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What management is: spunti di riflessione La disciplina del management è stata ampiamente studiata in ogni parte del mondo, dando origine nel corso degli anni ad una cospicua produzione scientifica, comprendente testi e saggi di assoluta pregnanza1, ma anche scritti di natura specialistica, come guide e libri tecnici, nella maggior parte dei casi diretti a proporre, ad esempio, ricette in grado di condurre al successo, decaloghi di attività o di competenze che i manager dovrebbero imparare a svolgere, oppure metodi e strumenti presentati come idonei in circostanze specifiche, a volte particolari, se non anche improbabili. Il management ha così assunto connotazioni e ruoli diversi, divenendo inevitabile una certa confusione, tanto che alla domanda “che cos’è il management?” non si sa bene cosa rispondere. Si tende quasi sempre ad associarlo esclusivamente al mondo aziendale, ma occorre ricordare che “l’impresa non fu la prima istituzione a essere guidata secondo le regole del management”, essendo tali tecniche consolidatesi attraverso l’istituzione dell’esercito al tempo delle guerre napoleoniche. Se si ripensa alla storia dell’uomo, è possibile affermare che “i manager sono sempre esistiti”2. A questo interrogativo, che peraltro non trova facile soluzione, hanno cercato di fornire una risposta Joan Magretta e Nan Stone nel saggio dal titolo Management scientifico: come funziona e perché riguarda tutti (edito da Egea, Milano, 2004), traduzione italiana di What management is (The Free Press, Division of Simon & Schuster, Inc., 2002). E proprio in relazione al titolo sorge una prima riflessione, originata dal desiderio di comprendere il motivo alla base del cambiamento dell’intitolazione dalla versione originale rispetto a quella in lingua italiana. Da una prima lettura la versione inglese potrebbe sembrare più calzante rispetto alla traduzione italiana, essendo il libro volto a “presentare una visione coerente della disciplina nel suo complesso” (p. 10), esaminando i concetti fondamentali del management, tramite esempi di persone e aziende reali3. Tuttavia, a seguito di un’accurata lettura del lavoro, si ritiene meditato ed appropriato il cambiamento, dettato probabilmente dal voler evidenziare che questo non è una guida utile a spiegare “come vanno fatte le 1 2 3 Cfr., ad esempio, Drucker P.F., The practice of management, Harper & Brothers, New York, 1954 e Mintzberg H., Management, Garzanti, Milano, 1991. Cfr. Drucker P.F., Frontiere del management, Etas Libri, Milano, 1987, p. 279. Le Autrici presentano i concetti fondamentali del management “attraverso i successi e i fallimenti di aziende reali, passate e presenti” (p. 11), quali General Electric, eBay, Dell, Wal-Mart, American Express, Kodak e altre ancora. Non mancano, tuttavia, i riferimenti ai personaggi che hanno guidato le varie imprese verso esiti positivi o negativi, quali, rispettivamente, Jack Welch, Meg Whitman, Michael Dell, Sam Walton, J.C. Fargo, George Eastman, ecc. sinergie n. 69/06 300 WHAT MANAGEMENT IS: SPUNTI DI RIFLESSIONE cose”, magari attraverso una check list, ma è un saggio, volto a comprendere “il perché sottostante [delle cose] tanto alla teoria quanto alla pratica del management” (p. 10). Tutto ciò a sottolineare la natura dualistica del management stesso, inteso quindi come scienza sociale e come pratica quotidiana, aspetti che ogni giorno interagiscono reciprocamente. A sostegno di tale ipotesi è anche il fatto che il libro non è rivolto solo ai manager, ma ad un pubblico di lettori più vasto. Nelle 246 pagine di testo, le Autrici tracciano lo stato dell’arte del management, suddividendo il saggio in due parti: - - comprendere i motivi che spingono le persone a lavorare insieme e in quale modo è l’obiettivo della prima parte, volta a chiarire lo scopo della disciplina del management (capp. 1-4); rendere operativi i contenuti del management, cercando di “trasformare la visione in realtà”, è il fine della seconda (capp. 5-9). In base a tale impostazione vengono analizzati nei primi quattro capitoli i seguenti concetti fondamentali: - la creazione di valore, definita come “principio animatore del management moderno e sua principale responsabilità” (p. 21), il modo per poterlo creare, descritto dai modelli di business, che consentono perciò di comprendere e gestire il sistema che crea valore, la strategia, che permette di comprendere come differenziarsi da alternative concorrenti per ottenere risultati eccellenti, l’organizzazione e le linee che il management dovrebbe tracciare (e poi ridisegnare) per “trasformare la complessità e la specializzazione in risultati”. Dal capitolo 5 al 9, invece, viene presentata la parte operativa del management, che comprende i seguenti “must”: - - - attribuire significato ai numeri, imparando a potenziare la propria “capacità di fare i conti”, concretizzare gli scopi dell’impresa, traducendo la missione in azioni e in risultati (p. 138), conseguibili attraverso criteri di valutazione di volta in volta ritenuti appropriati, imparare a saper investire e innovare, “per dar vita al futuro” (p. 15), cercare di conseguire gli obiettivi, concentrandosi sui compiti cruciali in base alle priorità, facendo in modo che tutti li possano comprendere e condividere per agire in modo sinergico, e infine, ma non meno importante, gestire le persone, impegnando le energie e i talenti dei singoli individui, dando una significativa rilevanza ai valori, quali, in primis, fiducia e rispetto. ANGELO BONFANTI 301 Da tale sintetico quadro, il testo di Magretta-Stone potrebbe sembrare l’ennesimo libro sul management, scritto da due stimate consulenti interessate a diffondere le proprie idee sulla disciplina e a far conoscere i successi e i fallimenti di alcune imprese4. Annualmente vengono pubblicati su tale tema numerosi testi, ma la maggior parte di essi “è incentrata su un’unica idea, una tessera del puzzle del management osservato in profondità, ma anche in modo isolato e spesso fuori dal contesto” (p. 9). Da queste pubblicazioni “Management scientifico” si distanzia, non tanto introducendo nuovi concetti o teorie in grado di incrementare con significativi contributi lo sviluppo delle conoscenze sul management, quanto piuttosto fornendo un quadro d’insieme sulla disciplina volto a fare il punto della situazione sulle formulazioni teoriche del passato che ancor oggi risultano valide e significative. È noto come tutti i principi esaminati nel testo, dalla creazione di valore ai modelli di business, alla strategia e all’organizzazione, costituiscano importanti strumenti a disposizione delle imprese per ottenere vantaggio competitivo e conseguire successo. Ma cosa rappresenta il successo? Si può affermare che è un concetto complesso: “non [è] un fenomeno assoluto, definibile a priori, o suscettibile di verifica oggettiva”5, non è determinabile in modo chiaro e compiuto. Per di più il suo significato ha assunto molteplici significati, nel senso che esso può essere considerato sotto diversi punti di vista, quali quello dell’impresa6, dell’imprenditore e/o del manager7. In effetti, si può ritenere di avere ottenuto il successo perché: 4 5 6 7 8 9 si sono raggiunti risultati considerevoli, acquisendo un maggior profitto rispetto a quello prefissato o un’elevata quota di mercato, si è conquistato maggiore potere o prestigio rispetto ai concorrenti all’interno della comunità in cui si opera8, si è riusciti a rendere longeva l’impresa nella quale e per la quale si lavora9. Joan Magretta ha vinto il premio McKinsey nel 1998 per il migliore articolo in HBR, effettuando un’intervista a Michael Dell, scrive regolarmente sulla Harvard Business Review ed è partner della Bain & Company. Nan Stone, Ph.D., è stata editor di Harvard Business Review per quindici anni e attualmente è partner di BridgespanGroup. Cfr. Consorti A., Il successo dell’azienda, Giappichelli, Torino, 1994, p. 1. Sui presupposti dell’eccellenza imprenditoriale si può vedere Peters T.J., Waterman R.H.J., Alla ricerca dell’eccellenza, Sperling & Kupfer, Milano, 1984. L’imprenditore o il manager non sono i soli responsabili del successo (o del fallimento) di un’azienda, in quanto tutti coloro che operano al suo interno concorrono alla sua possibile ascesa verso l’eccellenza. E il successo individuale non sempre è dato dalle proprie capacità e competenze, ma anche dal sostegno e dalla fiducia che altri ripongono giorno dopo giorno nel lavoro altrui, permettendo di aspirare a risultati più positivi. Sullo stretto legame tra aspirazione al successo e svolgimento di un’attività imprenditoriale cfr. MC Clelland D.C., “Achieved motivation can be developed”, Harvard Business Review, n. 6, 1995. Si rinvia a Sciarelli S., Economia e gestione dell’impresa, Cedam, Padova, 1997 per la trattazione sulla teoria del «successo sociale». Cfr. Giaretta E., Vitalità e longevità d’impresa. L’esperienza delle aziende ultracentenarie, Giappichelli, Torino, 2004. 302 WHAT MANAGEMENT IS: SPUNTI DI RIFLESSIONE E da ciò si è comunemente portati a comprendere come esso non sia identificabile solo col fine economico, come si pensa, poiché lo stesso “fine economico si trasforma in un mezzo per il raggiungimento anche di obiettivi morali e sociali”10. Tornando alla validità dei fondamentali del management, è rilevante sottolineare la scelta delle Autrici di trattare tali principi avvalendosi non solo di formulazioni teoriche e astratte, ma anche di presentare storie di aziende, passate e presenti, al fine di permettere al lettore di comprendere e valutare meglio quanto proposto in via teorica11. Nonostante l’approccio adottato nel testo sia a volte essenziale e sintetico, peraltro coerente con le finalità prefissate, le Autrici presentano alcuni temi senza esplorarli a fondo nel libro stesso, temi di interesse anche per approfondimenti di ricerca, quali: 1. l’utilità di associare ai tratti distintivi del manager quelli dell’imprenditore, soprattutto nelle realtà italiane in cui non sempre sono presenti manager, 2. la crescente esigenza di recuperare i valori di fronte ad uno stato di dilagante diffidenza, 3. il legame inscindibile tra la dimensione qualitativa e quantitativa della disciplina del management. Tali stimoli di riflessione sono singolarmente esaminati nel seguito del lavoro. 1. L’utilità di associare ai tratti distintivi dell’imprenditore quelli del manager, soprattutto nelle realtà italiane in cui non sempre sono presenti manager Nell’attuale scenario evolutivo in cui agiscono molteplici aziende, due parole impongono sempre più la loro rilevanza: complessità e incertezza. Che l’impresa sia un sistema complesso e che operi in un ambiente anch’esso complesso è un concetto ormai consolidato in letteratura12, così come è indubbio che “il futuro è incerto per definizione” (p. 159). L’instabilità dominante e la velocità del cambiamento incalzano la produzione di innovazioni e, di conseguenza, all’impresa conviene 10 11 12 Cfr. Sciarelli S., Economia e gestione dell’impresa, Cedam, Padova, 1997, p. 93. Così scriveva uno dei padri della ragioneria: “solo la teoria sa attribuire coerenza alla massa informe e mutevole dei fatti, sa agevolarne l’intendimento e la stessa metodica osservazione: spesso l’occhio nudo non vede quanto già impresso nella nostra mente” (cfr. Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese - I, Giuffrè, Milano, 1956). D’altro canto, però, “la «bontà delle teorie» deve essere verificata alla luce della «realtà degli accadimenti», contemperando i presupposti teorici con la ricerca sul campo” (cfr. la prefazione a Masini C., Lavoro e Risparmio, Utet, Torino, 1970). Tra gli altri, cfr.: Golinelli, L’approccio sistemico al governo dell’impresa, Cedam, Padova, 2000; Vicari S., “Il management post-industriale è cominciato. Anzi, è già finito”, Economia & Management, n. 4, 1996; Rullani E., “La teoria dell’impresa: soggetti, sistemi, evoluzione”, in Rispoli M. (a cura di), L’impresa industriale: economia, tecnologia, management, Il Mulino, Bologna, 1989. ANGELO BONFANTI 303 adottare un atteggiamento attivo, se non anche pro-attivo. Dal suo punto di vista, il vertice aziendale non può porsi in atteggiamento di attesa13, ma deve cercare di agire per tenersi al passo col mutamento, tenendo “un occhio fisso sull’orizzonte e l’altro sulla posizione attuale” (p. 159). Per svolgere le proprie attività in modo innovativo, il vertice aziendale dovrebbe poter contare su competenze: - imprenditoriali, quali ad esempio la capacità di sognare, intuire e ascoltare, lasciandosi guidare anche dal rischio e dall’incertezza14, manageriali, come ad esempio l’attitudine a progettare, organizzare e reperire risorse in modo efficiente ed efficace. Tali competenze dovrebbero essere accostate le une alle altre soprattutto nelle piccole e medie imprese italiane, in cui esiste un imprenditore, ma non in tutte è presente la figura del manager, a differenza delle realtà americane, in cui, invece, è evidente il ruolo cruciale del management, come presentato anche da MagrettaStone. Con ciò non si vuole affermare che, ad esempio, i manager non svolgano le azioni dell’imprenditore o che non siano sorretti da tali attitudini, ma che in loro esse appaiono meno sviluppate rispetto ai tratti tipicamente manageriali15. 2. La crescente esigenza di recuperare i valori di fronte ad uno stato di dilagante diffidenza “Sentiamo parlare ogni giorno di comportamenti scorretti da parte di politici e pubbliche autorità, ospedali e commissioni di esame, aziende e scuola. Ne deriva la sensazione di una generale crisi di fiducia”16, crisi peraltro estremamente attuale 13 14 15 16 Un atteggiamento di attesa è però consigliabile per fermarsi, riflettere e oziare in modo creativo. Per approfondimenti sul tema dell’ozio creativo si rimanda a De Masi D., Ozio creativo, Rizzoli, Milano, 2003; può anche essere utile consultare il sito http://www.managerzen.it/, ricco di articoli e contributi su numerosi temi di rilevanza scientifica. A volte, può essere conveniente abbandonare strade vecchie per intraprendere nuovi orizzonti, anche se questi risultano instabili e incerti. Ricercare, tuttavia, un modo per voler eliminare, o per lo meno ridurre, la complessità e l’incertezza non è certamente possibile, ma probabilmente non sarebbe nemmeno conveniente, poiché è tramite la loro presenza che il mondo cambia e si creano “opportunità per creare valore” (p. 184). In tal senso, “il cambiamento è essenziale, difficile, ma può anche rappresentare una sfida eccitante. Restituisce la carica, spezza la monotonia e la routine. È una forma per esprimere il massimo del proprio potenziale e una fonte d’energia e d’impulso. Cambiamento è sinonimo di crescita”. Cfr. D’Egidio F., Il change management, FrancoAngeli, Milano, 1990, p. 18. Sul parallelo tra attitudini manageriali e profili imprenditoriali cfr. Baccarani C., Brunetti F., Dalla penombra alla luce. Un saggio sul cinema per lo sviluppo manageriale, Giappichelli, Torino, 2003, pp. 97 e ss. Cfr. O’Neill O., Una questione di fiducia, Vita e pensiero, Milano, 2003, p. 36. 304 WHAT MANAGEMENT IS: SPUNTI DI RIFLESSIONE anche nel mondo delle imprese, dopo le recenti cadute di Enron e Arthur Andersen o gli scandali Cirio e Parmalat. Ciò accade quando si agisce in base ad un esclusivo tornaconto personale, per cui interessi individuali, opportunismo, paura, disonestà e mancanza di rispetto sono solo alcune delle variabili in grado di alimentare il circolo vizioso della sfiducia, che conduce lontano dalla collaborazione, il cui antecedente è invece la fiducia17. Così il management fatica ad ottenere risultati, poiché è tramite gli altri, attraverso la loro spontanea cooperazione, che può raggiungere gli obiettivi prefissati. Infatti, “i risultati dipendono dalla collaborazione, dal lavoro di squadra, dalla volontà delle persone di dedicare il proprio talento e il massimo impegno a qualcosa di più grande di loro. Risolvere la tensione fra individuo e azienda è al cuore del lavoro manageriale. Per riuscirvi, si ricorre sempre più spesso” (p. 211): - ai valori, ossia a quei principi guida che indicano a tutti (e in tal senso è importante la condivisione) “per che cosa vale la pena impegnarsi”, alla fiducia di base “che li lascia liberi di impegnarsi”, al rispetto per gli individui “che riconosce l’unicità del loro contributo al tutto”. E tra i possibili valori in grado di contenere la sfiducia si possono considerare l’umiltà, l’ascolto, il rispetto, la chiarezza e il coinvolgimento18. In tale ottica, per poter dirigere l’azienda il management potrà e dovrà contare sulla disciplina e su un certo grado di coraggio, ma “forse più di tutto gli si richiede profonda fiducia in un futuro migliore” (p. 163). 3. Il legame inscindibile tra la dimensione qualitativa e quantitativa della disciplina del management “Compito fondamentale del management sta nell’integrare perfettamente in un unico insieme” (p. 209) due diversi ambiti: quello qualitativo e quello quantitativo, rappresentato il primo dagli uomini, ossia dagli studi condotti, ad esempio, sulla leadership, sul comportamento organizzativo e sulla business idea, mentre il secondo sui numeri, ossia sull’analisi di bilanci e di business plan. È opportuno sottolineare come i numeri rappresentino un efficace strumento a sostegno della dimensione non solo quantitativa, ma anche qualitativa, e come la loro conoscenza sia essenziale e interessi ogni aspetto della gestione aziendale. Le numerose e rapide informazioni oggi a disposizione dei manager rendono i numeri spesso incomprensibili, al punto tale da sembrare oggetto di esclusiva pertinenza di specialisti19. E a volte chi li deve trattare viene da essi intimorito, ma 17 18 19 Cfr. Luhmann N., La fiducia, Il Mulino, Bologna, 2002, il quale afferma che “la completa mancanza di fiducia impedirebbe perfino di alzarsi dal letto il mattino” (p. 4). Cfr. Baccarani C., “How to measure and expel distrust in the organisational relationship?”, Revue Marocaine de commerce et de gestion, n. 1, 2005. Spesso i numeri infondono tranquillità, “conferendo dignità scientifica al lavoro”, ma “il numero con i modelli che lo raccolgono non può che esprimere una realtà parziale e oltretutto già superata nel momento in cui la valutiamo”. Cfr. Baccarani C., Diario di ANGELO BONFANTI 305 “la vera abilità sta nell’attribuire significato ai numeri, non nel calcolarli” (p. 128). Così per non perdersi in essi, si può ricorrere all’uso degli strumenti di misurazione, che consentono di “tradurre gli elementi qualitativi in quantitativi” 20, e così ridurre quel gap generato dal trattare gli aspetti qualitativi della disciplina del management. I numeri rappresentano un modo per comprendere il livello di performance raggiunto, ma “non vivono di vita propria. Riassumono il comportamento di persone reali che compiono azioni reali” (p. 131). Le imprese “prosperano o decadono non tanto per ragioni economiche, «di numeri» (i cicli economici, i cambiamenti strutturali possono quasi sempre essere affrontati e superati), quanto per problemi di persone, di rapporti tra soci, tra aziende e famiglie, di vicende extra-aziendali, di successioni, di riconoscimenti inadeguati dei meriti dei collaboratori e relativo turnover, di relazioni con i cosiddetti stakeholder”21. Da quanto presentato, è possibile comprendere la molteplicità di stimoli che Management scientifico offre ai suoi lettori. Del resto, l’obiettivo, anche ambizioso, di voler “presentare una visione coerente della disciplina nel suo complesso” (p. 10) fa emergere l’ampiezza dei temi trattati e la conseguente possibilità di meditare, oltre che sui concetti esposti, sulle storie delle imprese presentate, che si prestano efficacemente a discussione. Al riguardo, per esempio, sì è notato che i fondamentali del management sembrano essere gli stessi di diversi anni fa, mentre il panorama in cui l’impresa si trova ad operare è notevolmente mutato. E allora sorge un dubbio: è possibile che tali principi siano rimasti «dinamicamente immutati», mentre ciò che è cambiato e muta di continuo sia solo il contesto? Mentre “tutto scorre”, rimangono valide le logiche e le teorie che sottostanno ai principi di base del management, quali la creazione di valore, i modelli di business, la strategia, l’organizzazione e le tante teorie e procedure che a queste nozioni si collegano (es. le scelte di make or buy, la legge di Moore e quella di Pareto, ecc.). Tali principi, pur essendo da tempo noti alla comunità scientifica e non, vengono ancora utilizzati dal management per raggiungere gli obiettivi prefissati e conseguire il successo aziendale, anche se, nella maggior parte dei casi, vengono adeguati al cambiamento in atto in base alle esigenze del divenire del nuovo contesto. Le sfide che il management si trova ogni giorno ad affrontare sono nuove e non è facile “inventarsi” modelli in grado di risolvere problemi o far superare eventuali momenti di difficoltà. In questa prospettiva, i fondamentali che hanno guidato le 20 21 viaggio sul treno che non va in nessun posto. Riflessioni per chi vive l’impresa, Giappichelli, Torino, 2005. “Riteniamo che qualsiasi misurazione sarà sempre una semplificazione della realtà, implicando un approccio analitico prezioso per accrescere la conoscenza, ma che occorre poi integrare per non perdere la visione d’insieme, completa (olistica) della realtà vera”. Cfr. Correale G., Penco C., “I numeri: conoscenza o lobotomia?”, Sistemi & Impresa, n. 1, 2003, p. 1. Sull’applicazione, e conseguente misurazione, delle pratiche qualitative occorre non dimenticare che “più una tecnica di ricerca è soft, più è difficile metterla in pratica”. Cfr. Yin R.K., Case study research, Thousand Oaks, 1984. Cfr. Correale G., Penco C., op. cit., p. 2. 306 WHAT MANAGEMENT IS: SPUNTI DI RIFLESSIONE imprese di un tempo possono essere considerati validi ancor oggi, adattandoli però ai cambiamenti in atto. Per questo motivo, risulta utile osservare la realtà, cercare di interpretare i segnali che vengono dall’esterno, tentando di anticiparli per poter dar vita al futuro. E in tale ottica, è opportuno non perdere, e quindi dimenticare, due componenti: la riflessione e la memoria, che consentono, rispettivamente, di fermarsi per abbandonare la routine di tutti i giorni e affrontare così la pressante fretta che guida lo svolgersi delle attività quotidiane, da un lato, e di tenere traccia del passato come fonte di identità, creatività, energia, fiducia e oggettività22, dall’altro. Ed è anche indispensabile allontanare la paura23, che frena chi si trova ai vertici dell’impresa, non riuscendo “a percepire, valutare e governare le variabili competitive” necessarie per raggiungere il successo. Obiettivo questo perseguibile solo attraverso i comportamenti che l’azienda stessa realizza, e che sono attuati da coloro che in e per essa operano. Tali atteggiamenti sono a loro volta guidati dai valori e, a livello più generale, dalla cultura presente all’interno dell’impresa. Si giunge così a dare importanza ad un fattore, sia interno sia esterno alla realtà aziendale: le persone, le quali non solo sono risorse, ma hanno anche risorse, come le competenze distintive, che permettono alle differenti imprese di poter portare o meno l’organizzazione ad eccellere. Del resto, le stesse Autrici affermano che “in realtà non abbiamo fatto altro che parlare di persone sin dall’inizio” (p. 209). Infatti, si è visto come i modelli di business raccontino storie in cui fondamentali sono i personaggi, i quali devono avere intuizioni per originare i modelli stessi, in grado poi di creare valore, riuscire ad accumulare conoscenze per migliorare le strategie e l’organizzazione dell’impresa, al fine di renderla più competitiva e prendere difficili decisioni per conseguire risultati e di conseguenza dar vita al futuro. Tuttavia, Magretta-Stone proseguono sostenendo che “la maggior parte delle persone è profondamente - e giustamente - contraria all’essere gestita. In effetti, la vera intuizione sulla gestione delle persone è che, alla fine, non vanno gestite affatto. Ottengono i risultati migliori coloro che hanno competenze sufficienti e tengono a quello che fanno tanto da gestirsi da soli” (p. 210). Il che merita immediatamente una provocatoria ipotesi: se le persone riescono attraverso l’auto-organizzazione a conseguire performance ottime o comunque soddisfacenti da sole, a cosa serve il management? E perché allora le Autrici hanno sentito il bisogno di scrivere un libro sul management? Ai lettori l’ardua sentenza. Angelo Bonfanti 22 23 Cfr. Brunetti F., “Corporate history in a managerial perspective”, The 10th World Congress for Total Quality Management - Quality into the 21st Century, University of Manitoba, Canada, 22-24 august 2005. Cfr. Ryan K.D., Oestreich D.K., Driving fear out of the workplace: creating the hightrust, high-performance organization, The Jossey-Bass, Business & Management Series, 1998.