di aggiungere piuttosto che di
togliere e l’idea che l’avanguardia coincida con la personalità. Fare fino in fondo il proprio mestiere di uomo.
“Solo chi trova il suo stile è moderno. Il resto è emulazione, accademia, forse paura” - aggiunge.
Parli di jazz, di una tradizione mobile, che ricomincia ogni giorno. Come?
Parlo di jazz, perché ogni brano non è mai uguale a se stesso. Impossibile ripetersi con gente del calibro di Parker,
Coltrane o Coleman. L’umore, il cuore e anche la tecnica cambiano.
Nel jazz, conta il gesto, dove, in quel preciso momento, ti sta portando un’idea, un’emozione o tutte e due.
Da noi, succede spesso così: in cucina come facendo il jazz.
Il tuo menu degustazione inizia con un piatto che hai chiamato Movimento, subito incalzato da Basileus Hyblon,
poi c’è Siquila e, infine, Vento e passione. Sembrano titoli di film. Una provocazione o uno spunto di verità?
Movimento o anche Caleidoscopio che in greco significa “vedere il bello” e in un certo senso dargli forma.
La forma è bellezza, è forza e la mia forza sta nel movimento. Ogni menù esprime il massimo della forza, del movimento
e della bellezza di cui sono capace.
Nella bellezza c’è anche molto di giustizia, di utopia e per questo il secondo piatto è dedicato al Basileus Hyblon, un re
comunista, vissuto agli albori della storia siciliana.
Siquilia è, invece, il nome che gli arabi dettero all’isola, durante la loro conquista.
L’ho scelto, perché la mia cucina è ricca di contaminazioni arabe. Tra tutte le dominazioni, questa è stata quella che più
ha arricchito la scena gastronomica siciliana, imprimendole un’immensa vitalità con cui mi confronto quotidianamente.
Vera e propria musa ispiratrice.
Vento e passione, infine, significa evocare la sfera dei sensi. Sono i due elementi che determinano la mia natura di cuoco.
Il vento è dinamismo, scompiglio, inquietudine, caratteri distintivi dell'artista. E poi la passione, senza la quale un cuoco
non è un cuoco; la vera risorsa che, nei momenti difficili, non mi fa perdere la fiducia.
Ho dato un nome ad ognuno dei piatti del menu degustazione, perché nessuno fosse sminuito. Tutti pari come i paladini
di Francia. Il prezzo è dato dal costo, ma il costo è dato dall’uomo, dalle sue capacità. Questione d’onore.
Inoltre, non a tutti, piace la parola sorpresa e noi siamo qua per raccontare.
Ti definisci «intimamente barocco». Uno stile estroverso, teatrale, che trionfa nel secolo in cui nasce la scienza
moderna. Sguardo e gesto insieme. È così la tua cucina?
Mi definisco barocco per provocazione e con orgoglio, dato che, negli ultimi dieci anni, era di moda fare una cucina
moderna, ma omologata, tutta gelatine. Guarda che l’aspic fa parte della cucina siciliana da secoli!
Non mi sono messo al passo, bandiera e fanfara in testa, rispetto l’avanguardia, ma spesso funziona per far fuori la
creatività, per fare nuova accademia.
Solo chi trova il proprio stile è moderno. Il resto è emulazione, forse paura.
Grazie a dio, l’Italia vanta un gruppo di cuochi, i Cavalieri della Cucina, dove senti la voglia e l’indipendenza di fare.
Dunque, io sono un barocco d’avanguardia. Quando parlano della materia prima, del sapere, di una certa stranezza che
mi viene attribuita… mi domando: ma gli altri che comprano?
I siciliani, a volte, sembrano schiacciati dalla storia, dalla cultura che entra in contatto con l’isola.
Sicani dall’Iberia, Siculi di origine osco-umbra dalla Calabria, greci, fenici, romani, vandali, goti, bizantini, arabi,
normanni, svevi, angioini, aragonesi, spagnoli, napoletani, piemontesi…
Ce n’è talmente da avere il desiderio di restare immobili.
Come si fa a reagire e a vivere il proprio presente personale e culinario?
La Sicilia e i siciliani li capisci solo quando ci vivi e li conosci… parlo di chi sgobba e non dei film di gangster. La Sicilia è
tutta un’altra cosa. La stratificazione di storie, di razze, di bellezza, di tesori e di fallimenti fanno il carattere siciliano.
Sciascia l’ha raccontato bene: privazioni e sofferenza, accoppiate ad una finezza di pensiero, a cultura, fanno scaturire,
l’amore del bello e un desiderio profondo, spesso irraggiungibile, di bontà.
Grande cucina, erede e ribelle del proprio ingombrante e sontuoso passato, da Sultano appunto. Ma, poi, come
nelle Mille e una notte, lasci il palazzo e vai in giro, innamorato della cucina di strada?
La cucina è il mondo, quando dico mangiare in dialetto è più giusto che parlare, genericamente, di territorio.
Tre cose: sale, olio e formaggio ragusano. Confermi?
Il sale, alimento primo, è simbolo di purezza, l’olio per trasportare i sapori e il formaggio ragusano, perché non riesco a
pensare a qualcos’altro che identifichi la vena, il punto critico da cui iniziare un discorso sull’antica contea di Modica.
La seguente intervista è tratta da Olio Officina Almanacco 2013, chi intendesse collezionare l'edizione cartacea
dell'annuario può richiederne copia a [email protected]
Nicola Dal Falco - 31-05-2014 - Tutti i diritti riservati
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