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What management is: spunti di riflessione
La disciplina del management è stata ampiamente studiata in ogni parte del
mondo, dando origine nel corso degli anni ad una cospicua produzione scientifica,
comprendente testi e saggi di assoluta pregnanza1, ma anche scritti di natura
specialistica, come guide e libri tecnici, nella maggior parte dei casi diretti a
proporre, ad esempio, ricette in grado di condurre al successo, decaloghi di attività o
di competenze che i manager dovrebbero imparare a svolgere, oppure metodi e
strumenti presentati come idonei in circostanze specifiche, a volte particolari, se non
anche improbabili.
Il management ha così assunto connotazioni e ruoli diversi, divenendo
inevitabile una certa confusione, tanto che alla domanda “che cos’è il
management?” non si sa bene cosa rispondere. Si tende quasi sempre ad associarlo
esclusivamente al mondo aziendale, ma occorre ricordare che “l’impresa non fu la
prima istituzione a essere guidata secondo le regole del management”, essendo tali
tecniche consolidatesi attraverso l’istituzione dell’esercito al tempo delle guerre
napoleoniche. Se si ripensa alla storia dell’uomo, è possibile affermare che “i
manager sono sempre esistiti”2.
A questo interrogativo, che peraltro non trova facile soluzione, hanno cercato di
fornire una risposta Joan Magretta e Nan Stone nel saggio dal titolo Management
scientifico: come funziona e perché riguarda tutti (edito da Egea, Milano, 2004),
traduzione italiana di What management is (The Free Press, Division of Simon &
Schuster, Inc., 2002).
E proprio in relazione al titolo sorge una prima riflessione, originata dal
desiderio di comprendere il motivo alla base del cambiamento dell’intitolazione
dalla versione originale rispetto a quella in lingua italiana. Da una prima lettura la
versione inglese potrebbe sembrare più calzante rispetto alla traduzione italiana,
essendo il libro volto a “presentare una visione coerente della disciplina nel suo
complesso” (p. 10), esaminando i concetti fondamentali del management, tramite
esempi di persone e aziende reali3. Tuttavia, a seguito di un’accurata lettura del
lavoro, si ritiene meditato ed appropriato il cambiamento, dettato probabilmente dal
voler evidenziare che questo non è una guida utile a spiegare “come vanno fatte le
1
2
3
Cfr., ad esempio, Drucker P.F., The practice of management, Harper & Brothers, New
York, 1954 e Mintzberg H., Management, Garzanti, Milano, 1991.
Cfr. Drucker P.F., Frontiere del management, Etas Libri, Milano, 1987, p. 279.
Le Autrici presentano i concetti fondamentali del management “attraverso i successi e i
fallimenti di aziende reali, passate e presenti” (p. 11), quali General Electric, eBay, Dell,
Wal-Mart, American Express, Kodak e altre ancora. Non mancano, tuttavia, i riferimenti
ai personaggi che hanno guidato le varie imprese verso esiti positivi o negativi, quali,
rispettivamente, Jack Welch, Meg Whitman, Michael Dell, Sam Walton, J.C. Fargo,
George Eastman, ecc.
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cose”, magari attraverso una check list, ma è un saggio, volto a comprendere “il
perché sottostante [delle cose] tanto alla teoria quanto alla pratica del management”
(p. 10). Tutto ciò a sottolineare la natura dualistica del management stesso, inteso
quindi come scienza sociale e come pratica quotidiana, aspetti che ogni giorno
interagiscono reciprocamente. A sostegno di tale ipotesi è anche il fatto che il libro
non è rivolto solo ai manager, ma ad un pubblico di lettori più vasto.
Nelle 246 pagine di testo, le Autrici tracciano lo stato dell’arte del management,
suddividendo il saggio in due parti:
-
-
comprendere i motivi che spingono le persone a lavorare insieme e in quale
modo è l’obiettivo della prima parte, volta a chiarire lo scopo della disciplina
del management (capp. 1-4);
rendere operativi i contenuti del management, cercando di “trasformare la
visione in realtà”, è il fine della seconda (capp. 5-9).
In base a tale impostazione vengono analizzati nei primi quattro capitoli i
seguenti concetti fondamentali:
-
la creazione di valore, definita come “principio animatore del management
moderno e sua principale responsabilità” (p. 21),
il modo per poterlo creare, descritto dai modelli di business, che consentono
perciò di comprendere e gestire il sistema che crea valore,
la strategia, che permette di comprendere come differenziarsi da alternative
concorrenti per ottenere risultati eccellenti,
l’organizzazione e le linee che il management dovrebbe tracciare (e poi
ridisegnare) per “trasformare la complessità e la specializzazione in risultati”.
Dal capitolo 5 al 9, invece, viene presentata la parte operativa del management,
che comprende i seguenti “must”:
-
-
-
attribuire significato ai numeri, imparando a potenziare la propria “capacità di
fare i conti”,
concretizzare gli scopi dell’impresa, traducendo la missione in azioni e in
risultati (p. 138), conseguibili attraverso criteri di valutazione di volta in volta
ritenuti appropriati,
imparare a saper investire e innovare, “per dar vita al futuro” (p. 15),
cercare di conseguire gli obiettivi, concentrandosi sui compiti cruciali in base
alle priorità, facendo in modo che tutti li possano comprendere e condividere
per agire in modo sinergico,
e infine, ma non meno importante, gestire le persone, impegnando le energie e i
talenti dei singoli individui, dando una significativa rilevanza ai valori, quali, in
primis, fiducia e rispetto.
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Da tale sintetico quadro, il testo di Magretta-Stone potrebbe sembrare l’ennesimo
libro sul management, scritto da due stimate consulenti interessate a diffondere le
proprie idee sulla disciplina e a far conoscere i successi e i fallimenti di alcune
imprese4. Annualmente vengono pubblicati su tale tema numerosi testi, ma la
maggior parte di essi “è incentrata su un’unica idea, una tessera del puzzle del
management osservato in profondità, ma anche in modo isolato e spesso fuori dal
contesto” (p. 9). Da queste pubblicazioni “Management scientifico” si distanzia, non
tanto introducendo nuovi concetti o teorie in grado di incrementare con significativi
contributi lo sviluppo delle conoscenze sul management, quanto piuttosto fornendo
un quadro d’insieme sulla disciplina volto a fare il punto della situazione sulle
formulazioni teoriche del passato che ancor oggi risultano valide e significative.
È noto come tutti i principi esaminati nel testo, dalla creazione di valore ai
modelli di business, alla strategia e all’organizzazione, costituiscano importanti
strumenti a disposizione delle imprese per ottenere vantaggio competitivo e
conseguire successo. Ma cosa rappresenta il successo?
Si può affermare che è un concetto complesso: “non [è] un fenomeno assoluto,
definibile a priori, o suscettibile di verifica oggettiva”5, non è determinabile in modo
chiaro e compiuto. Per di più il suo significato ha assunto molteplici significati, nel
senso che esso può essere considerato sotto diversi punti di vista, quali quello
dell’impresa6, dell’imprenditore e/o del manager7. In effetti, si può ritenere di avere
ottenuto il successo perché:
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5
6
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si sono raggiunti risultati considerevoli, acquisendo un maggior profitto rispetto
a quello prefissato o un’elevata quota di mercato,
si è conquistato maggiore potere o prestigio rispetto ai concorrenti all’interno
della comunità in cui si opera8,
si è riusciti a rendere longeva l’impresa nella quale e per la quale si lavora9.
Joan Magretta ha vinto il premio McKinsey nel 1998 per il migliore articolo in HBR,
effettuando un’intervista a Michael Dell, scrive regolarmente sulla Harvard Business
Review ed è partner della Bain & Company. Nan Stone, Ph.D., è stata editor di Harvard
Business Review per quindici anni e attualmente è partner di BridgespanGroup.
Cfr. Consorti A., Il successo dell’azienda, Giappichelli, Torino, 1994, p. 1.
Sui presupposti dell’eccellenza imprenditoriale si può vedere Peters T.J., Waterman
R.H.J., Alla ricerca dell’eccellenza, Sperling & Kupfer, Milano, 1984.
L’imprenditore o il manager non sono i soli responsabili del successo (o del fallimento) di
un’azienda, in quanto tutti coloro che operano al suo interno concorrono alla sua possibile
ascesa verso l’eccellenza. E il successo individuale non sempre è dato dalle proprie
capacità e competenze, ma anche dal sostegno e dalla fiducia che altri ripongono giorno
dopo giorno nel lavoro altrui, permettendo di aspirare a risultati più positivi.
Sullo stretto legame tra aspirazione al successo e svolgimento di un’attività
imprenditoriale cfr. MC Clelland D.C., “Achieved motivation can be developed”,
Harvard Business Review, n. 6, 1995. Si rinvia a Sciarelli S., Economia e gestione
dell’impresa, Cedam, Padova, 1997 per la trattazione sulla teoria del «successo sociale».
Cfr. Giaretta E., Vitalità e longevità d’impresa. L’esperienza delle aziende
ultracentenarie, Giappichelli, Torino, 2004.
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E da ciò si è comunemente portati a comprendere come esso non sia
identificabile solo col fine economico, come si pensa, poiché lo stesso “fine
economico si trasforma in un mezzo per il raggiungimento anche di obiettivi morali
e sociali”10.
Tornando alla validità dei fondamentali del management, è rilevante sottolineare
la scelta delle Autrici di trattare tali principi avvalendosi non solo di formulazioni
teoriche e astratte, ma anche di presentare storie di aziende, passate e presenti, al
fine di permettere al lettore di comprendere e valutare meglio quanto proposto in via
teorica11.
Nonostante l’approccio adottato nel testo sia a volte essenziale e sintetico,
peraltro coerente con le finalità prefissate, le Autrici presentano alcuni temi senza
esplorarli a fondo nel libro stesso, temi di interesse anche per approfondimenti di
ricerca, quali:
1. l’utilità di associare ai tratti distintivi del manager quelli dell’imprenditore,
soprattutto nelle realtà italiane in cui non sempre sono presenti manager,
2. la crescente esigenza di recuperare i valori di fronte ad uno stato di dilagante
diffidenza,
3. il legame inscindibile tra la dimensione qualitativa e quantitativa della disciplina
del management.
Tali stimoli di riflessione sono singolarmente esaminati nel seguito del lavoro.
1. L’utilità di associare ai tratti distintivi dell’imprenditore quelli del manager,
soprattutto nelle realtà italiane in cui non sempre sono presenti manager
Nell’attuale scenario evolutivo in cui agiscono molteplici aziende, due parole
impongono sempre più la loro rilevanza: complessità e incertezza. Che l’impresa sia
un sistema complesso e che operi in un ambiente anch’esso complesso è un concetto
ormai consolidato in letteratura12, così come è indubbio che “il futuro è incerto per
definizione” (p. 159). L’instabilità dominante e la velocità del cambiamento
incalzano la produzione di innovazioni e, di conseguenza, all’impresa conviene
10
11
12
Cfr. Sciarelli S., Economia e gestione dell’impresa, Cedam, Padova, 1997, p. 93.
Così scriveva uno dei padri della ragioneria: “solo la teoria sa attribuire coerenza alla
massa informe e mutevole dei fatti, sa agevolarne l’intendimento e la stessa metodica
osservazione: spesso l’occhio nudo non vede quanto già impresso nella nostra mente”
(cfr. Zappa G., Le produzioni nell’economia delle imprese - I, Giuffrè, Milano, 1956).
D’altro canto, però, “la «bontà delle teorie» deve essere verificata alla luce della «realtà
degli accadimenti», contemperando i presupposti teorici con la ricerca sul campo” (cfr. la
prefazione a Masini C., Lavoro e Risparmio, Utet, Torino, 1970).
Tra gli altri, cfr.: Golinelli, L’approccio sistemico al governo dell’impresa, Cedam,
Padova, 2000; Vicari S., “Il management post-industriale è cominciato. Anzi, è già
finito”, Economia & Management, n. 4, 1996; Rullani E., “La teoria dell’impresa:
soggetti, sistemi, evoluzione”, in Rispoli M. (a cura di), L’impresa industriale: economia,
tecnologia, management, Il Mulino, Bologna, 1989.
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adottare un atteggiamento attivo, se non anche pro-attivo. Dal suo punto di vista, il
vertice aziendale non può porsi in atteggiamento di attesa13, ma deve cercare di agire
per tenersi al passo col mutamento, tenendo “un occhio fisso sull’orizzonte e l’altro
sulla posizione attuale” (p. 159).
Per svolgere le proprie attività in modo innovativo, il vertice aziendale dovrebbe
poter contare su competenze:
-
imprenditoriali, quali ad esempio la capacità di sognare, intuire e ascoltare,
lasciandosi guidare anche dal rischio e dall’incertezza14,
manageriali, come ad esempio l’attitudine a progettare, organizzare e reperire
risorse in modo efficiente ed efficace.
Tali competenze dovrebbero essere accostate le une alle altre soprattutto nelle
piccole e medie imprese italiane, in cui esiste un imprenditore, ma non in tutte è
presente la figura del manager, a differenza delle realtà americane, in cui, invece, è
evidente il ruolo cruciale del management, come presentato anche da MagrettaStone.
Con ciò non si vuole affermare che, ad esempio, i manager non svolgano le
azioni dell’imprenditore o che non siano sorretti da tali attitudini, ma che in loro
esse appaiono meno sviluppate rispetto ai tratti tipicamente manageriali15.
2. La crescente esigenza di recuperare i valori di fronte ad uno stato di dilagante
diffidenza
“Sentiamo parlare ogni giorno di comportamenti scorretti da parte di politici e
pubbliche autorità, ospedali e commissioni di esame, aziende e scuola. Ne deriva la
sensazione di una generale crisi di fiducia”16, crisi peraltro estremamente attuale
13
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15
16
Un atteggiamento di attesa è però consigliabile per fermarsi, riflettere e oziare in modo
creativo. Per approfondimenti sul tema dell’ozio creativo si rimanda a De Masi D., Ozio
creativo, Rizzoli, Milano, 2003; può anche essere utile consultare il sito
http://www.managerzen.it/, ricco di articoli e contributi su numerosi temi di rilevanza
scientifica.
A volte, può essere conveniente abbandonare strade vecchie per intraprendere nuovi
orizzonti, anche se questi risultano instabili e incerti. Ricercare, tuttavia, un modo per
voler eliminare, o per lo meno ridurre, la complessità e l’incertezza non è certamente
possibile, ma probabilmente non sarebbe nemmeno conveniente, poiché è tramite la loro
presenza che il mondo cambia e si creano “opportunità per creare valore” (p. 184). In tal
senso, “il cambiamento è essenziale, difficile, ma può anche rappresentare una sfida
eccitante. Restituisce la carica, spezza la monotonia e la routine. È una forma per
esprimere il massimo del proprio potenziale e una fonte d’energia e d’impulso.
Cambiamento è sinonimo di crescita”. Cfr. D’Egidio F., Il change management,
FrancoAngeli, Milano, 1990, p. 18.
Sul parallelo tra attitudini manageriali e profili imprenditoriali cfr. Baccarani C., Brunetti
F., Dalla penombra alla luce. Un saggio sul cinema per lo sviluppo manageriale,
Giappichelli, Torino, 2003, pp. 97 e ss.
Cfr. O’Neill O., Una questione di fiducia, Vita e pensiero, Milano, 2003, p. 36.
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anche nel mondo delle imprese, dopo le recenti cadute di Enron e Arthur Andersen o
gli scandali Cirio e Parmalat.
Ciò accade quando si agisce in base ad un esclusivo tornaconto personale, per
cui interessi individuali, opportunismo, paura, disonestà e mancanza di rispetto sono
solo alcune delle variabili in grado di alimentare il circolo vizioso della sfiducia, che
conduce lontano dalla collaborazione, il cui antecedente è invece la fiducia17. Così il
management fatica ad ottenere risultati, poiché è tramite gli altri, attraverso la loro
spontanea cooperazione, che può raggiungere gli obiettivi prefissati. Infatti, “i
risultati dipendono dalla collaborazione, dal lavoro di squadra, dalla volontà delle
persone di dedicare il proprio talento e il massimo impegno a qualcosa di più grande
di loro. Risolvere la tensione fra individuo e azienda è al cuore del lavoro
manageriale. Per riuscirvi, si ricorre sempre più spesso” (p. 211):
-
ai valori, ossia a quei principi guida che indicano a tutti (e in tal senso è
importante la condivisione) “per che cosa vale la pena impegnarsi”,
alla fiducia di base “che li lascia liberi di impegnarsi”,
al rispetto per gli individui “che riconosce l’unicità del loro contributo al tutto”.
E tra i possibili valori in grado di contenere la sfiducia si possono considerare
l’umiltà, l’ascolto, il rispetto, la chiarezza e il coinvolgimento18.
In tale ottica, per poter dirigere l’azienda il management potrà e dovrà contare
sulla disciplina e su un certo grado di coraggio, ma “forse più di tutto gli si richiede
profonda fiducia in un futuro migliore” (p. 163).
3. Il legame inscindibile tra la dimensione qualitativa e quantitativa della
disciplina del management
“Compito fondamentale del management sta nell’integrare perfettamente in un
unico insieme” (p. 209) due diversi ambiti: quello qualitativo e quello quantitativo,
rappresentato il primo dagli uomini, ossia dagli studi condotti, ad esempio, sulla
leadership, sul comportamento organizzativo e sulla business idea, mentre il secondo
sui numeri, ossia sull’analisi di bilanci e di business plan.
È opportuno sottolineare come i numeri rappresentino un efficace strumento a
sostegno della dimensione non solo quantitativa, ma anche qualitativa, e come la
loro conoscenza sia essenziale e interessi ogni aspetto della gestione aziendale.
Le numerose e rapide informazioni oggi a disposizione dei manager rendono i
numeri spesso incomprensibili, al punto tale da sembrare oggetto di esclusiva
pertinenza di specialisti19. E a volte chi li deve trattare viene da essi intimorito, ma
17
18
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Cfr. Luhmann N., La fiducia, Il Mulino, Bologna, 2002, il quale afferma che “la completa
mancanza di fiducia impedirebbe perfino di alzarsi dal letto il mattino” (p. 4).
Cfr. Baccarani C., “How to measure and expel distrust in the organisational
relationship?”, Revue Marocaine de commerce et de gestion, n. 1, 2005.
Spesso i numeri infondono tranquillità, “conferendo dignità scientifica al lavoro”, ma “il
numero con i modelli che lo raccolgono non può che esprimere una realtà parziale e
oltretutto già superata nel momento in cui la valutiamo”. Cfr. Baccarani C., Diario di
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“la vera abilità sta nell’attribuire significato ai numeri, non nel calcolarli” (p. 128).
Così per non perdersi in essi, si può ricorrere all’uso degli strumenti di misurazione,
che consentono di “tradurre gli elementi qualitativi in quantitativi” 20, e così ridurre
quel gap generato dal trattare gli aspetti qualitativi della disciplina del management.
I numeri rappresentano un modo per comprendere il livello di performance
raggiunto, ma “non vivono di vita propria. Riassumono il comportamento di persone
reali che compiono azioni reali” (p. 131). Le imprese “prosperano o decadono non
tanto per ragioni economiche, «di numeri» (i cicli economici, i cambiamenti
strutturali possono quasi sempre essere affrontati e superati), quanto per problemi di
persone, di rapporti tra soci, tra aziende e famiglie, di vicende extra-aziendali, di
successioni, di riconoscimenti inadeguati dei meriti dei collaboratori e relativo
turnover, di relazioni con i cosiddetti stakeholder”21.
Da quanto presentato, è possibile comprendere la molteplicità di stimoli che
Management scientifico offre ai suoi lettori. Del resto, l’obiettivo, anche ambizioso,
di voler “presentare una visione coerente della disciplina nel suo complesso” (p. 10)
fa emergere l’ampiezza dei temi trattati e la conseguente possibilità di meditare,
oltre che sui concetti esposti, sulle storie delle imprese presentate, che si prestano
efficacemente a discussione.
Al riguardo, per esempio, sì è notato che i fondamentali del management
sembrano essere gli stessi di diversi anni fa, mentre il panorama in cui l’impresa si
trova ad operare è notevolmente mutato. E allora sorge un dubbio: è possibile che
tali principi siano rimasti «dinamicamente immutati», mentre ciò che è cambiato e
muta di continuo sia solo il contesto?
Mentre “tutto scorre”, rimangono valide le logiche e le teorie che sottostanno ai
principi di base del management, quali la creazione di valore, i modelli di business,
la strategia, l’organizzazione e le tante teorie e procedure che a queste nozioni si
collegano (es. le scelte di make or buy, la legge di Moore e quella di Pareto, ecc.).
Tali principi, pur essendo da tempo noti alla comunità scientifica e non, vengono
ancora utilizzati dal management per raggiungere gli obiettivi prefissati e conseguire
il successo aziendale, anche se, nella maggior parte dei casi, vengono adeguati al
cambiamento in atto in base alle esigenze del divenire del nuovo contesto.
Le sfide che il management si trova ogni giorno ad affrontare sono nuove e non è
facile “inventarsi” modelli in grado di risolvere problemi o far superare eventuali
momenti di difficoltà. In questa prospettiva, i fondamentali che hanno guidato le
20
21
viaggio sul treno che non va in nessun posto. Riflessioni per chi vive l’impresa,
Giappichelli, Torino, 2005.
“Riteniamo che qualsiasi misurazione sarà sempre una semplificazione della realtà,
implicando un approccio analitico prezioso per accrescere la conoscenza, ma che occorre
poi integrare per non perdere la visione d’insieme, completa (olistica) della realtà vera”.
Cfr. Correale G., Penco C., “I numeri: conoscenza o lobotomia?”, Sistemi & Impresa, n.
1, 2003, p. 1. Sull’applicazione, e conseguente misurazione, delle pratiche qualitative
occorre non dimenticare che “più una tecnica di ricerca è soft, più è difficile metterla in
pratica”. Cfr. Yin R.K., Case study research, Thousand Oaks, 1984.
Cfr. Correale G., Penco C., op. cit., p. 2.
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imprese di un tempo possono essere considerati validi ancor oggi, adattandoli però
ai cambiamenti in atto. Per questo motivo, risulta utile osservare la realtà, cercare di
interpretare i segnali che vengono dall’esterno, tentando di anticiparli per poter dar
vita al futuro.
E in tale ottica, è opportuno non perdere, e quindi dimenticare, due componenti:
la riflessione e la memoria, che consentono, rispettivamente, di fermarsi per
abbandonare la routine di tutti i giorni e affrontare così la pressante fretta che guida
lo svolgersi delle attività quotidiane, da un lato, e di tenere traccia del passato come
fonte di identità, creatività, energia, fiducia e oggettività22, dall’altro.
Ed è anche indispensabile allontanare la paura23, che frena chi si trova ai vertici
dell’impresa, non riuscendo “a percepire, valutare e governare le variabili
competitive” necessarie per raggiungere il successo. Obiettivo questo perseguibile
solo attraverso i comportamenti che l’azienda stessa realizza, e che sono attuati da
coloro che in e per essa operano. Tali atteggiamenti sono a loro volta guidati dai
valori e, a livello più generale, dalla cultura presente all’interno dell’impresa.
Si giunge così a dare importanza ad un fattore, sia interno sia esterno alla realtà
aziendale: le persone, le quali non solo sono risorse, ma hanno anche risorse, come
le competenze distintive, che permettono alle differenti imprese di poter portare o
meno l’organizzazione ad eccellere. Del resto, le stesse Autrici affermano che “in
realtà non abbiamo fatto altro che parlare di persone sin dall’inizio” (p. 209). Infatti,
si è visto come i modelli di business raccontino storie in cui fondamentali sono i
personaggi, i quali devono avere intuizioni per originare i modelli stessi, in grado
poi di creare valore, riuscire ad accumulare conoscenze per migliorare le strategie e
l’organizzazione dell’impresa, al fine di renderla più competitiva e prendere difficili
decisioni per conseguire risultati e di conseguenza dar vita al futuro.
Tuttavia, Magretta-Stone proseguono sostenendo che “la maggior parte delle
persone è profondamente - e giustamente - contraria all’essere gestita. In effetti, la
vera intuizione sulla gestione delle persone è che, alla fine, non vanno gestite affatto.
Ottengono i risultati migliori coloro che hanno competenze sufficienti e tengono a
quello che fanno tanto da gestirsi da soli” (p. 210).
Il che merita immediatamente una provocatoria ipotesi: se le persone riescono
attraverso l’auto-organizzazione a conseguire performance ottime o comunque
soddisfacenti da sole, a cosa serve il management? E perché allora le Autrici hanno
sentito il bisogno di scrivere un libro sul management? Ai lettori l’ardua sentenza.
Angelo Bonfanti
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23
Cfr. Brunetti F., “Corporate history in a managerial perspective”, The 10th World
Congress for Total Quality Management - Quality into the 21st Century, University of
Manitoba, Canada, 22-24 august 2005.
Cfr. Ryan K.D., Oestreich D.K., Driving fear out of the workplace: creating the hightrust, high-performance organization, The Jossey-Bass, Business & Management Series,
1998.