Venne la Magna Madre: riflessioni sull`importante

Transcript

Venne la Magna Madre: riflessioni sull`importante
L’ultimo libro di Alessandro Giuli, giornalista e scrittore dalla penna felice e dotato di studium et
amor non comuni per le ‘italiche cose’, inaugura con efficacia la collana Roma Renovata Resurgat
delle Edizioni Settimo Sigillo, collocandosi di diritto, ad avviso di chi scrive, nella rosa dei contributi
‘romanologici’ di maggior rilievo ed importanza dell’ultimo decennio. Volutamente intagliato nel
titolo balza all’occhio, immediato e con vigore, il riferimento alla romanità di Cibele. È un
riferimento importante e adeguato, posto che la tesi offerta al lettore suggerisce che la dèa frigia è
tale solo in virtù di una contingenza, di una temporanea (sia pur prolungata) permanenza in terra
d’Oriente, le sue radici (geo-sacrali) essendo piuttosto da ricercare altrove.
Un ‘altrove’ identificabile col Mediterraneo, segnatamente con quelle terre di cui l’Italia attuale è
(more tradito) sopravvivenza. Per una disamina più o meno completa della problematica delle ‘Rome
prime di Roma’ rimandiamo agli importanti testi di D’Uva, Siro Tacito, Consolato, Giorgio, Galiano et
alii; in questa sede preme rilevare come l’Autore sia da ascrivere a pieno titolo nel novero dei
tradizionalisti romani, di cui condivide dottrina ed orientamenti esistenziali, e con maggior
precisione nel parterre di studiosi che, sulla scia di testimonianze classiche e pre-classiche,
dottrinali e monumentali, lumeggiano (con alterni risultati) alcuni dei recessi meno permeabili della
tradizione patria. Venne la Magna Madre non è dunque testo elaborato a mo’ di curiosum o di
(rispettabile) indagine accademica, bensì concepito e scritto ‘manibus puris’ in veste di aderente ad
una ben precisa visione del mondo, esplicitata dal testo di presentazione della nuova collana
significativamente posta sotto l’egida dell’eroe tirreno Ekatlo.
Ciò premesso, nelle dense pagine di questa pubblicazione l’Autore, facendo ampio ed intelligente
uso di una certa ‘magia imaginalis ac verbalis’ che trova fondamento anche in insegnamenti propri a
determinate Scuole, esplicita e difende il dato tradizionale dell’autoctonia di Cibele: dèa italica e
mediterranea (e al contempo connotata da tratti universali, in quanto espressione di un archetipo[2])
‘emigrata’ e ‘tornata’ nel cuore della Penisola a seguito dei responsi resi dai Libri Sibillini e
dall’Oracolo di Delfi. Che di un reditus si tratti è dimostrabile da varie prospettive e facendo un
ponderato uso di non pochi dati di natura eterogenea: dottrinali, archeologici, letterari e via dicendo
– il più lampante essendo forse riscontrabile nell’accoglimento della divinità all’interno della cinta
pomeriale, sul Colle delle origini. Giuli tratteggia un quadro breve ma esaustivo della liturgia
romana, rimarcandone la netta distinzione rispetto a quella asiatica (pur tollerata in quanto
espressamente richiesta dalla dèa, ma coltivata extra pomerium), nonché dell’antefatto mitistorico
dell’installarsi del rito in Roma, evidenziando tra l’altro (particolare di pregio) il ricorrere, nella
storia della “(re)introduzione del culto metroaco” (p. 25) in terra d’Italia, di esponenti di determinate
gentes: Cornelia, Cecilia, Valeria, Claudia…, tutte particolarmente devote alla dèa e tra le più
risalenti nel contesto storico del popolo romano; elemento, quello dell’antichità e di un eventuale
deposito gentilizio riconducibile al culto della Magna Mater, da valutare con la dovuta attenzione. Lo
Ereticamente
http://www.ereticamente.net/2014/09/venne-la-magna-madre-riflessioni-sullimportante-opera-di-alessandro-giuli-sulla-cibele-romana1.html
studio si snoda, poi, lungo direttrici altrettanto rimarchevoli: l’accostamento tra Cibele e Bellona,
come divinità che condividerebbero l’ostiense Campus Magnae Matris; il risalto dato alla pietra ed
alla sua valenza giuridico-sacrale[3], anche con riguardo al pensiero di Guido Di Nardo; la lettura
simbolica, nel senso proprio del verbo greco symballo, di Fascio, Labrys e Fuoco virile fecondante
“la matrice cosmica degli Dei intellegibili, la Magna Mater Genetrix” (p. 82), in connessione diretta
con la concezione di Attis come genialità agente su questo piano in veste di “demone intermedio, un
raggio visibile di questo Sole Universale Eterno che, fecondata la Grande Matrice, attraversa il Cielo
della Luna e partecipa di una condizione liminale” (p. 83). Ancora, è innegabile l’importanza di
meditazioni come quelle portate sul simbolismo dei Satiri/Sileni e la loro origine “panicocoribantica” (p. 66, n. 122), sul possibile significato palese e occulto del nomen Nautes (p. 10, n. 32,
in cui si fa espresso richiamo alla figura dello “ierofante pagano”[4] del XVIII sec. e.v. Quintus
Nautius Aucler ed alla funzione da lui incarnata in un determinato contesto storico-geografico),
nonché sulla valenza della radice tru sottostante[5] al nome di Truia/Troia, o ancora con riguardo
allo studio su Cibele condotto in parallelo con divinità e caratteri del mito quali Rea, Ecate, Ecuba e
mediante una sapiente e paziente opera di ravvicinamento e comparazione degli Inni Orfici dedicati
alla Madre degli Dèi, ai Cureti, a Coribante.
La dèa frigia costituisce, pertanto, il bordone di uno spartito di più ampio respiro nel cui
pentagramma trovano posto le singole note della sinfonia italica. La sua figura enigmatica,
emblematica, silente, arcana troneggia sui Fati d’Italia e del Mediterraneo: da Essa si dipana una
matassa i cui fili conducono ai progenitori tirreni, al mito di Nanos, l’Ulisse pelasgo, ai Cataclismi
cantati dalla tradizione – fino al simbolismo di Aion, a quello dei Ciclopi, ad importanti
considerazioni circa l’archetipo dei divini Gemelli (da Romolo e Remo ai Dioscuri), persino a notevoli
intuizioni circa la Magia della Vittoria dell’Abraxas di Ur e determinati insegnamenti ermetici sulla
“umanazione trionfale”[6]. Sarà dunque agevole comprendere, alla luce della presente disamina
giocoforza stringata e a volo d’uccello, la pregnanza (per non dire l’essenzialità) del testo di
Alessandro Giuli, circa la cui ficcante ‘produzione’ (come si usa oggi dire, con terminologia
aziendalistica di dubbio gusto) ci permettiamo altresì di suggerire la lettura ponderata degli scritti
costituenti il ciclo de Il Ritorno del Fuoco Sacro in Occidente, apparsi a puntate sul quotidiano Il
Foglio e facilmente reperibili in Internet, unitamente ad altri contributi di sicuro interesse e non
comune intelligenza, nel senso etimologico del termine.
Rumon
[1] Alessandro Giuli, Venne la Magna Madre. I riti, il culto e l’azione di Cibele Romana, Edizioni
Settimo Sigillo 2012, pp. 230 (con XVI tavole fuori testo).
[2] In quest’ottica può non essere priva di interesse una citazione estrapolata dal testo: “V’è infine
da considerare questo, che se Roma ha potuto unificare genti molteplici sotto le insegne della sua
potenza fulgurale è perché un decreto immutabile del Fato le assegnò tale funzione polare ben prima
che il tempo prendesse a scorrere nella sua figura ellittica.” (p. 108)
[3] Si rimanda, in tal senso, alla disamina
condotta sul simbolismo della pietra (in
particolare degli aeroliti) e sul radicale KER-
Ereticamente
http://www.ereticamente.net/2014/09/venne-la-magna-madre-riflessioni-sullimportante-opera-di-alessandro-giuli-sulla-cibele-romana1.html
da Mario Giannitrapani ne Il Sacro Arcaico:
forme della sacertà neolitica. Civiltà
preclassiche d’Italia e d’Europa tra
sciamanesimo paleolitico e ritualità etruscoromana, Simmetria 2004.
[4] L’espressione è di Arturo Reghini, Sulla Tradizione occidentale, in Ur 1928.
[5] L’ipotesi di studio è fatta propria anche da Marco Baistrocchi, Il Cerchio Magico, pp. 72-82, Ediz.
I Libri del Graal 2010, citato nel testo.
[6] Per usare una efficace espressione del Milani, citato nel testo (p. 89).
Ereticamente
http://www.ereticamente.net/2014/09/venne-la-magna-madre-riflessioni-sullimportante-opera-di-alessandro-giuli-sulla-cibele-romana1.html