OGGETTO DISTRIBUZIONE DEI TURNI DI SERVIZIO QUESITO

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OGGETTO DISTRIBUZIONE DEI TURNI DI SERVIZIO QUESITO
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OGGETTO
DISTRIBUZIONE DEI TURNI DI SERVIZIO
QUESITO
(posto in data 22 luglio 2015)
Da più di 20 anni lavoro nella stessa Azienda Ospedaliera, e fin
dall'inizio ho sempre lavorato in pediatria, reparto sempre sotto
organico (spesso con due soli medici, qualche periodo da sola, coprendo
anche le reperibilità notturne), sempre con la speranza di un
miglioramento.
Negli ultimi anni la situazione è peggiorata, in quanto l'organico è si
aumentato, ma sostanzialmente la situazione personale non è
cambiata: vuoi per congedi parentali delle colleghe donne, vuoi per
l'orario ridotto per i diritti della maternità, vuoi per le richieste del parttime da parte di colleghi, vuoi per i permessi per aggiornamenti
professionali o Master che durano anni, i miei turni di servizio
rimangono gli stessi.
Quali azioni devo intraprendere, sapendo che la situazione nel futuro
sarà peggiore rispetto a quella attuale, essendo non più giovane (58
anni) per eseguire il mio turno di servizio in aggiunta ai turni di servizio
di chi non lavora, come mi devo muovere nei confronti della Direzione
Sanitaria dell'Azienda Ospedaliera per eseguire soltanto il mio turno
di servizio e non fare anche il lavoro degli altri?
RISPOSTA
(inviata in data 27 luglio 2015)
Alla specifica domanda “quali azioni intraprendere” può essere data
una sola risposta: evitare di personalizzare il problema e adoperarsi,
coinvolgendo in maniera diretta le organizzazioni sindacali, affinché
sia adottato un regolamento che disciplini l’orario di lavoro (compresi
in tale accezione turni di servizio, turni di guardia, turni di pronta
disponibilità) rispettando un principio essenziale: l’equa ripartizione
dei carichi di lavoro tra tutto il personale in servizio.
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La concreta applicazione di questo principio comporta ad esempio che
coloro che sono esonerati dai turni notturni per motivi di salute o per
altri motivi (assistenza ad un congiunto in condizioni di disabilità, figli
di età inferiore a tre anni) devono essere obbligati a farsi carico di un
numero maggiore di turni festivi, calcolando i carichi di lavoro non
solo come numero di turni, ma tenendo anche conto della diversa
onerosità di turni di guardia o di pronta disponibilità notturni, festivi
e notturni festivi.
L’equa distribuzione dei carichi di lavoro, e la corretta applicazione
degli istituti contrattuali, sono prerogative specifiche del direttore
della struttura complessa di appartenenza, che dovrebbe essere
valutato tenendo conto in particolare della capacità dimostrata nel
motivare, guidare e valutare i collaboratori e di generare un clima
organizzativo favorevole all’uso ottimale delle risorse, attraverso una
equilibrata individuazione dei carichi di lavoro del personale, dei volumi
prestazionali nonché della gestione degli istituti contrattuali (CCNL
2002_2005, articolo 28, comma 1, lettera c).
L’onere della razionale ed imparziale distribuzione dei turni di servizio
non può essere lasciata alla totale discrezionalità del direttore, che
deve essere vincolato, nella attribuzione dei turni di servizio, al
rispetto di regolamenti che rendano di fatto impossibile iniquità come
quelle denunciate nel quesito.
Al riguardo si intrecciano tre questioni tra loro interconnesse: il ruolo
e le prerogative attribuiti alle organizzazioni sindacali, i poteri che
l’articolo 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 conferisce
agli organi deputati alla gestione, l’obbligo per le aziende sanitarie,
coerentemente con quanto disposto dal D.P.R. 14 gennaio 1997, che
dettava linee guida per l’accreditamento, di adottare regolamenti che
disciplinino l’organizzazione interna in modo da assicurare il rispetto
dei requisiti di qualità e sicurezza nell’erogazione delle prestazioni.
Ciascuna di queste questioni è di seguito oggetto di una specifica
riflessione.
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CARICHI DI LAVORO E DEBITO ORARIO CONTRATTUALE
Presumere che il medico, stante la qualifica che gli è stata attribuita
di dirigente, sia tenuto ad una prestazione lavorativa senza limiti, è
assolutamente illogico, e di fatto illegittimo, anche perché recenti
pronunciamenti giurisprudenziali a livello nazionale ed europeo
hanno chiarito che l’attribuzione della qualifica di dirigente ad un
medico che non sia titolare di un incarico di direzione di struttura è
del tutto priva di fondamento giuridico, perché di fatto un medico al
quale è conferito un incarico di natura professionale, di base o di altra
tipologia, non esercita quelle funzioni di programmazione, indirizzo,
organizzazione e controllo delle risorse in cui si sostanzia l’effettivo
ruolo dirigenziale.
(Coerentemente con questo assunto molte aziende, nella sottosezione
relativa al personale in servizio prevista nella sezione amministrazione
trasparente di ogni amministrazione pubblica, per quanto concerne
le retribuzioni annue dei dirigenti pubblicano solo quelle erogate
ai direttori di struttura complessa e ai responsabili di struttura
semplice, ed a volte solo ai responsabili di strutture semplici a valenza
dipartimentale).
Quella presunzione trova purtroppo un suo fondamento nella frase
finale del comma 3 dell’articolo 15 del decreto legislativo 30 dicembre
1992, n. 502, nel testo introdotto dal decreto legislativo 19 giugno
1999, n. 229: Il dirigente, in relazione all'attività svolta, ai programmi
concordati da realizzare ed alle specifiche funzioni allo stesso
attribuite, è responsabile del risultato anche se richiedente un impegno
orario superiore a quello contrattualmente definito.
Per interpretare questa affermazione occorre collocarla nel momento
storico nel quale essa è stata formulata, caratterizzato da una
profonda revisione dell’assetto organizzativo del sistema sanitario, con
l’introduzione del ruolo unico della dirigenza sanitaria e soprattutto
dall’attribuzione a tutti i medici, dal neo assunto al responsabile del
più complesso ed articolato reparto di cardiochirurgia di un ospedale
di altissima specializzazione, della qualifica di dirigente.
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La frase finale del comma 3 dell’articolo 15 del decreto legislativo 502
deve essere letta non isolandola dal contesto normativo complessivo
che disciplina il rapporto di lavoro del medico, ma tenendo adeguato
conto di tutte le disposizioni attinenti e interpretando tali disposizioni
sulla base degli orientamenti giurisprudenziali che si sono nel tempo
consolidati in materia. Da questa lettura congiunta si evince con
assoluta certezza che se è vero che il dirigente medico può essere
chiamato ad un impegno orario aggiuntivo rispetto a quello derivante
dall’orario contrattualmente dovuto, è altresì vero che a tale impegno
orario aggiuntivo deve far riscontro una remunerazione aggiuntiva.
Ogni amministrazione dovrà valutare, in relazione al proprio assetto
organizzativo ed alla dotazione organica, quale parte di questo
impegno sarà remunerata con la retribuzione di risultato, quale dovrà
essere remunerata utilizzando l’istituto delle prestazioni aggiuntive, e
quale infine potrà essere remunerata come lavoro straordinario.
Queste scelte dovranno essere negoziate in sede di budget, e potranno
altresì essere rinegoziate sulla base dell’’andamento dei volumi
prestazionali e del conseguente utilizzo delle ore di lavoro.
Per quanto concerne l’utilizzo della retribuzione di risultato questo è
disciplinato dall’articolo 65 del CCNL 1994_1997, che precisa quale
deve essere il processo di gestione del budget nelle diverse fasi in cui
esso si articola, ed in particolare al comma 1, ultimo periodo, dispone
che la retribuzione di risultato compensa anche l’eventuale superamento dell’orario di lavoro contrattuale per il raggiungimento dell’obiettivo assegnato e al comma 6 precisa che gli obiettivi, preventivamente
illustrati dal dirigente responsabile dell’articolazione aziendale, sono
assegnati formalmente a tutti i dirigenti dell’unità operativa secondo
la tipologia degli incarichi conferiti a ciascun di essi con l’indicazione
dell’incentivo economico connesso.
Per quanto concerne l’utilizzo dell’istituto delle prestazioni aggiuntive
esso è richiamato dal comma 6 dell’articolo 14 del CCNL 2002_2005:
Ove per il raggiungimento degli obiettivi prestazionali eccedenti quelli
negoziati in sede di budget sia necessario un impegno aggiuntivo,
l’azienda, tenendo conto delle linee di indirizzo regionali) ed ove ne
ricorrano i requisiti e le condizioni, può concordare con l’equipe
interessata l’applicazione dell’istituto delle prestazioni aggiuntive
in base al regolamento che deve essere concertato con le organizzazioni
sindacali.
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Per quanto concerne infine l’utilizzo del lavoro straordinario questo è
disciplinato dall’articolo 28 del CCNL 10 febbraio 2004, che precisa
due aspetti fondamentali: il divieto di utilizzare il lavoro straordinario
come fattore ordinario di programmazione del lavoro, e la limitazione
dell’utilizzo del lavoro straordinario solo per i servizi di guardia e
pronta disponibilità, nonché per far fronte ad esigenze prestazionali
non programmabili. Il comma 2 del citato articolo 28 precisa
in particolare, proprio per sottolineare il carattere di eccezionalità del
ricorso a questo istituto, che i dirigenti medici possono recuperare
le ore di lavoro straordinario prestate, concordandone le modalità
affinché il recupero delle ore non rechi pregiudizio al funzionamento
del servizio.
Rientra proprio tra i compiti del responsabile di struttura complessa
gestire in modo razionale e flessibile i turni di presenza del personale
e le modalità di ricorso ai diversi istituti sopra richiamati per
assicurare il migliore equilibrio possibile tra esigenze assistenziali ed
ore lavorative che le risorse disponibili possono assicurare.
In un contesto nel quale i problemi veri trascendono e di gran lunga
la dimensione aziendale, e la stessa dimensione regionale, e trovano
la loro radice in opinabili scelte di politica economica adottate a livello
nazionale, l’unica difesa possibile è proprio quella di pretendere
l’adozione di regolamenti aziendali che disciplinino gli spazi
interpretativi di direttive regionali o nazionali non lasciando alcuna
discrezionalità agli organi deputati alla gestione ai quali si riferisce
l’articolo 5 del decreto legislativo 165 (dal direttore della struttura
complessa di appartenenza, al direttore del dipartimento al quale
questa afferisce, fino al direttore generale pro tempore, soggetti che al
regolamento adottato devono pedissequamente attenersi).
Il regolamento che disciplina l’orario di lavoro deve assumere quale
imprescindibili fondamenti alcuni concetti chiave:
 il concetto di debito orario contrattuale, ovvero le ore di lavoro che
un medico è tenuto a mettere a disposizione dell’Azienda sulla base
dell’orario contrattuale di 38 ore settimanali, e che risulta, al netto
delle ferie, dei permessi, delle ore di lavoro per attività non
assistenziali, pari a circa 1500 ore l’anno;
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 il fatto che un impegno aggiuntivo oltre quel debito orario deve
essere oggetto di separata remunerazione attraverso la retribuzione
di risultato, il lavoro straordinario o le prestazioni aggiuntive;
 il trattenimento in servizio oltre il normale orario di lavoro fissato
nei turni di presenza settimanali, per eventi imprevedibili, deve
essere o compensato utilizzando l’istituto del lavoro straordinario, o
recuperato rimodulando i turni di presenza;
 un impegno orario che superi certi ritmi, come dimostrano evidenze
scientifiche consolidate, espone il medico a un elevatissimo rischio
di commettere errori che possono avere conseguenze anche fatali
per la sicurezza del paziente.
Il debito orario contrattuale, definito come numero di ore di lavoro che
ogni dirigente è tenuto a garantire all’azienda sulla base dell’orario
di lavoro, si calcola applicando la seguente formula, che è sviluppata
nelle due ipotesi di orario settimanale su 6 e su 5 giorni lavorativi:
DOC = 38 ore settimanali *52 settimane –
- 36 (giorni di ferie l’anno) * 6h20m (orario giornaliero) –
- 3h30m (ore per attività non assistenziali) * 48 settimane –
- 6h20m * 8 (giorni di permesso retribuito spettanti) =
= 1976 – 228 – 168 – 51 = 1529
DOC = 38 ore settimanali *52 settimane –
- 32 (giorni di ferie l’anno) * 7h36m (orario giornaliero) –
- 3h30m (ore per attività non assistenziali) * 48 settimane –
- 7h36m * 8 (giorni di permesso retribuito spettanti) =
= 1976 – 243 – 168 – 61 = 1504
A questo ammontare di ore devono essere aggiunte le ore, negoziate
in sede di budget, che il dirigente medico si impegna a rendere
disponibili per conseguire predefiniti obiettivi prestazionali, a fronte
della retribuzione di risultato che l’azienda si impegna ad erogare se
saranno raggiunti i risultati prestazionali predefiniti, in applicazione
dell’articolo 65 del CCNL 1994_1997, ed in particolare del comma 3
dello stesso articolo 65, che a questo riguardo precisa: La retribuzione
di risultato compensa anche l’eventuale superamento dell’orario
di lavoro contrattuale per il raggiungimento dell’obiettivo assegnato.
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Laddove, sempre in sede di budget, si constatasse che gli obiettivi
prestazionali attribuiti dalla direzione generale alla specifica unità
operativa non sono raggiungibili, si dovrà concordare un ulteriore
monte ore annuo da retribuire utilizzando l’istituto delle prestazioni
aggiuntive, ai sensi del comma 6 dell’articolo 14 del CCNL 2002_2005,
che al riguardo precisa: Ove per il raggiungimento degli obiettivi
prestazionali eccedenti quelli negoziati in sede di budget, sia necessario
un impegno aggiuntivo, l’azienda, sulla base delle linee di indirizzo
regionali ed ove ne ricorrano i requisiti e le condizioni, può concordare
con l’equipe interessata l’applicazione dell’istituto delle prestazioni
aggiuntive previsto dall’articolo 55, comma 2 del CCNL 1998_2001
in base al regolamento aziendale che disciplina l’esercizio della libera
professione intramoenia. La misura della tariffa oraria da erogare per
tali prestazioni è di € 60,00 lordi.
Il principio di fondo che deve essere strenuamente difeso e sancito dal
regolamento aziendale che disciplina l’orario di lavoro è che l’Azienda
si impegna a remunerare, o a consentire di recuperare, le ore di lavoro
prestato, non avendo alcun senso logico ed alcun fondamento
giuridico ritenere che un dirigente medico sia tenuto ad un impegno
orario indefinito, per sopperire ad una strutturale sproporzione tra
personale disponibile e livelli di assistenza che si devono assicurare.
Addurre le pur oggettive carenze di personale quale motivazione per
chiedere ai medici un impegno che non rientra nella logica di una
normale prestazione lavorativa è palesemente un abuso di potere, e
come tale deve essere contrastato utilizzando tutti i mezzi disponibili.
Ed in questa battaglia (perché sicuramente si tratta di una battaglia,
dall’esito purtroppo assolutamente incerto e per niente scontato)
cruciale è il ruolo delle organizzazioni sindacali, che devono trovare ad
ogni costo il modo per recuperare il ruolo e le prerogative che ad esse
competono in una fisiologica gestione del rapporto di lavoro.
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Diritti e tutele dei professionisti che operano alle dipendenze del
Servizio Sanitario Nazionale sono stati progressivamente ridotti per
l’effetto congiunto di una serie di cause tra loro concatenate:
1) il definanziamento strutturale del servizio sanitario nazionale,
legittimato da una crisi economica che ha investito il nostro Paese
in maniera resa ancor più grave dai nodi non risolti che condizionano da decenni la gestione corretta dell’economia nazionale;
2) l’aumento dei poteri attribuiti agli organi deputati alla gestione
delle amministrazioni pubbliche, ai quali l’articolo 5 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165 attribuisce le determinazioni per
l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione
dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi
preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore
di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati;
3) la progressiva riduzione del ruolo e delle prerogative attribuiti
alle organizzazioni sindacali, spesso letteralmente annichilite dall’
arrogante delirio di onnipotenza di direttori generali essi stessi
peraltro vittime di direttive politiche per le quali l’unico obiettivo
irrinunciabile per una amministrazione pubblica ed estensivamente
per un’azienda sanitaria è il rispetto del vincolo di bilancio.
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L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA DELLE RELAZIONI SINDACALI
UN EXCURSUS STORICO
CCNL 1998_2001
TITOLO II: RELAZIONI SINDACALI
CAPO I: METODOLOGIE DI RELAZIONI
articolo 3
Obiettivi e strumenti
1. obiettivi del sistema delle relazioni sindacali
Il sistema delle relazioni sindacali, nel rispetto delle distinzioni
delle responsabilità delle aziende e degli enti del comparto e
dei sindacati, è riordinato in modo coerente con l'obiettivo
di contemperare l'interesse al miglioramento delle condizioni
di lavoro e alla crescita professionale dei dirigenti con l'esigenza
delle aziende di incrementare e mantenere elevate l'efficacia e
l'efficienza dei servizi erogati alla col-lettività.
2. i modelli delle relazioni sindacali
Il predetto obiettivo comporta la necessità di uno stabile sistema
di relazioni sindacali che si articola nei seguenti modelli relazionali:
a) contrattazione collettiva a livello nazionale;
b) contrattazione collettiva integrativa che si svolge a livello
di azienda, sulle materie e con le modalità indicate dal presente
contratto;
c) concertazione, consultazione ed informazione.
L’insieme di tali istituti realizza i principi della partecipazione che
si estrinseca anche nella costituzione di Commissioni Paritetiche;
d) interpretazione autentica dei contratti collettivi.
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Il contratto dal quale sono tratti i due commi dell’articolo 3 fu
sottoscritto in data 8 giugno 2000, in un contesto politico, sociale ed
economico ben diverso dall’attuale, caratterizzato da una progressiva
riduzione delle prerogative e del ruolo delle organizzazioni sindacali ed
al contempo da una progressiva riduzione delle garanzie e delle tutele
della dirigenza medica, chiamata ad un impegno professionale sempre
maggiore a fronte di prospettive economiche e di carriera aleatorie.
La crisi economica che ha caratterizzato gli anni recenti ha
contribuito non poco a rendere possibili misure che solo qualche anno
prima sarebbero state impensabili, e che sono state oggetto dei diversi
decreti legge o decreti legislativi varati dai Governi che si sono
susseguiti in questi difficili anni della nostra storia repubblicana.
In questo contesto si colloca l’evoluzione del sistema delle relazioni
sindacali, segnata in particolare dalle misure che sono state adottate
dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, su due fronti opposti:
da un lato aumentare i poteri di organizzazione degli organi preposti
alla gestione delle amministrazioni pubbliche dall’altro ridimensionare
ruolo e prerogative delle organizzazioni sindacali.
L’articolo 34 del citato decreto legislativo 150 modifica l’articolo 5 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sostituendo il comma 2,
dello stesso articolo con il testo di seguito riprodotto (nel quale sono
evidenziate in rosso le integrazioni rispetto al testo previgente).
Nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi che ogni amministrazione deve adottare per disciplinare il proprio assetto interno,
le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti
alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva
dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato
datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove
prevista nei contratti collettivi nazionali. Rientrano, in particolare,
nell'esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti la gestione
delle risorse umane nel rispetto del principio di pari opportunità, nonché
la direzione, l'organizzazione del lavoro nell'ambito degli uffici.
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L’articolo 54 dello stesso decreto legislativo 150 ridefinisce gli ambiti
della contrattazione collettiva, modificando in maniera significativa
l’articolo 40 del decreto legislativo 165, ed in particolare sostituendo
il comma 1 la cui precedente formulazione era di amplissimo respiro
(La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative
al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali) con una formulazione
molto circoscritta e decisamente riduttiva delle prerogative sindacali:
La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente
pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni
sindacali. Sono, in particolare, escluse dalla contrattazione collettiva
le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'articolo 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli articoli 5, comma 2, (che definisce
i poteri di organizzazione), 16 e 17 (che definiscono funzioni e
prerogative dei dirigenti) la materia del conferimento e della revoca
degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1,
lettera c), della legge 23 ottobre 1992, n. 421. (regolate con legge,
ovvero, sulla base della legge o nell'ambito dei principi dalla stessa
posti, con atti normativi o amministrativi). Nelle materie relative
alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini
della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e
delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita
negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge.
Lo stesso decreto legislativo 150, con l’articolo 36, comma 1, ha così
modificato l’articolo 9, avente ad oggetto i contratti collettivi nazionali.
Il testo previgente disponeva: I contratti collettivi nazionali disciplinano
i rapporti sindacali e gli istituti della partecipazione anche con riferimento agli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto
di lavoro mentre nel testo modificato precisa Fermo restando quanto
previsto dall'articolo 5, comma 2, i contratti collettivi nazionali disciplinano le modalità e gli istituti della partecipazione.
Anche se il decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, con l’articolo 2, comma
17, ha introdotto nell’articolo 5 del decreto legislativo 165 l’inciso
ovvero, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro,
l'esame congiunto gli spazi di partecipazione delle organizzazioni
sindacali alle decisioni in merito agli aspetti organizzativi si sono
drasticamente ridotti.
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Se è vero che lo stesso comma 2 dell’articolo 5, che definisce i poteri
di organizzazione attribuiti agli organi preposti alla gestione, precisa
che quei poteri devono essere esercitati nell’ambito delle leggi e
degli atti organizzativi che le amministrazioni pubbliche devono
adottare per disciplinare il proprio assetto organizzativo interno, e
implicitamente sottende una differenza tra determinazioni e atti resta
irrisolto il tema di quali spazi di partecipazione sindacale siano
possibili nel contesto normativo attuale nella definizione di quegli atti.
Un ulteriore colpo al ruolo delle organizzazioni sindacali è stato
inferto dalla modifica che il decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, con
il comma 18 dell’articolo 2, ha apportato al comma 1 dell’articolo 6 del
decreto legislativo 165.
Il comma citato disponeva infatti che Nelle amministrazioni pubbliche
l'organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché la consistenza e
la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione
delle finalità indicate all'articolo 1 comma 1 (efficienza, efficacia,
sviluppo professionale) previa verifica degli effettivi fabbisogni e previa
consultazione delle organizzazioni sindacali rappresentative. mentre
nel testo attuale si legge Nelle amministrazioni pubbliche l'organizzazione e la disciplina degli uffici, nonché la consistenza e la variazione
delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalità
indicate all'articolo 1, comma 1, previa verifica degli effettivi fabbisogni
e previa informazione delle organizzazioni sindacali rappresentative.
L’interpretazione che di questo mutato quadro normativo è stata data
dalle direzioni generali della gran parte delle aziende sanitarie italiane
è che le organizzazioni sindacali debbano essere informate degli atti
adottati, ma che siano decaduti definitivamente gli ulteriori modelli
relazionali nei quali, secondo il citato articolo 3 del CCNL 1998_2001,
si articolava il sistema delle relazioni sindacali (concertazione,
consultazione) mentre la contrattazione è di fatto ridotta alla mera
definizione annuale dei fondi contrattuali, unico ambito nel quale è
ancora necessario il consenso esplicito delle organizzazioni sindacali.
Il tema, oggetto di discussioni e dibattiti in molteplici sedi, è stato
affrontato in maniera organica da una circolare esplicativa emanata
dal Dipartimento della Funzione Pubblica in data 18 febbraio 2011,
nella quale tra l’altro si legge:
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Riassumendo, secondo la legge, in materia di partecipazione sindacale
sono previste:
 l’informazione in materia di organizzazione degli uffici e di misure
inerenti la gestione dei rapporti di lavoro (articolo 5, comma 2 del
decreto legislativo 165);
 la consultazione in materia di organizzazione e disciplina degli uffici
e la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche (articolo 6,
comma 1, del decreto legislativo 165) (materia questa che è stata
sottratta alla partecipazione sindacale dal decreto legge 95/2012)
 l’esame congiunto in tutte le materie non indicate dall’articolo 5
comma 2 del decreto legislativo 165 (quali ad esempio mobilità
intercompartimentale, pari opportunità, mobbing).
La stessa circolare precisa “In coerenza con la ratio delle innovazioni
sopra descritte (in particolare le modifiche introdotte dal decreto
legislativo 150/2009 agli articoli 5 e 40 del decreto legislativo
165/2001) le modalità per l’esercizio della consultazione e dell’esame
congiunto devono avere caratteristiche tali da non compromettere
la funzionalità operativa, la tempestività e l’efficacia dell’azione amministrativa, e la decisione finale dell’amministrazione non può essere
in alcun modo condizionata da preventive forme di assenso da parte
delle organizzazioni sindacali.
Il blocco della contrattazione collettiva che è stato disposto dal decreto
legge 31 maggio 2010, n. 78 ha completato l’opera di demolizione
delle prerogative sindacali, che sono pressoché inermi nei confronti
di una spesso tanto disinvolta quanto arrogante gestione del potere.
Questa è in qualche modo legittimata da una perdurante emergenza
economica che costringe di fatto le aziende sanitarie a confrontarsi
quotidianamente con il difficile, a volte impossibile, equilibrio tra una
domanda di prestazioni sanitarie che cresce indefinitamente ed una
disponibilità di risorse che è invece paradossalmente sempre minore.
In questo contesto il venir meno del ruolo delle organizzazioni
sindacali di presidio e tutela della corretta applicazione degli istituti
contrattuali espone il sistema ad un grave rischio di autoreferenzialità
nella presunzione che qualsiasi decisione sia legittima pur di non
compromettere la funzionalità operativa, la tempestività e l’efficacia
dell’azione amministrativa.
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L’opportunità di ripensare criticamente la problematica del ruolo e
delle prerogative delle organizzazioni sindacali era accennata anche
nella stessa frase conclusiva della citata circolare del Dipartimento
della Funzione pubblica, che al punto 4. precisava: “Nel rispetto ed
in attuazione di quanto già evidenziato ai punti precedenti, ed in attesa
dei successivi rinnovi contrattuali, l’ARAN individuerà, ai sensi
delle attuali discipline contrattuali e nel rispetto della disciplina
legislativa, le materie demandate alle diverse forme di partecipazione,
effettuandone la riclassificazione in relazione al modello di relazioni
sindacali di cui al decreto legislativo 165 del 2001, come modificato
dal decreto legislativo 150 del 2009”.
Ancor più pregnante ed esplicito in questa direzione quanto affermato
nel protocollo di intesa tra Governo e parti sociali sottoscritto in data
10 maggio 2012, nel quale si sottolinea l’esigenza di definire un nuovo
modello di relazioni sindacali, precisando che
Nel quadro del vigente modello di relazioni sindacali, va colta
l’occasione per un importante patto sociale, che riguardi anche i datori
di lavoro delle Regioni ed Enti locali, al fine di favorire la partecipazione
consapevole dei lavoratori ai processi di razionalizzazione, innovazione
e riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni. Questo percorso,
prima della riapertura delle trattative per i rinnovi contrattuali, va
attuato rimodulando il quadro legislativo per offrire alle parti, ad
entrambi i livelli di contrattazione, strumenti e criteri per raggiungere
obiettivi coerenti con le autonomie costituzionalmente riconosciute.
In particolare le Parti concordano sulla necessità dell’emanazione di un
provvedimento legislativo che riguardi:
 il riconoscimento della contrattazione collettiva come fonte deputata
alla determinazione dell’assetto retributivo e di valorizzazione
dei lavoratori pubblici nel rispetto dei ruoli organizzativi e di rappresentanza delle parti, relativamente alle prerogative contrattuali
attinenti il rapporto di lavoro;
 collegare ai processi di mobilità percorsi di qualificazione e
formazione professionale, coinvolgendo le organizzazioni sindacali,
per garantire la funzionalità e la qualità del lavoro nell’amministrazione di destinazione;
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 la predisposizione di vincoli e procedure per garantire trasparenza
totale sugli andamenti gestionali e finanziari degli enti per valutarne
le ricadute in termini occupazionali e retributivi;
 un coinvolgimento delle organizzazioni sindacali nei processi
di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni secondo
modalità coerenti con le autonomie previste dall’ordinamento che
accompagni anche i processi di miglioramento ed innovazione
nonché il sistema premiante e incentivante al livello integrativo
anche tenendo conto delle norme già vigenti in materia di risparmi
derivanti da processi di riorganizzazione;
 la definizione di criteri trasparenti e il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali in tutte le fasi dei processi di mobilità collettiva;
 il pieno riconoscimento del ruolo negoziale e delle prerogative
delle RSU nei luoghi di lavoro nelle materie previste dal CCNL;
 l’individuazione, nell’ambito delle materie di informazione sindacale,
anche di ipotesi di esame congiunto tra pubbliche amministrazioni e
organizzazioni sindacali;
Quel protocollo di intesa aveva aperto il cuore alla speranza che fosse
possibile un ravvedimento rispetto alla direzione intrapresa, e che
fosse possibile recuperare un ruolo per certi versi connaturale ed
intrinseco nella ragion d’essere stessa della funzione sindacale.
Purtroppo l’evoluzione del quadro politico rende quella speranza ancor
più labile ed incerta di quanto non fosse già allora, perché sembra
consolidarsi la convinzione che le organizzazioni sindacali siano un
problema da risolvere e non una risorsa da valorizzare.
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L’ESIGENZA DI ADOTTARE UN REGOLAMENTO AZIENDALE
Adottare uno specifico regolamento che disciplini un settore così
delicato qual è quello dell’orario di lavoro, costituisce per l’azienda un
dovere etico, prima ancora che un obbligo formale sancito dal Decreto
del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, con il quale
venivano fissati i requisiti strutturali, tecnologici ed organizzativi
minimi per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture
pubbliche e private. Tra i requisiti minimi organizzativi generali il DPR
citato precisa infatti che
La Direzione definisce ed esplicita l'organizzazione e le politiche
di gestione delle risorse umane ed economiche per:
- le attività ambulatoriali;
- le attività di ricovero a ciclo continuativo e diurno (acuti e post-acuti).
La Direzione definisce le modalità con cui garantisce la continuità
dell'assistenza al paziente in caso di urgenze od eventi imprevisti
(clinici, organizzativi, tecnologici).
Sempre il DPR citato precisa che:
In tutte le articolazioni organizzativo-funzionali è favorito l'utilizzo
delle Linee guida predisposte dalle Società scientifiche o da gruppi
di esperti per una buona pratica clinica nelle varie branche specialistiche. Inoltre devono essere predisposte con gli operatori, linee guida,
regolamenti interni che indichino il processo assistenziale con cui
devono essere gestite le evenienze cliniche più frequenti o di maggiore
gravità.
Ogni struttura organizzativa predispone una raccolta di regolamenti
interni, linee guida, aggiornati per lo svolgimento delle procedure
tecniche più rilevanti (selezionate per rischio, frequenza, costo).
Il personale deve essere informato sull'esistenza di tali documenti, che
sono facilmente accessibili, e che vanno confermati o aggiornati almeno
ogni tre anni.
Le disposizioni richiamate vanno lette nel contesto di un processo
continuo di miglioramento della qualità che sempre nel DPR citato
trovava una sua compiuta definizione
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La Direzione è responsabile della creazione delle condizioni organizzative che facilitino e consentano la promozione e il supporto ad attività
valutative e di miglioramento dei processi di erogazione dei servizi e
delle prestazioni, secondo le indicazioni contenute in questo stesso
documento o nella normativa già emanata a livello nazionale o locale.
In tutti i presidi devono essere attivati programmi di valutazione e
miglioramento delle attività. I programmi vengono selezionati in rapporto alle priorità individuate.
In ogni azienda deve esistere una struttura organizzativa (o un
responsabile in relazione alla complessità della stessa) che presiede
alle attività di valutazione e miglioramento della qualità.
Annualmente ogni struttura organizzativa effettua al proprio interno o
partecipa ad almeno un progetto di valutazione e verifica di qualità
favorendo il coinvolgimento di tutto il personale. Tale attività sarà
utilizzata anche per lo studio dell'appropriatezza nell'utilizzo
delle risorse, con particolare riferimento agli episodi di ricovero e
all'utilizzo di tecnologie
Le indicazioni che emergono dalla lettura del DPR in questione sono
riconducibili a tre aspetti fondamentali:
 la regolamentazione analitica dei processi assistenziali, anche
attraverso la definizione di linee guida interne e l’adozione di linee
guida adottate dalla comunità scientifica
 il coinvolgimento attivo dei professionisti nella definizione di tale
regolamentazione
 l’attivazione di processi di revisione sistematica e miglioramento
continuo della qualità e dell’appropriatezza delle prestazioni
Tali processi sono indicati come condizione ordinaria di governo
delle attività clinico assistenziali dal comma 1 dell’articolo 10 del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502:
1. Allo scopo di garantire la qualità dell'assistenza nei confronti
della generalità dei cittadini, è adottato in via ordinaria il metodo
della verifica e revisione della qualità e della quantità delle prestazioni, nonché del loro costo, al cui sviluppo devono risultare
funzionali i modelli organizzativi ed i flussi informativi dei soggetti
erogatori e gli istituti normativi regolanti il rapporto di lavoro del
personale dipendente, nonché i rapporti tra soggetti erogatori,
pubblici e privati, ed il Servizio sanitario nazionale.
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Un richiamo particolare merita l’importanza delle linee guida, anche
alla luce del comma 1 dell’articolo 3 del decreto legge 13 settembre
2012, n. 158 (il cosiddetto decreto Balduzzi):
1. L'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate
dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve.
In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del
codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento
del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo
periodo.
(L’articolo 2043 del codice civile dispone che “Qualunque fatto doloso o
colposo, che cagiona, ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha
commesso il fatto a risarcire il danno”)
L’organizzazione dei processi assistenziali, considerata la complessità
degli stessi e le implicazioni in termini di responsabilità professionali,
non può essere lasciata all’arbitrio della direzione, per quanto
illuminata e competente essa possa essere, ma deve scaturire da una
applicazione partecipata e condivisa di principi e criteri generali che
scaturiscono dalle linee guida della professione medica, nonché
dalle norme contrattuali e dalle linee guida regionali. Principi e norme
che comunque stabiliscono riferimenti di carattere generale, che
devono essere declinati con riferimento alle specifiche realtà aziendali,
tenendo conto delle peculiarità che esse presentano, con la più ampia
partecipazione possibile dei professionisti, sia attraverso le loro
organizzazioni sindacali (non a caso la normativa contrattuale prevede
che gli orari di lavoro e le modalità adottate per coprire le urgenze ed
emergenze siano oggetto di concertazione), sia attraverso organismi
quali il consiglio dei sanitari, il collegio di direzione, che sono
strumenti di coinvolgimento del medico nelle decisioni che riguardano
l’organizzazione delle attività.
Purtroppo l’emergenza economica da un lato, ed una interpretazione
disinvolta dell’articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 2001, n. 165
che disciplina i poteri di organizzazione, stanno riducendo prerogative
e funzioni tanto delle organizzazioni sindacali quanto degli organismi
di partecipazione democratica. A questa tendenza è opportuno opporsi
in tutti i modi possibili, perché ciò che viene messo a rischio non è
solo la qualità della vita dei professionisti, ma la stessa sicurezza del
paziente e dell’operatore sanitario.
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DAL POTERE DI ORGANIZZAZIONE ALL’ABUSO DI POTERE
L’utilizzo “disinvolto” dei poteri di organizzazione che l’articolo 5 del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, conferisce agli organi
deputati alla gestione si traduce in veri e propri abusi di potere
adottando soluzioni palesemente illegittime, perché violano criteri e
procedure fissati in modo inequivocabile dalla normativa vigente,
nonché i principi di razionalità, trasparenza, correttezza, buon
andamento della gestione, che devono guidare le amministrazioni
pubbliche.
Queste violazioni trovano la loro legittimazione nella convinzione che
tutto sia possibile nell’esercizio dei poteri di organizzazione che
l’articolo 5 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 conferisce
agli organi deputati alla gestione, precisando che le determinazioni
per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione
dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi
preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore
di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai sindacati per
le determinazioni relative all'organizzazione degli uffici ovvero,
limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l'esame
congiunto, ove previsti nei contratti .
Questa formulazione ha determinato la convinzione che un direttore
generale possa adottare liberamente qualsiasi decisione, avendo
il solo obbligo formale di informare le organizzazioni sindacali,
dimenticando che lo stesso articolo 5 dispone che quei poteri
di organizzazione devono essere esercitati nell’ambito delle leggi e
dei regolamenti che ogni amministrazione pubblica deve adottare per
disciplinare il proprio assetto organizzativo interno. Non si tratta di un
esercizio avulso da qualsiasi regola, ma di un esercizio che deve
essere rispettoso di principi predefiniti nell’ambito dei regolamenti che
disciplinano gli istituti di volta in volta considerati.
E non appare casuale la distinzione che nel testo normativo si
riscontra tra determinazioni intese come decisioni relative a specifiche
circostanze e situazioni ed atti, intesi come regole generali alle quali
attenersi nell’esercizio della potestà organizzativa.
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Una interessante conferma giurisprudenziale di questa lettura
dell’articolo 5 del decreto legislativo 165 si trova nella sentenza 1001
del 29 dicembre 2009 emessa dalla sezione giurisdizionale della Corte
dei Conti della Calabria, sentenza nella quale si legge
L'articolo 5, relativo al "potere di organizzazione", dispone, al comma 2,
che "le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure
inerenti la gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi
preposti alla gestione (cioè i dirigenti) con la capacità e i poteri del
privato datore di lavoro", ma "nell'ambito delle leggi e degli atti
organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1" (quelli che ogni amministrazione pubblica deve adottare per disciplinare il proprio assetto interno)..
In altri termini, i dirigenti, ai quali è affidata in via esclusiva l'attività
amministrativa, emanano gli atti gestionali aventi natura privatistica,
definiti in dottrina di micro organizzazione, nell'ambito e sulla base
degli "atti organizzativi" di carattere generale, detti macro organizzativi,
dal contenuto normativo in senso lato, mediante i quali gli organi
di governo delle pubbliche Amministrazioni esercitano le proprie
funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di individuazione
degli obiettivi e dei programmi da attuare, definiscono le linee
fondamentali di organizzazione degli uffici, individuano gli uffici
di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità
dei medesimi, e determinano le dotazioni organiche complessive.
Vale a dire che tali "atti organizzativi", proprio in quanto aventi
carattere generale, non ineriscono alla gestione dei singoli rapporti
di lavoro, ma si pongono, quali veri e propri atti amministrativi, a monte
dei rapporti stessi, e costituiscono l'esplicazione di una attività
di carattere pubblicistico finalizzata all'organizzazione complessiva
dell'Ente, a fronte della quale sussistono in capo agli interessati
posizioni di interesse legittimo, con la conseguenza che non soltanto
tale attività resta disciplinata dal diritto amministrativo, e non dal
diritto civile, ma anche che il sindacato sulla loro legittimità può essere
convenientemente valutata da questa Corte.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
NORME DI CARATTERE GENERALE IN MATERIA DI TURNI
L’articolazione della presenza del personale in turni di servizio è
materia che da sempre è stata oggetto di attenzione nella normativa
contrattuale che disciplina il rapporto di lavoro. Già nel DPR 25
giugno 1983, n. 348 (il primo contratto di lavoro, di natura pubblicistica, del personale delle unità sanitarie locali) l’articolo 6, avente ad
oggetto “turni di servizio ed organizzazione del lavoro”, disponeva:
Allo scopo di accrescere la qualità e la produttività dei servizi,
l'organizzazione del lavoro può essere basata su più turni giornalieri e
deve tendere alla utilizzazione delle strutture nell'arco della settimana
e, in prospettiva, alla copertura delle esigenze di servizio, dove necessario, anche nell'arco delle 24 ore, mediante opportuno adeguamento
degli organici salva la normativa vigente in materia.
Gli orari e i turni di lavoro devono essere stabiliti ai sensi dell'articolo
32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 761/1979 tenendo
conto della necessità di una razionale ed economica distribuzione del
personale in relazione alle esigenze degli utenti e sulla base di criteri
generali concordati con le organizzazioni sindacali interessate.
Il personale è tenuto a svolgere la propria attività nell'ambito
del complesso dei presidi, servizi e uffici della unità sanitaria locale, nel
rispetto dei diritti di ciascuna posizione funzionale e profilo professionale.
L'organizzazione del lavoro deve proporsi di conseguire la presenza
attiva dei medici nei servizi almeno per 12 ore diurne, valorizzando
le funzioni degli aiuti corresponsabili e dei coadiutori.
Per il personale medico pertanto – nei servizi ove ciò è richiesto –
la distribuzione degli operatori deve essere operata su due turni,
comprimendo al massimo il ricorso agli istituti della guardia medica e
della pronta disponibilità.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
NORME DI CARATTERE GENERALE IN MATERIA DI TURNI
Il lavoro deve essere organizzato in modo da valorizzare il ruolo interdisciplinare delle équipe e la responsabilità di ogni operatore nell'assolvimento dei propri compiti istituzionali.
Sulla base dei criteri stabiliti dal comitato di gestione gli orari ed
i turni di servizio saranno definiti dall'ufficio di direzione, su proposta
del responsabile del servizio o presidio multizonale, previo confronto
con le organizzazioni sindacali interessate.
Nel richiamato articolo 32 del DPR 20 dicembre 1979, n. 761, per
quanto concerne l’articolazione dei turni di servizio si legge “Gli orari e
i turni di lavoro devono essere stabiliti tenendo conto delle necessità
di una razionale ed economica utilizzazione e distribuzione del
personale in relazione alle esigenze degli utenti e sulla base di criteri
generali concordati con le organizzazioni sindacali interessate”.
I principi chiave cui deve riferirsi l’organizzazione del lavoro e specificamente l’articolazione dei turni di servizio richiamati in quel primo
contratto nazionale di lavoro sono riconducibili ai seguenti:
 la razionalità (che si esprime in una equilibrata ripartizione)
 l’economicità (riducendo al minimo il ricorso ad istituti che
comportano costi aggiuntivi, quali la guardia e la reperibilità)
 il rispetto delle esigenze degli utenti
 il confronto con le organizzazioni sindacali interessate
Principi sostanzialmente ad essi sovrapponibili sono enunciati
nell’articolo 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, che costituisce
come noto il quadro normativo generale che disciplina il rapporto
di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 2002_2005
ARTICOLO 14
orario di lavoro dei dirigenti
1. principi di carattere generale
Nell'ambito dell'assetto organizzativo dell'azienda, i dirigenti
assicurano la propria presenza in servizio ed il proprio tempo
di lavoro, articolando in modo flessibile l'impegno di servizio per
correlarlo alle esigenze della struttura cui sono preposti ed
all'espletamento dell'incarico affidato, in relazione agli obiettivi e
programmi da realizzare, secondo modalità che devono essere
stabilite dall’azienda previa concertazione con le organizzazioni
sindacali. I volumi prestazionali richiesti all'equipe ed i relativi
tempi di attesa massimi per la fruizione delle prestazioni stesse
vengono definiti con le procedure di budget con le quali si procede
all'assegnazione degli obiettivi annuali ai dirigenti di ciascuna
unità operativa, stabilendo la previsione oraria per la realizzazione
di detti programmi. L'impegno di servizio necessario per il raggiungimento degli obiettivi prestazionali eccedenti l'orario dovuto
contrattualmente è negoziato con le stesse procedure di budget.
Sempre in sede di budget vengono individuati anche gli strumenti
orientati a ridurre le liste di attesa.
2. orario di lavoro settimanale
L'orario di lavoro dei dirigenti è confermato in 38 ore settimanali, al
fine di assicurare il mantenimento del livello di efficienza raggiunto
dai servizi sanitari e per favorire lo svolgimento delle attività
gestionali e/o professionali, correlate all'incarico affidato e conseguente agli obiettivi di budget negoziati a livello aziendale, nonché
quelle di didattica, ricerca ed aggiornamento.
3. verifica del raggiungimento degli obiettivi di budget
Il conseguimento degli obiettivi correlati all'impegno di servizio
di cui ai commi 1 e 2 è verificato trimestralmente ai fini dell’analisi
del raggiungimento degli obiettivi di budget per la conseguente
erogazione della retribuzione di risultato.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 2002_2005
ARTICOLO 14
orario di lavoro dei dirigenti
4. ore riservate ad attività non assistenziale
Nello svolgimento dell'orario di lavoro previsto per i dirigenti medici
e veterinari, quattro ore dell'orario settimanale sono destinate ad
attività non assistenziali, quali l'aggiornamento professionale,
l'ECM, la partecipazione ad attività didattiche, la ricerca finalizzata.
Tale riserva di ore non rientra nella normale attività assistenziale,
non può essere oggetto di separata ed aggiuntiva retribuzione.
Essa va utilizzata di norma con cadenza settimanale ma, anche per
particolari necessità di servizio, può essere cumulata in ragione
di anno per impieghi come sopra specificati ovvero infine utilizzata
anche per l'aggiornamento facoltativo in aggiunta agli otto giorni
l’anno di permesso retribuito per la partecipazione a convegni,
congressi, corsi di aggiornamento facoltativi previsti dall'articolo
23, comma 1, del CCNL 5 dicembre 1996. Tale riserva va resa
in ogni caso compatibile con le esigenze funzionali della struttura
di appartenenza e non può in alcun modo comportare una mera
riduzione dell'orario di lavoro.
5. utilizzo di 30 minuti delle 4 ore settimanali di cui al comma 4
L'azienda, con le procedure di budget, può utilizzare, in forma
cumulata, 30 minuti settimanali delle quattro ore riservate
ad attività non assistenziali, per un totale massimo di n. 26 ore
annue, prioritariamente, per contribuire alla riduzione delle liste
di attesa ovvero per il perseguimento di obiettivi assistenziali e
di prevenzione definiti con le medesime procedure.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 2002_2005
ARTICOLO 14
orario di lavoro dei dirigenti
6. possibilità di ricorrere alle prestazioni aggiuntive
Ove per il raggiungimento degli obiettivi prestazionali eccedenti
quelli negoziati in sede di budget, sia necessario un impegno
aggiuntivo, l'azienda, sulla base delle linee di indirizzo che
la Regione può emanare in questa materia, ed ove ne ricorrano
i requisiti e le condizioni, può concordare con l'equipe interessata
l'applicazione dell'istituto previsto dall'articolo 55, comma 2 del
CCNL 1998_2001, che prevede la remunerazione dell’impegno
aggiuntivo richiesto come prestazioni aggiuntive in base al
regolamento adottato dall’azienda sulla base di criteri generali che
devono essere stabiliti previa contrattazione con le organizzazioni
sindacali aziendali. La misura della tariffa oraria da erogare per tali
prestazioni è di € 60,00 lordi. Nell'individuazione dei criteri generali
per l'adozione di tale atto dovrà essere indicato che l'esercizio
dell'attività libero professionale di cui all'articolo 55 comma 2 è
possibile dopo aver garantito gli obiettivi prestazionali negoziati.
7. presenza continuativa nell’arco delle 24 ore
La presenza del dirigente medico nei servizi ospedalieri nonché
in particolari servizi del territorio individuati in sede aziendale con
le procedure di cui al comma 1, deve essere assicurata nell'arco
delle 24 ore e per tutti i giorni della settimana mediante una
opportuna programmazione ed una funzionale e preventiva
articolazione degli orari e dei turni di guardia. Con l'articolazione
del normale orario di lavoro nell'arco delle dodici ore di servizio
diurne, la presenza medica è destinata a far fronte alle esigenze
ordinarie e di emergenza che avvengano nel medesimo periodo
orario. L'azienda individua i servizi ove la presenza medica deve
essere garantita attraverso una turnazione per la copertura
dell'intero arco delle 24 ore.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 2002_2005
ARTICOLO 14
orario di lavoro dei dirigenti
10. partecipazione ai turni di guardia e pronta disponibilità
Tutti i dirigenti medici, esclusi i direttori di struttura complessa,
indipendentemente dall'esclusività del rapporto di lavoro, sono
tenuti ad assicurare i servizi di guardia e di pronta disponibilità.
CCNL 1994_1997
ARTICOLO 21
Ferie e festività
1. giorni di ferie spettanti nell’anno
Il dirigente ha diritto, in ogni anno di servizio, ad un periodo
di ferie retribuito pari a 32 giorni lavorativi, comprensivi delle due
giornate previste dall’articolo 1, comma 1, lettera “a”, della legge 23
dicembre 1977, n. 937.
2. giorni di ferie spettanti nei primi tre anni di servizio
Il periodo di ferie per coloro che accedono alla qualifica di dirigente
dopo la stipulazione del presente contratto – fatti salvi coloro che
risultino essere già dipendenti del comparto – è di 30 giorni
lavorativi comprensivi delle due giornate previste dal comma 1.
Dopo tre anni di servizio agli stessi dirigenti spettano i giorni
di ferie previsti nel comma 1.
3. articolazione su cinque giorni dell’orario settimanale
Nel caso che presso la struttura cui il dirigente è preposto l’orario
settimanale di lavoro sia articolato su cinque giorni, il sabato è
considerato non lavorativo ed i giorni di ferie spettanti ai sensi
dei commi 1 e 2 sono ridotti rispettivamente a 28 e 26, comprensivi
delle due giornate previste dall’articolo 1, comma 1, lettera “a”,
della legge 23 dicembre 1977, n. 937.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 1998_2001
ARTICOLO 55
Tipologie di attività libero professionali
1. modalità di esercizio della libera professione intramoenia
L'esercizio dell'attività libero professionale avviene al di fuori
dell'impegno di servizio e si può svolgere nelle seguenti forme:
a) libera professione individuale, caratterizzata dalla scelta diretta
da parte dell'utente del singolo professionista cui viene richiesta
la prestazione, ai sensi dell'articolo 54, comma 4;
b) attività libero professionale a pagamento, ai sensi dell'articolo 54
comma 4, svolte in équipe all'interno delle strutture aziendali,
caratterizzata dalla richiesta di prestazioni da parte dell'utente,
singolo o associato anche attraverso forme di rappresentanza,
all'équipe, che vi provvede nei limiti delle disponibilità orarie
concordate;
c) partecipazione ai proventi di attività professionale richiesta a
pagamento da singoli utenti e svolta individualmente o in
équipe, in strutture di altra azienda del SSN o di altra struttura
sanitaria non accreditata, previa convenzione con le stesse;
d) partecipazione ai proventi di attività professionali, a pagamento,
richieste da terzi (utenti singoli, associati, aziende o enti) all'azienda anche al fine di consentire la riduzione dei tempi di attesa, secondo programmi predisposti dall'azienda stessa,
d'intesa con le équipe dei servizi interessati.
2. prestazioni aggiuntive
Si considerano prestazioni erogate nel regime di cui alla lettera d)
del comma 1 anche le prestazioni richieste, in via eccezionale
e temporanea ad integrazione dell'attività istituzionale dalle aziende
ai propri dirigenti al fine di ridurre le liste di attesa o di acquisire
prestazioni aggiuntive, soprattutto in presenza di carenza di organico ed impossibilità anche momentanea di coprire i relativi posti
con personale in possesso dei requisiti di legge, in accordo con
le équipe interessate e nel rispetto delle direttive regionali.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 1998_2001
ARTICOLO 55
Tipologie di attività libero professionali
2-bis (introdotto dall’articolo 18 del CCNL 2002_2005)
Remunerazione dei servizi di guardia
Qualora tra i servizi istituzionali da assicurare – eccedenti gli obiettivi
prestazionali negoziati in sede di budget – rientrino i servizi di guardia
notturna, l’applicazione del comma 2, ferme rimanendo le condizioni
di operatività ivi previste, deve avvenire nel rispetto delle linee
di indirizzo che la regione può emanare in materia di continuità
assistenziale ed in particolare per quanto concerne la disciplina
delle guardie e la loro durata. È inoltre necessario che:
√ sia razionalizzata la rete dei servizi ospedalieri interni dell’azienda
per l’ottimizzazione delle attività connesse alla continuità assistenziale;
√ siano le aziende a richiedere al dirigente le prestazioni in tale
regime, esaurita la utilizzazione di altri strumenti retributivi contrattuali;
√ sia definito un tetto massimo delle guardie retribuibili con il ricorso al
comma 2 non superiore al 12% delle guardie notturne complessivamente svolte in azienda nell’anno precedente, il quale rappresenta il budget di spesa massimo disponibile;
√ la tariffa per ogni turno di guardia notturna è fissata in € 480,00
lordi.”
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 1994_1997
Articolo 65
La produttività per i dirigenti medici del SSN
1. finalità della retribuzione di risultato
La retribuzione di risultato è strettamente correlata alla realizzazione dei programmi e progetti aventi come obiettivo il raggiungimento dei risultati prestazionali prefissati e il rispetto della disponibilità complessiva di spesa assegnata alle singole strutture, sulla
base della metodologia della negoziazione del budget.
2. finalità del fondo per la retribuzione di risultato
Il fondo per la retribuzione di risultato è pertanto destinato
a promuovere il miglioramento organizzativo e l’erogazione dei
servizi per la realizzazione degli obiettivi generali dell’azienda o
dell’ente, finalizzati al conseguimento di più elevati livelli
di efficienza, di efficacia e di economicità dei servizi istituzionali, tra
i quali sono particolarmente qualificanti:
 il miglioramento degli indici di rendimento legati alla degenza;
 l’ottimizzazione delle condizioni di fruibilità delle prestazioni
sanitarie ed ospedaliere con il pieno utilizzo e valorizzazione
dei servizi sanitari pubblici anche attraverso l’ampliamento
degli orari di apertura al pubblico e un maggiore orientamento
all’utenza;
 la razionalizzazione della spesa per consumi sanitari anche
attraverso l’adozione di adeguati protocolli clinici, diagnostici e
terapeutici;
 il miglioramento dei livelli qualitativi di intervento di sanità
collettiva negli ambienti di vita e di lavoro;
 la razionalizzazione, la personalizzazione ed umanizzazione del
la funzione ospedaliera anche attraverso l’individuazione
di forme alternative, quali l’ospedalizzazione o l’assistenza
a domicilio, nonché l’incentivazione delle prestazioni e dei trattamenti deospedalizzanti e delle attività di ospedale diurno;
 la realizzazione di modelli organizzativi innovativi per le attività
delle articolazioni aziendali;
 l’avvio di tecniche per il controllo di gestione.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 1994_1997
Articolo 65
La produttività per i dirigenti medici del SSN
4. assegnazione degli obiettivi alle macroarticolazioni aziendali
Al fine di conseguire più elevati livelli di efficienza, efficacia ed
economicità nella gestione dei servizi istituzionali, la direzione
generale, di norma con cadenza annuale e in corrispondenza
con l'approvazione del bilancio, anche sulla base delle proposte
dei dirigenti responsabili secondo i rispettivi ordinamenti alle strutture aziendali di più elevato livello:
a) definisce i programmi e gli obiettivi prestazionali, emanando
le conseguenti direttive generali per l'azione amministrativa e
la gestione;
b) assegna a ciascuna articolazione aziendale, le risorse umane,
strumentali e finanziarie necessarie al loro raggiungimento,
indicando quale è la quota parte del fondo della retribuzione
di risultato assegnata alla medesima e, in particolare, quella
riservata al dirigente responsabile.
5. assegnazione degli obiettivi alle singole unità operative
I dirigenti responsabili delle articolazioni aziendali provvedono,
con le medesime procedure e metodologie del comma precedente,
nei confronti delle singole unità operative che compongono l'articolazione medesima.
6. assegnazione degli obiettivi ai singoli dirigenti
Gli obiettivi, preventivamente illustrati dal dirigente responsabile
dell'articolazione aziendale, sono assegnati formalmente a tutti
i dirigenti dell'unità operativa secondo la tipologia degli incarichi
conferiti a ciascuno di essi, con l'indicazione dell'incentivo economico connesso.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 1994_1997
Articolo 65
La produttività per i dirigenti medici del SSN
7. valutazione del grado di raggiungimento degli obiettivi
L'erogazione dell'incentivo è strettamente connessa ai risultati
conseguiti in relazione alla realizzazione degli obiettivi assegnati.
Detti risultati sono oggetto di valutazione da parte del competente
servizio per il controllo interno e del nucleo di valutazione, che ne
definisce parametri e standard di riferimento.
8. modalità di erogazione della retribuzione di risultato
La retribuzione di risultato è corrisposta a consuntivo, nei limiti
delle quote di produttività assegnate all'unità operativa e,
comunque, nel rispetto delle disponibilità finanziarie complessivamente attribuite alla medesima, in relazione al raggiungimento
totale o parziale del risultato. Tale verifica può anche essere
periodica, per stati di avanzamento.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 10 febbraio 2004
Integrativo del CCNL 1998_2001
Articolo 28
Lavoro straordinario
1. divieto di utilizzare il lavoro straordinario come fattore ordinario
Il lavoro straordinario non può essere utilizzato come fattore
ordinario di programmazione del lavoro. Le relative prestazioni
hanno carattere eccezionale e devono rispondere ad effettive
esigenze di servizio.
2. condizioni e limiti di utilizzo del lavoro straordinario
Le prestazioni di lavoro straordinario sono consentite, ai soli
dirigenti che non siano titolari di incarico di struttura complessa,
per i servizi di guardia e di pronta disponibilità nonché per altre
attività non programmabili. Esse possono essere compensate a
domanda del dirigente con riposi sostitutivi da fruire compatibilmente con le esigenze del servizio di regola entro il mese successivo
tenuto conto delle ferie maturate e non fruite
3. finanziamento del lavoro straordinario
Il fondo per la corresponsione dei compensi per il lavoro
straordinario è il fondo per il finanziamento del trattamento
accessorio legato a particolari condizioni di lavoro.
4. ripartizione delle risorse del fondo tra le diverse unità operative
Le aziende determinano le quote di risorse del fondo che, in relazione alle esigenze di servizio preventivamente programmate ovvero
previste per fronteggiare situazioni ed eventi di carattere
eccezionale, vanno assegnate alle articolazioni aziendali individuate
dall’atto aziendale.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
CCNL 10 febbraio 2004
Integrativo del CCNL 1998_2001
Articolo 28
Lavoro straordinario
5. misura oraria dei compensi per lavoro straordinario
La misura oraria dei compensi per lavoro straordinario è
determinata maggiorando la misura oraria di lavoro ordinario
calcolata convenzionalmente dividendo per 156 i seguenti elementi
retributivi:
b) stipendio tabellare in godimento;
c) indennità integrativa speciale (in godimento;
d) rateo di tredicesima mensilità delle due precedenti voci.
6. maggiorazione per le diverse tipologie di lavoro straordinario
La maggiorazione di cui al comma 5 è pari al 15% per lavoro
straordinario diurno, al 30% per lavoro straordinario prestato nei
giorni festivi o in orario notturno (dalle ore 22 alle ore 6 del giorno
successivo) ed al 50% per quello prestato in orario notturno festivo.
CCNL 6 maggio 2010
Integrativo del CCNL 2006_2009
articolo 16
disposizioni particolari e conferme
4. conferma dell’eccezionalità del ricorso al lavoro straordinario
Si ribadisce, altresì, che sono qualificate come lavoro straordinario,
ai sensi dell’articolo 28 del CCNL integrativo 10 febbraio 2004, solo
le prestazioni di carattere eccezionale, rispondenti ad effettive
esigenze di servizio, espressamente e tempestivamente autorizzate
con le procedure e le modalità stabilite in ciascuna azienda e
limitatamente ai dirigenti ed alle situazioni indicate nel comma 2
del medesimo articolo 28, ai soli fini di garantire la continuità
assistenziale.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165
Norme generali sull'ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche
articolo 2
fonti
1. atti organizzativi di carattere generale e principi di riferimento
Le amministrazioni pubbliche definiscono, secondo principi
generali fissati da disposizioni di legge e, sulla base dei medesimi,
mediante atti organizzativi secondo i rispettivi ordinamenti, le linee
fondamentali di organizzazione degli uffici; individuano gli uffici
di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della titolarità
dei medesimi; determinano le dotazioni organiche complessive.
Esse ispirano la loro organizzazione ai seguenti criteri:
a) funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi di attività, nel
perseguimento degli obiettivi di efficienza, efficacia ed economicità. A tal fine, periodicamente e comunque all'atto della definizione dei programmi operativi e dell'assegnazione delle risorse,
si procede a specifica verifica e ad eventuale revisione;
b) ampia flessibilità, garantendo adeguati margini alle determinazioni operative e gestionali da assumersi ai sensi dell'articolo 5,
comma 2;
c) collegamento delle attività degli uffici, adeguandosi al dovere
di comunicazione interna ed esterna, ed interconnessione
mediante sistemi informatici e statistici pubblici;
d) garanzia dell'imparzialità e della trasparenza dell'azione amministrativa, anche attraverso t'istituzione di apposite strutture
per l'informazione ai cittadini e attribuzione ad un unico ufficio,
per ciascun procedimento, della responsabilità complessiva
dello stesso;
e) armonizzazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici
con le esigenze dell'utenza e con gli orari delle amministrazioni
pubbliche dei Paesi dell'Unione europea.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165
Norme generali sull'ordinamento del lavoro
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche
articolo 5
potere di organizzazione
1. finalità per la quale si esplica il potere di organizzazione
Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione
organizzativa al fine di assicurare l'attuazione dei principi di cui
all'articolo 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse
dell'azione amministrativa.
2. ambiti nei quali si esercita il potere di organizzazione
Nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi che ogni amministrazione deve adottare per disciplinare il proprio assetto organizzativo ai sensi dell'articolo 2, comma 1, le determinazioni per
l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione
dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi
preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore
di lavoro, fatti salvi la sola informazione ai sindacati per le determinazioni relative all'organizzazione degli uffici ovvero, limitatamente alle misure riguardanti i rapporti di lavoro, l'esame
congiunto, ove previsti nei contratti nazionali di lavoro. Rientrano,
in particolare, nell'esercizio dei poteri dirigenziali le misure inerenti
la gestione delle risorse umane nel rispetto del principio di pari
opportunità, nonché la direzione, l'organizzazione del lavoro
nell'ambito degli uffici.
3. controllo interno sull’esercizio del potere di organizzazione
Gli organismi di controllo interno verificano periodicamente
la rispondenza delle determinazioni organizzative ai principi
indicati all'articolo 2, comma 1, anche al fine di propone l'adozione
di eventuali interventi correttivi e di fornire elementi per l'adozione
delle misure previste nei confronti dei responsabili della gestione.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
DECRETO LEGISLATIVO 27 ottobre 2009, n. 150
articolo 14
Organismo indipendente di valutazione della performance
1. istituzione dell’organismo indipendente di valutazione (OIV)
Ogni amministrazione, singolarmente o in forma associata, senza
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si dota di un
Organismo indipendente di valutazione della performance.
2. controllo di gestione e controllo strategico
L'Organismo indipendente di valutazione (OIV) sostituisce i servizi
di controllo interno, comunque denominati, (nucleo di valutazione,
controllo interno di gestione) ed esercita, in piena autonomia,
le attività di cui al comma 4. Esercita altresì l’attività di valutazione
e controllo strategico che ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del
citato decreto legislativo n. 286 del 1999, mira a verificare, in
funzione dell'esercizio dei poteri di indirizzo da parte dei competenti
organi, l'effettiva attuazione delle scelte contenute nelle direttive ed
altri atti di indirizzo politico. L'attività stessa consiste nell'analisi,
preventiva e successiva, della congruenza e degli eventuali
scostamenti tra le missioni affidate dalle norme, gli obiettivi operativi
prescelti, le scelte operative effettuate e le risorse umane finanziarie
e materiali assegnate nonché nella identificazione degli eventuali
fattori ostativi, delle eventuali responsabilità per la mancata o
parziale attuazione, dei possibili rimedi, e riferisce, in proposito,
direttamente all'organo di indirizzo politico ammini-strativo.
3. durata in carica dell’OIV
L'Organismo indipendente di valutazione è nominato, sentita
la Commissione nazionale la valutazione, la trasparenza e
l'integrità delle amministrazioni pubbliche, dall'organo di indirizzo
politico-amministrativo per un periodo di tre anni. L'incarico
dei componenti può essere rinnovato una sola volta.
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RIFERIMENTI NORMATIVI
DECRETO LEGISLATIVO 27 ottobre 2009, n. 150
articolo 14
4. funzioni specifiche attribuite all’OIV:
L'Organismo indipendente di valutazione della performance
a) monitora il funzionamento complessivo del sistema della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni ed
elabora una relazione annuale sullo stato dello stesso;
b) comunica tempestivamente le criticità riscontrate ai competenti
organi interni di governo ed amministrazione, nonché alla Corte
dei conti, all'Ispettorato per la funzione pubblica e alla Commissione nazionale per la valutazione, la trasparenza e l’integrità
delle amministrazioni pubbliche;
c) valida la Relazione sulla performance che le amministrazioni
pubbliche devono redigere ogni anno per dar conto dei risultati
raggiunti rispetto agli obiettivi prefissati e ne assicura la
visibilità attraverso la pubblicazione sul sito istituzionale;
d) garantisce la correttezza dei processi di misurazione e valutazione, nonché dell'utilizzo dei premi che possono essere erogati
in relazione ai risultati raggiunti, secondo quanto previsto dal
presente decreto, dai contratti collettivi nazionali, dai contratti
integrativi, dai regolamenti interni all'amministra-zione, nel
rispetto del principio di valorizzazione del merito e della professionalità;
e) sulla base del sistema di misurazione delle performance che ogni
amministrazione pubblica è tenuta ad adottare propone all'
organo di indirizzo politico-amministrativo, la valutazione
annuale dei dirigenti di vertice e l'attribuzione ad essi dei premi
che possono essere erogati in relazione ai risultati raggiunti;
f) è responsabile della corretta applicazione delle linee guida,
delle metodologie e degli strumenti predisposti dalla Commissione nazionale per la valutazione, la trasparenza e l’integrità
delle amministrazioni pubbliche;
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RIFERIMENTI NORMATIVI
DECRETO LEGISLATIVO 27 ottobre 2009, n. 150
articolo 14
4. funzioni specifiche attribuite all’OIV:
L'Organismo indipendente di valutazione della performance
g) promuove e attesta l'assolvimento degli obblighi relativi alla
trasparenza e all'integrità delle amministrazioni pubbliche;
h) verifica i risultati e le buone pratiche di promozione delle pari
opportunità.
5. L’indagine annuale sul benessere organizzativo
L'Organismo indipendente di valutazione della performance,
sulla base di appositi modelli forniti dalla Commissione nazionale
per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni
pubbliche, cura annualmente la realizzazione di indagini sul
personale dipendente volte a rilevare il livello di benessere
organizzativo e il grado di condivisione del sistema di valutazione
nonché la valutazione del proprio superiore gerarchico da parte del
personale, e ne riferisce alla predetta Commissione.
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