Attualità - Edizioni Dehoniane

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Attualità - Edizioni Dehoniane
2014
quindicinale di attualità e documenti
22
Attualità
753 Continuare a essere una nazione
763 Francesco: dopo il Sinodo, la curia
766 Successi in Turchia e a Cuba
794 L’Osservatore delle donne
797 Studio del Mese
Un nuovo ordine simbolico
Sul pontificato di papa Bergoglio
Anno LIX - N. 1179 - 15 dicembre 2014 - IL REGNO - Via Scipione Dal Ferro 4 - 40138 Bologna - Tel. 051/3941511 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
quindicinale di attualità e documenti
A
ttualità
15.12.2014 - n. 22 (1179)
Caro lettore,
due settimane fa la Segreteria generale
del Sinodo dei vescovi ha reso note
le 46 Domande per la recezione e
l’approfondimento della Relatio
Synodi: insieme alla Relatio,
costituiscono i Lineamenta per il
prossimo appuntamento sul tema
della famiglia dell’ottobre 2015 (cf. in
questo numero a p. 763).
Come già nel 2013-2014, la redazione
si offre da tramite per i lettori – singoli
o gruppi – che desiderano partecipare
all’«ampia consultazione» voluta
nuovamente da papa Francesco:
il testo delle domande, come tutti
i documenti e i commenti relativi
al Sinodo, si trova sul nostro blog
L’Indice del Sinodo (www.ilregnoblog.blogspot.it). Questo spazio,
assieme al restyling complessivo di
www.ilregno.it – che sarà on-line
all’inizio del 2015 –, alla pagina
Facebook e all’account Twitter, va
ad ampliare l’offerta della rivista Il
Regno, che dal 2015 sarà leggibile
su tutte le piattaforme, mantenendo il
suo punto di riferimento nel fascicolo
cartaceo.
Cari lettori, rimandandovi alla
lettera che il direttore vi ha rivolto
e che abbiamo allegato ai numeri
20 e 21, dove avete trovato tutte le
informazioni sui numerosi progetti
della rivista per il nuovo anno, vi
formuliamo i più cordiali auguri per
un 2015 in cui «la pace di Dio, che
supera ogni intelligenza», custodisca
«i vostri cuori e le vostre menti in
Cristo Gesù» (Fil 4,7).
R
753 (G. Brunelli)
781 (D. Maggiore)
754 (D. Rosati)
782 (D. M.)
Politica in Italia – Quirinale:
continuare a essere una nazione
Italia – Scandali a Roma:
tra noncuranza e indignazione
{ Per un’autocritica cattolica }
757 (D. Pompili)
Chiesa in Italia – Comunicazione:
i media siamo noi
{ Le nuove prospettive
a dieci anni dal Direttorio }
760 (M.M. Morfino)
Italia – Religiosi:
donne e uomini «del di più»
{ Indetto da papa Francesco,
l’Anno della vita consacrata }
763 (G. Brunelli)
Francesco – Riforma ecclesiale:
dopo il Sinodo, la curia
{ Inviati i Lineamenta per il 2015,
stigmatizzate le piaghe della Chiesa }
765 (M. B.)
Dialogo – Convegno
Religioni e conflitti
766 (C. Monge)
Africa – Kenya
Cadute le accuse
Centrafrica – Guerra civile
Un paese lacerato
Libri del mese
783 (S. Morandini)
Riflesso della Sapienza
{ La teologia cosmica
di Denis Edwards }
786
Schede (a cura di M.E. Gandolfi)
Segnalazioni
792 (S. Noceti, R. Repole)
L. Girardi, A. Grillo, D.E. Viganò,
Sacrosanctum concilium, Inter mirifica
793 (M.E. G.)
F. Garelli, Famiglie;
I. Ingrao, Amore e sesso
ai tempi di papa Francesco;
A. Spadaro, La famiglia è il futuro
793 (S. Numico)
Chiavi di lettura
Nati per leggere
Papa – Ad Ankara e a Istanbul:
tra carisma e istituzione
{ La Turchia sorpresa, i cattolici
incalzati, gli ortodossi complici }
794 (M. Veladiano)
769 (Ioann [G. Guaita])
795 (D. Sala)
Dibattito – Il papa e gli ortodossi:
non si può aspettare
{ Da Mosca una riflessione
sulla visita del vescovo di Roma
a Costantinopoli }
772 (P. Parolin)
Anniversari – Casaroli:
il mediatore
{ Ostpolitik: gli obiettivi pastorali
dell’opera della sua vita }
774 (G. Brunelli)
Diplomazia – Cuba e gli USA:
todos americanos
{ I «buoni offici» vaticani
e il fattore Francesco }
776 (M. Faggioli)
Stati Uniti – Teologi cattolici:
giustizia razziale
{ La polizia è violenta,
i neri ne sono vittime }
778 (D. Metelli)
America Latina – Pew Research:
è suonata una sveglia
{ Da cattolici a evangelici:
analisi di Guzmán Carriquiry }
Riletture
L’Osservatore delle donne
Diario ecumenico
796 (L. Accattoli)
Agenda vaticana
Studio del mese
{ Papa Francesco
e i pontificati precedenti }
797 (K. Appel)
Un nuovo ordine
simbolico della Chiesa
804 (W. Kasper)
Una cesura storica:
le linee teologiche del pontificato
811 (P. Stefani)
Parole delle religioni
La fede di Gesù ebreo
813 (L. Accattoli)
Io non mi vergogno del Vangelo
Colla, Rodano,
Mazzolari e Barsotti
815
Indici Attualità 2014
Colophon a p. 812
e
ditoriale
Politica
in
I ta l i a
Quirinale
Continuare a essere una nazione
Con il preannuncio delle sue dimissioni
come imminenti, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha posto il
tema della nomina del nuovo capo dello
stato entro gennaio 2015. Prassi inevitabilmente inconsueta, come lo fu il secondo
mandato, venti mesi fa. Si tratta di un evento politico e istituzionale di primaria grandezza. Come sempre. Ma ora la situazione
italiana presenta tali novità e incognite da
caricare l’evento di significati sistemici.
Il sistema politico italiano non è fuoriuscito dal modello dei partiti di massa, che lo
aveva sostenuto e condizionato per tutto il
secondo dopoguerra, entrando in un orizzonte nuovo della modernità, dandosi un
sistema di regole nuove, reinterpretando la
lezione dei valori fondativi della nostra democrazia. Dalla fine della «Repubblica dei
partiti» (1994) a oggi, si è prodotta una lunga transizione che, non dando risposte
strutturali, ha determinato un progressivo
franamento. Basti pensare ai mutamenti
dei soggetti politici, vecchi e nuovi – non
solo dei loro nomi, ma delle loro identità;
alla ridefinizione, ancorché parziale, dei
diversi campi elettorali; all’allontanamento
dei cittadini dalla dimensione pubblica,
dalla politica come sentimento e responsabilità collettiva. Astensionismo elettorale,
illegalità diffusa, egoismo sociale, cinismo
individuale sono i sintomi di un sistema disgregato in tutti i suoi punti. Non è solo (e
non è poco) questione di crisi economica.
Stiamo cessando di essere una nazione.
Stiamo vivendo una crisi nazionale, somma di tante crisi. Il sentimento di sfiducia e
di disillusione verso il principio comunitario, l’assenza di orgoglio collettivo degli italiani verso sé stessi corrisponde all’immagine di inaffidabilità, al giudizio negativo che
gli altri paesi hanno dell’Italia e degli italiani. Stiamo inverando in noi stessi il pregiudizio che storicamente gli altri hanno avuto su di noi.
C’è da chiedersi – e lo faccio qui per
inciso, ma meriterebbe qualche considerazione a sé – che fine abbiano fatto i cattolici
in questo paese. Essi sembrano altrove. E
come sia possibile che nel documento preparatorio del prossimo Convegno ecclesiale nazionale di Firenze quasi non vi sia
traccia dell’Italia. E quale dismissione di
responsabilità sia questa, nonostante una
storia, certo contradditoria, ma sostanzialmente di segno opposto, di rapporti costitutivi tra il cattolicesimo e l’Italia.
Renzi alla prova decisiva
Renzi è ancora un caso dubbio. Egli
può essere l’avvio di una fase nuova, rifondativa, necessaria al paese, oppure l’estremo epigono di un fallimento. Compito immane che nessuno può immaginare di
svolgere da solo. Compito quant’altri mai
da condividere e da guidare, mobilitando
tutte le energie residue del paese. In questo
senso la nuova elezione del presidente della
Repubblica corrisponde a un appuntamento decisivo. Carico di significati simbolici. Non una pratica da sbrigare nell’equilibrio instabile tra le correnti di potere, come nella «prima Repubblica». Figure salvifiche non ve ne sono.
E tuttavia, immaginare l’elezione di un
presidente come parte di un patto politico
temporaneo (come il «patto del Nazareno»), o all’opposto come occasione per ridimensionare quel patto con il concorso di
pezzi della sinistra, o ancora, come passaggio attraverso il quale zittire la minoranza
interna al proprio partito, in tutti questi ca-
si significherebbe non solo ricadere nello
schema fallimentare sperimentato dall’allora segretario del Partito democratico,
Bersani, ma soprattutto non cogliere la sfida che ci sta di fronte e che nell’elezione del
nuovo presidente assume un significato
simbolico, da rito collettivo. Significherebbe dare la risposta sbagliata, riduttiva a una
domanda decisiva: come vogliamo e possiamo continuare a essere una nazione.
Renzi ha qui l’occasione unica per dimostrare una sua diversa caratura. Non
solo l’abile politico che ha dimostrato di
essere, o il giovane «rottamatore» di una
classe politica decotta, ma l’uomo di stato e
di governo che sa ridare fiducia all’Italia
perché sa ridare fiducia agli italiani. Il paese ha bisogno di un presidente di caratura
internazionale, là dove Renzi si è dimostrato particolarmente debole e improvvisato. Basta fare il bilancio della presidenza
italiana del semestre europeo per rendersene conto. Il paese ha bisogno di un presidente di garanzia, che, proprio perché forte della propria parzialità, possa chiudere
«le guerre civili» di questi venticinque anni. Il paese ha bisogno di un presidente che
ridia spessore e credibilità al linguaggio
della politica per ritessere la trama dei valori collettivi.
Il presidente Renzi ha la responsabilità
principale di questo passaggio decisivo.
Scelga un metodo che rifletta con trasparenza questa responsabilità. Scelga un solo
nome, fin dall’inizio, nonostante i veti possibili, e lo porti fino in fondo in Parlamento. Qui sta la responsabilità e la forza del
suo partito e del suo Governo. Qui sta la
responsabilità e la forza di un leader.
Gianfranco Brunelli
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a sensazione è quella del
già vissuto. L’esplosione
di uno scandalo a Roma
può essere una sorpresa
solo per chi non ha memoria. Con due varianti: o perché l’ha
perduta o perché l’ha cancellata. Possono mutare le modalità e, naturalmente,
i protagonisti, ma c’è una continuità di
fondo che si fa evidenza storica per chi
abbia la pazienza di prelevare dal passato, anche a caso, qualche campione significativo. Si va dalla remota sentenza
di Giugurta, il re di Numidia, che descrive l’antica Urbs repubblicana come
pronta a vendersi se avesse trovato un
compratore, all’incredibile avventura
post-papalina di quella Banca Romana
che stampava due volte la stessa cartamoneta e teneva a libro paga i rappresentanti del popolo. Si passa da un Medioevo popolato di avventurieri senza
Don Luigi Di Liegro,
fondatore e storico direttore (1979-1997)
della Caritas diocesana di Roma.
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Scandali a Roma
ra noncuranza e indignazione
A ppunti per un’autocritica cattolica
scrupoli e simoniaci senza ritegno per
giungere alle penultime poco memorabili gesta «palazzinare» e relativi manutengoli capitolini e/o ministeriali.
È un succedersi di episodi che si interrompe solo di quando in quando, allorché la città sembra voler uscire dal
suo costume di pigra indifferenza. Si
odono allora altissime grida di sincera
esecrazione per il malaffare dilagante e
si registrano solenni propositi di mutamento. «Capitale corrotta, nazione infetta»: questo titolo de L’Espresso suonò
come la denuncia laica della metà del
secolo scorso e mise sotto accusa un’intera classe dirigente che ricapitolava,
modernizzandoli, atti e comportamenti
patologici in una tranquilla fisiologia
dell’abitudine. Così l’acuminata satira
di Giuseppe Gioacchino Belli era ammortizzata dall’olimpica noncuranza di
Giulio Andreotti.
Senza sottovalutare l’importanza
delle analisi in corso sull’ultima edizione
del fenomeno, nonché delle inchieste
giudiziarie aperte e delle misure adottate
dal Governo, pare quindi necessario
considerare l’esistenza e l’influenza di
questa corrente sotterranea che riduce le
manifestazioni di contrasto a episodi passeggeri, a paragone della persistenza di
condizioni strutturali di segno contrario.
Ma, se l’ipotesi regge, non ci si può fermare alla segnalazione delle esplosioni di
indignata protesta e delle reazioni immediate. Esse provocano commissariamenti, rafforzamento delle pene, ampliamento delle fattispecie di reato; ma nulla rivelano su quel che avviene negli intervalli,
anche lunghi, che intercorrono tra le
manifestazioni visibili del malaffare. Nulla cioè di quel che si fa, o non si fa, per
impedire che esso si riproduca, reincarnandosi in modalità che appaiono nuove
agli immemori ma restano con ogni evidenza variazioni sul medesimo tema.
Con tale approccio si possono considerare anche le analisi che raccontano
della simbiosi tra il fenomeno antico, la
corruzione, e una sua attuale variante
presuntivamente mafiosa o che, addirittura (come ha scritto Tommaso Caldarelli, un giovane che si definisce «metalmeccanico dell’informazione online»),
l’avvento di una mafia inedita, dislocata
in un «sistema in franchising, che lucra
soldi, relazioni e clientele appoggiandosi sulla parte non solo più buona della
società civile – il che sarebbe ancora poco – ma su quella più lodevole, più impegnata, più commovente e in grado di
creare un impatto positivo sul mondo
circostante».1
Il meccanismo perverso, infatti, si
sarebbe consolidato proprio in concomitanza con la massima espansione di
quella catena economico-sociale che
parte dal volontariato, si prolunga nel
non profit, si accampa nel terzo settore
e si compendia nell’impresa sociale: un
mondo sul quale, soprattutto da parte
cattolica, si è compiuto un grande investimento culturale fino a costruire su di
esso un modello di «economia civile»
tale da emendare il mercato dalle sue
tendenze speculative e sfruttatrici, se
non proprio da renderlo virtuoso.
Dal volontariato
al non profit
È giusto perciò soffermarsi su responsabilità penali e implicazioni politiche, nonché sulle rispettive cause prossime, per ciascuna delle quali vanno
ponderate la natura e l’incidenza. È altresì doveroso tener conto del fatto che i
soggetti che sono oggi al proscenio
dell’attualità – le cooperative sociali –
traggono origine da un impulso legislativo che, all’inizio degli anni Novanta, si
espresse in tre provvedimenti: il riconoscimento del volontariato di solidarietà
sociale, la legge quadro sull’handicap e,
appunto, l’istituzione delle cooperative
sociali.
Queste ultime composte da soci volontari affiancati ai tradizionali cooperatori per una finalità di «promozione
umana e integrazione sociale» da realizzare, tra l’altro, mediante l’inserimento
lavorativo di «persone svantaggiate».
Occorre però notare che il quadro di riferimento di quegli anni era ancora
quello del «compiuto sistema di sicurezza sociale» previsto dal piano quinquennale 1965/70, mentre ben presto le vicende economiche costrinsero a lavorare attorno a ipotesi di restrizione della
protezione sociale, in particolare quella
di diretta emanazione pubblica.
Così la penuria di risorse spinge per
un verso gli assessori comunali a trovare
interlocutori operativi disposti a costituirsi in cooperative per la gestione di servizi socio-sanitari e di altra natura; e
nella realtà sociale si creano sacche di
disponibilità impensabili in regime di
pieno impiego. Lo stesso volontariato,
immaginato per esplorare nuove piste
del welfare o per integrare servizi insufficienti (era il pensiero di Luigi Di Liegro,
pioniere della Caritas di Roma) diventa,
oggettivamente, vettore di un’occupazione di secondo rango, molto appetita
dalle istituzioni a corto di risorse. Di
modo che, per una via che si direbbe
omeopatica, si verifica uno slittamento,
che non è solo semantico, dal volontariato, che esige la gratuità, al non profit
che esclude il profitto (e non è la stessa
cosa), fino alla dilatazione omnicomprensiva di un «terzo settore» in cui
scompaiono i caratteri della spontaneità
e della gratuità e si smarrisce talora anche quello della solidarietà.
Ultimamente se ne è occupato Giovanni Moro in un pamphlet dal titolo
provocatorio,2 ma già prima Achille Ardigò aveva segnalato una «deriva economicistica del volontariato» come effetto di un rapporto con le istituzioni
che imponeva, tra l’altro, di farsi impresa per ottenere commesse in regime di
concorrenza economica con altre agenzie «sociali».3 Constatando gli esiti di
tale deriva c’è da chiedersi se non sia
stata riposta un’eccessiva fiducia nella
capacità del «privato sociale», nelle sue
molteplici forme, di rimanere integro
rispetto alle esigenze e alle abitudini e
anche ai vizi del contesto in cui andava
a operare.
A questo punto l’attenzione si sposta
sull’interfaccia istituzionale: l’amministrazione (nel caso quella romana), con
la sua permeabilità allo scambio politico
e al traffico monetario con erogazioni a
carico del pubblico e saldi a vantaggio
del privato, dimensione criminale inclusa. Se si siano adottate nel tempo misure
adeguate di prevenzione tali da chiamare in causa la lealtà civica dei singoli addetti alla gestione; se ad esempio si siano
immaginate procedure paragonabili a
quelle di tipo americano, basate su
un’autocertificazione minuziosa con
sanzioni automatiche in caso di accertata menzogna; o se si siano escogitate
modalità di trasparenza adeguate con
l’attivazione di penetranti controlli istituzionali e politici: sarebbe questo l’indice di un’attività da svolgere con assiduità per evitare l’infarto o ridurne gli
effetti. C’era modo di farlo in tempo
utile?
Una riflessione cattolica:
a partire dal 1974
Il tema riguarda anche la comunità
cristiana che è in Roma, quella che oggi
il cardinale Vallini invita alla riflessione
e che lo storico Andrea Riccardi spinge
a farsi «costituente» per una controffensiva generale che debelli il malaffare.4
Ma una ricerca siffatta sarà utile e risolutiva se non si esaurirà nell’illustrazione della più recente epifania del marcio,
ma saprà inoltrarsi nelle zone più oscure, cioè degli «intervalli» che separano
la successione nel tempo delle deflagrazioni del male.
Qui il punto di partenza obbligato
non può che essere il grande Convegno
diocesano del febbraio 1974, universalmente conosciuto come dedicato ai
«mali di Roma». Il patrocinio della sua
memoria è stato ultimamente assunto
dallo stesso Riccardi, il quale ha rilevato, non senza accenti nostalgici, che allora «emerse un sogno su una città-comunità» che andrebbe ripreso con il
compimento di un gesto impegnativo:
chiedere scusa a tutti quelli che sono
stati offesi dalla trascuratezza e/o dalla
incultura della politica: le periferie, gli
immigrati, i rom e tutti gli emarginati di
allora e di oggi. Un invito che trova il
consenso di chi ritiene che ogni verifica
del presente non sia attendibile se trascura le lezioni del passato prossimo: un
difetto che si riscontra in particolare nei
convegni cattolici, dove i «precedenti»
non vengono evocati e ogni volta si riparte da zero.
Ma se ci si riferisce alla grande convocazione del 1974 non si può ignorare
che quel convegno sulle «attese di carità
e di giustizia» della città di Roma ha
subìto un destino di rimozione che ha
pochi precedenti nelle vicende ecclesiali
italiane. Esso aveva compiuto un’aperta
denuncia delle responsabilità della classe dirigente cattolica per lungo tempo
insediata in Campidoglio. Sicuramente
allora s’erano gettate le premesse per
una revisione del rapporto tra la base
«osservante» romana e il partito della
Democrazia cristiana (DC), non più
considerato da molti come agenzia di
riferimento naturale. Forti furono le sollecitazioni innovative espresse dai promotori, il cardinale vicario Ugo Poletti
ma soprattutto don Luigi Di Liegro e
mons. Clemente Riva, con il supporto
sociologico di Giuseppe De Rita e Luciano Tavazza. Esse però non trovarono un seguito corrispondente alle aspettative suscitate. E presto i «sèguiti» di
quell’incontro vennero relegati nella
bacheca della «contestazione», all’op-
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posto delle intenzioni iniziali che puntavano a realizzare un’esperienza di Chiesa veramente popolare, aperta sulla realtà effettiva – le tristezze e le angosce –
di una difficile condizione umana.
Se si eccettuano le imprese della Caritas locale nell’esplorazione dei territori più marginali della città, non si può
dire che si sia inverato lo spirito di quel
convegno. La routine delle abitudini del
«vicariato» (il nome con cui si indicava
la diocesi del papa) si riprodusse senza
discontinuità. Alcuni dei protagonisti si
allinearono, altri mantennero una diversità pagata con l’isolamento. E scarsi
riscontri si ebbero quanto al rinnovamento dei metodi di governo e alla definizione delle risposte di giustizia reclamate dalla gente. Inoltre, con la fine dei
governi di «solidarietà nazionale» dopo
l’assassinio di Aldo Moro (1978) venne
meno anche la spinta connessa a un auspicato mutamento degli equilibri politici generali, sicché i governi locali, pur
nel variare delle composizioni e dei colori, né mostrarono capacità inventiva
propria né la ricevettero da impulsi
esterni.
I casi del Sinodo
diocesano del 1992
Per avere una nuova occasione di
presa di coscienza del disagio esistente
nell’Urbe si dovette aspettare il 1992,
data della solenne celebrazione del Sinodo diocesano. Un intervallo di quasi
vent’anni e un clima agitato, non solo a
Roma, per le scosse di «tangentopoli».
Ma proprio mentre la situazione spingeva a riprendere il discorso del 1974,
anche per rivendicarne il merito, si manifestò ai vertici una volontà assolutamente contraria a ogni evocazione di
quel precedente.
Di fatto ogni riferimento a esso fu
cassato dagli atti preparatori, né se ne
trova cenno nelle relazioni ufficiali e nei
documenti finali. Ai delegati si fece sapere che tale era la «mente» superiore,
che non era più il card. Ugo Poletti ma il
card. Camillo Ruini che gli era subentrato. Con il suo avvento l’intero processo preparatorio, per quanto disordinato ma già molto avanzato, era stato
revisionato; e con esso gli strumenti di
lavoro e le dinamiche del confronto,
con la forte riduzione delle dinamiche
assembleari. Di più: il card. Poletti, che
non era stato neppure nominato nella
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relazione introduttiva del successore, si
produsse in un pubblico intervento di
rivendicazione del proprio operato, i
cui toni autorizzarono un cronista a descriverlo come «un cardinale fuori dalla
grazia di Dio»… Fu poi papa Woityla a
«recuperare», nominando Poletti nella
sua omelia e procurandogli un fragoroso, prolungato applauso della platea lateranense.
Ad ogni modo lo svolgimento del Sinodo rivelò che c’era materia per rilanciare analisi e proposte volte a fronteggiare i processi degenerativi che inquinavano la città e al contempo segnalò
che mancava la disponibilità a recepire
tali istanze nelle indicazioni terminali
dell’assemblea.
Due casi possono essere ricordati come emblematici. Il primo riguarda il destino della proposta, formulata in assemblea, di domandare scusa alla città
per le colpe dei cristiani nella gestione
locale: la stessa idea evocata oggi. Ma
non ci furono le condizioni per portarla
al voto; si fece infatti circolare nei gruppi di lavoro una singolare motivazione… teologica. La diocesi di Roma, si
argomentò, ha una propria natura apostolica e, come tale, non può essere
chiamata a scusarsi di alcunché senza
che venga lesa tale sua immagine, ricapitolata nell’icona della «città sul monte».
Fu chiaro che non si voleva apparire
aggressivi verso la DC malgrado i dubbi
sull’attendibilità della sua leadership romana, quella di Vittorio Sbardella, appena risultato campione di preferenze
nelle elezioni di aprile. Più pragmatico
al riguardo si mostrò papa Woityla
quando raccomandò di esercitare «la
sana critica», che «si esprime in modo
da non rompere con le esperienze del
passato»; era lo stesso papa che qualche
anno dopo avrebbe chiesto solennemente perdono per altri storici misfatti
dei cattolici.
Il secondo caso investe direttamente
il problema del contrasto alla corruzione. Nella commissione che si occupava
della responsabilità sociale e politica dei
cattolici venne al pettine il tema della
partecipazione dei fedeli in tali ambiti; e
si pose in particolare l’accento sulle potenzialità di un controllo sull’operato
degli eletti che coinvolgesse, in forme
debite, anche il popolo delle parrocchie.
Fu largamente condivisa una proposta
che impegnava le comunità a verificare
la congruità delle scelte attinenti a famiglia e servizi sociali, fino alla denuncia
di situazioni di illegalità, di spreco e di
inefficienza.5 Su tali questioni i consigli
pastorali erano abilitati a chiamare i
membri della comunità eletti nelle istituzioni a «render conto del proprio operato».
Ma quando uscì dalla supervisione
superiore – la «stireria», come veniva
chiamata confidenzialmente – la dinamica proposta venne esattamente rovesciata: non più i cittadini cristiani che
convocano i loro rappresentanti e li interrogano ma – come è scritto nelle conclusioni – «quanti ricoprono cariche
elettive si preoccupino di informare periodicamente sul proprio servizio».6
Ecco: la riflessione che si propone
non sarà utile se ignorerà i precedenti
richiamati o ne aggirerà il significato.
Essendo comunque trascorsi altri vent’anni e più da quegli episodi, è doveroso
notare che a livello di base non s’è manifestato un corso impetuoso né del primo percorso (quello dialettico dell’interrogare) né del secondo (quello più
rassicurante del rendicontare). E forse
anche per questo, oltre che per la complessa evoluzione dei fatti e delle tendenze dell’economia, della politica e
dell’etica pubblica, s’è prodotto un altro
intervallo al termine del quale la più recente esplosione è salutata e/o deprecata come una cosa nuova in tutto, mentre
lo è solo per una parte.
Fu De Gasperi a ricostruire le tappe
di formazione della dottrina sociale cristiana scrivendo de «I tempi e gli uomini che prepararono la Rerum novarum»:
per la materia assai meno nobile descritta in queste note il titolo potrebbe
essere: «I tempi e gli uomini che fecero i
mali di Roma». Sarebbe una liberazione se a scrivere il libro, stavolta, fosse il
popolo di Dio di queste contrade.
Domenico Rosati
1
T. Caldarelli, «A Roma e’ nata la mafia
in franchising», in Lungoibordi 7.12. 2014.
2
G. Moro, Contro il no profit, Laterza, Bari
2014.
3
A. Ardigò, Volontariati e globalizzazione,
EDB, Bologna 2001.
4
A. Riccardi, «Costituente per Roma», in
Avvenire 13.12.2014.
5
Chi scrive faceva parte della Commissione
sinodale in qualità di delegato parrocchiale.
6
Libro del Sinodo della diocesi di Roma, 324.
Chiesa
in
I ta l i a
i
I
n un suo testo meno noto, La luce e il
mezzo, McLuhan scrive che «il ruolo
dell’umanista cattolico consiste nel
coltivare una riverenza non ordinaria verso il passato e la tradizione
mentre esplora ogni sviluppo a lui contemporaneo cercando le cose dell’uomo,
che il passato non ha ancora rivelato».
Questa citazione mi pare estremamente
appropriata per festeggiare e rilanciare il
Direttorio sulle comunicazioni sociali Comunicazione e missione, a dieci anni dalla
sua pubblicazione. Un testo dove le comunicazioni sociali sono un crocevia di cambiamento e dove si auspica per i cattolici
un passaggio «da spettatori a protagonisti
della nuova cultura mediale» (c. I).
In realtà, molte trasformazioni sono
avvenute dal 2004 e nuovi modi di essere
protagonisti sono oggi possibili e diffusi.
Per certi versi, dunque, il Direttorio parla
di un contesto ormai in parte superato,
per la velocità dei mutamenti tecnologici
e culturali di questi dieci anni. Ma, per altri versi, è ancora estremamente attuale e
molte delle indicazioni metodologiche in
esso contenute, proprio alla luce del nuovo contesto, possono essere ulteriormente
riprese e sviluppate. È forse venuto il momento di un’integrazione che aggiorni
questo strumento, per renderlo operativamente ancora più utile oggi. Come contributo alla riflessione vorrei proprio soffermarmi brevemente sulle singole parole
che compongono il titolo del Direttorio:
«comunicazione», «missione», e, last but
not least, la congiunzione «e».
Comunicazione
Esplorare gli sviluppi della contemporaneità significa, prima di tutto, prendere
Comunicazione
media siamo noi
Le nuove prospettive a dieci anni
dal Direttorio sulle comunicazioni sociali
atto che il contesto della comunicazione è
profondamente cambiato tra il 2004 e
oggi.
La digitalizzazione dei media, sempre
più convergenti tra loro, perennemente
attivi e sempre più pervasivi e integrati
nei nostri ambienti quotidiani, rende oggi
forse superata l’idea, presente nel Direttorio, di «cultura mediatica» o di «comunicazioni sociali che plasmano una nuova
cultura» (c. I) o di «società mediatica» (c.
IV). Non perché i media non siano importanti: al contrario, perché sono diventati una componente imprescindibile del
nostro ambiente, indipendentemente dal
fatto che li usiamo o no. Società mediatica è quasi una tautologia. I media sono
ormai parte costitutiva dell’ambiente,
non sono isolabili come variabile a sé
stante. Anzi, ogni tentativo di enuclearli
come variabile autonoma non fa che favorire interpretazioni deterministiche del
loro funzionamento, sia nella variante
euforica (ci rendono socievoli e liberi) sia
in quella disforica (ci rendono soli e manipolabili). Sarebbe come voler immaginare una società senza strade, o senza elettricità. Ne esistono, ma non è così quella
in cui viviamo.
Un contesto, quello di oggi, dove i dispositivi non si attivano solo quando li
facciamo funzionare, ma interagiscono
tra loro in un sistema sempre più integrato: è il cosiddetto Internet of things, dove
tutti gli oggetti possono acquisire un ruolo attivo e «dialogare» tra loro grazie al
collegamento alla Rete. Sempre meno
strumenti e sempre più ambiente. Se
questo è il dato di partenza, a noi decidere se adattarci semplicemente a questo
ambiente, o abitarlo e renderlo abitabile,
dandogli una forma dove la nostra umanità possa esprimersi e fiorire. È questa
direzione dell’abitare, formulata già a
partire dal convegno «Testimoni digitali»
del 2010 e ora divenuta espressione di
uso comune, che si sta cercando sempre
più di esplorare e sviluppare in tutte le sue
implicazioni.
In questo mutato contesto, assume
una nuova centralità la relazione, che è
l’elemento veramente qualificante il
passaggio da un ambiente web 1.0 a uno
2.0. La rivoluzione dei media personali,
degli smartphone che consentono di
emanciparsi dal personal computer e poter
essere sempre connessi, in mobilità, ha
reso possibile una nuova centralità dell’interazione. Rispetto alla fase precedente,
dell’accessibilità a ogni tipo di contenuto,
ora – come sostengono autori come Manuel Castells e Henry Jenkins, è il pubblico
stesso a diventare il contenuto. Oggi il web,
con l’enorme diffusione dei social media
(ancora totalmente assenti nel 2004) è il
regno della conversazione e della condivisione. Diventano sempre più importanti
le storie individuali, le esperienze, l’implicazione, il coinvolgimento. Che li si
chiami grassroots media, citizen media,
media partecipativi, essi sono sempre
facilitatori di uno scambio continuo tra
chi produce un messaggio e chi lo riceve e
rielabora.
Come scrive Pierre Lévy, le comunità
oggi sono sempre più cementate dalla
mutua produzione di conoscenza e dal
suo reciproco scambio. In altre parole, si
è passati dal computer come medium interattivo al web come spazio partecipativo.
Sono proprio questa partecipazione, il
coinvolgimento, la centralità della re-
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lazione e della condivisione (tra le
persone) che tessono un continuo legame
tra territori materiali e digitali (tra i
mondi), rendendo la contrapposizione
online/offline non solo poco vicina alle
pratiche e ai vissuti, soprattutto dei giovani, ma origine di un dualismo che
ostacola comprensione e azione responsabile nel nuovo ambiente «misto». Il
problema non è dover scegliere tra vita
online o vita offline, come fossero antagoniste; la vita è una, e siamo sempre noi a
navigare tra i diversi ambienti: onlife.
Un aspetto del Direttorio più che mai
attuale e meritevole di ulteriore sviluppo è
proprio la centralità del «fattore umano»
rispetto alla dimensione tecnologica e l’idea di «responsabilità diffusa e condivisa»
(anche dagli utenti); o, detto con un linguaggio diverso, dei media come sistemi
multi-agente, in cui a ciascuno è chiesto di
fare la sua parte. Questo è fondamentale,
perché solo a partire da una prospettiva
antropologica si possono scongiurare
dualismi e determinismi, discernere le insidie del nuovo ambiente e valorizzare le
nuove opportunità a favore dell’umano.
Il passaggio decisivo da una prospettiva orientata all’umano ma focalizzata sui
media a una pienamente centrata sull’umano, e sui media solo in seconda battuta
è tracciabile, a posteriori, leggendo in successione i titoli degli ultimi due messaggi
per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (l’ultimo di Benedetto XVI
e il primo di Francesco), che sono sempre
le bussole che orientano il cammino dei
nostri uffici e dei nostri media: dalle «reti
sociali» (2013) alla «cultura dell’incontro»
(2014). I media hanno senso e segno positivo laddove contribuiscono, si pongono
al servizio di questa cultura. Essi sono
quella strada da Gerusalemme a Gerico,
quei grandi connettori e moltiplicatori di
mobilità che oggi costituiscono il nostro
ambiente. Di per sé ci offrono più possibilità di muoverci e di incontrare i lontani:
ma non è la strada che ha impedito al sacerdote e al levita di fermarsi, né costretto
il samaritano a interrompere il suo cammino. È la responsabilità che ci prendiamo: se esistere per noi stessi o fare spazio
all’altro, prendendocene cura.
Questa postura esistenziale, che i media in sé né abilitano né disabilitano, offre
poi uno sguardo di libertà su tutto questo
mondo ipermediale che altrimenti tenderebbe a sedurci e a risucchiarci nelle sue
logiche: come il samaritano che, in quan-
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to straniero, è più libero dalle categorizzazioni e dalle convenzioni sociali, e sa
cogliere l’unità della famiglia umana al di
là delle differenze apparenti. Abbatte i
muri che ci dividono, invece che darli per
scontati. Il fattore umano si esprime dunque nell’essere-in-relazione: non una relazione qualunque, ma una relazione di
ascolto e sollecitudine premurosa, come
l’icona del comunicatore scelta da papa
Francesco ci suggerisce. Paradossalmente, l’era ipertecnologica è l’era della
scommessa sull’umano: o abitiamo questo tempo e questi nuovi spazi con attenzione e premura per l’umano, o saremo
assorbiti da un modello tecnico che ci
sfuggirà di mano, perché va molto più
veloce della nostra capacità di elaborarne
i significati. Una terza via non c’è.
Missione
Cosa significa oggi, in un mondo segnato dalla mobilità, parlare di missione?
E quale relazione con la comunicazione
oggi? Anche su questo il Direttorio è prezioso, perché mette a tema in maniera
esplicita la presenza dei cristiani nei media. Una presenza che oggi possiamo rileggere alla luce delle nuove possibilità offerte dalla convergenza, che non é solo un
aspetto tecnologico. Ma anche alla luce
della continua sollecitazione di papa
Francesco verso «una Chiesa in uscita»
(cf. Evangelii gaudium, n. 24). La comunicazione, che è relazione e riduzione di
distanze nella sollecitudine per l’umano,
deve essere sempre «in uscita». Il che significa rompere continuamente i perimetri rassicuranti, compresi i muri che
troppo spesso erigiamo per difenderci e
non contaminarci: aprirsi per incontrare.
Alla luce del nuovo contesto, non ha
più senso una rigida divisione dei ruoli e
soprattutto un’aspirazione a un controllo
verticistico della comunicazione. Il termine «missione» è quello che dà la giusta
prospettiva al termine «direttorio», che di
per sé potrebbe suonare oggi come una
parola un po’ anacronistica: nell’era in cui
siamo tutti prosumers, capaci di produrre
e condividere contenuti oltre che riceverli
e consumarli, più che al controllo e conformità a modelli ideali occorre fare appello al senso di responsabilità, alla reciprocità, alla capacità di mettere in circolo
quello straordinario «contenuto generato
dall’utente» che è la testimonianza.
Siamo tutti comunicatori in missione,
auspicabilmente testimoni. Anche il no-
stro contributo alla formazione dell’opinione pubblica non dev’essere quello di
schierarsi da una parte o dall’altra (dove
le opposte fazioni sono per lo più definite
sulla base di cornici formulate da altri)
ma quello di rompere gli schemi precostituiti e le gabbie riduttive, per far emergere tutta la ricchezza dell’umano, che è
sempre sorprendente: lo si è visto bene
con la comunicazione sul Sinodo, e il tentativo di incapsulare la questione nello
sterile e ideologico schema conservatori/
progressisti. La comunicazione più fedele
all’evento è stata quella capace di uscire
da questa cornice pretestuosa.
Un altro aspetto della missione riguarda più da vicino i nostri media. Rispetto al
2004 il contesto oggi offre opportunità che
allora parevano impensabili. Intanto,
quella di approfittare della convergenza
per poter uscire uno incontro all’altro, superando il modello tayloristico e obsoleto
della «divisione del lavoro» per promuovere quello ecologico dell’«unità nella differenza». L’ecosistema dei media cattolici
(Avvenire, TV2000, Radioinblu, SIR) va
sempre più integrato, e la tecnologia è un
grandissimo aiuto per passare, in fatto di
sinergia, dalle parole ai fatti. Da questo
punto di vista, il portale che come UNCS
abbiamo avviato a realizzazione per il
prossimo mese di gennaio, è una notizia su
cui tornare presto. Il portale sarà una piattaforma tecnologicamente avanzata, ma
di facile accesso, per consentire in uno
sguardo sinottico di rilanciare i contributi
di ciascun medium, potenziando così la
voce e l’immagine della comunicazione
ecclesiale. Si tratta di un fatto concreto per
«uscire» dalle nostre abitudini settoriali e
poterci veramente incontrare tra noi, prima ancora che poter incontrare il mondo.
Una terza questione riguarda il rapporto centro/periferia. Una questione
sulla quale i nostri media diocesani (giornali, radio e tv locali) hanno moltissimo
da insegnare, per il loro essere profondamente radicati nei contesti locali: radicamento che consente uno sguardo premuroso «da accanto» e non solo analitico
«dal di fuori». Per la missione comunicativa della Chiesa queste realtà sono preziosissime e vanno sempre più ascoltate e
valorizzate. Tenendo conto che, in tempi
di crisi, sempre meno si può attendere un
aiuto dal di fuori e sempre più bisogna
imparare a sostenerci tra di noi.
I giornali locali, di cui si fa interprete
la Federazione italiana settimanali catto-
lici (FISC), le radio e le tv locali, di cui il
Consorzio radio-televisioni libere locali
(CO.RA.L.LO) è l’organo di collegamento operativo, stanno sempre più diventando degli interlocutori abituali della
Chiesa italiana. La fitta serie di realtà che
spaziano poi dalla tv alla radio fino al
web, così come dal cinema al teatro, dicono di un impegno che si è moltiplicato e si
è affermato anche in ambito sociale e culturale. L’Ente dello spettacolo, ad esempio, è un riferimento obbligato anche per
il mondo laico per capire che cosa è oggi
il cinema; l’Associazione cattolica esercenti cinema (ACEC) all’interno delle sale della comunità rende possibile un servizio intelligente prossimo a parrocchie e
città; l’Unione cattolica stampa italiana
(UCSI), affrancatasi da storiche dipendenze politiche, fa opinione e diventa
punto di incontro per i giornalisti di qualunque sensibilità; l’Associazione italiana
ascoltatori radio e televisione (AIART) è
una delle poche voci pensose e critiche
rispetto a uno scenario che sembra aver
rinunciato a qualsiasi valutazione; il Coordinamento per la comunicazione (COPERCOM) è diventato un tavolo di confronto per tutte le realtà ecclesiali che si
interrogano su come comunicare al meglio; e ancora i «Teatri del Sacro» sono
una rassegna che ha ossigenato un mondo nobile, ma in via di estinzione, accreditandosi come una sponda affidabile per
attori professionisti e amatoriali; l’Associazione webmaster cattolici italiani
(WECA) ha fatto crescere nelle parrocchie la percezione della rete e il suo risvolto pastorale. Tutte le realtà evocate non
sono più, 10 anni dopo il Direttorio, sigle
conosciute dentro il circuito ecclesiale,
ma hanno rilevanza e visibilità ben al di
là dei nostri confini. Per questo ciascuna
di queste realtà va ascoltata se veramente
si vuole una Chiesa in uscita e si cercano
mappe per muoverci in modo consapevole nelle tante «periferie» di oggi.
«E»: in relazione
e in movimento
Nel titolo Comunicazione e missione la
«e» potrebbe sembrare una congiunzione innocua e insignificante, eppure è decisiva. Non si tratta, infatti, di una semplice giustapposizione di due termini, ma di
una vera e propria relazione che consente loro di illuminarsi a vicenda: una «e»
che qui svolge la funzione fondamentale
di «connettivo», ovvero di elemento che
collega due porzioni di testo assicurando
la coesione semantica: la comunicazione
non può non essere missionaria; la missione di per sé comunica, anche senza bisogno di grandi enunciazioni.
Il Direttorio riporta le indicazioni
emerse dal Convegno ecclesiale di Palermo: «Promuovere in ogni diocesi una pastorale organica della comunicazione sociale, con ufficio diocesano adeguato e
animatori ben preparati, per curare la
formazione dei sacerdoti, dei comunicatori e degli utenti»; (c. V) auspica anche la
realizzazione di un «piano “integrato”
per le comunicazioni sociali, a partire dal
quale realizzare una programmazione
pastorale non limitata al solo ufficio diocesano per le comunicazioni sociali o ai
media, ma capace di coinvolgere tutti gli
ambiti pastorali» (ivi).
Forse oggi, in spirito di servizio e non
di protagonismo, l’ufficio delle comunicazioni sociali può essere una componente
importante di questa «e», di questa connessione missionario-comunicativa, per
promuovere azioni sempre più integrate.
In altre parole, «non si tratta tanto di inventare cose nuove, quanto di cominciare
a dare nuovo vigore a ciò che in molti casi
già esiste» (ivi). L’ufficio comunicazioni
sociali ai suoi diversi livelli, diocesano, regionale, nazionale rappresenta soltanto
una invisibile congiunzione, una «e» appunto, ma a ben pensare è un passaggio
decisivo se si vuole rendere la comunicazione sensata e l’evangelizzazione pensata.
Una seconda sottolineatura riguarda
proprio l’animatore della comunicazione e
della cultura, figura istituita dal Direttorio
che ha trovato in questi anni centinaia di
persone che l’hanno resa concreta. Si tratta di un tassello importante della comunicazione missionaria della Chiesa, che bisognerebbe valorizzare molto di più. Figure in grado di animare i contesti locali,
ovvero alimentare il circuito prezioso e
vitale tra parrocchia e quartieri, tra diocesi e paesi/città, tra dimensione locale e
globale. L’animatore non è prima di tutto
un geek, né tantomeno un nerd. Non è la
perizia tecnologica che lo caratterizza,
anche se la competenza serve. Piuttosto,
etimologicamente, suo tratto specifico è la
capacità di percepire e far sentire nel vento del cambiamento il soffio dello spirito.
Facendosi, quindi, attivatore di risorse,
facilitatore di vicinanze e scambi, lievito
comunicativo nei contesti locali.
La centralità dell’educazione di que-
sto decennio deve essere incentivo anche
a valorizzare questo peculiare percorso
educativo, capace di coltivare una sensibilità permanente per l’umano nel contesto ipertecnologico di oggi. E perché non
pensare a una sorta di esplicito «mandato», in analogia a catechisti o operatori
della Caritas? Forse che sarebbero meno
necessari per una Chiesa in uscita, estroversa e non ripiegata su sé stessa?
Comunicazione e missione, in realtà,
consegna un mandato a tutta la Chiesa. Il
Direttorio non è un sistema di norme e
indicazioni da rendere operative, ma uno
stimolo all’impegno. Negli anni a venire
siamo chiamati a star dentro un mondo
sempre più liquido, pervasivo e istantaneo, offrendo la solidità, la prossimità e la
pacatezza della testimonianza cristiana.
La maniera di incarnare questo impegno
però vorrebbe essere la leggerezza. Leggeri non significa superficiali né tantomeno effimeri. Vuol dire la scioltezza e l’immediatezza che non fa velo a quello che ci
sta a cuore e lascia emergere quel che ci
preme. Per mettere «vino nuovo in otri
nuovi» occorrono «persone nuove», che
talora significherà pure «nuove persone»,
nel senso di un avvicendamento di responsabilità e di ruoli che facilita l’assecondare dello spirito del tempo.
Alla fine, lo abbiamo compreso, i media oggi smettono progressivamente di
essere quello che sono, perché rinunciano a svolgere la loro funzione di mediazione tra gli esseri umani e la realtà per
diventare dei protagonisti a pieno titolo
della società. Degli attori sociali potenti
con i quali è necessario confrontarsi. I
media, insomma, sono sempre più simili
a noi. I media siamo noi.
Domenico Pompili*
* L’autore, che è sottosegretario della CEI e
direttore dell’Ufficio nazionale delle comunicazioni sociali (UNCS), ha pronunciato questo intervento – che riproduciamo con minimi tagli redazionali
– in occasione dell’incontro «La comunicazione
della Chiesa nell’era della convergenza mediale»
(Roma, 12.12.2014), organizzato dalla CEI nel decennale della pubblicazione del Direttorio Comunicazione e missione e nel corso del quale hanno preso
la parola, oltre a mons. Pompili: mons. N. Galantino (segretario generale CEI), mons. C. Giuliodori
(presidente della Commissione episcopale per la
cultura e le comunicazioni sociali), D. Delle Foglie
(SIR), P. Ruffini (Tv2000/Radio InBlu), M. Tarquinio (Avvenire) e F. Zanotti (FISC), introdotti da
don I. Maffeis (vicedirettore UNCS).
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I ta l i a
d
A
nnunciato da Francesco
nel novembre 2013, preparato dall’intenso lavoro della Congregazione
per gli istituti di vita
consacrata e le società di vita apostolica
e infine indetto con una lettera apostolica datata 21.11.2014 (Regno-doc.
21,2014,683), l’Anno della vita consacrata – che, scrive il papa, «non riguarda soltanto le persone consacrate, ma la
Chiesa intera» – si è aperto il 30 novembre scorso e si concluderà il 2 febbraio
2016. Ne accompagniamo l’avvio con
questo intenso messaggio che mons.
Mauro Maria Morfino, salesiano, vescovo di Alghero-Bosa, ha scritto «per i monaci, le monache, le religiose, i religiosi,
le società di vita apostolica, gli istituti
secolari, l’Ordo virginum» della Sardegna in qualità di delegato della Conferenza episcopale sarda per il clero e la vita consacrata.
Donne e uomini del magis
Sorelle e fratelli cari che nella vita
consacrata avete deciso di appartenere magis/di più a Dio, magis/di più ai
fratelli e alle sorelle della vostra comunità, magis/di più a ogni volto umano
acceso sulla terra, magis/di più a tutti
coloro che il vostro particolare carisma
fondazionale custodisce come realtà più
preziosa, su tutti e su ciascuno la gioia
del Regno che viene e che preme e che
è sempre Regno di amore, di giustizia,
di pace, di verità, di libertà.
La sapiente pedagogia della madre Chiesa ci ha ricondotto alle porte
dell’Avvento per introdurci nel mistero
del Natale del Signore Gesù e riconse-
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Religiosi
onne e uomini «del di più»
I n d e t t o d a p a p a Fr a n c e s c o ,
comincia l’Anno della vita consacrata
gnarci alla certezza di essere gratuitamente amati e di essere definitivamente
fatti figli nel Figlio e, in lui, consanguinei di Dio e consanguinei di ogni respiro umano.
Con voi donne e uomini «del di più»,
discepoli del Figlio e Signore casto, povero e obbediente, in questo anno che
la Chiesa dedica alla vita consacrata,
con gratitudine ringraziamo il Padre di
ogni dono perfetto, perché ci offre, per
bocca di papa Francesco che «presiede
nella carità» a ogni Chiesa, un tempo e
uno spazio ulteriore per crescere nella
consapevolezza del «vaso di elezione»
che ciascuno di voi è, in seno alle rispettive famiglie di appartenenza, per ogni
Chiesa di Sardegna.
L’incipit di questo anno particolare,
provvidenzialmente coincide con l’inizio dell’Avvento e di un nuovo anno
liturgico. Ma per ciascuno di noi può
essere l’incipit di quel sogno, da tutti
sognato, di quel sorprendente «di più»,
di quell’eccedenza di amore che è cifra
del passaggio dello Spirito nell’abisso
del cuore e che ha trascinato dietro di
sé le nostre vite.
Donne e uomini vigilantes
Il tempo santo dell’Avvento riporta alla soglia della nostra attenzione di
credenti quell’atteggiamento che i testi
biblici e liturgici indicano come vigilanza. È interessante notare che quanto il
Primo Testamento offra tanta importanza al sonno e ai sogni come «orizzonte profetico» privilegiato da Dio per
svelare le sue intenzioni, tanto il Nuovo Testamento inviti pressantemente a
non dormire, non ubriacarsi, a non dis-
siparsi, non distrarsi, a vegliare, a essere pronti. Possiamo proprio dire che la
vigilanza appare come peculiarità del
credente.
Ma se ogni battezzato può a pieno
titolo rivendicare per sé la funzione di
vigilante, per voi donne e uomini «del
di più», profeti di un amore più grande e gratuito che cercate di tradurre lo
sguardo e la parola di Dio nell’oggi del
tempo, l’essere vigilantes vi identifica,
vi racconta, vi spiega. Riunificati nel
cuore dall’ascolto della Parola, interiormente attenti alle sue esigenze, voi vigilantes diventate non-indifferenti a Dio,
non-indifferenti agli altri, non-indifferenti alla storia. Diventate decisamente
coscienti di dovervi prendere cura di
altro-da-voi, vigilando su altre donne e
altri uomini per custodirli.
La familiarità con i testi biblici ci
insegna che le espressioni «vigilare»,
«essere pronti», «essere svegli» – ben
diversamente dall’uso corrente – non
evocano diffidenza, sospetto, impaurimento. Nulla hanno di inquietante
spauracchio o di minaccioso ammonimento. Al contrario, nella logica della
rivelazione ebraico-cristiana, la vigilanza rivendica, per la persona umana, la
capacità di saper e poter cogliere e accogliere Dio che si offre come dono di
gratuità, come visita inattesa e sempre
salvifica, come eccedenza di Vita che
irrompe nelle vite.
Il nucleo infuocato, la «buona notizia» del discepolato cristiano, è proprio
questo: accogliere il dono che è Dio, accogliere Dio come dono. La nostra chiamata non è a fare o a non fare qualcosa,
quanto piuttosto a spalancare cuore,
mani e spazi vitali per diventare aperti
e disponibili a questo dono. Capiamo
dunque perché questo tempo liturgico
di ad-ventus, di ad-divenire del dono ci
spinga a vigilare. Nella sacra Scrittura,
il contrario di vigilare non è tanto il
dormire, quanto piuttosto la distrazione, la dissipazione, la fuga dal centro dimenticando l’essenziale perché non (più)
intravisto.
È il sonno e l’ottundimento dello
spirito. Quanti testi profetici, sapienziali ed evangelici ci ricordano che Dio
stesso vigila, è «sentinella», è all’erta
perché sempre cura, mai dimentica,
mai abbandona! Dio vigila sull’umanità per accompagnarla, per recuperarla,
perché non si rassegna che qualcuno
vada perduto.
Dio vigila perché è pastore buono
che non vuole che il lupo gli sbrani le
pecore. Dio vigila perché nulla ha di
più caro che l’umano. Dio vigila perché
il suo cuore solo ama, sempre ama. Se
Dio mai si dimentica, la vigilanza riproposta dall’Avvento è dunque apertura e
risposta attiva e dinamica al Vigilante,
a Dio che vigila. Mi pare di scorgere in
questo divino vigilare la metafora più
eloquente ed efficace di voi donne e
uomini «del di più». È di questa vostra
diuturna imitatio Dei che la Chiesa gioisce, la Chiesa vi ringrazia, la Chiesa vi
chiede di non desistere!
La trama d’oro
Ma vigilare perché il Signore è veniente, è il Veniente, non significa trascurare il qui-e-ora, deprezzare o peggio disprezzare il «nostro» tempo. Al
contrario. Dobbiamo vigilare per tenerci pronti per gli interventi ravvicinati di
Dio nella nostra quotidianità, lui che ci
passa accanto rivestito della ferialità del
tempo umano e mai nell’appariscenza,
nell’eclatanza, nella prepotenza sì da
attrarre l’attenzione. Vigilare è l’unico
antidoto contro il trascurare: Dio, gli
altri, noi stessi. Solo chi vigila diventa
responsabile verso la storia, dà risposta a ogni segmento di storia incrociata. Chi vigila lo fa innanzitutto su di
sé perché il vero nemico è in sé stessi,
non fuori. Chi vigila aderisce alla realtà
senza sgattaiolare nell’immaginazione
e nell’idolatria. Chi vigila lavora e non
ozia. Chi vigila ri-conosce gli indizi e le
orme del Dio vivente dentro le pieghe e
le piaghe della storia. Chi vigila sa pren-
dere adeguatamente tra le dita le trame
dell’esistenza quotidiana vivendola non
come storiella o come storiaccia, ma come
storia di salvezza. Storia salvata.
Chi vigila può permettersi il lusso di
vivere il presente, ma tenendo lo sguardo rivolto all’incontro definitivo. Chi
vigila non svaluta né presente né passato e può diventare libero cittadino del
futuro perché scarcerato dall’ansia per
il domani. Chi vigila si accoglie senza
compiacersi di sé e così fiorisce al cambiamento, alla conversione. Chi vigila
ha il domicilio in un’illuminata pazienza e, contemporaneamente, in un’urgenza quasi impaziente perché ormai
libero prigioniero della speranza. Chi
vigila sa che l’unico tempo su cui ha effettivo potere è solo il presente. Presente
di cui sa cogliere il senso delle cose e
del tempo, leggendovi in trasparenza le
attese e le speranze terrene, illuminandole proprio nel loro essere penultime,
nella loro peculiare dignità che è sempre quella di rinviare a un Altro.
Chi vigila vive capace di ascolto,
trovando sempre la scelta più umana e
umanizzante tra le molteplici e discutibili che la storia pone sotto gli occhi.
Chi vigila fa di tutto per farsi compagno della verità, ma non dimentica che
la verità si può solo servire senza mai
servirsene. Chi vigila non si consegna
a corpo morto al torpore dell’immediato e allo scintillio dell’apparenza
perché il suo domicilio è l’ulteriorità
di Dio. Chi vigila sa che Dio c’è e c’è
da Dio e che ha urgenza di incontrarci.
Nella carne gloriosa del Figlio Gesù la
vigilanza del credente diventa certezza
dell’amato.
Non è stata forse questa la trama
d’oro che ha intessuto le vite di tanti
noti e sconosciuti fratelli e sorelle che
lungo i secoli hanno vigilato nella Chiesa e per la Chiesa, custodendo altri come
umili eroi per solo gratuito amore? Non
ha forse vissuto così la folla innumerevole e silenziosa di monache, monaci,
religiose, religiosi, membri delle società di vita apostolica, di istituti secolari
e dell’Ordo virginum nella nostra isola?
Non sono stati forse questi «illuminati»
tramite l’immersione battesimale esplosa nella professione dei consigli evangelici, donne e uomini «del di più» e «figli
della luce» chiamati a illuminare e che
hanno aderito alla parola del Maestro e
Signore: «Risplenda la vostra luce da-
vanti agli uomini affinché, vedendo il
vostro operare la bellezza, rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt
5,6)? Le Chiese di Sardegna lo possono
confessare con gioia e con verità: è così!
Amen! Vieni Signore Gesù!
Donne e uomini dell’hodie
Come ogni anno, l’Avvento mette
in crisi il nostro presente, l’oggi. C’è un
hodie da ripesare, da ripensare, da purificare e convertire. Il salmo 84, quasi
colonna sonora di questo tempo liturgico, ammonisce un presente saturo del
giudizio di Dio: «Rialzaci, Dio nostra
salvezza, e placa il tuo sdegno verso di
noi, di età in età estenderai il tuo sdegno?» (Sal 84,5-6).
Emerge incandescente l’identità e
la missione della comunità cristiana e –
se possibile a più pieno titolo – di ogni
consacrata e consacrato che, in comunità, vive il suo di più per Dio e il suo di
più per ogni altro da sé: offrire al nostro
tempo un giudizio critico, ma non di critica su un presente ancora impoverito
di umanità e perciò stesso impoverito
di Dio e della sua forza risanante; un
presente che, proprio perché depotenziato di umanità, frena e smentisce l’irruzione salvifica del Regno nella persona di Gesù di Nazaret.
Il beato Paolo VI parlava della
Chiesa come di «esperta in umanità».
Non credo ci possa essere più felice
espressione per identificare le donne e
gli uomini «del di più». No. Non può
esserci. Non deve esserci. Ogni vostra
comunità può dunque mettere in crisi
senza criticare un oggi dis-umanizzato
e privo di speranza, solo a patto di vivere, nel presente, una misura alta – la
più alta – di umanità tra voi e con coloro che il Signore vi dona da amare
e servire. Ogni vostra comunità così
umanizzata umanizza, e così, rifiuta di
smentire la gioiosa corsa che il Regno
già compie negli aridi solchi del presente.
Come i profeti, così nella Chiesa,
ogni comunità tutta datasi per il Vangelo annuncia nell’oggi inquieto degli
uomini il giudizio di Dio, giudizio che
salva e che traccia strade per il ritorno
a lui: «Signore, sei stato buono con la
tua terra, hai ricondotto i deportati di
Giacobbe. Hai perdonato l’iniquità del
tuo popolo, hai cancellato tutti i suoi
peccati. Hai deposto tutto il tuo sdegno
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e messo fine alla tua grande ira» (Sal
84,1-4). Come Maria, ogni vostra comunità incarna il Verbo della vita nel
tribolato oggi dei popoli, in un presente che è sempre gravido di un Dio da
generare non fuori dell’oggi, non oltre
l’oggi, non nonostante l’oggi. Ma oggi.
Come Giovanni, ciascuno di voi
– ma voi insieme – lo indica presente come «Agnello di Dio che toglie il
peccato del mondo», nell’oggi incerto
del mondo e mai altrove. A patto che
ogni vostra comunità di uomini e donne «del di più» cresca come esperta in
umanità. È anche questo un lusso che
vi potete permettere perché sempre riumanizzati dal Verbo della vita e dal
salvifico corpo del Signore. È ciò che
auguro a ciascuno di voi: che il vostro
appartenere di più a Dio e di più ai fratelli parli al nostro oggi.
È dono e compito di ogni profeta
che deve accompagnare fratelli e sorelle dalla schiavitù alla libertà, dire
nell’oggi il progetto di Dio già carico
di futuro; è dono e compito di ogni assemblea liturgica di divenire più consapevole di essere convocata oggi, non
ieri né domani; è dono e compito di
ciascuno di voi, che dell’amore di gratuità ha fatto la sua scelta di vita, non
distogliere – oggi – i suoi occhi da chi
vive miserie, fallimenti, fatiche, paure
e disinganni.
Solo vivendo intensamente, e così
l’Avvento, e finalmente travolti da intima gioia, potrete giungere a cantare
nel giorno santo del Natale, insieme
all’intera Chiesa dove siete stati seminati come frumento buono e nutriente:
«Oggi sapete che il Signore viene a salvarci» (Introito della messa vespertina
della Vigilia); «Oggi è nato per voi un
salvatore» (Vangelo della notte); «Oggi
su di noi splenderà la luce, perché è
nato per noi il Signore» (Introito della
messa dell’aurora); «Oggi Cristo è nato,
è apparso il Salvatore; oggi sulla terra
cantano gli angeli… oggi esultano i giusti» (antifona al Magnificat dei secondi
Vespri di Natale).
Donne e uomini del cras
Ma la santa liturgia dell’Avvento
ci ricorda anche che ogni hodie muore e diventa cras, ogni oggi tramonta
e diventa domani. È proprio il tempo
di Avvento, sobrio e teso all’ulteriorità,
che si fa carico di ri-cor-darci, di resti-
762
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tuire alla memoria del cuore, che non
tutto si chiude nell’oggi, nel presente,
anche se tutto si gioca qui e non altrove. Non esiste un solo giorno che si
avviti e si accartocci su se stesso, ma di
oggi in oggi, Dio modella la storia e la
conduce a un inedito – ma quanto atteso! – domani. L’intera liturgia di Avvento trasuda di cras, fino a erompere
in quel grido vigiliare che fa scoppiare
il cuore di esultanza: «Domani si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo
vedrà la salvezza del nostro Dio» (Antifona alla comunione della messa della
vigilia di Natale; Is 40,5).
Il luogo sacro, il vero roveto ardente
e inestinguibile dove ogni oggi tramonta e diventa domani è la nostra stessa
vita di donne e uomini «del di più»:
nei nostri affetti, nelle nostre scelte, nei
nostri stili di vita, nella nostra fraternità sempre rilanciata, nel perdono tenacemente offerto e ricevuto, nella nostra
solidarietà sempre riscelta «ogni uomo
vedrà la salvezza di Dio».
Ecco anche perché il futuro è il
tempo verbale più caro alle pagine
bibliche e ai testi liturgici dell’Avvento: verrà; sorgerà; apparirà; Sion sarai
rinnovata; ogni uomo vedrà la salvezza di Dio; il Signore farà sentire la sua
voce… È certo: domani!
E così, Parola e liturgia, ci educano
e ci abilitano a un’attesa gioiosa e non
depressa: «Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto, rallegratevi, il Signore è vicino» (Fil 4,4.5).
Il binomio attendere-gioire, nel nostro tempo, non pare essere vincente.
Anzi. Ci siamo quasi convinti che si
gioisce solo se si possiede e si trattiene,
solo se si fagocita impadronendoci.
Attesa e desiderio li si vive come
fonte di ansia e di incertezza se non
come frustrazione e smacco. L’attendere e il gioire guardano decisamente al domani e plasmano discepoli ed
evangelizzatori capaci di puntare il
dito per indicare la via nuova e appianata che Dio solo sa aprire nella steppa e nel deserto per condurre altrove il
suo popolo.
Questi indicatori di percorso verso un Oltre e verso un Altro, credibili perché gioiosi e gioiosi perché tesi
all’incontro, siete voi uomini e donne
«del di più». Voi potete essere questi
testimoni che possono permettersi un
annuncio non intriso e incupito di no-
stalgia, ma entusiasta e coinvolgente
perché coerente, perché scelto, perché
voluto.
Della Parola, dell’eucaristia,
della fraternità
Ma chi vi formerà per questo ministero di indicatori del Veniente, quando, perché e come levare il dito per
additarlo? C’è forse un tempo di sosta
che abilita all’attesa gioiosa? C’è da
qualche parte uno spazio santo che nutre la gioia senza consumare il cuore?
C’è traccia di una parola che illumini
senza abbagliare e di un viatico che
nutra senza appesantire? C’è un clima
che rinfranchi il respiro e sostenga il
passo? C’è.
E le vostre vite di donne e uomini «del di più» lo rivelano a tutta la
Chiesa: Parola, eucarestia, fraternità
sono quel «tempo sospeso» e quello
spazio già abitato dal cras, che permette di stare dentro la storia che
scorre e attendere e invocare l’avvento
del Regno nella certezza che è già tra
noi. Parola, eucarestia, fraternità sono
la cattedra da cui apprendere il come,
il quando e il perché alzare il dito,
con parresia e umiltà, per indicare il
Signore presente nella storia. Parola,
eucarestia, fraternità sono il cibo sostanziale e la luce «alla cui luce vediamo la luce», senza accecarci. Parola,
eucarestia, fraternità danno sostegno
e ritmo a passi talvolta lenti, talvolta
insicuri, talvolta maldestri.
Possiate tutti, voi donne e uomini
«del di più», con questa forza rinnovata e sempre offerta da Dio, «preparare la via del Signore» e «raddrizzare
i sentieri», e ancora e sempre stupirci
per i doni di grazia e di creatività apostolica che il Padre ancora sparge a larghe mani nelle vostre vite.
Con tutti i fratelli Vescovi della
Sardegna vi ringrazio del dono che
siete per le nostre Chiese e vi chiedo
l’insostituibile offerta della vostra testimonianza evangelica e della vostra
fraterna intercessione. Invoco su voi la
benedizione del Signore e lo sguardo
di tenerezza della Vergine Madre. Santo Avvento per un santissimo Natale.
Anno benedetto di grazia perché il di
più si faccia storia.
Tutti abbraccio fraternamente.
Mauro Maria Morfino
P a pa F r a n c e s co
d
A
bbiamo qualificato la celebrazione del Sinodo sulla famiglia, nelle sue modalità, nelle decisioni di
trasparenza e nell’esercizio della collegialità effettiva avviato,
come la prima grande riforma di papa
Francesco. Dopo la pubblicazione (9 dicembre) delle 46 domande poste a tutte
le Chiese, quel giudizio trova conferma.
I Lineamenta della XIV Assemblea generale ordinaria (4-25.10.2015), con la
quale si concluderà il processo sinodale,
sono composti, come indicato dal papa
nel Discorso conclusivo della III Assemblea straordinaria (18.10.2014), dalla
stessa Relazione finale e dalla nuova serie di domande. Il cui scopo è facilitare
la recezione del documento sinodale e
l’approfondimento dei temi in esso trattati. Le risposte, che dovranno essere
inviate alla Segreteria del Sinodo entro
il 15 aprile, saranno alla base della preparazione dell’Instrumentum laboris
della prossima assemblea.
Tutta la Chiesa è di nuovo e più
ampiamente coinvolta. Così recita il
comunicato della Segreteria del Sinodo che accompagna il testo delle domande: «Il documento così composto
(…) viene inviato alle conferenze episcopali, ai sinodi delle Chiese orientali
cattoliche sui iuris, all’Unione dei superiori religiosi e ai dicasteri della curia
romana». Questi organismi dovranno
coinvolgere «le diverse componenti
delle Chiese particolari e istituzioni accademiche, organizzazioni, aggregazioni laicali e altre istanze ecclesiali, allo scopo di promuovere un’ampia consultazione sulla famiglia secondo l’o-
Riforma ecclesiale
opo il Sinodo, la curia
Inviati i Lineamenta per il 2015,
stigmatizzate le piaghe della Chiesa
rientamento e lo spirito del processo sinodale».
Recezione, approfondimento, dibattito aperto a tutti sono modalità che
vanno decisamente nella direzione di
non tornare indietro e anzi di un ampliamento delle tematiche trattate o sottaciute anche dal recente Sinodo. Se da
un lato si vuole ampliare il significato
ecclesiologico della figura familiare, per
non chiuderla in una nuova casistica,
dall’altro non si possono tacere problemi come una più generale e rinnovata
comprensione della sessualità, della relazione omosessuale o della pratica della contraccezione. Il percorso avviato
indica la necessità di approfondire e oltrepassare il quadro teologico e morale
tracciato dall’Humanae vitae.
Alla curia romana
Un secondo evento, che va nella direzione di una profonda riforma spirituale,
ecclesiale e strutturale della Chiesa, è il
discorso che il papa ha tenuto il 22 dicembre alla curia romana, in occasione
dei tradizionali auguri natalizi. Si tratta
del discorso più duro sin qui pronunciato
da papa Francesco e uno dei più duri
nella storia della Chiesa, almeno in età
moderna. Tradizionalmente gli interventi dei papi in questa occasione sono
rilevanti – Benedetto XVI utilizzò il suo
primo discorso alla curia per ripensare
l’ermeneutica del Vaticano II sotto il segno della continuità – ma raramente sono stati così dirompenti. Il catalogo dei
mali, redatto in 15 punti (più del doppio
dei vizi capitali), è proposto dal papa sulla scorta di quanto i padri del deserto
stigmatizzarono di fronte alla crisi spiri-
tuale del cristianesimo e della Chiesa del
loro tempo. A due anni dall’inizio del suo
pontificato Francesco misura tutta la distanza di una parte della curia da sé e dal
suo modello di Chiesa. Il segnale è chiaro: una distanza che egli vuole colmare
in fretta. Dopo questa vera e propria invettiva contro i mali della Chiesa e segnatamente della curia, non potrà non
giungere in tempi ravvicinati anche una
riforma strutturale della curia e un cambiamento ai vertici di molti dicasteri.
Tra le 15 piaghe indicate dal papa
spiccano soprattutto quelle del potere,
del narcisismo, della ricchezza e della
maldicenza. Esse si configurano come
una radicale perdita di Dio nella propria vita e un tradimento della propria
missione. Non resta che leggerle, almeno in sintesi.
Quindici malattie
1. La malattia del sentirsi «immortale», «immune» o addirittura «indispensabile» trascurando i necessari e
abituali controlli. Una curia che non si
autocritica, che non si aggiorna, che
non cerca di migliorarsi è un corpo infermo. Un’ordinaria visita ai cimiteri ci
potrebbe aiutare a vedere i nomi di tante
persone, delle quale alcuni forse pensavano di essere immortali, immuni e indispensabili! È la malattia del ricco stolto
del Vangelo che pensava di vivere eternamente (cf. Lc 12, 13-21) e anche di coloro che si trasformano in padroni e si sentono superiori a tutti e non al servizio di
tutti. Essa deriva spesso dalla patologia
del potere, dal «complesso degli eletti»,
dal narcisismo che guarda appassionatamente la propria immagine.
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763
2. Un’altra: la malattia del «martalismo» (che viene da Marta), dell’eccessiva operosità: ossia di coloro che si immergono nel lavoro, trascurando, inevitabilmente, «la parte migliore»: il sedersi
sotto i piedi di Gesù (cf. Lc 10,38-42).
Per questo Gesù ha chiamato i suoi discepoli a «riposarsi un po’» (Mc 6,31), perché trascurare il necessario riposo porta
allo stress e all’agitazione. Il tempo del
riposo, per chi ha portato a termine la
propria missione, è necessario, doveroso e
va vissuto seriamente: nel trascorrere un
po’ di tempo con i famigliari e nel rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica; occorre imparare ciò che
insegna il Qoèlet che «c’è un tempo per
ogni cosa» (3,1-15).
3. C’è anche la malattia dell’«impietrimento» mentale e spirituale:
ossia di coloro che posseggono un cuore
di pietra e un «duro collo» (At 7,51-60);
di coloro che, strada facendo, perdono la
serenità interiore, la vivacità e l’audacia
e si nascondono sotto le carte diventando
«macchine di pratiche» e non «uomini
di Dio» (Eb 3,12). È pericoloso perdere la
sensibilità umana necessaria per farci
piangere con coloro che piangono e gioire
con coloro che gioiscono! È la malattia di
coloro che perdono «i sentimenti di Gesù» (Fil 2,5-11) perché il loro cuore, con
il passare del tempo, si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il Padre e il prossimo (cf. Mt
22,34-40).
4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo. Quando
l’apostolo pianifica tutto minuziosamente e crede che facendo una perfetta pianificazione le cose effettivamente progrediscano, diventando così un contabile o
un commercialista. Preparare tutto bene
è necessario, ma senza mai cadere nella
tentazione di voler rinchiudere e pilotare
la libertà dello Spirito Santo, che rimane
sempre più grande, più generosa di ogni
umana pianificazione (cf. Gv 3,8).
5. La malattia del cattivo coordinamento. Quando i membri perdono la comunione tra di loro e il corpo smarrisce
la sua armoniosa funzionalità e la sua
temperanza, diventando un’orchestra
che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo spirito di comunione e di squadra.
6. C’è anche la malattia dell’«alzheimer spirituale»: ossia la dimenticanza della «storia della salvez-
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za», della storia personale con il Signore,
del «primo amore» (Ap 2,4). Si tratta di
un declino progressivo delle facoltà spirituali che in un più o meno lungo intervallo di tempo causa gravi handicap alla persona facendola diventare incapace
di svolgere alcuna attività autonoma,
vivendo uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie.
7. La malattia della rivalità e della
vanagloria. Quando l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza
diventano l’obiettivo primario della vita,
dimenticando le parole di san Paolo:
«Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso.
Ciascuno non cerchi l’interesse proprio,
ma anche quello degli altri» (Fil 2,1-4).
È la malattia che ci porta a essere uomini
e donne falsi e a vivere un falso «misticismo» e un falso «quietismo».
8. La malattia della schizofrenia
esistenziale. è la malattia di coloro che
vivono una doppia vita, frutto dell’ipocrisia tipica del mediocre e del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare. Una malattia che colpisce spesso coloro che, abbandonando il sevizio pastorale, si limitano alle faccende burocratiche, perdendo così il contatto con la realtà, con le
persone concrete.
9. La malattia delle chiacchiere,
delle mormorazioni e dei pettegolezzi.
Di questa malattia ho già parlato tante
volte ma mai abbastanza. È una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere e si impadronisce della persona facendola diventare «seminatrice di zizzania» (come
satana), e in tanti casi «omicida a sangue freddo» della fama dei propri colleghi e confratelli.
10. La malattia di divinizzare i capi: è la malattia di coloro che corteggiano
i superiori, sperando di ottenere la loro
benevolenza. Sono vittime del carrierismo e dell’opportunismo, onorano le persone e non Dio (cf. Mt 23,8-12). Sono
persone che vivono il servizio pensando
unicamente a ciò che devono ottenere e
non a quello che devono dare. Persone
meschine, infelici e ispirate solo dal proprio fatale egoismo (cf. Gal 5,16-25).
11. La malattia dell’indifferenza
verso gli altri. Quando ognuno pensa
solo a sé stesso e perde la sincerità e il calore dei rapporti umani. Quando il più
esperto non mette la sua conoscenza al
servizio dei colleghi meno esperti.
12. La malattia della faccia funerea. Ossia delle persone burbere e arcigne, le quali ritengono che per essere seri
occorra dipingere il volto di malinconia,
di severità e trattare gli altri – soprattutto quelli ritenuti inferiori – con rigidità,
durezza e arroganza. In realtà, la severità teatrale e il pessimismo sterile sono
spesso sintomi di paura e di insicurezza
di sé. L’apostolo deve sforzarsi di essere
una persona cortese, serena, entusiasta e
allegra che trasmette gioia ovunque si
trova. Un cuore pieno di Dio è un cuore
felice che irradia e contagia con la gioia
tutti coloro che sono intorno a sé: lo si
vede subito!
13. La malattia dell’accumulare:
quando l’apostolo cerca di colmare un
vuoto esistenziale nel suo cuore accumulando beni materiali, non per necessità,
ma solo per sentirsi al sicuro. In realtà,
nulla di materiale potremo portare con
noi perché «il sudario non ha tasche» e
tutti i nostri tesori terreni – anche se sono
regali – non potranno mai riempire quel
vuoto, anzi lo renderanno sempre più esigente e più profondo. A queste persone il
Signore ripete: «Tu dici: sono ricco, mi
sono arricchito, non ho bisogno di nulla.
Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo ... Sii dunque zelante e convertiti» (Ap 3,17-19).
14. La malattia dei circoli chiusi,
dove l’appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al corpo e, in alcune
situazioni, a Cristo stesso. Anche questa
malattia inizia sempre da buone intenzioni ma con il passare del tempo schiavizza i membri diventando un cancro
che minaccia l’armonia del corpo e causa tanto male – scandali – specialmente
ai nostri fratelli più piccoli. L’autodistruzione o il «fuoco amico» dei commilitoni è il pericolo più subdolo.
15. E l’ultima: la malattia del profitto mondano, degli esibizionismi, quando l’apostolo trasforma il suo servizio in
potere, e il suo potere in merce per ottenere
profitti mondani o più poteri. è la malattia delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per tale scopo sono capaci di calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e sulle riviste. Naturalmente per esibirsi e dimostrarsi più capaci degli altri.
Gianfranco Brunelli
Dialogo interreligioso
Convegno
U
Religioni e conflitti
n appuntamento che ha inteso essere
sia un approfondimento di studio sul
tema del conflitto interreligioso sia
una testimonianza di pace, «ma soprattutto un
seme di speranza per superare un momento
storico molto difficile. Un momento storico
nel quale appunto le religioni, anziché una forza di pace, sono diventate un motivo di divisione, di conflitto e di guerra». Si è aperto con
queste parole di Paolo Trianni, organizzatore
dell’evento per conto dell’Accademia di
Scienze umane e sociali (ASUS) di Roma, il convegno nazionale «Religioni e conflitti. Conoscere la divisione per progettare l’incontro in
un mondo in guerra nel nome di Dio» (35.12.2014).
L’evento è stato pensato in tre momenti:
uno spazio dedicato alla riflessione filosofica
sul conflitto interreligioso; una sorta di mappatura «geografico-contestuale» dei conflitti
religiosamente motivati; una presentazione di
Roma come città del dialogo interreligioso,
attraverso la convocazione di numerose associazioni con sede nell’Urbe, invitate a presentare la propria attività (Sant’Egidio; Movimento dei Focolari; COREIS; Comunità Dzogchen;
Istituto «pro-dialogo» Tevere; San Francesco
Saverio; American Jewish Committee; Religions for peace; Dialogo interreligioso monastico; la rivista Confronti; John Cabot university interfaith initiative).
Sede del convegno, l’Università di Roma
Tre, che ha patrocinato l’evento insieme al
Corso di laurea in Filosofia dell’Università di
Roma «Tor Vergata» (grazie alla collaborazione del presidente, Giovanni Salmeri), e alla sezione italiana dell’associazione Religions for
peace.
«Pensare» il conflitto
L’idea di occuparsi dell’accusa mossa alle
religioni di essere causa inevitabile di conflitto,
in quanto portatrici di visioni ideologiche inconciliabili sposate a forme di adesione fanatiche o «fondamentaliste», è parsa quanto mai
opportuna nel panorama geopolitico attuale,
costellato di notizie e immagini relative a violenze e soprusi, anche molto efferati, perpetrati sotto le insegne di un qualche credo religioso. Il tutto, paradossalmente, in un’epoca
che si avverte «secolarizzata» quanto mai e nel
cui ethos pluralista la presenza di tali «pretese»
(essere «portatori» di una verità), e dei conflitti
che ne derivano, alimenta un movimento di
scetticismo crescente – quando non di aperta
insofferenza – verso la presenza di ogni
espressione pubblica della dimensione religiosa (come emblema di questa corrente, che si
spinge fino a forme di «laicismo» non meno
ideologico e fondamentalista, basti ricordare il
titolo del noto saggio di C. Hitchens, Dio non è
grande. Come la religione avvelena ogni cosa,
Einaudi, Torino 2007).
Gli stimoli alla riflessione, offerti dai numerosi relatori che si sono succeduti nelle diverse sessioni, non sono mancati. Si è partiti
dai «fondamenti», dal «pensare» il conflitto interreligioso, ricorrendo soprattutto all’analisi
filosofica. Dopo l’apertura, dedicata alla dichiarazione conciliare sul diritto alla libertà religiosa, Dignitatis humanae, quale possibile
documento di «base» per cercare una soluzione stabilmente fondata al conflitto tra religioni (Trianni), il tema è stato sviscerato lungo diverse direttrici filosofiche: facendo ricorso
all’opera di Tommaso d’Aquino, ci si è domandati circa la pertinenza dell’accusa «classica»,
secondo la quale affermare la verità di una sola religione è causa inevitabile di conflitti (De
Ceglie); sono state presentate laicità e religione come due facce di una sola realtà, che si
garantiscono a vicenda, e che non possono
prevaricarsi senza pregiudizio per entrambe
(Pezzimenti); si è immaginato un solo «monoteismo radicale» quale spazio positivo di
espressione e di incontro di tutte le religioni
monoteistiche, senza svalutazione di nessuna
(Baccarini).
Il tema del fondamentalismo religioso è
stato un po’ il trait d’union tra le prime due
giornate. Ha trovato spazio nella sessione
inaugurale, dove i fondamentalismi (fenomeno da coniugare sempre al plurale) sono stati
presentati come «modi distruttivi di intendere la fede» (Bongiovanni), che vanno compresi
bene al fine di progettare risposte adeguate.
È stato sottolineato, ad esempio, come gli
aderenti a tali gruppi religiosi radicali (che
«nascono dentro sistemi “in crisi” e contro
quei sistemi», per «rifondare la società attraverso la riproposizione violenta della loro fede») non siano affatto classificabili come figu-
re «retrograde», perché possiedono non di
rado una formazione di tipo scientifico (spesso acquisita in Occidente) e sanno utilizzare al
meglio gli strumenti e le tecnologie più recenti. È stato suggerito un diverso approccio
al fenomeno, che includa un approfondimento ulteriore della riflessione critica sulla nostra modernità, insieme a nuovi strumenti
psicologici e teologici.
«Mappare» il conflitto
Con uno sguardo alle origini del fondamentalismo evangelical negli USA, «prototipo
di tutti i fondamentalismi» (Naso), e alla vicenda della Chiesa-partito di Ian Paisley in Irlanda
del Nord (Di Sanzio), la riflessione sul fondamentalismo è proseguita anche nella seconda
giornata. In essa gli interventi hanno avuto un
carattere più composito: dal «cristianesimo
come religione violenta» (Salmeri), ai «nuovi
scenari del confronto interreligioso in Europa»
(Keramidas), alla testimonianza di persone
provenienti dai luoghi di conflitto o impegnate in essi per conto di organizzazioni internazionali. Si è qui inteso soprattutto offrire una
«mappatura geopolitica» dei conflitti, interessandosi anche di alcuni casi notevoli del secolo scorso le cui conseguenze sono ferite ancora aperte e condizionanti, come nel caso del
genocidio armeno (Pogossian).
Nel giro del mondo che il convegno si prefiggeva, uno spazio congruo è stato dedicato
alla situazione del Medio Oriente (in particolare al conflitto arabo-israeliano e alla Siria) e
all’Africa subsahariana (Nigeria e Ruanda), continente nel quale le violenze, spesso sanguinarie, mescolano il dato religioso alle differenze
etnico-tribali interne agli stati, veri e propri
«mosaici» di differenti gruppi socio-linguistici
(per cui, ricordava Enzo Pace, di fronte a un
conflitto è sempre opportuno chiedersi: che
cosa c’entrano le religioni?). Un accenno al tema fondamentalismo e violenza è stato fatto
anche per riferimento alle tradizioni asiatiche,
induiste e buddhiste. È parso, inoltre, opportuno «sostare» sul rapporto tra «jihad e dialogo»
(Pallavicini), denunciando forme di estremismo – «che abusano di alcuni elementi decontestualizzati e male interpretati dell’islam» –
ancora sottostanti a situazioni drammatiche,
diverse e distanti, come il sedicente «Stato
islamico» e le milizie di Boko Haram.
In questa carrellata, il numero elevato di
relatori non ha purtroppo consentito di andare oltre una prima presentazione delle questioni. Nell’insieme, tuttavia, il convegno è riuscito a offrire una sorta di status quaestionis e
a iniziare sul tema un cammino di incontro interreligioso e interculturale, che richiederà ulteriori tempo ed energie. Gli atti del convegno
saranno presto pubblicati dall’editrice Aracne.
M. B.
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P a pa F r a n c e s co
t
I
risultati, appena pubblicati, di
un’inchiesta condotta dal Pew
Research Center e che verte sul
grado di popolarità nel mondo di
papa Francesco, parlano di un
60% di consensi, contro solo un 11%
di insoddisfatti e un 28% di senza opinione. Il consenso europeo sembra curiosamente ancora più convinto di
quello latinoamericano (contesto di
provenienza del pontefice), un 84%
contro un 72% e, manco a dirlo, il
Medio Oriente risulta come il fanalino
di coda: qui i consensi e i dissensi sono
equamente divisi, 25% a testa, per un
deciso primato dei senza opinione, assestati al 41%. È un dato, quest’ultimo, che corrisponde bene alla percezione della Turchia, dove un buon
54% di persone non si esprime e dove,
comunque, il consenso al santo padre
si assesta su un 34% di tutto rispetto,
se si considera che i cristiani in genere
non raggiungono lo 0,1% della popolazione totale del paese.
Siamo stati spesso interrogati
sull’impatto che la visita del papa ha
avuto nella terra dei sultani. Ora, sarebbe bastato uno sguardo previo ai
dati del sondaggio testé evocato per
capire che, al di là di un numero assai
limitato di addetti ai lavori, il turco
medio non poteva sentirsi particolarmente interpellato da una visita che, al
di là della giornata introduttiva più
protocollare, per volontà non facilmente comprensibile dei responsabili
cristiani, è stata gelosamente limitata
a un ambito «privato confessionale»
(per quanto possa essere privata una
visita che comporta il dispiegamento
766
Il Regno -
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Ad Ankara e a Istanbul
ra carisma e istituzione
L a Tu r c h i a s o r p r e s a , i c a t t o l i c i i n c a l z a t i ,
gli ortodossi complici interessati
di qualcosa come 6.000 poliziotti per
l’ordine pubblico, nella sola megalopoli di Istanbul). Forse pesava ancora
la memoria della poco confortevole
attenzione mediatica che la visita di
Benedetto XVI, svoltasi in ben altro
contesto storico (la crisi internazionale
delle caricature di Maometto e le tensioni islamo-cristiane a seguito alla famosa lectio di Ratisbona di papa
Ratzinger), aveva suscitato.
Tuttavia, la Turchia, abituata a
declinare il potere in termini imperiali
(la doppia eredità bizantino-ottomana) e con solennità ostentata, è stata
colta di sorpresa dal profilo semplice,
sorridente e decisamente informale di
papa Francesco. I giornali turchi, nei
pochi accenni al viaggio papale, sono
stati unanimi nel sottolineare, con non
celata ammirazione, i tratti umili di un
«capo di stato» e leader religioso che
sceglie una piccola vettura non blindata per i suoi spostamenti e che cerca
il contatto con la gente, malgrado le
severe disposizioni di sicurezza.
Probabilmente quest’ammirazione è cresciuta ulteriormente alla notizia, quasi contemporanea, che
Mehmet Görmez, presidente del
Diyanet e massima autorità religiosa
del paese, aveva appena scelto una
modesta Mercedes S500, da 120.000
euro, per i suoi spostamenti... Intanto,
il neo-presidente turco Erdogan, anche lui poco sensibile alla informalità
papale, ha inaugurato, proprio con
papa Francesco, le visite ufficiali nella
sua nuova reggia: quel palazzo bianco
– Ak Saray in turco – delle mille polemiche, per l’insultante faraonicità di-
spiegata con sperpero di denaro pubblico e scempio di un polmone verde,
vecchio dono di Mustafa Kemal Ataturk alla nazione. Lo scenario era perfetto per evidenziare la radicale differenza di approccio e di statura morale
tra i due interlocutori.
La pace pregata
Tuttavia, nel discorso congiunto,
seguito a un breve incontro privato, il
peso specifico davvero politico l’hanno avuto le parole del papa. Bergoglio
infatti, impiegando un terzo del tempo
accaparrato del presidente turco
(troppo occupato a denunciare «l’islamofobia occidentale» e il «terrorismo
di stato» siriano, per ricordarsi di dire
come il suo paese intenda esercitare
quel ruolo diplomatico da sempre rivendicato come essenziale nella regione), con parole quasi sussurrate, in forte contrasto con la verve retorica
dell’arringatore di folle, ha toccato
tutti i temi principali di attualità.
Prima di tutto, ha rivolto un accorato appello affinché la Turchia continui a essere degna della sua storia di
crocevia di civiltà e religioni, favorendo pari diritti ai suoi cittadini musulmani, ebrei e cristiani. Con l’utilizzo
del termine «cittadini», il papa ha, tra
l’altro, riaffermato implicitamente la
necessità che i credenti minoritari
contribuiscano anch’essi alla costruzione di una «cittadinanza inclusiva»,
fatta di diritti ma anche di doveri, per
gli individui come per le comunità di
fede, uscendo definitivamente dal sistema dei «privilegi confessionali». È
guardando poi al Medio Oriente in
fiamme che papa Francesco ha chiesto un radicale cambio di politica: il
rispetto dei diritti umani e investimenti per lo sviluppo dei popoli e non per i
traffici di armi che alimentano guerre
fratricide sulla pelle degli innocenti.
Parlando dell’importanza del dialogo
interreligioso e interculturale ha, infine, implicitamente puntato il dito su
un uso ideologico e strumentale delle
religioni, per alimentare fanatismi e
fondamentalismi.
Insomma, richiami che, solo apparentemente generici, erano in realtà
più che pertinenti anche per il governo di Ankara, oltre che in perfetta
continuità con i temi già ribaditi nel
corso del viaggio in Terra santa. Il papa è l’unico a ricordare che gli interventi umanitari, pur indispensabili,
sono condannati alla sterilità se non si
ridà una statura etica alle politiche internazionali. «Signore, finiamola con
la guerra...», quel grido interiore che
ha abitato, per sua stessa ammissione,
la preghiera di Francesco davanti al
Mihrab della Moschea Blu di Istanbul, dà lo spessore dell’angoscia
dell’attuale pontefice nel seguire da vicino i drammi di quella «terza guerra
mondiale a pezzi» che continua a denunciare instancabilmente.
A proposito di Moschea Blu, si
spera che questo ulteriore viaggio papale in terra islamica abbia definitivamente chiuso il dibattito ozioso, «curial-giornalistico», che si protrae da
anni sul tema: «Può un papa pregare
in un luogo di culto islamico?». Dopo
gli equilibrismi dialettici che hanno
portato a parlare prima di «meditazione silenziosa» e successivamente di
«adorazione silenziosa» (l’insistenza
sul silenzio, tratto per altro nobilissimo della pratica spirituale, punta forse, in questo caso, a esprimere implicitamente un ritegno necessario in un
ambiente «non convenzionale» di
preghiera), ci voleva la schiettezza poco diplomatica di Bergoglio per svelare l’arcano ai giornalisti sul volo di ritorno verso Roma, ai quali ha assicurato: «Ho pregato davvero!». Con
buona pace degli pseudo-intellettuali
che ancora bacchettano il papa perché non si rende conto di aver pregato
rivolto alla Mecca: ricordate quegli
sciocchi che quando mostri loro la luna guardano il dito?
Se la liturgia
è inter-rituale
Tornando al viaggio papale, l’intima preghiera di papa Francesco nella
Moschea Blu precedeva di un paio
d’ore gli unici momenti d’incontro corale con le comunità cattoliche: avvenimento velocemente derubricato dalle cronache e dai commenti giornalistici (questa volta pure occidentali). È
sconcertante, per chi vive in queste
terre, constatare che i cristiani fanno
notizia più come vittime di turno della
violenza che devasta il Medio Oriente
che non per gli sforzi, per altro talvolta
estremamente miseri, che cercano di
fare nel tentativo di essere testimoni
coerenti di un Evangelo proclamato e
declinato per la prima volta proprio
nello loro terre.
Ecco perché, ai più, il contenuto
dell’omelia pronunciata dal santo padre nel corso dell’eucarestia presieduta
nella cattedrale latina dello Spirito
Santo risulta, a dir poco, fuori tema...
Francesco parla dello Spirito Santo come anima della Chiesa, come colui che
dà la vita, che suscita i differenti carismi che arricchiscono il popolo di Dio
e, soprattutto, che crea l’unità tra i credenti. Poi la meditazione si fa molto
esplicita: «Quando siamo noi a voler
fare la diversità – dice il papa – e ci
chiudiamo nei nostri particolarismi ed
esclusivismi, portiamo la divisione; e
quando siamo noi a voler fare l’unità
secondo i nostri disegni umani, finiamo per portare l’uniformità e l’omologazione. Se invece ci lasciamo guidare
dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la
diversità non diventano mai conflitto,
perché egli ci spinge a vivere la varietà
nella comunione della Chiesa».
Accalcati attorno all’altare, i rappresentanti di quattro riti diversi (latino, caldeo, siro e armeno), espressione
sì di una indiscutibile ricchezza storica
ma che, nel presente, sembra più un
ostacolo (prima di tutto linguistico) a
vivere in modo davvero comunionale
la celebrazione del mistero pasquale.
Una liturgia eucaristica inter-rituale è
di fatto una contraddizione in termini,
perché si è condannati, a turno, solo ad
assistere alla indecifrabile preghiera
dell’altro, a sua volta concentrato a
esprimere la sua singolarità più che a
cercare la condivisione attorno all’altare. «È sempre presente in noi – ricor-
da ancora papa Francesco – la tentazione di fare resistenza allo Spirito
Santo, perché scombussola, perché
smuove, fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. Ed è sempre più
facile e comodo adagiarsi nelle proprie
posizioni statiche e immutate».
Il giorno seguente, durante la divina liturgia al Patriarcato greco, Bartolomeo I completa implicitamente la
meditazione bergogliana con queste
parole: «A cosa serve la nostra fedeltà
al passato, se questo non significa nulla per il futuro? A cosa giova il nostro
vanto per quanto abbiamo ricevuto,
se tutto ciò non si traduce nella vita
per l’uomo e per il mondo di oggi e di
domani? “Gesù Cristo è sempre lo
stesso, ieri e oggi e nei secoli” (Eb 13,
8-9). E la sua Chiesa è chiamata ad
avere il suo sguardo volto non tanto
all’ieri, quanto all’oggi e al domani.
La Chiesa esiste per il mondo e per
l’uomo e non per sé stessa». Sono riflessioni di un’importanza capitale
che toccano al cuore l’essere stesso
delle Chiese cristiane orientali, in modo particolare, cattoliche o ortodosse
che siano! Perpetuare una semplice
memoria, talvolta confusa con un ricordo nostalgico, non significa costruire futuro. Ecco perché papa Francesco, prima ancora di affrontare il profondo, spontaneo e appassionato
scambio spirituale con Bartolomeo,
sferza i cristiani a lui affidati.
Per tragedia e per inedia
Molte sono le domande alle quali le
Chiese cattoliche di Turchia devono
rispondere: che cosa significa ridare
senso a una conferenza episcopale inter-rituale ormai paralizzata da personalismi e veti incrociati e da una totale
mancanza di visione, men che meno
condivisa? Che cosa significa fare della
diversità una ricchezza, accogliendo i
volti nuovi di comunità che cambiano,
stimolando la novità nei modi dell’annuncio e della celebrazione? Che cosa
significa, come comunità di una Terra
santa del cristianesimo, mettersi al ritmo del respiro di una Chiesa universale, che da queste terre è partita per abbracciare i confini del mondo? Come
rimettere in moto la dialettica feconda
del rapporto tra carisma e istituzione,
per conservare quella «freschezza dello Spirito» che non cessa mai di essere
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creativo, come ricorda papa Francesco? Oggi, come nei secoli passati, i
cristiani non muoiono solo per «tragedia», a queste latitudini, ma anche
semplicemente di «inedia».
Evocando la dialettica «carisma e
istituzione», oggi forse più comprensibile nel binomio «profezia e governo»,
rimandiamo a una sfida che si rinnova:
trasformare la tradizionale separazione – e talvolta opposizione – tra Chiesa
carismatica e Chiesa istituzionale in
una tensione vitale e feconda in cui
abitare. In una parola, bisogna rendere più carismatica l’istituzione, perché
sia capace di suscitare, e poi mettere in
evidenza, doni diversi a servizio dell’unico Regno. Francesco e Bartolomeo
hanno imboccato senza esitazioni la
via carismatica, lasciando trasparire
una grande complicità in questa scelta:
utilizzando un’immagine ciclistica, sono scattati in fuga, staccando il gruppo. Ma il loro compito non è arrivare
soli al traguardo, bensì quello di portare più velocemente alla meta le Chiese
di cui hanno la responsabilità.
Il cammino sembra in questo momento arduo, prima di tutto per Bartolomeo, costretto a giocare ad intra su
un tavolo molto diverso rispetto a
quello frequentato con il vescovo di
Roma. La Chiesa in Grecia, in primo
luogo, è particolarmente fredda di
fronte a questo riavvicinamento con
Roma (e non stiamo parlando solo di
certe frange più intransigenti del clero
secolare, o di una parte dei monaci del
Monte Athos), ed è molto riduttivo dire che Mosca sia la sola pietra d’inciampo sul cammino di un riavvicinamento tra Oriente e Occidente cristiano, così come verso il Sinodo panortodosso. Inoltre, tra Oriente e Occidente cristiano il dibattito, ormai, non
verte solo sulla legittimità del primato
petrino, ma su come esso debba essere
esercitato. Non a caso, la Commissione mista cattolico-ortodossa che da
molti anni sta esplorando il doppio
nodo del «primato» e della «sinodalità», non è, ad oggi, ancora arrivata a
produrre un documento davvero condiviso (ultimo tentativo mancato, ad
Amman quest’anno, dopo il testo
adottato a Ravenna nel 2007 senza il
consenso di Mosca, e un altro nulla di
fatto a Vienna, nel 2010).
L’ostacolo principale è sempre lo
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stesso: il fatto di non tenere conto che
la tradizione orientale e quella occidentale rappresentano due modelli diversi di amministrazione della Chiesa.
Il primo decentrato e basato sulla nozione di comunione tra Chiese locali
autocefale e il secondo centralizzato e
basato sul concetto della giurisdizione
universale del papato. Come molti osservatori hanno sottolineato negli ultimi mesi, papa Francesco ha aperto
simbolicamente una fase nuova presentandosi, nel giorno stesso della sua
elezione, come nuovo vescovo di Roma e, cioè, come il pastore di una
Chiesa locale ma con il ruolo particolare di favorire la collaborazione con
tutti i fratelli nell’episcopato, responsabili delle altre Chiese locali. Questa
nuova prospettiva di collegialità, che
avvicina il modello ecclesiologico occidentale a quello orientale, ha avuto un
grosso impatto in Oriente, prima di
tutto espresso dall’apprezzamento incondizionato del patriarca di Costantinopoli (molto più entusiasta, a dire il
vero, di un certo mondo cattolico).
Metanoia
verso la comunione
Di qui a dire che siamo entrati nella
dirittura finale verso l’unità agognata
tra Oriente e Occidente cristiano, ce
ne passa davvero molto (a dire il vero,
non è così imminente neppure l’unità
tra Costantinopoli e Roma, sognata
dai successori di Pietro e Andrea). In
Occidente, bisognerà accettare di andare fino in fondo nel ripensamento del
modo di intendere la diaconia del vescovo di Roma nella «Chiesa universale» (il già evocato ripensamento radicale dell’esercizio del «primato petrino»);
in Oriente, la questione si gioca prima
di tutto nei rapporti interni tra Chiese
autocefale, là dove il nazionalismo ecclesiastico ha iniziato fin dall’Ottocento a incrinare l’unità storicamente
fondata sulla fede comune, sull’unica
Tradizione, sull’unico insegnamento,
sull’unica liturgia, nell’unico pane e
calice.
Se i primi concili ecumenici affidarono al vescovo di Costantinopoli il
ruolo di primus inter pares (un primato
d’onore nel coordinamento della comunione dei capi delle Chiese locali
autocefale), questo primato storico che
Bartolomeo tenta di rinvigorire con il
riferimento evangelico al protoapostolo Andrea è oggi tutt’altro che scontato
al cuore dell’ortodossia, e l’effettiva capacità del Fanar di arrivare alla tanto
agognata convocazione del Sinodo panortodosso per il 2016 può essere considerata una sorta di prova del nove.
Sicuramente, questa delicata partita intra-ortodossa si giocherà molto anche nella gestione dei nuovi equilibri
determinati dai rapporti tra le Chiese
madri e le comunità della diaspora,
sempre più importanti non solo per il
loro peso economico, ma per il nuovo
volto culturale, spirituale e, quindi, anche necessariamente teologico che
stanno imponendo a tradizioni secolari. Bartolomeo l’ha capito da tempo, e
per questo sta lentamente cambiando il
profilo gerarchico della Chiesa che
presiede. Le ultime nomine episcopali
del Sinodo greco-ortodosso vanno, infatti, nel senso di una sorta di «de-ellenizzazione» (nuovi vescovi che appartengono, in alcuni casi, già alla terza
generazione in diaspora) o, per dirla
più chiaramente, tentano di arginare
un pericoloso ritorno al filetismo e cioè a
quella tendenza, condannata come
eresiaca ma particolarmente forte nelle
comunità diasporiche, alla formazione
di autocefalie su base nazionalistica: un
vero attentato all’intrinseca universalità del messaggio evangelico.
Anche da questo dato si può intuire
la crescente complicità tra Bartolomeo
e Francesco, il quale, parlando del suo
modello di Chiesa, ha più volte evocato
(ripetendosi nel recente incontro di
Istanbul) la necessità di combattere la
malattia spirituale dell’autoreferenzialità. È uno dei motivi per cui l’ormai
famoso inchino irrituale di Francesco
davanti al Patriarca, al termine dei Vespri ecumenici di Sant’Andrea, con la
richiesta una benedizione, non è da interpretarsi come un atto di sottomissione della Chiesa di Roma a quelle di
Costantinopoli, come qualcuno ha banalmente detto, ma piuttosto come un
rinnovato invito a un comune decentramento delle Chiese per un loro radicale riorientamento a Cristo, cuore e
riferimento fondamentale della Chiesa
indivisa, senza il quale né Pietro né Andrea, né tutto il collegio degli apostoli
esisterebbero.
Claudio Monge
D i b at t i to
n
N
elle parole rivolte da papa Francesco al patriarca Bartolomeo il 30 novembre scorso (ricorrenza liturgica di Sant’Andrea), alla fine della divina liturgia nella
cattedrale patriarcale di San Giorgio al
Fanar, sede del Patriarcato di Costantinopoli, il pontefice ha spiegato lo scopo
della sua visita: «Incontrarci, guardare
il volto l’uno dell’altro, scambiare l’abbraccio di pace, pregare l’uno per l’altro
sono dimensioni essenziali di quel cammino verso il ristabilimento della piena
comunione alla quale tendiamo. Tutto
ciò precede e accompagna costantemente quell’altra dimensione essenziale
di tale cammino che è il dialogo teologico. Un autentico dialogo è sempre un
incontro tra persone con un nome, un
volto, una storia, e non soltanto un confronto di idee. Questo vale soprattutto
per noi cristiani, perché per noi la verità
è la persona di Gesù Cristo» (Regno-doc.
21,2014,669). Con tali parole il pontefice, in modo estremamente semplice e
chiaro, ha collegato il dialogo teologico
tra cattolici e ortodossi, che negli ultimi
tempi sembra trovarsi in una situazione
di stallo, con la componente carismatica, personale e spirituale della ricerca
dell’unità tra la tradizione cristiana
d’Oriente e quella d’Occidente.
Secondo il papa, proprio l’esempio
di vita dell’apostolo Andrea – il «primo
chiamato», cui il Maestro disse «Venite
e vedrete» – mostra con chiarezza a tutti «che la vita cristiana è un’esperienza
personale, un incontro trasformante
con colui che ci ama e ci vuole salvare.
Anche l’annuncio cristiano si diffonde
Il papa e gli ortodossi
on si può aspettare
Da Mosca, una riflessione sulla visita
d e l ve s c ovo d i Ro m a a C o s t a n t i n o p o l i
grazie a persone che, innamorate di
Cristo, non possono non trasmettere la
gioia di essere amate e salvate». È chiaro, pertanto, ritiene papa Francesco,
«che neanche il dialogo tra cristiani può
sottrarsi a questa logica dell’incontro
personale». Il papa ha detto che anche
«il cammino di riconciliazione e di pace
tra cattolici e ortodossi» è stato «in qualche modo» inaugurato da un incontro
tra due persone, l’abbraccio tra il patriarca ecumenico Atenagora e papa
Paolo VI, avvenuto cinquant’anni fa a
Gerusalemme, e ha ricordato il proprio
incontro, nel maggio dello scorso anno,
col patriarca Bartolomeo «nella città
dove il Signore Gesù Cristo è morto e
risorto».
Ha poi fatto notare che «per una felice coincidenza» la sua attuale visita a
Costantinopoli avveniva qualche giorno
dopo la celebrazione del 50° anniversario della promulgazione del decreto del
concilio Vaticano II sulla ricerca dell’unità di tutti i cristiani, l’Unitatis redintegratio. «Si tratta di un documento fondamentale – ha spiegato il pontefice –
con il quale è stata aperta una nuova
strada per l’incontro tra i cattolici e i fratelli di altre Chiese e comunità ecclesiali.
In particolare, con quel decreto la Chiesa cattolica riconosce che le Chiese ortodosse “hanno veri sacramenti e soprattutto, in forza della successione apostolica, il sacerdozio e l’eucaristia, per mezzo
dei quali restano ancora unite con noi da
strettissimi vincoli” (n. 15)».
Il documento del Concilio stabilisce
che per custodire fedelmente la pienezza della tradizione cristiana e per condurre a termine la riconciliazione dei
cristiani di Oriente e Occidente «è di
somma importanza conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio delle
Chiese d’Oriente, non solo per quello
che riguarda le tradizioni liturgiche e
spirituali, ma anche le discipline canoniche, sancite dai santi padri e dai concili, che regolano la vita di tali Chiese
(cf. nn. 15-16)». Il capo della Chiesa cattolica ha sottolineato con forza l’importanza del rispetto di questo principio
«come condizione essenziale e reciproca per il ristabilimento della piena comunione, che non significa né sottomissione l’uno dell’altro, né assorbimento,
ma piuttosto accoglienza di tutti i doni
che Dio ha dato a ciascuno per manifestare al mondo intero il grande mistero
della salvezza realizzato da Cristo Signore per mezzo dello Spirito Santo».
Dall’inizio del pontificato
«Voglio assicurare a ciascuno di voi
– ha poi dichiarato il papa con convinzione – che, per giungere alla meta sospirata della piena unità, la Chiesa cattolica non intende imporre alcuna esigenza, se non quella della professione
della fede comune, e che siamo pronti a
cercare insieme, alla luce dell’insegnamento della Scrittura e dell’esperienza
del primo millennio, le modalità con le
quali garantire la necessaria unità della
Chiesa nelle attuali circostanze». Poi,
facendo riferimento a una nota espressione di sant’Ignazio di Antiochia, il papa ha aggiunto: «L’unica cosa che la
Chiesa cattolica desidera e che io ricerco come vescovo di Roma, “la Chiesa
che presiede nella carità”, è la comunione con le Chiese ortodosse».
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È qui opportuno notare che papa
Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato – ossia, fin dalle prime parole che
ha pronunciato il 13 marzo 2013 dalla
loggia centrale della basilica di San Pietro, subito dopo la sua elezione e prima
di dare la benedizione urbi et orbi – si è
presentato «alla città e al mondo», non
come pontefice o papa, ma come il «vescovo della Chiesa di Roma, che presiede nella carità», riferendosi anche qui
alle parole scritte nei primi anni del II
secolo da sant’Ignazio di Antiochia nella sua Lettera ai Romani.
A opinione di chi scrive, quel primo,
improvvisato saluto del nuovo pontefice
ai romani dalla loggia di San Pietro,
non soltanto mostra chiaramente le sue
doti umane e spirituali, ma contiene in
nuce la sua ecclesiologia. Il papa allora
cominciò col dire che il dovere del conclave era «di dare un vescovo a Roma»
e ringraziò la folla per «l’accoglienza
della comunità diocesana di Roma al
suo vescovo»; poi propose ai presenti di
«pregare per il nostro vescovo emerito,
Benedetto XVI», e dopo aver pregato
con la gente disse: «Incominciamo insieme questo cammino del vescovo e del
popolo della Chiesa di Roma, che presiede nella carità tutte le Chiese». Infine, prima di impartire la sua prima benedizione apostolica, il nuovo papa
chiese un favore alla folla stupita: «Prima che il vescovo benedica il popolo vi
chiedo che voi preghiate il Signore che
mi benedica. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me». E solo
dopo un momento di preghiera in silenzio il nuovo primate della più grande
Chiesa al mondo diede la prima benedizione.
Mi pare che le parole del primo discorsetto dalla loggia delle Benedizioni
della basilica vaticana rappresentino
qualcosa di più che la sola espressione
dell’umiltà cristiana di Jorge Mario Bergoglio: esse riflettono la sua comprensione del primato come servizio nella
carità. Difficilmente nella storia della
Chiesa cattolica degli ultimi secoli si potranno trovare altri esempi di pontefici
romani che in maniera così esplicita si
siano qualificati esclusivamente come
«vescovo di Roma». Ciò non significa
che papa Bergoglio rinneghi gli altri
suoi titoli tradizionali: essi per lui non
sono che corollari della sua chiamata
essenziale a essere il vescovo di Roma.
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Ascoltare i poveri,
le vittime, i giovani
Ma torniamo al discorso del papa il
30 novembre scorso nella cattedrale patriarcale di San Giorgio a Costantinopoli. Proseguendo il suo intervento, papa
Francesco ha fatto notare che nel mondo di oggi si levano con forza tre voci
«che non possiamo non sentire e che domandano alle nostre Chiese di vivere fino in fondo l’essere discepoli del Signore
Gesù Cristo»: la voce dei poveri, quella
delle vittime dei conflitti, compresi quelli
confessionali, e quella dei giovani che
cercano valori autentici. Secondo il pontefice, la Chiesa non può rimanere indifferente alla voce dei sofferenti che aspettano non solo un aiuto materiale, ma
anche solidarietà nella difesa della loro
dignità. Essi «ci chiedono di lottare, alla
luce del Vangelo, contro le cause strutturali della povertà: la disuguaglianza, la
mancanza di un lavoro degno, della terra e della casa, la negazione dei diritti
sociali e lavorativi». L’unità dei cristiani,
sostiene il papa, è indispensabile per rispondere a queste aspettative, per sconfiggere la «globalizzazione dell’indifferenza» che sembra avere la supremazia
e per «costruire una nuova civiltà dell’amore e della solidarietà».
La seconda voce cui si riferisce il pontefice è quella delle vittime dei conflitti in
tante parti del mondo, tra esse il gran
numero dei cristiani perseguitati; il papa
ha chiesto a tutti di pregare e fare il possibile per aiutarli. «La voce delle vittime
dei conflitti ci spinge a procedere speditamente nel cammino di riconciliazione
e di comunione tra cattolici e ortodossi.
Del resto, come possiamo annunciare
credibilmente il Vangelo di pace che viene dal Cristo, se tra noi continuano a esistere rivalità e contese?»
Infine, la terza voce è quella dei giovani. «Molti giovani, influenzati dalla
cultura dominante, cercano la gioia soltanto nel possedere beni materiali e nel
soddisfare le emozioni del momento. Le
nuove generazioni non potranno mai acquisire la vera saggezza e mantenere viva
la speranza se noi non saremo capaci di
valorizzare e trasmettere l’autentico
umanesimo, che sgorga dal Vangelo e
dall’esperienza millenaria della Chiesa».
D’altra parte, ha fatto notare papa Francesco, «sono proprio i giovani che oggi ci
sollecitano a fare passi in avanti verso la
piena comunione», e come esempio di
una collaborazione di giovani ortodossi,
cattolici e protestanti, il papa ha citato gli
incontri organizzati dalla comunità monastica di Taizé. Tali incontri sono organizzati «non perché essi ignorino il significato delle differenze che ancora ci separano, ma perché sanno vedere oltre – sono capaci di cogliere l’essenziale che già
ci unisce, che è tanto».
Rivolgendosi al patriarca Bartolomeo, il pontefice ha detto che il cammino verso la piena comunione è già iniziato, «e già possiamo vivere segni eloquenti
di un’unità reale, anche se ancora parziale». Il papa ha concluso esortando tutti a «pregare gli uni per gli altri». Dopo la
liturgia, il papa e il patriarca hanno sottoscritto una Dichiarazione congiunta,
nella quale rinnovano la «sincera e ferma
intenzione, in obbedienza alla volontà di
nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare» gli sforzi «per la promozione della
piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi». La Dichiarazione contiene un appello alla pace in
Medio Oriente e in Ucraina; in essa i due
capi di Chiesa ripetono il proprio sostegno al dialogo teologico promosso dalla
Commissione mista internazionale, che
«sta trattando attualmente le questioni
più difficili che hanno segnato la storia
della nostra divisione e che richiedono
uno studio attento e approfondito».
Già uniti nel martirio
Dopo aver espresso la loro «comune
preoccupazione per la situazione in
Iraq, in Siria e in tutto il Medio Oriente», il papa e il patriarca dichiarano:
«Non possiamo rassegnarci a un Medio
Oriente senza i cristiani, che lì hanno
professato il nome di Gesù per duemila
anni. Molti nostri fratelli e sorelle sono
perseguitati e sono stati costretti con la
violenza a lasciare le loro case. Sembra
addirittura che si sia perduto il valore
della vita umana e che la persona umana
non abbia più importanza e possa essere
sacrificata ad altri interessi. E tutto questo, tragicamente, incontra l’indifferenza di molti». I due leader religiosi evidenziano il valore della sofferenza per il
dialogo interecclesiale: «Come il sangue
dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la Chiesa, così anche la condivisione delle sofferenze quotidiane può essere uno strumento efficace di unità. La
terribile situazione dei cristiani e di tutti
coloro che soffrono in Medio Oriente ri-
chiede non solo una costante preghiera,
ma anche una risposta appropriata da
parte della comunità internazionale».
La Dichiarazione sottolinea l’importanza «della promozione di un dialogo
costruttivo con l’islam, basato sul mutuo
rispetto e sull’amicizia» e si conclude con
un appello alla pace in Ucraina, «un paese con un’antica tradizione cristiana», facendo appello alle parti coinvolte nel
conflitto a «ricercare il cammino del dialogo e del rispetto del diritto internazionale per mettere fine al conflitto e permettere a tutti gli ucraini di vivere in armonia».
Durante il volo di ritorno a Roma, rispondendo alla domanda di un giornalista russo sulle prospettive di dialogo col
Patriarcato di Mosca, il papa ha fatto riferimento a un colloquio avuto in ottobre
col metropolita Hilarion, presidente del
Dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa russa, quando questi si trovava
a Roma durante il Sinodo dei vescovi cattolici sulla famiglia e parlò col pontefice
della Commissione mista internazionale
per il dialogo teologico tra ortodossi e cattolici. «Prima dirò qualcosa su tutta l’ortodossia, e poi “arriverò”» a Mosca – ha
detto papa Francesco al giornalista con la
sua solita, sorprendente semplicità. – Io
credo che con l’ortodossia siamo in cammino. Loro hanno i sacramenti, hanno la
successione apostolica... siamo in cammino. Che cosa dobbiamo aspettare? Che i
teologi si mettano d’accordo? Mai arriverà quel giorno, glielo assicuro, sono scettico. Lavorano bene, i teologi, ma ricordo
quello che si diceva che avesse detto Atenagora a Paolo VI: “Noi andiamo avanti
da soli e mettiamo tutti i teologi in un’isola, che pensino!”. Io pensavo che fosse
una cosa non vera, ma Bartolomeo mi ha
detto: “No, è vero, ha detto così”. Non si
può aspettare: l’unità è un cammino, un
cammino che si deve fare, che si deve fare
insieme».
Il papa ha ricordato le persecuzioni
che subiscono cristiani delle più diverse
Chiese, e che «i nostri martiri ci stanno
gridando: “Siamo uno! Già abbiamo
un’unità, nello spirito e anche nel sangue”». Forse qui il papa si è ricordato delle ultime parole del sermone del patriarca
Bartolomeo nella cattedrale di San Giorgio: «I problemi, che la congiuntura storica innalza davanti alle Chiese, impongono a noi il superamento della introversione e il fatto di affrontarli per quanto pos-
sibile con più strette collaborazioni. Non
abbiamo più il lusso per agire da soli. Gli
odierni persecutori dei cristiani non chiedono a quale Chiesa appartengono le loro vittime. L’unità, per la quale ci diamo
molto da fare, si attua già in alcune regioni, purtroppo, attraverso il martirio».
A Kirill ho detto:
Io vengo dove tu vuoi
Poi, nella conferenza stampa in aereo, il papa ha detto qualcosa «che forse
qualcuno non può capire, ma... Le Chiese cattoliche orientali hanno diritto di esistere, è vero. Ma l’uniatismo è una parola
di un’altra epoca. Oggi non si può parlare così. Si deve trovare un’altra strada».
In tal modo, colloquiando con i giornalisti il papa, con una sola frase, si potrebbe
dire, ha rimosso la pietra d’inciampo tra
ortodossi e cattolici, esistente già da molti
secoli (la prima Unione, di Lyon, risale al
1274), e che era divenuto negli ultimi
tempi l’ostacolo maggiore al dialogo. Per
la prima volta un romano pontefice ha
espresso su questa diatriba un’opinione
che coincide con la posizione degli ortodossi.
Questa stessa posizione era già stata
elaborata nel corso del dialogo teologico
tra ortodossi e cattolici ed era stata espressa in un documento, adottato nel 1993 a
Balamand (Libano), dalla VII Assemblea
plenaria della Commissione teologica
mista. In esso entrambe le parti hanno riconosciuto che «all’epoca attuale l’uniatismo non costituisce un modo accettabile
per il raggiungimento dell’unità della
Chiesa». Ma il documento di Balamand
non è mai stato ratificato dall’autorità ecclesiastica né dell’una, né dell’altra Chiesa, e dopo questo il dialogo si è fermato
per diversi anni. Quando le attività della
Commissione mista hanno ripreso nel
2005, la questione circa l’uniatismo era
stata tolta dall’ordine del giorno.
Tuttavia, negli ultimi tempi la Chiesa
ortodossa russa insiste sempre più spesso
sul fatto che in avvenire la questione del
primato, nel quadro della Commissione
mista per il dialogo teologico, dovrà essere affrontata parallelamente alla valutazione del fenomeno dell’uniatismo. Si
può dire che il 30 novembre 2014 la
Chiesa cattolica non soltanto ha accettato le condizioni poste dalla Chiesa russa,
ma il suo capo supremo, con la propria
inattesa dichiarazione, ha disapprovato il
fenomeno dell’uniatismo.
Dopo una dichiarazione del genere,
senza precedenti, papa Francesco ha
proseguito la conversazione con i giornalisti, e in tutta sincerità ha detto: «Adesso,
“atterriamo” a Mosca. Con il Patriarca
Kirill... io gli ho fatto sapere, e anche lui è
d’accordo, c’è la volontà di trovarci. Gli
ho detto: “Io vengo dove tu vuoi. Tu mi
chiami e io vengo”; e anche lui ha la stessa volontà. Ma in questi ultimi tempi, con
il problema della guerra, il poveretto ha
tanti problemi lì, che il viaggio e l’incontro con il papa è passato in secondo piano. Ma tutti e due vogliamo incontrarci e
vogliamo andare avanti».
Colloquiando con i giornalisti, il papa ha mostrato di aver coscienza del
problema dell’opposizione interna da
parte degli ultraconservatori, che esiste
in entrambe le Chiese, e ha sottolineato
l’importanza che ortodossi e cattolici si
mettano d’accordo circa la data della
Pasqua e la festeggino insieme. In ogni
Chiesa, secondo papa Francesco, i conflitti interni nascono in conseguenza di
una certa «introversione» spirituale,
quando la Chiesa è autoreferenziale, ripiegata su se stessa e i propri problemi.
«Quando si rispecchia in se stessa, la
Chiesa rinuncia a essere Chiesa per essere una ong teologica».
Dunque: «Non si può aspettare: l’unità è un cammino, un cammino che si deve fare, che si deve fare insieme», dice il
vescovo di Roma Francesco. Reagirà la
Chiesa ortodossa russa a queste parole?
Oppure la voce dei problemi interni risuonerà per noi più forte della preghiera
del Salvatore per l’unità dei suoi discepoli
e dei loro seguaci nei secoli a venire? Egli
infatti prima della sua Passione ha chiesto
al Padre: «Non prego solo per questi, ma
anche per quelli che per la loro parola
crederanno in me; perché tutti siano una
sola cosa». E sappiamo che dall’unità dei
seguaci di Cristo dipende l’incidenza della loro testimonianza al mondo: «Come
tu, Padre, sei in me e io in te, siano
anch’essi in noi una cosa sola, perché il
mondo creda che tu mi hai mandato»
(Gv 17,20-21).
hieromonaco Ioann
(Giovanni Guaita)*
* Chiesa ortodossa russa, Dipartimento relazioni esterne. La versione originale di questo articolo, in lingua russa, è uscita il 4.12.2014 sul sito
web ortodosso russo www.bogoslov.ru.
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Anniversari
i
N
el settembre del 2008,
predicando nella cattedrale metropolitana
di Buenos Aires, l’arcivescovo Jorge Mario
Bergoglio ricordava Agostino Casaroli. Lo definiva «quel grande cardinale che ha avuto la Chiesa», citava
come sua strada abituale «il martirio
della pazienza» e affermava che la sua
«grande diplomazia che ha dato tanti
frutti alla Chiesa» si era alimentata
con la carità.
Ad esempio di questa carità portava il suo affetto per i ragazzi del carcere minorile romano: «C’è una cosa,
un aneddoto della vita del card. Casaroli che mi ha sorpreso. Ogni sabato
pomeriggio il cardinale scompariva,
“sta riposando” si diceva. Un giovane
prete andava a un istituto correzionale per minori, un riformatorio. Era un
cappellano molto buono che andava
in autobus con la sua valigetta, e si
fermava lì confessando i ragazzi, giocava con loro. Lo chiamavano don
Agostino, nessuno sapeva molto di
più».
Il futuro papa Francesco vedeva in
Casaroli il paradigma del «mediatore». Mediatore di bene, di amore.
«Instaurare l’amore – rifletteva il
card. Bergoglio – è un lavoro di artigiani, di pazienti, di persone che
spendono tutto quello che hanno per
persuadere, per ascoltare, per avvicinare. E questo lavoro artigianale ha
pacifici e magici creatori d’amore. È il
compito del mediatore, [che] confondiamo a volte con il termine di “intermediario” e non è la stessa cosa. Il
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Casaroli
l mediatore
Ostpolitik: gli obiettivi pastorali
dell’opera della sua vita
mediatore è colui che, per unire le
parti, paga con il suo stipendio, paga
con il suo, si consuma lui stesso. L’intermediario è quel dettagliante che fa
sconti ad ambedue le parti per avere il
suo meritato guadagno. L’amore ci
colloca nel ruolo di mediatori, non di
intermediari. E il mediatore sempre
perde, perché la logica della carità è
arrivare a perdere tutto perché vinca
l’unità, perché vinca l’amore (…). La
legge del cristiano è la stessa del mediatore, (…) è abbassarsi in questo
compito di essere mediatore. Abbassarsi».
Da minutante, negli anni Cinquanta, si occupa di America Latina,
contribuendo alla costituzione del
Consiglio episcopale latinoamericano
(CELAM). All’America Latina resterà legato e vi effettuerà missioni anche da segretario di stato, occupandosi tra l’altro della mediazione tra Argentina e Cile per il Canale di Beagle.
Sottosegretario agli Affari ecclesiastici straordinari dal 1961, Giovanni
XXIII gli affida le prime missioni di
quella che sarà l’Ostpolitik vaticana.
È l’opera della sua vita. Si tratta di
alleviare le condizioni della Chiesa
cattolica nei paesi dell’Est comunista.
È una preoccupazione pastorale, che
passa però per contatti diplomatici e
politici in senso lato, poiché i regimi
dell’Est non intendono altro linguaggio. Anche per questo la si dirà, nella
pubblicistica, «Ostpolitik», per analogia con la politica di Willy Brandt che
peraltro era tutt’altro concetto. La si
sarebbe potuta chiamare «Ostpastoral», come piaceva a Giovanni Paolo
I, perché se la politica era il mezzo, la
salute delle anime era il fine.
Sono stati i papi a decidere l’Ostpolitik, Casaroli ne era l’esecutore e
spesso ne era anche il parafulmine,
perché i critici lo prendevano a bersaglio, non osando censurare esplicitamente Giovanni XXIII, Paolo VI o
Giovanni Paolo II. Lui, Casaroli, non
si offendeva, era serenamente persuaso in Dio che il suo lavoro fosse necessario per soccorrere comunità cristiane boccheggianti, a rischio di estinzione.
Le nomine episcopali:
il capitolo più delicato
All’Est, il suo lavoro consistette soprattutto nell’ottenere beneplaciti governativi alla nomina di vescovi di fiducia della Santa Sede. L’esistenza di
una gerarchia era indispensabile per
preservare le Chiese, per reclutare il
clero, per scongiurare l’appassimento
di comunità spesso private dei mezzi
di grazia, per evitare il consolidamento in Chiese nazionali fuori dalla comunione cattolica di quelle che erano
le associazioni del clero collaborazionista promosse dai regimi contro Roma, ciò che significava degli scismi.
Un quarto di secolo prima di impegnarsi nell’Ostpolitik, Casaroli aveva discusso presso la Pontificia università lateranense una tesi in diritto
canonico dal titolo De episcoporum
nominatione novum ius. Forse, nel
trattare con Budapest o Praga, l’esperienza diplomatica di tanti anni lo
aiutava ben più di uno studio teorico
giovanile. Questo tema di gioventù è
nondimeno significativo. Le nomine
episcopali costituivano il capitolo più
delicato dei vari processi di Ostpolitik
(tranne che in Iugoslavia e in Germania orientale). Non era facile per la
Santa Sede assumere informazioni
sui candidati, lo si doveva fare con infinita pazienza e accortezza per la politica di disinformazione dei regimi. I
negoziati con le autorità comuniste,
poi, erano tanto difficili da far dire a
Casaroli d’essere «quasi impossibili»,
salvo mettersi, di volta in volta, a lavorare sul «quasi». Il governo cecoslovacco rigettò fin un centinaio di proposte della Santa Sede per nomine
episcopali.
Gli esiti dei negoziati con i governi
comunisti sono stati oggetto di valutazioni discordanti soprattutto in relazione alle nomine ottenute. Secondo
un luogo comune della critica all’Ostpolitik, la Santa Sede avrebbe
commesso errori nella scelta dei vescovi, in sostanza perché i candidati
non erano ferrei oppositori dei regimi. Ma la Santa Sede aveva obiettivi
pastorali, non politici. Non desiderava vescovi che d’ufficio facessero i dissidenti, mettendo la politica al centro
della loro attività, bensì uomini che
fossero dei pastori.
Un candidato andava valutato per
aderenza al Vangelo e semmai per fedeltà a Roma. Occorrevano uomini
spirituali, non personaggi con attitudini gladiatorie sulla scena pubblica.
Lo stesso Giovanni Paolo II, giustamente celebrato come il vincitore del
comunismo, non giudicava i candidati all’episcopato col metro del loro atteggiamento politico, anche se certamente non voleva candidati collaborazionisti dei governi. Un buon vescovo lo si vedeva dall’azione pastorale,
non dalle esternazioni contro i regimi,
pur necessarie all’occorrenza.
I risultati dell’Ostpolitik erano
scarsi, i negoziati erano ardui, i governi applicavano gli accordi in maniera
parziale e infedele, ma intanto alcuni
vescovi erano nominati, contatti erano riallacciati con preti e presuli di cui
si era persa traccia, una comunione
riprendeva attraverso la «cortina di
ferro», ecclesiastici perseguitati venivano liberati e amnistiati. Si era molto
lontani dalla libertà religiosa, ma il
deperimento delle Chiese era rallen-
tato. La Santa Sede non aveva altre
risorse che la diplomazia e il diritto,
oltre alla fede e alla speranza.
La forza del diritto
Casaroli era consapevole di poter
contare solo sulla «forza debole» di cui
parla san Paolo. Osservava nel 1973 a
New York, innanzi al Council on Foreign Relations: «Non possiamo non
riconoscere che il margine di possibilità [negoziale] è ridottissimo e che la
logica stessa del sistema, per la sua
componente ideologica e per le sue caratteristiche di “totalità”, tende piuttosto a ridurlo, se non addirittura a sopprimerlo. D’altra parte si tratta di uno
sforzo doveroso. Né pare che lo si debba considerare senz’altro “disperato”.
Si tratta di un compito storico di grande respiro, e va affrontato con il coraggio e l’apertura mentale che sono indispensabili quando della storia non si
vuole e non si deve essere soltanto
spettatori e vittime, ma, nei limiti del
possibile, forgiatori».
Se questo era lo scenario della diplomazia, quanto alle scienze giuridiche vorrei invece ricordare come i negoziati fossero intesi a costruire una
tutela legale per le comunità cattoliche
e i singoli fedeli. Casaroli sapeva che
nella logica totalitaria dei regimi il fine
giustificava i mezzi, tuttavia notava
come eventuali accordi, una volta di
pubblico dominio, non potevano essere violati senza suscitare comunque
una riprovazione dell’opinione internazionale e una perdita di prestigio e
legittimità. Per questo il diritto aveva
valore per sé stesso. Vale la pena ricordare un episodio al riguardo. La partecipazione della Santa Sede al processo di Helsinki fu oggetto di molte
esitazioni. Dai tempi del Congresso di
Vienna la Santa Sede non partecipava
a un’assise politica multilaterale. Inoltre l’articolo 24 del Trattato del Laterano del 1929 la impegnava a rimanere «estranea alle competizioni temporali tra gli altri stati e ai congressi internazionali indetti per tale oggetto».
L’articolo era da interpretare secondo
le circostanze.
In ogni caso, Paolo VI e Casaroli
intravidero nella Conferenza paneuropea una felice chance di riunificazione del continente e di affermazione
delle libertà fondamentali entro il
blocco sovietico, sulla base di un discorso che era soprattutto giuridico, e
per questo accettarono il rischio politico. Come disse il papa a Casaroli: «La
Conferenza può essere politica, ma si
pone essenzialmente sul piano giuridico e dei principi, sul quale anche la
Santa Sede è competente a titolo speciale. E quando il diritto è riconosciuto, anche se poi non è osservato, il diritto ha forza in sé».
Era peraltro il mestiere di Casaroli
l’ancorare il più possibile il diritto alla
storia e alla politica. Lo si vede nel
ventaglio di diverse soluzioni esperite
nell’Ostpolitik. Le intese raggiunte differivano da governo a governo. Casaroli era fermo nel concedere solo nella
misura in cui otteneva. Soltanto con la
Iugoslavia si giunse a stabilire relazioni diplomatiche vere e proprie, dopo
un periodo di prova. Con gli altri stati
non furono riallacciate relazioni diplomatiche, ma furono trovati modi
originali di tenere aperte comunicazioni stabili. Come ogni intesa concordataria è unica, particolare, così ciascuna trattativa con governi dell’Est
aveva tempi e formule proprie.
A Casaroli va infine riconosciuto il
rilancio dello strumento concordatario come garanzia di libertà della
Chiesa per l’esercizio della propria
missione universale. Nel periodo che
data dalla sua nomina a segretario della Congregazione per gli affari ecclesiastici straordinari nel luglio 1967 sino alle sue dimissioni da segretario di
stato alla fine del 1990, saranno oltre
cinquanta gli accordi bilaterali, le convenzioni, i concordati e i protocolli
sottoscritti su varie tematiche dalla
Santa Sede con nazioni di quasi tutti i
continenti.
Pietro Parolin*
* Il card. Parolin, che da un anno circa è a
capo della Segreteria di stato della Santa Sede,
ha pronunciato questo intervento al convegno
«Agostino Casaroli: lo sguardo lungo della Chiesa», organizzato a Piacenza il 21-22 novembre
scorsi dall’Università cattolica del Sacro Cuore
in occasione del centenario della nascita del cardinale. Al convegno sono intervenuti anche: il
card. G.B. Re; i vescovi G. Ambrosio, C. Giuliodori e J.O. Ruiz Arenas; i proff. G. Dalla Torre,
G. Feliciani, F. Margiotta Broglio, C. Mirabelli,
R. Morozzo della Rocca, A. Riccardi, G.M.
Vian. Riprendiamo le parole del card. Parolin
secondo lo stralcio pubblicato su L’Osservatore
romano il 23.11.2014.
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Diplomazia
t
I
l comunicato con il quale la Segreteria di stato vaticana saluta
la decisione dei governi degli
Stati Uniti d’America e di Cuba
di stabilire relazioni diplomatiche è piuttosto scarno, ma essenziale.
Da esso trapela il lavoro di mediazione
intenso, diretto che papa Francesco e
la diplomazia della Santa Sede hanno
svolto per arrivare a questo risultato:
«Nel corso degli ultimi mesi, il santo
padre Francesco ha scritto al presidente della Repubblica di Cuba, il sig.
Raúl Castro, e al presidente degli Stati
Uniti, il sig. Barack H. Obama, per
invitarli a risolvere questioni umanita-
Cuba e gli USA
odos americanos
I « b u o n i o f f i c i » v a t i c a n i e i l f a t t o r e Fr a n c e s c o
rie d’interesse comune, tra le quali la
situazione di alcuni detenuti, al fine di
avviare una nuova fase nei rapporti tra
le due parti. La Santa Sede, accogliendo in Vaticano, nello scorso mese di
ottobre, le delegazioni dei due paesi,
ha inteso offrire i suoi buoni offici per
favorire un dialogo costruttivo su temi
delicati, dal quale sono scaturite soluzioni soddisfacenti per entrambe le
parti» (17 dicembre 2014).
La lunga mediazione
Dunque, a seguito dell’incontro di
Obama con Francesco, a Roma, nel
marzo scorso, la questione umanitaria
27 marzo 2014: Barack Obama
incontra papa Francesco.
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del funzionario americano Alan Gross,
arrestato cinque anni fa, è diventata
l’occasione dalla quale provare a fare
ripartire il dialogo. Poi ci sono stati colloqui tra il Vaticano e le diplomazie
dei due paesi (la presenza del segretario di stato americano Kerry in Vaticano in almeno due occasioni ne è una
traccia), fino a ospitare incontri diretti
tra le delegazioni delle due parti.
L’amministrazione americana, in
particolare proprio con il segretario di
stato succeduto a Hillary Clinton, il
cattolico John Kerry, si è appoggiata
alla diplomazia vaticana, la quale,
avendo cercato da sempre il dialogo
con il regime castrista, nel tempo aveva progressivamente migliorato i rapporti con Cuba. La Santa Sede ha
sempre avuto uno sguardo attento alla
situazione cubana, all’interno del suo
disegno di Ostpolitik. Senza tornare al
ruolo svolto da Giovanni XXIII durante la crisi della Baia dei Porci, basti
ricordare che l’isola caraibica fu la
meta di uno dei viaggi storici di Giovanni Paolo II, nel 1998.
Quella visita di papa Wojtyla significò l’avvio di un riconoscimento reciproco tra la Chiesa cattolica e lo stato
cubano, riconoscimento che mirava
non solo alla sopravvivenza della Chiesa nell’isola, ma anche alla cooperazione nella gestione della lenta fuoriuscita
dal regime castrista. Giovanni Paolo II
rimase colpito dal linguaggio di Fidel
Castro, non privo di punti comuni con
quello della Chiesa. E se il viaggio in
Nicaragua del 1983 aveva prodotto nel
papa polacco una generale chiusura
nei confronti dell’America Latina, il
viaggio a Cuba, paradossalmente, ne
aveva riaperto la visione.
Già allora, dal suo ufficio presso la
sezione per i Rapporti con gli stati della Segreteria di stato, mons. Parolin
aveva seguito la preparazione della visita papale. Ma un ruolo decisivo nella
costruzione di quel viaggio storico lo
ebbe il card. Etchegaray. Lo testimonia il fatto che Fidel Castro gli regalò
un presepe, simbolo della restituzione
della festa natalizia che proprio il dittatore cubano aveva, negli anni successivi alla rivoluzione, abolito.
Benedetto XVI, a sua volta, visitò
l’isola nel 2012. Incontrò Fidel, ma soprattutto il fratello Raúl, divenuto presidente di Cuba nel 2008. Il viaggio di
papa Benedetto era stato gestito dall’allora segretario di stato, card. Tarcisio
Bertone, che si recò anticipatamente a
Cuba, e preparato dai suoi due vice in
Segreteria di stato, il segretario per i
Rapporti con gli stati Dominique
Mamberti, che a sua volta aveva visitato l’isola caraibica, e il sostituto agli Affari generali, mons. Angelo Becciu, che
a Cuba era stato nunzio apostolico.
Non meno decisivo il ruolo dell’allora mons. Parolin, che dal 2009 era stato
nominato (potremmo dire esiliato) nunzio apostolico in Venezuela: un luogo
decisivo per comprendere le fragilità
economiche, sociali e politiche dell’intera area. Dopo la fine dell’URSS, il Venezuela di Hugo Chávez era diventato
l’unico sostegno economico del regime
castrista. Puntello oggi messo a grave rischio per la crisi del prezzo del petrolio
e per le forti difficoltà nelle quale versa
lo stesso Venezuela.
Un ruolo di testimonianza fondamentale lo ha sempre svolto la Chiesa
locale, come anche di recente ci ha
raccontato mons. Juan de Dios Hérnandez Ruiz, vescovo ausiliare de
L’Avana e segretario generale della
Conferenza dei vescovi cattolici di
Cuba (nel contesto di una più ampia
intervista al presidente mons. García
Ibañez; cf. Regno- att. 20,2014,730). A
pubblicare gli appunti che il card.
Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos Aires, aveva preparato per il suo
intervento nelle congregazioni generali prima del Conclave che lo elesse
papa fu, per dire della familiarità dei
rapporti con la Chiesa cubana, l’arcivescovo de L’Avana, Jaime Lucas Or-
tega y Alamino. è allo stesso arcivescovo che si devono le trattative più
delicate tra la Chiesa e il regime, anche per scopi umanitari.
Quale panamericanismo?
Gli Stati Uniti d’America aprono a
Cuba, ristabiliscono le relazioni diplomatiche con L’Avana che erano state
interrotte nel 1961 in seguito alla rivoluzione di Fidel Castro. Il disgelo matura «in quarantacinque minuti di colloquio tra Barack Obama e Raúl Castro», rivela la Casa Bianca. «Negoziati
rapidi, per una riapertura dell’ambasciata USA in tempi stretti», è l’incarico che Obama affida al suo segretario
di stato Kerry. Con un occhio ai diritti
umani, che sarà più facile sostenere abbattendo il muro dell’isolamento.
Obama inizia anche a smantellare
l’edificio delle sanzioni: saranno immediatamente più facili i viaggi e le transazioni finanziarie, le comunicazioni,
l’export dagli USA, la cancellazione di
Cuba dalla lista dei paesi fiancheggiatori del terrorismo. Si va verso la conclusione formale di un embargo che si è
dimostrato inefficace e dannoso per
entrambe le parti. Ma per questo Obama avrà bisogno del voto del Congresso. E qui l’esito, nel biennio elettorale
delle presidenziali, non è scontato.
«Da oggi cambiano i rapporti tra il
popolo americano e quello cubano. Si
apre un capitolo nuovo nella storia delle Americhe», ha detto Barack Obama,
dando lo storico annuncio. Si chiude
una crisi durata 53 anni e che ha conosciuto alterne vicende di significato internazionale, anche di tipo simbolico:
dal mito di Che Guevara alla prova nucleare tra USA e URSS sull’istallazione dei missili a Cuba, dall’epopea tragica dei Kennedy ai lunghi anni del logoramento.
L’annuncio in diretta televisiva del
presidente Obama, concluso con quella frase destinata a restare nella storia:
«Todos somos americanos», segna la ripresa di una politica panamericana che
ha avuto declinazioni diverse. Il progetto d’integrazione delle Americhe,
che è stato una delle stelle polari della
politica estera americana, ha conosciuto interpretazioni persino opposte se si
pensa alla dottrina Monroe (l’America
agli americani) o alla strategia di buon
vicinato formulata da Franklin Delano
Roosevelt, alla creazione dell’Organizzazione degli stati americani (OSA) da
parte di Truman o all’Alleanza per il
progresso di Kennedy, fino ai vertici
delle Americhe convocati da Clinton a
partire dal 1992.
Come gli USA possano riprendere
una leadership nelle Americhe e di che
leadership si tratti è questione tutta da
scoprire. Certo, dopo gli scandali delle
torture praticate dalla CIA, l’America
rischia di smarrire il concetto di sé come idealità e non solo come potenza. E
la giustificazione della sua potenza è
legata a quella idealità. Anche di questo Kerry ha parlato il 15 dicembre
scorso in Vaticano.
A due anni dalla sua elezione, papa
Francesco ha avviato un’intensa azione internazionale a favore della pace,
rilanciando il ruolo stesso della diplomazia della Santa Sede. Lo testimonia
la geografia dei viaggi effettuati: in Medio Oriente, in Turchia, in Sud Corea,
in Brasile, in Albania, in Francia (Europa). Tra un mese andrà in Sri Lanka e
nelle Filippine e in autunno negli Stati
Uniti. Non è un pontificato politico, il
suo, ma ha ben chiara la geopolitica del
nostro tempo, così da poter affrontare
il nodo decisivo per la Chiesa e per l’umanità dell’annuncio della pace.
Che quella visione promani e sia
frutto di un’interpretazione legata all’emisfero Sud appare un dato carico di
conseguenze. Come per il confronto
tra Wojtyla e l’Est europeo aveva giocato in modo decisivo il dato della provenienza del papa dalla Polonia, così,
in questo caso specifico, lo storico arrivo di un cardinale argentino sul soglio
di Pietro ha certamente impresso un’accelerazione alla questione dei rapporti
tra USA e Cuba.
Dopo il successo di questa iniziativa, cambia anche il profilo di Francesco negli Stati Uniti. E il prossimo viaggio di Francesco si fa più interessante,
carico di possibilità. Un papa latinoamericano, che George Bush aveva apertamente contrastato, pranzando con i
cardinali nordamericani alla vigilia del
Conclave del 2005, oggi appare come
provvidenziale proprio per una nazione in profonda crisi e in difficoltà come
gli Stati Uniti d’America. In fondo, «todos somos americanos».
Gianfranco Brunelli
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S tat i U n i t i
g
S
ono trascorsi 50 anni dal
Civil Rights Act del 1964
che rimosse il sostegno della legge alla discriminazione dei cittadini americani
sulla base della razza, colore, religione, sesso od origine nazionale. Ma il
razzismo è ben lungi dall’essere stato
eliminato dalla società americana.
Negli ultimi mesi e anni i media (e i
social media prima di tutto) hanno
portato alla luce una lunga serie di uccisioni di giovani afroamericani da
parte di bianchi – vigilantes privati e
poliziotti in servizio: un arco iniziato
con l’uccisione di Trayvon Martin da
parte di un privato cittadino in Florida nel febbraio 2012 e culminato con i
casi di Michael Brown in Missouri e di
Eric Garner a New York, entrambi
uccisi da poliziotti nell’estate del 2014.
In questi ultimi due casi i responsabili non hanno dovuto affrontare
neppure un processo: infatti nel sistema americano è un grand jury che decide se le accuse e le circostanze sono
tali da rendere necessario il processo.
La cosa sconvolgente è che la violenza
su Eric Garner è stata integralmente
ripresa in video. Nelle grandi città
americane si sono avute tra fine novembre e metà dicembre manifestazioni di protesta di rara intensità. Barack Obama, il primo presidente nero
degli Stati Uniti, ha dovuto celare il
suo evidente stato di shock nelle imbarazzate, ormai rituali dichiarazioni
dalla Casa Bianca che seguono questi
verdetti di assoluzione preventiva
emessi al posto di un processo vero e
proprio.
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22/2014
Te o l o g i c a t t o l i c i
iustizia razziale
La polizia è violenta, i neri ne sono vittime
L’8 dicembre 2014, dunque a metà del secondo mandato di Obama, è
stata pubblicata una Dichiarazione dei
teologi cattolici sulla giustizia razziale,
firmata da alcune centinaia di docenti
(laici e non) nella vastissima rete di
scuole e università cattoliche americane. La lista dei nomi raccoglie il meglio della teologia cattolica americana
dalle università di ogni tipo, orientamento e provenienza geografica. Primo firmatario nonché estensore del
documento è Tobias Winright (Mäder
Chair of Health Care Ethics alla Saint
Louis University, dei gesuiti), teologo
moralista specializzato in questioni di
giustizia sociale e violenza (e con un
passato di appartenenza alle forze di
polizia). In primo piano tra i firmatari
vi è anche il teologo afroamericano
cattolico più influente oggi, Bryan
Massingale (Marquette University,
anch’essa dei gesuiti).1
Il documento si apre con la presa
d’atto che l’Avvento 2014 è attraversato da una situazione di tensione. La
venuta di Gesù Cristo promette lo
shalom (Lc 2,14): ma «la speranza per
una pace giusta deve confrontarsi con
i flagranti fallimenti di una nazione
ancora schiava del peccato, avvolta e
complice in una situazione di ingiustizia razziale». La dichiarazione evoca
Martin Luther King e le sue Lettere
dal carcere di Birmingham (1963):
«King sfidò i cristiani “bianchi moderati” che sono più devoti dell’ordine
che della giustizia, e che preferiscono
una pace negativa, che è assenza di
tensione, a una pace positiva che è
presenza di giustizia. Questa sfida per
la comunità dei cristiani bianchi è rilevante oggi come lo era 50 anni fa».
Razzismo e inequità
Segue una lunga citazione della
Evangelii gaudium di papa Francesco:
«Oggi da molte parti si reclama maggiore sicurezza. Ma fino a quando non
si eliminano l’esclusione e l’inequità
nella società e tra i diversi popoli sarà
impossibile sradicare la violenza. Si
accusano della violenza i poveri e le
popolazioni più povere, ma, senza
uguaglianza di opportunità, le diverse
forme di aggressione e di guerra troveranno un terreno fertile che prima o
poi provocherà l’esplosione. Quando
la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una
parte di sé, non vi saranno programmi
politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Ciò non accade soltanto perché l’inequità provoca
la reazione violenta di quanti sono
esclusi dal sistema, bensì perché il sistema sociale ed economico è ingiusto
alla radice. Come il bene tende a comunicarsi, così il male a cui si acconsente, cioè l’ingiustizia, tende a espandere la sua forza nociva e a scardinare
silenziosamente le basi di qualsiasi sistema politico e sociale, per quanto solido possa apparire» (n. 59; Regno-doc.
21,2013,653).
La seconda parte della dichiarazione procede per punti. I firmatari si
impegnano a esaminare la loro stessa
complicità con un sistema sociale ancora vittima del razzismo, e in particolare ancora caratterizzato dall’idea
di una superiorità dei bianchi e di
un’inferiorità dei neri; alla pratica penitenziale del digiuno nei venerdì di
Avvento e Quaresima; a manifestare
concreta solidarietà con i movimenti
di protesta contro il razzismo in America. Un secondo punto riguarda il
rapporto con la polizia: la dichiarazione chiede «un radicale ripensamento delle politiche di polizia» e delle linee guida per l’uso della forza letale da parte della polizia – per un ritorno al principio dell’uso della forza
solo per legittima difesa – e una maggiore trasparenza e accountability da
parte delle forze dell’ordine. Un altro
punto propone una discussione del
conflitto d’interesse esistente tra procuratori e dipartimenti di polizia, alla
luce del fallimento dei grand jury nel
portare a processo poliziotti chiaramente colpevoli di eccessi nell’uso
della forza e delle armi.
La dichiarazione auspica anche la
convocazione di una «Truth and Reconciliation Commission» che esamini la questione della giustizia razziale
in America, prendendo ad esempio il
precedente (2004) della «Truth and
Reconciliation Commission in North
Carolina». Infine, la dichiarazione
chiama i vescovi a farsi portavoce di
una testimonianza da parte della
Chiesa cattolica contro il razzismo: è
necessaria una rivisitazione di documenti ufficiali, ormai datati, sul razzismo e una loro riproposizione nelle
parrocchie, diocesi e seminari.
La dichiarazione dei teologi va letta nel contesto sociale americano. I recenti avvenimenti a danno di giovani
di colore sono particolarmente gravi,
ma non sono eccezionali dal punto di
vista statistico. I dati disponibili dicono che la popolazione di colore è soggetta alla violenza della polizia in misura enormemente maggiore del resto
degli americani (specialmente dei bianchi), e che la polizia è raramente chiamata a rendere conto dell’uso della
violenza, anche di quella letale, in modo particolare quando le vittime sono
afroamericane (in molti casi teenager,
talvolta anche bambini) e i poliziotti
sono bianchi. L’altra faccia di un establishment legale dai tratti razzisti è poi
il sistema giudiziario americano, che
persegue, incarcera, condanna a morte (negli stati in cui è legale) gli afroa-
mericani in misura sproporzionatamente maggiore rispetto al resto della
popolazione.
Le responsabilità
dei cattolici
In tutti gli stati-nazione avvolti dalla crisi del welfare state in Occidente,
una delle caratteristiche dominanti è la
militarizzazione del controllo sociale.
Questo è particolarmente vero negli
Stati Uniti. Negli ultimi anni in America le tecniche di polizia si sono sempre
più militarizzate, anche a livello locale
e non solo federale: certamente frutto
della possibilità di utilizzare gratuitamente l’arsenale militare costruito nella paranoia seguita agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001, ma anche conseguenza di una svolta «Law
and order» che iniziò negli anni Settanta-Ottanta, culminò con la presidenza
Clinton e si è intensificata in tutte le
presidenze successive (tra il 1973 e il
2007 la popolazione carceraria è aumentata di cinque volte).2
Tuttavia, la vera differenza tra l’America e altri paesi è la permanente rilevanza del colore della pelle e dello
status socio-economico quando si ha di
fronte l’apparato repressivo e il potere
giudiziario. La presidenza Obama ha
coinciso con una rinnovata presa di coscienza delle disparità tuttora esistenti
– e crescenti – tra le diverse componenti della società americana: in particolare le diverse componenti razziali («razza» è un termine che in America, al
contrario che in Europa, non è scomparso dal vocabolario). È ormai evidente che ogni gruppo razziale negli
Stati Uniti sta percorrendo un certo
cammino sulla scala sociale: i latinos e
gli asiatici salgono, gli afroamericani
continuano a scendere e i bianchi di
discendenza europea resistono dovendo fronteggiare il declino demografico
del loro gruppo.
I cattolici hanno, come tutti gli altri
cittadini americani, qualcosa di cui
rendere conto rispetto a questa involuzione della società americana. La
Chiesa cattolica negli Stati Uniti è la
singola Chiesa più grande (e la somma
di tutti gli ex cattolici americani formerebbe il secondo gruppo religioso del
paese per numero). Nel corso degli ultimi decenni, inoltre, i cattolici americani hanno asceso la scala sociale, anche
in Parlamento e nel sistema giudiziario
(attualmente 6 giudici su 9 della Corte
suprema federale sono cattolici).
Nella crisi morale e giuridica aperta
dall’11 settembre 2001 e dalla war on
terror, i cattolici americani sono stati in
prima linea, sia dalla parte degli oppositori (i teologi e gli attivisti cattolici, un
po’ meno i vescovi) della creazione di
un national security state dai tratti
orwelliani, sia dalla parte degli ideologi
e creatori di questa autorappresentazione degli Stati Uniti (parte significativa dei cervelli assunti dalle presidenze
Bush e Obama nelle stanze del potere
giudiziario, militare, repressivo e dell’intelligence sono cattolici). La pubblicazione, il 9 dicembre 2014, del rapporto del Senato sulle attività della CIA
(specialmente le torture) ha poi riproposto la questione delle responsabilità
morali dei cattolici di fronte a un paese
in cui lo stato di diritto è diventato un
principio soggetto a una lunga serie di
eccezioni.3
La Chiesa e la teologia cattolica
americana condividono con il resto
della tradizione della «religione civile»
americana un calvinismo spurio che inquadra e relativizza la questione del
potere dello stato all’interno della soteriologia. La riflessione teologica sulla
questione della violenza legalizzata e
sul potere coercitivo dello stato è appena iniziata.4
Massimo Faggioli
1
Pubblicata sul sito Catholic Moral Theology
(http://catholicmoraltheology.com). Alla data
del 14.12.2014 le firme erano 388. Il sottoscritto,
docente in una università cattolica americana,
non potuto firmare in quanto non cittadino
americano, possessore di una «green card».
2
Cf. National Research Council, rapporto The Growth of Incarceration in the United
States. Exploring Causes and Consequences, a cura di J. Travis, B. Western, S. Redburn, National Academies Press, 2014.
3
Nel maggio 2012 la Franciscan University
of Steubenville, una delle università cattoliche
più tradizionaliste del paese, conferì a Michael
Hayden, già direttore della CIA, un dottorato
onorario. È iniziata una campagna per chiedere
all’università di ritirare quella onorificenza.
4
Cf. W. Cavanaugh, Torture and Eucharist: Theology, Politics, and the Body of Christ,
Blackwell, Oxford 1998; G. Schlabach (a cura), Just Policing, Not War: An Alternative Response to World Violence, Michael Glazier, Collegeville 2007; A. Levad, Redeeming a Prison
Society: A Liturgical and Sacramental Response
to Mass Incarceration, Fortress, Minneapolis
2014.
Il Regno -
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777
A m e r i c a L at i n a
è
S
econdo i risultati di una ricerca realizzata dall’agenzia
statunitense Pew Research
Center in 18 paesi del continente, il fenomeno dell’abbandono del cattolicesimo da parte di
vasti settori della popolazione latinoamericana è massiccio, di portata epocale. L’84% degli adulti interpellati dichiara di aver ricevuto un’educazione
cattolica dai propri genitori; ma solo il
69%, oggi come oggi, continua a professarsi cattolico. L’esodo prende la via
delle confessioni protestanti di ultima
generazione, tra cui spicca il movimento pentecostale. Il 19% della popolazione latinoamericana si dichiara evangelica, ma solo il 9% è nata nell’alveo
della fede protestante. Il 68% dei protestanti del Paraguay, il 66% in Perù e
il 54% in Brasile proviene dalla Chiesa
cattolica.
Pew Research
suonata una sveglia
Il passaggio dai cattolici agli evangelici
analizzato dal prof. Guzmán Carriquiry
Il fenomeno della «protestantizzazione cattolica» è comune in tutto il
subcontinente, con percentuali che vanno dal 74% della Colombia al 15% di
Panama. In Brasile, un quinto degli
evangelici attuali era cattolico e si distribuisce oggi tra le centinaia di denominazioni evangeliche che pullulano in
lungo e in largo all’interno delle frontiere della grande nazione sudamericana di lingua portoghese. Quali sono le
ragioni? Gli ex cattolici hanno risposto
che le congregazioni evangeliche garantiscono un senso più forte di appartenenza e di relazione personale con
Gesù Cristo.
«L’America Latina ospita più di
425 milioni di cattolici – scrive il Pew
Research Center –, circa il 40% del totale dei cattolici del mondo, e la Chiesa
cattolica ha un papa latinoamericano
per la prima volta nella sua storia bi-
Evoluzione dell’appartenenza religiosa in America Latina: 1910-2014.
100 %
94
92
94
80
Cattolici 69
60
40
Protestanti 19
20
3
4
1950
1970
1
0
1910
Fonte: Pew Research Center
778
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Senza appartenenza 8
2014
millenaria. Tuttavia, l’identificazione
con il cattolicesimo è declinata in tutta
la regione», a dispetto dell’immagine
positiva di cui il papa sudamericano
gode oltreoceano. A tutta prima, dati
certamente sorprendenti.
Il prof. Guzmán Carriquiry Lecour,
segretario incaricato della vicepresidenza della Pontificia commissione per
l’America Latina, esamina attentamente i risultati della ricerca. «Benvenuti siano i sondaggi e le inchieste statistiche sull’appartenenza e i comportamenti religiosi in America Latina. Coprono un vuoto che molte Chiese non
si sono mostrate interessate o capaci di
affrontare».
− Qual è la sua prima reazione alla
lettura di questi dati?
«Non dubito della serietà scientifica
del Pew Research Center, ma ho letto
che i risultati di questa ricerca si basano
su 30.000 interviste ad adulti in tutti i
paesi dell’America Latina, con l’eccezione di Cuba e l’inclusione di Puerto
Rico. 30.000 interviste in 19 paesi che
hanno, grosso modo, una popolazione
di un po’ meno di 600 milioni di abitanti! Mi sembra troppo ottimista il
margine di errore fra il 3% e il 4% che
segnalano gli autori del sondaggio. Ma
se anche fosse così le conclusioni potrebbero essere altre. Il New York Times
si è affrettato a titolare: “L’America
Latina sta perdendo la sua identità cattolica”. Io consiglierei di consultare, allo stesso tempo, un ottimo rapporto
della Corporación Latinobarómetro,
pubblicato il 16 aprile 2014 a Santiago
del Cile, su “Le religioni ai tempi di
papa Francesco”, che ha sintetizzato
una vasta mole di materiali di tutti i
paesi latinoamericani. Ci sono non poche concordanze con le statistiche del
Pew Research Center, ma le conclusioni sono che “il cattolicesimo è più resistente rispetto alle apparenze”».
Verso gli evangelici
del revival
− Se la ricerca del Pew Research conferma che Francesco gode di un’immagine positiva tra i latinoamericani, evidenzia pure che il flusso «cattolico» verso
le Chiese evangeliche non si arresta. È
così?
«Secondo il Pew Research, tra il
1970 e il 2014, i cattolici sono passati
dal 92% al 69% della popolazione latinoamericana. Se si tiene presente che
dal 1910 al 1970 il “peso” dei cattolici è
passato dal 94% al 92%, è evidente che
negli ultimi decenni c’è stata una forte
accelerazione nella loro diminuzione.
Allo stesso tempo la ricerca segnala che
tra il 1970 e il 2014 la percentuale dei
“protestanti” è passata dal 4% al 19%.
Questo flusso è evidente, ma mi sembra sproporzionato e forse esagerato
affermare che quasi 1 su 5 latinoamericani sia di affiliazione “protestante”».
− Che riflessioni le suggerisce questa
situazione?
«Una prima è ben posta dal rapporto della Corporación Latinobarómetro: l’America Latina ha vissuto negli
ultimi decenni movimenti migratori
impressionanti verso le città, una crescita disordinata e squilibrata dell’urbanizzazione, un’incorporazione sempre più accentuata alla cultura globale
e alla rivoluzione delle comunicazioni;
allo stesso tempo, dal 2003 ha vissuto il
periodo più prospero della sua storia,
che ha trasformato la vita e i consumi
di più di 70 milioni di abitanti facendoli
uscire dalla fascia della povertà per incorporarli ai nuovi ceti medi popolari.
Eppure questi fenomeni di grande portata non hanno provocato una massiccia corrente secolarizzatrice. Soltanto
l’8% dei latinoamericani si dichiara
agnostico o ateo. Se ai “cattolici” si
sommano i “protestanti” arriviamo a
un’altissima percentuale di “cristiani”
(simile a quella dei “cattolici” del 1910).
L’equazione ideologica “sviluppo economico-urbanizzazione-istruzione-secolarizzazione” non dà gli esiti previsti
dalle teorie della modernizzazione».
− Ciò non relativizza l’auge protestante…
«Il termine “protestante” è molto
ambiguo, non solo teologicamente,
ma anche riferito concretamente a
questa crescita in America Latina. Le
denominazioni classiche del protestantesimo (luterani, calvinisti, anglicani, presbiteriani, metodisti, ecc.)
continuano a costituire piccolissime
minoranze in America Latina, in crescita soltanto quando ci sono tra di loro comunità di “revival evangelico”.
La stragrande maggioranza della crescita “protestante” si concentra nelle
comunità che procedono da questo revival, prima negli Stati Uniti e poi
nell’America Latina. Tra di loro si trovano comunità che si richiamano agli
“evangelicali”, ai “neo pentecostali”,
alle “assemblee di Dio”, ai “battisti”,
agli “avventisti”, ecc., in una miriade
di comunità “autonome”, spesso senza legami le une con le altre».
− Con aree geografiche privilegiate?
«Le più forti migrazioni dei cattolici
verso queste comunità avvengono nei
paesi dell’America Centrale. In pochi
anni “cattolici” e “protestanti” saranno
alla pari in Guatemala; il Pew Research indica che la Chiesa cattolica ha
perso 30 e 29 punti percentuali dal
1970 al 2014 in Nicaragua e Honduras. Sono cifre impressionanti. Ma in
Messico i cattolici hanno registrato una
lieve crescita durante gli ultimi decenni
e nel Sudamerica ispanoamericano
una flessione assai contenuta. Preoccupa certamente il Brasile, con 15 punti
percentuali di flessione, ma ci sono segni che indicano che questa flessione è
molto diminuita negli ultimi dieci anni
(grazie anche alla straordinaria fioritura delle correnti cattoliche dei carismatici). Preoccupa la flessione del Cile negli anni recenti, dove gli scandali provocati dai crimini di uomini di Chiesa
le hanno fatto perdere credibilità in
vasti settori della borghesia e dei ceti
medi (Latinobarómetro, al contrario,
rileva che questi scandali hanno avuto
scarso influsso tra i cattolici degli altri
paesi latinoamericani)».
Una risposta
a portata di mano
«C’è poi un dato – prosegue il prof.
Carriquiry – che la Corporación Latinobarómetro aggiunge e che a mio pa-
rere è assai significativo: i “cattolici”
aumentano nella misura in cui aumenta il livello educativo, passando dal
64% nell’educazione di base al 72%
nell’educazione superiore, mentre i
“protestanti” diminuiscono con la crescita educativa dal 22 al 10%. Quale
cambiamento avrà più peso nell’avvenire: il cambio di età che favorisce gli
“evangelici” o la crescita dei livelli educativi che favorisce i “cattolici”?».
− In che cosa consiste l’“attrattiva”
delle Chiese evangeliche rispetto al cattolicesimo?
«Penso che le comunità evangeliche siano cresciute maggiormente nei
luoghi della convivenza dove c’è stata
una certa assenza, anche “fisica”, della
Chiesa cattolica: in povere periferie urbane, in nuovi quartieri dalla crescita
edilizia sregolata, in alcune zone di
campagna e di montagna, in comunità
indigene. I loro abitanti hanno trovato
la vicinanza di queste comunità, che
s’insediavano con grande semplicità e
si moltiplicavano velocemente, grazie a
una prassi agile e di breve durata nella
formazione dei “pastori” e anche in
virtù della loro tenace mobilità. Assistere ai loro culti nel garage convertito
in tempio, molto vicino a casa, nel
quartiere, risulta più agevole che percorrere chilometri sino ad arrivare alla
parrocchia cattolica più vicina. La sete
religiosa trovava così una risposta a
portata di mano.
Poco si è fatto in tante realtà della
Chiesa cattolica per essere, di fatto,
presenti nei nuovi luoghi di mobilità e
d’insediamento, e per rilanciare una
presenza in quelli più lontani ed emarginati. Inoltre, pesa la sempre maggiore scarsità di sacerdoti in relazione alla
crescita della popolazione. Nelle grandi città la Chiesa cattolica è soprattutto
presente nei ceti medi urbani; manca
quella preferenza delle periferie, come
l’ha promossa l’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio con la sua “pastoral de las
villas”. E così, nonostante la continua
reiterazione della scelta preferenziale
per i poveri, vasti settori dei poveri finiscono per preferire le nuove comunità
“evangeliche”».
− A fronte di un’alta percentuale positiva (54%), in Guatemala il 17 %
non approva l’operato del papa argentino. Quali possono essere le riserve profonde nei confronti di Francesco?
Il Regno -
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Ragioni che motivano l’abbandono della Chiesa cattolica
Per quale ragione importante non siete più cattolici?
% degli ex-cattolici
Ricerca di una relazione personale con Dio
81
Apprezzamento per lo stile delle celebrazioni
nelle nuove Chiese
69
Desiderio di un’enfasi maggiore sulla morale
60
Le nuove Chiese aiutano maggiormente i loro membri
59
Impegno sociale delle nuove Chiese
58
Problemi personali
20
Ricerca di un futuro finanziariamente più sicuro
14
Matrimonio con un partner non cattolico
9
Fonte: Pew Research Center
«Mi sorprende quel 17% di disapprovazione in Guatemala. Non credo
affatto che rappresenti la quinta parte
dei latinoamericani. Latinobarómetro
registra come molto alta e crescente la
credibilità della Chiesa cattolica in
questi due anni di pontificato. La stragrande maggioranza dei cattolici latinoamericani sono lieti, fieri ed entusiasti del pontificato di papa Bergoglio.
Credo che la percentuale degli “sconcertati”, resistenti e critici, che si sommano a piccoli nuclei di ultra-tradizionalisti, sia molto scarsa. Certo, sia le
pubblicazioni degli ultra-tradizionalisti
e reazionari sia la stampa liberal lontana dalla tradizione cattolica tendono a
diffondere un’immagine falsata del
pontefice a proprio uso, consumo e
propaganda».
Senza aspettare
l’«effetto Francesco»
− Esiste, secondo lei, una strada percorribile affinché possa realizzarsi un’inversione di tendenza nel flusso delle adesioni cattoliche ai movimenti evangelici?
O questa inversione di tendenza è già in
atto e si manifesterà in tempi che le statistiche registreranno tra diversi anni?
«Già dall’inizio di questo secolo molti hanno avvertito un flusso decrescente
nell’espansione proselitista delle comunità evangeliche. Inoltre, né il Pew Research né la Corporación Barómetro
hanno potuto ancora registrare
l’“effetto Francesco” nella vita dei latinoamericani e nell’evoluzione dei loro
comportamenti religiosi. Molti pastori
cattolici mettono in rilievo il fatto di in-
780
Il Regno -
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22/2014
contrare più gente nelle messe domenicali, nelle code presso i confessionali,
nelle processioni e in altre manifestazioni di pietà popolare. Non mancano
tante singole conversioni.
Il manifesto sbandierato da alcuni
fedeli durante il passaggio di papa
Francesco nelle strade di Rio di Janeiro
–“sono evangelico ma amo il papa” –
può essere il segno di un possibile ritorno di tanti verso la Chiesa cattolica.
Soltanto qualche giorno fa è stato reso
pubblico il risultato di un sondaggio intrapreso dalla Pontificia università argentina: nell’ultimo trimestre del 2013,
su un campione di 5.698 famiglie nel
paese, l’87% si dichiarava cattolico; il
rapporto del Pew Research, invece, registrava che soltanto il 71% degli argentini consultati si dichiarava tale.
Questa notevole differenza si deve certamente all’“effetto Francesco”.
Tuttavia, onestamente, è troppo presto per poterlo verificare; resta il fatto
che sia senza dubbio un tempo propizio e favorevole per la Chiesa cattolica
in America Latina. Ed è un bene che
questi sondaggi e ricerche statistiche
suonino almeno come una sveglia, in
primis per i pastori e i loro collaboratori in tutte le Chiese locali. Non si può,
di fatto, continuare a vivere di presunte
rendite di tradizione e di posizione,
laddove si soffrono processi di auto-secolarizzazione nella Chiesa. Bisogna,
da una parte, saper comprendere gli
aspetti positivi delle comunità evangeliche e andare oltre lo scambio di accuse vecchio e superfluo: “Voi siete la
mano lunga dell’imperialismo ameri-
cano, fate marketing religioso, siete fondamentalisti e settari, sostenitori di un
proselitismo aggressivo e ingannevole”, e ancora: “Voi non siete veri cristiani, ma mantenete il popolo in un
mix di superstizioni e arretratezza”;
occorre altresì imparare a stabilire rapporti di dialogo e di amicizia tra seri
interlocutori.
D’altra parte, bisogna compiere un
serio esame di coscienza su tutti i limiti
e le carenze relative all’educazione cristiana – investire molto più nella formazione cristiana del popolo, sulla base dei pilastri fondamentali della sua
identità cattolica: la sacramentalità
della Chiesa e il Corpus Domini, la
maternità di Maria santissima e la venerazione per il successore di Pietro – e
alla fragilità di un senso di appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa. Il popolo
cattolico deve crescere nella consapevolezza e responsabilità di essere un
popolo di discepoli-missionari. Direi
anche, e trovo questo fondamentale,
che alla riforma del papato – papa
Francesco parla spesso di “conversione” – si accompagni una riforma dell’episcopato, una sincera conversione dei
ministri della Chiesa.
Non possiamo accontentarci di
continuare a fare le stesse cose allo stesso modo. La “missione continentale”
non può ridursi a retorica ecclesiastica
o a programma aggiunto. Deve essere
il paradigma di tutta la vita delle nostre
Chiese. Papa Francesco non si stanca
di ripetere: “Educazione, educazione,
educazione”, e al contempo: “Uscita”
missionaria, che vuol dire andare incontro alla gente, casa per casa, quartiere per quartiere, ambiente per ambiente, cominciando dai più poveri e
bisognosi, senza escludere nessuno.
Nella convinzione che questa sia la più
profonda e soddisfacente risposta ai desideri del cuore e alla cultura dei popoli, che anelano amore e verità, giustizia
e felicità».
a cura di
Daniele Metelli*
* Questo articolo è apparso originariamente il 28.11.2014 sul blog di Alver Metalli Terre
d’America. News & Analisi dall’America Latina
(www.terredamerica.com). Ringraziamo l’autore e l’editore per aver acconsentito alla sua pubblicazione su questo numero de Il Regno.
Africa
Kenya
F
Cadute le accuse
ree at last, finalmente libero. Così,
riecheggiando addirittura una celebre citazione di Martin Luther King,
il quotidiano kenyano Daily Nation titolava il giorno dopo la notizia che il presidente della Repubblica, Uhuru Kenyatta,
non era più sotto processo davanti alla
Corte penale internazionale (CPI) per le
violenze post-elettorali del 2007-2008.
Ma l’accusa di essere stato uno degli istigatori degli scontri che provocarono almeno 1.000 morti e 600.000 sfollati, ha
avvertito il 5 dicembre scorso la procuratrice Fatou Bensouda, non è cancellata,
ma solo «sospesa». «Kenyatta – ha specificato Bensouda – non è stato assolto e il
caso potrà essere riaperto o istruito in
forma diversa» in futuro.
Resta tuttavia la dichiarazione di sostanziale sconfitta della responsabile
dell’accusa, che ha riconosciuto «l’impossibilità di provare le presunte responsabilità criminali di Kenyatta oltre ogni
ragionevole dubbio». Un’impossibilità
che Bensouda attribuisce, innanzitutto,
alla mancata cooperazione del governo
di Nairobi: questo in effetti non ha fornito i documenti richiesti dall’accusa per
dimostrare il ruolo svolto da Kenyatta,
come gli estratti conto e i tabulati telefonici dell’attuale presidente, che nel
2007 faceva campagna elettorale per il
capo dello stato uscente, Mwai Kibaki.
All’atteggiamento delle autorità di Nairobi la Procura della CPI ha attribuito anche la decisione – fondamentale nel portare all’annullamento del processo – di
alcuni testimoni chiave di ritrattare le loro dichiarazioni e di non presentarsi in
aula.
«È chiaro che la lunga tradizione di
impunità e di pressioni sui testimoni del
Kenya ha rappresentato un ostacolo a un
giusto processo davanti alla Corte penale internazionale», ha commentato nelle
ore successive al verdetto anche Elizabeth Evenson, dell’organizzazione non
governativa internazionale Human Rights
Watch (HRW). «I giudici – ha aggiunto –
hanno chiarito che l’inazione delle autorità kenyane ha compromesso la ricerca
della giustizia: questo caso dovrebbe far
partire una discussione su cosa possa fare il tribunale dell’Aja se in futuro i governi dei paesi coinvolti non coopereranno». In generale, HRW ha definito la
decisione del 5 dicembre «una sconfitta
per la giustizia». Altrettanto deluso l’avvocato delle vittime, Fergal Gaynor, che
ha però esortato la procuratrice Bensouda a «non abbandonare» il caso e a individuare almeno i responsabili materiali
delle violenze.
Quando i teppisti
vengono alla porta…
Tuttavia c’è anche chi, celebrando la
vittoria di Kenyatta, è tornato a mettere
in questione il ruolo e l’autorità della
Corte penale internazionale. È il caso del
presidente ugandese Yoweri Museveni,
pronto a ribadire l’accusa ai giudici di
aver «preso di mira l’Africa» con le loro
azioni. Museveni ha inoltre annunciato
l’intenzione di presentare al prossimo
vertice dell’Unione Africana una mozione per il ritiro di massa dalla CPI di quegli
stati del continente che vi abbiano aderito, a meno che i giudici non rinuncino a
mettere sotto inchiesta i capi di stato in
carica e anche i loro vice. Per quanto riguarda il Kenya, resta infatti in piedi il caso contro gli altri due accusati per le violenze post-elettorali, l’attuale vicepresidente William Ruto e il conduttore radiofonico Joshua arap Sang, accusati di
crimini simili a quelli imputati a Kenyatta.
Dalla popolazione, l’annuncio di Bensouda è stato sostanzialmente accettato
in maniera pacifica. «I sostenitori di Ken-
yatta hanno accolto il verdetto con gioia
– ha spiegato da Nairobi all’agenzia MISNA il missionario comboniano p. Stefano Giudici – ma anche gli elettori dell’opposizione si aspettavano questa decisione, perché sapevano che il processo non
aveva più possibilità di andare avanti»
con le poche prove a disposizione.
Al contrario, è sul piano politico che
potrebbero verificarsi fratture, dovute
proprio alla figura di Ruto. Nel 2007, infatti, era schierato sul fronte opposto rispetto a Kenyatta, a fianco del futuro
premier Raila Odinga, e il ticket presidenziale con l’ex avversario è stato visto da
molti come funzionale proprio a creare
un’alleanza contro la stessa CPI. Non sono quindi pochi, riconosce anche p. Giudici, quelli che pensano che Ruto «potrebbe essere abbandonato al suo destino». Da parte sua, il religioso considera la
cosa ancora poco probabile perché per
Kenyatta significherebbe «perdere l’appoggio dei kalenjin», la popolazione cui
appartiene il suo vice e della regione della Rift Valley, che erano risultate fondamentali nella sua non larga vittoria elettorale del 2013.
Dalla Rift Valley arrivano anche molti
degli sfollati interni, che vivono, dopo
sette anni, ancora nei campi. Sono circa
40.000 quelli che aspettano compensazioni e, soprattutto, una nuova sistemazione meno precaria. Solo alcuni di questi hanno già ricevuto dal Governo la
somma necessaria a costruire una nuova
casa, ma ancora non sono state assegnate loro le terre dove poterlo fare. È anche a tutti loro che si è rivolta Bensouda
quando ha sostenuto: «Non ci scorderemo delle vittime, continueremo a provare» a raccogliere informazioni. Tuttavia,
considera p. Giudici, ormai queste persone sono state dimenticate, almeno dall’opinione pubblica: «Non se ne parla
più… tranne che al momento delle promesse elettorali».
Nessuna sorpresa, dunque, se è proprio tra gli sfollati che la mancanza di
unanimità sul verdetto diventa più evidente: molti – favorevoli a Kenyatta –
hanno esultato alla notizia della fine del
processo, ma altrettanti condividono
probabilmente l’opinione di Onyiego Felix, citato dal Daily Nation, che – denunciando una mancanza di processi anche
nelle corti locali – invita i suoi connazionali a una consapevolezza maggiore:
«Quando i teppisti vengono a bussare alla porta del vostro vicino, ricordatevi
che domani notte saranno alla vostra».
Davide Maggiore
Il Regno -
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781
Centrafrica
Guerra civile
D
Un paese lacerato
ue anni di guerra hanno lacerato
un paese. A dicembre 2012, in Repubblica Centrafricana, iniziava
l’avanzata della coalizione ribelle nota
come Seleka (che significa appunto «alleanza» in lingua sango) e nel marzo successivo il presidente François Bozizé era costretto alla fuga. Da quel momento il paese ha visto succedersi altri due capi di
stato: prima Michel Djotodia, dimostratosi incapace di controllare la stessa Seleka di cui era sembrato il leader, poi Catherine Samba-Panza, nominata con il
benestare della comunità internazionale.
A non cambiare è stato invece lo scenario di conflitto: ai miliziani Seleka, rapidamente spezzettatisi in gruppi e bande,
si sono contrapposti i cosiddetti gruppi
anti-balaka, altrettanto eterogenei, presentatisi come milizie di autodifesa, ma
protagonisti di abusi e violenze identici a
quelli di cui accusavano i rivali. Ancora
oggi, testimonia da Bangassou, nel Sudest del paese, il vescovo Juan José Aguirre
Muñoz, «l’Ovest è in mano quasi del tutto
agli anti-balaka, mentre il Centro e il Nord
sono controllati dai Seleka, e questo rende la pace molto difficile».
Le milizie controllano anche le principali strade, con il risultato che, spiega il
vescovo, «per uscire da Bangassou ci sono barriere da passare, prima quelle degli
anti-balaka, poi quelle dei Seleka». E a
ogni barriera «si verificano abusi, vengono chiesti molti soldi, c’è violenza…». Un
clima, purtroppo, comune a molte aree
del paese e che non ha risparmiato neanche i religiosi: come p. Mateusz Dziedzic,
rapito nei pressi del confine con il Camerun a fine ottobre e liberato un mese dopo attraverso uno scambio di prigionieri.
Persino la capitale Bangui, testimonia
mons. Aguirre dopo avervi passato dieci
giorni tra novembre e dicembre, «è divisa
tra gli anti-balaka, i Seleka e una parte li-
782
Il Regno -
at t ua l i t à
22/2014
bera in cui si riesce a circolare». Alcune
aree, come il quartiere PK5, «sono trasformate in veri e propri ghetti, da cui i
musulmani non possono uscire», mentre
in altre parti della città spadroneggiano
gli anti-balaka, nonostante la teorica presenza di un Governo. Questo, in realtà,
controlla solo la zona vicina al palazzo
presidenziale e al mercato centrale della
capitale. «Qui – conferma il vescovo di
Bangassou – la situazione si sta poco a
poco normalizzando, ma negli altri quartieri avvengono di tanto in tanto degli
scontri e a essere attaccati sono soprattutto quelli che vogliono uscire da PK5 e
dagli altri “ghetti”».
Poco cambia, in questo senso, la presenza di missioni internazionali forti di
migliaia di uomini: anche loro, nota mons.
Aguirre, «se devono uscire da Bangui per
andare verso il Nord incontrano le barriere degli anti-balaka – o persino di banditi
che si fanno passare per anti-balaka – e ci
sono scontri, non riportati dalla stampa e
a volte mortali».
Francia, Europa
e Nazioni Unite
Attualmente sul territorio centrafricano agiscono tre diversi contingenti militari, a partire dall’Operazione Sangaris
francese, dispiegata a dicembre 2013, ma
che conta di ridurre i suoi uomini da 2.000
a 1.500 entro la primavera. «Il loro arrivo –
riconosce il vescovo di Bangassou – ha
evitato un massacro generalizzato, poi
col tempo Sangaris è diventata meno efficace, incapace di disarmare i miliziani».
Soprattutto a Bangui, invece, ha lavorato
EUFOR, il contingente il cui schieramento
era stato annunciato ad aprile da Bruxelles; i 1.000 uomini, tra cui, ricorda il vescovo, «anche alcuni italiani», hanno in particolare preso contatto con gli imam locali
in modo che si impegnassero in campa-
gne a favore della non-violenza. «Però
spesso bastava una scintilla per innescare
scontri e sparatorie e far crollare tutti
questi sforzi». Infine, la missione delle
Nazioni Unite MINUSCA, a lungo invocata, che ha di fatto sostituito e notevolmente rafforzato un contingente già presente. I militari africani che la compongono – provenienti dai paesi confinanti –
sono 8.500 e dovranno arrivare a 12.000:
un numero importante, ma forse ancora
non sufficiente.
«Dove sono presenti – dice mons.
Aguirre – riescono a dare un po’ di tranquillità, ma non sono ovunque, e comunque possono solo rispondere al fuoco se
attaccati, quindi il loro ruolo diventa più
debole». Non sorprende, dunque, che
molti abitanti della stessa capitale abbiano ancora paura, a partire da quelli ospitati nei campi per sfollati. La loro presenza è evidente non appena si arriva a Bangui: uno degli insediamenti più grandi si
trova accanto all’aeroporto, ma, al pari di
tanti altri, non è percepito come sicuro.
Spesso i civili cercano altri rifugi per la
notte e questo, secondo il vescovo di
Bangassou, «è un termometro dello stato
d’animo della gente». La situazione non è
diversa nelle aree di frontiera: a Berberati,
non lontano dal confine camerunense,
diverse centinaia di musulmani – gruppo
spesso identificato, in maniera approssimativa, come sostenitore dell’ex Seleka –
sono ospitati nella stessa sede della diocesi.
In generale, prosegue il vescovo di
Bangassou, «guardiamo tutti alle elezioni
che forse arriveranno, ma la gente continua a soffrire e a sopportare molto. I
prezzi sono altissimi, sia qui sia nella capitale… da questo punto di vista poco è
cambiato». Con il voto continuamente
rinviato (con ogni probabilità, hanno
specificato gli stessi responsabili centrafricani, non potrà tenersi prima dell’autunno 2015) si cerca di concentrarsi su indicazioni positive: come l’annuncio che
le forze internazionali, nella capitale,
hanno bruciato ed eliminato 8.000 armi
leggere, o la situazione che vive proprio
la città di mons. Aguirre. «Da un anno –
racconta – un comitato di gestione e una
piattaforma composta di donne sono riusciti a portare la pace. Esiste un mercato comune a tutti, musulmani e non, a
scuola si va insieme, ci sono servizi di
consulenza per le madri e i malati di
AIDS». Scene che purtroppo, conclude lo
stesso presule, «sono ancora difficili da
vedere altrove».
D. M.
L
L ibri del mese
Riflesso della Sapienza
La teologia cosmica di Denis Edwards
Creazione del mondo da parte della Trinità, miniatura dalla Bibbia di Lothian, 1220 circa.
P
urtroppo il teologo australiano Denis Edwards non è
molto conosciuto al pubblico italiano: nella nostra lingua è stato pubblicato soltanto il suo L’ecologia al cuore della fede.
Il cambiamento del cuore che conduce a un
nuovo modo di vivere la terra (Messaggero, Padova 2008), testo di buona qualità,
ma dal profilo abbastanza divulgativo.
CXCVII
Nel mondo anglofono, però, egli è
ben noto come sistematico di spessore,
coinvolto in diversi progetti di ricerca
internazionali e particolarmente attento alla teologia della creazione; all’interno della sua corposa riflessione trovano spazio opere come Creation, Humanity, Community: Building a New
Theology (1992); Made from Stardust:
Exploring the Place of Human Beings
Within Creation (1992); Jesus the Wisdom
of God: an Ecological Theology (1995);
The God of Evolution: A Trinitarian
Theology (1999); Breath of Life: A Theology of the Creator Spirit (2004); Jesus
and the Cosmos (2004); How God Acts.
Creatio, Redemption and Special Divine
Action (2010).
Il testo cui ci riferiamo1 è opera matura che si presenta – secondo quanto
espresso nell’Introduzione – come approfondimento e ripensamento di testi
precedenti, già dedicati a una riflessione
in chiave ecologica ed evolutiva (segnatamente Jesus the Wisdom of God e The
God of Evolution).
La novità della prospettiva viene in
buona parte dal fecondo confronto con
il pensiero di Atanasio di Alessandria,
che già era stato in parte valorizzato
precedentemente in How God Acts; qui
esso offre un solido radicamento tradizionale a un pensiero della creazione
fortemente collocato nel tempo della
scienza.
Vale la pena sottolineare fin da subito alcune caratteristiche dell’articolata
metodologia utilizzata da Edwards, in
un testo solido e assieme caratterizzato
da un’eccellente leggibilità (anche nell’edizione Kindle, che stiamo utilizzando e
a cui faremo riferimento nelle citazioni).
Il movimento fondamentale che sostiene il percorso del testo è il tornare ad
attingere alla tradizione dei padri (in
particolare lo stesso Atanasio, ma anche
Origene) e alla lezione di Tommaso, per
ritrovare una comprensione autenticamente cosmica della fede cristiana, al di
là delle strettoie di una certa modernità.
Tale istanza si realizza, d’altra parte,
nel quadro di una forte attenzione ermeneutica, sostenuta da un’ontologia di tipo
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ibri del mese
rahneriano, in vista di un’appropriazione
non ingenua della tradizione di fede entro un’era secolare profondamente segnata dal discorso scientifico. Se però in
Karl Rahner tale dinamica trovava espressione in un linguaggio spesso fortemente
metafisico (non sempre di facile accessibilità), l’elaborazione di Edwards si caratterizza invece per una rimodulazione
più esplicitamente teologica – trinitaria e
biblica – con una scrittura che talvolta si
fa quasi narrativa.
Da notare anche l’uso di un linguaggio non sessista per nominare il mistero
di Dio; in nome dell’analogicità di ogni
riferimento a lui, si rivendica ad esempio
– accanto al consolidato termine «Padre» – anche la legittimità di quello di
«Madre», ricco del resto di corposi riferimenti biblici.
Figlio «attrattore»
Il testo è molto denso e ci limitiamo
a segnalare alcuni punti qualificanti di
un percorso ricco e articolato, in un’esposizione che per esigenze di sintesi riorganizza in parte l’ordine dell’argomentazione. Dall’ampio confronto con
Atanasio viene in primo luogo una sottolineatura del ruolo di Gesù come parola/sapienza creatrice, secondo la prospettiva emersa nella controversia antiariana: il riferimento alla dimensione cosmica appare condizione essenziale per
un pensiero che voglia davvero confessare la divinità del Figlio.
Dallo stesso padre alessandrino viene pure il riferimento alla Trinità, come
amore traboccante, che liberamente si
espande nel dispiegarsi della creazione
(come creatio in principio e continua, così come nel concursus all’agire creaturale): la «generatività della vita trinitaria è
il fondamento e la sorgente di tutta la fecondità della vita creaturale» (pos. Kindle 431-432).
Se, infatti, «la creazione viene all’essere come un libero atto di Dio nel tempo», tuttavia «essa può essere fondata
solo nelle eterne possibilità creative del
Dio triuno. La fecondità della creazione
può sgorgare solo dall’eterna dinamica
fecondità della vita divina» (458-459),
dalla stessa «sorgente di Tutto, dal divino madre/padre, che senza fine genera
la Sapienza/Parola e spira lo spirito di
vita e amore» (497). È una realtà che
prende forma concreta nella cura di Dio
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per ogni vivente, quale trova espressione
privilegiata nelle parole e nella vicenda
di Gesù.
È a partire da questo robusto sfondo
tradizionale che si dispiega il lavoro di
ripresa di Edwards, teso a pensare un
mondo colto in prospettiva evolutiva.
Da un lato, quindi – in continuità con
sue opere precedenti – lo Spirito vivificante viene visto come l’energia dinamica che muove l’evoluzione (ma in forma
celata, senza violare la legalità colta dalla scienza): la sua presenza inabitante
«abilita il nuovo a emergere dallo stesso
mondo naturale, per mezzo di quei processi, relazioni e nessi causali studiati
dalle scienze naturali» (1419-1420).
Dall’altro, il ruolo del Figlio viene
interpretato tramite l’immagine dell’attrattore – una metafora con significativi
riferimenti biblici (si pensi al «quando
sarò innalzato da terra attirerò tutti a
me» di Gv 12, 32), ma anche ricca di
suggestioni legate alla matematica dei
sistemi complessi.
In tale prospettiva la storia evolutiva
può essere vista come caratterizzata da
un primato del futuro, da un segreto
orientamento a un telos.2 Con Rahner,
infatti, il suo dinamismo viene interpretato come espressione di un’autocomunicazione di Dio che si realizza entro e
attraverso l’autotrascendenza delle creature (ma Edwards preferisce parlare di
capacità d’emergenza evolutiva – si potrebbe dire autopoiesi, nel linguaggio
delle scienze della complessità). O, per
dirla in modo diverso: c’è una dinamica
di theiosis a muovere un cosmo in cui
ogni creatura è mossa e attratta da un
amore che si dona.
Non è però il dispiegarsi di una supposta teleologia della natura a permettere di percepire tale movimento, che viene invece colto a partire dalla manifestazione in una storia della salvezza che rivela la condiscendenza di Dio. C’è, infatti, una kenosi della divina sapienza
che si dona nella creazione e nella storia
d’Israele, per culminare nella vicenda di
colui che «umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2, 8).
Edwards sottolinea come sia proprio
la prossimità vulnerabile di Dio manifestata nel Figlio a essere ambito di rivelazione e condizione di possibilità per
un’autocomunicazione a dimensione
cosmica: egli trascende la propria stessa
trascendenza nella grazia e in un amore
appassionato – fino alla Passione – per
un mondo, cui destina se stesso senza riserve.
Tale movimento non sarebbe peraltro rettamente interpretato da chi vi vedesse una sorta di esodo divino da una
precedente condizione di apatheia, pienamente superata solo nell’evento dell’incarnazione. Al contrario, è la stessa
realtà trinitaria di Dio – nella distinzione tra Padre e Figlio e nella relazione
amante tra di essi che è lo Spirito – che
dice di un essere che è gioia e com-passione per l’alterità: «Teologicamente
questa passione di amore può essere vista come fondata nell’eterno, mutuo
amore delle divine persone nella vita
della Trinità. È l’eterno amore della divina comunione che abbraccia le creature, tramite la Parola e lo Spirito»
(1770-1).
Sublime e umile
È cioè quel Dio trino, che da sempre
è pàtico, a rischiare se stesso nella creazione, esponendosi alle libertà finite delle creature, ma anche condividendone
la sofferenza in un mondo in evoluzione.
L’Onnipotente è, dunque, un Dio che si
fa vulnerabile e indifeso, non per debolezza, ma per la ricchezza del suo amore
vivificante.
Egli opera, cioè, come efficace potere-nell’amore, che conduce il creato alla
pienezza di vita, a partire dalla Pasqua di
Gesù: «Nel Gesù risorto, una parte di
questa comunità biologica di vita della
Terra, di questa storia evolutiva e di questo universo materiale è già trasfigurata
in Dio, come segno e promessa del compimento divinizzante e della trasformazione di tutte le cose in Dio. Nello Spirito
creatore, la stessa divina sapienza è già
all’opera nell’intero universo delle creature conducendole alla loro liberazione e
compimento in Dio» (1149-1152).
È dunque un agire che attraversa il
cosmo tutto, ma che non avviene
«bypassando» le dinamiche creaturali:
in Gesù Dio si manifesta come umile,
secondo un’espressione che Edwards riprende da E. Schillebeeckx, ma per la
quale individua ampi riferimenti nella
tradizione cristiana, fino a quella «sublime umiltà / umile sublimità» utilizzata
da Francesco d’Assisi nella Lettera all’intero ordine.
CXCVIII
A essere attraente è, in effetti, proprio la condiscendenza di un amore che
si offre e invita senza esercitare coercizione; è un paradosso che richiama quella «santità ospitale» che in C. Theobald
caratterizza lo stile di Gesù come spazio
aperto che consente a ognuno di dispiegare la propria singolarità.
Per Edwards, però, – che riprende
qui temi già esplorati in How God Acts –
tale dimensione diviene anche paradigma fecondo per pensare un agire creatore nel cosmo che rispetta l’integrità dei
processi creaturali e sa attenderne i tempi – un’attesa che è però anche un attendere a essi, nel segno dell’attività e del
coinvolgimento.
Quello che ci presenta Gesù è, infatti, «un Dio che crea in modo tale che le
creature possano partecipare nel processo» (1335-6). Con K. Rahner egli può
quindi sottolineare come l’agire di Dio
non sia estrinseco alle realtà creaturali,
ma, al contrario, sia proprio ciò che consente loro di essere ciò che sono e di operare come operano – così come nell’esperienza della grazia i credenti sperimentano una radicale dipendenza che fonda
libertà e autonomia.
Tale comprensione in orizzonte cosmico della realtà di Dio fonda pure
quella che è una sottolineatura tipica del
pensiero dell’autore: una profonda distanza da forme ingenue di antropocentrismo teologico (senza per questo cadere in un indistinto fisiocentrismo). Il Gesù che dice «abbà» non viene, cioè, solo
posto in relazione con l’esperienza di
Dio vissuta dai credenti, ma anche con il
gemito e la lode che attraversano l’intera ktisis.
Scopriamo così un amore trinitario
che attraversa tutta la creazione, indirizzandosi a ogni creatura (senza per questo ignorare le differenze tra di esse):
«ogni creatura sulla Terra, ogni balena,
ogni passero, e ogni verme esiste grazie
alla partecipazione nella Madre/Padre
attraverso la Parola e lo Spirito e “nessuno di essi è dimenticato davanti a Dio”
(Lc 12,6)»” (584-5).
La nostra stessa esperienza d’affetto
per i viventi appare, così, come un ambito in cui percepiamo qualcosa dell’infinita divina compassione per le creature.
In quest’orizzonte trova pure pieno significato teologico quell’esperienza empatica d’amore per i viventi che ha attra-
CXCIX
versato la vita di tanti santi, per trovare
alcune espressioni significative nella tradizione teologica del cristianesimo
orientale (in un arco che va da Isacco di
Ninive a F.Dostojevskji).3
Cristologia e creato
La prospettiva appena accennata è
significativa anche sul piano morale: una
significativa etica interspecifica non dovrà necessariamente essere elaborata come questione di diritti (magari da comparare con quelli umani o addirittura da
contrapporre dialetticamente a essi, come fa talvolta il filosofo australiano P.
Singer), quanto appunto in termini di
com-passione per ogni vivente, da rendere operativa anche sul piano normativo:
«Se Dio è immediatamente e amorevolmente presente a ogni creatura, ciò suggerisce un atteggiamento di profondo rispetto per le altre specie e per le singole
creature» (541-542). Edwards, poi, evidenzia pure il nesso che va mantenuto tra
l’attenzione per i viventi nello loro singolarità e quella per la comunione creazionale e le strutture che la sostengono, rendendola possibile – il collegamento, cioè,
tra etica animale ed etica ecologica –.
Non entriamo nel merito del capitolo sull’antropologia (con un pur significativo confronto tra considerazione
dell’anima e neuroscienze), né discutiamo esplicitamente le implicazioni che
Edwards dedica a una lettura teologica
della sofferenza non umana (che potrebbe trovare interessanti consonanze in P.
De Benedetti). Ci sembra che quanto
abbiamo fin qui segnalato basti a indicare la ricchezza di un testo che sa coniugare il riferimento a temi centrali del dibattito contemporaneo – affrontati in un
fitto dialogo con alcune grandi figure
della teologia novecentesca – con un’approfondita esplorazione di alcune componenti della tradizione cristiana.
Un testo, insomma, che meriterebbe
senz’altro di essere reso accessibile al lettore italiano da un’adeguata traduzione
(auspicabilmente attenta anche a conservare la qualità espositiva del testo).
Edwards si conferma come uno degli
autori più interessanti tra coloro che
sanno pensare la fede nel Dio trino nella
sua densa relazione al mondo creato, a
partire dal nitido riferimento alla vicenda di Gesù.
In lui la forte prospettiva cristologica
e trinitaria non cede alla tentazione di
tradursi in unilaterale attenzione per l’umano – quasi deducendo la teologia della
creazione dall’antropologia teologica –
ma sa mantenere un orizzonte cosmico e
un’attenzione (anche etica) per ogni vivente. Un testo, quindi, che assume una
particolare importanza, in un momento
in cui papa Francesco (più volte citato nei
capitoli finali del testo) invita la comunità
credente ad assumere in tutta la sua complessità quella responsabilità per il creato
che è di tutta la famiglia umana.
È anche questo, del resto, un modo
d’ascoltare la divina sapienza che si rende presente in modo differenziato nel
mondo vivente e di custodirne le tracce:
«Dio pone in ogni creatura e nella totalità della creazione un segno e un riflesso
della Sapienza. Balene, koala, aquile,
formiche ed esseri umani sono tutti, in
modi distinti e interrelati, riflessi della
divina sapienza, che ne portano il segno.
Quest’albero che vedo dalla mia finestra, quindi, non solo esiste grazie al
Creatore-Sapienza, ma è in se stesso un
riflesso creato della Sapienza, che ne
porta il segno.
E l’universo che conosciamo, questo
universo dinamico, in espansione, con i
suoi 100 miliardi di galassie, riflette la
divina sapienza e ne porta il carattere. E
la Terra, la nostra feconda, vulnerabile
casa, con la sua storia evolutiva, con le
sue meravigliosamente diverse forme di
vita e i mari, la terra e l’atmosfera da cui
dipende ogni vita, riflette la bellezza della divina Sapienza ed è segnata da essa»
(927-933).
Simone Morandini
1
D. Edwards, Partaking of God. Trinity,
Ecology, Evolution, Liturgical Press, Collegeville
(Minnesota) 2014.
2
Chi pratica il linguaggio della complessità si
sarebbe atteso da Edwards, così attento anche alla
dimensione d’indeterminazione che caratterizza
le dinamiche del reale, un’espansione della metafora dell’attrattore in quella di «attrattore strano»
– espressione che nella teoria del caos evoca sì una
dimensione di convergenza, ma tramite traiettorie non prevedibili, caratterizzate da non linearità
e biforcazioni. In tale prospettiva sarebbe stato
possibile integrare meglio in essa anche una considerazione della libertà delle creature, rimandando a un Dio che da esse attende libere risposte,
pur non cessando d’attrarre ognuna di esse.
3
Una ripresa recente in G. Bormolini, I
santi e gli animali. L’Eden ritrovato, Libreria editrice fiorentina, Firenze 2014.
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L ibri del mese / schede
I Libri del mese si possono acquistare:
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Per la redazione delle Schede di questo numero hanno collaborato: Giancarlo Azzano, Caterina Bombarda, Maria Elisabetta
Gandolfi, Francesco Mai, Valeria Roncarati, Domenico Segna.
Sacra Scrittura, Teologia
Bartolini De Angelis E.L., Di Sante C., Ai piedi del Sinai. Israele e
la voce della Torah, EDB, Bologna 2014, pp. 221, € 16,80. 9788810207093
I
l popolo d’Israele nasce ai piedi del Sinai quando riceve da Dio la Torah,
patto di nozze (ketubah) donato dal Signore e accolto nella libertà. Da quel
momento, per comprendere l’ebraismo è necessario fare riferimento alla
Legge, al popolo che la mette in pratica quotidianamente e alla terra d’Israele, unico luogo in cui tutti i precetti possono essere vissuti. A questa triade
fondamentale è dedicata la I parte del vol., mentre la II si sofferma sulle due
dinamiche fondamentali della vita liturgica ebraica: la benedizione, che
colloca il rapporto con il creato in una dimensione religiosa, e il memoriale,
che attualizza la storia di salvezza rendendola presenza viva per ogni ebreo.
Benzi G., La profezia dell’Emmanuele. I testi di Isaia 6-9 tra attesa e avvento della salvezza, EDB, Bologna 2014, pp. 273, € 26,00. 9788810410196
I
l vol. propone l’esegesi del così detto «Libro dell’Emmanuele» (Is 6,1 9,6),
mettendo in evidenza la coerente redazione di quei testi e cercando di
enucleare alcune tematiche di carattere antropologico e teologico che fanno da sfondo: profezia e storia, il figlio, il binomio castigo-salvezza, il corpo
del profeta, la testimonianza profetica. Lo studio tiene conto anche della
contestualizzazione liturgica dei testi, validi non solo per la preparazione al
Natale, ma anche nella loro dimensione «pasquale».
La Biblioteca di Qumran. Edizione bilingue. Vol. 2. Torah. Esodo,
Levitico, Numeri, EDB, Bologna 2014, pp. XVI+456, € 55,00. 9788810303023
L
e scoperte di Qumran rappresentano il più grande evento archeologico
del XX sec. I resti più o meno integri di circa 900 rotoli ebraici, databili
dal III sec. a.C. al I d.C., sono stati rinvenuti tra il 1947 e il 1956 in undici
grotte vicino al mar Morto. Si tratta di una delle più importanti collezioni di
testi dell’antichità che ci siano mai pervenute, compresi i più antichi manoscritti della Bibbia ebraica, anteriori di circa mille anni al primo codice
completo utilizzato per la redazione del testo biblico, il Codex di Leningrado. L’originalità di questa edizione bilingue risiede nel sistema di classificazione adottato, che privilegia il legame tematico o formale tra i testi del Mar
Morto e i libri che più tardi costituiranno la Bibbia ebraica. Il vol. raggruppa i manoscritti qumranici che contengono libri biblici e non biblici che
hanno relazione con l’Esodo, il Levitico e i Numeri.
Monari L., Sulla stupidità dell’idolatria. Meditazione su Geremia 2,
Morcelliana, Brescia 2014, pp. 81, € 10,00. 9788837228323
G
eremia è il profeta della contestazione. Messaggero del giudizio del
Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe la sua missione è quella di annunciare la rovina del regno di Giuda, la conquista e la distruzione di Gerusalemme, la fine della casa di Davide. Fino al momento della distruzione il
popolo e il re sentono nelle sue parole ammonitrici l’offerta della conversione da parte di Dio. La sua voce cadrà nel vuoto e la distruzione sarà inevitabile. Inascoltato, messo da parte, disprezzato il profeta resterà sino alla fine
con il suo popolo. Del libro di questo profeta l’a. analizza il 2° c., laddove
Geremia si scaglia contro la stupidità dell’idolatria: un commento rigoroso,
chiaro, utile per il credente per leggere e far proprie parole che risuonano in
tutta la loro tragica attualità.
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Il Regno -
attualità
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Servizio a cura di Maria Elisabetta Gandolfi
Stefani P., L’esodo della Parola. La Bibbia nella cultura dell’Occidente,
EDB, Bologna 2014, pp. 350, € 30,00. 9788810560105
A
ccostarsi alla Bibbia può rivelarsi una straordinaria avventura intellettuale. E per un occidentale, indipendentemente dal suo credo, non conoscere le Scritture significa rinunciare in partenza a comprendere appieno
la civiltà in cui vive e molti valori e idee a cui si fa abitualmente riferimento.
L’influsso della Bibbia sulle fedi, sui comportamenti, sulle mentalità e i costumi è di una vastità tale da rendere arduo tracciarne i confini. Di analoga
entità è il peso delle tematiche in cui ci si imbatte scorrendo le sue pagine.
Lungo i secoli queste prospettive bibliche hanno alimentato la fede e plasmato le concezioni di moltitudini di persone e la loro incidenza è stata tale
da estendersi anche al di là dei confini strettamente confessionali. Nel contempo, però, le Scritture restano testi largamente ignorati oppure proposti
in modo fortemente semplificato per essere messi strumentalmente al servizio di visioni religiose o ideologiche.
Tagliaferri M. (a cura di), Teologia dell’evangelizzazione. Fondamenti e modelli a confronto, EDB, Bologna 2014, pp. 393, € 35,00. 9788810450093
I
l vol. raccoglie gli atti del convegno del Dipartimento di teologia dell’evangelizzazione della Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna, appuntamento
nato dal duplice desiderio di fare un bilancio sull’oltre trentennale attività
della Scuola teologica bolognese e di riqualificare la riflessione e la ricerca
sullo statuto epistemologico della disciplina. L’intento è mettersi in dialogo
con le altre scuole teologiche che si occupano della stessa materia, con l’obiettivo di superare la frammentarietà in cui vive la teologia contemporanea.
Tonelli D., Immagini di violenza divina nell’Antico Testamento, EDB, Bologna 2014, pp. 187, € 15,00. 9788810415290
L
e immagini violente di Dio occupano molte pagine della Bibbia e, tuttavia, suscitano stupore poiché sembrano contrastare con l’eredità
della tradizione teologica cristiana. Il disorientamento obbliga a ripensare
la prospettiva con la quale ci si accosta al testo e l’analisi delle sue modalità
espressive. L’analisi di tre brani poetici (Esodo 15, Giudici 5 e Abacuc 3)
consente di fare emergere un’immagine divina complessa, non «monolitica», non riducibile a un attributo dominante, che costringe a ricollocare la
questione della violenza divina dal centro a una posizione meno cruciale,
ma comunque sintomatica, dell’esperienza di Dio testimoniata dagli autori biblici.
Pastorale, Catechesi, Liturgia
Centro evangelizzazione e catechesi Don Bosco (a cura di),
Scuola per catechisti. Schede per la formazione personale e di gruppo, Elledici,
Torino 2014, pp. 351, € 29,00. 9788801056846
C
omunicare la fede che Gesù gli dona è per il credente compito quanto mai
arduo, a maggior ragione se ci si rivolge alle giovani generazioni. Questo
manuale si propone come un corso di base per apprendere le nozioni e gli atteggiamenti di fondo di chi fa catechesi. Il vol., diviso in due parti, affronta alcuni tra i temi di maggior interesse per una catechesi qualificata, così come i
problemi più comuni che ogni catechista deve affrontare nel suo ministero.
Cittadini G., Introduzione al Padre nostro, Morcelliana, Brescia
2014, pp. 67, € 8,00. 9788837228071
P
er «il cristiano il Padre nostro non è una preghiera, ma, piuttosto, la preghiera, quella che Gesù gli ha messo sulle labbra e nel cuore come paradigma di ogni altra preghiera». Grazie a essa, «Gesù non insegna soltanto
cosa dire, ma anche e soprattutto come dirlo, come entrare in un rapporto
autentico col Padre». Un Padre che è di tutti, non solo dei cristiani, ma
dell’intera famiglia umana.
Comastri A., Una buona notizia per te! Meditazioni sulle letture dei giorni
festivi. Ciclo B, Elledici - Libreria editrice vaticana, Torino - Città del Vaticano 2014, pp. 305, € 15,00. 9788801057072
I
l libro «raccoglie le omelie per tutte le domeniche e le feste principali
dell’anno liturgico. Esse nascono dal cuore e dalla scienza di un pastore
CC
LILIA BONOMI
universalmente conosciuto e stimato, che coglie il nucleo vitale della liturgia della Parola e lo presenta con un linguaggio semplice e coinvolgente». Il
profondo legame con la Bibbia, la serietà teologica e la connessione con la
pastorale si uniscono in quest’opera, utile ai predicatori e a tutti quelli che
cercano uno strumento per una vera preparazione spirituale alla liturgia
della domenica.
Grün A., Pensieri e gesti. Per accompagnarti settimana dopo settimana nel corso
dell’anno, Queriniana, Brescia 2014, pp. 101, € 10,00. 9788839928221
I
n questo agile volumetto, l’a. consiglia alcuni semplici e utili gesti da compiere su base settimanale. Innanzitutto, suggerisce gesti che donano la
tranquillità necessaria per vedere la natura con occhi nuovi. Propone poi
dei rituali che aiutano a vivere un tempo sacro, cioè libero da condizionamenti di qualsiasi sorta. In terzo luogo, si concentra su quei rituali che intendono portarci a contatto con noi stessi. E suggerisce infine esercizi del
corpo e dello spirito che conducono al silenzio. Tutti e quattro questi ambiti si incontrano nel rito settimanale per eccellenza, quello del giorno festivo,
(per i cristiani la domenica) inteso come zona franca e, quindi, di pace.
von Stülpnagel F., Accanto a te, senza di te. Un aiuto per i giorni del
lutto, Queriniana, Brescia 2014, pp. 146, € 14,00. 9788839931573
O
Noi come Caino
Custodi maldestri dei nostri fratelli
V
isto da vicino, Caino ci assomiglia in
modo impressionante in molti «omicidi» quotidiani, perpetrati nei confronti di
chi ci sta intorno e offusca la nostra immagine. Caino è geloso, teme di perdere la
predilezione di Dio, ha bisogno di sopprimere il fratello Abele e di superare ogni
competizione. Dopo il delitto scoprirà che i
suoi guai non sono affatto finiti.
«ITINERARI»
gni persona umana è costretta nella propria vita ad affrontare un lutpp. 200 - € 15,00
to, legato alla perdita di un famigliare o di un amico. Se il lutto è dunque inevitabile, è possibile però affrontarlo con coraggio, aprendo il cuore a
una nuova speranza. In questo testo l’a., che ha sperimentato in prima perDOLORI INUTILI
sona la perdita di un figlio suicida, offre una guida, comprensiva di poesie e
LE EMOZIONI CHE FANNO MALE
testi letterari, per vivere il lutto come un’opportunità di crescita.
R1f_Penna:Layout 1 24-07-2014
Edizioni
Dehoniane
Bologna
Zanet L.M., Dai valori alle virtù. Un percorso tra rinnovamento e crisi,
EDB, Bologna 2014, pp. 241, € 21,50. 9788810558249
I
valori non sono in crisi, ma è difficile trovare uomini capaci di incarnarli
a servizio del reale bene della persona e della società. Inoltre nessun nuovo ordo amoris (ordine delle cose significative e prioritarie) può essere proposto solo per sé, perché qualsiasi scelta individuale propone con efficacia una
specifica idea di uomo. Dunque ogni etica è di rilevanza pubblica. Solo il
virtuoso incarna i valori e per loro mezzo consegue un bene oggettivo, per
sé e per gli altri. Egli interseca la libertà di scelta con la libertà di adesione:
raccoglie cioè la provocazione, tipica delle etiche dei valori, a eleggere specifici aspetti della realtà escludendone altri, eppure sa anche perseverare
nel bene, senza retrocederne, nelle situazioni che valorialmente non approverebbe, ma con cui deve esistenzialmente apprendere a mediare.
n occasione del bicentenario della nascita di don Bosco (16 agosto 1815),
Elledici pubblica un sussidio per raccontare ai ragazzi di elementari e
medie l’attualità del suo messaggio. Il vol. è strutturato su un anno di vita
d’oratorio, in 21 giornate. In ognuna di esse viene presentato un episodio
della vita del santo, a cui sono collegate altrettante parole chiave che richiamano le note musicali, per invitare ad alzare il volume su ciò che conta.
200dB (decibel) è infatti la misura del suono emesso dal decollo di un razzo:
come il messaggio di don Bosco (dB), che spinge a prendere il volo.
Caritas italiana, Per una carità senza confini. La carità che accompagna le Chiese sorelle, condivide e si moltiplica, EDB, Bologna 2014, pp. 184,
€ 8,50. 9788810741221
Spiritualità
Bianchi E., Dono e perdono. Per un’etica della compassione, Einaudi, Torino 2014, pp. 104, € 10,00. 9788806222789
L
a mercificazione che caratterizza la nostra civiltà ha smarrito il senso
del dono. Il nostro calendario è punteggiato di regali che hanno il «do ut
des» come suo fondamento. L’a. ci ricorda invece che il dono ha un carattere paradossale che oscilla fra il dovere e la libertà, fra l’utile e il gratuito e ciò
ci costringe a rimeditare il valore di questo gesto. Il dono si coniuga con il
CCI
Il Regno -
attualità
22/2014
787
8:28
pp. 176 - € 12,00
Pagina 1
Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna
Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299
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ROMANO PENNA
Gesù
e Socrate
200 dB. Don Bosco a tutto volume. Per dire ai ragazzi quello che conta! Sussidio
per 21 giornate in oratorio, Elledici, Torino 2014, pp. 160, € 16,00. 9788801057225
I
DELLA STESSA AUTRICE
Cultura greca e impronta giudaica
L’
antico confronto tra Gesù e Socrate,
ora riproposto nei blog filosofici sui
motori di ricerca, solleva l’interrogativo sull’identità del Nazareno. L’eco di influssi culturali greci non si può escludere a priori;
tuttavia, Gesù aveva una formazione tipicamente giudaica. Spetterà ad altri il compito di portare il messaggio del vangelo nel
mondo della cultura ellenica.
PROFILI DI GESÙ
Edizioni
Dehoniane
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DELLO STESSO AUTORE
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L
ibri del mese / schede
per-dono e sono alla base delle relazioni fondate sul comandamento evangelico dell’amore. Realizzare tutto questo non appartiene alla spontaneità
ma alla fatica e al coraggio di vivere, grazie a cui possiamo progettare un
futuro condiviso. Nella consapevolezza che le ferite che abbiamo subito e
che abbiamo prodotto non possono essere dimenticate.
Comunità di San Leolino, Alla ricerca del Risorto. Per un ritratto di
Gesù di Nazaret, Edizioni Feeria, Panzano in Chianti (FI) 2014, pp. 121,
€ 12,00. 9788864300771
«L
a gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si
incontrano con Gesù». Parole, queste di papa Francesco, che danno
al credente il compito preciso di mettersi con tutte le forze alla ricerca del Risorto. Ecco, dunque, il senso di queste riflessioni sulla figura storica di Gesù,
che intende offrirne un possibile ritratto al di là delle prospettive che insistono sulla distinzione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede. Nella certezza che sia più che mai indispensabile mettere al centro l’evento Gesù Cristo
se si vuole davvero incontrare il «dramma» dell’uomo moderno.
Guadagno T. (a cura di), S. Ignazio di Loyola. Autobiografia, ADP Apostolato della preghiera, Roma 2014, pp. 126, € 8,00. 9788873575740
L’
Autobiografia di s. Ignazio di Loyola (1491-1556), «nota anche come Il
racconto del pellegrino, è un testo fondamentale della spiritualità ignaziana e una risorsa indispensabile per conoscere la personalità del fondatore
della Compagnia di Gesù». Non è esattamente un’autobiografia, ma la
versione scritta del racconto autobiografico, riferito a voce da s. Ignazio e
riscoperto dopo varie traversie nel 1731. Il libro, che costituisce un estratto
rielaborato da Gli scritti di s. Ignazio (Roma, 2008), fa parte della collana
Spiritualità ignaziana ed è curato da p. Tommaso Guadagno, direttore nazionale dell’Apostolato della preghiera italiano.
Johan V., La spiritualità di santa Veronica Giuliani (1660-1727).
La missione espiatrice di «essere mezzana» nel Diario, EDB, Bologna 2014, pp. 258,
€ 22,00. 9788810541531
S
anta Veronica, vissuta tra il 1600 e il 1700 a Città di Castello, in Umbria, è probabilmente l’esponente più rilevante della mistica barocca in
Italia. La sua vita spirituale è stata contrassegnata dalla contemplazione
amorosa e dall’esperienza della passione di Cristo, dal mistero della croce,
dal desiderio incoercibile dell’immolazione e della sofferenza espiatrice.
Fenomeni straordinari, eroicamente chiesti e vissuti nel triplice aspetto
compassivo, espiativo e redentivo sono solo il segno esteriore di ciò che la
santa visse interiormente. Le pagine del vol. rendono ragione di questo singolare compito, vissuto nella più radicale povertà e umiltà.
Lewis C.S., I salmi. A cura di E. Rialti, Lindau, Torino 2014, pp. 172, € 19,00.
9788867081790
«Q
uesto non è un lavoro accademico. Non sono un ebraista, né uno
storico antico, né un archeologo. Scrivo per gli ignoranti su cose
che anch’io ignoro»: con questo incipit, intriso di humour britannico, l’a. di
Lettere a Berlicche e delle Cronache di Narnia ci intrattiene sul libro dei Salmi con
stile e fascino. Scrittore convertitosi al cristianesimo anglicano, Lewis con
tono confidenziale, inconfondibile e ironico da serata trascorsa in una casa
immersa in un’atmosfera dal sapore ancora tardo vittoriano, si presenta
come uno studente di Oxford a cui capita la ventura di spiegare, meglio del
professore, un determinato problema a un altro principiante. Da dilettante, il
celebre scrittore introduce il lettore nella bellezza del Salterio colto come
un universo multiforme.
Piovano A., Scheiba M., Il buon uso del tempo nella vita spirituale, EDB, Bologna 2014, pp. 183, € 17,00. 9788810411445
L’
espressione «vita spirituale» è molto ampia e può essere usata con diverse accezioni, sino a giungere alla rarefazione: pericolo forse inevitabile poiché questa dimensione della vita riguarda ogni uomo nel momento in cui si pone alcune domande fondamentali e nel momento in cui scende in profondità. A partire dalla loro esperienza di monaci, gli aa. evitano
d’identificare con troppa facilità vita spirituale e vita monastica. Il monastero favorisce certamente la «vita secondo lo Spirito» come struttura, modello, forma, ma non la garantisce se non c’è la scelta quotidiana di lasciarsi
davvero guidare dallo Spirito.
788
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attualità
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Attualità ecclesiale
Bianco E., Francesco. Ragazzo d’oratorio diventato papa, Elledici, Cascine
Vica (TO) 2014, pp. 166, € 8,00. 9788801056549
T
ra le centinaia di libri scritti su papa Francesco, il vol., breve e dal carattere divulgativo, è uno tra quelli che ripercorre gli anni giovanili del
papa argentino. Il salesiano e pubblicista Enzo Bianco ripercorre la vita di
Bergoglio dagli anni decisivi della formazione anche salesiana fino ai primi
giorni di pontificato, passando per gli anni della dittatura di Videla e per la
carriera di vescovo prima e cardinale poi.
Romanato G., Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo, Lindau, Torino 2014, pp. 577, € 32,00. 9788867082629
N
oto per il suo famoso catechismo e per aver fatto tabula rasa del modernismo, condannando insieme a quest’ultimo anche la cultura moderna, chi era Giuseppe Sarto, Pio X? Indubbiamente fu sul crinale di due
modi di vedere il rapporto tra fede e mondo. Fu un conservatore o un riformatore? Chiuse gli occhi al credente cattolico o li aprì sulla deriva che stava
prendendo l’Occidente? Non volle capire gli ultimi due secoli, quelli che
ebbero il loro inizio con la Rivoluzione francese, oppure ebbe l’esatta percezione che proprio quegli ultimi due secoli avevano inghiottito una tradizione millenaria? L’a. risponde presentando la vicenda di un papa che ha
fatto la storia del Novecento, presentando la fatica del suo vivere quotidiano e tutte le intrinseche contraddizioni.
Santi G., Arte e artisti al concilio Vaticano II. Preparazione, dibattito,
prima attuazione in Italia, Vita e pensiero, Milano 2014, pp. 204, € 18,00.
9788834327166
I
l concilio Vaticano II non fu un giro di boa della Chiesa cattolica anche
perché riattivò i fili che da sempre uniscono quest’ultima al mondo dell’arte. L’a. ripercorre in modo sintetico il «caso Italia» durante il periodo di preparazione al Concilio, passando poi a illustrare le disposizioni che quest’ultimo emanò per quanto concerne l’arte e gli artisti e di come esse siano state
recepite e messe in atto. In merito, particolare rilievo viene dato alle chiese e
alle opere d’arte realizzate nella diocesi di Milano, la città di papa Montini,
che non solo guidò il Concilio dopo la morte di Giovanni XXIII, ma svolse
nel capoluogo lombardo tra il 1954 e il 1963 il suo ministero episcopale.
Schockenhoff E., La Chiesa e i divorziati risposati. Questioni aperte,
Queriniana, Brescia 2014, pp. 258, € 22,00. 9788839908728
I
l vol. si rivolge a tutti coloro che hanno una responsabilità nella Chiesa e
riflette sulla possibilità della riconciliazione e della piena condivisione
dell’eucaristia – che è il vertice della vita ecclesiale – per i credenti divorziati e
risposati. Attraverso un esame che riguarda soprattutto la storia della tradizione ecclesiale, l’a. mostra le difficoltà che fin da principio si ebbero nelle
comunità cristiane in merito al matrimonio, le incongruenze tra dottrina e
prassi ecclesiale ma anche, e soprattutto, il fallimento come categoria chiave
della fede e il servizio della riconciliazione come anima della Chiesa.
Sodano A., Chiesa e riforme. Una Chiesa da amare, LEV - Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2014, pp. 77, € 10,00. 9788820993290
U
n cristiano alle prese con un tema che da sempre coinvolge chiunque
ama la Chiesa e per essa s’impegna; un uomo di Chiesa che riflette su
quel binomio che dal concilio Vaticano II non cessa di essere all’ordine del
giorno. Il piccolo vol. riporta una conferenza del decano del collegio cardinalizio con la quale, oltre a riflettere su un aspetto della vita ecclesiale di cui
egli stesso è stato un protagonista, tenta di trasmettere anche una metodologia che distingua i termini in modo da avere più chiaro il quadro d’insieme
e, soprattutto, e non confonda piani diversi tra loro. Il filo conduttore è il
sottotitolo: «una Chiesa da amare».
Sorrentino D., Chiesa come famiglia. Una via di rinnovamento della
parrocchia: le «Comunità Maria famiglie del Vangelo», Cittadella, Assisi (PG) 2014,
pp. 152, € 12,50. 9788830814059
C
ome superare questi tempi di crisi sconfiggendo l’individualismo? Dove reperire un senso autentico di libertà? E come prepararsi ad affrontare la sfida educativa delle nuove generazioni? Il vol. risponde a questi in-
CCII
terrogativi proponendo l’esperienza delle Comunità Maria famiglie del
Vangelo, nate come percorsi di speranza all’interno delle parrocchie. I cc.
descrivono con puntualità le comunità, dalla nascita, nel 2006 ai percorsi di
riflessione già affrontati proponendo un modello universale di condivisione
delle difficoltà personali e di «una Chiesa che si fa famiglia».
Tornielli A., L’ultimo miracolo. Perché Giovanni Paolo II è santo, Piemme, Milano 2014, pp. 165, € 13,90. 9788856636529
I
l 2.4.2005, accompagnato dalle preghiere dei fedeli, moriva papa Giovanni Paolo II. Il vol. ripercorre il processo di canonizzazione, mescolando il racconto ai documenti, le interviste al fenomeno di profonda devozione nei confronti di uno dei pontefici più amati di sempre. L’a., giornalista e
vaticanista, costruisce un resoconto completo sul processo di canonizzazione più rapido della storia della Chiesa. Dalla guarigione miracolosa di Floribeth Diaz, alla malattia, il ritratto di un papa capace «con la fede di superare barriere e pregiudizi entrando nel cuore dei fedeli di tutto il mondo».
Yáñez H.M. (a cura di), Evangelii gaudium: il testo ci interroga.
Chiavi di lettura, testimonianze e prospettive, Gregorian & Biblical Press, Roma
2014, pp. 293, € 30,00. 9788878392908
I
l vol. è il frutto di una riflessione interdisciplinare sul testo magisteriale
Evangelii gaudium tra docenti della Pontificia università gregoriana coordinati dal Dipartimento di teologia morale. L’obiettivo, oltre a quello di offrire chiavi di lettura e possibili applicazioni pastorali nate dalla lettura critica
del testo, è di rendere feconda la relazione tra magistero e teologia, considerando che in questo caso è proprio il magistero a domandare alla teologia di
continuare a pensare con quella creatività che deve essere capace d’armonizzare «prudenza e audacia».
Zaccuri A., Francesco. Il cristianesimo semplice di papa Bergoglio, Il Melangolo, Genova 2014, pp. 56, € 6,00. 9788870189353
Q
uesto brevissimo saggio getta luce sulle affinità problematiche della religiosità di Francesco d’Assisi, di Ignazio di Loyola e papa Francesco. Ciò
che li accomuna è la loro fede radicata in Cristo e nell’altro come apertura al
mondo e al rischio, rifiutando la «paranoia della sicurezza». Così la loro religiosità si presenta come una battaglia in cui le ferite possibili sono incluse nella
stessa fede. L’a. esamina questi aspetti attraverso un’interessante interpretazione di un quadro di Zurbarán in cui Francesco d’Assisi manifesta il senso
della sua scelta di povertà, densa di significati ecclesiali ed esistenziali come
per Ignazio e per papa Francesco, che non sono riducibili a schermi retorici
come molti detrattori hanno voluto vedere nei loro gesti e nelle loro parole.
Comitato preparatorio (CEI), In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Una traccia per il cammino verso il 5° Convegno ecclesiale nazionale, EDB, Bologna 2014, pp. 61, € 2,50. 9788810113424
Enchiridion Vaticanum 28. Documenti ufficiali della Santa Sede 2012,
EDB, Bologna 2014, pp. XLV+1229+211, € 48,00. 9788810802571
Storia, Saggistica
Aa. Vv., Il pallone del tiranno. Storie di calcio e dittature, SEI, Torino
2014, pp. 267, € 15,00. 9788805075058
I
regimi totalitari e il calcio: due temi apparentemente distanti, ma che
s’intrecciano nella storia del Novecento, secolo in cui le dittature hanno
spesso utilizzato lo sport come strumento di propaganda. La I parte del libro racconta le storie di 4 sportivi d’epoca fascista, la II quella di Matthias
Sindelar, campione austriaco che rifiutò la maglia della nazionale tedesca
per poi morire misteriosamente. A seguire, le vicende dello Spartak di Mosca e dei fratelli Starostin, passati attraverso tutta la parabola del comunismo sovietico, e quella di Alfredo di Stefano, argentino diventato suo malgrado uomo-immagine del Real Madrid e del franchismo.
Aa. Vv., Tommaso Moro. A cura di E. Rialti, Lindau, Torino 2014, pp. 184,
€ 18,00. 9788867082773
I
l dramma Tommaso Moro, scritto a più mai nell’Inghilterra di fine Cinquecento inizio Seicento, riscuote ancora oggi il grande interesse tra storici e
critici letterari. Ma non tanto per i suoi meriti letterari, quanto piuttosto per
CCIII
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attualità
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la questione che riguarda misura e natura del coinvolgimento di Shakespeare nell’opera. Se è assodato che il grande drammaturgo inglese scrisse la
parte centrale del dramma (di 159 versi), diversi critici sostengono che egli
sia addirittura l’ispiratore dell’opera. Ipotesi, questa, quanto mai suggestiva, perché rivelerebbe la condivisione della fede cattolica fra due figure
straordinarie: il grande umanista martirizzato da Enrico VIII e uno fra i più
grandi poeti di ogni tempo.
Conte M.L., Un giornalismo per uomini vivi, EMP - Edizioni Messaggero, Padova 2014, pp. 327, € 27,00. 9788825035773
N
ell’era di Internet c’è ancora spazio per un giornalismo di contenuti?
La società di oggi sembra andare in un’altra direzione, così com’è assediata dai media, complessa e plurale, incalzata dalla velocità di una comunicazione. In questo contesto ha ancora un senso parlare di giornalismo
culturale? Una strada c’è – afferma l’a. – ed è ben esemplificata dall’esperienza della Domenica, supplemento culturale del Sole 24 Ore, il «caso» che
viene studiato in queste pagine. Così ci si accorge che è stata proprio la capacità di immergersi nel presente a determinare il successo dell’esperimento. «New media, old values», è la formula vincente per Gianni Riotta. I valori
di un tempo possono emergere anche sul web.
Gregory T., Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente, Laterza,
Roma-Bari 2013, pp. 79, € 7,90. 9788858113196
S
correndo la bibliografia del presente vol. ci si rende conto di come la riflessione sulla figura del diavolo, e più in generale sulla demonologia, sia
discontinua e pressoché assente dagli studi storici e sociologici da quasi 30
anni; un’assenza registrata peraltro anche dal punto di vista della riflessione
teologica. Con rigore storico e filologico, questo breve ma documentato
saggio mostra la comprensione del diavolo e del demoniaco in Occidente
partendo dalla riflessione esegetica, apologetica e teologica dei padri della
Chiesa – soprattutto di Agostino – per arrivare all’uso politico che di questa
figura è stato fatto negli ultimi secoli della società medioevale.
L
ibri del mese / schede
O’Reilly B., Dugard M., Killing Jesus. Traduzione di G. Zucca, Piemme, Milano 2014, pp. 275, € 16,50. 9788856638745
P
roseguendo la linea dei due precedenti lavori, Killing Lincoln e Killing
Kennedey, i due aa. si occupano in questo vol. di un altro celebre e «scomodo» personaggio storico brutalmente ucciso: Gesù di Nazaret. Specificando che non si tratta di un libro religioso e considerando il Nazareno solo
come «un uomo che scatenò l’entusiasmo di tanti e l’odio di altrettanti potenti nemici», i due giornalisti cattolici sembrano essere interessati, oltre
che alla verità storica, a mostrare l’eterna lotta tra bene e male. Per loro
stessa ammissione, questa biografia deve essere considerata come la protologia delle due biografie precedenti riguardanti i due presidenti: «Ferventi
credenti nella divinità di Gesù».
Rüpke J., Il crocevia del mito. Religione e narrazione nel mondo antico, EDB,
Bologna 2014, pp. 50, € 6,50. 9788810558225
L’
idea che al di fuori di noi gli uomini o altri enti possano influenzare il
corso delle cose nella natura e nella storia è presente in tutte le culture.
Ma è nel bacino del Mediterraneo, nel corso del I sec. a.C., che diviene popolare la pratica di rappresentare gli dèi in forma umana. Poiché essi compiono azioni destinate ad avere effetto sugli uomini, vengono ricordati i
grandi avvenimenti in cui non manca l’intervento di un dio chiamato in
soccorso. La cultura greca offre la possibilità di rendere pubblici questi racconti sia nel teatro che nelle espressioni tradizionali della poesia e del canto.
È in questo contesto che i miti si configurano come storie o, più semplicemente, come «esposizioni».
Smolin L., La rinascita del tempo. Dalla crisi della fisica al futuro dell’universo. Traduzione di S. Frediani, Einaudi, Torino 2014, pp. XXX + 300,
€ 32,00. 9788806206970
I
libri di cosmologia riescono sempre a stupire e in particolar modo quelli
pubblicati negli ultimi decenni. Questo saggio ne è una conferma. Le nostre opinioni sulla struttura del mondo sono legate ancora a tesi aristoteliche
e newtoniane che oggi risultano false o fuorvianti. Infatti, la fisica antica e
quella classica si fondano su principi deterministici che pretendono di avere
un valore atemporale e di non essere quindi soggette a mutamenti come gli
enti naturali. Diversamente l’epistemologia contemporanea sostiene il carattere temporaneo della validità dei paradigmi scientifici. Certo la lettura può
risultare ostica, ma il lettore può tuffarsi in questo mondo fantastico liberandosi dall’antropocentrismo che regolano molte delle sue convinzioni ed è
portato a riflettere su paradossi come il «futuro del tempo».
Valadier P., I sentieri della bellezza. Arte, morale e religione, EDB, Bologna 2014, pp. 171, € 18,50. 9788810560075
C
on la liquidazione della cornice e del concetto di bellezza qualunque
oggetto rischia di essere considerato, in quanto tale o perché disposto
da mano umana, un’opera artistica. La giustificazione di ogni singolarità
porta con sé l’imprevisto della banalizzazione e l’arte contemporanea viene
interpellata sull’inaridimento delle proprie fonti d’ispirazione e sul presunto desiderio di sostituire la religione prendendone il posto. Il vol., che si colloca all’intreccio tra le dimensioni politica, morale e religiosa, s’interroga
sulla realtà e sulla vitalità delle arti contemporanee senza nulla concedere a
inclinazioni pessimistiche, apocalittiche o «declinistiche». L’a., uno dei
maggiori studiosi del pensiero di Nietzsche, si propone d’individuare alcune «pagliuzze» nella paccottiglia, memore della reazione di Diderot ai sistematici detrattori dell’arte contemporanea: «Tu rimesti la sabbia di un fiume che trasporta pagliuzze d’oro, e ne ritorni le mani piene di sabbia, lasciando le pagliuzze».
Politica, Economia, Società
Belardelli G., La catastrofe della politica nell’Italia contemporanea. Per una storia della seconda Repubblica, Rubbettino, Soveria Mannelli
(CZ) 2014, pp. 97, € 12,00. 9788849840582
L
790
a «catastrofe della politica» che dà il titolo al vol. è quella avvenuta in
Italia negli ultimi anni, quando la politica ha perso terreno rispetto
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attualità
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all’etica e al diritto. Questo fenomeno è sicuramente legato alla peculiarità
di una seconda Repubblica incentrata sulla «guerra civile» tra berlusconismo e antiberlusconismo. Ma precede la discesa in campo di Berlusconi e
persino Tangentopoli, determinando l’attuale situazione di stallo della politica italiana. Il 1° c. del vol. è inedito, mentre gli altri 3 riproducono saggi
pubblicati in precedenza dall’a.
Brooks A.C., La via della libertà. Come vincere la battaglia per la libera iniziativa. A cura di F. Felice e F. Martini, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ)
2014, pp. 233, € 15,00. 9788849838688
N
onostante il 70% degli americani abbia fiducia nel sistema fondato
sulla libera iniziativa, negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno conosciuto
un incremento dell’intervento statale in economia. Per questo nel contesto
statunitense stanno fiorendo studi e ricerche volti a far riscoprire le virtù del
capitalismo. Tra questi figura il testo dell’a., noto e influente analista economico statunitense, che spiega come il capitalismo non sia solo superiore dal
punto di vista scientifico e materiale, ma soprattutto sotto il profilo morale.
Il vol., pubblicato durante la campagna elettorale presidenziale del 2012,
esce in italiano in versione riveduta e aggiornata.
Giacomantonio F., Sociologia dell’agire politico. Bauman, Habermas, Žižek, Studium, Roma 2014, pp. 121, € 10,00. 9788838242922
L’
agire politico costituisce una delle forme di agire sociale più difficilmente esplicabili in maniera univoca, perché esso non si può ridurre
né a una pura logica di razionalità, né a una mera forma di passione e coinvolgimento emotivo. Se la sua analisi dal punto di vista sociologico appare
dunque complicata, nondimeno risulta impossibile, come dimostra questo
testo, in cui l’a., dottore di ricerca in Filosofie e teorie sociali contemporanee, analizza i contributi di tre grandi sociologi contemporanei, quali Bauman, Habermas e Žižek.
Giannatempo S., Il vangelo secondo Tolkien. Dalla Terra di Mezzo alla
teologia pop, Claudiana, Torino 2014, pp. 112, € 11,50. 9788870169867
M
olti equivoci e molte manipolazioni hanno caratterizzato la vicenda
del grande scrittore britannico di confessione cattolica: di essere stato
narratore fantasy, vale a dire quel genere di letterato influenzato da elementi
magici e fantastici, e, ancor peggio, di essere stato nel nostro paese per anni
catturato da una sedicente «cultura di destra» razzista e neofascista con cui
il raffinato letterato inglese, professore a Oxford e autore del notissimo Il
Signore degli Anelli, non aveva e non ha nulla a che fare. Tolkien, in realtà,
come acutamente illustra l’a., in formazione verso il pastorato nella Chiesa
valdese, è stato essenzialmente un cristiano che per tutta la sua esistenza si è
lasciato interrogare, influenzare dalla Bibbia trasfondendo le sue storie in
un affresco narrativo in cui rivivono pagine bibliche.
Osservatorio internazionale card. Van Thuân sulla dottrina
sociale della Chiesa, Un paese smarrito e la speranza di un popolo. Appello politico agli italiani, Cantagalli, Siena 2014, pp. 85, € 6,00.
9788868790325
D
i fronte alla desolante assenza di una proposta politica organica e unitaria da parte dei cattolici in Italia, l’Osservatorio rivolge agli italiani
un accorato «appello politico». Un testo che, come spiega mons. Giampaolo Crepaldi, fondatore e presidente, nonché vescovo di Trieste, vuole essere
Appello, perché nasce dalla percezione di una drammatica urgenza; proposta
perché presenta a tutti gli italiani un quadro di idee politiche concrete, nella
convinzione che «la fede cattolica possa e debba entrare in aiuto alla ragione politica».
Toyoda N., Fukushima. L’anno zero. Traduzione di Y. Saito, M. Forti, Jaca
Book, Milano 2014, pp. 159, € 35,00. 9788816605046
P
rima del disastro dell’11 marzo 2011 alla centrale atomica di Fukushima, in Giappone, era stato martellante il «mito della sicurezza», secondo cui un incidente nucleare in Giappone non sarebbe mai potuto accadere. Dopo che la catastrofe è però avvenuta, le forze filonucleari nipponiche
hanno tramutato il «mito della sicurezza» in «mito della rassicurazione»,
minimizzando gli effetti delle radiazioni. Questo libro intende ricondurre il
lettore alla realtà dei fatti, tramite un ricco contributo fotografico e di testimonianze.
CCIV
Pedagogia, Psicologia
Clericetti G., Il primo pinocchio, Mimep-Docete, Pessano con Bornago (MI) 2014, pp. 86, € 14,00. 9788884242938
S
i tratta del «rifacimento, con l’aggiunta di nuovi disegni» di un testo che
«ho pubblicato ben 36 anni fa» – dice l’a., l’umorista Guido Clericetti,
– con la «piccola casa editrice Città armoniosa, su richiesta dell’editore, il
mio amico Giovanni Riva». È stato intitolato così perché la filastrocca che
accompagna le 40 tavole è stata pensata per la lettura da parte di un adulto
ai bambini che non sanno ancora leggere. Così le numerose avventure del
burattino più famoso del mondo nate nel 1883 possono essere conosciute
prima e più approfonditamente delle riduzioni che il potente mondo dell’animazione ne ha fatto
De Vanna U., Noi, gli adolescenti. I grandi temi che più li coinvolgono affrontati da soli o insieme, in gruppo o in classe, Elledici, Torino 2014, pp. 144, € 14,90.
9788801056945
L’
adolescenza è un’età complessa, difficile da decifrare e da comprendere per chi, come genitori ed educatori, accompagna i ragazzi nel
loro cammino di crescita. Questo testo può aiutare gli adulti a comprendere che cosa pensano gli adolescenti dell’amicizia e dell’amore, ma anche della fede e della preghiera. Ed è pure utile ai ragazzi stessi, che possono trovarvi molte domande su cui riflettere, da soli o insieme, in gruppo
o a scuola.
Ianes D., L’evoluzione dell’insegnante di sostegno. Verso una didattica inclusiva, Erickson, Trento 2014, pp. 159, € 17,00. 9788859004356
N
ella scuola italiana si è ormai definitivamente affermato il principio
dell’integrazione dell’alunno con disabilità, eppure, denuncia l’a.,
la sua applicazione concreta non può ritenersi soddisfacente. Il libro
parte enunciando i risultati di molte ricerche sul campo in Italia per arrivare ad avanzare una proposta shock di riforma che elimini la figura
dell’insegnante di sostegno. Al suo posto, un sistema che aumenti il numero di docenti curricolari, più ore di compresenza, una didattica veramente inclusiva e un numero ridotto di insegnanti esperti nella didattica
speciale.
Mastrofini F., Né castello né prigione. Come affrontare i problemi della
vita in famiglia, EDB, Bologna 2014, pp. 132, € 12,50. 9788810809525
I
l vol. si rivolge a tutte le persone che si domandano perché le relazioni
possono diventare difficili, che si chiedono come è possibile migliorare la
vita di coppia e della famiglia, che non si arrendono di fronte alla conflittualità e intendono trasformare i dissapori in opportunità di cambiamento. La
I parte illustra 3 approcci teorici che inquadrano le relazioni interpersonali,
la II analizza le più comuni difficoltà della vita familiare e la III si propone
di offrire indicazioni pratiche per considerare la propria famiglia non un
romantico castello o una prigione soffocante, ma un luogo in cui poter maturare e crescere.
Pralong J., Come liberarsi dal senso di colpa, EDB, Bologna 2014,
pp. 138, € 12,00. 9788810571163
I
l senso di colpa mette allo scoperto la paura viscerale di non essere
amati. Spesso ci sentiamo colpevoli e ci pieghiamo a giochi di ruolo per
pacificare la nostra coscienza e piacere a coloro che ci giudicano senza
pietà. Questa commedia contribuisce a privarci del diritto a essere noi
stessi e camuffa la nostra autentica personalità. Affrontato nel dialogo
con persone competenti, il senso di colpa può diventare un’occasione di
crescita e maturazione.
Quaglia S., Testimoni di umanità nella condizione postmoderna, EDB, Bologna 2014, pp. 83, € 6,50. 9788810605103
L
a riflessione generale sull’educazione sembra essersi dissolta e polverizzata in ambiti specialistici di intervento, caratterizzati più da aspetti
tecnici che da visioni di sistema. Tuttavia, come non ci si può sbarazzare
facilmente della filosofia, necessaria al respiro della nostra interiorità, così è
CCV
inevitabile che l’urgenza educativa si faccia sempre più pressante quanto
più si avverte lo smarrimento di fronte alla indecifrabilità di un presente
così vasto e così complesso da scoraggiare ogni tentativo di comprensione
unitaria.
Nuove edizioni - ristampe
Barbaglio G. (a cura di), Schede bibliche pastorali. Volume 1. A-L.
Volume 2. M-Z. Nuova edizione riveduta e corretta, EDB, Bologna 2014, pp. XIV
+ 2227 e XIV + 2190, € 176,00. 9788810201671 - 9788810201688
D
ue voll. per un totale di 430 voci bibliche, che coprono tutti i temi di
teologia biblica, i personaggi più importanti dell’AT e del NT, e tutti i
libri della sacra Scrittura. Ogni voce raccoglie ed espone il messaggio teologico e pastorale della Bibbia sull’argomento, è arricchita da lunghe citazioni bibliche, nella nuova versione della CEI 2008, esegeticamente analizzate
e spiegate. Come suggerisce il titolo, si tratta di una riedizione, in parte rielaborata e per lo più nuova e originale, organizzata rispettando l’impianto
conferitole da Giuseppe Barbaglio nella 2a edizione. Un’opera di grande
respiro, da tempo esaurita.
Cavrotti G. (a cura di), Primo Mazzolari. Con libertà e audacia
apostolica. La collaborazione con «La vita cattolica» di Cremona, AVE, Roma
2013, pp. 368, € 18,00. 9788882847333
I
l vol. pubblica in una nuova edizione, con note di commento, 78 articoli inizialmente editi dalla Fondazione Don Primo Mazzolari nel
Quaderno n. 5 del 1990. Si tratta di articoli apparsi sul settimanale diocesano cremonese La voce cattolica nel trentennio – 1927-1959 – di collaborazione di don Primo Mazzolari col giornale; 59 di questi uscirono a sua
firma, altri 2 anonimi ma sicuramente suoi, i restanti scritti da persone
che avevano presenziato a sue conferenze. L’Introduzione illustra brevemente il contesto storico degli articoli, il profilo del periodico e i tratti salienti dei testi successivamente riportati, onde ricavarne alcune delle peculiarità di don Mazzolari.
Cognet L., Storia della spiritualità/10. La scuola spagnola
(1500-1650). Nuova edizione, EDB, Bologna 2014, pp. 258, € 28,00.
9788810304358
I
l XVI sec., che segna l’emancipazione della cultura dalla tutela del
clero, offre nel campo della spiritualità un impressionante abbondanza di materiale scritto, favorita anche dall’invenzione della stampa. Accanto alla frattura protestante e alla reazione cattolica, la Chiesa assiste
in questo periodo anche a una riforma dall’interno suscitata da un gran
numero di «santi» impegnati a fare rifiorire una religiosità più autentica.
3 di queste grandi figure segnano il «secolo d’oro» della spiritualità spagnola: Ignazio di Loyola (1491-1556), Teresa d Avila (1515-1582) e
Giovanni della Croce (1542-1591), protagonisti, assieme alle loro scuole, del vol.
Macchi P., Paolo VI nella sua parola. Nuova edizione, Morcelliana,
Brescia 2014, pp. 405, € 25,00. 9788837228033
I
l vol. è una riedizione – ampliata con una Postfazione del card. Capovilla – del testo, uscito nel 2001 a firma di colui che fu il segretario
di Montini dal 1954. Esso apre la collana «Montiniana» che raccoglie i
testi del papa beatificato il 19 ottobre scorso. In questo 1o vol. Macchi
dissemina delle «tracce, dei richiami che attingono agli anni del periodo milanese e molto di più a quelli del sommo pontificato, e vogliono
delineare la luminosa e paterna figura di questo papa». Nei voll. successivi sono presentati l’Ecclesiam suam, l’Evangelii nuntiandi, la Populorum
progressio, il Pensiero alla morte e prossimamente l’Humanae vitae: le parole
dirette del pontefice che portò a termine l’immenso compito del Vaticano II.
Il Regno -
attualità
22/2014
791
L
L ibri del mese / segnalazioni
L. Girardi,
A. Grillo,
D.E. Viganò,
Sacrosanctum
Concilium
inter mirifica
Commentario
ai documenti
del Vaticano II,
a cura di S. Noceti
e R. Repole. 1
EDB, Bologna 2014, pp. 416, euro 42,00.
9788810408452
Le parole con cui i padri conciliari concludono il loro insegnamento sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo (Gaudium et spes, n.
91) rappresentano una preziosa suggestione
che orienta alla successiva fase di recezione
postconciliare consegnandone alcuni criteri
fondamentali, che oltrepassano chiaramente la
sola costituzione pastorale. Come dopo ogni
concilio, infatti, anche dopo il Vaticano II si è
aperto il processo di recezione. Lungi dall’essere una mera applicazione della lettera dei documenti, esso è un processo d’accoglienza viva,
da parte delle Chiese, di quanto l’evento conciliare e i suoi testi, hanno maturato e consegnato.
Profondo rinnovamento. Ciò è particolarmente vero nel caso del Vaticano II. È noto infatti che l’ultimo Concilio ha avuto un’intenzione «pastorale» e ha avviato un necessario rinnovamento ecclesiologico ed ecclesiale, nel
più vasto orizzonte di un ripensamento della
stessa rivelazione divina e, più in generale, della
dottrina cristiana. Il rinnovamento ecclesiologico è stato incentrato sull’idea di popolo di
Dio; apre quindi a una comprensione della recezione come fatto che coinvolge tutti i soggetti ecclesiali. La riscoperta, dopo secoli, del
valore delle Chiese locali, fa poi sì che la recezione sia un processo d’aggiornamento e inculturazione che rende la Chiesa effettivamente
mondiale.
Ciò non toglie che punto di riferimento
costante rimangano i documenti promulgati.
Senza di essi ogni discorso sulla recezione sarebbe privo di senso. Ciò appare ancora più rilevante a cinquant’anni dalla conclusione del
Concilio, mentre assistiamo a un cambio generazionale: non ci sono più i protagonisti (padri
conciliari e periti); sta scomparendo la generazione di chi ha vissuto in prima persona il mutamento conciliare e ne ha custodito finora la
memoria; sta svanendo anche la voce di quanti,
accogliendo la lezione conciliare, si sono adoperati per una profonda rielaborazione teologica. Per quanti sono «nati» dopo il Concilio, i
documenti costituiscono un punto di riferimento imprescindibile, una preziosa eredità ricevuta e da trasmettere, un faro anche per le
792
Il Regno -
attualità
22/2014
future fasi di recezione. Ciò è tanto più vero
per coloro che sono investiti del ministero teologico: una generazione nuova, che ha già beneficiato, nei propri itinerari formativi, del rinnovamento teologico postconciliare.
È in questo quadro che si comprende la
necessità di un lavoro di commento ai testi del
Concilio. All’indomani del Vaticano II, ci fu la
pubblicazione di numerosi commentari ai documenti, in molti casi redatti da coloro che furono protagonisti – in qualità di padri conciliari
o di periti – della loro elaborazione. Questi testi hanno accompagnato la prima fase postconciliare, contribuendo non poco alla diffusione delle novità teologiche emerse e dei processi di riforma che ne erano scaturiti. A cinquant’anni di distanza dall’evento, in un contesto di vivace dibattito sulle ermeneutiche – che
ha visto come protagonisti sia il magistero sia la
teologia – si avverte la necessità di un ritorno
alla lettura puntuale dei testi conciliari per offrirne un commento teologico-sistematico,
che goda della novità di prospettiva che la distanza temporale ormai permette.
Infatti, la pubblicazione degli Acta Synodalia, la ricostruzione della storia dell’evento
conciliare e della redazione dei documenti (in
particolare quanto espresso dalla pubblicazione della preziosa ricerca coordinata da G. Alberigo con la Storia del concilio Vaticano II), le
sinossi, gli innumerevoli studi monografici dedicati ai testi controversi, agli orientamenti teologici e ai dibattiti conciliari, richiedono – e
allo stesso tempo permettono – una lettura
critica di taglio filologico dei singoli documenti, collocati nel quadro complessivo e unitario
rappresentato dal «corpus testuale-dottrinale»
del Vaticano II. Tale unitarietà è comprensibile
alla luce della finalità che il Concilio si è dato,
che i due pontefici hanno indicato ad apertura
della prima e della seconda fase e che i padri
conciliari hanno rimodulato durante i lavori,
grazie ai dibattiti e alle stesse dinamiche del
convenire conciliare.
Sarà questa la prospettiva fondamentale in
cui si colloca il presente commentario: su tale
approccio metodologico ed ermeneutico si radica l’impianto che è stato assunto dai diversi
autori e caratterizzerà questo lavoro, distinguendolo da altri commentari di recente pubblicazione. Rispetto a essi, la novità è data pertanto dal fatto che: si assumono gli scritti del
Vaticano II come un unitario corpus letterarioteologico; si offre, di ogni singolo testo, un
commento di stampo filologico, che si avvalga
degli studi storico-teologici finora realizzati; si
legge ciascun testo, tenendo conto – per quanto possibile – della recezione che esso ha all’interno di altri passi conciliari o di importanti testi magisteriali successivi. In concreto, i primi
otto volumi saranno perciò dedicati all’introduzione e al commento puntuale delle costituzioni, dei decreti e delle dichiarazioni, secondo
una successione che tenga conto dello svolgersi delle sessioni conciliari e, per ogni fase, di affinità tematica.
Il dibattito e le ermeneutiche. Proprio la
collocazione di ogni documento nell’evento
conciliare e nell’intero corpus testuale-dottrinale motiva la scelta di svolgere un commento
puntuale di ogni paragrafo, che tenga presente
i dibattiti avvenuti in fase redazionale, segnali
punti di contatto con altri passi conciliari in cui
sono presenti gli stessi temi e indichi – eventualmente – citazioni magisteriali postconciliari ermeneuticamente significative. Ciascuno di
questi volumi si avvale inoltre di un’Introduzione generale ai singoli documenti, che ne esamina l’impianto teologico, la formazione letteraria, i riferimenti culturali, i presupposti biblici,
patristici, filosofici ecc., insieme alle linee di recezione teologica, ponendo particolare attenzione alle implicazioni ecumeniche. La ricchezza degli studi postconciliari è richiamata nella
bibliografia generale, ma soprattutto in quella
riferita ai singoli paragrafi: data l’ampiezza del
materiale oggi a disposizione, i richiami sono
selezionati, senza alcuna pretesa di esaustività.
Con questa impostazione s’intende accogliere le principali acquisizioni che vengono dal
dibattito sui criteri ermeneutici dei testi conciliari, che ha visto come protagonisti studiosi
quali Ratzinger, Kasper, Congar, Theobald,
O’Malley... Il nono volume motiverà la scelta di
riferirsi a un corpus testuale-dottrinale, individuando e dibattendo i principali snodi teologici emergenti da una lettura trasversale dei documenti. Il confronto tra una siffatta analisi dei
testi e le traiettorie della recezione ed ermeneutica postconciliari permetterà di cogliere,
altresì, quali siano state le questioni rimaste
aperte alla chiusura del corpus testuale: in particolare quelle che, ancora oggi, chiedono ulteriori elaborazioni.
Il Commentario, che beneficia dell’apporto di oltre trenta studiosi, donne e uomini, è
espressione della volontà dell’Associazione teologica italiana di servire – come indicato dallo
stesso Statuto – la memoria viva del Vaticano
II. In tal modo s’intende rispondere alla richiesta di quanti – studiosi, ricercatori, studenti e
docenti di discipline teologiche – desiderano
uno strumento scientifico adatto all’attuale
contesto culturale, ecclesiale e teologico.
Serena Noceti,
Roberto Repole*
* Questo testo, che pubblichiamo per gentile concessione degli autori e dell’editore, costituisce l’Introduzione generale all’opera, della
quale a oggi è uscito il primo dei 9 voll. previsti. Il
comitato scientifico del Commentario è composto da Pierluigi Cabri, Giacomo Canobbio,
Piero Coda, Vincenzo Di Pilato, Massimo Faggioli,
Angelo Maffeis, Serena Noceti, Roberto Repole,
Gilles Routhier.
CCVI
Famiglie
I testi principali dell’Assemblea
straordinaria del Sinodo dei vescovi,
EDB, Bologna 2014, pp. 117, € 11,50.
9788810565070
I. Ingrao,
Amore e sesso ai tempi di papa
Francesco
Le coppie, le famiglie, la Chiesa,
Piemme, Milano 2014, pp. 194, € 14,50.
9788856644944
A. Spadaro,
La famiglia è il futuro
Tutti i documenti del Sinodo
straordinario 2014,
Àncora – La Civiltà cattolica, Milano
2014, pp. 236, € 15,00. 9788851415136
L’
occasione del Sinodo era ghiotta. La discussione, i documenti, il rapporto con i
media… Tutto andava nella direzione di
rendere disponibili su carta questi materiali per
favorire una riflessione su tempi più distesi e
preparare quella in vista del 2015. E, dopo i fascicoli a punto metallico – quello di EDB ha riportato utilmente nella Relatio Synodi i placet/
non placet sotto a ogni numero – e a un ebook
pubblicato da Repubblica (!), sono anche arrivati i libri. Il titolo più «sparato», quello del volume
a firma del vaticanista di Panorama Ignazio Ingrao, è stato anche il primo ad arrivare in libreria: a dispetto del titolo, si tratta di un documentato e gradevole excursus dall’indizione dei
due Sinodi (ottobre 2013) fino a quello celebrato nell’ottobre 2014, con in Appendice la Relatio Synodi. È poi venuto il libro curato da p. Antonio Spadaro, che aveva partecipato al Sinodo
come esperto nominato da papa Francesco. Il
suo commento all’intero percorso sinodale accompagna la pubblicazione di tutti i documenti
del Sinodo, dal documento di lavoro all’allocuzione finale di papa Francesco, passando dalle
relazioni dei circuli minores (in lingua originale).
E infine il libro EDB, che presenta i 7 documenti
principali dell’assise con una breve introduzione del sociologo Franco Garelli.
Le nuove 46 domande, pubblicate il 9 dicembre scorso e che, assieme al Messaggio al
popolo di Dio, alla Relatio Synodi e al discorso
finale del papa, costituiscono il documento di
lavoro per il 2015, danno il via ai nuovi materiali per il Sinodo ordinario: gli editori sono avvisati… chiavi di lettura
F. Garelli,
Nati per leggere
L
e ultime cifre diffuse proprio in questi giorni da Save the children Italia, con il
5° Atlante dell’infanzia, parlano di 1 milione 434.000 under 18 (13,8% del totale dei minori) in povertà assoluta, cioè senza il necessario per vivere una vita
quotidiana dignitosa; 2 milioni 400 mila minori in povertà relativa, cioè in famiglie
con un reddito molto basso e quindi costrette a tagliare dove possibile.
E ribadiscono che «la deprivazione culturale va di pari passo con quella economica». Leggere queste e le tantissime cose raccolte nell’Atlante fa esplodere la domanda
«chi se ne occuperà?» e un affannosa ricerca di squarci di positivo, che esistono. E
sono promettenti. Come lo è l’esperienza di Nati per leggere, progetto costituito nel
1999 dalla sinergia tra l’Associazione culturale pediatri, l’Associazione italiana biblioteche e il Centro per la salute del bambino.
Il cuore del progetto è semplicissimo: se hai a che fare con un bambino, sia tu
genitore, pediatra, insegnante, operatore socio-educativo o altro, mettiti vicino a lui e
inizia a leggergli un libro ad alta voce.
La lettura ad alta voce è infatti un elisir dai molteplici benefici: rafforza la relazione adulto-bambino, arricchisce il vocabolario dei più piccoli che sapranno esprimersi
meglio, crea l’abitudine all’ascolto, aumenta i tempi d’attenzione, accresce il desiderio d’imparare a leggere e conoscere, regala momenti di piacere.
Molto consistente ormai è la letteratura scientifica che descrive come la lettura
con i bambini fin dalla più tenera infanzia favorisca e sostenga la crescita armoniosa
ed equilibrata dei piccoli sia sul piano cognitivo, sia su quello affettivo-relazionale.
Modelli ispiratori di Nati per leggere sono le esperienze anglosassoni di Bookstart e
quella americana di Reach out and read.
In Italia oggi Nati per leggere si può incontrare in 1.200 comuni, attraverso circa
500 progetti e migliaia di volontari, spina dorsale del progetto, che nelle biblioteche,
asili nido, consultori, ospedali, librerie prestano la loro voce ai libri, perché sempre
più bambini tra i 6 mesi e i 6 anni possano entrare in contatto con l’esperienza meravigliosa della lettura e sempre più genitori possano essere coinvolti in questo esercizio.
Infatti l’obiettivo del progetto è che si legga in famiglia, perché il libro è uno
strumento utile, facile da usare ed efficace anche in mano ai genitori per entrare in
relazione con il proprio bimbo, condividere emozioni, comunicare. Così Nati per
leggere mette a disposizione attraverso i suoi «presidi» (e online) consigli su come,
che cosa e quando leggere, con bibliografie ragionate, corsi di formazione, veri e
propri laboratori di lettura o il semplice allestimento di spazi, presso gli studi dei
pediatri ad esempio, riforniti di libri e del necessario per non fare altro che leggere.
Se fino a qui Nati per leggere si è occupata di tutte le famiglie «normali» che
arrivano dal pediatra o in biblioteca, ora la necessità è d’intercettare in modo più
sistematico le famiglie straniere e quelle con fragilità economiche, sociali e culturali,
perché stimoli offerti precocemente possono incidere in modo determinante sul destino di un bambino che vive in situazioni di disagio.
Questa di fatto era l’esperienza americana che utilizzava la lettura per rompere
il ciclo della povertà, offrendosi alla popolazione povera che affluiva al City Hospital
di Boston. Così ad esempio a Napoli nel 2012 è nato il primo «punto.lettura», in
collaborazione con l’amministrazione comunale, presso il Palazzo delle arti. Si tratta
del primo spazio di lettura, educativo e di socialità per bambini in una città che non
ha biblioteche né troppi servizi per la prima infanzia.
E il mercoledì pomeriggio, un bus raccoglie mamme e bambini dai quartieri
periferici o più fragili per portarli in centro, al «punto.lettura». L’esperienza sta contagiando altre realtà campane. In Lombardia, invece si sta preparando una bibliografia di libri per bambini provenienti da paesi stranieri nelle 7 lingue maggiormente
parlate in regione (tra cui albanese, arabo, cinese, romeno). L’Abruzzo cerca di far
arrivare a più famiglie possibile il messaggio del progetto attraverso la formazione di
educatori dei nidi e insegnanti della scuola dell’infanzia, perché in questi luoghi la
lettura diventi consapevole pratica sociale e attività quotidiana educativa.
Sarah Numico
M.E. G.
CCVII
Il Regno -
attualità
22/2014
793
L
iletture
Mariapia Veladiano
ibri del mese
L’Osservatore delle donne
Il primo numero è un fuoco d’artificio: la santa è
Giovanna d’Arco, l’articolo di attualità parla di schiave
del sesso e suore, il pezzo di cultura è su Artemisia
Gentileschi (c’era la mostra a Parigi). Son quasi tre anni da
che L’Osservatore romano pubblica l’inserto «Donne
Chiesa mondo». Così il titolo, tre parole scritte senza
maiuscole e senza virgole. Quel che conta è la sequenza
senza soluzione di continuità. Si parte dalle donne, donne
importanti e no, importanti in modo canonico e no, si
racconta il loro vivere la Chiesa e il mondo.
Quel primo numero fece gran parlare soprattutto la
stampa straniera. Più distratta quella italiana. Sospettosa.
O, semplicemente, forse serve la distanza per vedere
meglio le proporzioni della novità. E il quotidiano della
Santa Sede che pubblica un inserto mensile dedicato alle
donne è sì una notizia.
L’inserto è nato nel maggio 2012, il giorno della
Visitazione, memoria di Maria ed Elisabetta, due donne
che hanno conosciuto l’eternità dell’istante arrivato come
dono. Un bel dipinto di Isabella Ducrot le mostra
abbracciate, in prima pagina, in un girotondo sospeso di
abiti e veli. Portate. Si vedono due donne ma in loro c’è il
mondo nuovo che viene. Elisabetta e il suo bambino
Giovanni riconoscono Maria e il suo bambino Gesù e lo
cantano con parole che tutto il mondo canterà. Sta nella
donna questo cambiare il mondo. Un prima e un dopo
assoluti abitano ogni nascita. Difficile immaginare
qualcosa di più assoluto.
E che sia questo, esattamente, il loro compito nella
Chiesa, cioè ricordare e realizzare il suo essere che è
inaugurare la vita nuova, rovesciare ogni ingiustizia, i
potenti giù dai troni, i ricchi a mani vuote, i miti a
ereditare la terra, già questa nostra terra, che sia questo il
compito della donna è stato detto nel bene e nel male. Il
bene di una teologia e storia che hanno riconosciuto
l’immensità del materno. Il male di una teologia che ha
voluto fissare le donne nel loro essere appunto solo madri,
nel corpo o nello spirito, ma madri e se non son questo
quasi manca il linguaggio per dirle. Come se non bastasse
essere donna.
Ma esiste un lungo, documentato, faticoso, esaltante
percorso di donne credenti e non credenti che ci
consegnano questa consapevolezza del valore della
donna, percorso già fatto e però sempre pronto a essere
dimenticato perché nella Chiesa come nel mondo il
potere e la visibilità sono ancora scritti al maschile e le
tentazioni sono infinite, al maschile e al femminile:
malafede, piaggeria, ambizione, imitazione.
Prevaricazione. Potere, alla fine è il potere il nemico.
E rimane «tutt’altro che facile identificare posizioni
794
Il Regno -
attualità
22/2014
autorevoli, alternative a quelle occupate dagli uomini», lo
scrive Gian Paolo Salvini nell’ultimo numero. Ma poi,
quando si tratta di uscire dalla denuncia e di tracciare una
strada, Salvini non ci aiuta a immaginare come la
«fantasia» che pure attribuisce alla Chiesa possa aprire
davvero strade nuove fra «canoni e rigide norme
intoccabili».
L’inserto tiene saldamente il filo di una storia di
presenza, intelligenza, affermazione delle donne che c’è
stata, c’è e però non è (ancora) storia accettata e condivisa
nella Chiesa come fuori. Chi ha seguito l’inserto in questi
quasi tre anni ha trovato teologhe, musiciste, ballerine,
architette, attrici, suore, donne fuori dagli stereotipi
opachi che avvelenano tanto immaginario anche
credente.
Non c’è un’unica luminosa univoca scolpita unanimità
di posizioni nell’inserto. A volte viene un brivido a leggere
di posizioni tutto sommato ancora segnate da una
subalternità paternalistica eppure sostenute da donne di
Chiesa. Certo la linea editoriale è invece chiara,
«Lavorare di più per fare una profonda teologia della
donna», secondo le parole di papa Francesco riportate in
prima pagina.
È un parlare conoscendo e ricordando la storia. Per cui
anche i libri e i film recensiti non sono necessariamente le
novità, mentre le sante proposte in ciascun inserto (ora
anche nel volume Donne @ moderne, EDB, Bologna 2014)
rivivono dentro un’attualità ricercata.
Ci sono uomini in redazione, ma l’inserto è pensato
completamente da Giulia Galeotti, caporedattrice della
cultura de L’Osservatore romano, Lucetta Scaraffia,
storica, e Ritanna Armeni, giornalista. L’ultimo anno
«Donne Chiesa mondo» si è dedicato alla teologia della
donna, con interventi di segno molto diverso.
Il percorso si è concluso con un dibattito riportato nel
numero di dicembre in cui Luisa Muraro, con il suo dire
scolpito e sempre un poco abrasivo, dice quel che del
movimento femminista deve restare, ovvero l’ispirazione
originaria che non si vuole conquistare il potere ma
«disfare dall’interno il potere, per sostituirlo con l’energia
simbolica della parola e delle relazioni, cioè quello che si
chiama autorità».
Bello questo ricordare che non è la conservazione la
nostra vocazione di cristiani, uomini e donne. La
conservazione è una tentazione. La conversione è vita
nuova ritrovata.
Peccato per le vignette di Cinzia Leone, sparite a metà
strada perché turbavano qualche sensibilità. Non solo
della donna si ha ancora paura, ma anche dell’ironia.
Un po’ di (im)paludamento la Chiesa ancora lo soffre.
CCVIII
diario ecumenico
Novembre
Italia – Convegno dei Focolari sull’ecumenismo. Al 33°
Convegno di vescovi amici del movimento dei Focolari, che si svolge a
Castelgandolfo dal 3 al 7 novembre, partecipano 39 vescovi da 29 nazioni e da 8 diverse Chiese cristiane – tra cui quelle luterane, metodiste e anglicana –, per riflettere sul tema centrale «L’eucaristia, mistero
di comunione». Il vescovo luterano tedesco Christian Krause, già presidente della Federazione luterana mondiale (FLM) e firmatario nel
1999 della Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione, riferisce all’agenzia NEV del 12 novembre: «Il fatto che i cristiani
non condividano la cena del Signore e la celebrino separatamente è
una realtà estremamente dolorosa. Nel mio intervento al Convegno
ho presentato la possibilità dell’ospitalità eucaristica che consiste
nell’invitare alla propria mensa cristiani appartenenti ad altre Chiese,
senza tuttavia chiedere a quest’ultimi di condividere la concezione
sacramentale della Chiesa ospitante». Il 7 i partecipanti al convegno
incontrano papa Francesco, al quale Krause dice: «Fra tre anni avremo
l’occasione di manifestare insieme con maggiore chiarezza e incisività
la nostra unità in Cristo davanti al mondo intero: si celebrerà allora il
cinquecentenario della Riforma del 1517. Vorremmo celebrarlo insieme a lei nel segno dell’amore di Dio come una testimonianza rivolta a
tutta la cristianità della terra». Il pastore Gottfried Locher, presidente
della Federazione delle Chiese evangeliche in Svizzera, dichiara poi
alla NEV: «Mi potrei immaginare molto bene di organizzare qualcosa
in occasione del giubileo della Riforma insieme a papa Francesco».
Oslo – Carta per la libertà religiosa e di credo. L’8 novembre a Oslo presso il Centro Nobel per la pace viene firmata da una
trentina di deputati di diverse fedi e paesi – riuniti nella Coalizione internazionale di parlamentari impegnati a favore della libertà religiosa
– una Carta per la libertà religiosa e di credo, che esprime l’impegno
a promuovere ovunque la piena applicazione dell’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. L’iniziativa è promossa
dalla US Commission on International Religious Freedom.
Luterani tedeschi – Nuovo presidente. L’11 novembre il Sinodo della Chiesa evangelica in Germania (EKD) riunito a Dresda elegge come nuovo presidente, dopo il ritiro anticipato di Nikolaus
Schneider, il vescovo luterano Heinrich Bedford-Strohm, 54 anni,
della Chiesa evangelica luterana della Baviera, con i due terzi dei voti.
Teologo esperto di etica sociale e di tematiche sulla globalizzazione,
Bedford-Strohm ha avuto diversi incarichi sia nel Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC) sia nella Comunione di Chiese protestanti in Europa (CCPE), e sarà sotto il suo mandato che la Chiesa luterana tedesca celebrerà nel 2017 il Giubileo della Riforma (cf. Regno-att.
16,2014,589).
Chiesa d’Inghilterra – Arrivano le donne vescovo. Il 17
novembre il Sinodo generale della Chiesa d’Inghilterra approva il
provvedimento che permette alle donne di essere ordinate vescovo nella Chiesa madre della Comunione anglicana. Il varo formale
della legislazione è conseguenza del voto del Sinodo generale dello
scorso 14 luglio (cf. Regno-att. 16,2014,589), a seguito del quale la
nuova formulazione è stata approvata in Parlamento e ha ricevuto
l’approvazione reale (la regina è il capo della Chiesa d’Inghilterra). Il
17 dicembre il primo ministro annuncia il nome della prima donna
vescovo: sarà Libby Lane, attualmente vicaria di St. Peter’s Hale e St.
Elizabet’s Ashley nella diocesi di Chester, che verrà consacrata vescovo di Stockport il 26 gennaio. È una delle otto donne prete elette come osservatori partecipanti nella Camera dei vescovi.
Unitatis redintegratio – 50° anniversario. In occasione
della ricorrenza, il 21 novembre, del 50° anniversario della promulgazione del decreto Unitatis redintegratio del concilio Vaticano II
sull’ecumenismo, la Sessione plenaria del Pontificio consiglio per la
promozione dell’unità dei cristiani, che si tiene dal 18 al 21 novembre,
verte sul tema «La meta dell’ecumenismo: principi, opportunità e sfide a cinquant’anni da Unitatis redintegratio». Il 20 il papa consegna
una lettera ai membri del Consiglio: «Mentre rendiamo grazie – afferma –, dobbiamo riconoscere che tra cristiani siamo ancora divisi, e
che divergenze su nuovi temi antropologici ed etici rendono più
complicato il nostro cammino verso l’unità. Tuttavia, non possiamo
cedere allo sconforto e alla rassegnazione, ma continuare a confidare
in Dio che pone nei cuori dei cristiani semi di amore e di unità, per affrontare con slancio rinnovato le sfide ecumeniche di oggi: per coltivare l’ecumenismo spirituale, per valorizzare l’ecumenismo del sangue, per camminare insieme nella via del Vangelo. (...) Riguardo all’ecumenismo del sangue, proprio Unitatis redintegratio invitava a valorizzarlo riconoscendo, nei fratelli e nelle sorelle di altre Chiese e comunità cristiane, la capacità – donata da Dio – di dare testimonianza a
Cristo fino al sacrificio della vita (cf. n. 4). (…) In questi mesi, incontrando tanti cristiani non cattolici, o leggendo le loro lettere, ho potuto
vedere come, malgrado questioni aperte che ancora ci separano, esiste un diffuso e forte desiderio di camminare insieme, di pregare, di
conoscere e amare il Signore, di collaborare nel servizio e nella solidarietà con i deboli e i sofferenti. Sono convinto di questo: in un cammino comune, con la guida dello Spirito Santo e imparando gli uni dagli
altri possiamo crescere nella comunione che già ci unisce».
Bose – Convegno «Storicizzare l’ecumenismo». Dal 26 al
28 novembre si tiene presso il Monastero di Bose un convegno internazionale su «Storicizzare l’ecumenismo», che avvia il progetto
di ricerca internazionale «Storicizzare l’ecumenismo: l’aspirazione
cristiana all’unità delle Chiese tra il XIX e il XX secolo», lanciato dalla
Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna. L’impostazione della ricerca sarà interdisciplinare. Si analizzerà l’evoluzione dell’atteggiamento delle Chiese cristiane anche in relazione
agli eventi politici nelle successive fasi storiche. Tra i relatori del
convegno il priore della comunità di Bose Enzo Bianchi, il prof. Alberto Melloni, storico del cristianesimo e del concilio Vaticano II e
direttore della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII,
Maximos Vgenopoulos, grande arcidiacono del Patriarcato di Costantinopoli, Karim Schelkens della Facoltà di teologia e studi religiosi dell’Università di Lovanio, e il teologo ortodosso Vladimir
Shmaliy, dell’Accademia teologica di Mosca.
Dichiarazione congiunta tra Francesco e Bartolomeo I.
Il 30 novembre durante il viaggio di Francesco in Turchia, presso la
sede del Patriarcato Ecumenico a Istanbul il papa e il patriarca ortodosso Bartolomeo I leggono e firmano una Dichiarazione congiunta in cui ribadiscono l’impegno per l’unità e lanciano un appello di
pace per il Medio Oriente e l’Ucraina (Regno-doc. 21,2014,669). Papa
Francesco e Bartolomeo riaffermano con forza la volontà di «continuare a camminare insieme al fine di superare, con amore e fiducia,
gli ostacoli» che ancora dividono la Chiesa cattolica e quella ortodossa. «Esprimiamo la nostra sincera e ferma intenzione – si legge
nella Dichiarazione congiunta – in obbedienza alla volontà di nostro Signore Gesù Cristo, di intensificare i nostri sforzi per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici e ortodossi». Cf. in questo numero alle pp. 766-771.
Daniela Sala
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attualità
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a
agenda vaticana
NOVEMBRE
Non devastare il creato. «Noi siamo capaci di devastare meglio degli angeli [dell’Apocalisse] e questo lo stiamo facendo: devastare il creato, devastare la vita, devastare le culture, devastare i valori, devastare la speranza. E quanto bisogno abbiamo della forza del
Signore per fermare questa pazza carriera di distruzione»: così Francesco il 1° novembre durante la celebrazione al cimitero del Verano.
Burke – Mamberti – Gallagher – Sarah. L’8 novembre il
papa nomina patrono dell’Ordine di Malta il card. Raymond Leo
Burke, finora prefetto della Segnatura apostolica; prefetto della
Segnatura l’arcivescovo Dominique Mamberti, finora segretario per
i rapporti con gli stati; segretario per i rapporti l’arcivescovo Paul
Richard Gallagher, finora nunzio in Australia. Il 23 novembre nomina
prefetto della Congregazione per il culto il card. Robert Sarah, finora presidente di Cor Unum. Cf. Regno-att. 20,2014,694.
«Perseguitati perché cristiani». «Seguo con grande trepidazione le drammatiche vicende dei cristiani che in varie parti del
mondo sono perseguitati e uccisi a motivo del loro credo religioso.
Sento il bisogno di esprimere la mia profonda vicinanza spirituale alle
comunità cristiane duramente colpite da un’assurda violenza che
non accenna a fermarsi, mentre incoraggio i pastori e i fedeli tutti a
essere forti e saldi nella speranza. Per tutti i cristiani perseguitati
perché cristiani preghiamo ora il Padre nostro»: così Francesco all’udienza generale del 12 novembre. Delle persecuzioni parlerà ancora a
Strasburgo il 25 novembre e in Turchia a fine mese (vedi di seguito).
Immigrati e periferia romana. «Cittadini e immigrati, con i
rappresentanti delle istituzioni, possono incontrarsi, anche in una
sala della parrocchia, e parlare insieme della situazione. L’importante è non cedere alla tentazione dello scontro, respingere ogni violenza. È possibile dialogare, ascoltarsi, progettare insieme, e in questo modo superare il sospetto e il pregiudizio e costruire una convivenza sempre più sicura, pacifica e inclusiva»: così Francesco all’Angelus del 16 novembre, dopo una settimana di scontri in Roma tra
immigrati e residenti.
Anno sinodale. Il 21 novembre il papa, in vista del Sinodo ordinario sulla famiglia convocato per l’ottobre 2015, nomina presidenti
delegati i cardinali André Vingt-Trois (Parigi), Luis Antonio G. Tagle
(Manila), Raymundo Damasceno Assis (Aparecida), Wilfrid Fox Napier (Durban); relatore generale il card. Péter Erdő (Esztergom-Budapest); segretario speciale l’arcivescovo Bruno Forte (Chieti-Vasto). Conferma cioè quanti avevano gestito l’Assemblea straordinaria dello scorso ottobre, aggiungendo ai tre presidenti provenienti
dall’Europa, dalle Americhe e dall’Asia un presidente proveniente
dall’Africa, Napier. Un comunicato del 20 novembre aveva informato che nella riunione del 18-19 il Consiglio del Sinodo aveva studiato
come utilizzare «il periodo fra le due assemblee che non ha precedenti nella storia dell’istituzione sinodale» per «approfondire le tematiche e promuovere la discussione a livello delle conferenze
episcopali, trovando i mezzi e gli strumenti necessari per coinvolgere le diverse istanze ecclesiali».
Napolitano. Il 21 pomeriggio Francesco riceve al Santa Marta il
presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano «per un incontro strettamente privato», che gli osservatori interpretano come un commiato in vista della rinuncia del presidente al proprio
mandato che si prevede vicina.
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attualità
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Parlamento europeo e Consiglio d’Europa. Il 25 novembre Francesco visita a Strasburgo il Parlamento europeo e il Consiglio
d’Europa, già visitati da Giovanni Paolo II l’8 ottobre 1988. Segnala
«un’impressione generale di stanchezza, d’invecchiamento, di un’Europa nonna e non più fertile e vivace» e stimola i parlamentari al recupero dei «grandi ideali» che hanno ispirato la formazione dell’Unione indicando così il possibile contributo dei cristiani: «Proprio a
partire dalla necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode
e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale
non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla
formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli stati e per
l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento». Cf. Regno-att. 20,2014,691 e Regno-doc. 21,2014,675.
Turchia. «È fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e
cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione – godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri. Essi in tal modo più facilmente si riconosceranno come
fratelli e compagni di strada, allontanando sempre più le incomprensioni e favorendo la collaborazione e l’intesa»: così il papa il 28
novembre nell’incontro con le autorità della Turchia ad Ankara.
Nel successivo incontro con il presidente degli Affari religiosi ricorda le «violenze disumane» che cristiani e yazidi patiscono in Siria e in Iraq e fa appello ai suoi ospiti perché le condannino: «In
qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le
violazioni della dignità e dei diritti umani». Il 29 novembre a Istanbul visita la Moschea Blu e in essa prega come aveva già fatto Benedetto nel 2006: «Ho pregato per la Turchia, per la pace, per il muftì,
per tutti, per me, che ho bisogno. Ho pregato, davvero» dirà ai
giornalisti in aereo. Cf. Regno-doc. 21,2014,665 e in questo numero
a p. 766.
Bartolomeo. «Vi chiedo un favore: di benedire me e la Chiesa
di Roma»: così il 29 novembre nella chiesa patriarcale di San Giorgio,
a Istanbul, Francesco chiude il suo saluto a Bartolomeo, gli si avvicina e gli si inchina davanti. Bartolomeo lo bacia sulla testa. Il 30, festa
di Sant’Andrea, papa e patriarca firmano una dichiarazione comune
nella quale si impegnano a «intensificare» gli sforzi «per la promozione della piena unità tra tutti i cristiani e soprattutto tra cattolici
e ortodossi». «Non abbiamo più il lusso di agire da soli», aveva detto
poco prima Bartolomeo al termine della Divina liturgia in San Giorgio. Per realizzare l’unione, aveva risposto Francesco, «la Chiesa
cattolica non intende imporre alcuna esigenza se non quella della
professione della fede comune». Cf. Regno-doc. 21,2014,669 e in
questo numero alle pp. 766-771.
Anno della vita consacrata. Domenica 30 novembre celebrazione eucaristica in San Pietro presieduta dal cardinale João Braz
de Aviz, prefetto dei Religiosi, ad apertura dell’Anno della vita consacrata. All’inizio il cardinale legge un messaggio del papa che si trova a
Istanbul e che alla vigilia aveva partecipato con un videomessaggio
alla veglia di preghiera in Santa Maria Maggiore. Il videomessaggio
aveva queste parole: «Partite sempre dal Vangelo! Assumetelo come
forma di vita e traducetelo in gesti quotidiani segnati dalla semplicità
e dalla coerenza, superando così la tentazione di trasformarlo in ideologia. Il Vangelo conserverà giovane la vostra vita e missione, e le
renderà attuali e attraenti». Cf. in questo numero a p. 760
Luigi Accattoli
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studio del mese
Papa Francesco
e i pontificati
precedenti
Un nuovo
ordine simbolico
della Chiesa
I segni e le parole messi in atto da papa
Francesco dall’inizio del pontificato stanno
modificando profondamente l’ordine
simbolico, cioè il mondo affettivo, culturale,
linguistico, intellettuale e narrativo su cui si
fonda la Chiesa cattolica, con possibili effetti
di riassestamento anche per il cristianesimo
nel suo complesso e per l’umanità intera.
La portata di questo cambiamento può
essere meglio percepita se questo avvio di
pontificato viene esaminato sullo sfondo dei
pontificati postconciliari, evidenziando in uno
sguardo sintetico il cammino percorso dalla
Chiesa cattolica in questo mezzo secolo e le
peculiarità che già si profilano nel ministero
di Francesco come caratterizzanti e fondative,
sia a livello di riorientamento simbolico (Kurt
Appel), sia a livello di linee teologiche (Walter
Kasper). Proiettando al tempo stesso questa
nuova declinazione dell’identità cristiana
sulle grandi sfide che essa ha di fronte: una
rinnovata capacità di celebrare la gioia del
Vangelo, un nuovo approccio alla Scrittura, un
nuovo rapporto con le altre culture e un nuovo
ruolo delle donne nella Chiesa.
Il Regno -
attualità
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C
he il primo anno di pontificato di papa
Francesco abbia suscitato speranze e attese, sia all’interno sia all’esterno della
Chiesa cattolica è un fatto incontestabile.
I segni e le parole di questo papa stanno
modificando l’ordine simbolico – intendendo come tale il mondo affettivo, culturale, linguistico, intellettuale e narrativo – su cui la Chiesa cattolica si fonda, con possibili effetti anche per il cristianesimo e il mondo secolare.
Per osservare più da vicino questo processo di cambiamento, di cui nessuno può esattamente dire dove porterà,
si analizzeranno in primo luogo le sfide culturali ed ecclesiali a cui i pontificati precedenti hanno voluto rispondere,
considerando anche le domande rimaste aperte. Si tenterà
poi una valutazione dei cambiamenti avviati da papa
Francesco nel suo primo anno, insieme alle possibili conseguenze per gli sviluppi futuri della Chiesa. Infine verranno indicate alcune grandi sfide per la Chiesa oggi.
Paolo VI: grandezza
e tragicità di un pontificato
La grande svolta della Chiesa cattolica verso la modernità è stata avviata dal concilio Vaticano II. Paolo VI si
dovette assumere la responsabilità della gran parte della
realizzazione di questo Concilio, e soprattutto dell’accompagnamento e della guida della prima fase del processo
postconciliare. Occorre rilevare che probabilmente nessun papa e pochissimi vescovi, sacerdoti e teologi di quel
secolo avevano a disposizione una formazione culturale
così vasta come Montini. Le sue encicliche, lettere, discorsi, la sua politica ecclesiale e in particolare le nomine episcopali sono testimonianza della profonda comprensione
della modernità e delle sue sfide che ha mostrato. Egli riconobbe l’importanza dell’opzione per i poveri, che s’imponeva su una Chiesa sempre più globalizzata e spostata
verso l’emisfero meridionale, come pure la necessità di un
dialogo con il mondo laico dell’Europa e dell’Occidente.
Egli affidò inoltre l’Ostpolitik nelle mani dei migliori
diplomatici vaticani (ad esempio Casaroli) e vescovi della
Chiesa universale (ad esempio König), creando così uno
dei presupposti per la sopravvivenza della Chiesa cattolica
nei paesi dominati dal comunismo.
Tuttavia un evento di questo pontificato segnò una cesura particolare: l’enciclica Humanae vitae promulgata
nel 1968, nel momento della grande rivolta studentesca.
Spesso il pontificato di Paolo VI viene addirittura distinto
tra il periodo fino al 1968 e quello successivo. La conseguenza culturale di questa enciclica fu innanzitutto nel
fatto che venne vista come un frantumarsi dell’«aggiornamento» posto in essere da Giovanni XXIII e dal Concilio, vale a dire del dialogo tra la Chiesa e la modernità
sempre più cosciente della sua autonomia.
L’autonomia di pensiero del mondo occidentale, propugnata anche dalla rivoluzione studentesca, aveva trovato una delle sue espressioni più dirompenti nell’autonomia
della sessualità (femminile) rispetto alla riproduzione. Proprio questo sembrava essere messo in discussione dallo
scritto di Montini. Su ciò fece leva l’accusa sollevata, sia
all’interno della Chiesa sia nella società, verso il papa e la
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attualità
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Chiesa visti come non conciliabili con l’autonomia e contrari alla modernità, partigiani di una restaurazione
dell’Ancien régime. La particolare tragicità per Montini
stava nel fatto che con questo giudizio le sue intenzioni
non venivano in alcun modo comprese. Come poche altre
persone, Montini aveva capito che tutta la vita, e anche il
suo inizio, superano ogni prospettiva causale, cronologica
e meccanicistica: poiché la completezza della vita umana
scaturisce dalla dimensione spirituale, vale a dire dall’incontro personale dell’uomo e della donna e non semplicemente dalla fusione di un ovulo e uno spermatozoo, non la
si dovrebbe ridurre a un’azione meccanicistica.
Questa visione di alto livello spirituale sottrae la vita
all’umana volontà di decidere (per così dire contro la moderna autonomia di pensiero), ma anche a qualsiasi prospettiva naturalistica (come emerge dal collegamento tra
sessualità e riproduzione secondo la morale ecclesiale tradizionale), e a ogni dipendenza gerarchica (che costituiva
il fondamento morale dell’Ancien régime). Con questa visione profetica, Paolo VI stava tragicamente contrapposto
a tutti i fronti, mentre occorre anche notare che i passi
dell’Humanae vitae che affrontano direttamente la questione della contraccezione risentono del fatto che l’intenzione del papa era rivestita di un linguaggio giuridico che
non poteva esprimere in maniera adeguata i concetti che
egli intendeva esporre.
In ogni caso l’Humanae vitae rappresentò sia all’interno della Chiesa sia nel rapporto tra Chiesa e mondo occidentale una rottura che ha pregiudicato in modo determinante la missione di questo grande testimone cristiano.
Giovanni Paolo II: modernità
e mobilitazione della Chiesa
Quando Paolo VI morì, nel 1978, la Chiesa era significativamente divisa tra la maggioranza dei vescovi di allora,1 che sostenevano lo sforzo di riconciliare il cattolicesimo con l’aspirazione della modernità all’autonomia, e una
minoranza che perseguiva la volontà di restaurazione, almeno all’interno della Chiesa.2 Quest’ultima sposò l’idea
secondo la quale attraverso un’alleanza con i politici conservatori la Chiesa avrebbe (di nuovo) potuto raggiungere
la supremazia politica e sociale in Occidente e in tutto il
mondo cristiano. Nel contempo si creò una distanza sempre più chiaramente percepita tra la Chiesa del ricco Nord
e la Chiesa del Sud progressivamente emergente, e che
soprattutto in America Latina cercava una forma di
espressione nella teologia della liberazione. Un ambito
che non rientrava in questa dicotomia, perché segnato da
problemi molto specifici, era costituito dalle Chiese particolari del mondo dominato dal regime comunista. In questa prospettiva l’elezione a papa di Karol Wojtyla non fu
solo un segnale evidente di voler affrontare la sfida del comunismo, ma fu vista anche come una possibilità per superare attraverso una terza via le contrapposizioni evocate.
Prima di entrare nel merito del pontificato di Wojtyla,
è opportuno fare un’osservazione: quando in piazza San
Pietro fu dato l’annuncio che Giovanni Paolo II era morto, un applauso spontaneo esplose da parte delle migliaia
di persone riunite lì, molte delle quali erano giovani. Que-
sto gesto era rivolto a tutta la sua opera di sommo pastore
della Chiesa. Questo applauso mise anche in evidenza
l’immensa copertura mediatica di questo pontificato: con
Giovanni Paolo II una «superstar» degli eventi mediatici
lasciava la scena nel vero senso della parola.
Questo pontificato va quindi esaminato a due livelli:
sul piano delle linee guida intra-ecclesiali tracciate, e sul
piano delle immagini mediatiche (images) trasmesse, dal
momento che le due dimensioni non necessariamente
coincidono. Se una differenza tra modernismo e postmodernismo sta proprio nella possibilità per le immagini virtuali staccarsi dalla realtà, allora questo pontificato ha
mostrato il passaggio dalla modernità (simboleggiata da
Paolo VI) alla postmodernità.
Considerando il pontificato di Wojtyla a livello delle
images, ci sono stati tre grandi periodi, ciascuno dei quali
segnato da un evento mediatico emblematico: Giovanni
Paolo II è stato nella prima fase del suo pontificato (19781990) una figura simbolo contro il comunismo ateo e repressivo. L’immagine mediatica determinante di questo
periodo è stata data dall’attentato contro la sua persona,
probabilmente organizzato dai servizi segreti comunisti, e
che ha elevato il papa al rango di martire. Nella seconda
fase del pontificato (1991-2000), in cui egli ha in certa misura acquisito la corona di vincitore sul comunismo, Giovanni Paolo II è stato il simbolo di una Chiesa missionaria
e universale sul fondamento di Israele. La sua preghiera al
Muro del pianto a Gerusalemme, così come la richiesta di
perdono per i peccati commessi nella storia della Chiesa
nel 2000, inizio di una nuova evangelizzazione, sono state
le immagini più espressive di questo periodo. Infine l’ultima parte del suo pontificato (2001-2005) ha esercitato il
più forte impatto simbolico e mediatico: il papa è diventato l’immagine del servo sofferente di Dio e un simbolo di
pace, fede in Dio e dignità umana;3 l’immagine più forte è
forse l’ultima benedizione pasquale che il papa, estremamente indebolito, ha potuto impartire ormai solo dalla finestra.
La straordinaria presenza mediatica del papa ha avuto
due conseguenze: da un lato ha riportato la Chiesa e il
Vangelo al centro dell’attenzione globale, dall’altro però
ha anche generato una forte virtualizzazione del cattolicesimo. A facilitare ciò in maniera significativa è stato il
mondo postmoderno, in cui sistematicamente la tradizione e la relativa specificità vengono estratte dal loro contesto per diventare segnali mediatici astratti, commercializzabili ovunque e sostituibili a piacere. Questa decontestualizzazione delle tradizioni si è incontrata in ambito ecclesiale con una decontestualizzazione delle Chiese locali
e delle loro narrazioni, al cui posto è apparsa una Chiesa
sempre più universale e mediatica, con Giovanni Paolo II
come guida e contenuto. Così si è indebolito un grande
potenziale della Chiesa cattolica, vale a dire l’essere una
rete globale di comunità locali piuttosto che uno spazio
virtuale multimediale universale, e la Chiesa è divenuta
sempre più parte della virtualità postmoderna.
Dal punto di vista della politica ecclesiale, Giovanni
Paolo II è stato significativamente influenzato dalla storia
della Polonia. Contro i totalitarismi, a motivo dei quali
egli aveva sofferto in Polonia (il satanico nazional-sociali-
smo di provenienza tedesca e il repressivo e totalitario
bolscevismo di origine russa),4 bisognava opporre solo
un’incondizionata resistenza spirituale e, se possibile, anche politica. Ed esattamente come in Polonia l’aristocrazia
e soprattutto i sacerdoti avevano difeso per secoli la dignità nazionale contro attacchi esterni, secondo il papa polacco era compito del sacerdozio (celibatario) essere punta
di diamante nella resistenza e detentore dell’ordine simbolico e dell’identità della Chiesa cattolica.
Il papa vedeva però una minaccia da due parti: la prima proveniva dall’America Latina. Qui scorgeva il pericolo che il continente cattolico andasse alla deriva verso il
comunismo, anche con il supporto della teologia della liberazione e con la connivenza di diverse conferenze episcopali,5 di molti vescovi e soprattutto dei principali ordini
religiosi. Agli occhi di Wojtyla essi non respingevano in
modo sufficientemente energico le tendenze marxiste.
Il secondo scenario minaccioso aveva a che fare con
un’esperienza traumatica di questo pontificato, cioè il referendum del 1981 in Italia sull’abrogazione della legge
194 sull’aborto. La «madrepatria» e centro della Chiesa
cattolica si era espressa a favore della conservazione della
legge che consentiva l’aborto (con alcune restrizioni), con
un’alta affluenza e con l’88% e il 68% dei voti nei due quesiti. Era chiaro che la Chiesa aveva perso la sovranità culturale (anche) in Italia. Giovanni Paolo II trasse da questo
voto la conclusione secondo cui l’ateismo teorico dell’Oriente corrispondeva a un disumano ateismo pratico
dell’Occidente, che come il primo doveva essere contrastato con ogni mezzo. Dopo questo evento, Giovanni Paolo II fece una distinzione tra quella parte di Chiesa (vescovi, sacerdoti, religiosi e laici) che era disposta a vivere con
lui la lotta contro una modernità completamente fuori
controllo, e chi evitava questa contrapposizione.6 Attraverso la nomina dei vescovi, riorientando la formazione
dei sacerdoti e con la promozione dei nuovi movimenti
ecclesiali, Wojtyla voleva attrezzare la Chiesa per una
«guerra culturale» a suo avviso inevitabile, in cui era in
gioco l’identità del cristianesimo, e in ultima analisi anche
la dignità dell’uomo. La forza d’impatto in questo confronto doveva quindi essere rafforzata concentrandosi su
argomenti specifici che sarebbero stati in grado di determinare gli scontri decisivi. Dopo aver «vinto» la lotta contro il comunismo, sono apparsi in primo piano i cosiddetti
«valori non negoziabili», come la lotta contro l’aborto, la
contraccezione (considerata ostile premessa al primo) e
l’eutanasia.
Principali sostenitori di Giovanni Paolo II, oltre alle
nuove comunità ecclesiali quali l’Opus Dei e Comunione
e liberazione, sono stati il prefetto della Congregazione
per la dottrina della fede, il card. Joseph Ratzinger, che
aveva il compito di condurre la battaglia contro la teologia
della liberazione innanzitutto su un piano spirituale,7 e il
vicario di Roma, per molti anni segretario generale e
quindi presidente della CEI, il card. Camillo Ruini.
Quest’ultimo non solo è l’autore di espressioni come la già
citata «valori non negoziabili», ma ha anche cercato un’alleanza con i partiti e i politici italiani, tra cui Silvio Berlusconi, onde riacquisire per la Chiesa in Italia un’autorità
politica e culturale. L’Italia è servita da modello per altri
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stati che dovevano fare la stessa cosa: in Spagna, anche attraverso un rinnovamento della Conferenza episcopale fu
definita una coalizione con i conservatori; persino negli
Stati Uniti, dai tempi di Reagan, c’è stata una collaborazione tra repubblicani e il Vaticano, in un primo momento non sostenuta dalla maggioranza della Conferenza episcopale.8
Quando Giovanni Paolo II è morto nel 2005, dopo 27
anni di pontificato, ha lasciato dietro di sé una Chiesa, che
era mobilizzabile a livello globale come mai prima di allora nella sua storia (ne sono la prova le centinaia di migliaia
di persone da tutto il mondo che sono venute al suo funerale, ma anche le Giornate mondiali della gioventù, i congressi eucaristici e le visite papali), ma anche caratterizzata
da un episcopato debole e da una parte di Chiese locali significativamente indebolite.
Nel caso dei vescovi, si trattava il più delle volte di persone che cercavano di servire la missione globale del papa,
ma che avevano completamente perso il contatto culturale
con la situazione locale. Inoltre la situazione mondiale, ma
anche la mappa religiosa, erano radicalmente cambiate: il
comunismo era stato spazzato via e al suo posto era arrivato un capitalismo sfrenato. Inoltre l’influsso della secolarizzazione in Europa e in alcune parti dell’America si era
radicalmente inasprito; in America Latina, Asia e Africa i
movimenti pentecostali facevano irruzione sempre più
massiccia nelle zone tradizionalmente cattoliche; infine in
molti paesi del Nord Africa e del Medio Oriente si era
giunti a un’islamizzazione con conseguenze spesso drammatiche per i cristiani di queste regioni. Ma la cosa forse
che più sottilmente gravava era la crescente fragilità del
paesaggio intellettuale e culturale. Un’urbanizzazione a
livello globale, accompagnata dallo sradicamento di ampi
strati sociali e da un enorme individualismo, ben oltre
l’Europa e il Nord America, ha portato sempre più all’abbandono dei tradizionali sistemi di riferimento simbolici
(famiglia, tradizioni e costumi locali ecc.) e alla necessità di
cercarne di nuovi. Il risultato è una grande complessità e la
fragilità degli ordini simbolici, da cui non è risparmiata
nemmeno la Chiesa.
Benedetto XVI: la modernità
come sfida spirituale
Joseph Ratzinger è stato eletto papa non solo perché
come prefetto della Congregazione per la dottrina della
fede era stato per quasi 25 anni il più stretto collaboratore
di Giovanni Paolo II, ma anche perché evidentemente si
riteneva che sarebbe stato in grado di affrontare la crescente fragilità del paesaggio intellettuale e culturale.9
Sembrava essere il papa in grado di accettare la sfida intellettuale e culturale della (post)modernità e in grado di
portare avanti l’eredità del suo predecessore. L’affrontare
queste sfide ha costituito anche il centro del suo pontificato. Benedetto XVI ha cercato di opporre all’invadenza del
secolarismo e dell’individualismo una visione intellettuale
e culturale del cristianesimo.
Egli ha agito su più livelli: nelle sue encicliche, discorsi
e libri si è mostrato nel ruolo di insegnante per il mondo
cristiano o meglio globale. Egli ha affrontato le virtù centrali del cristianesimo (la carità, la speranza, la fede:10 va
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aggiunta la giustizia, nell’enciclica sociale Caritas in veritate) e la persona di Gesù, anche se quest’ultimo tema non
come atto magisteriale. Si è inoltre dedicato in modo particolare alla liturgia, livello simbolico centrale della Chiesa
apostolica. Punto di partenza e centro di un universo festoso e redento, dovrebbe essere una sorta di mondo alternativo opposto al mondo spiritualmente e culturalmente
corrotto della postmodernità. In questa polarizzazione
può anche aver giocato un ruolo il fatto che Ratzinger nutriva un profondo scetticismo verso i moderni sforzi di
emancipazione della persona manifestati nell’Illuminismo
e successivamente nel marxismo. Con l’aggiunta che è andata crescendo la consapevolezza del mondo di trovarsi di
fronte alla possibilità della propria rovina (causata da fattori esterni quali il cambiamento climatico e la distruzione
delle risorse ambientali, ma anche da paradigmi filosoficonaturali che mettono in conto un’insensata scomparsa
dell’essere umano e di ogni ordine cosmico).11
Se il principale accento di Benedetto XVI era sul rinnovamento intellettuale e liturgico della Chiesa e sulla creazione di un mondo religioso-simbolico alternativo con una
propria lingua, sensibilità, valori ecc., nel suo pontificato è
comunque proseguito il confronto politico. In Italia, in
Spagna, negli USA e in molti altri paesi, gli episcopati creati da Wojtyla e Ratzinger sono sempre stati in stretta alleanza con le forze politiche conservatrici e hanno condotto,
anche se spesso senza la capacità intellettuale del papa, una
guerra culturale persa in partenza. Questo non perché le
preoccupazioni espresse fossero sbagliate, ma perché non
prendevano in considerazione le citate fragilità e complessità del nostro mondo. Di conseguenza, molti osservatori e
contemporanei hanno recepito il confronto sui valori non
come una divergenza oggettiva nel merito delle questioni,
ma principalmente come una lotta per posizioni di potere
sociale e culturale. Poi si è verificata un’altra circostanza,
particolarmente tragica per Benedetto XVI (e naturalmente non solo per lui), vale a dire i vari scandali ecclesiali, dai
migliaia di casi di pedofilia (spesso coperti) compiuti da uomini di Chiesa, alle pratiche omosessuali di vescovi e preti
anche negli ambienti vicini al papa, alle irregolarità finanziarie in istituzioni vaticane ed ecclesiastiche.
Così la visione di una Chiesa come società «alternativa» è stata pesantemente screditata: il «mondo» aveva
raggiunto anche i sacerdoti, custodi del sacro, e la «guerra
culturale» contro una postmodernità permissiva sembrava persa per sempre. In questo contesto, Benedetto XVI si
è deciso a un gesto straordinario, vale a dire le sue dimissioni. Così egli ha assunto su di sé una radicale rinuncia al
potere, dando alla Chiesa un punto di riferimento per il
cammino, come se egli le volesse ancora spiegare che la
sua essenza non dovrebbe stare nell’egemonia e nella sacralizzazione delle posizioni di potere. Il papa come vicario di Cristo non era il fondamento inattaccabile del potere sacro, ma era fragile e influenzabile dagli eventi del
tempo. Il fatto che la stessa ammissione della propria vulnerabilità e fragilità abbia richiesto una particolare forza
interiore tuttavia era, ed è, spesso trascurato. In ogni caso,
papa Benedetto XVI con la rinuncia al suo ministero ha
portato a un profondo ri-orientamento simbolico, ripreso
e continuato dal suo successore.
Francesco e il ri-orientamento
simbolico della Chiesa
La scelta del nome è stato un atto rivoluzionario di Jorge Mario Bergoglio dopo l’elezione, anche legata alle
grandi sfide e difficoltà che la Chiesa in America Latina e
nel terzo mondo deve affrontare: il diffondersi dei pentecostali nelle nuove megalopoli,12 lo sradicamento e l’individualizzazione delle popolazioni indigene e la conseguente ricerca di modelli di riferimento.13 Con questo nome, Bergoglio si è posto nella tradizione gesuitica di tutti i
santi. Francesco d’Assisi ha rinunciato non solo alle proprietà e al titolo, ma ha anche portato su di sé le stigmate
di Gesù, vale a dire ha incarnato la vulnerabilità e l’accessibilità del Figlio di Dio stesso. Il nome del papa evoca altre associazioni: Francesco ha operato in un periodo di
massiccia urbanizzazione, quando la Chiesa aveva perso il
contatto con le nuove classi sociali cittadine. In quel contesto egli non cercò di intervenire nelle guerre culturali di
quel tempo, ma di convincere con il suo esempio e di mostrare nuove forme di umanità e di interazione sociale.
Un atto decisivo del nuovo papa è stata la conclusione
della «guerra culturale»: la frase «Chi sono io per giudicare mio fratello?!», con cui Bergoglio ha «risposto» alla domanda sulla peccaminosità dell’omosessualità, ha segnato
la fine di una serie di dispute infruttuose tra la Chiesa e la
società. Questo naturalmente non significa che il papa si
sia staccato dall’ethos ecclesiale, dal magistero o addirittura dal Vangelo. È stata solo un’ammissione di fragilità e
della complessità delle situazioni della vita, rispetto alle
quali sia la nostra società sia la Chiesa devono imparare ad
accettare una domanda in più e una risposta in meno per
rimanere credibili. Questo vale allo stesso modo per la
sessualità, dove le incertezze e le incoerenze del nostro sistema simbolico culturale e individuale trovano particolare espressione.
Vulnerabilità e accessibilità sono strettamente associate con il primo grande atto simbolico del papa, il suo viaggio a Lampedusa, in quel posto alla fine dell’Europa, dove
l’ordine occidentale sta collassando, dove l’«altro» con
tutti i suoi bisogni chiede di essere accolto e dove diventa
evidente la «globalizzazione dell’indifferenza». La questione decisiva in questo luogo non è solo il fatto che migliaia di profughi diventano relitti trascinati a riva, testimoni viventi anche di una politica europea fallita o inesistente verso l’Africa e il Medio Oriente, persone che sono
al fondo della gerarchia sociale e le cui storie non trovano
ascolto reale nelle nostre società e nei media. Altrettanto
importante è il fatto che Lampedusa segna un luogo che
mostra la fragilità del progetto europeo e, con esso, del
cristianesimo. Di fatto non ci sono risposte immediate ai
problemi che là vengono posti, nemmeno da parte ecclesiale.
Con papa Francesco il confronto simbolico si sposta
verso la sfida della «globalizzazione dell’indifferenza», vale a dire è una questione di misericordia e compassione, di
un lasciarsi toccare e incontrare dalle persone nelle loro
ferite e domande. Le linee di demarcazione tra la Chiesa e
la cultura continuano a esistere, ma c’è lo sforzo di riconoscere le ferite delle persone che si hanno davanti e di affrontarle in modo rispettoso. Attualmente vi è da parte di
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alcuni vescovi un nuovo sforzo, una lotta per la supremazia simbolica nella cultura, contro la cosiddetta «ideologia
di genere». Anche qui emerge che non è sufficiente insistere su posizioni ancora ritenute corrette, se non si sono prima riconosciute le ferite profonde che si nascondono dietro delicatissimi problemi d’identità di genere. Forse occorre ancora sottolineare che è importante che un papa
extraeuropeo, con la sensibilità che sta dimostrando, affronti molte delle questioni sollevate oggi circa l’identità
individuale, sessuale, sociale e culturale. Poiché la straordinaria globalizzazione del nostro mondo, la diffusione
globale del capitalismo e il fatto correlato che tutte le culture della terra sono «infettate» dall’idea occidentale di
autodeterminazione significa che nessuna cultura può
sfuggire al profondo sconvolgimento del proprio ordine
simbolico (affettivo, culturale, sociale, linguistico ecc.). Lo
testimoniano l’isteria collettiva che si può osservare in alcuni paesi islamici, la ricerca d’identità, spesso violenta,
dalla Russia all’India fino ai paesi africani e, naturalmente, anche in Europa, già solo osservando i risultati delle
elezioni europee. L’unica cosa certa è che non sarà mai
più possibile tornare al vecchio ordine e alle vecchie tradizioni.
Una nuova declinazione
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1 24-07-2014 10:44 Pagina 1
dell’identità cristiana
La Chiesa cattolica, così come altre religioni, paesi,
culture e comunità, ha cercato nei decenni passati di offrire un’identità ben definita di fronte a questa «liquefa-
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zione» dei nostri modi di vita. Punta di diamante in questo avrebbero dovuto essere gli ecclesiastici, i quali nonostante il loro impegno per la fede non sono riusciti ad essere all’altezza del compito. Questo non a causa di un errore morale, ma per il fatto che le identità, che prima si
esprimevano con caratteristiche esteriori evidenti, oggi
spesso finiscono nella virtualità, dove le tradizioni si perdono, diventando «segni» che si possono scambiare a
piacere. Ciò si mostra del resto in modo molto evidente
anche nell’attuale discussione sul genere, su come anche
il genere possa diventare un «marchio», sia per coloro
che ne vogliono disporre liberamente nella ricerca di assoluta autodeterminazione, sia per coloro che credono di
poter mantenere i tradizionali ruoli di genere e consolidarli nella società postmoderna.
Il miracolo di papa Francesco sta nel fatto che non si è
avviato in questa strada del marcare le identità. Questo
sarebbe stato ovvio rispetto al particolare sconvolgimento culturale vissuto dal terzo mondo (che è stato catapultato a velocità incredibile nella postmodernità), e rispetto
alle popolazioni sradicate delle nuove «periferie» urbane
che sono state costrette a lasciare le loro identità. In realtà, questa è esattamente la strada percorsa da molti pentecostali: offrire alle persone identità ben definite (essere
cristiano significa: niente alcol, niente sesso prima del
matrimonio, la fede nella creazione in sette giorni, il successo economico ecc.), nel contempo rendendo anche
estremamente flessibili queste stesse identità per adattarsi
alle necessità. Al contrario, il papa sottolinea che «l’identità» cristiana non sta in limitazioni e definizioni, ma nella sua essenza e fin dalle sue origini significa, confidando
nel Cristo, essere chiamati a diventare amici di ogni persona di buona volontà, indipendentemente da sesso, razza e nazione (e religione).14 Significa inoltre cercare i
propri amici anche al di fuori della propria cerchia di genere, nazione, classe e religione. In terzo luogo,
l’«identità» cristiana sta in definitiva nell’ethos dell’accoglienza ospitale dell’altro, delle sue storie e delle sue ferite, e nella volontà di uscire da sé stessi e lasciarsi accogliere dall’altro.
Formare una rete di amicizie ed essere un luogo di
ospitalità universale è ciò a cui Francesco vuole incoraggiare la Chiesa e i suoi responsabili. A questo si collega,
da un punto di vista istituzionale, la necessità di rafforzare l’autonomia delle Chiese particolari (diocesi, conferenze episcopali) e delle comunità locali (parrocchie), così
come ne deriva un compito del tutto nuovo per le comunità religiose, che negli ultimi decenni sono passate un
po’ in secondo piano. Perché esse hanno in modo speciale il compito di creare nelle loro persone e nella loro vita
luoghi di ospitalità e portare una rete di amicizia là dove
la Chiesa perde sempre di più la propria presenza, vale a
dire nelle periferie delle nuove megalopoli, tra i poveri
che hanno dovuto abbandonare definitivamente la loro
casa, senza prospettive di ritorno.
Papa Francesco ha mostrato in tutti i suoi gesti simbolici di poter evitare un tranello: sebbene sia maestro del
gesto simbolico, sembra riesca a non diventare una figura
completamente mediatica: dal momento che rompe le
aspettative dei media, è in grado anche di sottrarsene e
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soprattutto cerca incontri personali e «fisici» credibili.15
Una sfida importante, però, che richiede da lui una risposta adeguata, è la questione dell’istituzionalizzazione (e
quindi un’ulteriore forma di concretizzazione) di questo
nuovo percorso, che altrimenti rischia di scivolare in mera virtualità. Esempi concreti sono le ordinazioni episcopali, che necessitano di un maggior coinvolgimento delle
Chiese locali per rafforzarle realmente,16 un rinnovamento del clero attraverso un forte legame delle vocazioni con le comunità e la fine della possibilità di trasferimento dei vescovi. Proprio riguardo quest’ultimo punto
nasce il sospetto che l’appello contro il carrierismo ecclesiastico continuerà a cadere nel vuoto fintanto che i vescovi potranno essere traferiti dalle loro diocesi per assumere ruoli «più significativi».
Alcune sfide per i prossimi anni
Papa Benedetto XVI, come i padri conciliari del Vaticano II, era consapevole del fatto che qualsiasi riforma
della Chiesa inizia con la liturgia. Oggi la prima sfida
per la Chiesa, sia nelle «stanche» Chiese d’Europa sia in
quelle di Africa e America Latina, sembra essere di imparare di nuovo a celebrare «la gioia del Vangelo». Papa Francesco ha posto molto chiaramente la sua lettera
apostolica programmatica Evangelii gaudium sotto
l’emblema della gioia. Ci si può chiedere perché molte
liturgie diano l’impressione di essere celebrazioni funebri. In parte dipende forse dal fatto che ogni vera e propria festa celebra anche il fatto che all’uomo è stato donato di essere vulnerabile, di non essere un’isola «in sé»
inaccessibile, di non essere come Dio, che costituisce in
sé la sua essenza. Le nostre feste sembrano dominate
dalla paura, più propense ad allontanare questa vulnerabilità. Nella celebrazione dell’eucaristia sembra per
un verso che scompaia la memoria del Crocifisso e siano
in primo piano la paura del cambiamento e del «mondo», mentre per altro verso spesso sembra andato perduto il contatto con le espressioni culturali del tempo e
con le forme di pietà popolare che in ogni epoca si ridisegnano. Naturalmente un papa non può determinare
una nuova cultura della festa, ma è in un certo senso la
guida spirituale della Chiesa universale e può invitare
alla gioia e alla speranza dei cuori per sé e per tutta la
Chiesa e a sua volta può chiedere e ottenere la preghiera
dei fedeli.
La seconda sfida consiste in un nuovo approccio alla
Scrittura. La Chiesa diventerà una rete di spiritualità e di
amicizia solo se imparerà a celebrare e se riuscirà a interpretare e inculturare la parola di Dio in relazione al tempo e in riferimento a quelli che sono lontani. Questo sarebbe un compito importante della teologia di oggi, garantire cioè che la cultura dell’interpretazione delle Scritture sia migliorata, cosa per la quale c’è bisogno di sufficiente spazio di manovra. Attualmente non si può evitare
l’impressione che nella maggior parte dei luoghi di formazione ecclesiali si impari molto, ma che tutto viaggi
lungo dei binari preformulati, con pochi collegamenti tra
cultura, pastorale, dogmatica, filosofia ed esegesi. In
stretta relazione con un nuovo approccio alla Scrittura è
la preghiera per implorare una nuova cultura della pre-
ghiera. I Salmi come Scrittura che si fa preghiera devono
diventare molto più presenti nella vita delle comunità e i
sacerdoti devono riguadagnare la propria comprensione
di sé stessi proprio a partire dall’essere guide spirituali
delle loro comunità.
Contribuire a spiegare la Scrittura nelle nostre culture e facilitare l’accesso alla celebrazione e alla preghiera,
soprattutto per una società che non possiede più le parole
della tradizione, sono sfide abbastanza fondamentali per
la Chiesa intera. È già stata citata la necessità di ricostruire una rete globale di amicizia e di spiritualità, così come
l’imperativo dell’opzione per i poveri, che deve di nuovo
avere un ruolo più rilevante nella Chiesa. «Dove la Chiesa è disprezzata dai poveri, non è più Chiesa di Dio»,17 è
un monito mai abbastanza chiaro.
Occorre citare infine ancora due sfide: una riguarda
l’«inculturazione» della Chiesa. Oggi, come già indicato
in precedenza, in molti casi la Chiesa ha perso il contatto
con le culture locali e le loro forme di espressione religiosa e deve aprirsi in maniera radicale ai loro problemi, sfide, storie e ferite. Ciò vale non solo per l’Africa, l’America e l’Asia, ma anche per l’Europa. Il percorso intrapreso
da alcuni vescovi, che fanno riferimento a tradizioni senza tempo e presunte sempre valide, ignorando i contesti
culturali e con una risposta preconfezionata per tutto,
porta alle sette e allo spegnimento della Chiesa. Al contrario è necessaria una cultura del rispetto e del confron-
to, che richiede apertura e onestà e deve di nuovo trovare
posto dentro la Chiesa. L’aver ri-avviato una cosa simile
è uno dei grandi meriti di Bergoglio. Una particolare sfida ecclesiale è rappresentata dall’inculturazione del cristianesimo in Cina e in India. In questo ambito i teologi
europei sono chiamati a rispettare gli sforzi dei loro colleghi (soprattutto indiani) nel percorrere nuove strade nella
traduzione dei Vangeli, a sostenerli per quanto possibile,
e sono anche chiamati a lasciarsi ispirare dalle loro domande e intuizioni e a imparare da loro.
Ultimo ma più importante punto è la questione del
ruolo delle donne nella Chiesa. Se la Chiesa, attraverso
una paziente ricerca, non trova nessun percorso nuovo
per coinvolgere le donne anche nelle funzioni di responsabilità e nell’interpretazione del Vangelo, si rischia di
peccare ancora contro lo Spirito Santo. Papa Francesco
ha nuovamente chiarito che la prassi della Chiesa di non
ammettere le donne al sacerdozio non è in discussione.
Ma ha anche incoraggiato a cercare nuovi modi per rendere visibile (a livello istituzionale) il carisma delle donne.
Potrebbe essere un bel sogno, se il papa e i vescovi incaricassero autorevoli donne cattoliche di tutto il mondo di
organizzare un incontro per sviluppare visioni per una
nuova collaborazione nella Chiesa sotto la guida dello
Spirito Santo...
Kurt Appel*
* Docente di teologia all’Università di Vienna.
1
Questo è evidente nella composizione dei Sinodi dei vescovi (fino al
1985 compreso), ma anche nei presidenti delle principali conferenze episcopali. A titolo di esempio: mons. Joseph Bernardin, Cincinnati, poi cardinale e arcivescovo di Chicago, USA, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (USCCB) dal 1974 al 1977; mons. John
Quinn, San Francisco, USA, presidente della USCCB 1977-1980; card.
Aloisio Lorscheider, Fortaleza, poi Aparecida, Brasile, presidente della
Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile 1971-1979, e dal 1976 al 1979
anche presidente del Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM);
mons. Ivo Lorscheiter, Santa Maria, Brasile, presidente 1979-1987); card.
Anastasio Ballestrero, Torino, presidente della Conferenza episcopale italiana (CEI) 1979-1985; card. Vicente Enrique y Tarancón, Madrid, Spagna, presidente della Conferenza episcopale spagnola 1971-1981.
2
Rappresentante significativo di questo gruppo era il card. Giuseppe
Siri di Genova, che fu annoverato tra i molti avversari di Paolo VI. A un’area piuttosto conservatrice, ancorché legato da amicizia con Paolo VI, apparteneva anche il card. Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I.
3
Si è discusso sul fatto che Giovanni Paolo II non abbia rinunciato al
suo incarico, quando i problemi di salute avevano cominciato a essere
evidenti. Egli deliberatamente ha voluto dare visibilità pubblica alle immagini della sua condizione per porre al centro dell’attenzione il tabù
della sofferenza. In un mondo in cui ha diritto di esistere solo ciò che è
mediatico, doveva così ridare diritto all’esistenza e dignità a malati e sofferenti.
4
Giovanni Paolo II sapeva distinguere chiaramente tra i due. Il comunismo era per lui un male, ma il nazismo era «il male».
5
Particolarmente nel mirino erano le Conferenze episcopali brasiliana, peruviana e cilena; «affidabili» erano soprattutto i vescovi colombiani
e argentini, fatto che certamente ha avuto un ruolo nella scelta di Bergoglio.
6
Il conflitto con la Conferenza episcopale tedesca sulla consulenza in
caso di interruzione di gravidanza è da capire esattamente in questo contesto; cf. Regno-att. 22,2000,745.
7
Allo stesso modo, un ruolo molto importante è stato svolto dal cardinale colombiano Alfonso López Trujillo, che è stato il primo segretario
generale e successivamente (1979-1983) presidente del CELAM, e che
appariva come un solido avversario della teologia della liberazione.
8
Attraverso le nomine dei vescovi e la crescente attenzione al tema
dell’aborto, che negli anni Settanta e soprattutto Ottanta ha spinto i vescovi statunitensi a mettere in secondo piano il problema della giustizia
sociale, si è rafforzata l’alleanza tra la Conferenza episcopale USA e il
Partito repubblicano (dall’elezione del card. Francis George di Chicago a
presidente dell’USCCB, 2007), a favore del quale i principali cardinali e
vescovi degli Stati Uniti si sono pronunciati in maniera molto aperta (per
esempio, il card. Raymond L. Burke, Saint Louis, successivamente prefetto della Segnatura apostolica e dopo il Sinodo del 2014 sulla famiglia nominato patrono del Sovrano ordine militare di Malta, e l’arcivescovo
Charles Chaput, Denver, ora Philadelphia).
9
In realtà, due erano i cardinali che – in modi diversi – davano segnali di un confronto intellettuale con la nuova cultura globale. Da un lato
l’arcivescovo di Milano, card. Carlo Maria Martini, spesso strettamente
legato alle tracce di Montini, dall’altro Joseph Ratzinger, strettamente legato a Wojtyla.
10
L’enciclica sulla fede, Lumen fidei, è stata però pubblicata dal suo
successore.
11
A mio parere nella filosofia, nella teologia e nelle scienze sociali si
riflette troppo poco su ciò che le grandi narrazioni dell’odierna scienza
popolare, che affrontano i temi della fine dell’uomo o del vuoto assideramento entropico dell’universo, significano per l’auto-comprensione culturale del nostro mondo. Forse la crisi ecologica di oggi è affrontata in
modo così cinico non solo per motivi economici, ma anche perché, almeno in Occidente, non si prevede di riuscire a «cavarsela».
12
Come esempi di megalopoli con un numero significativo di cattolici
si possono citare San Paolo, Rio de Janeiro, Buenos Aires, Città del Messico, Manila, Mumbai, Lagos, ma anche Kinshasa, Saigon, Shanghai (con
una popolazione cristiana in rapida crescita); cf. Regno-att. 10,2013,317.
13
Per larghi gruppi della popolazione delle nuove megalopoli un papa dai «confini del mondo» è un importante modello di riferimento. Non
è un caso quindi che Bergoglio abbia sottolineato questo aspetto durante
la sua presentazione.
14
Facebook è in un certo senso una propaggine di questo ethos, nella
misura in cui chiunque mi può chiamare «amico». La differenza radicale
tra l’ethos cristiano e la perversione gnostica di Facebook sta nell’assoluta
«disincarnazione» che esso esprime.
15
Con un’espressione enfatica, si potrebbe dire che ci si può immaginare che papa Francesco esista anche al di fuori dei media.
16
Un problema fondamentale della Chiesa cattolica sta nel fatto che
la procedura in sé estremamente positiva, per cui nelle nomine episcopali
il papa ha e deve avere l’ultima parola, nella Chiesa è stata però rovesciata, così che il papa ha anche la prima. In altri termini l’eccezione che una
nomina episcopale passi attraverso il papa è diventata la regola.
17
Queste parole mi risultano essere state espresse da mons. Franz
Kamphaus, vescovo emerito di Limburg in Germania.
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Una cesura storica
Le linee teologiche
del pontificato
di Francesco
I
l 2013 è stato un anno ricco di sorprese: rinuncia
dell’ultimo papa tedesco ed elezione del primo papa non europeo proveniente dall’altra parte del
mondo. Già questo da solo basterebbe a parlare di
una cesura storica. Naturalmente dopo soltanto un
anno di pontificato di papa Francesco non si può
ancora stilare un bilancio e fare previsioni per il futuro. Papa Francesco è stato una sorpresa e rimarrà una
sorpresa. Non entra in nessun schema, né in quello progressista-liberale, né in quello conservatore-tradizionale. Non è
un uomo di ideologie, ma un uomo della gioia del Vangelo.
Come tale, è un portatore di speranza, addirittura un dono
del cielo, per la stragrande maggioranza dei cattolici a livello
mondiale, come pure per molti altri cristiani e non cristiani.
Non a caso la rivista Times lo ha scelto come «uomo dell’anno». Papa Francesco ha aperto una nuova fase della storia
del papato.
Una crisi profonda,
interna ed esterna
Per comprendere veramente, e non solo in maniera superficiale, papa Francesco, bisognerebbe raccontare parecchie cose della sua biografia e della storia e situazione argentina che noi conosciamo troppo poco. Mi limito a un flashback e parto dall’11 febbraio 2013, il giorno dell’annuncio
della rinuncia da parte di papa Benedetto. È stata la prima
sorpresa del 2013, non solo in Germania, dove quel giorno si
festeggiava allegramente il lunedì grasso, ma anche per i
cardinali a Roma.
Bisogna infatti risalire molto indietro negli annali della
storia per trovare la rinuncia di un papa: sono trascorsi ben
820 anni da quando si dimise Celestino V, salutato anzitutto
come papa angelicus e venerato tuttora come santo, e quasi
600 anni da quando si dimise Gregorio XII, per permettere
una via di uscita dal grande scisma di Occidente al concilio
di Costanza, di cui celebriamo quest’anno il 600° anniversario. Quelle due rinunce avvennero in circostanze difficilmente comparabili con la situazione attuale. Perciò in quel
momento praticamente nessuno contava su un tale passo da
parte del papa. L’annuncio fu – come ebbe a dire il card.
Angelo Sodano, decano del collegio dei cardinali – un fulmine a ciel sereno.
I cardinali presenti a Roma erano riuniti in un normale
concistoro in preparazione della canonizzazione di due papi, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Esso ha avuto luogo tradizionalmente a mezzogiorno, durante la recita dell’o-
804
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ra media del breviario. Al termine della preghiera era prevista la benedizione apostolica, per cui restammo in piedi. Ma
il papa si sedette e ci sedemmo anche noi. Seguì un discorso
in latino: «Vi ho convocati a questo concistoro… anche per
comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita
della Chiesa». Poi scoppiò la «bomba» e noi restammo come
folgorati e rimanemmo al contempo sconcertati.
La situazione era completamente diversa da quella di
otto anni prima nel conclave del 2005. Allora era stato chiamato alla casa del Padre papa Giovanni Paolo II, dopo una
lunga, grave malattia e una morte in pratica pubblica, che
commosse molte persone. Erano seguite le esequie, alle quali avevano partecipato circa 4 milioni di persone, fra cui
molti capi di stato e, per la prima volta nella storia della
Chiesa, i massimi rappresentanti di tutte le altre Chiese, per
rendere omaggio a un grande papa che aveva guidato per
quasi 27 anni la storia della Chiesa cattolica e lasciato evidenti tracce nella riunificazione dell’Europa dopo la caduta
del muro di Berlino. La Chiesa cattolica e il papato godevano di una grande stima nel mondo. Ora invece, a distanza di
otto anni, la crisi era evidente e sulla bocca di tutti.
La crisi colpiva singole Chiese locali, compresa quella
tedesca. Lo scandalo della pedofilia aveva causato profonde
ferite, la forza della fede e la gioia della fede erano molto diminuite. I segni di stanchezza erano evidenti e i critici si facevano sentire. La crisi aveva raggiunto anche la curia romana. I documenti sottratti dalla scrivania del papa, copiati e
pubblicati (lo scandalo «Vatileaks»), erano solo i segni esteriori del fatto che nella curia molte cose non funzionavano a
dovere. Un giornalista italiano, ben informato e istruito,
scrisse sul Corriere della sera un lungo articolo intitolato «C’era una volta un Vaticano», nel quale affermava che la diplomazia vaticana era stata sempre molto stimata e considerata
un faro in un mondo che aveva perso l’orientamento, mentre ora la stima verso la Santa Sede, l’istituzione internazionale più antica d’Europa, era gravemente minata da «Vatileaks», e dal sospetto di dubbie operazioni finanziarie. Tutto
questo aveva sparso una nebbia di voci e speculazioni, che
potevano certamente stupire per la fantasia con cui gli italiani formulano teorie di complotti di ogni sorta, ma favoriva la
diffidenza, il sospetto nei riguardi del Vaticano e lo immergeva tutto sommato in un clima tardo-autunnale.
Di fronte a questa situazione il timoniere, il papa, che era
necessariamente la persona più colpita da questa perdita di
fiducia nel suo ambiente immediato, dovette spiegare che le
sue forze fisiche non erano più sufficienti per governare la
barca della Chiesa in una situazione mondiale in rapido
cambiamento, con nuove sfide quasi quotidiane. Chi lo aveva incontrato personalmente nei giorni precedenti, poteva
facilmente comprenderlo. Nonostante la piena lucidità della
sua mente, le sue forze fisiche andavano rapidamente scemando. La stragrande maggioranza dei cardinali accolse
con rispetto la decisione del papa; era coraggiosa, magnanima e umile. Questa decisione coraggiosa, magnanima e
umile resterà sempre legata al pontificato di Benedetto XVI
e entrerà nella storia.
Una nuova epoca inizia
Era evidente che la rinuncia di Benedetto XVI segnava
una cesura e, di fatto, ha aperto una nuova epoca nella storia
quasi bi-millenaria, non povera di cambiamenti, del papato.
Non nel senso che d’ora in poi le rinunce papali diventano (o
debbano diventare) la regola, bensì nel senso che esse non
appartengono solamente, come è stato fino a ora, a ciò che è
canonicamente possibile, e tuttavia altamente improbabile,
ma entrano a far parte di ciò che è realmente possibile. Questo non ha cambiato l’essenza del ministero del papa, ma la
sua forma concreta. In questo modo il ministero del papa è
diventato più umano e, al tempo stesso, più spirituale.
Ormai non si poteva più procedere come nel passato.
Ma come procedere? Occorreva uscire dalle cordate interne
alla curia; bisognava eleggere qualcuno di fuori, preferibilmente qualcuno proveniente dall’emisfero meridionale, dove nel corso del XX secolo si è spostato il peso maggiore della
Chiesa. Mentre all’inizio del XX secolo solo il 25% dei cattolici viveva al di fuori dell’Europa, oggi in Europa vive ancora appena il 25%. Quasi la metà di tutti i cattolici vive in
America Latina. Nel XX secolo la situazione della Chiesa
cattolica si è letteralmente capovolta. Nell’emisfero meridionale la Chiesa, nonostante tutti i problemi che vi sono, è giovane e viva, mentre nei paesi dell’Europa sta attraversando
una grave crisi interna, con un numero di fedeli sempre più
ridotto e vocazioni sacerdotali e religiose sempre più rare.
Precedentemente non avevo mai ascoltato da parte dei
cardinali un discorso così aperto e franco, che chiamava i
problemi per nome, come quello che ho ascoltato durante le
loro congregazioni quotidiane dopo l’inizio della sede vacante. La crisi nella curia era solo un aspetto. Papa Benedetto, come teologo, aveva posto l’accento del suo pontificato
sul magistero. Da questo punto di vista, egli ha lasciato una
ricca eredità, alla quale il suo successore potrà attingere e
che certamente solo in futuro potrà essere valutata pienamente e nuovamente. Il suo governo, però, era stato caratterizzato da un’eccessiva mitezza e indulgenza verso vari collaboratori.
Sarebbe ovviamente sbagliato notare solo la crisi istituzionale e pensare che tutto sia solo una questione di riforma
della curia e delle strutture della Chiesa. Questa visione, diffusa in Germania, non è una soluzione, ma al contrario è essa
stessa un aspetto della crisi. Infatti, chi pensa che dipenda
tutto unicamente dalle strutture e perciò si tratti soprattutto
di cambiare le strutture, non sa più che cos’è la Chiesa e come
«opera» la Chiesa. La vera crisi è la mancanza di forza della
fede e di gioia della fede, nonché di slancio missionario. Il
rinnovamento e il processo di recezione del concilio Vaticano
II sono rimasti fermi; in qualche modo è mancata l’aria.
Il card. Jorge Bergoglio sj ha parlato, durante le congregazioni in preparazione del conclave, di questa profonda
crisi in un impressionante intervento, che è stato poi pubblicato immediatamente dopo il conclave. Egli ha criticato una
Chiesa ripiegata su se stessa, che si occupa sempre e soltanto
di se stessa, che si occupa delle sue strutture e soffre per se
stessa. Una Chiesa del genere è malata. Il card. Bergoglio
chiedeva una «Chiesa in uscita», una Chiesa che va alle periferie non solo delle nostre grandi città, ma anche alle periferie dell’esistenza umana, una Chiesa missionaria che va là
dove si trovano le persone, che è vicina alle persone, povera
per i poveri.
Il suo discorso è durato solo otto minuti, ma sono bastati
per puntualizzare il problema. Esso ha lasciato un’impres-
sione duratura in molti cardinali. Ma non per questo l’elezione del card. Bergoglio a papa era già «decisa». La sua
elezione, soprattutto un’elezione così rapida, è stata una
sorpresa non solo per le persone al di fuori, ma anche per gli
stessi cardinali in conclave.
L’elezione del nuovo papa:
una sorpresa
Prima e dopo l’inizio della sede vacante nell’opinione
pubblica si diffondono i nomi dei cosiddetti papabili. Il nome
di Bergoglio non compariva neppure nella lista di giornalisti
normalmente ben informati. Nel conclave stesso non ci sono
proposte ufficiali di candidati. La scelta del papa è una decisione di coscienza di ogni singolo cardinale. Deve quindi scaturire da una coscienza informata. Per questo esistono prima
del conclave contatti informali fra i cardinali per scambiare
punti di vista e informazioni. Non esistono accordi formali o,
perlomeno, non dovrebbero esistere. All’inizio del conclave
non c’era nulla di deciso: circolavano vari nomi, ma non c’era alcun favorito. Secondo la mia impressione, l’esito era
completamente aperto. Perciò è stato ancor più sorprendente
il fatto che molto rapidamente i nomi si siano ridotti a un
gruppetto, nel quale quello del card. Bergoglio ha raccolto un
numero sempre maggiore di consensi.
Per me il conclave è stata un’esperienza spirituale e, in
seguito, molti altri cardinali mi hanno detto la stessa cosa. Si
percepiva che moltissime persone pregavano per una buona
scelta e si aveva la sensazione che «qualcosa» si muovesse.
Così, sorprendentemente, si è oltrepassata in fretta la maggioranza dei due terzi. La sorpresa successiva è stata la scelta
del nome Francesco. Nessun altro papa prima di allora si era
chiamato in quel modo. Si è compreso subito che Francesco
non era solo un nome, ma un programma.
Le sorprese sono continuate. È sorprendente il modo in
cui il nuovo papa ha impresso fin dal primo momento un
nuovo stile e una nuova impronta al suo nuovo ministero:
nel modo di vestire (solo una talare bianca e una semplice
croce in metallo); nel linguaggio (Buona sera) e nei gesti
estranei da qualsiasi teatralità. La gente radunata in piazza
San Pietro ha compreso immediatamente. Già le prime frasi
indicavano chiaramente il modo in cui il papa comprendeva
il suo ministero. Ha parlato di se stesso come vescovo di Roma, secondo una ben nota formula di Ignazio di Antiochia
nel praescriptum della sua lettera alla Chiesa di Roma, che
presiede nella carità (metà/fine II secolo). La cosa più commovente è stata quando il nuovo papa, prima della benedizione, ha chiesto la preghiera del popolo di Dio, affinché Dio
lo benedicesse. Si è chinato profondamente e per qualche
minuto in piazza San Pietro non si è sentito volare una mosca. Era uno stile nuovo. Era teologia del popolo di Dio. Il
camminare insieme, di cui parlava il nuovo papa, aveva trovato un’espressione immediatamente comprensibile.
Al termine si è ritornati alla casa che ospitava i cardinali
per la cena comune. La limousine del papa lo attendeva davanti, ma egli ha detto: «Siamo venuti insieme e ritorniamo
insieme». Ed è salito insieme a noi sul minibus. Ha praticato
concretamente la collegialità fin dal primo istante.
Alcuni erano turbati di fronte a questo nuovo stile e a
questi nuovi accenti. Si chiedevano: è continuità o rottura?
Dovevano tornare ad apprendere che Dio è immutabile, è
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sempre lo stesso, ma non è mai il vecchio Dio, è il più giovane di noi tutti, sempre nuovo, sempre sorprendente, sempre
meraviglioso. Anche il Vangelo, che è stato trasmesso una
volta per tutte, non è mai semplicemente vecchio e logoro.
Lo Spirito Santo riserva sempre delle sorprese. La tradizione
della Chiesa non è una tradizione morta, ma una tradizione
viva. Questa eterna novità (esortazione apostolica Evangelii
gaudium, n. 11) non ha nulla a che vedere con l’innovazione. In tutti i secoli la Chiesa è sempre la stessa e, tuttavia, ha
sempre bisogno di rinnovarsi. Si pone quindi la domanda:
Quale relazione esiste fra il pontificato sorprendentemente
nuovo di papa Francesco e quello del suo predecessore?
Il passaggio da Benedetto
a Francesco
Papa Francesco è il settimo papa che ho conosciuto nella
mia vita. Sono nato sotto Pio XI, ma di lui non ho alcun ricordo personale. Pio XII fu il primo papa con il quale, dopo
l’esame di maturità nella primavera del 1952, ebbi un’udienza insieme con circa altri 20 giovani della mia età. Era
un Vaticano completamente diverso da quello che conosco
oggi. Pio XII era molto stimato in Germania. Oggi, egli rappresenta per molti la Chiesa preconciliare. Questo è vero e
falso al tempo stesso. Infatti, in molte cose Pio XII ha posto le
fondamenta di ciò che è stato ripreso e ulteriormente sviluppato dal Concilio. Ma era molto diverso dal suo successore
Giovanni XXIII. Inizialmente provammo un sentimento di
delusione, ma ben presto il papa buono conquistò i nostri
cuori. Con la convocazione del concilio Vaticano II avviò
un cambiamento epocale, portato poi avanti dal suo successore, papa Paolo VI, ancora una volta molto diverso da lui.
Paolo VI fu uno dei papi riformatori più importanti dell’epoca moderna.
Anche Giovanni Paolo II, il primo papa non italiano dopo secoli e il primo papa slavo, fu una sorpresa. Fu un grande
papa. Anche il suo successore, Benedetto XVI, era molto
diverso da lui per origine, carattere e personalità. Benedetto
non è stato un papa dai grandi gesti, ma un papa dai toni
pacati, teologicamente e spiritualmente profondi. Tutti questi papi sono stati molto diversi fra loro, ma sono stati tutti
cattolici! L’unità della Chiesa cattolica è un’unità nella diversità, anche nella diversità dei suoi papi. È questo il bello
della Chiesa cattolica.
È così anche nella relazione fra papa Benedetto e papa
Francesco. La differenza di origine, di personalità, di stile
nell’esercizio del ministero è evidente. Benedetto proviene
dalla tradizione europea, Francesco dall’esperienza latinoamericana. Benedetto, in quanto teologo, parte dalla dottrina
della Chiesa e cerca di applicarla nella situazione attuale.
Francesco, in quanto gesuita, osserva la situazione e giunge
alle decisioni attraverso la strada del discernimento spirituale. Benedetto pensa nella tradizione di Agostino, Francesco
più in quella di Tommaso d’Aquino. Per Benedetto c’era in
primo piano il tema della fede e della scienza, e il problema
del relativismo; per papa Francesco c’è il tema della fede e
della giustizia, della Chiesa come popolo di Dio caratterizzato dallo slancio missionario. Ma nella sostanza i due papi
concordano. La continuità appare chiaramente soprattutto
nell’enciclica Lumen fidei (2013). I contenuti e il linguaggio
sono in gran parte quelli di Benedetto; Francesco li ha ripresi
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e ampliati in alcuni punti. È difficile esprimere più chiaramente la continuità sostanziale.
Ma non si tratta di una continuità rigida, bensì di una
continuità viva. Sulla scia del teologo francese Michel de
Certeau, molto stimato da papa Francesco, si può parlare di
una rupture instauratrice, di un rinnovamento che passa attraverso rotture. Nessun papa può edificare una nuova
Chiesa e inventare di nuovo la Chiesa, ma può e deve rinnovare l’unica Chiesa di tutti i secoli. Sotto tutti i papi è la stessa
e unica Chiesa, ma tuttavia è sempre nuova e fresca. In questo senso, vorrei ora parlare di alcune vecchie/nuove scelte
di papa Francesco e mostrare come in lui si coniughino in un
modo nuovo e inatteso tradizione e situazione.
Un papa pastore
Papa Giovanni Paolo II è stato un missionario che ha
viaggiato instancabilmente in tutto il mondo. Papa Benedetto, come papa, è stato un maestro e un catechista, papa Francesco è un pastore. Egli è in qualche modo parroco del mondo.
Perciò, chi lo liquida come un semplice parroco di campagna
o addirittura come un teologo «Copacabana», lo sottovaluta
molto. Anche in lui c’è, sullo sfondo, una teologia significativa. Si tratta fondamentalmente dell’ecclesiologia del popolo
di Dio espressa dal concilio Vaticano II. Essa è stata sviluppata in una teologia del popolo dai suoi insegnanti di teologia,
Lucio Gera e Juan Carlos Scannone, come una variante argentina, autonoma e rilevante, della teologia della liberazione. Diversamente dalla forma della teologia della liberazione
alquanto conosciuta da noi, essa non parte da contrapposizioni di classe e conflitti di classe, e certamente non dalla loro
interpretazione marxista, ma dal popolo, che è unito dalla
partecipazione alla stessa cultura. In essa la cultura quotidiana, la cultura del popolo e la devozione popolare gioca, come
del resto anche in Michel de Certeau, un ruolo importante.
Questo dimostra che i rappresentanti di questa teologia – cosa da non sottovalutare – conoscono molto bene la più recente teologia e filosofia europea, comprese quelle tedesche.
A questo si aggiunge il fatto che Francesco è il primo papa che viene da una megalopoli, difficilmente comparabile
con le nostre metropoli, con una popolazione immigrata
proveniente dai paesi più diversi. Come nessun papa prima
di lui, egli è plasmato dalle sue esperienze nei quartieri poveri (villas miserias) di Buenos Aires. La rivista statunitense
National Catholic Reporter titolava: «Pope Francis gets his oxygen from the slums». Per papa Francesco, che proviene da
quest’ambiente, si tratta di nuova evangelizzazione e inculturazione della Chiesa e di partecipazione di tutto il popolo
di Dio alla vita della Chiesa, donne e uomini, laici e chierici,
giovani e anziani (Evangelii gaudium, n. 68-75; 111-134).
Egli vuole uscire dall’aria viziata di una Chiesa che è ripiegata su se stessa, che gira su se stessa, che soffre per se stessa e
piange su di sé, come la vediamo purtroppo spesso anche qui
in Germania. Egli vuole una Chiesa caratterizzata dallo
slancio missionario.
Francesco cerca il contatto con le persone. Sa come parlare alle persone, ai cristiani praticanti e non praticanti, a chi
crede in modo differente o non crede affatto. È uno che conosce la vita, che vuole vivere in mezzo alla gente e annunciare il Vangelo con tutta la sua vita. È per questo che non ha
voluto occupare gli appartamenti papali del palazzo aposto-
lico. Essi non hanno nulla di lussuoso, non possiedono alcuna magnificenza barocca, ma possono isolare. Francesco
vuole restare a contatto con le persone e in mezzo al popolo
di Dio. In questo, con la sua teologia del popolo di Dio, è
autentico.
Un papa evangelico
Papa Francesco è nel senso originario (non confessionale)
dell’espressione un papa evangelico. Non per nulla l’esortazione apostolica nella quale espone il suo programma è intitolata Evangelii gaudium, la gioia del Vangelo. Egli si ricollega con il termine originario, euangelium, come aveva già fatto prima di lui nella sua esortazione apostolica Evangeli nuntiandi (1975) papa Paolo VI, il papa al quale Francesco si
sente chiaramente più vicino fra i suoi predecessori. Per lui si
tratta di un rinnovamento della Chiesa conforme al Vangelo.
Vuole ritornare alla semplicità e sobrietà apostolica. Già Benedetto XVI, in occasione della sua visita in Germania nel
settembre del 2011, aveva indicato questa direzione con il
termine «de-mondanizzazione». Essa non venne attuata in
Germania e ancor meno in Vaticano. Ora Francesco dice
chiaramente di che cosa si tratta e come bisogna fare.
Il rinnovamento a partire dal Vangelo è una richiesta
antica. Già molto prima di Lutero era una richiesta di Francesco d’Assisi. Egli voleva vivere, insieme ai suoi fratelli,
semplicemente in conformità con il Vangelo, sine glossa.
Perciò, per papa Francesco, rinnovamento non significa
adeguamento al mondo. Esso persegue ciò che risplende e
affascina e Francesco critica duramente questa mondanità
spirituale (Evangelii gaudium, nn. 93-97). Egli vuole un rinnovamento che parta dalla forza della sorgente apostolica e
della semplicità apostolica, un rinnovamento che mostri
chiaramente la differenza di ciò che è cristiano e l’alternativa
dell’essere cristiano. Ma lo intende non come un restare aggrappati a ciò che si faceva ieri e avantieri, ma come un’alternativa che apre al futuro. Infatti, nelle aporie del presente,
nelle quali la modernità rischia di morire di morte naturale
nella sua forma postmoderna, questa alternativa viene recepita da molte più persone di quanto si pensi come una via di
uscita liberatrice, stimolante o almeno interessante. Pur essendo in controtendenza questo programma è up to date.
Mediante questo programma evangelico papa Francesco esprime la tradizionale esigenza originaria della Chiesa e
al tempo stesso un elemento fondamentale del cattolicesimo
più recente. Infatti, molti osservatori intelligenti hanno scoperto una tendenza evangelicale fra le caratteristiche della
Chiesa cattolica del XXI secolo. Il papa rappresenta quindi
una grande tradizione e al tempo stesso una dimensione caratteristica della Chiesa universale odierna. Egli ha compreso il battito del suo cuore e ha toccato il suo nervo.
Questo non è entusiasmo riformistico basato su un attivismo esagerato. Già Francesco d’Assisi avviò, insieme con
Domenico e il suo ordine dei predicatori, un movimento
evangelico nel senso originario del termine, che plasmò in
modo duraturo la teologia dell’epoca, specialmente quella di
Tommaso d’Aquino. Non a caso papa Francesco nella
Evangelii gaudium si riferisce espressamente a Tommaso
d’Aquino e alla sua comprensione del Vangelo (Evangelii
gaudium, nn. 37; 43). Come per Tommaso, anche per lui il
Vangelo, al quale deve orientarsi la Chiesa, non è una lex
scripta, un codice di insegnamenti e comandamenti, ma un
dono dello Spirito Santo, che opera mediante la fede. Questo non è molto lontano dalla posizione di Martin Lutero.
Per papa Francesco, in un senso assolutamente biblico, il
Vangelo è anzitutto parola di incoraggiamento, di conforto,
di grazia e solo dopo risposta etica. Prima dell’imperativo
viene l’indicativo. Perciò Francesco non vuole essere un papa con l’indice morale puntato. Per lui la fede non è una
morale. E non è neppure un codice di insegnamenti, che si
possono disporre gli uni accanto agli altri. Non si può quindi
annunciare «con le randellate inquisitorie di chi giudica e
condanna». Gesù rappresenta la dolcezza, la mitezza, la
longanimità, la misericordia, la fraternità. Si può e si deve
presentare la fede, ma non si può imporre a nessuno. Naturalmente il papa non vuole rinunciare a nulla di ciò che costituisce l’insegnamento della fede. Ma la fede non è un
punto fisso, bensì un cammino che Dio compie insieme a noi
e che la Chiesa deve compiere con gli uomini, e questo motivo del cammino è normativo per papa Francesco.
Francesco non vuole rivoluzionare la fede, ma ispirare i
fedeli a mettersi in cammino insieme a Cristo. Al riguardo
esiste una gerarchia delle verità e dei comandamenti (Evangelii gaudium, nn. 35-39). Questo non significa che si deve
restare fermi e accontentarsi di un minimo; bisogna essere
aperti e disposti, sotto la guida dello Spirito Santo, ad avanzare, a cambiare mentalità, a pensare in modo nuovo. Perciò non si può chiudere all’angolo papa Francesco, né in
quello liberale né in quello tradizionalistico. Egli non è né
restauratore conservatore né liberale progressista. È radicale
nel senso originario del termine. Va alla radice, al Vangelo.
Un programma di riforme
Il ritorno al Vangelo richiede anche riforme istituzionali.
Ciò è apparso chiaramente già la prima sera, quando papa
Francesco si è presentato come vescovo di Roma. Ma questo
non significa, come alcuni hanno frettolosamente temuto, e
altri forse sperato, una rinuncia al ministero petrino universal-ecclesiale. Si tratta probabilmente di un ritorno alla concezione originaria, in base alla quale il papa come vescovo di
Roma, che presiede nella carità, ha la responsabilità pastorale di tutta la Chiesa. Vescovo di Roma non è un’appendice
del ministero di Pietro ma è il suo fondamento. In questo
Francesco riprende lo stimolo offerto da Giovanni Paolo II,
quando ha chiesto di entrare in dialogo con lui riguardo al
modo in cui esercitare oggi il ministero petrino, senza rinunciare alla sua sostanza, in una forma accettabile da tutti
(Evangelii gaudium, nn 16; 32). Papa Francesco lo ha nuovamente annunciato nella sua omelia in occasione della conclusione della settimana di preghiere per l’unità il 25 gennaio nella basilica di Santo Paolo fuori le Mura. Nella Evangelii
gaudium parla espressamente di una decentralizzazione
della Chiesa (n. 16).
Lo si può comprendere correttamente solo riconoscendo
che dietro a quest’esigenza c’è per lui l’idea fondamentale
del concilio Vaticano II, la Chiesa come communio. Chiesa
come communio non significa che la Chiesa è un’associazione di fedeli o una federazione di Chiese locali, e non è neppure un sistema centralizzato, nel quale le Chiese locali sono
province amministrate unicamente a partire dalla sede centrale. In quanto communio, la Chiesa ha la sua propria strut-
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tura costituzionale. L’unica Chiesa è presente nella Chiese
locali; in esse assume forma concreta in loco e un concreto
volto locale. Inversamente, le Chiese locali devono vivere
nella, unitamente alla e a partire dall’unica Chiesa. In
quest’unica Chiesa come communio-unità di Chiese, il vescovo di Roma ha la presidenza. Essa ha il suo centro interno in Gesù Cristo e un centro visibile nel ministero petrino
(Evangelii gaudium, nn. 30-32).
Centro non significa centralismo, ma unità nella diversità e diversità nell’unità. Che in un mondo complesso e sfaccettato come quello odierno non si possa regolamentare tutto a partire da Roma lo ha sperimento lo stesso card. Bergoglio come arcivescovo di Buenos Aires. Su questo punto è
entrato spesso in conflitto con persone della curia. Attraverso un nuovo bilanciamento di unità e diversità il ministero
petrino non perde peso, ma ne acquista, come dimostra la
forza di attrazione del nuovo pontificato.
Secondo la tradizione della Chiesa antica, l’unità nella
diversità viene prefigurata già dal concilio apostolico (cf. At
15) e realizzata mediante processi sinodali. Papa Francesco
ha fatto un primo passo con la con la nomina di un consiglio
di otto cardinali provenienti da tutti i continenti, il cosiddetto Consiglio G8. Ha fatto un passo ulteriore con il Sinodo, o
meglio, il processo sinodale su «Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione». Per la preparazione
è stato inviato un questionario, aggiungendovi la preghiera
di accompagnamento in luoghi di pellegrinaggio delle famiglie (specialmente Nazaret, Loreto, Sagrada Familia a Barcellona). Una sorta di apertura avverrà nel concistoro nella
festa della Cattedra di San Pietro (22 febbraio). Così preparato, il Sinodo straordinario dei vescovi dal 5 al 19 ottobre
ha illustrato lo status quaestionis e a distanza di un anno il
Sinodo ordinario dovrà chiudere i lavori. Nel frattempo, c’è
sempre spazio per la convocazione del popolo di Dio, delle
singole diocesi e delle conferenze episcopali. È un nuovo stile, dietro al quale c’è il rinnovamento della concezione della
Chiesa del concilio Vaticano II.
La povertà della Chiesa
Con queste idee teologiche e pratiche papa Francesco
non vuole una Chiesa ripiegata su se stessa e preoccupata
unicamente delle sue strutture, ma vuole una Chiesa che
esca fuori. Per lui, il futuro della Chiesa è una Chiesa povera
per i poveri. Questo non è un tema principalmente sociale e
politico, bensì un tema biblico e specialmente cristologico.
Gesù è venuto ad annunciare il Vangelo ai poveri (cf. Lc
4,18). La prima beatitudine del discorso sul monte è: «Beati i
poveri davanti a Dio, perché a loro appartiene il regno dei
cieli» (Mt 5,3; cf. Lc 6,20). Questo, per Francesco, è anche
un tema cristologico, presente già in uno dei testi più antichi
del Nuovo Testamento, nell’inno prepaolino della Lettera ai
Filippesi: «… egli, pur essendo nella condizione di Dio, non
ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo, diventando simile agli
uomini» (Fil 2,6s). Paolo ha ripreso questo motivo: «Da ricco
che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi
per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9).
Non c’è bisogno del marxismo e del socialismo per imbattersi nel tema dei poveri. Esso ha giocato da sempre un
ruolo importante nella storia della Chiesa, a partire dalla
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comunità primitiva di Gerusalemme, nella quale tutto era
condiviso con tutti (cf. At 2,44) e dal primo monachesimo.
Antonio, il padre dei monaci, sentì questa parola: «Sei vuoi
essere perfetto, va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri (…),
poi vieni e seguimi!» (Mt 19,21); la ascoltò e la mise in pratica. Nel Medioevo, in contrapposizione a una Chiesa potente
e ricca, vi furono sempre movimenti basati sulla povertà, fra
i quali il più noto e fruttuoso è stato fino ai nostri giorni quello di Francesco di Assisi e dei suoi confratelli.
Nel Concilio, il motivo della Chiesa povera ha giocato
un ruolo importante. Il testo fondamentale si trova nella costituzione Lumen gentium sulla Chiesa: «Come Cristo ha
realizzato la sua opera di redenzione nella povertà e nella
persecuzione, anche la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via (…); così anche la Chiesa, benché per eseguire la sua
missione abbia bisogno di risorse umane, non è fatta per
cercare la sua gloria sulla terra, ma per espandere l’umiltà e
l’abnegazione anche con il suo esempio» (LG 8,3; EV 1/306).
L’affermazione più nota è quella della costituzione pastorale
Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo,
secondo la quale «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e
le angosce dei discepoli di Cristo» (GS 1; EV 1/1319).
In questo spirito, alcune settimane prima della fine del
Concilio, 40 vescovi strinsero il Patto delle catacombe, intitolato «Per una Chiesa serva e povera» (Regno-att. 2,2013,50).
Assunsero una serie di impegni, fra cui quelli relativi allo stile
di vita, ai titoli e ai poveri. Fra i primi firmatari c’erano vescovi come Helder Camara, Aloisio Lorscheider e il tedesco
Julius Angerhausen, vescovo ausiliare di Essen. Un altro, fra
i primi testimoni, fu Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, che venne ucciso il 24 marzo 1980 durante la celebrazione dell’eucaristia da militari incaricati, perché si era impegnato per i diritti dei campesinos. Ora papa Francesco ha
riaperto il processo di beatificazione rimasto a lungo bloccato in curia.
Dopo il Concilio, il tema della povertà è diventato soprattutto attuale nella teologia della liberazione in America
Latina. La seconda Assemblea generale dell’episcopato latinoamericano ha formulato a Medellin (Colombia) nel 1968
l’opzione per i poveri. Nel 1979, l’Assemblea generale tenuta a Puebla (Messico) ha parlato di opzione preferenziale, ripresa poi nel 2007 dalla settima Assemblea generale ad Aparecida (Brasile) e ampliata mediante l’introduzione dell’opzione per gli esclusi. L’artefice del Documento di Aparecida fu
l’allora presidente della Conferenza episcopale argentina, il
card. Jorge Bergoglio.
Con la sua opzione preferenziale per i poveri (Evangelii
gaudium, n. 198) papa Bergoglio s’inserisce in una grande
tradizione, riprende idee importanti del Concilio e degli sviluppi postconciliari e pone all’ordine del giorno della Chiesa
lo scandalo della povertà e della miseria, che grida al cielo,
nell’emisfero meridionale. Per lui non si tratta del nostro discorso occidentale sulla modernità, ma del discorso sulla
modernità del terzo mondo, che riflette sulle conseguenze
negative della modernizzazione e della globalizzazione per
l’emisfero meridionale. Egli vede in questo la crisi antropologica dell’individualismo e del consumismo (Evangelii gaudium, n. 2; 55; 61; 63; 67).
Per le sue parole chiare il papa è stato criticato anche in
Germania. Si è contestata soprattutto l’espressione «quest’economia uccide» (Evangelii gaudium, n. 53). Ma bisogna
leggere attentamente. Il papa non dice «l’economia uccide»,
ma «quest’economia uccide». Egli critica una forma ben precisa di economia, la tendenza – così il card. Marx – all’economicizzazione di tutti i settori della vita, la quale fa dipendere il
ritmo della società dagli interessi della valorizzazione del capitale. Per il papa non si tratta dell’analisi di un esperto in
economia (n. 51) e non si tratta neppure di un qualche sistema, di un qualche «ismo». Egli non nomina il capitalismo. Si
tratta di persone e di un grido profetico. Se 1,4 miliardi di
persone vivono in estrema povertà e ogni anno 5,6 milioni di
bambini muoiono a causa di un’alimentazione insufficiente,
allora nel sistema economico mondiale deve esservi qualcosa
che non funziona. Francesco vuole alzare la sua voce contro
questa globalizzazione dell’indifferenza.
La risposta della Chiesa non può consistere solo nei suoi
organismi assistenziali. Da questo punto di vista, la Chiesa in
Germania ha fatto cose che bisogna riconoscere. Francesco si
spinge oltre. La Chiesa non è una ONG che si occupa di beneficenza (Evangelii gaiudium, n. 279). Per lui si tratta di incontrare Cristo nei poveri, anzi di toccare Cristo (n. 270). La
Chiesa è il corpo di Cristo: nelle ferite degli altri noi tocchiamo le ferite di Cristo. «Tutto quello che avete fatto a uno solo
di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt
25,40). È una visione mistica (nn. 87; 92). Essa ci ricorda
Francesco d’Assisi che abbracciò un lebbroso e l’esperienza
vocazionale di Madre Teresa, che trasportò un moribondo
nel suo convento e così fece l’esperienza di portare Cristo nei
poveri.
In questo senso Francesco vuole una Chiesa caratterizzata dallo slancio missionario, una Chiesa che esce verso le
periferie dell’esistenza umana (Evangelii gaudium, n. 20-23;
27-31; 78-86 e altrove). Non vuole una Chiesa che è ripiegata su se stessa e ruota attorno a se stessa. Una persona ripiegata su se stessa è una persona malata, una Chiesa ripiegata
su se stessa è una Chiesa malata. Con l’opzione una Chiesa
povera per i poveri, il papa indica un aspetto essenziale della
crisi e al tempo stesso un aspetto di un rinnovamento della
Chiesa conforme al Vangelo. Per lui si tratta molto di più
che di giustizia sociale, si tratta di misericordia.
Pontificato della misericordia
Misericordia è un altro termine chiave del nuovo pontificato. Un tema assolutamente non nuovo. La misericordia è
fondamentale già nell’Antico Testamento. «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso» (Es 34,6). «Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore»
(Sal 103,8; 111,4). Nel messaggio di Gesù la misericordia è
fondamentale. Pensiamo semplicemente alla parabola del
figlio perduto (cf. Lc 15,11-32) e del samaritano misericordioso (cf. Lc 10,25-37) o alla Lettera agli Efesini: «Dio, ricco
di misericordia» (Ef 2,4). Pensiamo, inoltre, alla beatitudine
del discorso della montagna: «Beati i misericordiosi» (Mt
5,7), al «voglio la misericordia e non il sacrificio» (Os 6,6; Mt
9,13), al discorso di Gesù sul giudizio finale (cf. Mt 25), secondo il quale per lui allora conteranno solo le opere di misericordia. La tradizione non conosce solo le opere di misericordia corporali, ma anche le opere di misericordia spiritua-
li.
Si possono menzionare grandi santi della misericordia
cristiana: Nicola di Lira, Martino di Tours; Elisabetta di
Turingia, Vincenzo de’ Paoli, Madre Teresa di Calcutta,
suor Faustina Kowalska, che fu importante per Giovanni
Paolo II e fu la prima ad essere da lui canonizzata in modo
assolutamente programmatico in occasione del giubileo del
2000. Papa Giovanni Paolo II dedicò al tema della misericordia la sua seconda enciclica Dives in misericordia (1980) e
istituì la domenica dopo Pasqua come domenica della misericordia. Benedetto XVI ha continuato a sviluppare il tema
nella sua prima enciclica Deus caritas est (2005). Il motto
episcopale di papa Francesco è Miserando atque eligendo
(«siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse»),
proveniente da Beda il Venerabile, che visse nel VII e VIII
secolo.
Anche in questo caso papa Francesco si colloca pienamente nella tradizione, mirando a rinnovarla e a renderla
fruttuosa nella nostra situazione. Come papa continua a ripetere che la misericordia di Dio è infinita, che Dio non si
stanca mai di essere misericordioso per chiunque lo desideri.
Dio non abbandona mai chi confida nella sua misericordia.
Questo è per Francesco il nocciolo del Vangelo. Anche in
questo egli può riferirsi a Tommaso d’Aquino. Dio è in se
stesso amore e rivolto all’esterno questo amore si esprime
nella misericordia; secondo Tommaso, la misericordia precede la giustizia. In fondo, così si pone in modo nuovo la più
fondamentale di tutte le domande teologiche, quella su Dio.
Il tema della misericordia diventa attuale in vista del processo sinodale, che si occupa anche del problema dei divorziati risposati. È un problema pastorale urgente, che in questa sede non posso presentare in modo dettagliato. Tuttavia
è importante non comprendere la misericordia come una
grazia a poco prezzo, offerta per così dire a prezzi stracciati.
La misericordia non sopprime i comandamenti di Dio, ma
offre una nuova possibilità a chi è disposto a convertirsi. In
questo senso, papa Francesco ha lasciato il problema alla libera discussione. Non c’è nulla di deciso in anticipo. Il papa
spera, come mi ha detto, che il Sinodo possa trovare una soluzione condivisa. Anche questo fa parte del nuovo stile.
Il compito ecumenico
L’ecumenismo è un chiaro mandato di Gesù, il quale alla vigilia della sua morte ha pregato che «tutti siano una cosa
sola» (Gv 17,21). L’ecumenismo è il mandato del Concilio,
che ha considerato l’unità di tutti i cristiani una delle sue più
alte preoccupazioni e ha affermato che la divisione fra i cristiani contraddice la volontà di Cristo, danneggia la causa
del Vangelo e scandalizza il mondo (Unitatis redintegratio,
n. 1). Come arcivescovo di Buenos Aires, il papa attuale si è
impegnato attivamente in questo campo. Ha curato relazioni fraterne con gli ortodossi, con i luterani, con le Chiese libere, con i pentecostali e soprattutto con gli ebrei.
A livello ecumenico, l’accoglienza riservata al nuovo papa è stata molto positiva. Il patriarca ecumenico Bartolomeo
ha partecipato già al suo insediamento e da allora molti altri
capi di Chiese gli hanno reso visita: fra gli altri, il nuovo primate della Chiesa copta, papa-patriarca Tawadros II; il
nuovo primate della Comunione anglicana, arcivescovo Justin Welby; il presidente del Consiglio della Chiesa evangeli-
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tudio del mese
S
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ca in Germania, Nikolaus Schneider; delegazioni della Federazione luterana mondiale e delle Chiese di Finlandia.
L’eco ecumenico è generalmente molto positivo e grandi sono le attese ecumeniche.
L’esortazione apostolica Evangelii gaudium dedica tre
paragrafi all’ecumenismo (nn. 244-246), nei quali si sottolinea soprattutto che oggi la testimonianza comune è molto
importante per la pace nel mondo. In base al suo approccio
«evangelico», il papa ammonisce di partire non da ciò che
distingue, ma dalla fede comune, e di tener conto della gerarchia delle verità. La sua comprensione della Chiesa come
communio, come unità nella diversità, gli permette, sulla scia
del teologo riformato Oscar Cullmann, di percorrere la strada verso una diversità riconciliata. Si tratta di un approccio
ricco di speranza e molto discusso nella teologia ecumenica,
che si spera possa condurre fuori dall’attuale stagnazione
ecumenica rispetto sia ai cristiani ortodossi sia a quelli evangelici.
Che cosa si è fatto?
Quelli che abbiamo evidenziato sono i primi segni, per
così dire i materiali da costruzione. In pochi mesi non ci si
poteva aspettare di più. Anche Roma non è stata costruita in
un sol giorno. Ma se pensiamo al clima che regnava appena
un anno fa, il cambiamento è assolutamente evidente. Questo profondo cambiamento di clima è certamente l’avvenimento più importante, che si può indicare già ora. Non sono
pochi a ritenere che il papa resterà ben presto senza fiato e
che l’apparato curiale finirà per frenarlo o addirittura farlo
girare a vuoto. Chi lo pensa sottovaluta papa Francesco e
sopravvaluta le forze della restaurazione nella curia. Ci sono, ma non ci sono solo quelle. Vi sono anche molti che sono
grati per papa Francesco. Del resto, non bisogna farsi della
curia un’idea bizzarra, come se fosse solo sex and crime. La
grande maggioranza dei collaboratori vuole servire onestamente la Chiesa e il papa, anche se altri attendono o – come
succede ovunque – si adeguano in fretta.
Nessuna persona ragionevole può aspettarsi che un nuovo papa possa realizzare in pochi mesi una riforma completa
della curia e della Chiesa. La riforma della curia è un grande
cantiere, che si trova ancora in fase di progettazione. Per la
realizzazione occorreranno almeno tre anni. Ora bisogna
evidentemente ripartire con ordine. Ma si sono già messe in
moto più cose di quanto si possa percepire dall’esterno. Si è
messa in moto una realizzazione più intensa e profonda della collegialità e della sinodalità. Il Gruppo G8, un consiglio
di cardinali provenienti da tutti i continenti, è un passo importante. Si sta rivalutando il Sinodo, trasformandolo in un
processo sinodale nel quale tutta la Chiesa viene coinvolta.
Con l’aiuto dei gruppi linguistici le discussioni saranno certamente più vivaci. La Segreteria del Sinodo sarà rafforzata
e diventerà un ufficio vaticano centrale. Il Sinodo ha messo
all’ordine del giorno uno dei temi pastorali più urgenti, quello della famiglia. La famiglia è la cellula della società e della
Chiesa, ma anche il centro della crisi attuale.
Riguardo alla ridistribuzione dei ruoli, ricorderò solo
quella più importante: la nomina del card. Pietro Parolin
come nuovo segretario di stato. Conosce molto bene sia la
diplomazia internazionale sia l’apparato interno della Chiesa. La nomina dei nuovi cardinali ha offerto segnali chiari e
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ha posto i binari per una futura elezione del papa. Infine, ora
la cosiddetta banca vaticana è dotata di un controllo efficace, di nuovo personale dirigente e ha ottenuto il riconoscimento da parte del mondo degli esperti (la Commissione
Moneyval). Tutto questo è molto di più di ciò che si poteva
sperare un anno fa.
Più importante di questi cambiamenti interni è il radicale cambiamento di clima, l’euforia che si può constatare in
tutto il mondo. Il numero delle persone che partecipano alle
celebrazioni liturgiche, alle udienze del mercoledì, all’Angelus domenicale è di colpo triplicato. Si percepisce un cambiamento radicale anche nella stampa internazionale, in
molte persone tradizionalmente lontane dalla Chiesa, ovunque nelle comunità cristiane, e persino nei tassisti romani.
Molti pensano che sia solo un caso mediatico passeggero e
che prima o poi l’«effetto Obama» colpirà anche il papa. Un
papa che annuncia il Vangelo incontrerà certamente anche
opposizioni. Già ora nei siti di estrema destra si trovano
esempi di polemica in parte astrusi. Quando invece si sentono i parroci romani affermare che, nell’ultimo anno, sono
notevolmente aumentate le confessioni, anche di persone
che non si confessavano da anni, indicando come ragione
del loro ritorno alla confessione il papa e il suo messaggio di
misericordia, appare chiaro che tutto questo è ben più di un
entusiasmo superficiale. La ragione che spinge una persona
a ritornare a confessarsi dopo anni è molto più profonda
della mentalità tipica del tifoso.
La forza di questo papa deriva dal fatto di collocarsi nella
migliore tradizione della Chiesa e toccare al tempo stesso il
nervo della situazione attuale della Chiesa. In lui, si trovano
insieme tradizione e situazione. Di qui la possibilità di respirare e l’entusiasmo. Ovviamente, non per questo tutti i problemi scompaiono come d’incanto. Ma, come nell’economia così anche e ancor più nella Chiesa, il clima esprime il
fatto di essere a metà dell’opera. Infatti, la vera crisi è la
mancanza di energia e di slancio, di forza della fede e di gioia
della fede. Solo a partire dalla gioia della fede possiamo risolvere i problemi. Senza di essa trebbiamo paglia secca e diamo gas con la leva del cambio in folle. Questo fa molto rumore, ma non permette di avanzare.
Non basta quindi sedersi in poltrona e dire: aspettiamo,
vediamo che cosa porta il nuovo papa e se ce la fa. Il rinnovamento comincia da ogni singola persona. Deve iniziare
anche nella Chiesa in Germania. Anche noi dobbiamo lasciarci interpellare e convertirci. Non possiamo misurare il
papa semplicemente con la vecchia e ben nota lista delle nostre richieste di riforma. Dobbiamo misurarci soprattutto
con le scelte del papa. Ho l’impressione che non abbiamo
ancora veramente accolto il suo messaggio del Vangelo. Occorre anzitutto che una potente scossa attraversi la Chiesa in
Germania; dobbiamo anzitutto svegliarci dal nostro ripiegamento su noi stessi e diventare maggiormente Chiesa in
marcia. Abbiamo bisogno di Evangelii gaudium, di gioia del
Vangelo, gioia della fede e gioia nella Chiesa. Infatti, la gioia
del Signore è la nostra forza (cf. Ne 8,10).
Walter Kasper*
* Il testo che qui proponiamo in una nostra traduzione dal tedesco è
stato pronunciato il 14 febbraio 2014 presso l’Accademia cattolica di Baviera ed è apparso sulla rivista Zur Debatte. Themen der Katholischen Akademie
in Bayern (2014)3, 1-8, che ringraziamo per il permesso di pubblicazione.
p
p arole
delle religioni
Piero Stefani
La fede di Gesù ebreo
P e r c h i l e g g e i Va n g e l i
N
ell’ambito del dialogo cristiano-ebraico (formulazione più adeguata di «dialogo ebraico-cristiano») esistono alcuni detti di riferimento. A essi è affidato un
compito eminentemente retorico. Sotto questo aspetto svolgono una funzione positiva. La loro portata viene però molto
ridimensionata se si inizia a esaminare con più attenzione le
formulazioni. In questo novero vanno citate espressioni come «fratelli maggiori», «radici ebraiche del cristianesimo»,
«chi incontra Gesù incontra l’ebraismo», «Gesù è ebreo e lo
è per sempre». Fa parte di questa ristretta compagnia anche
il motto, ormai pluridecennale, dovuto allo studioso ebreo
Schalom Ben Chorin. Riferendosi alle relazioni tra ebrei e
cristiani, egli ha scritto: «La fede di Gesù ci unisce, la fede in
Gesù ci divide».1
Al «Gesù ebreo» è qui affidato un compito più rilevante
della pura dimensione storica. Lungi dal limitarsi agli esiti
peculiari della ricerca storiografica, qui si individua un vero e
proprio ponte capace di collegare tra loro ebrei e cristiani.
Esso, invero, è percorribile in comune in una sola direzione.
Ma come sottovalutarne l’importanza a fronte di tanti secoli
dominati dall’ostilità? Non è certo cosa di poco conto presentare Gesù come il massimo testimone per i cristiani di un tipo
di fede ebraica. Tuttavia, una volta esaminata con maggiore
attenzione, la suggestiva prospettiva delineata da Ben Chorin si manifesta debole sotto almeno due aspetti di non poco
conto.
È fuori discussione che ci è dato conoscere qualcosa della
fede ebraica di Gesù solo attraverso l’interpretazione di fonti
che esprimono, in proprio, varie forme di fede in Gesù. Se
non ci fossero i Vangeli nulla sapremmo della fede del figlio
di Maria. Nella teologia cristiana la stessa espressione di «fede di Gesù» sarebbe stata considerata assurda. In effetti la
teologia scolastica ha negato che Gesù, in quanto Dio incarnato, potesse aver fede.2 Senza entrare di petto nel problema,
è comunque sufficiente affermare che si tratta di posizioni
prive di riscontro quando ci si attiene alle modalità evangeliche di narrazione. Esse infatti presentano Gesù sicuramente
come una persona che compie atti propri della vita di fede.
Per limitarsi a un solo esempio, a più riprese i Vangeli, e
in modo eminente Luca, presentano Gesù mentre prega (cf.
per es. Lc 3,21; 5,16; 6,12; 9,18-28; 10,21; 11; 22,32.46;
23,34.46). Per chi legge i Vangeli al di fuori di vincolanti pre-
comprensioni dogmatiche risulta, dunque, incontrovertibile
che Gesù sia presentato anche come un uomo vissuto nell’orizzonte della fede ebraica. Tuttavia è ugualmente certo che
ci troviamo di fronte a documenti che esprimono varie forme
di fede in Gesù. Inutile dire che ciò non vale solo per testi canonici: il Vangelo di Tommaso (per citare l’apocrifo più considerato in sede storiografica) rappresenta una forma di fede
in Gesù diversa da quelle espresse (anche qui sarebbe più
conveniente il plurale) da Matteo, Marco, Luca e Giovanni,
ma si tratta pur sempre di espressioni di fede. In definitiva ci
è dato di parlare di fede di Gesù solo in virtù dell’esistenza di
forme di fede in Gesù.
La fede ebraica in Gesù
Accanto a questa prima serie di considerazioni bisogna
porne una seconda. È possibile riassumerla in poche domande: si può escludere a priori che tutte le forme di fede in Gesù
siano ebraiche? Perché porre uno iato là dove molti non lo
riconoscono?3 In termini più drastici ma pure più inesatti: la
fede in Gesù segna davvero lo spartiacque tra ebraismo e
cristianesimo? Oggi la ricerca storica tende a escludere una
simile conclusione. Ovviamente essa, nel suo ambito, può
pervenire a tali esiti in quanto, in maniera del tutto legittima,
non considera vincolanti e normative, per interpretare i
Vangeli, le formulazioni di fede elaborate in ambito cristiano
a partire dal IV secolo. In ogni caso è storicamente certo che
ci furono forme di fede in Gesù propriamente ebraiche.
Nel contesto del dialogo cristiano-ebraico, non meno che
per l’autocoscienza stessa dei credenti in Gesù, l’interrogativo più qualificante sta però nel chiedersi se questa certezza
storica abbia rilevanza anche sul piano della vita stessa di fede. Ricorriamo ancora una volta alla forma interrogativa:
che senso ha oggi nella vita ecclesiale il fatto che i primi credenti in Gesù Cristo fossero ebrei? Quale significato assegnare al fatto che, senza il «sì» di una parte del popolo d’Israele a
Gesù, non sarebbe mai sorta la Chiesa? Del resto, la stessa
constatazione che perveniamo all’ebraicità di Gesù attraverso fonti «cristiane» (dato e non concesso che le si qualifichi
così) significa che queste ultime vanno considerate, almeno
in parte, ebraiche.4
Alle spalle dei discorsi fin qui condotti si trova un tema di
straordinaria rilevanza. Esso si incentra sul genere letterario
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Parole delle religioni
«vangelo». Senza di esso infatti non sarebbe mai neppure
sorto il problema del Gesù storico e quindi neppure quello
del Gesù ebreo. Se la forma del Vangelo fosse puramente
mitica il problema non si sarebbe mai posto. Nessuno, per ricorrere a un esempio solo apparentemente banale, ha mai
potuto sollevare la questione di un Apollo o di una Atena
storici. Ciò non significa che i miti siano sprovvisti di una loro
verità, ma si tratta appunto di uno statuto veritativo diverso.
Il genere letterario «vangelo»
Il racconto evangelico non è l’unico modo in cui sono
state trasmesse le memorie su Gesù. Non è neppure la prima
forma scritta a noi pervenuta con cui le memorie sono state
trasmesse. Le lettere autentiche di Paolo sono più antiche dei
Vangeli; esse sono prive però di quella componente biografica, sia pure, che contraddistingue il genere letterario «vangelo». Le epistole paoline sono prive di quella pretesa di «realismo», sorto dentro una comunità di fede, che contraddistingue i Vangeli. Non a caso nella Seconda lettera ai Corinti si
legge una presa di distanza (interna alla stessa chiamata di
Paolo, il quale non incontrò mai Gesù sulle strade della Galilea e della Giudea) dalla rilevanza attribuita ai «detti e ai fatti» propri della vita del «Gesù pre-pasquale»: «Se anche abbiamo conosciuto Gesù alla maniera umana [alla lettera:
«secondo la carne»] ora non lo conosciamo più così» (2Cor
5,16).
I Vangeli appartengono a un genere letterario che, all’origine, si presentò in larga misura inedito. Ma quando questo
genere fu prodotto, quella persona umana non era considerata semplicemente come tale. Negli ultimi due secoli, si sono
compiute ricerche numerose e accurate sui processi storicoletterari che hanno portato alla formazione dei Vangeli. Nel
complesso un’attenzione minore è stata riservata allo studio
del genere letterario «vangelo» (termine impostosi, in questo
significato, nel corso del II secolo; in precedenza quei libri
erano, per lo più, noti come «memorie degli apostoli»). Questa forma di scritto è priva di corposi antecedenti biblici; nelle
Scritture ebraiche ci sono, infatti, sezioni biografiche (relative, per esempio, ad alcuni profeti: Elia, Eliseo, ecc.), ma non
vi è alcun testo incentrato sui detti e sui fatti di una singola
persona. Per questa ragione si è pensato che Marco fosse stato l’«inventore» di questo tipo di scritti.
In epoca recente si è divenuti più attenti alle affinità esistenti tra il genere letterario «vangelo» e il modello costituito
dalle biografie classiche, senza negare l’esistenza di ovvie differenze tra i due contesti. Basti pensare al fatto, per nulla
marginale, che nessuno degli evangelisti parla dell’aspetto fisico di Gesù. Mancanza particolarmente significativa, visto
che i Vangeli attribuiscono un ruolo fondamentale alla corporeità di Gesù e alle modalità di relazione con gli altri instaurate grazie a essa. Nel complesso lo scopo dei Vangeli
non è però biografico; il loro intento è piuttosto quello di approfondire e rinsaldare la fede della comunità a cui sono rivolti.
Il sorgere e il consolidarsi della forma «evangelo» ha fatto
sì che, per noi, la conoscenza di Gesù sia obbligata a passare,
in modo privilegiato, attraverso la pretesa di verità e di reali-
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smo insita in questo genere di scritti. Sotto la lente della critica storica può risultare che alcuni dei fatti narrati non siano
mai accaduti e vari detti non siano mai stati pronunciati da
Gesù; tutto ciò, però, non intacca la presa d’atto che i lettori
di quelle pagine sono posti di fronte a un «realismo letterario», caratteristica indispensabile perché sorgesse il particolare tipo di approccio costituito dalla ricerca storica su Gesù
e anche perché si potesse parlare della fede di Gesù. In conclusione, la nostra porta di accesso al «Gesù ebreo» è costituita dal «realismo ebraico» dei Vangeli.
1
S. Ben Chorin, , Morcelliana, Brescia 1985, 28. Al tema «Gesù l’ebreo» è appena stato dedicato il XXXV Colloquio ebraico-cristiano di Camaldoli (4-8.12.2014).
2
Cf. C. Molari, «La fede di Gesù. Riflessioni sulla teologia cattolica»,
in Aa.Vv., Atti della XLII Sessione di formazione ecumenica, Chianciano
Terme, 23-29.7.2005, a cura del Segretariato attività ecumeniche (SAE),
53-68.
3
Per limitarsi a un riferimento facilmente accessibile, cf. D. Boyarin, ,
Castelvecchi, Roma 2012.
4
Per riferirci «simbolicamente» a un documento «classico», cf. L.
Baeck, , Giuntina, Firenze 2004.
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Colla, Rodano,
Mazzolari e Barsotti
Così li ho ritrovati a Vicenza a fine novembre
“
io non
mi vergogno
del vangelo
“
Luigi Accattoli
Q
uattro cristiani mi
sono venuti al cuore
tutti insieme, a me
noti ma anche nuovi: Colla, Rodano,
Mazzolari, Barsotti. È avvenuto il 27
novembre a Vicenza: qui dico come
fu e con quale mio sconquasso.
Sono stato alla scuola di Franco Rodano (1920-1983) negli anni
1970-1971. Nel 1973-1974 ho avuto tra le mani le carte di don Primo Mazzolari (1890-1959), aiutando p. Bergamaschi a mettere insieme il Diario 1905-1929 (EDB, Bologna 1974) del parroco di Bozzolo.
A partire dalla fine degli anni ’80,
ho frequentato Rienzo Colla (19212009) che nel 1996 pubblicò, per le
edizioni La Locusta di Vicenza, un
mio libretto intitolato Cento preghiere italiane di fine millennio. Di Barsotti sono da sempre lettore. Avevo
dunque un’amicizia di decenni con
i quattro, eppure è stato un vivo
sole ascoltare loro parole nuove nella giornata vicentina (Rienzo Colla
editore per conto di Dio, organizzata
dalla Biblioteca Bertoliana e dalla
Caritas quali esecutrici testamentarie dell’editore) e in particolare
una lettera di Colla a Mazzolari
su Rodano, colpito da «interdetto»
per l’adesione al PCI dopo lo scioglimento della Sinistra Cristiana
(1945).
crede non ha fretta. E ricordagli, se
puoi, che solo rimanendo nella Casa,
si fa camminare la Casa».
Parla con disagio
dell’interdetto
Nel periodo clandestino
ero anch’io del movimento
«Vedo talora Franco Rodano il
quale si trova in particolare sofferenza (…). Egli dice che non vuol sottomettersi perché convinto – in coscienza – di rendere così un più utile
servizio alla fede cattolica. Insiste nel
dire che vuole andare fino in fondo,
non tanto per dimostrare ai cattolici
che si può essere cattolici e comunisti, quanto per dire ai comunisti
che un cattolico può esser comunista. Con me parla liberamente e non
nasconde le sue critiche nei riguardi
del PCI; ciononostante pensa che di
fronte alla scristianizzazione della
base del partito e al risorgere in seno
al medesimo dei gruppi anticristiani,
il suo dovere sia di restare (…). Che
cosa si deve fare? A me pare ancora
un buon cattolico… Parla con disagio dell’interdetto, soprattutto perché sente la mancanza dei sacramenti: prega però molto (…). Prega
con lui anche tu. Egli ti ricorda con
simpatia anche se non condivide in
pieno – e si capisce – il tuo orientamento attuale… Ti vorrebbe forse
più… eretico».
Questa lettera è del 24 maggio
1949 ed è conservata nell’Archivio
Mazzolari di Bozzolo. È stata proposta nella giornata vicentina da
Giorgio Vecchio, che sta riordinando quell’archivio e che ha offerto ai
convegnisti alcune primizie, ricordando anche la risposta di Mazzolari a Colla che già conoscevamo dal
volumetto della Locusta Lettere a un
amico (1976):
«T’assicuro che prego molto per
lui [Rodano], come per quanti soffrono in esilio (…). Forse anche il
buon Rodano ha troppa fretta. Chi
La vicenda dell’interdetto è documentata da Marcello Mustè in Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità (Il Mulino, Bologna
1993): il 10 dicembre 1947 un decreto della Congregazione del Concilio
dichiara che Rodano sarà interdetto
se non ritratterà il contenuto di un
articolo pubblicato su Rinascita («Le
condizioni economiche del clero»,
settembre 1947). Rodano risponde
il 1° gennaio 1948 che in coscienza
non gli è possibile ritrattare. Il 17-18
gennaio 1949 l’Osservatore Romano
rende nota la pena. Si trattò di un
interdetto personale (can. 2275 del
Codice del 1917) che impedì a Rodano la fruizione dei sacramenti per
un decennio e dal quale sarà liberato
da Giovanni XXIII.
Giovanni Tassani – che conobbe
Rodano e Colla e che ha curato per
La Locusta il volumetto di Rodano
Lettere dalla Valnerina (1986) – mi
ha fatto conoscere un altro inedito
di Colla su Rodano interdetto: una
lettera del 3 giugno 1949 al gesuita
Giuliano Prosperini, già educatore
di Franco nella Congregazione Mariana, conservata nell’Archivio Rodano: «Purtroppo non posso darle
buone notizie del nostro amico. Io lo
conosco dal periodo clandestino (allora ero anch’io del movimento…) e
l’ho rivisto spesso anche dopo l’entrata ufficiale nel PCI: oggi mi pare
lontanissimo da una sottomissione
(…). Bisognerebbe essergli tanto vicino con tatto e intelligenza. Perché
a me nonostante tutto – ma forse è la
mia debolezza – sembra ancora un
cattolico».
La riservatezza di Rienzo è pro-
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attualità
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Per sopportare lo schianto
della mia vocazione
Dal carteggio con Mazzolari e
Barsotti veniamo a conoscere meglio
la tribolata vicenda dell’aspirazione
di Rienzo a farsi prete, che ha coltivato almeno per un quindicennio:
dal 1945 al 1959. Dall’anno in cui
stabilisce un rapporto serrato con
Mazzolari all’anno della morte di
Mazzolari. Forse era pensando a
Mazzolari che Colla aspirava a fare
il prete.
I curatori dell’archivio di Colla hanno rintracciato la minuta di
due lettere di Rienzo al vescovo di
Vicenza Carlo Zinato riguardanti
la sua ordinazione. La prima e di maggiore contenuto è del 2 ottobre 1955,
motivata dalla comunicazione che
non sarà ordinato prete: «Prima di
intrattenermi sui motivi del vostro
apprezzamento sulla mia vocazione,
mi permetto di fare a V.E. la breve
storia di essa. Quando ne avvertii il
primo richiamo, avevo venticinque
anni, possedevo la laurea in lettere, e
un’occupazione che oltre il pane mi
assicurava l’avvenire. Se il Signore
mi ha dato la forza di rinunciare a
ogni cosa per chiedere di poter servire Dio e la Chiesa, nessun motivo
umano può aver suggerito e guidato
la mia decisione (…). Consapevole
della mia estrema povertà spirituale,
m’inchino al vostro giudizio (…), ma
ho bisogno di chiarire personalmen-
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attualità
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nata vicentina Agostino Ziino, direttore dell’Archivio Barsotti, ha dato
una vasta informazione sui soggiorni
di Colla a Settignano e sul loro carteggio: 156 testi di don Divo e 6 di
Colla.
te qualche particolare, onde rendere
ancora più chiara la vostra decisione e più sopportabile per me stesso
lo schianto della mia vocazione». Il
vescovo non riteneva affidabile un
aspirante prete che gli aveva procurato noie con la curia romana pubblicando testi di Mazzolari.
Paolo Marangon – che ha avuto
una buona consuetudine con l’ultimo Rienzo Colla – ha riferito nella
giornata vicentina un paio di confidenze dell’amico editore relative
al conflitto con il vescovo Zinato:
«Mi ha detto più volte che in definitiva era stato un bene per lui non
diventare prete, altrimenti forse non
avrebbe potuto essere se stesso. Mi
ha detto anche che quando il vescovo si offrì di rifondergli la spesa del
libro di Mazzolari che aveva fatto
bloccare [La parola che non passa,
1954; ndr] egli – Rienzo – l’interruppe dicendo: quei soldi li tenga lei
perché sono soldi dei poveri».
Poco dopo il no del vescovo all’ordinazione, Rienzo entra in contatto
con don Divo Barsotti (1914-2006)
che si trova a Firenze, prima a Monte Senario e poi a Settignano. Sino
a ieri si sapeva poco del legame tra
i due che fu forte, ebbe il carattere
di un sodalizio spirituale, con periodi di presenza di Rienzo negli eremi
barsottiani negli anni 1956-1957; e
durò fino alla morte di Barsotti. Avevamo i nove volumetti di don Divo
pubblicati dalla Locusta tra il 1958
e il 1998 (è l’autore più presente nel
catalogo dell’editrice dopo Mazzolari) e le dieci lettere che Rienzo aveva
pubblicato nel volumetto Lettere alla
Locusta (1992) insieme a quelle degli
altri suoi autori e amici. Nella gior-
“
io non
mi vergogno
del vangelo
“
verbiale tra chi lo conobbe e le sue
vicende fino a oggi sono conosciute
solo per squarci, ma la giornata vicentina ha lasciato intendere che
presto ne sapremo di più. I curatori
del suo archivio, da lui affidato alla
Biblioteca Bertoliana, stanno riordinando il vastissimo carteggio dal
quale apprenderemo molto, in particolare dalle lettere dei corrispondenti
che Rienzo conservava, mentre non
teneva – se non in casi eccezionali –
la minuta delle sue lettere, che ci si
propone di rintracciare negli archivi
di quelli che gli scrivevano. Nell’archivio mazzolariano di Bozzolo, ma
anche in quello della rivista Il Gallo
e in quello di don Divo Barsotti – dei
quali si è parlato nella giornata vicentina – e chissà in quanti altri.
È necessario marcire
sotterra?
chiedeva don Divo
Il sostegno tra don Divo e Rienzo è reciproco, trovandosi ambedue
tribolati dalle autorità della Chiesa.
Don Divo – quando il Sant’Uffizio
fa ritirare dal commercio i suoi due
volumi Il Dio di Abramo e Loquere
Domine – scrive a Rienzo: «Sono
anch’io in una grande tribolazione.
Ti prego di non parlare. Meno si
parla e meglio è – non solo per te e
per me, ma per coloro che ci amano
e ci seguono – dobbiamo evitare di
parlare sia in bene che in male con
tutti» (lettera del 9 gennaio 1958).
Sei mesi più tardi, temendo una nuova censura, don Divo, sempre scrivendo a Rienzo che sta pubblicando
il suo volumetto Pellegrino in Terra
Santa, così prega e protesta: «È necessario proprio morire, marcire sotterra? Ho paura. Dimmi qualcosa e
prega anche tu per me» (lettera del
20 giugno 1958).
È un gran fatto per me la sofferenza di questi quattro cristiani per
la libertà che, pochi anni dopo, ci
sarebbe venuta dal Vaticano II. Libertà per Rodano di stare nel PCI,
libertà per Mazzolari e Barsotti di
predicare per intero il Vangelo, libertà per Colla di pubblicare Mazzolari e Barsotti. Dirà Paolo VI a
un gruppo di bozzolesi il 1° maggio
1970: «Mazzolari aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a stargli
dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo
sofferto noi. Questo è il destino dei
profeti». Lo stesso avrebbe potuto
dire di Barsotti: ambedue, Barsotti
e Mazzolari, l’arcivescovo Montini
li aveva chiamati a predicare la Missione di Milano nel 1957. Con loro
aveva chiamato Balducci, Fabbretti,
Turoldo, Vivarelli e tutti già erano
o sarebbero divenuti autori della Locusta, che è cibo dei profeti.
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i
attualità 2014
i ndici
argomenti
Papa Francesco e i pontificati precedenti: un nuovo ordine
simbolico nella Chiesa (K. Appel) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,797
– Una cesura storica: le linee teologiche del pontificato
di Francesco (W. Kasper) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,804
(Cf. singole nazioni)
SANTA SEDE
Attualità ecclesiale
FRANCESCO
Primo concistoro: testimoni, non rappresentanti (G. Brunelli) .
Francesco e la Chiesa latinoamericana: il forte vento del Sud
(C.M. Galli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
– La testimonianza di un vescovo argentino: il pastore della
misericordia (V.D. Bressanelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
– Papa Francesco - Editoria: tutti bestseller (M.E. Gandolfi) . . .
Papa Francesco 2013-2014: il Vangelo è ancora possibile
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Primo concistoro: il Vangelo della famiglia (G. Cereti) . . . . . . . .
Religiosi: soluzioni al sole (L. Prezzi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pentecostali: messaggio in video (D. S.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La canonizzazione congiunta dei due papi: il Concilio
e l’evangelizzazione (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Viaggio in Terra santa: la relazione col popolo ebraico
(P. Stefani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Libera: ai mafiosi dico «Convertitevi» (G. Brunelli) . . . . . . . . . .
Stati Uniti - Vescovi cattolici: papa Francesco e Obama
(M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I nuovi «Orientamenti per la catechesi»: nella Chiesa
di Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A partire dall’Evangelii gaudium: la catechesi dal popolo
di Dio (E. Castellucci) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Francesco - Episcopato italiano: come vescovo di Roma
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiesa in Italia - Azione cattolica: in uscita (F. Rossi) . . . . . . . . .
America Latina - Pastorale: il papa, Kräutler e i viri probati
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Italia - I vescovi e il papa: con Francesco. Intervista al segretario
della CEI, mons. Galantino (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . .
Francesco in Terra santa: uno sguardo libero. Intervista
al custode p. Pizzaballa (G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . .
– Francesco in Terra santa: pellegrino di speranza (S. Malka) . .
– Francesco e Bartolomeo: abbracci e lenti passi (D. Sala) . . . . .
Primato e collegialità per la comunione delle Chiese: le riforme
di Francesco (H. Legrand) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
– Coscienza sinodale del popolo di Dio: rinnovamento
a 50 anni dal Vaticano II (P. Coda) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Israeliani e palestinesi: la preghiera non esaudita (P. Stefani) . . .
Violenze sui minori: responsabilità da condividere
(M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Spiritualità: la misericordia di Dio (P. Cattani) . . . . . . . . . . . . . .
Chiesa e mafia: la scomunica (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . .
– La denuncia del papa: un segno nelle coscienze
(L. Lorenzetti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Vescovi: lo stile di vita della Chiesa (L. Orsy) . . . . . . . . . . . . . . .
Sui laici e sui movimenti: il nodo del clericalismo
(E. Palladino) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Redipuglia: l’ora del pianto (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Francesco, frate e papa. Sulla fortuna editoriale (e non solo)
di un binomio (G.G. Merlo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
– Una forma del Vangelo: minore (G. Mocellin) . . . . . . . . . . . .
Sinodo dei vescovi: la prima riforma (G. Brunelli) . . . . . . . . . . .
Chiavi di lettura: da cardinale e da papa (E. Corti) . . . . . . . . . . .
Riflessioni tra fede e cultura: l’umanesimo di Francesco. Spunti
a partire dall’Evangelii gaudium (G. Forni Rosa) . . . . . . . . . .
Strasburgo: la mia Europa (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Riforma ecclesiale: dopo il Sinodo, la curia.
Inviati i Lineamenta per il 2015, stigmatizzate le piaghe
della Chiesa (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ad Ankara e a Istanbul: tra carisma e istituzione (C. Monge) . .
Dibattito - Il papa e gli ortodossi: non si può aspettare.
Da Mosca, una riflessione sulla visita del vescovo di Roma
a Costantinopoli (Ioann) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2,3
2,57
2,64
2,65
6,145
6,148
6,151
6,152
8,217
8,218
8,231
8,262
S8,283
S8,294
10,300
10,302
10,322
12,369
12,374
12,376
12,377
12,419
12,429
14,444
14,489
14,490
14,492
14,493
16,537
16,546
16,549
16,563
16,566
18,609
18,650
20,684
20,691
22,763
22,766
22,769
Francesco - Primo concistoro: testimoni, non rappresentanti
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Religiosi: tre questioni aperte (M. Bernardoni) . . Santa Sede - Sinodo sulla famiglia: in ascolto. Prime riflessioni
dai questionari arrivati in redazione (M.E. Gandolfi) . . . . . . Sinodo - La morale e la pastorale: una nuova visione di Chiesa
(L. Lorenzetti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Sinodo sulla famiglia: l’Europa risponde
(S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Diritti dell’infanzia: a chi giova lo scontro
(M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vietnam - Santa Sede: novità sì e no (D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . La canonizzazione congiunta dei due papi: il Concilio
e l’evangelizzazione (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Finanze: la riforma in corso (A. Gagliarducci) . . . Perù - Università cattolica: verso l’epilogo (M. Castagnaro) . . . Primato e collegialità per la comunione delle Chiese: le riforme
di Francesco (H. Legrand) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Coscienza sinodale del popolo di Dio: rinnovamento a 50 anni
dal Vaticano II (P. Coda) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Sinodo sulla famiglia: la mediazione pastorale
(M. Aliotta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco - Vescovi: lo stile di vita della Chiesa (L. Orsy) . . . . . . Dibattito - Sinodo sulla famiglia: l’antropologia e l’eucaristia
(A. Scola) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Papa Francesco - Sinodo dei vescovi: la prima riforma
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sinodo dei vescovi 2014: una sfida comune alla famiglia
e alla Chiesa (M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Chiese locali - Card. Nichols: visto dall’Inghilterra (D. Sala) . . – Chiese locali - Mons. Mbilingi: visto dall’Africa
(M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Chiese locali - Mons. Takeo Okada: visto dal Giappone
(M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Sinodo - Media: una bella febbre (G. Mocellin) . . . . . . . . . . . Medio Oriente - Concistoro: ISIS, questione politica
(G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Santa Sede - Questioni internazionali: dal Concistoro
alla Turchia (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Benedetto XV - La Grande guerra: preghiera e diplomazia
(M. Paiano) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Nomine: sale Sarah, scende Burke (G. Mocellin) . Francesco - Riforma ecclesiale: dopo il Sinodo, la curia.
Inviati i Lineamenta per il 2015, stigmatizzate le piaghe
della Chiesa (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Anniversari - Casaroli: il mediatore (P. Parolin) . . . . . . . . . . . . . 2,3
2,4
2,5
4,73
4,77
4,97
6,170
8,217
8,220
12,386
12,419
12,429
14,487
16,537
16,540
18,609
18,611
18,612
18,614
18,616
18,618
18,627
18,628
18,663
20,694
22,763
22,773
ASSOCIAZIONI - MOVIMENTI
Francia - Famiglia: un anno di Manif pour tous
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Una cultura di carità. Quella Chiesa italiana che crebbe
con mons. Nervo (G. Pasini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Francesco - Sui laici e sui movimenti: il nodo del clericalismo
(E. Palladino) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Italia - Scandali a Roma: tra noncuranza e indignazione.
Appunti per un’autocritica cattolica (D. Rosati) . . . . . . . . . . .
4,82
6,171
16,546
22,754
MINISTERI - VITA RELIGIOSA
Santa Sede - Religiosi: tre questioni aperte (M. Bernardoni) . . 2,4
Francesco - Religiosi: soluzioni al sole (L. Prezzi) . . . . . . . . . . . . 6,151
Chiesa in Italia - Pedofilia: la legge non basta (M.E. Gandolfi) . 8,236
America Latina - Pastorale: il papa, Kräutler e i viri probati
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,322
Religiose LCWR. Forzando i toni (M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . 12,385
P. Marchesini - Medico e missionario: due vocazioni
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,388
Il Regno -
attualità
22/2014
815
i
ndici
Francesco - Violenze sui minori: responsabilità da condividere
(M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dibattito - Ministero presbiterale: la formazione permanente
(A. Torresin) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Honduras - Santa Rosa de Copan: successione difficile
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Paraguay - Ciudad del Este: decisioni gravose
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Francesco, frate e papa. Sulla fortuna editoriale (e non solo)
di un binomio (G.G. Merlo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Una forma del Vangelo: minore (G. Mocellin) . . . . . . . . . . . . . .
Italia - LXVII Assemblea CEI: tra una Chiesa e l’altra
(A. Torresin) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
El Salvador - UCA: con il «popolo crocifisso». I «martiri
gesuiti», 25 anni dopo (M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . .
Religiosi: donne e uomini «del di più». Indetto da Francesco,
comincia l’Anno della vita consacrata (M.M. Morfino) . . . . .
14,489
14,495
16,561
16,562
16,563
16,566
20,687
20,733
22,760
PASTORALE - LITURGIA - CATECHESI
Santa Sede - Sinodo sulla famiglia: in ascolto. Prime riflessioni
dai questionari arrivati in redazione (M.E. Gandolfi) . . . . . . Chiesa in Italia: la parrocchia ospitale. L’annuncio del Vangelo
oltre la retorica (A. Torresin) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lacrime sul cammino della Chiesa. Il Diario di Bartoletti
e la nascita della CEI dopo il Vaticano II (L. Accattoli) . . . . . Francesco e la Chiesa latinoamericana: il forte vento
del Sud (C.M. Galli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Francesco e la testimonianza di un vescovo argentino:
il pastore della misericordia (V.D. Bressanelli) . . . . . . . . . . . . Sinodo - La morale e la pastorale: una nuova visione di Chiesa
(L. Lorenzetti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Sinodo sulla famiglia: l’Europa risponde
(S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia - Conferenza episcopale: il progetto pastorale
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Germania - Chiesa cattolica: riposizionarsi (S. Orth) . . . . . . . . . Polonia - Chiesa: immobile e aggressivo. Il cattolicesimo polacco
dieci anni dopo Wojtyla (M. Matté, F. Strazzari) . . . . . . . . . Colombia - Negoziati: interessati alla pace. Intervista
a p. J. Giraldo (M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Brasile - Comunità di base: strumento per il popolo
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Papa Francesco 2013-2014: il Vangelo è ancora possibile
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Papa Francesco - Primo concistoro: il Vangelo della famiglia
(G. Cereti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . America Latina - La Chiesa e il nuovo Cile: la società domanda.
Intervista a mons. P. Ossandón Buljevic (M. Castagnaro) . . . Una cultura di carità. Quella Chiesa italiana che crebbe
con mons. Nervo (G. Pasini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiesa in Italia - Pedofilia: la legge non basta (M.E. Gandolfi) . CEI - Annuncio e catechesi. La Parola cresce nella storia
(Il Regno) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – I nuovi «Orientamenti per la catechesi»: nella Chiesa
di Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Iniziazione cristiana: educare alla fede oggi (L. Bressan) . . . . – A partire dall’Evangelii gaudium: la catechesi dal popolo
di Dio (E. Castellucci) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Giappone - Liturgia: l’atmosfera è cambiata? (D. Sala) . . . . . . . . America Latina - Pastorale: il papa, Kräutler e i viri probati
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia - I vescovi e il papa: con Francesco. Intervista al segretario
della CEI, mons. Galantino (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . Germania - 99° Katholikentag: una Chiesa che cambia.
Colloquio con S. Vesper, segretario dello ZDK (S. Numico) . . COMECE - Voto europeo: preoccupazioni (S. Numico) . . . . . . Austria - Noi siamo Chiesa: la presidente scomunicata
(D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Sinodo sulla famiglia: la mediazione pastorale
(M. Aliotta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dibattito - Ministero presbiterale: la formazione permanente
(A. Torresin) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Asia - La pastorale delle piccole comunità cristiane: la forza
del Vangelo in Corea (B. Joo-hyun Ro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paolo VI beato: mistico, profeta, pastore (R. Etchegaray) . . . . . Dibattito - Sinodo sulla famiglia: l’antropologia e l’eucaristia
(A. Scola) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco - Sui laici e sui movimenti: il nodo del clericalismo
(E. Palladino) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 816
Il Regno -
attualità
22/2014
2,5
2,8
2,27
2,57
2,64
4,73
4,77
4,78
4,83
4,86
4,90
4,92
6,145
6,148
6,168
6,171
8,236
S8,281
S8,283
S8,288
S8,294
10,321
10,322
12,369
12,378
12,383
12,392
14,487
14,495
14,499
16,539
16,540
16,546
Francesco - Redipuglia: l’ora del pianto (G. Brunelli) . . . . . . . . Brasile - Chiesa: comunità di comunità (G. Zucchi) . . . . . . . . . . Honduras - Santa Rosa de Copan: successione difficile
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Paraguay - Ciudad del Este: decisioni gravose
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il creato: responsabilità e relazione. Verso un’etica
e una spiritualità ecologiche (B. Forte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Il Cantico di frate Sole: fratelli e sorelle del creato (P. Stefani) . Giovanni Catti, 1924-2014: rinnovatore della catechesi
(F. Pajer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiesa: proposte e sogni di riforma. Intervista a mons. G. Casale
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia - Chiesa: storie degli uomini, storie di Dio.
Verso il V Convegno ecclesiale nazionale (G. Brunelli) . . . . . Italia - LXVII Assemblea CEI: tra una Chiesa e l’altra
(A. Torresin) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – CEI - Nomine: nella presidenza e alla Caritas
(V. Roncarati) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . COMECE - Da Verdun a Bruxelles: conflitti e interessi
(S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . America Latina - Cuba: la Chiesa si dà da fare. A colloquio
con mons. D. García Ibañez (G. Zucchi) . . . . . . . . . . . . . . . . . – Vescovi - Piano pastorale: sulla via di Emmaus (G. Zucchi) . . Chiesa in Italia - Comunicazione: i media siamo noi.
Le nuove prospettive a 10 anni dal Direttorio sulle
comunicazioni sociali (D. Pompili) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Riforma ecclesiale: dopo il Sinodo, la curia. Inviati i Lineamenta
per il 2015, stigmatizzate le piaghe della Chiesa (G. Brunelli) 16,549
16,559
16,561
16,562
16,591
16,596
16,602
18,674
20,681
20,687
20,688
20,692
20,729
20,730
22,757
22,763
TEOLOGIA
Chiesa in Italia: la parrocchia ospitale. L’annuncio del Vangelo
oltre la retorica (A. Torresin) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Teologia - Dialoghi: neuroetica. La teologia morale e le nuove
sfide delle neuroscienze (P. Benanti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gregoriana - Bernard Lonergan: la forza di un pensiero rigoroso
(C. Taddei Ferretti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Emilia Romagna - Facoltà teologica: tomismo creativo
(A. Franzoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Germania - Teologia islamica: libertà e controllo (M. Neri) . . . . Roma Mosca Costantinopoli: contrasti sul primato (D. Sala) . . . Francesco e la testimonianza di un vescovo argentino: il pastore
della misericordia (V. D. Bressanelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sinodo - La morale e la pastorale: una nuova visione di Chiesa
(L. Lorenzetti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I riferimenti testimoniali della fede. Identità cristiana:
tra dispersione e discernimento (C. Theobald) . . . . . . . . . . . . Incursioni nella modernità. S. Kierkegaard, 1813 - 1855
(M. Pohlmeyer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia - Teologia: una per tutti? La Facoltà teologica dell’Italia
settentrionale su «forma cristiana e forma secolare» della fede
(A. Torresin) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Teologia - Monoteismo: l’immagine non violenta di Dio
(P. Stefani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’antropologia cristiana nell’epoca dei cyborg: noi, robot
(D. Lambert) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia-Trento - Teologia: Dio, l’uomo, il cosmo (M. Neri) . . . . . . – Rahner - L’ultima intervista: se la teologia e la Chiesa…
(D. Seeber) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ecologia - Teologia: bellezza e gemiti del creato (C. Dagens) . . Il trauma che salva. Libri discussi: «Il sogno di Gesù» di Türke
(M. Gronchi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Filosofia - Lectio magistralis: il nome di Dio invano (S. Givone) . Filosofia - Convegno al Sant’Anselmo: fenomenologia
e umanesimo (M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nordamerica - Chiesa cattolica: tensioni nella teologia
(M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Perù - Università cattolica: verso l’epilogo (M. Castagnaro) . . . Primato e collegialità per la comunione delle Chiese:
le riforme di Francesco (H. Legrand) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Coscienza sinodale del popolo di Dio: rinnovamento a 50 anni
dal Vaticano II (P. Coda) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dialoghi - Teologia e scienza: un pensiero-ponte. In memoria
di Ian G. Barbour (R.J. Russell) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Teologia - Creazione: plasmata perché fosse abitata
(S. Morandini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,8
2,47
2,50
2,52
2,53
2,54
2,64
4,73
4,123
4,130
6,196
6,199
6,203
8,228
8,229
10,308
10,323
10,343
10,346
12,384
12,386
12,419
12,429
14,457
14,460
attualità 2014
PAUL GILBERT
La semplicità
del principio
Dio, il mistero dell’unico. Libri discussi: il modello relazionale
di Angelo Bertuletti (M. Rossi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,467
Francesco - Spiritualità: la misericordia di Dio (P. Cattani) . . . . 14,490
La denuncia del papa contro la mafia: un segno nelle coscienze
(L. Lorenzetti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,493
Con la Caritas a Firenze. Lo stile cristiano oggi . . . . . . . . . . . . . . S14,513
Patristica - I primi secoli: humanitas e caritas. La prospettiva
dei padri della Chiesa (C. Curzel) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S14,514
– Mons. Merisi: in cammino verso Firenze (G. Merisi) . . . . . . . S14,515
– Teologia - Missione della Chiesa: tra profezia e diaconia
Introduzione alla metafisica
(P. Coda) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S14,520
– Economia - Mercato e solidarietà: marginali in un mondo
globale? (A. Tantazzi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S14,525
introduzione alla metafisica proposta
– Chiesa - Tra pastorale e politica: i vescovi e l’Italia
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S14,529
dall’autore è attenta alla svolta trascen– Prospettive: Carità, criterio fondativo (F. Soddu) . . . . . . . . . . . S14,530
dentale
della modernità e integra molti
Francesco - Vescovi: lo stile di vita della Chiesa (L. Orsy) . . . . . . 16,537
– Paolo VI beato: mistico, profeta, pastore (R. Etchegaray) . . . 16,539
aspetti di un’antropologia delle facoltà
Dibattito - Sinodo sulla famiglia: l’antropologia e l’eucaristia
(A. Scola) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16,540
umane. La ragione non è solo un’attività
Il creato: responsabilità e relazione. Verso un’etica e una
neutra di conoscenza poiché si radica, in ulspiritualità ecologiche (B. Forte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16,591
– Il Cantico di frate Sole: fratelli e sorelle del creato (P. Stefani) . 16,596
tima analisi, nell’aspirazione di incontrare
Teologia - Convegno internazionale: l’ideologia religiosa
del mercato (E. Gamba) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,623
l’altro, di rispettarlo nella sua irriducibilità.
Dibattito - Coda legge Bertuletti: Trinità di Dio, verità dell’uomo
(P. Coda) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,632
pp. 280 - € 31,50
«MANUALI»
Due matrimoni, un sacramento. La proposta di un teologo
N
ELLA STESSA COLLANA
e di una consulente famigliare (G. Piana) . . . . . . . . . . . . . . . . 18,637
DONATH HERCSIK
Teologia - Maestri: cose nuove e cose antiche. Intervista
IL SIGNORE GESÙ
al benedettino Ghislain Lafont (Lumière et vie) . . . . . . . . . . 18,653
SAGGIO DI CRISTOLOGIA E SOTERIOLOGIA
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Teologia - Klagenfurt: l’esperienza estatica (A. Franzoni) . . . . . 18,658
R1f_Garcia:Layout 1 24-07-2014 10:37 Pagina 1
Dibattito - Sequeri legge Bertuletti: verità di Dio, libertà
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dell’uomo (P. Sequeri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,703
Edizioni
Nel presente con fiducia. Paolo VI, una biografia (A. Maffeis) . 20,707
Dehoniane Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299
Stati Uniti - Teologi cattolici: giustizia razziale. La polizia
Bologna
è violenta, i neri ne sono vittime (M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . 22,776
Riflesso della Sapienza. La teologia cosmica di Denis Edwards
(S. Morandini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,783
Papa Francesco e i pontificati precedenti: un nuovo ordine
simbolico nella Chiesa (K. Appel) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,797
OSÉ RANADOS ARCÍA
– Una cesura storica: le linee teologiche del pontificato
di Francesco (W. Kasper) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,804
L’
www.dehoniane.it
J
Ortodossi
Russia - Chiesa e stato: la cattedrale-simbolo (E. Pirazzoli) . . . . Ucraina - Crisi politica: tra l’euro e i rubli (S. Numico) . . . . . . . Roma Mosca Costantinopoli: contrasti sul primato (D. Sala) . . . Francia - Ortodossi: fra tradizione e modernità. Intervista a Job
di Telmessos (D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Russia - Rapporti ecumenici: dal prestigio all’influenza
(M. Matté, F. Strazzari) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ucraina - Russia: crisi politica, crisi ecclesiale (D. Sala) . . . . . . . Francesco e Bartolomeo: abbracci e lenti passi (D. Sala) . . . . . . . Bose - Ecumenismo: beati i pacifici (M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . Francesco - Ad Ankara e a Istanbul: tra carisma e istituzione
(C. Monge) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dibattito - Il papa e gli ortodossi: non si può aspettare. Da Mosca,
una riflessione sulla visita del vescovo di Roma a Costantinopoli
(Ioann) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,14
2,15
2,54
4,119
6,159
6,162
12,377
16,551
22,766
22,769
Anglicani - Protestanti
Papa - Pentecostali: messaggio in video (D. Sala) . . . . . . . . . . . . 6,152
Italia - Cultura protestante: il lavoro, una vocazione?
(M. Miegge) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,232
America Latina - Pentecostali: il modello cileno. Intervista
al teologo J. Sepúlveda González (M. Castagnaro) . . . . . . . . 14,454
Il Regno -
attualità
22/2014
817
G
Teologia
del tempo
Ecumenismo
Russia - Rapporti ecumenici: dal prestigio all’influenza
(M. Matté, F. Strazzari) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,159
Libertà religiosa - Sport: un incrocio a tutto campo
(N. Fiorita) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,451
Bose - Ecumenismo: beati i pacifici (M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . 16,551
G
Saggio sulla memoria, la promessa e la fecondità
L
a prima decade del XXI secolo, con gli
attacchi alle Torri gemelle e la crisi finanziaria, ha portato la distruzione generale della fiducia. Il corso della storia sembra racchiudere inquietanti interrogativi. La
teologia può conferire ritmo al tempo sconnesso dell’uomo, aiutandolo a ricomporre i
frammenti della sua biografia e delle sue
traversie.
«NUOVI SAGGI TEOLOGICI»
GIOVANNI CESARE PAGAZZI
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L’AFFETTO DI CRISTO PER LE COSE
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i
ndici
Ecumenismo - Verso il 2017: rileggiamo insieme la Riforma.
Intervista al pastore luterano L. Vogel (D. Sala, D. Segna) . . 16,586
America Latina - Pew Research: è suonata una sveglia. Il passaggio
dai cattolici agli evangelici analizzato da G. Carriquiry
(D. Metelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,778
Dialogo interreligioso
Dialogo interreligioso - Convegno: religioni e conflitti
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,765
Ebrei
Liana Millu, 1914-2005: il libro custodito (P. Stefani) . . . . . . . . 6,210
Papa Francesco - Viaggio in Terra santa: la relazione col popolo
ebraico (P. Stefani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,218
La questione ebraica. Il Novecento, le Chiese e l’ebraismo
di fronte agli stati totalitari (P. Stefani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,395
Tutto cominciò dalla scuola. Bruno Maida e la Shoah dei bambini
(A. Deoriti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,398
Islam
Indonesia - Libertà di religione: credo e cittadinanza (D. Sala) .
Africa - Boko Haram: rischio contagio. Si estende la minaccia
dei gruppi jihadisti (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Germania - Teologia islamica: libertà e controllo (M. Neri) . . . .
Africa - Estremismi: violenza da Est a Ovest (D. Maggiore) . . .
Islam in Europa - Diritto: giurisdizione multiculturale
(G. Patriarca) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2,18
2,19
2,53
14,447
14,449
Altre religioni
India - Dialogo monastico: una giada ancora più bella.
L’ashram cristiano Shantivanam ieri e oggi (L. Clemente) . . 20,699
Gran Bretagna - Scientology: religione e spazio pubblico
(M. Neri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,163
Cultura e società
Russia - Chiesa e stato: la cattedrale-simbolo (E. Pirazzoli) . . . . Italia - Immigrazione: come funziona l’accoglienza. Le diverse
strutture, le molte lacune (M. Ambrosini, C. Marchetti) . . Teologia - Dialoghi: neuroetica. La teologia morale e le nuove
sfide delle neuroscienze (P. Benanti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gregoriana - Bernard Lonergan: la forza di un pensiero rigoroso
(C. Taddei Ferretti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Papa Francesco - Editoria: tutti bestseller (M.E. Gandolfi) . . . . Francia - Famiglia: un anno di Manif pour tous
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Russia - Intervista al prof. Lupandin: le tensioni e le Olimpiadi
(S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Costantino: anniversario di un mito. L’Enciclopedia costantiniana
e il punto storico-culturale (F. Ruggiero) . . . . . . . . . . . . . . . . . Incursioni nella modernità. S. Kierkegaard, 1813-1855
(M. Pohlmeyer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Europa e Italia - Analisi sociali: la «Grande incertezza»
(I. Diamanti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Gran Bretagna - Scientology: religione e spazio pubblico
(M. Neri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Belgio - Eutanasia e minori: un passo di troppo
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Africa - Chiese e diritti gay: se non c’è giustizia (D. Maggiore) . Italia - Mass media: la TV si è fatta mondo (P. Taggi) . . . . . . . . . – CEI - TV2000: un nuovo caso Boffo (G. Mocellin) . . . . . . . . . Liana Millu, 1914-2005: il libro custodito (P. Stefani) . . . . . . . . Santa Sede - Finanze: la riforma in corso (A. Gagliarducci) . . . Italia-Trento - Teologia: Dio, l’uomo, il cosmo (M. Neri) . . . . . . Francesco - Libera: ai mafiosi dico «Convertitevi» (G. Brunelli) Italia - Cultura protestante: il lavoro, una vocazione?
(M. Miegge) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia - Chiesa e «genere»: diversità (M.C. Rioli) . . . . . . . . . . . . Delitto e perdono. Pena di morte e ruolo del cristianesimo secondo
Adriano Prosperi (M.T. Fattori) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiavi di lettura: la fiera, i ragazzi, il religioso (M.E. Gandolfi) Stati Uniti - Vescovi cattolici: papa Francesco e Obama
(M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 818
Il Regno -
attualità
22/2014
2,14
2,24
2,47
2,50
2,65
4,82
4,89
4,99
4,130
6,155
6,163
6,164
6,167
6,191
6,193
6,210
8,220
8,228
8,231
8,232
8,238
8,239
8,243
8,262
Dialoghi - Fede e scienza: l’universo, creazione continua. Intervista
all’astrofisico P. Benvenuti (M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . Dibattito - Servizio pubblico: la RAI dei cittadini (A. Melodia) . – Civiltà cattolica e UCSI: riscoprirsi lievito (G. Mc.) . . . . . . . . . Italia - Studi teologici: gli studenti in assemblea (A. Franzoni) . . Il trauma che salva. Libri discussi: «Il sogno di Gesù» di Türke
(M. Gronchi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Editoria religiosa: Francesco non basta (G. Vigini) . . . . . . . . . . . I musei e l’arte sacra: le opere e i luoghi (G. Gualdrini) . . . . . . – Lo spazio e l’opera d’arte: l’Eremo di Camaldoli. Porta speciosa,
porta filosofica (A. Rizzi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Letture - Un poemetto di Cinzia Demi: il nome trovato
(G. Criveller) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Libertà religiosa - Sport: un incrocio a tutto campo (N. Fiorita) Stati Uniti - Diritto: preghiera e cittadinanza (M. Neri) . . . . . . . Francesco - Chiesa e mafia: la scomunica (G. Brunelli) . . . . . . . – La denuncia del papa: un segno nelle coscienze
(L. Lorenzetti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Uganda - Omosessualità: la nuova legge e l’opinione pubblica
(D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco, frate e papa. Sulla fortuna editoriale (e non solo)
di un binomio (G.G. Merlo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia - Indagine sulla Bibbia: cosa dite che sia? (I. Diamanti) . . Sinodo - Media: una bella febbre (G. Mocellin) . . . . . . . . . . . . . Italia - Rapporto Migrantes: emigranti vecchi e nuovi (F. Rossi) Gesù: il mistero della morte (G. Forni Rosa) . . . . . . . . . . . . . . . Diritto - Il problema della pena: una giustizia «altra» (L. Eusebi) Benedetto XV - La Grande guerra: preghiera e diplomazia
(M. Paiano) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cinema - Anniversari: a cosa serve Pasolini? (T. Subini) . . . . . . Riflessioni tra fede e cultura: l’umanesimo di Francesco. Spunti
a partire dall’Evangelii gaudium (G. Forni Rosa) . . . . . . . . . . Africa - Vescovi: Ebola, politica, risorse (D. Maggiore) . . . . . . . Cultura - Una fiction tedesca: l’ebbrezza della modernità
(M. Pohlmeyer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiesa in Italia - Comunicazione: i media siamo noi. Le nuove
prospettive a 10 anni dal Direttorio sulle comunicazioni sociali
(D. Pompili) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Stati Uniti - Teologi cattolici: giustizia razziale. La polizia
è violenta, i neri ne sono vittime (M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . 8,273
10,304
10,305
10,307
10,323
10,340
10,349
10,361
12,393
14,451
14,452
14,492
14,493
16,558
16,563
16,583
18,618
18,622
18,639
18,659
18,663
18,671
20,684
20,698
20,727
22,757
22,776
POLITICA
Italia: ritorno alla politica. Renzi e le riforme, finisce la prima
Repubblica (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ucraina - Crisi politica: tra l’euro e i rubli (S. Numico) . . . . . . . Turchia - Politica: paternalismo e cambiamento. Dopo 10 anni,
in crisi la leadership di Erdogan (C. Monge) . . . . . . . . . . . . . . Indonesia - Libertà di religione: credo e cittadinanza (D. Sala) . Africa - Rep. democratica del Congo: il vero fatto grave
(G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia - Immigrazione: come funziona l’accoglienza. Le diverse
strutture, le molte lacune (M. Ambrosini, C. Marchetti) . . Africa - Madagascar: il nuovo presidente (D. Maggiore) . . . . . . Politica in Italia: solo Renzi, Renzi solo (G. Brunelli) . . . . . . . . . Belgio - Eutanasia e minori: un passo di troppo
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . America Latina - La Chiesa e il nuovo Cile: la società domanda.
Intervista a mons. P. Ossandón Buljevic (M. Castagnaro) . . . Vietnam - Santa Sede: novità sì e no (D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . Malaysia: Allah tra politica e fede (D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . . . . Europa - Verso le elezioni: il cielo fosco (G. Ambrosio) . . . . . . . – UE - Romano Prodi in redazione. Insisto: necessità dell’Europa
(R. Prodi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Venezuela - La crisi e la Chiesa: al tavolo del dialogo
(G. Zucchi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Africa - Ruanda: benessere a caro prezzo (G. Baioni) . . . . . . . . . Mali - Burkina Faso: difficoltà parallele (D. Maggiore) . . . . . . . Politica in Italia ed elezioni europee: il passato è passato
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sudafrica - Elezioni: Zuma non ha perso (D. Maggiore) . . . . . . India - Elezioni: l’era Modi (A.J. Philip) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Politica e religione: oltre il caso italiano. Per un ripensamento
del cattolicesimo politico (M. Neri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . COMECE - Voto europeo: preoccupazioni (S. Numico) . . . . . . 2,1
2,15
2,16
2,18
2,21
2,24
4,96
6,153
6,164
6,168
6,170
6,170
8,223
8,224
8,264
8,266
8,268
10,297
10,318
10,319
12,381
12,383
attualità 2014
Guinea Bissau: dal golpe alle elezioni (D. Maggiore) . . . . . . . . . Mali - Tuareg: pace ai preliminari (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . Politica in Italia: il tempo e il merito (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . Sudafrica - Miniere: sciopero del platino (D. Maggiore) . . . . . . Uganda - Omosessualità: la nuova legge e l’opinione pubblica
(D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Politica in Italia: un sistema ancora bloccato (G. Brunelli) . . . . Repubblica democratica del Congo - Vescovi: a difesa della
Costituzione (G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Africa - Mozambico: elezioni senza mudança (D. Maggiore) . . Italia - Elezioni regionali: l’impasse (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . Papa Francesco - Strasburgo: la mia Europa (G. Brunelli) . . . . . Burkina Faso - Compaoré: fine di un regime (D. Maggiore) . . . Sudafrica, Chiese e democrazia dopo l’apartheid: partecipazione
critica (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Demografia: dominano le Chiese indipendenti (D. M.) . . . . . . Italia - Quirinale: continuare a essere una nazione (G. Brunelli) Italia - Scandali a Roma: tra noncuranza e indignazione.
Appunti per un’autocritica cattolica (D. Rosati) . . . . . . . . . . . 12,391
12,391
14,441
14,466
16,558
18,620
18,629
18,630
20,690
20,691
20,697
22,754
2,19
2,22
4,97
8,224
8,269
10,313
12,387
12,388
12,390
14,443
14,447
16,554
16,555
18,628
18,631
22,773
22,774
22,781
18,627
20,695
20,733
22,765
22,782
AFRICA
Chiese e diritti gay: se non c’è giustizia (D. Maggiore) . . . . . . . .
Europa-Africa - Rapporti commerciali: quale partenariato?
(D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Terrorismo: i rapimenti di Boko Haram (G. Baioni) . . . . . . . . .
Immigrazione: vittime anche nel Sinai (E. Casale) . . . . . . . . . . .
Ebola: come una guerra (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
– Ebola: una crisi nella crisi (M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . .
Vescovi: Ebola, politica, risorse (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . .
6,167
8,269
10,315
12,390
16,554
16,555
20,698
Angola
Chiese locali - Mons. Mbilingi: il Sinodo visto dall’Africa
(M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,614
Burkina Faso
Mali - Burkina Faso. Difficoltà parallele (D. Maggiore) . . . . . . . 8,268
Compaoré: fine di un regime (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . 20,697
Camerun
Boko Haram, come la mafia (G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,695
Centrafrica
Guerra civile: la violenza respirata (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . 6,165
Estremismi: violenza da Est a Ovest (D. Maggiore) . . . . . . . . . . 14,447
Guerra civile: un paese lacerato (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . 22,782
Guinea Bissau
Dal golpe alle elezioni (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,391
Kenya
Estremismi: violenza da Est a Ovest (D. Maggiore) . . . . . . . . . . 14,447
Kenya-Ruanda - Corti internazionali: destini diversi
(D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,631
Cadute le accuse (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,781
Libia
Doppia anarchia (E. Casale) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16,556
Pace - Guerra
Africa - Rep. democratica del Congo: il vero fatto grave
(G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Colombia - Negoziati: interessati alla pace. Intervista
a p. J. Giraldo (M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Africa - Somalia: la fuga continua (E. Casale) . . . . . . . . . . . . . . Africa - Sud Sudan: futuro in bilico (D. Maggiore) . . . . . . . . . . Centrafrica - Guerra civile: la violenza respirata (D. Maggiore) Filippine - Mindanao: una pace tra i conflitti (G. Bernardelli) . Africa - Ruanda: benessere a caro prezzo (G. Baioni) . . . . . . . . . Africa - Terrorismo: i rapimenti di Boko Haram (G. Baioni) . . . Africa - Sud Sudan: guerra incivile (G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . Francesco in Terra santa: uno sguardo libero. Intervista al custode
p. Pizzaballa (G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Francesco in Terra santa: pellegrino di speranza (S. Malka) . . Mali - Tuareg: pace ai preliminari (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . Medio Oriente - Gaza: una crisi inedita (G. Bernardelli) . . . . . – Israeliani e palestinesi: la preghiera non esaudita (P. Stefani) . Iraq - Stato islamico: preghiere per la libertà (J. Foley) . . . . . . . . – Iraq - Cristiani: è la catastrofe (L.R. Sako) . . . . . . . . . . . . . . . . Crisi africane - Libia: doppia anarchia (E. Casale) . . . . . . . . . . . 16,557
18,625
NAZIONI
20,737
20,742
22,753
Vita internazionale
Africa - Boko Haram: rischio contagio. Si estende la minaccia
dei gruppi jihadisti (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Africa - Sfruttamento: dietro alla pirateria. In Somalia le origini
di un fenomeno complesso (G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Diritti dell’infanzia: a chi giova lo scontro
(M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . UE - Romano Prodi in redazione. Insisto: necessità dell’Europa
(R. Prodi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Europa-Africa - Rapporti commerciali: quale partenariato?
(D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Spese militari - Rapporto SIPRI: meno USA, più Cina
(M. Simoncelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Africa - Missione: le mie povere donne (A. Marchesini) . . . . . . P. Marchesini - Medico e missionario: due vocazioni
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Africa - Immigrazione: vittime anche nel Sinai (E. Casale) . . . . Medio Oriente - Gaza: una crisi inedita (G. Bernardelli) . . . . . Estremismi: violenza da Est a Ovest (D. Maggiore) . . . . . . . . . . Africa - Ebola: come una guerra (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . – Ebola: una crisi nella crisi (M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Questioni internazionali: dal Concistoro alla Turchia
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Kenya, Ruanda - Corti internazionali: destini diversi
(D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Anniversari - Casaroli: il mediatore (P. Parolin) . . . . . . . . . . . . . Cuba e gli USA: todos americanos. I «buoni offici» vaticani
e il fattore Francesco (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Kenya - Cadute le accuse (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Crisi africane - Mozambico: verso un’altra pace (D. Maggiore)
Medio Oriente - Gaza: un futuro nel sangue? (L. Bianchi) . . . .
Medio Oriente - Concistoro: ISIS, questione politica
(G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Africa - Camerun: Boko Haram, come la mafia (G. Baioni) . . .
El Salvador - UCA: con il «popolo crocifisso». I «martiri gesuiti»,
25 anni dopo (M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Dialogo interreligioso - Convegno: religioni e conflitti
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Centrafrica - Guerra civile: un paese lacerato (D. Maggiore) . .
Madagascar
Il nuovo presidente (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,21
4,90
4,93
4,95
6,165
8,259
8,266
10,315
10,317
12,374
12,376
12,391
14,443
14,444
16,552
16,553
16,556
4,96
Mali
Tuareg: pace ai preliminari (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,391
Mali - Burkina Faso. Difficoltà parallele (D. Maggiore) . . . . . . . 8,268
Mozambico
Missione: le mie povere donne (A. Marchesini) . . . . . . . . . . . . .
P. Marchesini - Medico e missionario: due vocazioni
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Verso un’altra pace (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Elezioni senza mudança (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12,387
12,388
16,557
18,630
Nigeria
Boko Haram: rischio contagio. Si estende la minaccia dei gruppi
jihadisti (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,19
Estremismi: violenza da Est a Ovest (D. Maggiore) . . . . . . . . . . 14,447
Rep. democratica del Congo
Il vero fatto grave (G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,21
Vescovi: a difesa della Costituzione (G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . 18,629
Il Regno -
attualità
22/2014
819
i
ndici
Ruanda
Benessere a caro prezzo (G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,266
Kenya-Ruanda - Corti internazionali: destini diversi
(D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,631
Somalia
Sfruttamento: dietro alla pirateria. In Somalia le origini di un
fenomeno complesso (G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La fuga continua (E. Casale) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,22
4,93
Diritto: preghiera e cittadinanza (M. Neri) . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,452
Cuba e gli USA: todos americanos. I «buoni offici» vaticani
e il fattore Francesco (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,774
Teologi cattolici: giustizia razziale. La polizia è violenta, i neri
ne sono vittime (M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,776
Venezuela
La crisi e la Chiesa: al tavolo del dialogo (G. Zucchi) . . . . . . . . . Sud Sudan
Futuro in bilico (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4,95
Guerra incivile (G. Baioni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,317
Sudafrica
Elezioni: Zuma non ha perso (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . .
Sudafrica - Miniere: sciopero del platino (D. Maggiore) . . . . . .
Chiese e democrazia dopo l’apartheid: partecipazione critica
(D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Demografia: dominano le Chiese indipendenti (D. Maggiore) .
10,318
14,466
20,737
20,742
America Latina - Pastorale: il papa, Kräutler e i viri probati
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,322
America del Nord - Chiesa cattolica: tensioni nella teologia
(M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,384
America Latina - Pew Research: è suonata una sveglia.
Il passaggio dai cattolici agli evangelici analizzato
da G. Carriquiry (D. Metelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,778
Argentina
Francesco e la Chiesa latinoamericana: il forte vento del Sud
(C.M. Galli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco e la testimonianza di un vescovo argentino: il pastore
della misericordia (V.D. Bressanelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Papa Francesco - Editoria: tutti bestseller (M.E. Gandolfi) . . . . Corea del Sud
La pastorale delle piccole comunità cristiane: la forza del Vangelo
in Corea (B. Joo-hyun Ro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,499
2,64
2,65
Brasile
Cile
America Latina - La Chiesa e il nuovo Cile: la società domanda.
Intervista a mons. P. Ossandón Buljevic (M. Castagnaro) . . . 6,168
America Latina - Pentecostali: il modello cileno. Intervista
al teologo J. Sepúlveda González (M. Castagnaro) . . . . . . . . 14,454
Colombia
Negoziati: interessati alla pace. Intervista a p. J. Giraldo
(M. Castagnaro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mindanao: una pace tra i conflitti (G. Bernardelli) . . . . . . . . . . 8,259
Giappone
India
Elezioni: l’era Modi (A.J. Philip) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,319
Dialogo monastico: una giada ancora più bella. L’ashram cristiano
Shantivanam ieri e oggi (L. Clemente) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,699
Indonesia
Libertà di religione: credo e cittadinanza (D. Sala) . . . . . . . . . . . 2,18
Iraq
2,57
Comunità di base: strumento per il popolo (M. Castagnaro) . . 4,92
Chiesa: comunità di comunità (G. Zucchi) . . . . . . . . . . . . . . . . . 16,559
4,90
Medio Oriente - Jihad sunnita: califfato, illusione tragica
(G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiesa caldea: nella tempesta (L.R. Sako) . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Stato islamico: preghiere per la libertà (J. Foley) . . . . . . . . . . . . .
Cristiani: è la catastrofe (L.R. Sako) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La Chiesa si dà da fare. A colloquio con mons. D. García Ibañez
(G. Zucchi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,729
– Vescovi - Piano pastorale: sulla via di Emmaus (G. Zucchi) . . 20,730
Cuba e gli USA: todos americanos. I «buoni offici» vaticani
e il fattore Francesco (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,774
El Salvador
UCA: con il «popolo crocifisso». I «martiri gesuiti», 25 anni dopo
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,733
14,445
14,446
16,552
16,553
Israele
Papa Francesco - Viaggio in Terra santa: la relazione col popolo
ebraico (P. Stefani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco in Terra santa: uno sguardo libero. Intervista al custode
p. Pizzaballa (G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Francesco in Terra santa: pellegrino di speranza (S. Malka) . . – Francesco e Bartolomeo: abbracci e lenti passi (D. Sala) . . . . . Gaza: una crisi inedita (G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Israeliani e palestinesi: la preghiera non esaudita (P. Stefani) . Gaza: un futuro nel sangue? (L. Bianchi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Malaysia
Religioni: Allah tra politica e fede (D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . . . . Cuba
8,218
12,374
12,376
12,377
14,443
14,444
18,625
6,170
Palestina
Gaza: una crisi inedita (G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,443
– Israeliani e palestinesi: la preghiera non esaudita (P. Stefani) . 14,444
Gaza: un futuro nel sangue? (L. Bianchi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,625
Vietnam
Santa Sede: novità sì e no (D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,170
EUROPA
Honduras
Santa Rosa de Copán: successione difficile (M. Castagnaro) . . 16,561
Paraguay
Ciudad del Este: decisioni gravose (M. Castagnaro) . . . . . . . . . 16,562
Perù
Università cattolica: verso l’epilogo (M. Castagnaro) . . . . . . . . 12,386
Stati Uniti
Vescovi cattolici: papa Francesco e Obama (M. Faggioli) . . . . . 8,262
Religiose LCWR. Forzando i toni (M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . 12,385
Il Regno -
Medio Oriente - Concistoro: ISIS, questione politica
(G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,627
Liturgia: l’atmosfera è cambiata? (D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,321
Chiese locali - Mons. Takeo Okada: il Sinodo visto dal Giappone
(M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,616
AMERICHE
820
ASIA
Filippine
Uganda
Omosessualità: la nuova legge e l’opinione pubblica
(D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16,558
8,264
attualità
22/2014
Santa Sede - Sinodo sulla famiglia: l’Europa risponde
(S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4,77
Europa e Italia - Analisi sociali: la «Grande incertezza»
(I. Diamanti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,155
Verso le elezioni: il cielo fosco (G. Ambrosio) . . . . . . . . . . . . . . . 8,223
– UE - Romano Prodi in redazione. Insisto: necessità dell’Europa
(R. Prodi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,224
Politica in Italia ed elezioni europee: il passato è passato
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,297
COMECE - Voto europeo: preoccupazioni (S. Numico) . . . . . . 12,383
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attualità 2014
Papa Francesco - Strasburgo: la mia Europa (G. Brunelli) . . . . . 20,691
– COMECE - Da Verdun a Bruxelles: conflitti e interessi
(S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,692
6,164
L’eredità
di Gerusalemme
4,82
Monoteismo e profezia di pace
Austria
Noi siamo Chiesa: la presidente scomunicata (D. Sala) . . . . . . . . 12,392
Teologia - Klagenfurt: l’esperienza estatica (A. Franzoni) . . . . . 18,658
Belgio
Eutanasia e minori: un passo di troppo (M. Bernardoni) . . . . . Francia
Famiglia: un anno di Manif pour tous (M. Bernardoni) . . . . . . Ortodossi: fra tradizione e modernità. Intervista a Job di Telmessos
(D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Germania
Teologia islamica: libertà e controllo (M. Neri) . . . . . . . . . . . . . .
Chiesa cattolica: riposizionarsi (S. Orth) . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rahner - L’ultima intervista: se la teologia e la Chiesa…
(D. Seeber) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
99° Katholikentag: una Chiesa che cambia. Colloquio
con S. Vesper, segretario dello ZDK (S. Numico) . . . . . . . . . .
Cultura - Una fiction tedesca: l’ebbrezza della modernità
(M. Pohlmeyer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
PIETRO LOMBARDINI
4,119
2,53
4,83
8,229
PREFAZIONE DI BRUNETTO SALVARANI
12,378
20,727
Polonia
Chiesa: immobile e aggressiva (M. Matté, F. Strazzari) . . . . . 4,86
Regno Unito
Gran Bretagna - Scientology: religione e spazio pubblico
(M. Neri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,163
Islam in Europa - Diritto: giurisdizione multiculturale
(G. Patriarca) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,449
Chiese locali - Card. Nichols: il Sinodo visto dall’Inghilterra
(D. Sala) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,612
Russia
Chiesa e stato: la cattedrale-simbolo (E. Pirazzoli) . . . . . . . . . . . 2,14
Intervista al prof. Lupandin: le tensioni e le Olimpiadi
(S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4,89
Rapporti ecumenici: dal prestigio all’influenza
(M. Matté, F. Strazzari) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,159
Ucraina - Russia: crisi politica, crisi ecclesiale (D. Sala) . . . . . . . 6,162
Dibattito - Il papa e gli ortodossi: non si può aspettare. Da Mosca,
una riflessione sulla visita del vescovo di Roma a Costantinopoli
(Ioann) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,769
Turchia
Politica: paternalismo e cambiamento. Dopo 10 anni, in crisi
la leadership di Erdogan (C. Monge) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,16
Francesco - Ad Ankara e a Istanbul: tra carisma e istituzione
(C. Monge) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,766
Ucraina
Crisi politica: tra l’euro e i rubli (S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . Ucraina - Russia: crisi politica, crisi ecclesiale (D. Sala) . . . . . . . 2,15
6,162
Italia
ATTUALITÀ ECCLESIALE
Francesco - Primo concistoro: testimoni, non rappresentanti
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Santa Sede - Religiosi: tre questioni aperte (M. Bernardoni) . . Santa Sede - Sinodo sulla famiglia: in ascolto. Prime riflessioni
dai questionari arrivati in redazione (M.E. Gandolfi) . . . . . . Chiesa in Italia - Pastorale: la parrocchia ospitale. L’annuncio
del Vangelo oltre la retorica (A. Torresin) . . . . . . . . . . . . . . . . Lacrime sul cammino della Chiesa. Il Diario di Bartoletti e la nascita
della CEI dopo il Vaticano II (L. Accattoli) . . . . . . . . . . . . . . . Emilia Romagna - Facoltà teologica: tomismo creativo
(A. Franzoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Italia - Conferenza episcopale: il progetto pastorale
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il Regno -
attualità
22/2014
G
erusalemme è una città al tempo stesso
terrena e santa, una e plurale, luogo politico
dove storia, simbolo e mito si intrecciano in
modo indissolubile, sogno utopico che genera
ebrei, cristiani e musulmani. La sua diversità può
affascinare o respingere già nel primo istante in
cui il turista-pellegrino percorre le sue strade.
Ma in che cosa consiste questa diversità? È una
e decisiva: l’emergere, a Gerusalemme, più o meno
all’epoca in cui ad Atene nasce la polis democratica, dell’idea monoteista comunicata per rivelazione a Mosè sul Sinai.
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Cuore di Dio, cuore dell’uomo
Letture bibliche su sentimenti e passioni nelle Scritture ebraiche
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i
ndici
Una cultura di carità. Quella Chiesa italiana che crebbe
con mons. Nervo (G. Pasini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,171
– CEI - TV2000: un nuovo caso Boffo (G. Mocellin) . . . . . . . . . 6,193
Teologia: una per tutti? (A. Torresin) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,196
Trento - Teologia: Dio, l’uomo, il cosmo (M. Neri) . . . . . . . . . . . 8,228
Francesco - Libera: ai mafiosi dico «Convertitevi» (G. Brunelli) 8,231
Cultura protestante: il lavoro, una vocazione? (M. Miegge) . . . . 8,232
Pedofilia: la legge non basta (M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . 8,236
Chiesa e «genere»: diversità (M.C. Rioli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,238
Annuncio e catechesi in Italia: la Parola cresce nella storia
(Il Regno) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,281
– I nuovi «Orientamenti per la catechesi»: nella Chiesa di Francesco
(Il Regno) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,283
Iniziazione cristiana: educare alla fede oggi (L. Bressan) . . . . . . 8,288
A partire dall’Evangelii gaudium: la catechesi dal popolo di Dio
(E. Castellucci) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,294
Francesco - Episcopato italiano: come vescovo di Roma
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,300
Azione cattolica: in uscita (F. Rossi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,302
I vescovi e il papa: con Francesco. Intervista al segretario della CEI,
mons. Galantino (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,369
Francesco - Chiesa e mafia: la scomunica (G. Brunelli) . . . . . . . 14,492
– La denuncia del papa: un segno nelle coscienze
(L. Lorenzetti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,493
Francesco - Redipuglia: l’ora del pianto (G. Brunelli) . . . . . . . . 16,549
Bose - Ecumenismo: beati i pacifici (M. Faggioli) . . . . . . . . . . . . 16,551
Ecumenismo - Verso il 2017: rileggiamo insieme la Riforma.
Intervista al pastore luterano L. Vogel (D. Sala, D. Segna) . . 16,586
Giovanni Catti, 1924-2014: rinnovatore della catechesi (F. Pajer) 16,602
Storie degli uomini, storie di Dio. Verso il V Convegno ecclesiale
nazionale (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,681
LXVII Assemblea CEI: tra una Chiesa e l’altra (A. Torresin) . . 20,687
– CEI - Nomine: nella presidenza e alla Caritas (V. Roncarati) . 20,688
Chiesa in Italia - Comunicazione: i media siamo noi. Le nuove
prospettive a 10 anni dal Direttorio sulle comunicazioni sociali
(D. Pompili) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,757
Dialogo interreligioso - Convegno: religioni e conflitti
(M. Bernardoni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,765
Anniversari - Casaroli: il mediatore (P. Parolin) . . . . . . . . . . . . . 22,773
POLITICA
Renzi e le riforme: ritorno alla politica, finisce la prima Repubblica
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Immigrazione: come funziona l’accoglienza. Le diverse strutture,
le molte lacune (M. Ambrosini, C. Marchetti) . . . . . . . . . . Solo Renzi, Renzi solo (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Politica in Italia ed elezioni europee: il passato è passato
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Politica e religione: oltre il caso italiano. Per un ripensamento
del cattolicesimo politico (M. Neri) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il tempo e il merito (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un sistema ancora bloccato (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Elezioni regionali: l’impasse (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Quirinale: continuare a essere una nazione (G. Brunelli) . . . . . Italia - Scandali a Roma: tra noncuranza e indignazione.
Appunti per un’autocritica cattolica (D. Rosati) . . . . . . . . . . . Religiosi: donne e uomini «del di più». Indetto da Francesco,
comincia l’Anno della vita consacrata (M.M. Morfino) . . . . . 2,1
2,24
6,153
10,297
12,381
14,441
18,620
20,690
22,753
22,754
22,760
CULTURA E SOCIETÀ
Immigrazione: come funziona l’accoglienza. Le diverse strutture,
le molte lacune (M. Ambrosini, C. Marchetti) . . . . . . . . . . Europa e Italia - Analisi sociali: la «Grande Incertezza»
(I. Diamanti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Mass media: la TV si è fatta mondo (P. Taggi) . . . . . . . . . . . . . . Liana Millu, 1914-2005: il libro custodito (P. Stefani) . . . . . . . . Cultura protestante: il lavoro, una vocazione? (M. Miegge) . . . . Chiesa e «genere»: diversità (M.C. Rioli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Delitto e perdono. Pena di morte e ruolo del cristianesimo secondo
Adriano Prosperi (M.T. Fattori) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiavi di lettura: la fiera, i ragazzi, il religioso (M.E. Gandolfi) Dibattito - Servizio pubblico: la RAI dei cittadini (A. Melodia) . – Civiltà cattolica e UCSI: riscoprirsi lievito (G. Mc.) . . . . . . . . . Studi teologici: gli studenti in assemblea (A. Franzoni) . . . . . . . . I musei e l’arte sacra: le opere e i luoghi (G. Gualdrini) . . . . . . 822
Il Regno -
attualità
22/2014
2,24
6,155
6,191
6,210
8,232
8,238
8,239
8,243
10,304
10,305
10,307
10,349
Lo spazio e l’opera d’arte: l’Eremo di Camaldoli. Porta speciosa,
porta filosofica (A. Rizzi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,361
Rapporto Migrantes: emigranti vecchi e nuovi (F. Rossi) . . . . . . 18,622
Chiesa in Italia - Comunicazione: i media siamo noi. Le nuove
prospettive a 10 anni dal Direttorio sulle comunicazioni sociali
(D. Pompili) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,757
rubriche
Studio del mese
Francesco e la Chiesa latinoamericana. Il forte vento del Sud
(C.M. Galli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,57
– La testimonianza di un vescovo argentino. Il pastore della
misericordia (V.D. Bressanelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,64
– Papa Francesco - Editoria: tutti bestseller (M.E. Gandolfi) . . . 2,65
I riferimenti testimoniali della fede. Identità cristiana:
tra dispersione e discernimento (C. Theobald) . . . . . . . . . . . . 4,123
L’antropologia cristiana nell’epoca dei cyborg. Noi, robot
(D. Lambert) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,203
CEI - Annuncio e catechesi. La Parola cresce nella storia
(Il Regno) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S8,281
– I nuovi «Orientamenti per la catechesi»: nella Chiesa
di Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S8,283
– Iniziazione cristiana: educare alla fede oggi (L. Bressan) . . . . S8,288
– A partire dall’Evangelii gaudium: la catechesi dal popolo di Dio
(E. Castellucci) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S8,294
I musei e l’arte sacra. Le opere e i luoghi (G. Gualdrini) . . . . . . 10,349
– Lo spazio e l’opera d’arte: l’Eremo di Camaldoli. Porta speciosa,
porta filosofica (A. Rizzi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,361
Primato e collegialità per la comunione delle Chiese. Le riforme
di Francesco (H. Legrand) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,419
– Coscienza sinodale del popolo di Dio. Rinnovamento a 50 anni
dal Vaticano II (P. Coda) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,429
Asia - La pastorale delle piccole comunità cristiane: la forza
del Vangelo in Corea (B. Joo-hyun Ro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,499
Con la Caritas a Firenze. Lo stile cristiano oggi . . . . . . . . . . . . . . S14,513
Patristica - I primi secoli: humanitas e caritas. La prospettiva
dei padri della Chiesa (C. Curzel) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S14,514
– Mons. Merisi: in cammino verso Firenze (G. Merisi) . . . . . . . S14,515
– Teologia - Missione della Chiesa: tra profezia e diaconia
(P. Coda) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S14,520
– Economia - Mercato e solidarietà: marginali in un mondo
globale? (A. Tantazzi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S14,525
– Chiesa - Tra pastorale e politica: i vescovi e l’Italia
(G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S14,529
– Prospettive: Carità, criterio fondativo (F. Soddu) . . . . . . . . . . . S14,530
Verso un’etica e una spiritualità ecologiche. Il creato:
responsabilità e relazione (B. Forte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16,591
– Il Cantico di frate Sole: fratelli e sorelle del creato (P. Stefani) . 16,596
Benedetto XV - La Grande guerra: preghiera e diplomazia
(M. Paiano) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,663
Sudafrica - Chiese e democrazia dopo l’apartheid: partecipazione
critica (D. Maggiore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,737
– Sudafrica - Demografia: dominano le Chiese indipendenti
(D. M.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20,742
Papa Francesco e i pontificati precedenti: un nuovo ordine
simbolico nella Chiesa (K. Appel) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,797
– Una cesura storica: le linee teologiche del pontificato
di Francesco (W. Kasper) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,804
Diario ecumenico
di Daniela Sala
DICEMBRE 2013: CEC - Evangelii gaudium; Governo italiano Religioni per l’integrazione; Pentecostali italiani - V Assemblea
generale; Cechia - Commemorazione ecumenica di Hus; Koch
in Russia; Seconda consultazione Santa Sede - Chiese protestanti
in Europa; Strasburgo - Incontro di Taizé . . . . . . . . . . . . . . . . . GENNAIO 2014: Ortodossia - Contasti sul primato; Ortodossi
e anglicani - Visita tra primati; Siria - Le Chiese alla conferenza
di pace «Ginevra II»; Settimana di preghiera per l’unità
dei cristiani; Portogallo - Battesimo comune; Italia-Parma,
Chiesa e moschea; Dialogo tra battisti e metodisti . . . . . . . . . . 2,55
4,121
attualità 2014
FEBBRAIO: CEC - Droni; Chiesa d’Inghilterra - Sinodo generale;
Regno Unito - Le Chiese contro il governo; Messaggio
di Francesco ai pentecostali; Ucraina - Chiese europee e CEC;
Avventisti italiani - Nuove cariche; Il card. Koch su sinodalità
e primato; Germania - Documento cattolici-protestanti . . . . . . 6,201
MARZO: Costantinopoli - Riunione dei primati ortodossi; Il CEC
in visita dal papa; Contro la tratta - Santa Sede, Chiesa anglicana
e Al Azhar; Fede e costituzione; Siria - Morte del primate assiro
Zakka I; Concilio di Costanza - 600 anni; Svizzera - Battesimo
comune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8,271
APRILE: Anglicani-cattolici - Conversazioni di Malines; Avventisti
in Italia - 150 anni; Dialogo cattolici-riformati; CEC - Pasqua
comune; Dialogo anglicani-cattolici negli Stati Uniti; Santa Sede Buddhisti; Bartolomeo I e il nazionalismo ortodosso . . . . . . . . 10,347
MAGGIO: Italia - Sinodo luterano; CCEE e KEK - Situazione
dei rom; Dichiarazione di Losanna - 40 anni; Riformati Ferguson nuovo segretario; Dialogo anglicano-cattolico ARCIC III a Durban; Consiglio europeo dei leader religiosi Discriminazioni; Paesi Bassi - Consigli nazionali di Chiese
cristiane; Italia - Consultazione metodista; Dialogo cattolicoortodosso - Francesco e Bartolomeo I a Gerusalemme . . . . . . . 12,417
GIUGNO: KEK - Prima guerra mondiale; Minsk - Forum
europeo cattolico-ortodosso; Terra santa - Preghiera interreligiosa
nei Giardini vaticani; Corea - Dialogo ecumenico e
riconciliazione; USA - Presbiteriani e matrimonio gay; Francia Nuovo rabbino capo; Siria - Incontro dei patriarchi di Antiochia;
Germania - Muore il pastore Führer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14,497
LUGLIO E AGOSTO: Giubileo della Riforma - Polemiche sul
«Documento base» della EKD; CEC - Comitato centrale;
Alleanza battista mondiale - Msiza nuovo presidente; Chiesa
d’Inghilterra - Avanti con le donne vescovo; Segretariato attività
ecumeniche - Sessione estiva; Francesco - Visita al pastore
pentecostale Traettino; Sinodo valdo-metodista . . . . . . . . . . . . 16,589
SETTEMBRE: Bose - Spiritualità ortodossa; Dialogo cattolicoortodosso; Dichiarazione interreligiosa sul cambiamento
climatico; ISIS - Lettera di 126 studiosi islamici; Francesco riceve
la nuova TILC; Chiese europee - Clima; Concilio panortodosso Incontro di preparazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18,661
OTTOBRE: Lampedusa - Commemorazione interreligiosa
ed ecumenica; KEK - Clima; Evangelici italiani - Sinodo sulla
famiglia; Anglicani e ortodossi orientali - Accordo sulla cristologia;
Card. Koch - Giubileo della Riforma 2017; Francesco - Udienza
a una delegazione vecchiocattolica; Italia - Battisti . . . . . . . . . . 20,735
NOVEMBRE: Italia - Convegno dei Focolari sull’ecumenismo;
Oslo - Carta per la libertà religiosa e di credo; Luterani tedeschi Nuovo presidente; Chiesa d’Inghilterra - Arrivano le donne
vescovo; Unitatis redintegratio - 50° anniversario; Bose - Convegno
«Storicizzare l’ecumenismo»; Dichiarazione congiunta tra
Francesco e Bartolomeo I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,795
Agenda Vaticana
di Luigi Accattoli
DICEMBRE 2013: Consiglio di cardinali; Commissione per la
protezione dei fanciulli; Time, uomo dell’anno; «Fraternità,
fondamento e via per la pace»; Tratta delle persone; Rapporto
Moneyval; Consulenze esterne; Mali di Roma e parrocchie dal
papa; Nunzio Galantino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,56
GENNAIO 2014: Pellegrinaggio a Gerusalemme; Nuovi cardinali;
Cardinali festeggino in povertà; Dogane pastorali; Siria; Falsi papi
nella rete; Commissione di vigilanza sullo IOR; Pontificie
accademie e scelta missionaria; Da Nicora a Corbellini;
Controllo conti degli ospedali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4,122
FEBBRAIO: Neocatecumenali; Comitato ONU sui diritti
dell’infanzia; Consiglio di cardinali; Concistoro straordinario
sulla famiglia; Presidenti Sinodo 2014; Concistoro prega per
Ucraina; Benedetto in Basilica vaticana per i nuovi cardinali;
Segreteria per l’economia; Lettera del papa alle famiglie;
La Santa Sede all’Expo di Milano 2015 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,202
MARZO: Xuereb, Abril y Castelló, Marx e Ferme; Papa emerito
come vescovo emerito; Francesco al clero di Roma; Esercizi
di Quaresima ad Ariccia; Mafia e tratta; Commissione per la
tutela dei minori; Limburg; Galantino e i parlamentari italiani;
Obama; Giornata del sacramento della riconciliazione . . . . . . 8,272
APRILE: Elisabetta II - Abdullah II - Premier Ucraina - Reali
di Spagna; IOR; Vescovo il sottosegretario del Sinodo; «Chiedo
perdono per gli abusi»; Don Lorenzo Milani; Coena Domini
al don Gnocchi; Via crucis di Bregantini; Beato Giuseppe Girotti;
Santi Roncalli e Wojtyla; Riforma della curia . . . . . . . . . . . . . . 10,348
MAGGIO: Finanze e laici nella curia; Don Milani; «Importunare
i pastori»; Papa alla CEI; Scomunica per Marta e Gert Heizer;
Terra santa; Perdono per le Chiese divise; Cattolici e preti
nel mondo; A Nicea nel 2025 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12,418
GIUGNO: Al Rinnovamento nello Spirito; No al disprezzo
per gli zingari; «Invocazione per la pace»; I poveri come pietra
d’angolo; Chiesa un po’ invecchiata; Cassano all’Jonio: mafiosi
scomunicati; Francescani dell’Immacolata e Legionari;
Instrumentum per il Sinodo; Ex nunzio Wesolowski . . . . . . . . . 14,498
LUGLIO E AGOSTO: Campobasso e Isernia; Francesco alle
vittime delle violenze; Bilancio - IOR - Nuovo quadro economico;
Meriam liberata; Bergoglio alla mensa dei dipendenti; Due visite
a Caserta; Miguel d’Escoto Brockmann; Iraq: fermare
l’aggressore; Corea e Cina; Cañizares e Osoro . . . . . . . . . . . . . 16,590
SETTEMBRE: Ai cristiani dell’Iraq; La Chiesa ci chiede
cambiamenti; Redipuglia; Riforma del processo matrimoniale;
Albania; Donne teologhe; Ex nunzio Wesolowski; Müller
incontra Fellay; Rimosso vescovo di Ciudad del Este; Gesuiti
soppressi e barca di Pietro; I due papi e gli anziani . . . . . . . . . . 18,662
OTTOBRE: Nunzi e concistoro sul Medio Oriente; Sinodo
sulla famiglia; Messaggio e Relatio Synodi; Parresia e umiltà;
Anno sinodale; Paolo VI beato; «Dicono che il papa
è comunista»; Benedetto in clausura; Ebola . . . . . . . . . . . . . . . 20,736
NOVEMBRE: Non devastare il creato; Burke, Mamberti,
Gallagher, Sarah; «Perseguitati perché cristiani»; Immigrati
e periferia romana; Anno sinodale; Napolitano; Parlamento
europeo e Consiglio d’Europa; Turchia; Bartolomeo;
Anno della vita consacrata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22,796
Libri del mese
Lacrime sul cammino della Chiesa. Il Diario di Bartoletti
e la nascita della CEI dopo il Vaticano II (L. Accattoli) . . . . . Costantino: anniversario di un mito. L’Enciclopedia costantiniana
e il punto storico-culturale (F. Ruggiero) . . . . . . . . . . . . . . . . . Una cultura di carità. Quella Chiesa che crebbe con Nervo
(G.B. Pasini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Delitto e perdono. Pena di morte e ruolo del cristianesimo
secondo A. Prosperi (M.T. Fattori) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il trauma che salva. Libri discussi: Il sogno di Gesù di Türke
(M. Gronchi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La questione ebraica. Le Chiese e l’ebraismo di fronte agli stati
totalitari (P. Stefani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tutto cominciò dalla scuola. Bruno Maida e La Shoah dei bambini
(A. Deoriti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dio, il mistero dell’unico. Libri discussi: il modello relazionale
di Angelo Bertuletti (M. Rossi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Francesco, frate e papa. Sulla fortuna editoriale (e non solo)
di un binomio (G.G. Merlo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . – Una forma del Vangelo: minore (G. Mc.) . . . . . . . . . . . . . . . . . Due matrimoni, un sacramento. La proposta di un teologo
e di una consulente familiare (G. Piana) . . . . . . . . . . . . . . . . . Gesù: il mistero della morte (G. Forni Rosa) . . . . . . . . . . . . . . . Nel presente con fiducia. Paolo VI, una biografia (A. Maffeis) . Un dialogo a distanza. H. Jonas e J. Ratzinger nel «dibattito
sulle origini» (P. Becchi, R. Franzini Tibaldeo) . . . . . . . . . Riflesso della Sapienza. La teologia cosmica di Denis Edwards
(S. Morandini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,27
4,99
6,171
8,239
10,323
12,395
12,398
14,467
16,563
16,566
18,637
18,639
20,707
20,710
22,783
Segnalazioni
A. Giordano, A. Campoleoni, Un’altra Europa è possibile
(S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . R. Newbury, Oliver Cromwell (D. Segna) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Istituto G. Toniolo, La condizione giovanile in Italia (P.A. Viola) D. Di Cesare, Israele. Terra, ritorno, anarchia (A. Franzoni) . . . L. Gherardi, Le querce di Monte Sole (A. Righi, A. Deoriti) . . . G. Pressacco, L’arc di San Marc (M. Giardini) . . . . . . . . . . . . . . Il Regno -
attualità
2,43
2,44
2,45
4,115
4,116
6,187
22/2014
823
i
ndici
attualità 2014
E. Pace, Le religioni nell’Italia che cambia; M. Introvigne,
P.L. Zoccatelli, Enciclopedia delle religioni in Italia (D. Sala) . . www.dehondocs.it (M. Matté) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiavi di lettura. La fiera, i ragazzi, il religioso (M.E. G.) . . . . . . R. Franchini, Il secolo dell’orso (R. Franchini) . . . . . . . . . . . . . . . C. Giaccardi, M. Magatti, Generativi di tutto il mondo unitevi!
(G. Bernardelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . G. Cereti, Divorzio, nuove nozze e penitenza nella Chiesa primitiva
(G. Azzano) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Chiavi di lettura. Editoria religiosa, Francesco non basta
(G. Vigini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . A. Scola, Il mistero nuziale (G. Richi Alberti) . . . . . . . . . . . . . . D. Viganò, Telecamere su San Pietro (T. Subini) . . . . . . . . . . . . . . G. Tourn, I protestanti. 3. Una cultura (D. Segna) . . . . . . . . . . . L. Messinese, Né laico, né cattolico (T. Valentini) . . . . . . . . . . . . J.W. O’Malley, Trento. Il racconto del Concilio (M.T. Fattori) . . . R. Panikkar, P. Lapide, A. Kenntemich, Parliamo dello stesso Dio?
(G. Giavini) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . C. Gianotto, Giacomo, fratello di Gesù (P. Stefani) . . . . . . . . . . . C.C. Canta, Le pietre scartate. Indagine sulle teologhe in Italia
(S. Morra) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Tommaso D’Aquino, La somma teologica (D. Segna) . . . . . . . . . M. Ambrosini, D. Coletto, S. Guglielmi, Perdere e ritrovare il lavoro
(E. Caneva) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . M. Salvioli, L’invenzione del secolare (A. Franzoni) . . . . . . . . . . . Chiavi di lettura. Da cardinale e da papa (E. Corti) . . . . . . . . . . B.S. Gregory, Gli imprevisti della Riforma (D. Segna) . . . . . . . . . M. Orlandi, La terra è la mia preghiera (P. Stefani) . . . . . . . . . . . L. Girardi, A. Grillo, D.E. Viganò, Sacrosanctum Concilium,
Inter mirifica (S. Noceti, R. Repole) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . F. Garelli, Famiglie; I. Ingrao, Amore e sesso ai tempi di papa
Francesco; A. Spadaro, La famiglia è il futuro
(M.E. Gandolfi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nati per leggere (S. Numico) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,188
6,189
8,243
8,257
10,339
10,340
10,340
12,412
12,413
14,483
14,484
14,484
16,580
16,580
16,581
16,582
18,649
18,650
18,650
20,724
20,725
22,792
22,793
22,793
Riletture
di Mariapia Veladiano
2,46
4,118
6,190
8,258
10,342
12,414
14,486
18,652
20,726
22,794
Profilo
Sören Kierkegaard, incursioni nella modernità. Dall’Esercizio
del cristianesimo suggestioni su un Cristo postmoderno
(M. Pohlmeyer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4,130
Liana Millu. Il libro custodito (P. Stefani) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,210
Giovanni Catti. Rinnovatore della catechesi e obiettore nato,
ma composto e mite (F. Pajer) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16,602
Parole delle religioni
di Piero Stefani
Mitezza sabbatica. Uno stile di vita dignitoso . . . . . . . . . . . . . . . . Tra sole e luna. Leopardi e Qoèlet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Udire la Parola scritta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 824
Il Regno -
attualità
22/2014
8,277
10,364
12,435
14,509
16,604
18,677
20,748
22,811
Sinodo e famiglia (P. Casi e P. Cilloni) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il questionario per il Sinodo mai arrivato (sig.ra Bernardi) . . . Divorziati: la prassi dell’ortodossia (M. Calandrino) . . . . . . . . . Lutti nel giornalismo (G. Brunelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Precisazioni ed errata corrige . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . In memoria di Nini Garsetti Calandrino (D. Tadiello) . . . . . . . . Separati, divorziati, risposati e… Viandanti
(Rete dei Viandanti) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Senza contare le donne e i bambini? Chi beatificare a Monte Sole
(G. Criveller) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il fidanzamento cristiano (V. Vigorelli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Scola, l’eucaristia, i divorziati (S. Bert) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Un ricordo di don Gallo (A. Tesauro) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4,142
6,214
6,214
6,214
10,366
12,437
I lettori ci scrivono
12,438
16,606
20,750
20,750
20,750
Io non mi vergogno del Vangelo
di Luigi Accattoli
Volumi recensiti
Sacra Scrittura, teologia (138 voll.); Pastorale, catechesi,
liturgia (195); Spiritualità (147); Storia della Chiesa (43);
Attualità ecclesiale (156); Filosofia (55); Storia, saggistica (70);
Politica, economia e società (102); Pedagogia, psicologia (70);
Ristampe (37) = 1.013 volumi.
Come un bambino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dal pertugio della nostra paura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Se l’ipocrisia avvelena gli affetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Provvidenza: mai soli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il giardino (orto) da coltivare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Scrutatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pagine di catrame . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Quando Gaudenzia ingrassa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Don Milani e le parole consumate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L’Osservatore delle donne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Due Marie. Il ruolo delle donne nella Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . .
Una Pasqua lontana. «Ricordati che devi risorgere» . . . . . . . . . .
Il succedersi delle generazioni. Saper incarnare i «segni
dei tempi» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Con tutto il cuore. L’irrisolta ambiguità della condizione umana
Come sé stessi. Dalla compassione nasce l’uguaglianza . . . . . . . .
Famiglia e fede. Ebrei per nascita, cristiani con il battesimo . . . . .
Dalla Bibbia alla vita. In tempo di crisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
La fede di Gesù ebreo. Per chi legge i Vangeli . . . . . . . . . . . . . . .
2,69
4,138
6,212
Gaudium magnum per i due papi. È quello che dico a chi
se ne dispiace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Ricchi di martiri. Che ci dice la vicenda dei certosini di Farneta . .
I miei quarant’anni al Regno. E la sua spinta ad andare al largo . .
Riuscirà Francesco? La scommessa della «riforma della Chiesa
in uscita missionaria» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Se Francesco «sfascia tutto»? A tu per tu con chi teme . . . . . . . . .
I gesti di Francesco. Perché i vescovi non lo seguono . . . . . . . . . .
«Questo papa non è una cima». Fenomenologia degli oppositori
Che fare con la preghiera. Se torna in piazza e si fa militante . . .
«Ma tu ti senti colpevole?». Le cento risposte dalle carceri . . . . . .
Che prende Bergoglio da Montini? Due parole d’ordine
e il testimone delle riforme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Colla, Rodano, Mazzolari e Barsotti. Così li ho ritrovati
a Vicenza a fine novembre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2,71
4,143
6,215
8,279
10,367
12,439
14,511
16,607
18,679
20,751
22,813
CEI - Annuncio e catechesi
La Parola cresce nella storia
Supplemento al n. 8 del 15 aprile 2014
I nuovi «Orientamenti per la catechesi»: nella Chiesa
di Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S8,283
Iniziazione cristiana: educare alla fede oggi (L. Bressan) . . . . . . S8,288
A partire dall’Evangelii gaudium: la catechesi dal popolo
di Dio (E. Castellucci) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . S8,294
Con la Caritas a Firenze
Lo stile cristiano oggi
Supplemento al n. 14 del 15 luglio 2014
Patristica - I primi secoli: humanitas e caritas. La prospettiva
dei padri della Chiesa (C. Curzel) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
– Mons. Merisi: in cammino verso Firenze (G. Merisi) . . . . . . .
Teologia - Missione della Chiesa: tra profezia e diaconia
(P. Coda) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Economia - Mercato e solidarietà: marginali in un mondo
globale? (A. Tantazzi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Chiesa - Tra pastorale e politica: i vescovi e l’Italia (G. Brunelli)
– Prospettive: carità, criterio fondativo (F. Soddu) . . . . . . . . . . . .
S14,514
S14,515
S14,520
S14,525
S14,529
S14,530
G IACOMO PANIZZA
La mafia sul collo
L’impegno della Chiesa per la legalità nella pastorale
pp. 152 - € 12,00
L
e frasi vigorose pronunciate contro i mafiosi da Giovanni Paolo II e da papa
Francesco e gli omicidi di don Pino Puglisi a Palermo e di don Peppe Diana a Casal
di Principe ribadiscono un’urgenza non più rinviabile: vincere l’indifferenza e la paura
educandoci ed educando all’onestà e alla trasparenza. Un compito che chiede alla società
di organizzarsi con pratiche attive della legalità e alla Chiesa di sperimentare interventi
corali e una pastorale adeguata.
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Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna
Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299
Enchiridion
Vaticanum. 28
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l 2012 dà avvio all’Anno della fede, a
cinquant’anni dal Vaticano II, con il
sinodo sulla nuova evangelizzazione. Tra
i documenti contenuti nel volume: l’esortazione apostolica Ecclesia in Medio Oriente,
gli interventi della Congregazione per la
dottrina della fede sull’associazione delle
religiose USA, gli Orientamenti per la
promozione delle vocazioni sacerdotali, le
norme per adeguare il sistema finanziario
del Vaticano agli standard internazionali,
la riforma di alcuni organismi della Curia.
pp. 1500 - € 48,00
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