Il mercato come formazione sociale, rilevanza giuridica degli status

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Il mercato come formazione sociale, rilevanza giuridica degli status
CAPITOLO PRIMO
Il mercato come formazione sociale,
rilevanza giuridica degli status
e principio di uguaglianza
SOMMARIO: 1. Il mercato come formazione sociale e il suo collegamento con il contratto
e l’impresa. – 2. Meritevolezza, esigenze dell’impresa e tutela dei diritti fondamentali. –
3. Fonti dei contratti d’impresa e diritti fondamentali. – 4. Analogia e principio di uguaglianza. – 5. Squilibrio di potere contrattuale e limitazioni dell’autonomia privata. – 6.
L’emersione degli status: contraente “forte” e contraente “debole”.
1. Il mercato come formazione sociale e il suo collegamento con il contratto e l’impresa
La nascita del mercato viene tradizionalmente indicato come un passaggio
fondamentale della storia dell’uomo, il punto di passaggio dal medio evo all’età
moderna, l’evento che determina il sorgere della borghesia; è il momento in cui
gli abitanti del feudo lasciano i propri feudatari per incontrarsi e scambiare i
propri beni prodotti in eccedenza: vengono fondate nuove città ed inizia a cir1
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colare il denaro . In economia si intende per mercato il luogo deputato allo
svolgimento degli scambi; secondo un’altra definizione il mercato è il punto di
1
M. BLOCK, La società feudale, Milano, 1984, 471.
N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, 67, secondo cui il mercato è un luogo, anche solo figurativamente inteso, in cui si realizzano scambi organizzati: è dunque un
locus artificialis che non potrebbe esistere senza un nucleo di regole che in qualche modo lo
conformino. Il mercato sarebbe locus artificialis e non naturalis perché “fatto con l’arte del
legiferare”. Prevarrebbe dunque l’aspetto giuridico della regolamentazione su quello socioeconomico dell’aggregazione spontanea e della necessità di commerciare. Sembra tuttavia
che sia più rispondente alla realtà ritenere che entrambi gli aspetti possano e debbano convivere; N. IRTI, Concetto giuridico di mercato e dovere di solidarietà, in Riv. dir. civ., 1997, I,
185, secondo cui il mercato è il luogo degli scambi in cui ogni parte dà in quanto e perché
riceve.
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Mercato e diritti fondamentali
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incontro della domanda e dell’offerta , cioè degli acquirenti e dei venditori .
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Forte è il collegamento tra mercato e impresa secondo Libertini . Si è infatti
imprenditori se la propria attività è destinata allo scambio e quindi al mercato
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(cfr. art. 2082) : sottolinea Gambino che l’intero sistema del diritto commer8
ciale è oggi centrato su due pilastri, quelli dell’impresa e del mercato .
È inoltre evidente – sottolinea Buonocore – lo stretto collegamento tra con9
tratto e mercato, tale da determinare un condizionamento reciproco .
Non vi è peraltro coincidenza tra il contratto di scambio e il mercato, in
quanto il mercato racchiude senz’altro lo scambio ma ha in sé anche qualcosa
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di più .
Ha qualcosa di più innanzitutto perché il mercato non è destinato all’incontro di domanda e offerta per i soli contratti di scambio ma anche per quelli che
comportano un fare: si pensi ad una gara di appalto, che determina la creazione di un mercato dei potenziali appaltatori tutti desiderosi di accaparrarsi il
soggetto appaltante. Ma il mercato è più dello scambio anche e soprattutto
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Scrive Oppo che “è il contratto che deve comporre domanda e offerta moralizzando il mercato”, ma ben si potrebbe parafrase questa affermazione sostenendo che è il mercato che deve
comporre domanda e offerta moralizzando il contratto (G. OPPO, Contratto e mercato, in Vario
diritto. Scritti giuridici, VII, Padova, 2005, 193).
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G. SANTINI, Il commercio: saggio di economia del diritto, Bologna, 1979, 23, giurista il quale
introduce la problematica economica come momento fondamentale del procedimento interpretativo del mercato. Secondo tale Autore inoltre l’esaltazione del mercato è rappresentata dal
commercio, che costituisce il momento del contatto dell’impresa con la clientela. Cfr. anche gli
economisti L. CAMPIGLIO, Mercato, prezzi e politica economica, Bologna, 1999, 19, il quale scrive
che il mercato è un meccanismo di coordinamento delle decisioni economiche e costituisce il
meccanismo per realizzare la migliore allocazione delle risorse; analogamente, R.H. COASE, Impresa, mercato, diritto, Bologna, 2006, 42, secondo cui le decisioni dei produttori e dei consumatori sono armonizzate dalla teoria dello scambio.
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G. SANTINI, Il commercio: saggio di economia del diritto, Bologna, 1979.
6
G. LIBERTINI, Il mercato. I modelli di organizzazione, in Trattato Galgano, III, L’azienda e il
mercato, Padova, 1979, 337 ss.
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Si rammenti l’acceso dibattito sull’imprenditore agricolo e circa la configurabilità dell’impresa
per conto proprio. Cfr. W. BIGIAVI, La professionalità dell’imprenditore, Padova, 1949, 123.
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A. GAMBINO, Impresa e società di persone, Torino, 2009, 2.
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V. BUONOCORE, Contratto e mercato, in Giur. comm., 2007, I, 384, secondo cui funzione del
mercato è quella di favorire l’incontro degli operatori e quindi la conclusione dei contratti, dunque il mercato è il luogo delle contrattazioni nel quale si intrecciano vari interessi che vanno adeguatamente tutelati; lo stesso Autore in un’altra sua opera (Contrattazione d’impresa e nuove
categorie contrattuali, Milano, 2000, 174) descrive il mercato come luogo d’incontro e di composizione di interessi di operatori e di utenti dei beni e dei servizi; analogamente
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G. AULETTA, Contratto e mercato: a proposito del III volume de “Il diritto civile” di C.M.
Bianca (Milano, 1984), in Quadrimestre, 1985, 289 e ora in Scritti giuridici, VIII, Milano, 2001,
227 ss.; G. AULETTA, Un saggio di economia del diritto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 1080,
ora in Scritti giuridici, VIII, Milano, 2001, 81.
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perché vi sono delle persone umane che possono recarsi al mercato, scambiarsi
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delle idee, informarsi – più o meno bene – e non comprare o vendere nulla .
In effetti, secondo il giurista inglese Goode, se è vero che nel diritto commer12
ciale è centrale il ruolo del contratto , se tale diritto si basasse su una serie di
contratti bilaterali non collegati tra loro rimarrebbe un bambino gracile. Ciò
che gli ha dato forza è stato il mercato organizzato, il luogo fisico di incontro –
e in tempi più recenti la rete di comunicazione elettronica – con le sue regole
associative, le sue occasioni per far conoscere i venditori agli acquirenti ed i finanziatori a chi prende a prestito il denaro, il clima di fiducia o meno che vi si
respira al suo interno 13. Scrive poi Guido Rossi che il mercato è sede naturale
di un vastissimo bargaining, cioè di una contrattazione continua, che va oltre la
contrattazione giuridica e le sue regole e che è fra l’altro costituita da una serie
di pratiche informali, dove c’è molto disordine e i contratti e la loro vincolatività sono valutati solamente per la loro efficacia ai fini del raggiungimento di un
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determinato scopo economico . Aggiunge Oppo che è il mercato che in qual11
Peraltro non tutti gli scambi avvengono tramite un mercato, quand’anche si tratti di bene economicamente rilevanti e quand’anche il prezzo oggetto della compravendita corrisponda a quello
di “mercato”. Si pensi alla vendita al proprio vicino di casa del proprio appartamento senza che esso sia mai offerto in vendita al pubblico tramite un cartello o un annuncio sul giornale.
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Rileva Galgano, nel sottolineare la centralità del contratto e dell’autonomia contrattuale
nel codice civile (F. GALGANO, Il contratto nell’economia globale, in Contr. impr., 2007, 732), che
sia nella nostra dottrina che nella nostra giurisprudenza quando si parla di negozio giuridico si
pensa fondamentalmente al contratto. Esso è in effetti uno strumento indispensabile per l’esercizio dell’attività di impresa (sia essa esercitata da un singolo imprenditore o organizzata in forma
societaria) ed è dunque, da sempre, tradizionalmente materia di interesse del diritto commerciale. Mediante la conclusione di contratti infatti l’impresa non solo realizza profitti (si pensi al contratto di vendita avente ad oggetto il bene prodotto dall’impresa), ma anche si procura i c.d. fattori della produzione, ovverosia capitale e lavoro (mediante contratti di mutuo e di lavoro) e organizza la propria attività di produzione o scambio (si pensi ai contratti con i quali costruisce la
rete di distribuzione dei propri prodotti – ad esempio alla concessione di vendita). I contratti
oggetto di studio da parte del diritto commerciale possono dare vita – e cui normalmente danno
vita – non solo gli imprenditori, ma anche altri soggetti giuridici (ad esempio professionisti intellettuali, consumatori, associazioni). In diritto commerciale i contratti vengono però esaminati
nella particolare ottica dell’impresa. Si studiano pertanto i contratti generalmente stipulati da
quest’ultima (con la sola eccezione dei contratti di lavoro nell’ambito dell’impresa, che sono oggetto di studio da parte del diritto del lavoro), sia quelli che per essere conclusi hanno bisogno
necessariamente di un’organizzazione d’impresa (come i contratti bancari e assicurativi, ove una
parte è appunto sempre un’impresa bancaria o assicurativa) sia quelli che possono essere conclusi anche da un non imprenditore. Ma ci si soffermerà altresì e dapprima sull’incidenza, per l’atteggiarsi del contratto, dello status di imprenditore nel caso in cui questi, proprio in virtù della
sua qualifica soggettiva, disponga nei confronti dell’altro contraente di un maggior potere contrattuale. In tali casi infatti la legge predispone una serie di misure a tutela della parte debole.
13
R. GOODE, Il diritto commerciale del terzo millennio, trad. it. di J. D’Almeida, Milano,
2003, 72.
14
G. ROSSI, Diritto e mercato, in Riv. soc., 1998, 14, analogamente anche G. ROSSI, Antitrust
e teoria della giustizia, in Riv. soc., 1995, 10.
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Mercato e diritti fondamentali
che modo deve comporre domanda e offerta, e mercato vuol dire gli uomini
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che lo animano, nei loro bisogni e sentimenti .
In ogni caso sempre più oggi si mette in risalto la circostanza che il mercato
può anche essere un luogo vivo, dove non solo avvengono le contrattazioni ma
in cui delle persone fisiche si incontrano: il mercato può dunque legittimamente considerarsi una delle formazioni sociali ove si svolge la personalità dell’uo16
mo riconosciuta e tutelata dall’art. 2 Cost. .
2. Meritevolezza, esigenze dell’impresa e tutela dei diritti fondamentali
Scrive Buonocore che il mercato dà spazio alla libertà d’iniziativa e all’autonomia negoziale, la quale consente una normazione sperimentale flessibile,
che nasce dall’evoluzione economica, la favorisce e corrisponde in tal modo
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alla storia e alla vocazione del diritto commerciale .
In effetti, quando il contratto ha un contenuto tale da non poter essere ricondotto a nessun modello contrattuale tipizzato dalla legge, viene qualificato
come atipico, ed è disciplinato unicamente dalle norme sui contratti in generale. Ciò è possibile in virtù del co. 2 dell’art. 1322 c.c., norma che consente di
concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché essi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Proprio la pratica dei commerci, la necessità di individuare nuovi strumenti
di mobilizzazione della ricchezza, di distribuzione delle merci, di finanziamento delle imprese il più possibile rispondenti alle esigenze dei tempi moderni,
hanno stimolato le imprese ad ideare e a mettere in atto nuovi strumenti contrattuali “atipici” (si pensi ai contratti di leasing, factoring, merchandising).
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G. OPPO, Contratto e mercato, Vario diritto. Scritti giuridici, VII, Padova, 2005, 193; G.
OPPO, Codice civile e mercato, Principi e problemi del diritto privato. Scritti giuridici, VIII, Milano, 2001, 227.
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Cfr. in questo senso F. PIZZOLATO, Mercato e istituzioni logiche a confronto, in Impresa & Stato, 2001, n. 55, 78, secondo cui il principio personalistico, accolto nella Costituzione, soprattutto
negli artt. 2 e 3, co. 2, muove dall’idea di uomo situato, che sviluppa cioè la sua personalità aderendo ad una serie progressiva di formazioni sociali, culminanti nella società politica (storicamente
incarnata dallo Stato), avente per fine, diretto o sussidiario, la generalità dei bisogni umani (il bene
comune). Tradizionalmente, anche i giuristi maggiormente legati a tale impostazione non inseriscono il mercato tra le formazioni sociali, in cui tutt’al più rientra l’impresa, in quanto si vede nel
mercato non un luogo di socialità nel senso comunitario del termine, bensì un luogo di conflittualità, di concorrenza mossa da finalità di tipo individualistico. Il mercato era pertanto ridotto, in tali
teorie, ad arena degli imprenditori. Fatti recenti dimostrano però come il funzionamento del mercato dipenda non dai soli meccanismi di produzione e di profitto, bensì da un clima relazionale di
fiducia, che rivela la pluralità dei soggetti presenti nel mercato e la loro ineludibile interdipendenza.
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V. BUONOCORE, Contratto e mercato, in Giur. comm., 2007, I, 384.
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Questo significa che è l’impresa, anche a seguito dell’evolversi delle tecnologie,
dell’allargamento dei mercati, della delocalizzazione della produzione, ad aver
determinato la nascita di nuovi modelli contrattuali. Ed è soprattutto importante sottolineare che la giurisprudenza, nel valutare positivamente la meritevolezza degli interessi perseguiti da questi contratti, motiva le sue decisioni facendo riferimento alle esigenze dell’impresa. Pertanto, poiché i diritti costituzionali al diritto di iniziativa economica (di cui all’art. 41 Cost.) e al lavoro (di
cui agli artt. 1 e 4 Cost.) sono indissolubilmente legati all’impresa, è proprio il
fatto che il contratto risponda alle necessità di quest’ultima ad attribuire meritevolezza al contratto stesso e a giustificare la sua protezione da parte dell’ordinamento giuridico 18. La legge infatti riconosce tutela giurisdizionale (ossia per18
Cfr. ad esempio T.A.R. Veneto, Venezia, sez. I, 6 novembre 2008, n. 3451, secondo cui il
contratto di avvalimento contemplato dall’art. 49, d.lgs. n. 163 del 2006 è un contratto atipico
assimilabile al mandato, per mezzo del quale – e nell’ambito dell’autonomia contrattuale che il
nostro ordinamento garantisce alle parti ai sensi dell’art. 1322 c.c. nella qui assodata meritevolezza degli interessi perseguiti in quanto l’impresa ausiliaria pone a disposizione dell’impresa
partecipante alla gara la propria azienda, intesa notoriamente quale complesso di beni organizzato per l’esercizio delle attività di impresa (cfr. art. 2555 c.c.); Trib. Roma, 30 luglio 2004, secondo cui il rapporto di garanzia tra banca ed Enasarco, indipendentemente dal “nomen iuris” attribuito dalle parti, deve qualificarsi giuridicamente come contratto autonomo di garanzia (assimilabile alla figura del “performance bond” elaborata dal diritto anglosassone), negozio atipico
che ha superato anche nel nostro ordinamento il giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. in
quanto diretto ad assicurare al beneficiario della garanzia il conseguimento di una prestazione
eguale o equivalente a quella dovuta dal debitore principale, trasferendo sul garante il rischio
dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento del garantito; Cass., S.U., 1° ottobre 1987, n.
7341, in Foro it., 1988, 103, in cui si è affermato che la clausola con la quale il fideiussore si impegni a soddisfare il creditore su semplice richiesta del medesimo, senza la possibilità di eccepire
l’eventuale adempimento del debitore garantito, configura una valida espressione di autonomia
negoziale, che assegna alla fideiussione carattere di atipicità, in deroga al principio dell’accessorietà, ma che non fa venir meno la connessione fra il rapporto fideiussorio e quello principale;
Cass. 28 ottobre 1983, n. 6390, secondo cui il leasing, contratto con il quale una parte (produttore o terzo acquirente, a seconda che si tratti di “leasing operativo” o “leasing finanziario”), dietro
corrispettivo di un canone periodico determinato in relazione al recupero del prezzo ed al conseguimento di un utile, concede il godimento di un bene all’altra, con facoltà di questa, alla scadenza del termine fissato, di restituirlo ovvero di acquistarlo per una specificata somma residua,
integra un contratto atipico avente ad oggetto il trasferimento della disponibilità della cosa per
un periodo di tempo determinato, e tendente ad esaurire le proprie finalità produttive e finanziarie nell’ambito del periodo stesso, la cui scadenza è caratterizzata dal quasi totale venir meno
dell’utilità economica della cosa medesima. Peraltro, l’atipicità di tale contratto, e la circostanza
che l’ordinamento prevede figure negoziali tipiche idonee ad assicurare finalità simili (locazione,
mutuo, vendita con riserva di proprietà), non ostano a che il contratto stesso trovi tutela giuridica, quale espressione del principio dell’autonomia negoziale fissato dall’art. 1322 c.c., in considerazione della peculiarità e rilevanza degli interessi che esso persegue, specie con riferimento a
soggetti muniti della qualità d’imprenditore, e ravvisabili nel reddito che una parte trae dall’investimento di capitali, in termini brevi e con garanzie obiettive, nonché nella possibilità dell’altra
di acquisire la disponibilità di un bene senza l’immobilizzo dell’intera somma occorrente all’acquisto. In effetti, per i tipi contrattuali non previsti dall’ordinamento, si ritiene che il giudizio di
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Mercato e diritti fondamentali
mette a una parte di ricorrere al giudice per far accertare l’inadempimento dell’altra e per farla condannare al risarcimento del danno, e consente altresì di
ottenere la vendita forzata dei beni del debitore) ai contratti atipici in ragione
della posizione di assoluto rilievo dell’impresa nell’ordinamento giuridico.
La Suprema Corte però di recente, accanto al criterio della rispondenza alle
esigenze dell’impresa, ha individuato anche in un’adeguata tutela dei diritti
fondamentali un criterio decisivo per il riconoscimento della meritevolezza del
contratto. È stato così affermato che i controlli insiti nell’ordinamento positivo
relativi all’esplicazione dell’autonomia negoziale, coincidenti con la meritevolezza di tutela degli interessi regolati convenzionalmente e con la liceità della
causa, devono essere in ogni caso parametrati ai superiori valori costituzionali
previsti a garanzia degli specifici interessi, ivi compreso quello contemplato
dall’art. 2 Cost. (che tutela i diritti involabili dell’uomo e impone l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà) 19.
La giurisprudenza, quando è chiamata a giudicare in ordine ad un contratto
atipico, in assenza di una completa predisposizione del regolamento contrattuale ad opera delle parti, si trova spesso di fronte alla necessità di individuare
delle norme di altri contratti tipici per assicurare comunque una soluzione alla
questione che gli è stata sottoposta: l’art. 12, co. 2, delle preleggi stabilisce infatti che, se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo a quelle che regolano casi simili o materie analoghe. Capita
però spesso che la norma individuata sia relativa ad un contratto non diretto a
soddisfare esattamente le stesse esigenze che le imprese volevano perseguire e
che la soluzione adottata dalla giurisprudenza risulti pertanto limitativa o comunque non del tutto soddisfacente: si determina così la spinta per il legislatore a predisporre un’apposita disciplina per il contratto atipico (che a quel punto non sarà più atipico ma diventerà tipico).
In particolare le imprese possono concludere particolari contratti atipici,
denominati “misti”, che sono il frutto della combinazione di due o più contratti tipici (ad esempio il contratto di albergo è misto di locazione, contratto
cui all’art. 1322, co. 2, secondo una giurisprudenza di merito ormai risalente (App. Milano, 29
dicembre 1970, in Foro pad., 1971, I, 277, nonché Trib. Milano, 14 gennaio 1985, in Banca borsa
tit. cred., 1986, II, 173) si risolve in una valutazione ai sensi della quale non occorre che gli interessi siano “contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, ma basta che non
si prestino ad essere armonicamente integrati nella tavola dei valori dell’ordinamento”, che poi si
risolve appunto in una conformità alle esigenze delle imprese.
19
Cass. 19 giugno 2009, n. 14343, secondo cui è nulla la clausola di un contratto di locazione
nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, siccome confliggente proprio con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso
l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia
all’interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto
formazione sociale, o con l’esplicazione di rapporti di amicizia.
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d’opera e deposito); altri inoltre non si esauriscono in un contratto tipico o nella somma di più contratti tipici ma contengono in più anche un qualcosa di
non tipizzato (si pensi alla concessione di vendita, che è una somministrazione
caratterizzata da un particolare elemento, l’integrazione, che rende molto più
stretti i legami tra produttore e distributore); è infine possibile che alcuni contratti siano tipizzati solo in parte, che la loro disciplina riguardi cioè solo alcuni
aspetti (è il caso ad esempio del franchising, la cui legge 6 maggio 2004, n. 129,
regola pressoché esclusivamente gli obblighi di informazione).
La dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato due criteri per individuare
le norme applicabili ai contratti misti, quello dell’assorbimento e quello della
combinazione 20.
Il criterio dell’assorbimento determina l’integrale applicazione della disciplina del tipo principale: il contratto deve dunque essere assoggettato alla disciplina unitaria del contratto prevalente (e la prevalenza si determina in base
ad indici economici o all’interesse che ha mosso le parti), salvo che gli elementi
dell’altro contratto siano compatibili con quelli del contratto prevalente, dovendosi in tal caso procedere, per assicurare il maggior rispetto possibile dell’autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), al criterio della integrazione delle discipline relative alle diverse cause negoziali che si combinano nel contratto.
Così ad esempio, secondo la giurisprudenza, il contratto avente ad oggetto sia
la concessione dell’uso di un immobile, dietro pagamento di un canone, sia altre prestazioni consistenti nell’erogazione di servizi alberghieri e di ristorazione, costituisce contratto atipico misto, al quale, in base alla teoria dell’assorbimento – che privilegia la disciplina dell’elemento in concreto prevalente – può
applicarsi la disciplina dell’appalto di servizi 21.
Il criterio della combinazione – che viene chiamato in causa solo quando il
primo non sia utilizzabile – consiste invece nell’applicazione delle regole che
meglio si attagliano al singolo elemento contrattuale.
In tema di trasporto marittimo è stata così adottata la teoria della combinazione: dalle norme previste dalla Convenzione internazionale per l’unificazione
20
Cfr. P. PERLINGERI, Il diritto dei contratti fra persona e mercato, Napoli, 2003, 392; A. LUI contratti tipici e atipici, Milano, 1995, 104.
21
Cass. 12 maggio 2008, n. 11656, secondo cui in tema di contratto misto (nella specie, di
vendita e di appalto), la relativa disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme
del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria
dell’assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi,
che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l’ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente; Cass. 8 febbraio 2006, n. 2642, secondo cui il contratto
avente ad oggetto sia la concessione dell’uso di un immobile, dietro pagamento di un canone, sia
altre prestazioni consistenti nell’erogazione di servizi alberghieri e di ristorazione, costituisce contratto atipico misto, al quale può applicarsi la disciplina dell’appalto di servizi, in base alla teoria
dell’assorbimento, che privilegia la disciplina dell’elemento in concreto prevalente.
MINOSO,
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di alcune regole in materia di polizza di carico, firmata a Bruxelles il 25 agosto
1924 e modificata dai Protocolli del 1968 e del 1979 (complesso normativo denominato comunemente Regole dell’Aja-Visby), si evince che l’oggetto di disciplina di tale Convenzione è il contratto di trasporto per mare, che comprende come momento iniziale le attività preliminari al carico delle merci (cosiddetta operazione di carico) e come momento finale lo scarico delle merci nel porto
di arrivo, senza che abbia luogo, dopo lo scarico, lo svolgimento di un’attività
ulteriore di trasporto e, quindi, con esclusione di un trasporto via terra in un
luogo diverso dal porto stesso. Pertanto, in difetto di accordo convenzionale
delle parti estensivo dell’applicazione della Convenzione, è stato escluso che
un contratto di trasporto che preveda, oltre al tratto compreso fra il carico e lo
scarico, tratti di trasporto anteriori o successivi, possa ritenersi regolato dalla
Convenzione (in particolare quanto alle limitazioni di responsabilità). Il problema dovrà allora essere risolto sulla base del criterio della combinazione delle discipline, di modo che il rapporto resta soggetto alla disciplina della Convenzione soltanto per la tratta compresa fra le dette operazioni mentre, per le
fasi anteriori e successive, rimane regolato dalla disciplina applicabile al tipo di
trasporto diverso da quello marittimo 22.
Una volta assicurata l’osservanza delle norme imperative, la giurisprudenza
appare dunque molto sensibile all’esigenza di garantire per quanto possibile il
rispetto dell’originaria e genuina volontà delle parti, in ossequio al rispetto del
principio della libertà di iniziativa economica.
Ancora più forte però è l’incidenza dei valori costituzionali quando i contratti sono stipulati nell’esercizio dell’impresa.
I contratti propri dell’impresa costituiscono infatti uno strumento fondamentale di un’economia capitalista quale è quella dell’Italia, nazione che, secondo gli artt. 1 e 41, co. 1, Cost., è “fondata sul lavoro” (e sono soprattutto le
imprese che offrono il lavoro alle persone) e in cui “l’iniziativa economica privata è libera” (e dunque le imprese sono libere di scegliere cosa produrre o distribuire, di organizzare il proprio lavoro, di vendere i propri beni o servizi, e
per far questo si servono di contratti).
La prospettiva dell’impresa è stata dunque sempre considerata indispensabile nello studio dei contratti, tanto da aver sempre meritato un’apposita trattazione nei manuali di diritto commerciale, che si affianca a quella propria dei
manuali di diritto privato, dedicati sia allo studio dei contratti in generale (artt.
1322-1469-bis c.c.), sia allo studio dei singoli contratti in particolare (artt.
22
Cfr. Cass. 6 giugno 2006, n. 13253; cfr. anche Cass. 24 luglio 2007, n. 16315, secondo cui il
contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” (c.d. “pacchetto turistico” o “package”, disciplinato attualmente dagli artt. 82 ss. del d.lgs. n. 206 del 2005 – c.d. “codice del consumo”), si caratterizza per la prefissata combinazione di almeno due degli elementi rappresentati dal trasporto, dall’alloggio e da servizi turistici agli stessi non accessori (itinerario, visite, escursioni con accompagnatori e guide turistiche, ecc.).
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1470-1986 c.c., oltre ad eventuali leggi speciali, quali quelle che disciplinano il
contratto di subfornitura – legge 18 luglio 1998, n. 192 – e quello di franchising
– legge 6 maggio 2004, n. 129).
Tuttavia, la manualistica del diritto commerciale non sempre compie lo
sforzo di mettere in luce fino in fondo le particolarità dei contratti derivanti dal
fatto di essere conclusi da un’impresa. Così ad esempio, difficilmente viene
messo in luce il diverso grado di valutazione della diligenza nell’adempimento
delle obbligazioni contrattuali derivante dal fatto che l’imprenditore è un debitore professionale (art. 1176, co. 2, c.c.) e ancora difficilmente viene evidenziato che sono le esigenze dell’impresa non solo a determinare la creazione di
nuovi modelli contrattuali ma anche ad incidere positivamente nella valutazione della meritevolezza del contratto, in ragione della posizione di grande rilievo che ha l’impresa nel nostro ordinamento costituzionale.
I contratti delle imprese inoltre da un lato assumono un rilievo costituzionale in quanto funzionali rispetto all’obiettivo primario del raggiungimento del
diritto al lavoro e della libera esplicazione dell’iniziativa economica; dall’altro
però incontrano un limite nel rispetto dei diritti fondamentali. Ove invece il
contratto non sia riconducibile ad un’impresa, cade l’ancoraggio costituzionale
al diritto al lavoro e residua solo la libertà di iniziativa economica, con la conseguenza che la valutazione di compatibilità del contratto alla stregua dei diritti
fondamentali non potrà che essere più rigida e severa.
3. Fonti dei contratti d’impresa e diritti fondamentali
I contratti d’impresa, sia tipici che atipici, sono disciplinati da un certo numero di norme dettate dall’ordinamento giuridico (che a loro volta possono
distinguersi in inderogabili e derogabili) e da altre frutto dell’autonomia privata (cosiddette norme convenzionali, che cioè si danno le parti), in virtù del disposto del co. 1 dell’art. 1322 c.c., secondo cui le parti possono liberamente
23
determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge .
Pur se in misura ridotta rispetto a quelli tipici, anche i contratti atipici sono
pur sempre disciplinati da un significativo numero di norme giuridiche che hanno rango di legge ordinaria (tali sono quelle sui contratti in genere contenute nel
codice civile – artt. 1321 ss. c.c. – ma non solo: si pensi alla disciplina delle clausole vessatorie contenuta nel codice del consumo, che è applicabile a qualsiasi
contratto) che, quando hanno carattere imperativo, prevalgono sulle clausole
contrattuali eventualmente difformi. Ad esempio, in un contratto di franchising,
la clausola in virtù della quale la prescrizione dell’azione di annullamento del
23
N. IRTI, Autonomia privata e forma di Stato (intorno al pensiero di Hans Kelsen), in Riv. dir.
civ., 1994, I, 15 ss.
Mercato e diritti fondamentali
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contratto per dolo dell’affiliante si prescrive in tre anni sarebbe nulla per contrarietà con la norma, avente carattere imperativo, in base alla quale tale azione si
prescrive in cinque anni (art. 1442 c.c.). Pertanto, sia nel caso dei contratti atipici
sia in quelli tipici, è possibile individuare la stessa gerarchia delle fonti che disciplina il contratto: al primo posto vengono le leggi ordinarie che hanno carattere
imperativo, poi le clausole stabilite dalle parti, poi ancora le leggi ordinarie che
hanno carattere dispositivo e infine gli usi e l’equità (art. 1374 c.c.): l’autonomia
delle parti incontra dunque un limite nelle norme imperative, spesso poste a presidio di diritti fondamentali della persona 24.
L’impresa pertanto da un lato gode di un particolare favore quanto alla valutazione della meritevolezza degli interessi perseguiti e quindi alla possibilità
di ideare nuovi strumenti contrattuali quando gli stessi siano funzionali alle esigenze dell’impresa, ma dall’altro è pur sempre assoggettata alle norme imperative che l’ordinamento giuridico pone a salvaguardia di diritti fondamentali,
quali ad esempio la salvaguardia dell’utilità sociale e della dignità umana (art.
41, co. 2, Cost.).
Quanto agli usi, deve segnalarsi che in materia di contratti d’impresa riveste
un ruolo assai significativo la c.d. lex mercatoria, ovverosia gli usi che si sono
sviluppati nelle contrattazioni internazionali: si tratta di un insieme di regole
osservate con convinzione di cogenza dai commercianti, a prescindere dal vincolo della loro appartenenza ad uno Stato o dall’ubicazione della loro attività
in uno Stato 25 e che secondo Alpa potrebbe divenire la base per un diritto con26
trattuale e commerciale europeo uniforme . Secondo alcuni giuristi tale diritto
24
Cfr. Cass. 5 agosto 2004, n. 15101, secondo cui la violazione di norme imperative spesso si
traduce nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona.
25
Cfr. ad esempio G. ALPA, Il bicentenario del code de commerce e le prospettive del diritto
commerciale, in Nuova giur. civ. comm., 2007, II, 303. Secondo la Cassazione la lex mercatoria è
rappresentata da un insieme di regole osservate con convinzione di cogenza dai menzionati operatori, a prescindere dal vincolo della loro appartenenza ad uno stato e/o dall’ubicazione della loro
attività in uno stato (Cass. 8 febbraio 1982, n. 722, in Giust. civ., I, 1579. Cfr. F. GALGANO, Lex
Mercatoria. Storia del diritto commerciale, Bologna, 1993, 4, secondo cui la lex Mercatoria è quel
complesso sistema di modelli contrattuali uniformi che, attraverso una fitta rete di clausole standard, di regole e di pratiche, di condizioni generali e di contratti tipo, rappresenta il fondamentale
punto di riferimento normativo per tutta una serie di rapporti economici rilevanti a livello internazionale. Talvolta la giurisprudenza tende a ricondurre la lex mercatoria ad un criterio assimilabile alla consuetudine (Cass. 8 febbraio 1982, n. 722), parlando di un diritto fondato su di una
spontanea adesione degli operatori economici ai valori del proprio ambiente, a prescindere dal
vincolo della loro appartenenza ad uno Stato. Secondo un’altra autorevole opinione (N. LIPARI,
Fonti del diritto e autonomia dei privati (spunti di riflessione), in Riv. dir. civ., 2007, 727), la lex
mercatoria non è riconducibile ad un consenso generalizzato, ma semmai a determinazioni unilaterali (ovvero concordate in ambiti soggettivi limitati), espressioni di poteri di conformazione dei
quali sono muniti soltanto alcuni privati in ragione della loro posizione di forza economica.
26
G. ALPA, Un codice europeo dei contratti: quali vie di uscita?, in I contratti, 2007, 842, il
quale nota che negli ultimi tempi l’entusiasmo per un “codice civile” è un po’ sfumato.
Il mercato come formazione sociale
17
porterebbe ad una maggiore certezza circa la legge applicabile ai rapporti internazionali e conseguentemente consentirebbe il risparmio dei conseguenti
costi transattivi. Si tratta innanzitutto di costi determinati dall’acquisizione delle informazioni necessarie per effettuare la scelta della legge applicabile e
quindi adattare ad essa la redazione del contratto che si vuole concludere; costi
determinati dal contenzioso giudiziale derivante dall’applicazione di regole
proprie di diversi sistemi giuridici; costi dipendenti dal fatto che i contratti sono esposti all’incertezza della mutevolezza continua del diritto contrattuale appartenente a diversi sistemi; costi derivanti dal sistema di amministrazione della giustizia che cambia di paese in paese 27. È stato conseguentemente affermato
che solo la lex mercatoria sarebbe in grado di sopperire alle esigenze economi28
che del mercato , anche se non mancano coloro i quali hanno invece eviden29
ziato i punti deboli di tale disciplina . Della lex mercatoria è stata fatta dall’istituto Unidroit (che è un’organizzazione internazionale indipendente che si
pone come scopo di uniformare e modernizzare fra gli Stati il diritto privato e
30
in particolare quello commerciale e dei contratti ) una raccolta organica, chia27
Cfr. G. WAGNER, The virtus of diversity in European private law, in J. SMITS (a cura di),
The need for a European contract law. Empirical and legal perspectives, Groningen-Amsterdam,
2005, 14; H. WAGNER, Economic analysis of cross-border legal uncertainty: the example of the
European union, in J. SMITS (a cura di), The need for a European contract law. Empirical and legal
perspectives, Groningen-Amsterdam, 2005, 44.
28
Cfr. ad esempio F. GALGANO, La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2005.
29
Non vi sarebbero infatti prove che le differenze tra i sistemi nazionali di diritto contrattuale e le regole del diritto commerciale siano dannose per gli scambi economici, né d’altra parte
risulterebbe che gli operatori economici se ne siano mai lamentati (cfr. in questo senso R. GOODE, Contract and Commercial law: the logic and limits of harmonitation, in International contract
law. Various aspects of transnational contract law, 2003, Anversa-Oxford, 2004). Le differenze semmai rileverebbero quando le leggi nazionali impongono regole imperative, ma tali sono solo
quelle di attuazione del diritto comunitario, che invece sono, per definizione, uguali per tutti gli
Stati membri. Un codice unico europeo presupporrebbe un background sociale, culturale ed economico comune a tutti gli Stati, ma questo tessuto connettivo non esiste (cfr. N. IRTI, Nichilismo giuridico, Roma-Bari, 2004, 46, secondo cui la codificazione di un diritto contrattuale europeo si porrebbe in conflitto con i diritti locali, finendo per esplicitare venature autoritarie e antipluraliste; S. RODOTÀ, Il codice civile e il processo costituente europeo, in Riv. crit. dir. priv., 2005,
3). Vi è inoltre il problema della lingua: la traduzione implica scelte di natura concettuale. Ben
difficilmente inoltre si potrà realizzare un consenso unanime sulla redazione di un testo di diritto
contrattuale uniforme. Per di più il rischio di un’armonizzazione “forzata” è di privare i contraenti della varietà della scelta fra i vari sistemi nazionali: si tratterrebbe cioè del venir meno di una
risorsa importante quale è la c.d. “concorrenza fra ordinamenti”, che sta a cuore a molti studiosi
di diritto comparato (A. ZOPPINI (a cura di), La concorrenza tra ordinamenti giuridici, BariRoma, 2004). Si finirebbe per appiattire in un unico linguaggio burocratico, in un testo annacquato e scialbo, la densità e la pregnanza di tradizioni secolari e di sistemi dinamicamente vivaci
(AA.VV., Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto, trad. it. di A. Colombi
Ciacchi, in Riv. crit. dir. priv., 2005).
30
Cfr. L. CAVALAGLIO, La formazione del contratto, Milano, 2006, 196, secondo cui volutamen-
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Mercato e diritti fondamentali
mata “Principi dei contratti commerciali internazionali”: l’idea fondamentale
di tali “Principi unidroit” è che il comportamento delle parti durante l’intero
ciclo vitale del contratto, compresa la fase delle trattative, deve conformarsi al
principio della buona fede, che a sua volta in Italia si fonda pacificamente sul
31
dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. . Tali principi, oltre a costituire come detto una raccolta degli usi esistenti a livello internazionale, sono spesso
presi a modello da vari legislatori nazionali (non ancora dall’Italia) al momento
di redigere le nuove discipline sui contratti; inoltre ad esso spesso si ispirano i
privati appartenenti a differenti Paesi quando devono redigere contratti intercorrenti tra di loro, e ad essi altrettanto spesso si rimettono quando investono
degli arbitri per la risoluzione delle loro controversie.
L’illustrazione dei singoli contratti contenuta nei manuali di diritto privato
e di diritto commerciale è sempre effettuata mediante una collocazione degli
stessi entro determinate categorie, quali ad esempio quelle dei contratti “di
scambio”, “di distribuzione”, “di godimento”, “di prestito”, “per la prestazione di servizi” “aleatori”, “di garanzia”, “bancari”. Si deve però tenere presente
che solo quest’ultima categoria è fatta propria dal legislatore: “dei contratti
bancari” è infatti il titolo del capo diciassettesimo del libro quarto del codice
civile, dove sono raggruppati una serie di contratti in cui almeno una delle parti sia una banca; peraltro, anche per alcuni nuovi contratti sorge il dubbio se
essi possano o meno essere considerati come bancari. Tutte le altre classificazioni sono state elaborate dalla dottrina e non sempre coincidono, dal momento che una determinata categoria può contenere in un manuale alcuni contratti
e in un altro manuale degli altri, o essere addirittura assente 32. Questo si spiega
te i c.d. contratti con il consumatore risultano esclusi dall’ambito di applicazione dei Principi unidroit in relazione alla forte caratterizzazione imperativa di tale normativa che si contrapporrebbe
inevitabilmente con l’idea fondamentale dei Principi unidroit che è quella della libertà contrattuale.
31
Cfr. Cass. 10 novembre 2010, n. 22819.
32
Cfr. G. OPPO, I contratti d’impresa, tra codice civile e legislazione speciale, in Riv. dir. civ.,
2004, 841 ss., secondo cui, in tema di contratti d’impresa, la distinzione forse oggi più rilevante è
da farsi in termini per così dire soggettivi, tra contratti tra imprenditori e consumatori da un lato
e contratti tra imprenditori inter se dall’altro: contratti unilateralmente e bilateralmente imprenditoriali; A. DALMARTELLO, voce “Contratti d’impresa”, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988,
secondo cui è possibile distinguere, nell’ambito dei contratti d’impresa tra contratti necessariamente d’impresa in quanto almeno uno dei due contraenti deve rivestire la qualifica di imprenditore (come nel caso dei contratti bancari e assicurativi), ed altri che possono essere conclusi anche tra soggetti entrambi non imprenditori: si parla in tal caso di contratti eventualmente d’impresa. Per quest’ultimi contratti, onde evitare sovrapposizioni rispetto a quanto già si studia in
diritto privato, si cercherà soprattutto di evidenziare le peculiarietà della disciplina determinate
dalla circostanza che almeno uno dei contraenti sia un imprenditore: lo status soggettivo del contraente determina in molti casi l’applicazione di una certa disciplina; e così, ad esempio, ai contratti conclusi tra un imprenditore e un consumatore (e non anche a quelli in cui nessuna delle
due parti sia un imprenditore) è applicabile il codice del consumo, e, solo in subordine, in virtù
dell’art. 1469-bis c.c., la disciplina dei contratti in genere di cui al codice civile.
Il mercato come formazione sociale
19
perché i contratti svolgono spesso più funzioni contemporaneamente e quindi
essi, in base alla funzione considerata più significativa, possono essere collocati
in una o in un’altra categoria. In particolare vi sono alcuni contratti, quali il
leasing e il factoring, che, a seconda delle clausole che contengono, si atteggiano in maniera così diversa da rendere qualsiasi loro collocazione limitativa, se
non addirittura fuorviante.
Tuttavia spesso l’inserimento di un contratto in una determinata categoria si
pone un obiettivo più ambizioso, quello di evidenziare delle caratteristiche comuni così significative da individuare una eadem ratio e conseguentemente permettere un’applicazione in via analogica di norme all’interno della categoria. Ad
esempio l’inserimento del contratto di concessione di vendita nella categoria dei
contratti di distribuzione insieme al contratto di agenzia può essere diretto a sottolineare l’identità di ratio tra i due contratti ai fini di motivare un’applicabilità
in via analogica dell’art. 1751 c.c. in tema di agenzia (relativo all’indennità dovuta alla fine del rapporto dal preponente all’agente) alla concessione di vendita.
Deve in particolare evidenziarsi che sempre più frequentemente la giurisprudenza e la dottrina fanno ricorso all’analogia, istituto che, per quanto riguarda l’individuazione di un’identità di ratio tra due situazioni di fatto relativamente alle quali ci si interroga circa la possibilità di applicare una medesima
norma, affonda le sue radici in un diritto fondamentale quale è il principio di
uguaglianza sostanziale.
4. Analogia e principio di uguaglianza
La funzione del procedimento analogico è quella di colmare le lacune del33
l’ordinamento positivo . Per procedere all’applicazione in via analogica di una
norma, occorre che vi sia identità di ratio, che la norma non abbia carattere ec34
cezionale e che sussista un vuoto normativo . Con riferimento a quest’ultimo
Altra distinzione che viene fatta dalla dottrina (R. CALVO, Contratti e mercato, Torino, 2006)
è quella tra “contratti del mercato” e “contratti civili”, volendosi indicare con i primi quelli conclusi tra imprenditori o tra un professionista e un consumatore (contratti ai quali si applicano le
norme a tutela del contraente “debole” e con i secondi quelli tra non imprenditori (contratti ai
quali si applica solo il codice civile). La parola “mercato” all’interno dell’espressione “contratti
del mercato” rischia però di creare degli equivoci. Infatti, anche i contratti civili vengono conclusi
all’interno di un mercato: si pensi ad esempio all’acquisto, da un non imprenditore, di un attico
in un bel quartiere nella città di Roma da destinarsi ad uso abitativo, acquisto effettuato da un
soggetto anch’egli non imprenditore. Si tratta di una compravendita al quale non si applicano
certo le norme del codice del consumo, ma che pure si inserisce a pieno titolo in un mercato,
quello costituito dalle domande e dalle offerte di abitazioni di pregio nella città di Roma.
33
Cfr. in questo senso già N. BOBBIO, L’analogia nella logica del diritto, Torino, 1939, 103; da
ultimo N. LIPARI, Le fonti del diritto, Milano, 2008, 216.
34
Cfr. ad esempio così F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, 14a ed., Napoli, 2009, 49.