Linee guida dell`ipertensione e

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Linee guida dell`ipertensione e
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Vascular aging in practice
editoriale
Linee guida dell’ipertensione e
“real-life”: dalle raccomandazioni
“evidence-based ” alla pratica
quotidiana del Medico
La più recente edizione delle linee
guida Europee sulla diagnosi e trattamento dell’ipertensione arteriosa, che
sono state pubblicate congiuntamente
dall’European Society of Hypertension
(ESH) e dall’European Society of Cardiology (ESC) nel 2013, ha recepito i
risultati e le osservazioni di una serie
di importanti studi clinici sull’inquadramento diagnostico e sulla gestione terapeutica dei pazienti con elevati valori di
pressione arteriosa (PA). Le linee guida
ESH/ESC 2013 continuano ad osservare
alcuni principi fondamentali che hanno
ispirato le precedenti edizioni delle linee
guida europee, rispettivamente del 2003
(ESH/ESC, 2003) e del 2007 (Mancia G
et al.,2007), vale a dire:
1) fornire raccomandazioni basate su
studi condotti in modo rigoroso ed
identificati mediante un’accurata rassegna della letteratura;
2)prendere in considerazione come prioritari i dati forniti da trial controllati
randomizzati (RCTs) e da loro meta-analisi, senza tuttavia trascurare – soprattutto riguardo ad aspetti diagnostici – i risultati di studi osservazionali
e di adeguato valore scientifico;
3)graduare il livello delle evidenze scientifiche e la forza delle raccomandazio-
ni riferiti ai principali aspetti inerenti
alla diagnosi ed al trattamento seguendo le raccomandazioni dell’ESC,
come nel caso delle linee guida Europee redatte per altre patologie.
Nella nuova edizione delle linee guida,
la definizione della classe di raccomandazione e del livello di evidenza è considerata importante al fine di fornire un
approccio standard, con cui confrontare
lo stato delle conoscenze in diversi campi della Medicina. Inoltre, si è ritenuto
che questo approccio potesse rivelarsi
più efficace per segnalare ai medici quali raccomandazioni erano basate sull’opinione degli esperti e quali, invece, su
evidenze scientifiche documentate. Ciò
non avviene raramente in ambito medico, in quanto per buona parte della pratica clinica quotidiana non sono sempre
disponibili solide evidenze scientifiche,
per cui le raccomandazioni scaturiscono
dal senso comune e dall’esperienza clinica personale, entrambi fattori potenzialmente fallibili.
Riconoscere questo limite può evitare
che le linee guida siano percepite come
rigidamente prescrittive e venga enfatizzato il ruolo degli studi clinici in cui
prevale il parere clinico non supportato
dall’evidenza scientifica.
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 Un quarto principio che ha ispirato la
stesura delle nuove linee guida, in conformità con il loro scopo didattico, è
stato quello di corredare il testo di numerose tabelle e fornire una serie di
raccomandazioni concise che fossero
facilmente e rapidamente consultabili
dai medici nella loro pratica quotidiana.
Infine, tra gli elementi distintivi più importanti delle linee guida 2013 rispetto
alle precedenti si possono annoverare:
i dati epidemiologici sull’ipertensione
e sul controllo della PA in Europa; l’aggiornamento del ruolo prognostico della
pressione notturna, nonché dell’ipertensione da camice bianco e mascherata; la
ribadita importanza dell’integrazione dei
valori di PA con i fattori di rischio cardiovascolare (CV), la presenza del danno
d’organo asintomatico e le complicanze
cliniche per una corretta valutazione del
rischio cardiovascolare totale; l’applicazione di criteri maggiormente evidence
based per i target pressori; la revisione
della schema per le associazioni prioritarie di due farmaci antipertensivi; ed i
nuovi algoritmi terapeutici per il raggiungimento degli obiettivi pressori (Mancia
G et al., 2013).
La relazione continua tra valori di PA ed
eventi CV e renali rende difficile distinguere la normotensione dall’ipertensione in base a valori soglia pressori. Ciò
dipende in misura ancora maggiore dal
fatto che, nella popolazione generale,
i valori di pressione arteriosa sistolica
(PAS) e diastolica (PAD) hanno una distribuzione unimodale. Tuttavia, nella
pratica clinica i valori pressori soglia sono largamente utilizzati, in quanto rendono più agevole l’approccio diagnostico
ed agevolano le decisioni terapeutiche.
La classificazione raccomandata, nelle
linee guida ESH/ESC 2013 è rimasta
immutata rispetto alle precedenti linee
guida (Tabella 1).
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L’ipertensione arteriosa è definita da valori di PAS ≥140 mmHg e/o di PAD ≥90
mmHg, sulla scorta delle evidenze fornite da RCT in base alle quali, nei pazienti
che presentavano tali valori di pressione
arteriosa, l’azione ipotensivante del trattamento risultava vantaggiosa.
Le linee guida per la gestione clinica
dell’ipertensione arteriosa sono rimaste
focalizzate a lungo sui valori della PA come unica o principale variabile determinante la necessità ed il tipo di trattamento. Nel 1994 l’ESH, l’ESC e l’European
Atherosclerosis Society (EAS) hanno
redatto congiuntamente le raccomandazioni sulla prevenzione della patologia
coronarica (CHD) nella pratica clinica,
sottolineando che la strategia preventiva
della CHD dovesse essere correlata alla
quantificazione del rischio cardiovascolare totale (o globale). Attualmente, tale
approccio appare ampiamente condiviso
ed è stato integrato già nelle linee guida
ESH/ESC 2003 e 2007 per il trattamento dell’ipertensione. Questo concetto si
fonda sull’evidenza che solo un’esigua
quota della popolazione ipertesa presenta un incremento isolato dei valori
pressori, mentre nella maggioranza dei
pazienti con ipertensione arteriosa si osTabella 1.
Definizione e classificazione della pressione arteriosa clinica (mmHg)*
(Mancia G et al., 2013).
Categoria
Sistolica
Diastolica
Ottimale
<120
e
<80
Normale
120-129
e/o
80-84
Normale-alta
130-139
e/o
85-89
Ipertensione 1 grado
140-159
e/o
90-99
Ipertensione 2 grado
160-179
e/o
100-109
Ipertensione 3 grado
≥180
e/o
≥110
Ipertensione sistolica isolata
≥140
e
<90
*La categoria di pressione arteriosa (PA) è definita dal massimo livello di PA, sia
sistolica o diastolica. L’ipertensione sistolica isolata deve essere classificata nello stadio
1, 2 o 3 in base ai valori di PA sistolica nei range indicati.
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serva la concomitante presenza di altri
fattori di rischio CV che, potenziandosi
vicendevolmente, generano un rischio
cardiovascolare totale più elevato rispetto alla somma dei singoli componenti.
Infine, nei soggetti ad alto rischio, l’approccio terapeutico risulta essere differente da quello indicato nei soggetti a
basso rischio. Pertanto, la terapia del
paziente iperteso deve tenere conto, oltre che dei livelli pressori, anche del rischio cardiovascolare totale al fine di ottimizzare il rapporto costo/beneficio del
trattamento antipertensivo.
La stima del rischio cardiovascolare totale è semplice in particolari sottogruppi
di pazienti, tra cui quelli con precedenti
eventi di malattia cardiovascolare (CVD),
diabete, arteriopatia coronarica o con
singoli fattori di rischio particolarmente
severi. In tutte queste condizioni, il rischio CV totale risulta essere elevato o
molto elevato, richiedendo l’impostazione di interventi terapeutici intensivi finalizzati alla sua riduzione. Tuttavia, un
notevole numero di pazienti ipertesi non
rientra in alcuna delle categorie citate
e l’identificazione dei soggetti a rischio
basso, moderato, alto o molto alto richiede l’impiego di modelli per determinare
il rischio CV totale, in modo da adottare
l’approccio terapeutico più adeguato.
In questo ambito è stata attribuita particolare importanza all’identificazione
del danno d’organo (OD) asintomatico,
in quanto le alterazioni clinicamente silenti della struttura e/o della funzione di
alcuni organi correlate all’ipertensione
sono indicative della progressione della
patologia nel continuum cardiovascolare responsabile di un incremento del
rischio CV che va ben oltre rispetto a
quello semplicemente legato alla presenza dei fattori di rischio.
Sono stati elaborati alcuni modelli utili alla determinazione del rischio car-
diovascolare totale, come il Systematic
COronary Risk Evaluation (SCORE),
sviluppato basandosi su ampi studi di
coorte Europei per la stima del rischio
di mortalità CV (non solamente coronarica). La classificazione in rischio basso, moderato, alto e molto alto, mantenuta nelle recenti linee guida ESH/ESC
2013, si riferisce al rischio a 10 anni di
mortalità cardiovascolare (Figura 1).Tra
i fattori utilizzati per la stratificazione
del rischio rientrano: il sesso maschile;
l’età ≥55 anni per gli uomini e ≥65 anni
per le donne); il fumo di sigaretta; la dislipidemia; l’alterata glicemia a digiuno
(102-125 mg/dl); l’anamnesi familiare
positiva per malattia cardiovascolare prematura (uomini di età <55 anni e donne
di età <65 anni); nonché patologie quali
il diabete mellito, il danno d’organo asintomatico e la malattia cardiovascolare o
renale stabilita (Mancia G et al., 2013).
La valutazione iniziale dei pazienti ipertesi dovrebbe includere:
1)la conferma della diagnosi di ipertensione arteriosa;
2)l’individuazione delle cause di ipertensione secondaria;
3)la valutazione del rischio cardiovascolare, del danno d’organo e delle
condizioni cliniche associate.
A tale scopo è necessario effettuare la misurazione dei valori pressori, la raccolta
dell’anamnesi personale e familiare del
paziente, l’esame obiettivo, nonché gli
esami di laboratorio ed ulteriori indagini
diagnostiche. Questi ultimi sono finalizzati a dimostrare la presenza di ulteriori
fattori di rischio aggiuntivi, a ricercare
l’ipertensione secondaria ed a confermare o escludere il danno d’organo (OD).
Considerata l’importanza dell’OD asintomatico sia come stadio intermedio del
continuum cardiovascolare, sia come
determinante del rischio CV globale, i
segni di interessamento d’organo, quan-
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 7
Figura 1.
Stratificazione del rischio CV globale basso, moderato, elevato e molto elevato in relazione ai valori di PAS e PAD e alla
prevalenza di fattori di rischio, OD asintomatico, diabete, stadio CKD o CVD sintomatica. I soggetti con PA clinica normale, ma
elevati valori di PA al di fuori dell’ambiente medico (ipertensione mascherata) hanno un rischio CV simile a quello riscontrato
nell’iperteso. I soggetti con valori di PA clinica elevati ma normale PA al di fuori dell’ambiente medico (ipertensione da camice
bianco), anche se vi è associato diabete, OD, CVD o CKD, presentano un minor rischio rispetto all’iperteso stabile per gli stessi
valori di PA (Mancia G et al., 2013).
Altri fattori di rischio, danno
d’organo asintomatico o
patologia concomitante
Normale alta
PAS 130-139 o
PAD 85-89
Nessun altro RF
1-2 RF
≥3 RF
OD, CKD di stadio 3 o diabete
CVD sintomatica, CKD di stadio
≥4 o diabete con OD/RF
Rischio
basso
Rischio
basso-moderato
Rischio
moderato-alto
Rischio
molto alto
Pressione arteriosa (mmHg)
HT di Grado 1
HT di Grado 2
PAS 140-159 o
PAS 160-179 o
PAD 90-99
PAD 100-109
Rischio
Rischio
basso
moderato
Rischio
moderato
Rischio
moderato-alto
Rischio
alto
Rischio
molto alto
Rischio
moderato-alto
Rischio
alto
Rischio
alto
Rischio
molto alto
HT di Grado 3
PAS ≥180 o
PAD ≥110
Rischio
alto
Rischio
alto
Rischio
alto
Rischio
alto-molto alto
Rischio
molto alto
CV=cardiovascolare; CVD=malattia cardiovascolare; CKD=nefropatia cronica; PAD=pressione arteriosa diastolica; HT=ipertensione; OD=danno d’organo;
RF=fattore di rischio; PAS=pressione arteriosa sistolica.
do indicato, dovrebbero essere ricercati
attentamente mediante l’impiego di appropriate metodiche diagnostiche. Va
sottolineato che attualmente sono disponibili numerose evidenze a sostegno del
ruolo cruciale svolto dal danno d’organo
asintomatico nel determinare il rischio
CV degli individui con e senza elevati
valori di pressione arteriosa. L’osservazione che ciascuno dei quattro marker
di OD (microalbuminuria, aumento della velocità dell’onda pulsatoria [PWV],
ipertrofia del ventricolo sinistro e placche carotidee) può essere predittivo di
mortalità cardiovascolare, indipendentemente dalla stratificazione del rischio
mediante il modello SCORE, rappresenta una valida argomentazione a favore
della valutazione del danno d’organo
nella pratica clinica.
I risultati di numerosi trial randomizzati
controllati, nella maggior parte dei casi
versus placebo, evidenziano che la somministrazione di farmaci antipertensivi
si associa alla riduzione del rischio di
outcome cardiovascolari clinici maggiori
(stroke fatali e non, infarto miocardico,
scompenso cardiaco ed altre mortalità
CV) nei soggetti ipertesi. Indicazioni in
tal senso derivano anche dal riscontro
che la regressione dell’OD, quali l’ipertrofia ventricolare sinistra o la proteinuria, indotta dal controllo dei valori pressori può essere accompagnata da una
riduzione degli outcome fatali e non,
sebbene tale evidenza sia ovviamente indiretta essendo derivata da analisi correlative post-hoc di dati randomizzati. Le
raccomandazioni riportate di seguito si
basano su risultati forniti da trial randomizzati e riguardano aspetti importanti
della pratica clinica, in particolare:
1)quando iniziare la terapia farmacologica;
2)i target pressori che devono essere
raggiunti attraverso il trattamento di
pazienti ipertesi inquadrabili in diverse classi di rischio cardiovascolare;
3)le strategie terapeutiche e la scelta
del farmaco in soggetti ipertesi con
differenti caratteristiche cliniche
(Mancia G et al., 2013).
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Per quanto riguarda il primo aspetto, il
tempestivo inizio del trattamento farmacologico è raccomandato nei pazienti
affetti da ipertensione di grado 2 e 3,
con qualsiasi livello di rischio cardiovascolare. Esso va attuato poche settimane dopo o contemporaneamente alle
modificazioni dello stile di vita. Condotte in maniera adeguata queste ultime,
oltre a rappresentare un caposaldo della
prevenzione dell’ipertensione arteriosa,
sono importanti anche per il suo trattamento; tuttavia, la loro attuazione non
dovrebbe ritardare l’inizio della terapia
farmacologica in pazienti ad alto rischio.
Per ridurre i valori pressori e/o il numero di fattori di rischio cardiovascolare, in
tutti i pazienti ipertesi sono raccomandate le seguenti modificazioni dello stile
di vita: limitare l’apporto di sodio con la
dieta a 5-6 g/die; moderare l’assunzione
di alcol (quantità non superiori a 20-30 g
al giorno nell’uomo ed a 10-20 g nella
donna); aumentare il consumo di vegetali, frutta e latticini a basso contenuto di grassi; ridurre il peso (fino ad un
indice di massa corporea [BMI] di circa
25 kg/m2) e la circonferenza addominale
a <102 cm negli uomini e <88 cm nelle
donne; svolgere l’attività fisica con regolarità, ad esempio almeno 30 minuti di
esercizio fisico moderato da 5 a 7 giorni
alla settimana; infine, ai fumatori si deve
raccomandare la sospensione dell’abitudine tabagica ed offrire loro un’adeguata
assistenza.
Tornando alla terapia antipertensiva,
l’impiego dei farmaci è raccomandato quando il rischio CV globale risulta
elevato a causa della presenza di danno d’organo, diabete o malattie cardiovascolari, ancorché l’ipertensione sia di
Grado 1. L’inizio del trattamento farmacologico antipertensivo dovrebbe essere
preso in considerazione anche in pazienti con ipertensione arteriosa di Grado 1,
a rischio da basso a moderato, quando
i livelli pressori rimangono entro questo
range in occasione di diverse misurazioni effettuate presso lo studio medico o
quando si riscontrano elevati valori di
pressione arteriosa ambulatoria, nonostante le modifiche dello stile di vita
protratte per un ragionevole periodo di
tempo.
Negli anziani ipertesi il trattamento farmacologico è raccomandato quando i valori di PAS sono ≥160 mmHg; inoltre, il
ricorso alla terapia con agenti antipertensivi può essere preso in considerazione
negli anziani (almeno se di età inferiore
a 80 anni) quando la PAS è compresa
nel range 140-159 mmHg, a condizione
che il trattamento antipertensivo risulti ben tollerato. A meno che non se ne
ravvisi la necessità, non è raccomandato
iniziare la terapia farmacologica antipertensiva nei soggetti con pressione arteriosa normale-alta.
La mancanza di evidenze non permette
di raccomandare l’inizio della terapia
farmacologica antipertensiva in soggetti giovani con un aumento isolato della
PAS brachiale; tuttavia, essi dovrebbero
essere seguiti attentamente nel tempo,
fornendo loro raccomandazioni sullo stile di vita (Mancia G et al., 2013).
Per quanto concerne gli obiettivi terapeutici della terapia antipertensiva, le
linee guida ESH/ESC 2007 raccomandavano due diversi target pressori, vale
a dire <140/90 mmHg negli ipertesi
con rischio basso-moderato e <130/80
mmHg negli ipertesi a rischio elevato
(con diabete, malattia cerebrovascolare,
cardiovascolare o renale). Più di recente,
le linee guida Europee sulla prevenzione delle patologie cardiovascolari hanno raccomandato un target <140/80
mmHg per i pazienti con diabete mellito; comunque, un’attenta valutazione
delle evidenze disponibili ha indotto a
riconsiderare alcune di tali raccomanda-
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 zioni. Utilizzando una descrizione estremamente schematica, gli obiettivi pressori riportati nelle linee guida ESH/ESC
2013 per il trattamento dell’ipertensione arteriosa sono i seguenti:
• il target di PAS <140 mmHg è raccomandato in pazienti a rischio CV
basso-moderato e con diabete ed andrebbe preso in considerazione nei
pazienti con precedente ictus o TIA,
con arteriopatia coronarica e con nefropatia cronica diabetica o non diabetica;
• nel caso degli ipertesi anziani di
età inferiore a 80 anni e con PAS
≥160 mmHg esistono solide evidenze
a favore di riduzioni della pressione
sistolica a valori compresi tra 150 e
140 mmHg;
• nei pazienti anziani in buone condizioni con età inferiore a 80 anni si
può considerare un target di PAS
<140 mmHg, mentre nella popolazione anziana costituita da soggetti
fragili gli obiettivi pressori devono
essere adattati alla tollerabilità individuale;
• negli ultraottantenni in buone condizioni fisiche e mentali, con valori
iniziali di PAS ≥160 mmHg, si raccomanda di ridurre la pressione sistolica portandola a valori compresi tra
150 mmHg e 140 mmHg;
• un target di PAD <90 mmHg è sempre
raccomandato, tranne che nei pazienti diabetici per i quali i valori pressori
raccomandati sono <85 mmHg. Tuttavia, è necessario accertarsi che i valori di PAD tra 80 mmHg e 85 mmHg
risultino sicuri e ben tollerati.
Nella Figura 2 vengono schematizzate
le raccomandazioni relative a quando
iniziare la terapia antipertensiva ed ai
target pressori. Infine, per quanto attiene alle strategie terapeutiche, oltre alle
già citate modificazioni dello stile di vi-
ta, le linee guida ESH/ESC 2013 riconfermano che diuretici (tiazidici, clortalidone e indapamide), beta-bloccanti,
calcio-antagonisti, inibitori dell’enzima
di conversione dell’angiotensina (ACE)
e bloccanti recettoriali dell’angiotensina
II (ARB) sono tutti impiegabili per l’inizio ed il mantenimento della terapia antipertensiva, sia in monoterapia che in
associazione. Riguardo alla scelta del
farmaco in pazienti ipertesi con differenti caratteristiche cliniche, determinati aspetti terapeutici sono stati oggetto
di una più approfondita valutazione. In
particolare, alcuni farmaci devono essere considerati di prima scelta in specifiche condizioni verificate in trial clinici o
per una maggiore efficacia su determinati danni d’organo. Ad esempio, in alcuni studi controllati i calcio-antagonisti
hanno dimostrato una maggiore efficacia
rispetto ai beta-bloccanti nel rallentare
la progressione dell’aterosclerosi carotidea e nel ridurre l’ipertrofia ventricolare; inoltre, tra le riconosciute proprietà
ancillari degli ACE-inibitori e degli ARB
si annoverano la peculiare capacità di
ridurre la proteinuria ed il favorevole
effetto sugli outcome nello scompenso
cardiaco cronico. Le linee guida ESH/
ESC sottolineano che la monoterapia,
indipendentemente dall’agente antipertensivo utilizzato, si dimostra in grado di
ridurre efficacemente i valori pressori solo in un numero limitato di pazienti ipertesi e che nella maggior parte dei casi è
richiesto l’uso combinato di almeno due
farmaci per ottenere il controllo della
pressione arteriosa. Pertanto, la questione non è se la terapia di associazione sia
utile o meno, ma piuttosto se essa debba sempre seguire il tentativo di impiego
della monoterapia oppure se e quando il
regime farmacologico combinato possa
rappresentare l’approccio iniziale al trattamento dell’ipertensione.
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Figura 2.
Raccomandazioni relative all’inizio della terapia farmacologica ed ai target pressori nei pazienti ipertesi in rapporto alla severità
dell’ipertensione arteriosa ed alla presenza dei fattori di rischio. Nei pazienti diabetici, i target di PAS sono compresi tra 80-85
mmHg. Nel range di PA normale-alta, il trattamento antipertensivo dovrebbe essere effettuato solo in presenza di elevati valori
pressori al di fuori dell’ambiente medico (Ipertensione mascherata). Non sono disponibili evidenze a favore del trattamento
farmacologico in giovani individui con ipertensione sistolica isolata (Mancia G et al., 2013).
Altri fattori di rischio,
danno d’organo
asintomatico o
patologia concomitante
Normale alta
PAS 130-139 o
PAD 85-89
Nessun altro RF
• Nessun intervento
antipertensivo
1-2 RF
• Modifiche dello
stile di vita
• Nessun intervento
antipertensivo
≥3 RF
• Modifiche dello
stile di vita
• Nessun intervento
antipertensivo
OD, CKD di stadio 3
o diabete
• Modifiche dello
stile di vita
• Nessun intervento
antipertensivo
CVD sintomatica, CKD
di stadio ≥4 o diabete
con OD/RF
• Modifiche dello
stile di vita
• Nessun intervento
antipertensivo
Pressione arteriosa (mmHg)
HT di Grado 1
HT di Grado 2
PAS 140-159 o
PAS 160-179 o
PAD 90-99
PAD 100-109
• Modifiche dello stile
• Modifiche dello stile
di vita per diverse
di vita per diversi mesi
settimane
• Poi aggiungere farmaci
• Poi aggiungere farmaci
antipertensivi per
antipertensivi per
raggiungere il target
raggiungere il target
<140/90
<140/90
• Modifiche dello stile
• Modifiche dello stile
di vita per diverse
di vita per diverse
settimane
settimane
• Poi aggiungere farmaci • Poi aggiungere farmaci
antipertensivi per
antipertensivi per
raggiungere il target
raggiungere il target
<140/90
<140/90
• Modifiche dello stile
• Modifiche dello stile
di vita per diverse
di vita
settimane
• Farmaci antipertensivi
• Poi aggiungere farmaci
per raggiungere il target
antipertensivi per
<140/90
raggiungere il target
<140/90
HT di Grado 3
PAS ≥180 o
PAD ≥110
• Modifiche dello stile
di vita
• Iniziare immediatamente
la terapia farmacologica
per raggiungere il target
<140/90
• Modifiche dello stile
di vita
• Iniziare immediatamente
la terapia farmacologica
per raggiungere il target
<140/90
• Modifiche dello stile
di vita
• Iniziare immediatamente
la terapia farmacologica
per raggiungere il target
<140/90
• Modifiche dello stile
• Modifiche dello stile
• Modifiche dello stile
di vita
di vita
di vita
• Iniziare immediatamente
• Farmaci antipertensivi • Farmaci antipertensivi
la terapia farmacologica
per raggiungere il target per raggiungere il target
per raggiungere il target
<140/90
<140/90
<140/90
• Modifiche dello stile
• Modifiche dello stile
• Modifiche dello stile
di vita
di vita
di vita
• Farmaci antipertensivi • Farmaci antipertensivi • Iniziare immediatamente
per raggiungere il target per raggiungere il target la terapia farmacologica
<140/90
<140/90
per raggiungere il target
<140/90
CV=cardiovascolare; CVD=malattia cardiovascolare; CKD=nefropatia cronica; HT=ipertensione; OD=danno d’organo; PAD=pressione arteriosa diastolica;
PAS=pressione arteriosa sistolica; RF=fattore di rischio.
L’evidente vantaggio di ricorrere in prima istanza alla monoterapia risiede nel
fatto che usando un singolo farmaco si
è in grado di attribuirgli in maniera appropriata la capacità ipotensivante e gli
eventi avversi. D’altro canto, se la monoterapia si dimostra inefficace o scarsamente incisiva, ciò comporta lo svantaggio che l’individuazione di un farmaco
alternativo più efficace o meglio tollerato
può rivelarsi un processo impegnativo e
spesso in grado di ripercuotersi negativamente sull’aderenza terapeutica.
Iniziare il trattamento antipertensivo
con la terapia di associazione implica
diversi vantaggi, quali: la possibilità di
ottenere una risposta più rapida in un
maggior numero di pazienti (il che comporta potenziali benefici nei soggetti ad
alto rischio); una maggiore probabilità
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 di raggiungere il target pressorio in pazienti con elevati valori di pressione arteriosa ed un minore rischio di ridurre
la compliance dei pazienti in seguito a
ripetute modifiche del trattamento. Invero, una recente indagine ha dimostrato che i pazienti sottoposti a terapia di
associazione fanno registrare un minor
numero di interruzioni del trattamento
rispetto a quelli che seguono la monoterapia. Un ulteriore vantaggio connesso all’impiego del regime farmacologico
combinato consiste nelle sinergie fisiologiche e farmacologiche tra differenti
classi di agenti antipertensivi, che non
solo possono spiegare la maggiore efficacia in termini di riduzione dei livelli
pressori della terapia di associazione,
ma possono anche ridurre l’incidenza di
effetti collaterali e fornire maggiori benefici rispetto a quelli offerti da un singolo farmaco. Lo svantaggio di iniziare
il trattamento con un regime combinato
risiede nel fatto che uno dei due farmaci
impiegati possa essere inefficace.
In definitiva, tenendo conto nel loro
complesso delle precedenti considera-
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zioni, le linee guida ESH/ESC 2013 riconfermano l’opportunità di iniziare la
terapia antipertensiva con un’associazione di due farmaci nei pazienti che
presentano valori di pressione arteriosa
marcatamente elevati o che risultano ad
alto rischio cardiovascolare.
Quando si inizia l’intervento terapeutico
con la monoterapia o con un’associazione di due farmaci, può essere necessario
aumentare la posologia per ottenere il
target pressorio; qualora non si riesca a
raggiungere tale obiettivo con l’impiego
di due farmaci a pieno dosaggio, si può
considerare il ricorso ad un’altra associazione o alla somministrazione di un terzo farmaco (Figura 3). In ogni caso, nei
pazienti con ipertensione refrattaria alla
terapia, l’aggiunta di altri farmaci dovrebbe essere fatta valutando con attenzione i risultati, in sostituzione di quelli
chiaramente inefficaci o scarsamente
efficaci. Va segnalato che l’associazione
precostituita dell’ACE-inibitore perindopril + il calcio-antagonista amlodipina ha
determinato consistenti riduzioni pressorie nei pazienti ipertesi non control-
Figura 3.
Indicazioni all’impiego della monoterapia e della terapia di associazione per ottenere i target pressori. Il passaggio da una
strategia terapeutica meno intensiva ad una più intensiva deve essere fatto quando non è stato raggiunto l’obiettivo pressorio.
CV: cardiovascolare (Mancia G et al., 2013).
Lieve incremento pressorio
Rischio CV basso/moderato
Scegliere tra
Monoterapia
Sostituire con
un altro farmaco
Monoterapia a
dosaggio pieno
Precedente farmaco
a dosaggio pieno
Combinazione di due
farmaci a dosaggio pieno
Marcato incremento pressorio
Rischio CV elevato/molto elevato
Associazione di 2 farmaci
Combinazione precedente
a dosaggio pieno
Aggiungere un
terzo farmaco
Passare a una differente
combinazione di due
farmaci
Combinazione
di tre farmaci
a dosaggio
pieno
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12
Riduzione sulla sistolica mmHg
Figura 4.
Risultati del passaggio alla terapia di associazione con perindopril/
amlodipina in pazienti ipertesi non controllati dalle monoterapie con
valsartan, ramipril, enalapril, amlodipina (Ahmed 2012; Nagy et al., 2013).
PERINDOPRIL/AMLODIPINA
Pazienti non controllati con:
Valsartan
Ramipril
Enalapril
Amlodipina
160
150
140
-22
130
-28
-28
-27
lati con vari tipi di monoterapia (ARB,
ACE-inibitore, calcio-antagonista), consentendo di portare “a target pressorio”
circa 8 pazienti su 10 (Ahmed 2012;
Nagy et al., 2013) (Figura 4).
Per quanto riguarda le associazioni da
preferire, le linee guida ESH/ESC 2013
suggeriscono di utilizzare quelle costituite da ACE-inibitore/calcio-antagonista,
ACE-inibitore/diuretico tiazidico, calcioantagonista/ARB ed ARB/diuretico tiazidico; tra le altre possibili associazioni farmacologiche, ancorché meno dettagliatamente studiate, rientrano quelle basate
sull’uso combinato di un beta-bloccante
con, rispettivamente, un ACE-inibitore,
un calcio-antagonista o un ARB.
Tuttavia le linee guida non indicano alcuna associazione preferenziale e sembra che tutte abbiano la stessa efficacia
e soprattutto lo stesso livello di documentazione sulla base degli studi clinici
controllati basati sugli eventi.
Il primo studio che suggerisce questa possibilità è lo studio ASCOT-BPLA
(Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes
Trial-Blood Pressure Lowering Arm)
(Dahlöf et al., 2005) nel quale è stata
confrontata l’associazione amlodipina/
perindopril (5-10/4-8 mg) contro l’as-
sociazione atenololo/bendro­flumetiazide
(50-100/1.25-2.5 mg). Lo studio è stato
eseguito in 19257 pazienti con ipertensione arteriosa e almeno altri tre fattori di rischio cardiovascolare. L’endpoint
dello studio era costituito dall’infarto del
miocardio non-fatale (incluso l’infarto
silente) e la cardiopatia ischemica fatale. Questo studio è stato interrotto prima
del previsto, in quanto il comitato scientifico che valutava l’andamento dello
studio aveva osservato che uno dei due
trattamenti (ovviamente il comitato non
sapeva quale fosse) produceva un beneficio significativamente superiore rispetto all’altro trattamento sugli endpoint
clinici. L’analisi dei risultati ha evidenziato che la combinazione a base di amlodipina ha ridotto in modo non significativo l’endpoint prima­rio (p=0.1052)
ed in modo significativo l’ictus fatale e
non-fatale (p=0.0003), gli eventi cardiovascolari e le proc­
edure di rivascolarizzazione (p<0.0001), e la mortalità
totale (p=0.025). Infine anche l’incidenza di nuovi casi di diabete è risultata ridotta nel gruppo di pazienti trattati con
l’associazione a base di amlodipina. Pertanto questo studio dimostra che l’associazione di un calcio-antagonista con un
ACE-inibitore offre una miglior prognosi
ai pazienti ipertesi rispetto all’associazione di un beta-bloccante con un diuretico tiazidico.
Tuttavia l’impatto dei risultati dello studio ASCOT nella pratica clinica quotidiana è stato in qualche modo attenuato
dalla considerazione che l’associazione
calcio-antagonista/ACE-inibitore si confrontava con un’associazione ormai poco
utilizzata, quale quella beta-bloccante/diuretico. Per questo motivo, hanno
una grande rilevanza scientifica e clinica i risultati successivi dello studio
ACCOMPLISH (Avoiding Cardiovascular
Events through Combination Therapy in
Patients Living with Systolic Hyperten-
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 sion) (Jamerson et al., 2008). Questo
studio ha infatti confrontato l’associazione fissa benazepril/amlodipina con
l’associazione fissa benazepril/idroclorotiazide. Poiché l’ACE-­
inibitore era lo
stesso nei due bracci di trattamento, è
ovvio che le eventuali differenze osservate nello studio sono da mettere in conto
all’associazione con il calcio antagonista
o con il diuretico. Lo studio ha arruolato
11506 pazienti con ipertensione arteriosa ed elevato rischio cardiovascolare,
randomizzati a ricevere l’associazione
fissa benazepril/amlodipina 20/5 mg/die,
incrementabile a 40/10 mg/die, o l’associazione fissa benazepril/idroclorotiazide
20/12.5 mg/die, incrementabile a 40/25
mg/die. Lo scopo dello studio era quello
di confrontare le due associazioni su un
endpoint composito costituito da decesso per cause cardiovascolari, infarto del
miocardio non fatale, ictus non fatale,
ospedalizzazione per angina, rianimazione dopo arresto cardiaco e rivascolarizzazione coronarica. Lo studio è stato interrotto anticipatamente solo dopo 36 mesi
di follow-up in quanto si era evidenziato
un beneficio statisticamente significativo di uno dei due bracci di trattamento.
La riduzione dei valori di pressione arteriosa era risultata simile nei due gruppi:
131.6/73.3 mmHg nel gruppo benazepril/amlodipina e 132.5/74.4 mmHg
nel gruppo benazepril/idroclorotiazide. I
risultati dello studio hanno mostrato una
riduzione del rischio relativo del 19.6%
determinata dall’associazione benazepril/amlodipina rispetto all’associazione
benazepril/idro­clorotiazide. Questa differenza era determinata da una riduzione
significativa di decessi per cause cardiovascolari, infarto del miocardio non fatale e ictus non fatale. Ovviamente l’interruzione precoce dello studio non ha
consentito che l’evidente beneficio anche sugli altri endpoint secondari avesse
il tempo necessario per raggiungere la
significatività statistica.
I risultati dello studio ACCOMPLISH dimostrano quindi in modo inequivocabile
che l’associazione calcio-antagonista/
ACE-inibitore è superiore alle altre associazioni, inclusa quella tra ACE-inibitore e diuretico, così tanto utilizzata nella pratica clinica quotidiana. Come già
commentato questi risultati non devono
sorprendere, in quanto l’associazione
calcio-antagonista/ACE-inibitore non solo ha un ottimo sinergismo per quanto
riguarda la riduzione dei valori pressori,
ma soprattutto interagisce in modo perfetto per quanto riguarda la protezione
d’organo e di conseguenza la protezione
dagli eventi cardiovascolari.
In altre parole i risultati di ASCOT e
ACCOMPLISH devono assolutamente far
rivedere le strategie terapeutiche di prima scelta per quanto riguarda il paziente
iperteso, soprattutto se a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato (che
d’altra parte rappresentano il 70% circa
della popolazione dei pazienti ipertesi).
È equivalente utilizzare una
combinazione calcio-antagonista/ACEinibitore o una combinazione calcioantagonista/AT1 antagonista?
Questa domanda è importante, in quanto nella pratica clinica, allo stesso modo nel quale si considerano equivalenti
i farmaci ACE-inibitori rispetto agli AT1
antagonisti, è passato il concetto che
anche le associazioni delle due classi
di farmaci con i calcio-antagonisti siano
equivalenti. Questo modo di pensare è
assolutamente scorretto. Innanzitutto,
abbiamo già illustrato come un’attenta
analisi della letteratura scientifica indichi una superiorità degli ACE-inibitori
rispetto agli AT1 antagonisti soprattutto
per quanto riguarda la riduzione della
cardiopatia ischemica e della mortalità
totale (Figura 5) (van Vark et al., 2012);
inoltre l’efficacia sugli eventi clinici deve essere dimostrata da specifici studi
13
Blood Pressure forum®
14
Figura 5.
La meta-analisi di van Vark L et al. ha valutato l’effetto di ACE-inibitori e AT1 antagonisti sulla mortalità totale. Questa analisi è
stata eseguita selezionando 20 studi clinici controllati eseguiti tra il 2000 e il 2011 e condotti in pazienti ipertesi o in pazienti
ad alto rischio dei quali almeno 2/3 (66.7%) fossero ipertesi. Nella coorte di 158998 pazienti selezionati, la meta-analisi ha
dimostrato che solo gli ACE-inibitori, ma non gli AT1 antagonisti riducono la mortalità totale (van Vark et al., 2012).
Impatto sulla mortalità totale degli ACE-inibitori e degli antagonisti recettoriali dell’angiotensina II
Hazard Ratio (HR) di mortalità
ACE-inibitore per tutte le cause (IC 95%)
(modello “random effects”)
ALLHAT
1.03 (0.90-1.15)
ANBP-2
0.90 (0.75-1.09)
pilot HYVET
0.99 (0.62-1.58)
JMIC-B
1.32 (0.61-2.86)
ASCOT-BPLA
0.89 (0.81-0.99)
ADVANCE
0.86 (0.75-0.98)
HYVET
0.79 (0.65-0.95)
Totale
0.90 (0.84-0.97)
0.50 0.75 1 1.33 2.0
HR (scala logaritmica)
P=0.004
Migliore l’ACE-inibitore
Migliore il controllo
P per l’eterogeneità 0.310:l2 16%
Hard Ratio (HR) di mortalità
per tutte le cause (IC 95%)
(modello “random effects”)
ARB
RENAAL
1.03 (0.83-1.29)
IDNT
0.92 (0.69-1.23)
LIFE
0.88 (0.77-1.01)
SCOPE
0.96 (0.81-1.14)
VALUE
1.04 (0.94-1.14)
MOSES
1.07 (0.73-1.57)
JIKEI HEART
1.09 (0.64-1.85)
PRoFESS
1.03 (0.93-1.14)
TRANSCEND
1.05 (0.91-1.22)
CASE-J
0.85 (0.62-1.16)
Hij-CREATE
1.18 (0.83-1.67)
KYOTO HEART
0.76 (0.40-1.30)
NAVIGATOR
0.90 (0.77-1.05)
Totale
0.99 (0.94-1.04)
0.50 0.75 1 1.33 2.0
HR (scala logaritmica)
P=0.68
Migliore l’ARB
Migliore il controllo
P per l’eterogeneità 0.631:l2 0%
clinici controllati. Ebbene, come chiaramente indicato anche dalle linee guida
ESH/ESC 2013, nessuno studio clinico
controllato ha mai valutato l’efficacia
dell’associazione AT1 antagonista/calcio
antagonista. Poiché comunque questa
associazione è razionale da un punto di
vista della farmacologia clinica ed è efficace nel ridurre i valori pressori, trova
sicuramente indicazione nel caso di intolleranza all’associazione ACE-inibitore/calcio antagonista.
ipertesi) ed aumentano le percentuali di
controllo dei valori pressori.
L’unica associazione che, invece, non
può essere raccomandata sulla base dei
risultati dei trial è quella tra due differenti bloccanti del RAS (ACE-inibitore e
ARB). Al pari delle precedenti, anche le
linee guida ESH/ESC 2013 raccomandano l’impiego delle associazioni di due
farmaci antipertensivi a dosaggio fisso in
una singola compressa, in quanto esse,
riducendo il numero di assunzioni giornaliere, migliorano l’aderenza terapeutica (che purtroppo è bassa nei pazienti
Bibliografia
Questo approccio terapeutico è attualmente agevolato dalla disponibilità di
differenti associazioni precostituite a
dosaggio fisso degli stessi farmaci, il che
permette di ridurre al minimo uno degli
inconvenienti, vale a dire l’impossibilità
di aumentare la dose di un farmaco indipendentemente dall’altro (Mancia G et
al., 2013).
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Prevention of cardiovascular events with an
antihypertensive regimen of amlodipine adding
perindopril as required versus atenolol adding
bendroflumethiazide as required, in the Anglo-
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Blood
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15
16
leading article
Vascular aging in practice
Trattamento del paziente iperteso
coronaropatico: perindopril/
amlodipina, unica associazione
antipertensiva tra quelle
raccomandate dalle linee guida
con indicazione terapeutica ufficiale
nell’iperteso con coronaropatia stabile
L’ipertensione arteriosa costituisce un
problema sanitario di estrema importanza dal momento che, oltre un quarto
della popolazione mondiale, ne risulta
affetto. Ciononostante, il suo trattamento risulta inadeguato se si considera che
circa il 30% dei soggetti ipertesi non
sono a conoscenza della propria condizione patologica, per cui non effettuano
alcuna terapia, e che del restante 70%
di pazienti in trattamento antipertensivo, solo il 34% raggiunge i target di
pressione arteriosa sistolica e diastolica
raccomandati. Questi dati suscitano preoccupazione, in quanto i dimostrati benefici derivanti dalla riduzione dei livelli
pressori si traducono in una diminuzione dell’incidenza di infarto miocardico
(del 20-25%), scompenso cardiaco (di
oltre il 50%) e stroke (del 35-40%). In
genere, la scarsa efficacia della gestione clinica dell’ipertensione è attribuita
all’inadeguatezza del trattamento relativamente alla scelta dell’agente antipertensivo o del suo dosaggio, alla mancanza di sinergia quando si utilizza più di un
farmaco ed ai problemi di compliance.
Il ricorso alle associazioni fisse permette
di intervenire su tutti questi aspetti ed
è raccomandato dalla linee guida internazionali per contribuire ad ottimizzare
il trattamento dell’ipertensione. Invero,
alcuni regimi farmacologici combinati
si sono dimostrati in grado di migliorare
la prognosi dei pazienti affetti da ipertensione arteriosa, associata o meno a
comorbilità. Tuttavia, una delle attuali sfide consiste nell’individuare, tra le
diverse opzioni disponibili, l’associazione fissa la cui efficacia nel trattamento
dell’ipertensione sia avvalorata dalle migliori evidenze.
A tale riguardo, esistono solide prove a
sostegno del fatto che l’ACE-inibitore
perindopril ed il calcio-antagonista amlodipina risultano efficaci come monoterapia antipertensiva. Inoltre, questi
farmaci sono frequentemente prescritti
come associazione estemporanea per
trattare l’ipertensione arteriosa e la malattia coronarica (CAD) stabile. In questa sede si analizzano il razionale e le
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 evidenze a sostegno dei vantaggi clinici
connessi all’impiego dell’associazione
fissa di questi due farmaci nel controllo
dei valori pressori e nella cardioprotezione, dal momento che il regime combinato perindopril/amlodipina rappresenta
anche una valida opzione per il trattamento della CAD stabile. I pazienti con
angina pectoris stabile necessitano di un
duplice approccio terapeutico: uno finalizzato al miglioramento della prognosi a
lungo termine e l’altro teso ad ottenere
il controllo dei sintomi. Il ricorso all’associazione fissa perindopril/amlodipina
permette di semplificare la gestione clinica di questi pazienti, in quanto con
una singola somministrazione è possibile
raggiungere tre obiettivi terapeutici: l’effetto antipertensivo, laddove necessario;
la riduzione dell’angina e la prevenzione
secondaria degli eventi cardiaci (Ferrari
R, 2008).
cologiche offre il vantaggio di sfruttare
meccanismi d’azione complementari,
che possono risultare sinergici. Ciò avviene nel caso degli ACE-inibitori e dei
calcio-antagonisti che esercitano l’attività antipertensiva mediante meccanismi
d’azione complementari. In particolare, i
calcio-antagonisti ostacolano l’eccessivo
ingresso di calcio attraverso i canali del
calcio voltaggio- e recettore-dipendenti
delle cellule muscolari lisce vascolari,
mentre gli ACE-inibitori riducono l’attività vasocostrittrice dell’angiotensina II
bloccandone la sintesi a partire dall’angiotensina I. Pertanto, agendo sulla muscolatura liscia vascolare, l’amlodipina
induce vasodilatazione riducendo l’ingresso di calcio dall’esterno, mentre il
perindopril determina tale effetto riducendo il rilascio intracellulare di calcio
ed aumentando la produzione di ossido
nitrico (Tabella 1).
La razionale combinazione di agenti appartenenti a due differenti classi farma-
Queste due classi di farmaci svolgono
anche effetti cardioprotettivi differenti e
17
Tabella 1.
Confronto tra gli effetti dell’ACE-inibitore perindopril e quelli del calcio-antagonista diidropiridinico amlodipina, e sinergismo di
tali effetti farmacologici in ambito clinico. eNOS, ossido nitrico sintasi endoteliale; NO, ossido nitrico; t-PA, attivatore tissutale
del plasminogeno; PAI-1, inibitore dell’attivatore del plasminogeno di tipo 1; SMC, cellula muscolare liscia (Ferrari R, 2008).
Perindopril
Amlodipina
Vasodilatazione
 Vasocostrizione
Vasodilatazione
 Riflesso della
vasocostrizione
 Effetto antiossidante
(NO)
Effetto antiossidante
(espressione eNOS, NO)
Effetto antirimodellamento
Vantaggio clinico del sinergismo
 Riduzione dei valori pressori
Attivazione del sistema
nervoso simpatico
Funzione endoteliale
Vasodilatazione
post-capillare
Attività t-PA
Livelli di PAI-1
Crescita, migrazione
e proliferazione delle SMC
Degradazione della matrice
Adesione dei monociti
Flusso coronarico
Vasodilatazione
pre-capillare
Attività t-PA
Proliferazione della SMC
Edema degli arti inferiori
Miglioramento dell’equilibrio
fibrinolitico
18
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complementari. Infatti, a livello molecolare, i calcio-antagonisti mantengono la
vitalità dei miociti e ritardano la comparsa di danno ischemico irreversibile;
di solito, tali effetti richiedono la somministrazione profilattica e si basano sulla
capacità di risparmio dell’ATP e sulla
riduzione del sovraccarico di calcio nel
citosol dovuto all’ischemia. Invece, l’attività cardioprotettiva svolta dagli ACE-inibitori, che non richiede somministrazione profilattica, è indipendente dal
risparmio dell’ATP e dal minore sovraccarico di calcio, in quanto risulta correlata ad una diminuzione del rilascio di
adrenalina e della velocità di apoptosi.
Inoltre, il perindopril si è dimostrato
in grado di proteggere l’endotelio dei
pazienti con malattia coronarica, prevenendo l’insorgenza e la progressione
della disfunzione endoteliale e dell’aterosclerosi, il che si traduce, a sua volta,
in una riduzione significativa degli eventi coronarici acuti. Questi effetti protettivi sull’endotelio sono correlati ad uno
specifico rallentamento della velocità di
apoptosi endoteliale, nonché ad un incremento dell’espressione e dell’attività dell’ossido nitrico sintasi endoteliale
(eNOS). Sebbene quest’ultima azione
sia comune a tutti gli ACE-inibitori,
l’effetto antiapoptotico risulta, almeno
sperimentalmente, peculiare di perindopril (Ferrari R, 2008). Uno studio che
ha valutato gli effetti di perindopril/amlodipina sui parametri emodinamici e
sulla funzionalità respiratoria in pazienti con ipertensione arteriosa e BPCO in
comorbidità, ha dimostrato che questa
associazione antipertensiva, rispetto al
trattamento con il solo ACE-inibitore lisinopril, è in grado di migliorare significativamente anche i parametri di funzionalità spirometrica (+9.7 vs +1.35,
p=0.047) (Koziolova et al., 2015).
La sinergia d’azione dei meccanismi
complementari dell’ACE-inibitore perin-
dopril e del calcio-antagonista amlodipina, impiegati in associazione fissa nei
pazienti ipertesi con CAD stabile, si traduce in importanti vantaggi clinici rappresentati da una più marcata efficacia
antipertensiva, da un migliore equilibrio
fibrinolitico e da una riduzione degli effetti indesiderati, con particolare riferimento all’edema degli arti inferiori ed
alla tosse (Ferrari R, 2008; Bahl VK et
al., 2009).
Per quanto il più marcato effetto antipertensivo dell’associazione perindopril/
amlodipina sia dovuto all’azione vasodilatante sinergica dei due agenti, l’efficacia di questo regime combinato è stata
valutata in un trial clinico multicentrico,
open-label, della durata di 8 settimane,
che ha incluso 500 pazienti ipertesi.
Al basale, la popolazione studiata era
in larga parte costituita da soggetti con
ipertensione arteriosa di grado moderato-severo (PA media 166/100 mmHg),
mentre nel 12% dei casi i pazienti arruolati risultavano affetti da ipertensione di grado severo (PAS >180 mmHg).
Durante il periodo di trattamento con
l’associazione fissa perindopril/amlodipina, la pressione arteriosa si è ridotta gradualmente fino a raggiungere un
valore di 132/83 mmHg (p<0.0001),
facendo registrare una riduzione media statisticamente significativa (pari a
34/17 mmHg) al termine dello studio. Il
target pressorio (<140/90 mmHg) è stato raggiunto dal 67% dei pazienti dopo
4 settimane di trattamento; la riduzione della pressione arteriosa rilevata nel
sottogruppo di pazienti con ipertensione
severa è risultata addirittura più marcata
(–58/22 mmHg) ed altamente significativa (p<0.0001).
I pazienti ipertesi e coronaropatici spesso presentano una ridotta funzione fibrinolitica, evidenziata dagli elevati livelli
plasmatici di inibitore dell’attivatore
del plasminogeno di tipo 1 (PAI-1) e
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 da un’attività ridotta dell’attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA). Questa
condizione contribuisce ad aumentare il rischio di aterosclerosi e malattia
cardiovascolare in questa popolazione
di pazienti. Gli ACE-inibitori migliorano
l’equilibrio fibrinolitico aumentando l’attività del t-PA e riducendo i livelli di PAI1, mentre i calcio-antagonisti agiscono
potenziando l’attività del t-PA. Quando
gli agenti di queste due classi farmacologiche sono somministrati simultaneamente, essi agiscono in maniera sinergica ed inducono un miglioramento
dell’equilibrio fibrinolitico che risulta
maggiore rispetto a quello che si riesce
ad ottenere dall’impiego di ciascuno di
essi in monoterapia.
Come riportato in precedenza, l’ulteriore
vantaggio clinico derivante dalla sinergia
d’azione dei meccanismi complementari dell’ACE-inibitore perindopril e del
calcio-antagonista amlodipina consiste
nella riduzione degli effetti indesiderati
associati all’impiego dei singoli agenti.
In particolare, i calcio-antagonisti diidropiridinici possono causare edema
periferico in quanto essi aumentano la
pressione idrostatica capillare dovuta
ad una vasodilatazione più pronunciata
nei vasi di resistenza pre-capillari che in
quelli post-capillari. Nel caso dell’amlo-
19
dipina, ciò si verifica in circa il 22% dei
pazienti che assumono questo farmaco,
con una maggiore frequenza nei soggetti
di sesso femminile. L’ACE–inibizione è
notoriamente in grado di ridurre tale effetto secondario dei calcio-antagonisti, il
che è, molto probabilmente, dovuto alla
capacità degli ACE-inibitori di indurre
la dilatazione dei vasi venosi di capacitanza, ed in tal modo normalizzando la
pressione intracapillare e riducendo l’essudazione di liquido negli spazi interstiziali (Figura 1). Nel trial precedentemente citato, che ha incluso 500 pazienti
ipertesi trattati con l’associazione fissa
perindopril/amlodipina, non sono stati
riportati casi di edema delle caviglie. Le
proprietà vasodilatanti degli ACE-inibitori rendono questi farmaci più efficaci nel
ridurre l’edema correlato ai calcio-antagonisti rispetto ai diuretici, dal momento che questi ultimi si limitano a ridurre
la ritenzione di liquidi. Inoltre, è stato
suggerito che l’aggiunta di un ACE-inibitore, invece che di un diuretico, alla
monoterapia con calcio-antagonista rappresenti la strategia ottimale per indurre
un’ulteriore riduzione dei livelli pressori
ottenendo nel contempo l’attenuazione
dell’edema degli arti inferiori (Ferrari R,
2008).
Figura 1.
(A) Rappresentazione schematica dell’effetto secondario dell’edema periferico, associato alla vasodilatazione pre-capillare
indotta dal calcio-antagonista (CCB) e sua riduzione (B) in seguito all’associazione di un inibitore dell’enzima di conversione
dell’angiotensina (ACE), che induce vasodilatazione post-capillare (Ferrari R, 2008).
A. Solo CCB
B. CCB+ACE-inibitore
Edema
Postcapillare
Precapillare
Edema
Postcapillare
Precapillare
20
Blood Pressure forum®
Il valido profilo di tollerabilità dell’associazione perindopril/amlodipina, confermato anche dallo studio STRONG, è
spiegato dall’effetto sinergico dei due
farmaci che, come appena accennato,
permette di ridurre sia l’edema periferico che può associarsi alla somministrazione dell’amlodipina, sia la tosse,
il principale effetto indesiderato degli
ACE-inibitori. Infatti, l’incidenza della
tosse correlata all’ACE-inibizione osservata in questo studio (1.5%), in cui perindopril era somministrato in associazione fissa con amlodipina, è risultata
inferiore a quella registrata in altri due
studi nei quali perindopril (2.7%) o il
quinapril (8.7%) sono stati impiegati in
monoterapia; a sostegno di questi risultati esistono evidenze che indicano come
la tosse associata all’uso degli ACE-inibitori possa essere attenuata dalla concomitante associazione dei calcio-antagonisti, tra cui l’amlodipina (Bahl VK
et al., 2009). Nello studio ASCOT-LLA,
l’impiego combinato della terapia con
statina con il regime antipertensivo basato su amlodipina si è associato ad una
riduzione significativa (-53%; p<0.0001
vs placebo) dell’endpoint primario (infarto miocardico non fatale e cardiopatia
ischemica fatale) (Sever et al., 2009).
Lo studio clinico ASCOT-BPLA (AngloScandinavian Cardiac Outcomes Trial
– Blood Pressure Lowering Arm) ha fornito adeguate evidenze a sostegno dei
vantaggi clinici derivanti dall’impiego
dell’associazione fissa perindopril/amlodipina in termini di efficacia antipertensiva, nonché di riduzione della morbilità e della mortalità cardiovascolare.
Peraltro, tali benefici non si estendono
necessariamente ai regimi terapeutici
basati sull’impiego di altri ACE-inibitori
o calcio-antagonisti.
L’ASCOT-BPLA è un trial multicentrico,
prospettico, randomizzato, controllato in
cui sono stati arruolati pazienti affetti da
ipertensione arteriosa con almeno altri
tre fattori di rischio cardiovascolare. In
particolare, erano considerati eleggibili
per l’inclusione in questo studio i pazienti di età compresa tra 40 e 79 anni
alla randomizzazione che risultavano affetti da ipertensione arteriosa non trattata (pressione arteriosa sistolica [PAS]
pari o superiore a 160 mmHg, pressione
arteriosa diastolica [PAD] ≥100 mmHg
o entrambe) oppure da ipertensione sottoposta a trattamento (PAS pari o superiore a140 mmHg, PAD pari o superiore
a 90 mmHg o entrambe le condizioni).
Inoltre, la popolazione dello studio doveva presentare almeno tre dei seguenti
fattori di rischio cardiovascolare: ipertrofia ventricolare sinistra (evidenziata
mediante elettrocardiogramma o ecocardiografia); altre specifiche anomalie
elettrocardiografiche; diabete mellito di
tipo 2; arteriopatia periferica; pregresso
stroke o attacco ischemico transitorio;
sesso maschile; età pari o superiore a
55 anni; microalbuminuria o proteinuria; abitudine al fumo di sigaretta; rapporto plasmatico colesterolo totale – colesterolo HDL ≥6; o anamnesi familiare
positiva per malattia coronarica (CHD)
prematura (Dahlöf B et al., 2005).
I pazienti valutabili (n=19257) che
soddisfacevano i criteri di arruolamento
sono stati assegnati in maniera randomizzata al trattamento con amlodipina
(n=9639), cui è stato associato perindopril se necessario per raggiungere i target
pressori (regime basato sull’amlodipina)
o con atenololo (n=9618) aggiungendo
il diuretico tiazidico bendroflumetiazide
e potassio se necessario (regime basato sull’atenololo), secondo un algoritmo
predefinito. La scelta di quest’ultimo regime terapeutico come comparatore di
riferimento è stata dettata dal fatto che,
quando è iniziato lo studio ASCOT, l’associazione antipertensiva impiegata con
maggiore frequenza su scala mondiale
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 era rappresentata da beta bloccante più
diuretico e le molecole più comunemente utilizzate nell’ambito di queste due
classi farmacologiche erano, rispettivamente, l’atenololo e le tiazidi.
L’obiettivo primario dello studio era
quello di valutare e confrontare gli effetti a lungo termine dei due regimi
antipertensivi sull’endpoint combinato
costituito dall’infarto miocardico non
fatale (incluso il cosiddetto infarto del
miocardio silente) e dalla CHD fatale.
Tra gli endpoint secondari erano inclusi
la mortalità da tutte le cause, l’endpoint
primario meno l’infarto silente, gli stroke
totali (fatali e non fatali), la mortalità
cardiovascolare, nonché tutti gli eventi
cardiovascolari e le procedure. Inoltre,
gli Autori dello studio ASCOT hanno
condotto un’analisi post-hoc su altri due
endpoint combinati: mortalità cardiovascolare più infarto miocardico e stroke
ed endpoint primario e della rivascolarizzazione coronarica.
Al termine del trial ASCOT-BPLA (interrotto anticipatamente dopo un follow-up
mediano di 5.5 anni) è emerso che nel
gruppo di pazienti sottoposti a trattamento antipertensivo basato su amlodipina i valori di pressione arteriosa sono
risultati costantemente inferiori, per l’intera durata dello studio, rispetto a quelli
registrati nel gruppo assegnato al regime
basato su atenololo; in particolare, la
differenza media a favore del trattamento basato su amlodipina è risultata pari
a 2.7 mmHg per la PAS ed a 1.9 mmHg
per la PAD (Figura 2).
Il trattamento antipertensivo mediante
l’associazione amlodipina/perindopril ha
indotto, rispetto al regime combinato beta-bloccante/diuretico, una riduzione pari al 10% (non significativa)
dell’endpoint primario rappresentato
dall’infarto miocardico non fatale e dalla
CHD fatale. Tuttavia, nei pazienti assegnati al regime basato sull’amlodipina
sono state registrate riduzioni significative di tutti gli endpoint secondari (ad
eccezione dello scompenso cardiaco fatale e non fatale), tra cui: l’infarto miocardico non fatale (tranne quello silente) e la CHD fatale (ridotti del 13%);
gli eventi coronarici totali (–13%); gli
Figura 2.
Valori della pressione arteriosa nel corso del tempo nei due gruppi di trattamento dello studio (Dahlöf B et al., 2005).
Pressione arteriosa (mmHg)
180
160
Regime basato sull’atenololo
Regime basato sull’amlodipina
Pressione arteriosa sistolica
140
120
100
80
60
Differenza media= 2.7, p<0.0001
Pressione arteriosa diastolica
Differenza media= 1.9, p<0.0001
137.7
136.1
79.2
77.4
0
0 0.5 1.01.5 2.02.5 3.03.5 4.04.55.05.5 Visita finale
(media 5.7 [DS 0.6],
Tempo (anni)
range 4.6-7.3)
21
Blood Pressure forum®
22
eventi cardiovascolari e le procedure
totali (–16%); la mortalità da tutte le
cause (–11%); la mortalità cardiovascolare (–24%); lo stroke fatale e non fatale
(–23%) (Figura 3).
Infine, nei pazienti randomizzati al regime terapeutico basato sull’amlodipina,
rispetto ai soggetti assegnati al trattamento con il regime basato sull’atenololo, entrambi gli endpoint combinati
definiti retrospettivamente hanno fatto
registrare una riduzione significativa,
che è risultata pari al 16% per l’endpoint
combinato mortalità cardiovascolare, infarto miocardico e stroke, ed al 14% per
quello costituito dall’endpoint primario
e dalla rivascolarizzazione coronarica.
In definitiva, i risultati del trial ASCOTBPLA evidenziano che nei pazienti ipertesi a rischio moderato di sviluppare
eventi cardiovascolari, il trattamento antipertensivo iniziale con amlodipina, cui
è stato associato perindopril, si è dimostrato più efficace rispetto al trattamento iniziale con atenololo, con l’aggiunta
Figura 3.
Curve di Kaplan-Meier dell’incidenza cumulativa degli endpoint secondari dello studio ASCOT-BPLA: stroke fatali e non fatali (A),
eventi cardiovascolari e procedure totali (B), mortalità cardiovascolare (C) e mortalità da tutte le cause (D) (Dalhöf B et al., 2005).
A
Percentuale di eventi (%)
10
B
Regime basato sull’atenololo
Regime basato sull’amlodipina
8
20
15
6
10
HR=0.77 (95% IC 0.66-0.89),
p=0.0003
4
5
2
0
0
0
1
Numero a rischio
Regime basato
9639
sull’amlodipina
(327 eventi)
Regime basato
9618
sull’atenololo
(422 eventi)
C
2
3
4
Tempo (anni)
5
9483
9331
9156
8972 7863
9461
9274
9059
8843 7720
6
Percentuale di eventi (%)
0
Numero a rischio
Regime basato
9639
sull’amlodipina
(1362 eventi)
Regime basato
9618
sull’atenololo
(1602 eventi)
D
10
8
6
6
HR=0.76 (95% IC 0.65-0.90),
p=0.0010
4
2
0
0
1
2
3
4
Tempo (anni)
5
9639 9544
9441
9322
9167
8078
9618 9532
9415
9261
9085
7975
2
3
4
Tempo (anni)
5
9277
8957
8646
8353
7207
9210
8848
8465
8121
6977
6
4
2
0
1
10
8
Numero a rischio
Regime basato
sull’amlodipina
(263 eventi)
Regime basato
sull’atenololo
(342 eventi)
HR=0.84 (95% IC 0.78-0.90),
p<0.0001
6
HR=0.89 (95% IC
0.81-0.99), p=0.0247
0
Numero a rischio
Regime basato
sull’amlodipina
(738 eventi)
Regime basato
sull’atenololo
(820 eventi)
1
2
3
4
Tempo (anni)
5
9639 9544
9441
9322
9167
8078
9618 9532
9415
9261
9085
7975
6
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 di un diuretico tiazidico, in termini di
riduzione dell’incidenza di tutti i tipi
di eventi cardiovascolari e della mortalità da tutte le cause (Dahlöf B et al.,
2005). I livelli plasmatici di PAI-1 e t-PA
non sono stati determinati nel corso dello studio ASCOT, ma le riduzioni significative della mortalità cardiovascolare,
degli eventi coronarici, nonché degli
stroke fatali e non fatali possono essere
considerate una dimostrazione indiretta
della sinergia di effetti dell’associazione perindopril/amlodipina sull’equilibrio
fibrinolitico. L’azione sinergica dei due
agenti si traduce anche in un più efficace decremento e controllo dei valori
pressori ed in un migliore profilo di tollerabilità. Un’ulteriore caratteristica di
questa particolare associazione farmacologica è la copertura dell’effetto antipertensivo nelle 24 ore, che potrebbe
avere contribuito ai risultati in termini
di riduzione della morbilità e della mortalità registrati nel trial ASCOT. A tale
riguardo, le linee guida raccomandano
l’impiego di regimi terapeutici, preferibilmente in monosomministrazione giornaliera, dotati della dimostrata capacità
di controllare i valori pressori per l’intero
arco delle 24 ore (Ferrari R, 2008).
Nella Tabella 2 viene riportato il valore
approssimativo del rapporto valle-picco
di alcuni dei principali farmaci antipertensivi; come si può notare, i valori del
rapporto valle-picco di perindopril e di
amlodipina sono molto elevati, il che indica la possibilità di ottenere, anche con
la loro associazione, un uniforme controllo della pressione arteriosa nel corso
delle 24 ore.
Il regime combinato perindopril/amlodipina rappresenta la prima associazione
fissa impiegata nell’ambito della malattia coronarica stabile (CAD) e costituisce una valida opzione terapeutica per i
pazienti affetti da tale condizione patologica. L’associazione fissa perindopril/
23
Tabella 2.
Rapporto valle-picco approssimativo di alcuni dei principali farmaci
antipertensivi (1-4)
Amlodipina 88%
HCTZ
45%
Perindopril 100%
Telmisartan 100%
Fosinopril 80%
Losartan
95%
Lisinopril 75%
Valsartan
90%
Ramipril 60%
Olmesartan
70%
Benazepril
50%
Irbesartan
70%
Enalapril
48%
1. Physicians Desk Reference. NJ: Medical Economics Company; 2008. 2. Diamant
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twice-daily captopril in patients with essential hypertension. J HUM Hypertens.
1998; 12:69-72. 4. Hermida RC, Calvo C, Ayala DE et al. Administration timedependent effects of valsartan on ambulatory blood pressure in hypertensive subjects.
Hypertension. 2000; 42-282-290.
amlodipina associa le due componenti
di una normale strategia terapeutica della CAD in un’unica somministrazione, da
impiegare sia nei pazienti ipertesi che
nei soggetti normotesi. I vantaggi derivanti dall’uso di questo regime combinato precedentemente riportati nel caso
dell’ipertensione, in termini di migliore
tollerabilità, maggiore compliance ed effetti sinergici, tra cui quello sulla funzione fibrinolitica, si applicano ai pazienti
affetti da CAD. Inoltre, la complementarietà degli effetti di perindopril ed amlodipina si traduce, rispettivamente, nella
prevenzione secondaria degli eventi cardiaci e nella riduzione dell’angina.
La scelta di perindopril ed amlodipina
come componenti di un’associazione
precostituita da impiegare nel trattamento della CAD stabile risulta particolarmente appropriata, dal momento che
per entrambi i farmaci esistono solide
evidenze a sostegno della loro efficacia
in questa popolazione (Ferrari R, 2008).
In tal senso sono chiaramente indicativi i
risultati emersi da un’analisi post hoc che
ha utilizzato il database del trial EUROPA
24
Blood Pressure forum®
(European trial on Reduction Of cardiac
events with Perindopril in stable coronary
Artery disease), uno studio multicentrico, in doppio cieco, placebo-controllato, randomizzato condotto su una popolazione di pazienti di entrambi i sessi
affetti da arteriopatia coronarica (CAD)
stabile documentata, con l’obiettivo di
valutare gli effetti del trattamento continuo a lungo termine con perindopril e
calcio-antagonista (CCB) sugli outcome
cardiovascolari in questa popolazione di
pazienti e valutare la presenza di sinergia tra queste due classi di farmaci nella
prevenzione secondaria (Bertrand ME et
al., 2010).
calcio-antagonista per l’intera durata dei
4.2 anni di follow-up (n=2122, pari a
circa il 17% della popolazione arruolata
nel trial EUROPA), sono stati analizzati
gli effetti dall’aggiunta di perindopril versus placebo (n=1022 perindopril/CCB;
n=1100 placebo/CCB) sull’endpoint pri­
mario composito (mortalità cardiovascolare, infarto miocardico non fatale ed
arresto cardiaco con rianimazione) e sugli endpoint secondari (mortalità totale,
mortalità cardiovascolare, ospedalizzazione per scompenso cardiaco ed infarto miocardico fatale e non fatale) dello
studio EUROPA.
Dall’analisi post hoc di questo trial è
emerso che l’aggiunta di perindopril al
calcio-antagonista ha permesso di ottenere una riduzione significativa della
mortalità totale pari al 46% (p<0.01 vs
placebo) e dell’endpoint primario composito pari al 35% (p<0.05 versus placebo). Le percentuali di eventi nelle due
sottopopolazioni perindopril/CCB e placebo/CCB, sono risultate a favore dell’associazione perindopril/CCB per tutti gli
endpoint primari e secondari analizzati
(Figura 4). Con particolare riferimen-
A tale scopo sono state individuate due
sottopopolazioni dello studio EUROPA in
ciascuno dei gruppi di randomizzazione:
una formata dai pazienti che risultavano
in trattamento con il calcio-antagonista
in occasione di ciascun controllo clinico,
dal basale al termine dello studio; l’altra
costituita da pazienti che non sono mai
risultati in terapia con il calcio-antagonista in occasione dei vari timepoint dello
studio. Una volta identificati i partecipanti allo studio che hanno assunto il
Figura 4.
Effetti del trattamento con perindopril nei pazienti con malattia coronarica stabile che stavano assumendo il calcio-antagonista
(CCB) sugli endpoint primari e secondari dello studio EUROPA. MI, infarto miocardico; HF, scompenso cardiaco (Bertrand ME
et al., 2010).
Percentuale di eventi
Perindopril/
CCB (n=1022)
Placebo/CCB
(n=1100)
RRR
95% IC
Endpoint primario
4.9%
7.5%
35%
0.45-0.92
Mortalità totale
2.6%
4.8%
46%
0.34-0.86
Mortalità
cardiovascolare
1.6%
2.6%
41%
0.32-1.08
MI fatale e non fatale
3.9%
5.4%
28%
0.48-1.07
Ospedalizzazione per HF
0.3%
0.6%
54%
0.12-1.76
0
0.5
A favore di
perindopril/CCB
1
1.5
A favore di
placebo/CCB
2
Vascular aging in practice • Numero 1 - Novembre 2015 to a questi ultimi sono state registrate
marcate riduzioni della mortalità cardiovascolare (–41%), delle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco (–54%) e
dell’infarto miocardico fatale e non fatale (–28%). Gli effetti dell’associazione
perindopril/CCB sono stati più marcati
rispetto a quelli prodotti dagli stessi farmaci impiegati in monoterapia su tutti
gli endpoint esaminati sia nel modello
non aggiustato, sia dopo aggiustamento
in base alle caratteristiche al basale. Il
confronto tra gli hazard ratio (HR) registrati nei pazienti trattati con l’associazione perindopril/CCB e quelli riscontrati
nei pazienti in trattamento con perindopril e CCB in monoterapia suggerisce la
presenza di un’interazione clinica tra
questi farmaci quando somministrati
come regime combinato, con un effetto
sugli outcome maggiore rispetto a quello
prevedibile in base alla semplice somma
degli effetti dei singoli agenti. La sinergia clinica era, peraltro, prevedibile considerando l’azione combinata delle proprietà cardioprotettive di perindopril con
le attività antiischemica ed antianginosa
di amlodipina.
In conclusione, l’aggiunta di perindopril
al calcio-antagonista nella terapia dei
pazienti con CAD stabile arruolati nello
studio EUROPA ha prodotto un impatto
significativo in termini di riduzione della
mortalità totale e dell’endpoint composito di mortalità cardiovascolare, infarto
miocardico non fatale ed arresto cardiaco
con rianimazione riuscita. Inoltre, l’analisi post hoc di questo studio ha evidenziato riduzioni sostanziali della mortalità
cardiovascolare e di altri outcome cardiaci. Il riscontro dell’interazione clinica
tra perindopril e calcio-antagonista, che
ha prodotto un effetto maggiore rispetto a quello prevedibile sommando gli
effetti dei singoli farmaci, implica l’esistenza di un meccanismo d’azione sinergico dell’associazione farmacologica
(Bertrand ME et al., 2010). Alla luce di
tali evidenze scientifiche, appare perfettamente condivisibile l’affermazione
delle linee guida ESC sulla coronaropatia stabile (CAD), secondo cui, in pazienti con ipertensione e ad elevato rischio
CV, quali quelli con CAD sintomatica
(SCAD), è da preferire l’associazione di
un ACE-inibitore e un calcio-antagonista
diidropiridinico, come perindopril/amlodipina (nello studio ASCOT) e benazepril/amlodipina (nello studio ACCOMPLISH) (ESC guidelines, 2013).
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