Anteprima - L`Impresa

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Anteprima - L`Impresa
LA GUIDA DEL SOLE 24 ORE AL
KNOWLEDGE
MANAGEMENT
Alberto F. de Toni, Andrea Fornasier
La guida del sole 24 ore Al
Knowledge
Management
Quanto vale la conoscenza?
Niente, tutto, come Gerusalemme
Alberto F. De Toni, Andrea Fornasier
Prefazione di Giuseppe Zollo
Presentazione di Francesco Varanini
Postfazione di Giannino Piana
Sommario
 13 Prefazione di Giuseppe Zollo
 17 Presentazione di Francesco Varanini
 27 Prologo
 31 Introduzione
parte prima
 
1.La conoscenza in ambito filosofico
di Eugenio Bastianon e Alberto F. De Toni
La conoscenza in diversi ambiti disciplinari
 39
 41
 46
 52
 54
 60
 64
 
1.1 Introduzione
1.2 Le filosofie presocratiche
1.3 Le filosofie socratiche
1.4 La filosofia medievale
1.5 La filosofia moderna
1.6 La filosofia contemporanea
1.7 Conclusioni
2. La conoscenza in ambito economico
 67
 68
 73
 74
 91
2.1 Ruolo della conoscenza nella teoria economica classica
2.2 Ruolo della conoscenza nella teoria economica neoclassica
2.3 Machlup: la nascita della società dell’informazione
2.4 L’emergere dell’economia della conoscenza
2.5 L’affermarsi dell’economia della conoscenza
 
3.La conoscenza nelle teorie dell’impresa e organizzative
 99
115
3.1 R
uolo della conoscenza nelle principali teorie dell’impresa
3.2 R
uolo della conoscenza nelle principali teorie organizzative
4.
123
138
141
142
4.1 Classificazioni della conoscenza in ambito manageriale
4.2 La conoscenza in relazione a dati e informazioni
4.3 La scala della conoscenza
4.4 Il processo di apprendimento organizzativo
La conoscenza in ambito manageriale
parte seconda
5.Principali modelli teorici di governo della conoscenza
Modelli e strumenti per la gestione della conoscenza
151
156
160
163
165
167
169
171
173
175
6. Knowledge strategy
177
188
192
5.1 O
rigini, scuole e accezioni del termine
“gestione della conoscenza”
5.2 Organizational Knowledge Creation (Nonaka)
5.3 Social Learning Cycle (Boisot)
5.4 Organizational Knowing Cycle (Choo)
5.5 Cynefin (Snowden)
5.6 Open Innovation (Chesbrough)
5.7 Personal Knowledge Development (Wiig)
5.8 Altri modelli presenti in letteratura
5.9 Lettura unitaria dei principali modelli teorici
5.10 I l framework proposto di classificazione
dei contributi di letteratura
6.1 Le dimensioni della knowledge strategy
6.2 Relazioni tra le dimensioni della knowledge strategy
6.3 Principali modelli di knowledge strategy
7. Knowledge management
201
211
225
7.1 Mappatura di fasi e cicli di gestione della conoscenza
7.2 Principali modelli di knowledge management
7.3 Gli strumenti di knowledge management
8. Knowledge evaluation
235
236
246
8.1 Le difficoltà nella misurazione della conoscenza
8.2 Il capitale intangibile e le sue componenti
8.3 Principali modelli di knowledge evaluation
9.Modelli integrati di knowledge strategy,
 
management & evaluation
263
265
268
9.1 Knowledge Management Toolkit (Tiwana)
9.2 Knowledge Management Building Blocks (Dalkir)
9.3 Sintesi dei modelli di knowledge strategy,
management ed evaluation
parte terza
10. Il triangolo della conoscenza
Il framework proposto: il triangolo della conoscenza
273
274
283
288
300
311
314
322
324
10.1 Introduzione
10.2 Natura e valore della conoscenza
10.3 La metafora dell’energia della conoscenza
10.4 Il modello di knowledge strategy
10.5 Il modello di knowledge management
10.6 Politiche di ks in relazione alle fasi del ciclo di km
10.7 Il modello di knowledge evaluation
10.8 Il triangolo di trasformazione della conoscenza
10.9 Applicazioni del triangolo della conoscenza a casi aziendali
parte quarta
11.L’enfasi sulla knowledge strategy: il caso Eurotech
Applicazioni del triangolo della conoscenza
329
329
330
341
346
11.1 Profilo aziendale
11.2 Corporate strategy
11.3 Knowledge strategy
11.4 Knowledge management
11.5 Conclusioni
12.L’enfasi sul knowledge management: il caso Lago
347
348
348
350
357
12.1 Profilo aziendale
12.2 Business strategy
12.3 Knowledge strategy
12.4 Knowledge management
12.5 Conclusioni
13.L’enfasi sulla knowledge evaluation:
il caso Trelleborg Wheel Systems
359
359
360
364
369
375
13.1 Profilo aziendale
13.2 Corporate strategy
13.3 Knowledge strategy
13.4 Knowledge management
13.5 Knowledge evaluation
13.6 Conclusioni
parte quinta
14.Coerenza tra business strategy e knowledge strategy:
il caso illycaffè di Fabio Nonino e Matteo Pivetta
Oltre il triangolo della conoscenza
379
381
384
389
394
399
14.1 Introduzione
14.2 Strategie e politiche di knowledge management
14.3 Un modello per la valutazione della coerenza strategica
del knowledge management
14.4 L
a Knowledge Strategy Coherence Diagnostic Matrix
14.5 Il caso illycaffè
14.6 Conclusioni
15.Coerenza tra business strategy e knowledge evaluation:
il caso Sweet di Mauro De Bona e Fabio Candussio
401
402
403
404
405
413
15.1 L’azienda e il mercato
15.2 Capitali intangibili e allineamento strategico: obiettivi dell’analisi
15.3 L’evoluzione del modello
15.4 Metodologia
15.5 I risultati emersi
15.6 Conclusioni
16. Tra management e social learning:
il caso Intesa Sanpaolo di Roberto Battaglia
415
418
423
430
16.1 La gestione della conoscenza per Intesa Sanpaolo
16.2 Le comunità di pratica
16.3 L’apprendimento diventa sociale
16.4 La nuova frontiera. Il Learning Experience Design
433 Conclusioni
435 Epilogo
437 Postfazione di Giannino Piana
441 Ringraziamenti
A ppendici
447 Appendice I - Mappa delle fasi di KM
459 Appendice II - Mappa dei modelli di KM
463 Appendice III - Mappa delle dimensioni del capitale intangibile
471 Appendice IV - Indicatori del capitale intangibile
475 Appendice V- Indicatori dei semafori di valutazione della conoscenza
479 Appendice VI - Dati del caso studio illycaffè
483 Appendice VII - Libri inerenti al knowledge management
509 Bibliografia
537 Gli Autori
539 Indice analitico
Prefazione
Sul rapporto tra conoscenza e impresa si è scritto moltissimo. Nel 2000 Paul
Burden compila una bibliografia sul knowledge management riportando 900
libri e circa 8000 articoli. Nel 2003 Herwig Rollet redige una bibliografia con
oltre 1000 articoli. Nel 2006 David Schwartz riferisce che circa 500 articoli annui sono pubblicati su 15 riviste specializzate. Non c’è dubbio che il tema della
conoscenza sia in una fase di ricerca divergente, oggetto di molteplici linee di
ricerca, sollecitate dalle innovazioni tecnologiche, dai cambiamenti economici
e sociali e dalle più recenti scoperte delle neuroscienze e delle scienze cognitive. Non c’è da meravigliarsi che, sottoposta a tante spinte, la comunità scientifica si frammenti in tanti gruppi eterogenei, ognuno con le proprie linee di
indagine e i propri metodi.
Bisogna plaudire gli autori del presente volume che cercano di mettere le
mani in questo caos creativo allo scopo di tracciare un quadro d’insieme che
orienti coloro che, per interesse professionale o per curiosità scientifica, intendono approfondire il tema. Il testo che abbiamo tra le mani è un libro stimolante e impegnativo. Promette ai lettori una bussola per addentrarsi nel labirinto
di interpretazioni, proposte, modelli e pratiche che hanno per oggetto la conoscenza come risorsa per produrre valore. Alberto F. De Toni e Andrea Fornasier entrano nella mischia scegliendo l’unica strada possibile: seguire l’evoluzione storica delle teorie, catalogare con la cura dell’entomologo gli approcci e
gli strumenti, osservare nella pratica delle imprese cosa voglia dire la gestione
della conoscenza.
E tuttavia gli autori non sono ispirati dalla pulsione del collezionista che
vuole ammassare nella sua Wunderkammer esemplari notevoli della storia
della conoscenza. Al contrario, scelgono, confrontano, sintetizzano e costruiscono schemi interpretativi, consapevoli che la materia non può essere imbrigliata in una classificazione semplice ed esaustiva. Un esempio è nel Capitolo
8, dove gli autori passano in rassegna i modelli per misurare la conoscenza e
il loro impatto sui risultati organizzativi. I modelli classificati sono ben 39. De
Toni e Fornasier sanno di aggirarsi in un paesaggio complesso, che non può
14
Prefazione
essere mappato nella sua interezza. Scelgono un itinerario e invitano il lettore a seguirli. E come ogni viaggiatore fanno tappa nei luoghi che ritengono più
significativi e stimolanti. Le prime due parti del libro sono la collezione delle
note del viaggio, sintetiche quanto basta per comunicare i fatti degni di nota e
abbastanza numerose per fornire un quadro della molteplicità di metodi, obiettivi e strumenti messi in campo per “domare” una risorsa così recalcitrante come la conoscenza. Le prime due parti del libro sono anche un viaggio d’iniziazione, che ogni studente e ogni manager dovrebbe intraprendere.
Alla fine del viaggio agli autori (e al lettore) rimane una domanda: perché
da questo intenso coro di riflessioni e di pratiche manageriali non emerge una
posizione dominante? Quale sintesi sarà mai possibile? Gli autori sanno che
vi è un problema epistemologico. Le discipline economico-organizzative sono
di tipo interpretativo e ricostruttivo. Non si comportano come le scienze fisiche, che possono assumere legittimamente due ipotesi: che il mondo fisico
“là fuori” sia governato da leggi sottratte allo svolgersi della storia; che le leggi della natura, tranne che per il bizzarro regno della meccanica quantistica,
non siano contaminate dall’intervento dell’osservatore. Ipotesi non praticabili
nelle scienze sociali. Alle quali va aggiunto il fatto che nel campo organizzativo e manageriale le idee vincenti non sono selezionate dal dibattito accademico, ma dalla loro diffusione nella pratica sociale. La prevalenza delle idee di
Taylor per larga parte del Novecento è stata sancita dall’efficacia nella pratica
aziendale, e non da un superiore status scientifico rispetto ad altre proposte.
Ma l’uso è un mezzo di selezione debole, che consente una pluralità di nicchie
ecologiche, dove idee molto diverse possono annidarsi e sopravvivere.
Tuttavia De Toni e Fornasier non si accontentano della spiegazione epistemologica. Fanno un passo più in là. Affermano che un modello unico, coerente
e completo, del rapporto tra conoscenza e impresa non è possibile per la natura stessa della conoscenza, perché la conoscenza ha una sua identità “plurale”,
che consente la convivenza di connotazioni diverse e perfino contrapposte.
Ogni proposta passata in rassegna ha una sua ragion d’essere, una sua utilità,
una sua razionalità. Come non riconoscere le virtù del taylorismo e la vitalità di alcuni suoi principi, reificati oggi nel Business Process Reenginering?
Perché sposare l’idea della conoscenza come processo e trascurare l’utilità di
considerarla come oggetto? O affermare la superiorità dell’Open Innovation
rispetto allo sviluppo delle competenze interne?
Tentare di ridurre la ricchezza della molteplicità dei punti di vista è un’operazione miope. Bisogna prendere atto che la conoscenza ha una sua dimensione plurale, in cui molti schemi interpretativi competono tra loro.
La conoscenza plurale è figlia legittima del Novecento. Il secolo scorso è
stato il secolo in cui la scienza ha scoperto i limiti della ragione nel descrivere
e prevedere quanto avviene nel mondo. È sufficiente un piccolo elenco: limiti
alla precisione delle misure dei sistemi fisici (principio di indeterminazione di
Prefazione
15
Heisenberg); limiti alla costruzione di sistemi formali completi e coerenti (teorema dell’incompletezza di Gödel); limiti alla computazione (Halting Problem
di Turing); limiti alla prevedibilità dei sistemi dinamici (teoria del caos); limiti alla completezza delle teorie della realtà fisica (teoria corpuscolare e teo­r ia
ondulatoria della luce); limiti della razionalità nelle scelte cooperative (il dilemma del prigioniero); limiti delle strategie razionali di gruppo (il problema
del El Farol Bar); limiti cognitivi nei processi valutativi e decisionali (i bias
cognitivi scoperti da Kahneman e Tversky); limiti della ragione (l’interferenza
delle emozioni nei processi razionali scoperta da Antonio Damasio); limiti di
decisioni rappresentative (il teorema di Arrow). Limiti che intervengono nella produzione sia della conoscenza scientifica sia della conoscenza personale.
Limiti che fanno assomigliare l’attività conoscitiva all’arte di un bricoleur che
deve destreggiarsi con i mezzi che ha a disposizione. Necessariamente, il risultato finale non può che essere intriso di incertezze, ripensamenti, ambiguità,
paradossi e incoerenze.
Eppure, tentativo dopo tentativo, una logica si dispiega. Si avverte la crescita della consapevolezza di come l’impresa sta nel mondo. Nei primi modelli
la conoscenza aveva un ruolo puramente strumentale, era un grimaldello in
grado di svelare in modo compiuto e affidabile il modo con cui l’impresa dovesse operare. Un’impresa pensata come sistema chiuso, che riusciva a tenere
fuori la varietà e la complessità dei mercati e della società. Nel tempo, progressivamente, è emersa la visione, più ampia, di un’impresa intessuta nella società
in cui opera. Si è compreso che la conoscenza, come pratica del conoscere e
come memoria del sapere, è embedded nella comunità di riferimento dell’impresa. La conoscenza non è solo il risultato di un atto di misura e di un calcolo
razionale, ma è anche quella incorporata nelle storie e nelle credenze che circolano nel sistema sociale. Una conoscenza più impalpabile, ma essenziale per
costruire i significati condivisi che danno senso all’azione collettiva.
La ricerca più recente, infine, si addentra nel territorio della complessità,
dove si manifestano fenomeni di cui non è possibile rintracciare una causa evidente, dinamiche di cui non è possibile prevedere la traiettoria futura, fatti che
presentano contorni incerti. La scoperta che il mondo può assumere i caratteri
della casualità, del disordine e dell’imprevedibilità cambia le regole del gioco
del conoscere, le modalità con cui la conoscenza viene prodotta, distribuita
e utilizzata. Si aprono nuove prospettive manageriali, che fanno leva sulla diversità e sulla creatività di un’intelligenza collettiva. Basta far riferimento al
modello Cynefin di Snowden e Kurtz o al modello Open Innovation di Chesbrough, riportati nel testo, per rendersi conto di quale percorso sia stato compiuto dai “fatti certi”, accertabili con metodo scientifico dei modelli di Babbage
(1835) o di Taylor (1911). La nuova consapevolezza che attraversa il pensiero
più recente è che non c’è nessun osservatore in grado di osservare la scena del
mondo seduto distaccato in platea. L’osservatore produce conoscenza operan-
16
Prefazione
do sul palcoscenico, mentre è coinvolto nell’azione, facendo leva contemporaneamente sulle sue capacità cognitive (embrained knowledge), sui movimenti
del proprio corpo (embodied knowledge), sugli artefatti che ha costruito (en­
coded knowledge), sulle relazioni sociali che intreccia (embedded knowledge).
Così, quando De Toni e Fornasier tirano le somme del viaggio compiuto,
non possono far altro che prendere atto della natura straripante e ribelle della conoscenza. E propongono al lettore una propria chiave interpretativa: la
conoscenza si presenta sempre agli occhi dello studioso come a quelli del manager come una medaglia a due facce. Ogni connotazione attribuita alla conoscenza deve prevedere la connotazione complementare: la conoscenza è tacita
ed esplicita, ha origine all’interno e all’esterno dell’azienda, è astratta e concreta, è centralizzata e distribuita, è processo e prodotto. Se esiste un attributo, esiste anche quello opposto. Gestire efficacemente la conoscenza significa saper riconoscere queste complementarità, saper comprendere la ricchezza
della visione duale e sapersi muovere fra i trade-off che generano.
A partire da questa consapevolezza, De Toni e Fornasier propongono un insieme di strumenti e metodi che possono aiutare il manager a padroneggiare
la conoscenza nell’ambito dell’azione strategica e dell’attività gestionale e valutativa. E non mancano di specificare le proprie proposte con una varietà di
applicazioni in casi concreti.
Dunque, si chiedono alla fine gli autori, qual è il valore della conoscenza?
La risposta che ne viene data è intrigante: «La conoscenza è valore in potenza,
mentre il valore è conoscenza in atto». Attenzione. Gli autori non affermano
“la conoscenza ha un valore”. Dicono qualcosa di più radicale: la conoscenza è
valore. Cioè, il valore non è un attributo della conoscenza, bensì il valore è la
conoscenza stessa divenuta concreta, incorporata nell’azione. Mentre, simmetricamente, la conoscenza è valore potenziale non ancora incorporato nell’azione. Si ripropone qui una dualità più profonda. Conoscenza e valore sono
anch’esse due facce di una medaglia. Il valore non può esistere senza la conoscenza, e viceversa. L’azione che produce valore non potrebbe esistere senza
la conoscenza. Le conoscenze non sono altro che pattern di azioni potenziali.
Anche la semplice categorizzazione di un fenomeno è la premessa necessaria
per dirigere l’attenzione e l’azione.
Nel caso dell’impresa, è il modello di business a realizzare la trasmutazione
della conoscenza in valore. Ma la conclusione degli autori ha un significato più
ampio: l’idea che i pattern conoscitivi si trasformino in valore quando si concretizzano in pattern d’azione ha implicazioni che vanno al di là dello specifico
campo dell’organizzazione d’impresa e delle pratiche manageriali, investendo
la natura stessa della conoscenza. E dunque offre nuovi spunti di riflessione a
quanti vorranno cimentarsi con questa scottante tematica. Una ragione in più
per leggere questa Guida al knowledge management.
Giuseppe Zollo
Prologo
“Quanto vale Gerusalemme?” chiede Baliano a Salah-al Din, quando ha appena concluso la negoziazione per la consegna della città ai musulmani, in cambio di un salvacondotto per tutti i cristiani, asserragliati a difesa di Gerusalemme assediata da giorni dai saraceni.
La domanda citata è ripresa dalla scena finale del film del 2005 Le Cro­
ciate del regista Ridley Scott. Il film è ambientato nel xii secolo, a cavallo
tra la seconda e la terza Crociata. Orlando Bloom è l’attore protagonista che
interpreta il cavaliere dell’ordine degli Ospitalieri Balian di Ibelin (nel film
Baliano). Nel 1187, assieme a pochi pellegrini, difende la città di Gerusalemme dall’attacco dei saraceni, guidati da Salah-al Din, interpretato da Ghassan
Massoud.
Quando Baliano, rintracciato in Francia dal padre naturale, il barone Goffredo, giunge a Gerusalemme, la cittadinanza lo scongiura di restare a sua difesa. Viene quindi nominato comandante per la difesa della città. Insieme al­
l’ar­civescovo Eraclio, Baliano si prepara all’inevitabile assedio del saraceno
Salah-al Din, che infatti – dopo aver conquistato molte altre città – arriva infine per invadere Gerusalemme.
Durante l’assedio Salah-al Din riesce ad abbattere parte delle mura, ma nonostante ciò non riesce a entrare in città. Il 2 ottobre 1187 Baliano esce da Gerusalemme e si dirige verso l’accampamento nemico per trattare con il suo avversario. Di seguito il dialogo tra i due:
Salah-al Din: Consegnerete la città?
Baliano : Prima di perderla, la farò divorare dalle fiamme, distruggendo i vostri luoghi sacri, i nostri, ogni cosa di Gerusalemme, il che condurrà ogni uomo alla pazzia.
S: Mi domando se non sarebbe meglio che lo faceste. La distruggerete?
B: Ogni pietra e ogni cavaliere cristiano che ucciderete si porterà con se dieci
saraceni, voi distruggerete l’esercito senza più crearne un altro. Giuro su Dio che la
presa di questa città sarà la fine vostra.
S: La vostra città è piena di donne e bambini, se il mio esercito morirà, morirà
anche la vostra città.
28
Prologo
Dopo alcuni secondi di silenzio, Baliano risponde: Offrite un accordo io non
lo chiedo.
S: Concederò a ogni anima un salvacondotto per le terre cristiane, a ogni anima,
le donne, i bambini, i vecchi e tutti i vostri cavalieri e i vostri soldati e la vostra regina, a nessuno sarà fatto del male. Giuro su Dio.
B: I cristiani massacrarono tutti i musulmani quando presero la città.
S: Io non sono quegli uomini, io sono Salah-al Din, Salah-al Din.
B: Allora a queste condizioni consegno Gerusalemme.
S: Salemu alaikum.
B: E la pace sia con voi.
A questo punto, mentre Salah-al Din ritorna verso le sue truppe, Baliano gli
chiede: Quanto vale Gerusalemme?
Salah-al Din si ferma, si gira verso Baliano e gli risponde: Niente.
Quindi Salah-al Din riprende a camminare verso il proprio esercito. Dopo po­
chi attimi si rigira verso Baliano, e – portando i pugni verso il petto – aggiunge
con un sorriso: Tutto!
Qui termina il dialogo tra Baliano e Salah-al Din. E adesso proseguiamo noi:
ma allora quanto vale realmente Gerusalemme? Niente o tutto?
Baliano – che non sembra essere del tutto convinto di aver fatto la scelta
giusta – chiede direttamente a Salah-al Din cosa pensa del vero valore di Gerusalemme. E Salah-al Din dapprima rincuora Baliano circa la bontà della sua
scelta (Gerusalemme non vale niente), ma poco dopo dà la risposta a cui crede veramente (Gerusalemme vale tutto): alla fine infatti i musulmani hanno
riconquistato la città santa, e con essa, si sono riappropriati del suo immenso
valore simbolico.
Gerusalemme prima non vale niente e quindi vale tutto. Non vale “niente”
perché le sue mura, le sue costruzioni, le sue abitazioni sono quasi tutte distrutte: il suo valore materiale è pressoché nullo. Ma in realtà vale “tutto”, per
il suo incomparabile valore sul piano spirituale. Ne sa qualcosa il salmista della Bibbia che ammonisce nel salmo del Canto della Speranza: «Se ti dimentico,
Gerusalemme, si paralizzi la mia destra» (Salmi 137).
Gerusalemme è città santa per i fedeli delle tre grandi religioni monoteiste.
Per ebraismo e cristianesimo è l’unica città santa, mentre per l’Islam è la terza in ordine d’importanza, dopo la Mecca e Medina. Gerusalemme è uno dei
luoghi più ricchi di storia del mondo; l’essere l’unica città “sospesa” tra le tre
religioni monoteiste la rende assolutamente straordinaria. La città santa per
eccellenza è un luogo simbolico incomparabile, teatro dei più delicati equilibri
religiosi e teologici delle tre grandi religioni monoteiste.
Ritornando al quesito di Baliano «Quanto vale Gerusalemme?», Salah-al
Din risponde: «Niente […] Tutto». Analogamente se un lettore ci chiedesse
«Quanto vale la conoscenza?», noi risponderemmo: «Niente […] Tutto».
La conoscenza di un’organizzazione o di un’impresa non vale “niente” se
non è fonte di valore. Vale “tutto” se lo diventa. La conoscenza possiede un va-
Prologo
29
lore nullo se non è trasformata in prodotti e/o servizi e viceversa possiede un
valore “vitale” quando è alla base di un efficace modello di business.
Utilizzando la distinzione proposta da Aristotele di “essere in potenza” e di
“essere in atto” – un pulcino è un gallo in potenza, mentre un gallo è un pulcino
in atto – possiamo dire che la conoscenza è valore in potenza, mentre il valore
è conoscenza in atto.
La conoscenza assume un reale valore solo quando viene trasformata in
prodotti e/o servizi vendibili, cioè quando l’intangibile diventa tangibile. Detenere delle conoscenze è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per
competere e avere successo nel business. Ciò che è fondamentale è la capacità
di trasformarla. È molto più facile trasformare del denaro in buona ricerca che
trasformare della buona ricerca in denaro.
Ecco perché la conoscenza – come Gerusalemme – non vale “niente” se non
si è capaci di trasformarla, ma vale “tutto” se invece si è capaci di farlo.
Introduzione
Non c’è desiderio più naturale del desiderio di conoscere.
Michel de Montaigne
(filosofo francese, 1533-1592)
L’importanza della conoscenza nella competizione tra imprese è ampiamente
riconosciuta: il knowledge management, infatti, è il filone della teoria manageriale dedicato appunto allo studio della conoscenza come fonte di vantaggio
competitivo per le imprese.
Approcci come la Resource Based View e la Knowledge Based Theory pongono al centro dello sviluppo d’impresa la creazione, la combinazione e l’applicazione della conoscenza. Ma che cosa fare per creare, combinare e applicare
conoscenza è una domanda che tutti si pongono e a cui non è facile rispondere. Innanzi tutto perché in letteratura non si converge nemmeno sulla definizione della conoscenza intesa in molti modi: come una risorsa, un oggetto, un
processo, una capacità, un flusso ecc.; e inoltre perché vengono proposte varie metodologie spesso però non giustificate in un quadro coerente che ne valorizzi l’utilità e la specificità.
Nel libro – dopo una rapida rassegna dei contributi sulla conoscenza dei
principali autori in ambito filosofico, economico, organizzativo e manageriale – si propone di considerare la conoscenza come una entità di natura plurale
(conservativa, moltiplicativa e generativa) che può essere incorporata in un
vettore di natura duale: oggetto e processo. L’attribuzione al vettore della conoscenza di una natura duale (oggetto e processo) si ispira all’attribuzione alla
luce di una natura duale (corpuscolare e ondulatoria).
Per quanto riguarda le metodologie, si descrivono i principali modelli di
knowledge management presenti nella letteratura specializzata (ne vengono
delineati sinteticamente 18 degli oltre 70 principali citati in letteratura).
Successivamente gli autori propongono un framework per sviluppare azioni di strategia, di gestione e di valutazione della conoscenza. Per ognuna delle
32
Introduzione
tre aree (strategia, gestione e valutazione) sono stati avanzati degli strumenti
denominati rispettivamente: il cubo della strategia della conoscenza, il ciclo di
gestione della conoscenza e i semafori di valutazione della conoscenza. Questo insieme di strumenti operativi – denominato triangolo della conoscenza –
è finalizzato a supportare il processo di creazione, combinazione e applicazione della conoscenza. Gli strumenti indicati sono stati quindi testati rispettivamente in tre casi aziendali (Eurotech, Lago e Trelleborg Wheel Systems).
Lo strumento del triangolo della conoscenza è fondato sulla metafora
dell’energia della conoscenza: l’energia potenziale (la conoscenza) non vale
niente se non si trasforma in energia cinetica (prodotti e/o servizi), nel caso
contrario vale tutto. Utilizzando i concetti aristotelici di essere in potenza (il
pulcino è un gallo in potenza) e di essere in atto (il gallo è un pulcino in atto),
si conclude che la conoscenza è valore in potenza, mentre il valore è conoscenza in atto.
Il modello di knowledge strategy suggerito si sviluppa in due aree. La prima, denominata analisi dello status della strategia della conoscenza, riprende i classici strumenti di analisi strategica e li adatta all’analisi della conoscenza: Knowledge swot analysis, Knowledge gap analysis e Posizionamento
competitivo. La seconda, denominata politiche di valorizzazione della co­
noscenza, propone tre principali dimensioni a livello di knowledge strategy
(sviluppo, codificazione e sfruttamento). Queste tre dimensioni rappresentano gli assi dello strumento proposto denominato cubo della strategia, al cui
interno ogni punto rappresenta, a un dato istante, la strategia della conoscenza dell’impresa. In grande sintesi, la tesi sostenuta è che la strategia della conoscenza si fonda su tre scelte chiave: sviluppo della conoscenza sulla base di
fonti interne e/o esterne, codificazione spinta o limitata, sfruttamento interno
e/o esterno all’impresa.
Per quanto riguarda il modello di knowledge management, dopo aver analizzato in letteratura i diversi cicli e le molteplici fasi della conoscenza, gli autori propongono un ciclo di gestione della conoscenza basato sull’applicazione della legge di conservazione della materia alla conoscenza, considerata in
questo caso nella sua natura conservativa. La tesi sostenuta è che ogni impresa utilizza strumenti di gestione della conoscenza (manageriali-organizzativi e
ict) in parte comuni ad altre imprese e in parte specifici e sviluppati ad hoc.
L’attenzione viene posta nel verificare che tutte le fasi del ciclo della conoscenza siano presidiate da metodologie gestionali o strumenti informatici.
Per quanto riguarda la knowledge evaluation, lo studio della letteratura
propone modelli che si originano da ambiti anche molto distanti tra loro: capitale intangibile, Knowledge Management Maturity Models, Social Network
Analysis ecc. Il modello proposto dagli autori è ascrivibile a quelli basati sul
capitale intangibile. Esso viene articolato in tre componenti principali: capitale umano, capitale strutturale e capitale relazionale. Vengono quindi assunti
Introduzione
33
dalla letteratura un certo numero di indicatori di misurazione delle componenti del capitale intangibile, i quali sono collocati in una matrice ottenuta incrociando le tre dimensioni del capitale intangibile con le fasi del ciclo di gestione
della conoscenza. A ogni quadrante della matrice ottenuta – denominata se­
mafori di valutazione della conoscenza – è quindi associato un set di indicatori
(i semafori), ai quali è attribuito un colore verde, giallo o rosso rispettivamente
per valutazioni positive, neutre o negative, da cui il nome dello strumento. In
questo terzo caso la tesi sostenuta è che è opportuno che ogni organizzazione
definisca gli indicatori chiave per il suo modello di business, distribuiti nei tre tipi
di capitale intangibile e nelle diverse fasi di gestione della conoscenza.
I casi aziendali sviluppati – Eurotech, Lago e Trelleborg Wheel Systems –
hanno consentito di ottenere dei riscontri empirici dei tre modelli proposti: rispettivamente cubo, ciclo e semafori. Eurotech, che opera nella realizzazione
di tecnologie per Nano pc e High Performance Computing, è stata selezionata
per verificare la capacità interpretativa del framework di knowledge strategy.
Il caso Lago, azienda operante nel settore legno arredo, è stato sviluppato in
quanto l’impresa vanta diverse iniziative incentrate sulla codificazione della
conoscenza e sulle variabili e strumenti a supporto del ciclo di gestione della conoscenza. Trelleborg Wheel Systems – impresa multinazionale operante
nella produzione di pneumatici agricoli – ha consentito di testare il modello di
knowledge evaluation, ambito su cui l’impresa è impegnata da tempo.
Oltre al triangolo della conoscenza (articolato nelle sue tre componenti: il
cubo della strategia, il ciclo di gestione e i semafori di valutazione), nel libro
vengono proposte successivamente altre due metodologie.
La prima è una metodologia di analisi della coerenza tra la business strategy e la knowledge strategy che utilizza uno strumento denominato Matrice
diagnostica della coerenza della knowledge strategy, testata nel caso aziendale illycaffè, nota azienda leader nell’ambito dell’espresso.
La seconda è una metodologia di analisi della coerenza tra business strategy e knowledge evaluation denominata Value Discovery, testata nel caso
aziendale Sweet, piccola azienda di successo del settore dolciario. La metodologia confronta il modello di business dell’impresa, i determinanti del valore
(mercato, prodotti e servizi, processi e organizzazione), le variabili intangibili
(capitale umano, strutturale e relazionale) e i risultati aziendali (quantitativi e
qualitativi) sulla base di indicatori chiave di performance (o kpi - Key Performance Indicator) relativi agli asset intangibili.
Infine, nell’ultimo caso aziendale – Intesa Sanpaolo – viene descritta un’esperienza significativa relativa al knowledge management e al social learning,
con particolari approfondimenti sulle comunità di pratica (professionali e di
apprendimento) e sul Learning Experience Design.
34
Introduzione
Struttura del libro
Il libro si articola in cinque parti.
• La Parte prima fornisce una panoramica del tema della conoscenza. Nel
Capitolo 1 si analizza il significato epistemologico di conoscenza e l’origine
del termine. Nel Capitolo 2 si riportano i principali contributi relativi alla
conoscenza in ambito economico e le differenti chiavi di lettura del significato attribuito all’economia della conoscenza. Nel Capitolo 3 si ripercorre il
ruolo assunto dalla conoscenza nelle teorie d’impresa e in quelle organizzative. Nel Capitolo 4 vengono individuate le diverse classificazioni della conoscenza in ambito manageriale.
• La Parte seconda è dedicata alla revisione della letteratura nelle diverse
aree inerenti alla gestione della conoscenza. Nel Capitolo 5 si descrivono i
principali modelli teorici di governo della conoscenza. Nel Capitolo 6 si delineano le dimensioni e i modelli riconducibili alla knowledge strategy. Nel
Capitolo 7 ci si focalizza sul knowledge management (inteso strettamen-
Introduzione
35
te come gestione); in particolar modo vengono analizzate le fasi principali
del ciclo della conoscenza, i principali modelli e gli strumenti di knowledge
management. Nel Capitolo 8, dopo un breve excursus sul capitale intangibile, sono riportati i modelli di knowledge evaluation presenti in letteratura.
Infine, nel Capitolo 9 sono descritti due modelli di knowledge management
(inteso in senso lato) che prendono in considerazione tutte le aree precedentemente menzionate.
• Nella Parte terza (Capitolo 10) vengono proposti inizialmente la natura plurale della conoscenza, il vettore duale di incorporazione della conoscenza
e la metafora dell’energia della conoscenza. Successivamente viene presentato il framework proposto – denominato il triangolo della conoscenza –
con la descrizione dei modelli di knowledge strategy, knowledge management e knowledge evaluation; in particolare sono trattati rispettivamente il
cubo della strategia, il ciclo di gestione e i semafori di valutazione.
• Nella Parte quarta si indaga empiricamente sui fenomeni oggetto di analisi. Sono presentati i casi Eurotech (Capitolo 11), Lago (Capitolo 12) e Trelleborg Wheel Systems (Capitolo 13).
• Nella Parte quinta sono trattati altri tre casi aziendali. Nel primo caso, illycaffè (Capitolo 14), si esemplifica la metodologia proposta di analisi della coerenza tra business strategy e knowledge strategy. Nel secondo caso,
Sweet (Capitolo 15), si esemplifica la metodologia proposta di analisi della
coerenza tra business strategy e knowledge evaluation. Infine, nel terzo caso, Intesa Sanpaolo (Capitolo 16), si esplora il tema di frontiera del social
learning in relazione al knowledge management.
5.Principali modelli teorici
di governo della conoscenza
A volte l’uomo inciampa nella verità,
ma nella maggior parte dei casi si rialza e continua per la sua strada.
Winston Churchill
(primo ministro britannico, 1874-1965)
5.1 Origini, scuole e accezioni
del termine “gestione della conoscenza”
Il knowledge management (km), letteralmente traducibile con “gestione della
conoscenza”, è una disciplina manageriale relativamente recente che negli ultimi anni ha ricevuto un’attenzione non certo trascurabile. In una prospettiva
estesa il km viene inteso come «un termine ombrello per un ampio spettro di
orientamenti accademici» (an umbrella term for a wide spectrum of academic
orientation) (Alvesson e Karreman, 2001, p. 996).
La nascita del km nella tradizione manageriale viene fatta coincidere con la
pubblicazione del libro Knowledge Management Foundations a opera di Karl
M. Wiig nel 1993. Questo libro rappresenta il primo tentativo di un approccio
organico al problema della gestione della conoscenza in ambito aziendale e si
presenta come il risultato di una più approfondita riflessione sul ruolo sempre
più importante assunto dalla conoscenza nelle imprese.
Nei primi anni Sessanta, Peter Drucker (1964) aveva già sottolineato la
natura dinamica della società, soggetta a continue trasformazioni e modifiche; in particolare, egli aveva osservato che la società della produzione di
massa del dopoguerra si era trasformata nella società della conoscenza. Egli
utilizza questo termine (knowledge society) per identificare una società nella quale la risorsa economica principale è rappresentata dalla conoscenza
e dai soggetti conoscitori che la generano. Drucker fu tra i primi a coniare
i termini knowledge work e knowledge worker e ad attribuire un ruolo fondamentale alla conoscenza tacita, fino a quel tempo poco considerata dagli
altri autori.
152
Modelli e strumenti per la gestione della conoscenza
Possiamo quindi affermare che il termine km era già presente nella teoria
economica degli anni Sessanta, ma diventa una disciplina manageriale solamente all’inizio degli anni Novanta. Nel 1989 una survey rivolta ai ceo delle più
grandi multinazionali americane fece emergere come la conoscenza fosse già
ritenuta un fattore fondamentale per il successo dell’impresa e delle attività
(Wiig, 1997).
Si possono individuare due macrocause che hanno stimolato e accelerato
la riflessione sull’argomento del km:
• forze di tipo esogeno rispetto all’impresa, ovvero relative all’ambiente competitivo;
• forze di tipo endogeno all’impresa.
La maggior parte delle organizzazioni aziendali non esercita alcuna forma di
controllo sull’ambiente in cui opera; di conseguenza la loro vitalità e la loro
sopravvivenza dipendono direttamente dalla capacità di risposta alle sollecitazioni esterne.
Tra questi fattori esogeni citiamo (Prusak, 2001; Wiig, 1993; Bowman, 2002;
Cainarca et al., 2002; Maier, 2002):
• la globalizzazione dei mercati, che ha allargato in modo esponenziale il raggio d’azione del commercio internazionale, rendendo disponibile una maggiore quantità di alternative per i clienti;
• l’evoluzione dei fabbisogni dei consumatori finali, sempre più alla ricerca di
prodotti nuovi che sappiano soddisfare desideri non ancora espressi e che
esprimano la loro personalità;
• l’evoluzione dei fornitori, che si sono trasformati da costruttori di semplici componenti a costruttori di sottosistemi. L’elevato livello tecnologico e
qualitativo raggiunto dai fornitori spinge nella direzione della coprogettazione del prodotto/servizio;
• l’aumento delle disponibilità dell’Information & Communication Technology (ict), che è rappresentata da nuovi e avanzati motori di ricerca, condivisione di linguaggi e protocolli, groupware per il lavoro collaborativo ecc.
Si è inoltre verificata una serie di cambiamenti endogeni alle imprese che hanno sviluppato la riflessione sull’importanza della conoscenza. Tra questi ricordiamo (Wiig, 1993):
• lo spostamento della competizione in prevalenza sulle fasi a monte, ovvero nel concept e nella progettazione di prodotti/servizi, ovvero sulle fasi
storicamente caratterizzate da maggiore intensità di conoscenza rispetto a
quelle a valle (produzione e distribuzione);
Principali modelli teorici di governo della conoscenza 153
Figura 5.1 Prospettive prevalenti di studio della conoscenza
Prospettive prevalenti
di studio della conoscenza
Approccio americano
(Gestire la conoscenza)
Approccio europeo
(Misurare la conoscenza)
Approccio giapponese
(Creare conoscenza)
Fonte: Moustaghfir e Secundo, 2008.
• la progressiva consapevolezza dell’importanza delle risorse cognitive nel
determinare vantaggi competitivi attraverso la gestione dei processi di apprendimento e di condivisione della conoscenza.
Interessante è la riflessione di Moustaghfir e Secundo (2008) circa l’esistenza
di prospettive prevalenti di studio sul knowledge management in ambito europeo, americano e giapponese (Figura 5.1). Gli studi europei si sono concentrati sull’aspetto della misurazione della conoscenza, proponendo degli appositi
strumenti di misurazione (per esempio il modello di Edvinsson). Le ricerche
americane hanno posto l’enfasi sulla gestione stessa della conoscenza, sviluppando metodologie e tecnologie per l’aquisizione, l’immagazzinamento, la condivisione e l’applicazione della conoscenza (il modello di Holsapple e Joshi o
quello di Tiwana). Infine, gli studi giapponesi si sono focalizzati sui modelli di
creazione della conoscenza (per esempio il famoso modello di Nonaka).
Un altro importante lavoro da segnalare è quello di Earl del 2001. Egli cerca
di fornire una tassonomia delle strategie per la gestione della conoscenza, da
lui denominate “scuole”.
Lo scopo principale di questo framework è quello di guidare i dirigenti
nell’avviare progetti di gestione della conoscenza sulla base degli obiettivi organizzativi e tecnologici e dei vincoli comportamentali ed economici. Questo
framework può essere anche utile ai docenti nell’evidenziare la rilevanza della
Fonte: Earl, 2001.
Codificazione
“Filosofia”
Connettività
Capacità
Commercializzazione
Groupware e Internet
Asset intellettuali
Sistemi di registrazione e processo
Sistemi Knowledge based
Contributo
It principale
Profili e directories Database condivisi
in Internet
Cultura sociale e
intermediari della
conoscenza
Team specializzati
Processi
istituzionalizzati
Conoscenza,
apprendimento
e informazione
distribuita e non limitata
Cultura/Incentivi per
condividere la conoscenza e connettere le persone
Validazione dei
contenuti e incentivi a fornire contenuti
Fattori critici
di successo
Collaborazione
BP Amoco
Shell
Dow Chemical
IBM
HP
Frito-Lay
Bain & Co
AT&T
Comunità
Xerox
Shorko Films
Know-how
Raggruppare
conoscenza
Esempi
Attività
Asset di conoscenza
Flussi di conoscenza
Directory di conoscenza
Network
Organizzativo
Impresa
Reddito
Processi
Commerciale
Mappe
Ingegneria
Dominio
Basi di conoscenza
Tecnologia
Cartografico
ECONOMICA
Unità
Obiettivo
Focus
Sistemi
TECNOCRATICA
Tabella 5.1 Scuole di Knowledge Management
Connettività
Strumenti di accesso
e di rappresentazione
Progettazione
per obiettivi e
incoraggiamento
Skandia
British Airways
Luogo
Scambiare
conoscenza
Spazio
Spaziale
COMPORTAMENTALE
Consapevolezza
Eclettico
Artefatti retorici
Skandia
Unilever
Business
Capacità di conoscenza
Mentalità
Strategico
154
Modelli e strumenti per la gestione della conoscenza
Principali modelli teorici di governo della conoscenza 155
gestione della conoscenza e ai ricercatori nel generare proposte per ulteriori
studi (Tabella 5.1).
Le prime tre scuole sono etichettate come “tecnocratiche” perché sono basate sull’informazione o sulla gestione delle tecnologie, le quali forniscono un
ampio supporto e condizionano i knowledge worker nelle attività quotidiane. La
quarta scuola, etichettata “economica”, è maggiormente orientata alla commercializzazione: lo sfruttamento delle conoscenze-capitale intellettuale aumenta
il fatturato. Infine, le altre tre scuole sono denominate “comportamentali”: i
manager e le persone assumono un ruolo centrale, sono proattivi nella creazione, condivisione e utilizzo dei knowledge asset intesi come risorse dell’azienda.
Passando ad analizzare le definizioni di km di seguito riportate (Tabella
5.2), è possibile raggrupparle in due categorie: accezione estesa e accezione
ristretta. Nella prima accezione rientrano quelle definizioni che fanno riferimento al km come disciplina generale, volta alla creazione del valore, mentre
nella seconda rientrano tutte le definizioni maggiormente operative direttamente riconducibili ai processi di km.
Tabella 5.2 Definizioni di Knowledge Management
Accezione estesa
von Krogh, 1998
Il KM si riferisce all’identificazione e allo sfruttamento della conoscenza collettiva di
un’organizzazione per aiutarla a competere meglio.
Sveiby, 1998
Il KM è l’arte di creare valore dagli investimenti intangibili di un’organizzazione.
Webb, 1998
Il KM consiste nell’individuazione, ottimizzazione e attiva gestione degli investimenti
intellettuali per creare valore, aumentare la produttività e il profitto e sostenere il
vantaggio competitivo di un’organizzazione.
Wiig, 1993
Il KM è definito come sistematica, esplicita e deliberata costruzione, rinnovamento e
applicazione di conoscenza per massimizzare l’efficacia e il ritorno dagli investimenti
in conoscenza di un’impresa.
Accezione ristretta
Quintas et al., 1997
Il KM è il processo riguardante la continua gestione di conoscenza in ogni forma, al
fine di incontrare le necessità esistenti ed emergenti di un’organizzazione, di identificare e sfruttare i knowledge asset esistenti e acquisiti e di cogliere le nuove opportunità che si presentano a un’impresa
Liebowitz e Wilcox, 1997
Il KM è l’abilità di un’organizzazione nel gestire, immagazzinare, valutare e distribuire
la conoscenza.
Prusak, 2001
Il KM descrive ogni processo o pratica di creazione, acquisizione, cattura, trasferimento e utilizzazione della conoscenza, in qualsiasi sua forma, al fine di migliorare
l’apprendimento e le performance dell’organizzazione.
Boisot, 1998
Il KM raggruppa le fasi di creazione, utilizzo e trasferimento della conoscenza all’interno dell’organizzazione.
Gli Autori
A lberto Felice De Toni ([email protected]), laureato in Ingegneria chimica e dottore di
ricerca in Scienza dell’innovazione industriale, è professore ordinario di Organizzazione
della produzione e di Gestione dei sistemi complessi presso l’Università di Udine. È preside della facoltà di Ingegneria e Past President dell’Associazione Italiana di Ingegneria
Gestionale. È coautore, tra l’altro, di Prede o ragni. Uomini e organizzazioni nella
ragnatela della complessità (Utet, Torino 2005), Visione evolutiva. Uun viaggio tra
uomini e organizzazioni, management strategico e complessità (Etas, Milano 2010),
Auto-organizzazioni. Il mistero dell’emergenza nei sistemi fisici, biologici e sociali
(Marsilio, Venezia 2011).
A ndrea Fornasier ([email protected]), laureato in Ingegneria gestionale e dottore di ricerca in Ingegneria industriale e dell’informazione, ha svolto attività di ricerca
nell’ambito della gestione dell’innovazione e del knowledge management presso l’Università di Udine. Oggi è responsabile dei progetti strategici e dell’education presso Unindustria Pordenone.
Eugenio Bastianon ([email protected]), laureato in Filosofia, dottorando di ricerca in Ingegneria gestionale presso le Università di Padova e Udine. Svolge attività di ricerca sulle
teorie della complessità e sulla teoria dei giochi come modello strategico per il change
management delle organizzazioni complesse.
Roberto Battaglia ([email protected]), è responsabile della Formazione del Gruppo Intesa Sanpaolo. Ha svolto il suo percorso professionale nell’ambito
dell’Organizzazione e del Personale, ricoprendo svariati incarichi in aziende del settore
bancario.
Fabio Candussio ([email protected]), laureato in Ingegneria delle tecnologie industriali a indirizzo economico-organizzativo, è professore a contratto di Sistemi informativi aziendali presso l’Università di Udine. Dopo una lunga esperienza in Tecnest nell’ambito del Supply Chain Management, oggi collabora con Campus come consulente su temi
di strategia, organizzazione e operations.
M auro de Bona ([email protected]), laureato in Ingegneria gestionale.
Già professore a contratto di Economia e organizzazione presso l’Università di Udine, è
partner di Campus, società di consulenza strategica e organizzativa del Gruppo Innova.
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Gli Autori
Fabio Nonino ([email protected]), laureato e dottore di ricerca in Ingegneria gestionale, è ricercatore e docente di Gestione dei processi e dei progetti presso l’Università
“La Sapienza” di Roma. Svolge attività di ricerca sulle reti organizzative informali e sul
ruolo strategico della gestione della conoscenza nei processi organizzativi.
Giannino Piana ([email protected]), già docente di Etica cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze religiose dell’Università di Urbino e di Etica ed economia presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino. Autore di diversi volumi e di
numerosi saggi su questioni di etica generale e applicata, specialmente nei campi della
bioetica e dell’etica socioeconomica e politica.
M atteo Pivetta ([email protected]), laureato in Ingegneria gestionale. Oggi è
Business Planner presso la società di consulenza Fair Play, dove sta maturando esperienza internazionale principalmente nei settori retail, luxury e automotive in qualità di
consulente strategico.
Francesco Varanini ([email protected], www.francescovaranini.it), laureato in
Scienze politiche a indirizzo socio-antropologico, formatore e consulente, docente a contratto di Knowledge management presso il corso di laurea interfacoltà di Informatica
umanistica dell’Università di Pisa, direttore delle rivista Persone & Conoscenze, autore
tra l’altro di Leggere per lavorare bene: nuovi romanzi per i manager (Marsilio, Venezia
2007), Contro il management: la vanità del controllo, gli inganni della finanza e la
speranza di una costruzione comune (Guerini e Associati, Milano 2010), Nuove parole
del manager : 113 voci per capire l’azienda (Guerini e Associati, Milano 2011).
Giuseppe Zollo ([email protected]) è professore di Sistemi per la gestione aziendale presso la facoltà di Ingegneria dell’Università “Federico II” di Napoli. È presidente
dell’Agenzia Campania Innovazione della Regione Campania. È coordinatore del dottorato in Science and technology management.
Una Guida autorevole, completa e funzionale
sul knowledge management inteso come fonte di valore
nella competizione tra imprese.
L’insieme delle conoscenze di un’organizzazione
o di un’impresa possiede un valore nullo se non
è trasformata in prodotti e/o servizi e viceversa possiede
un valore “vitale” quando è alla base di un efficace
modello di business.
La Guida al knowledge management illustra
le modalità attraverso cui trasformare la conoscenza
in valore reale.