La tecnofilosofia dell`immagine Maurizio G. De Bonis Lo sguardo, il

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La tecnofilosofia dell`immagine Maurizio G. De Bonis Lo sguardo, il
La tecnofilosofia dell’immagine
Maurizio G. De Bonis
Lo sguardo, il corpo e il suo rapporto con lo spazio, la ritualità del gesto e dell’azione, la
dimensione onirica dell’esistenza, la relazione tra l’occhio/obiettivo umano e la luce, la
determinazione narrativa dell’invisibile.
Il nostro cervello produce e, allo stesso tempo, acquisisce, immagini in una girandola
creativa e visionaria che solo apparentemente esclude pause, tempi morti, atti invisibili.
Tutti gli elementi della visione, anche quelli di tipo subliminale, vengono decodificati e
catalogati nel tentativo di rendere plausibile e soprattutto decifrabile il reale, anche
attraverso il supporto della memoria (visiva).
In questa operazione che di fatto trasforma ogni azione in ripetizione, e ogni oggetto/corpo
in feticcio, si compie una sorta di azzeramento della vera sostanza del pensiero e degli atti
concreti che proprio dal pensiero prendono la vita. Così, l’uso di un dispositivo ottico
tecnologico, del linguaggio della comunicazione audiovisiva e del suono permettono di
riportare alla luce un labirinto di sensazioni fondamentali sepolte sotto la realtà, in
quell’abisso nel quale la coscienza diventa incoscienza.
Alexandro Ladaga e Silvia Manteiga, Elastic Group of Artistic Research, in tal senso
sembrano porsi come sottili e pazienti indagatori, concentrati sulla rappresentazione
grottesca dell’esistenza attraverso l’utilizzazione poetica della finzione. La videocamera a
raggi infrarossi, l’effetto rallentatore, l’iterazione parossistica del movimento, la
simulazione parodistica dell’amplesso, la decontestualizzazione onirica di frammenti di
quotidianità, la scansione ritmica del racconto attraverso effetti sonori, sono tutti strumenti
che contribuiscono a costruire il complesso impianto teorico sul quale l’Elastic Group basa
le sue elaborazioni.
Video proiettati su schermo, installazioni, site specific, ogni possibile variante dell’universo
relativo alla videoarte viene esplorato e posto in essere dai due autori, i quali lavorano
anche sul rapporto immagine/spazio in grandi allestimenti che però non perdono le
connotazioni creative al centro della loro ricerca.
In VideoIntimacy lo spazio viene sezionato orizzontalmente da un piano in cui sono stati
realizzati dei buchi nei quali una modella nuda, ma anche i fruitori, devono infilare la testa.
Il corpo della giovane donna viene così "separato" dal suo volto/sguardo/cervello creando
di fatto un dualismo tra sfera intellettuale e visiva e sfera della corporeità. Ciò determina
una condizione di straniamento nel visitatore il quale vive questa cesura anche in maniera
sensoriale. Il discorso che affrontano in questo caso Alexandro Ladaga e Silvia Manteiga
sembra avere a che fare con la raffigurazione metaforica della complessità della macchina
uomo e con la rappresentazione dell’eros visto come fenomeno composito, frutto di una
paradossale (dis)giunzione tra automatismo istintuale e deriva visionaria del pensiero.
Proprio un video di una coppia che simula un rapporto sessuale accompagna questa
ampia installazione, video in qualche modo riconducibile ad un’altra opera intitolata
Sleeplees. Fantasmi, movimenti meccanici, azioni prive di senso, iterazioni ossessive
messe in pratica da individui eterei che operano in una dimensione "altra" e soprattutto in
una condizione di apparente trance. Ladaga e Manteiga presentano in questo caso la
faccia oscura dell’esistenza, cercando di svelare all’occhio dello spettatore il nascosto, il
non visto. Tutto è organizzato nell’ambito di un dispositivo onirico che appare collegato
con il sentiero espressivo che percorre il confine sottile che divide ironia e tragedia.
L’interpretazione tragica della condizione umana è chiaramente al centro di Carillon, video
nel quale i lenti movimenti della testa della modella permettono di illuminare la sua sfera
interiore in bilico tra coscienza e incoscienza, sogno e vita, dolore e astrazione.
Ma l’opera, apparentemente meno complessa, nella quale il bagaglio teorico di Alexandro
Ladaga e Silvia Manteiga viene messo a fuoco con maggiore efficacia è Flow. Una
giovane donna entra nella toilette della sua casa. Si siede sul bordo della vasca e inizia a
sentire con la mano la temperatura dell’acqua. Poi si spoglia lentamente. L’inquadratura è
bassa, fissa e realizzata con la modalità a raggi infrarossi. Un battito cardiaco ci fa
comprendere come il punto di vista del dispostivo ottico sia combaciante con quello di un
ipotetico voyeur. Mentre la giovane sta per immergersi nell’acqua si rende conto
improvvisamente di esser spiata ed avvicina il proprio volto smarrito alla videocamera.
Un’atmosfera domestica, rassicurante e intima è messa in discussione da uno sguardo
estraneo ed inquietante che rivela allo spettatore frammenti di una vita ordinaria.
L’identificazione tra il punto di vista degli autori, l’istanza narrante e l’occhio del fruitore
crea un (corto) circuito voyeuristico di notevole intensità e dalla innumerevoli valenze
filosofico-espressive. La realtà prende forma solo in questo gioco ossessivo di visioni
reciproche ed opposte che rappresentano nello spazio il nostro essere, il nostro vivere e
quello degli altri. In pratica siamo determinati proprio dallo sguardo del mondo circostante
e dall’interpretazione che chi guarda elabora di noi. La possibilità di mettere a fuoco la
realtà dunque è fornita da questa operazione feticistico-metaforica che permette,
erotizzando il visibile, di attribuirgli una forma e un sostanza.
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