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Introduzione
La relazione fra letteratura e cinema può essere analizzata attraverso
due approcci del tutto differenti. Da un lato, infatti, si può prendere in considerazione, da un punto di vista prevalentemente storico,
il rapporto di scambio che è avvenuto a livello dei testi, quali racconti letterari sono stati “trasposti” nel cinema e quale tipo di rapporto si instaura fra il testo letterario di partenza (almeno così accade nella maggior parte dei casi) e il testo cinematografico di arrivo.
Sotto questo aspetto è bene premettere che il rapporto fra le due
forme espressive è di portata tale che sarà qui possibile, al massimo,
tracciarne le coordinate essenziali. Ci si dedicherà pertanto soprattutto alle problematiche generali che alcuni casi esemplari permettono di evidenziare.
Lo studio comparato di testi letterari e cinematografici, infatti, si è
concentrato prevalentemente su una sorta di critica delle varianti,
ovvero sull’elemento comune ai due media, quello del racconto,
trascurando però spesso altri fattori tutt’altro che secondari per definire la natura di un testo, tanto letterario quanto cinematografico.
Un libro, come un film, è fatto di una storia ma anche di uno stile,
di un linguaggio, di una serie di intenzioni e finalità che attengono
a una cultura nel suo complesso o al rapporto che ciascun autore
cerca di instaurare con il suo pubblico.
Benissimo, quindi, la cosiddetta critica delle varianti che un film
apporta a un libro, e perfino il famoso paragone che si riassume nell’insolubile domanda: “meglio il film o meglio il libro?”. Perché l’analisi possa però davvero approdare a qualche esito culturalmente
più stimolante del discorso generico, è bene avere presente l’alto
numero di fattori che possono influenzare il rapporto di cui ci andiamo a occupare. Un rapporto che, addirittura, richiede alcune
considerazioni preliminari persino prima di essere impostato, alcuni presupposti minimi, condicio sine qua non. Ad esempio, quali tra
le infinite trasposizioni cinematografiche di racconti biblici o di testi shakespeariani sono passibili di un’analisi che metta fianco a
fianco il testo letterario e quello filmico con qualche profitto, e qua7
li invece vanno considerati delle semplici riprese di temi e personaggi che circolano nel vasto immaginario di una cultura popolare
di cui il cinema ha saputo farsi interprete meglio di qualunque altra
forma narrativa? È certamente interessante confrontare il Vangelo
secondo Matteo e l’omonimo film di Pasolini (1964), ma non altrettanto le infinite Passioni di Cristo messe in scena dal cinema delle
origini con una libertà e una sinteticità tali da rendere quanto mai
aleatorio il legame con il testo evangelico.
Lo stesso si può dire dell’Otello (1952) di Orson Welles (e lo stesso
regista, nel 1978, ha realizzato un “film sul film”, intitolato appunto
Filming Othello, per spiegare la lettura critica della tragedia shakespeariana contenuta nella sua pellicola) rispetto alle riduzioni di pochi minuti girate nel 1907 e nel 1908 da Mario Camerini e da William Ranous, rispettivamente per l’italiana Cines e per l’americana
Vitagraph. Tutto questo è stato, nel corso dei decenni, oggetto di
numerosissime analisi e di accesi dibattiti, confluendo nella più vasta questione delle relazioni intertestuali e, più specificamente, del
legame tutt’altro che semplice o univoco che tiene insieme un testo,
i suoi ipotesti e i suoi ipertesti (quei racconti, eventualmente espressi in altre forme narrative, da cui un testo scaturisce o che da lui scaturiscono, secondo la terminologia dello studioso francese Gérard
Genette, 1989).
Questo tipo di approccio si concentra prevalentemente sui singoli
testi, ampliandosi poi fatalmente in una direzione che coinvolge la
storia delle due arti nel corso del loro sviluppo e una serie di istanze
autoriali che attengono alla sfera dell’estetica.
Abbiamo però detto che è possibile anche un altro punto di vista
sul problema delle intersezioni fra cinema e letteratura, punto di vista che può essere associato al precedente oppure essere utilizzato in
maniera del tutto distinta. Questo secondo approccio ha una matrice strutturalista e si preoccupa quindi di analizzare in maniera comparata il funzionamento del dispositivo letterario e di quello filmico, osservandone le modalità e le regole interne, cercando di ricavarne principi generali di cui i singoli casi di trasposizioni cinematografiche non sono che delle occorrenze, delle concrete manifestazioni, delle conferme o dei puntelli per teorie che mirano ad avere
un carattere generale e una vocazione scientifica.
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Da una prospettiva simile cambia, prima di tutto, l’oggetto privilegiato dell’analisi. Non è più interessante capire allora come Hitchcock ha trasposto in La donna che visse due volte (1958) un romanzo
di Boileau e Narcejac, bensì come cambia, ad esempio, tutta la questione del punto di vista nel passaggio dalla scrittura alla ripresa,
quali equivalenti della prima o della terza persona letteraria sono
rinvenibili nella narrazione per inquadrature propria del cinema,
quale sia sul piano letterario l’equivalente del montaggio filmico o
del primo piano, quale funzione svolga la voce fuori campo. E inoltre, quali siano le manifestazioni dell’autore all’interno del testo e,
più ancora, quali coincidenze e differenze vi siano fra le coordinate
dello spazio e del tempo che regolano l’universo fittizio che si costruisce attraverso la scrittura e quello che un regista fabbrica collegando le varie inquadrature.
Inevitabile che, per questa strada, si arrivi a indagare la natura stessa
dei due mezzi. Si è detto che il dibattito in merito ha una lunga tradizione. Ebbene, tale dibattito ha seguito un corso che, al di là dei
tecnicismi, ha dovuto a un certo punto confrontarsi con il fatto – se
vogliamo banale ma per nulla semplice – che la letteratura descrive
utilizzando dei segni convenzionali e arbitrari, mentre il cinema
parte pur sempre – con tutte le mediazioni del caso – dalla stessa
materia con cui siamo soliti confrontarci nel “leggere” la realtà circostante. E infatti, al vertice estremo di un dibattito che ha preso il
via da questioni spinose come quella ormai storica del “segno iconico”, si è più recentemente giunti a discutere di traduzioni intersemiotiche per descrivere quel processo che, dato un libro, porta a riscriverlo in un linguaggio che utilizza una diversa sostanza espressiva, le immagini fotografiche in movimento al posto delle parole
scritte sulla pagina.
Ma l’aspetto più interessante di questo tipo di approccio consiste
nella sua elasticità. Nel fatto cioè che tiene conto della dinamicità e
della circolazione dei processi in atto nel rapporto che intrattengono cinema e letteratura. Fin qui abbiamo descritto una situazione a
senso unico. Abbiamo sempre parlato di trasposizione cinematografica, quasi sottintendendo il fatto che la letteratura preesista comunque al cinema e che sia dunque quest’ultimo a modellarsi ria9
dattando i modi di una forma espressiva ben più antica e collaudata. Purtroppo, le cose sono assai più complicate.
Dal momento in cui il cinema ha assunto un ruolo predominante
nel sistema delle arti e dei mezzi di comunicazione, si sono andate
via via sviluppando generazioni di scrittori che hanno desunto dal
cinema non solo una serie di modelli iconografici e caratteriali,
bensì anche una vera e propria sensibilità narrativa. Lo scrittore
moderno, pertanto, non può esimersi dal confronto con una retorica e con procedimenti linguistici propri del cinema: basti pensare al
montaggio. Ed ecco che il legame è diventato, a tutti gli effetti, un
legame di scambio continuato e dunque di circolazione di idee e
modi di rappresentazione. Prima il cinema “ruba” dalla letteratura,
quindi è la letteratura a rubare dal cinema (anche per via di quella
particolarissima forma di scrittura che è la sceneggiatura) riadattando alle proprie esigenze alcuni fenomeni specifici del nuovo mezzo
che il cinema è poi capace di riassorbire e perfezionare ulteriormente.
A questo si aggiunga il fatto che, nel panorama attuale, è ben difficile parlare di cinema e di letteratura senza considerare che entrambi si trovano ormai inseriti in una sorta di rete intermediale e che il
loro rapporto non è più esclusivo ma allargato a una serie di mezzi
di comunicazione che si è soliti riassumere sotto la dicitura “nuovi
media”. Volendo essere più corretti si dovrebbe ormai parlare di relazione tra forme letterarie e forme audiovisive, includendo anche
la televisione, Internet e i videogame.
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