Anteprima - L`Impresa
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LA GUIDA DEL SOLE 24 ORE AL KNOWLEDGE MANAGEMENT Alberto F. de Toni, Andrea Fornasier La guida del sole 24 ore Al Knowledge Management Quanto vale la conoscenza? Niente, tutto, come Gerusalemme Alberto F. De Toni, Andrea Fornasier Prefazione di Giuseppe Zollo Presentazione di Francesco Varanini Postfazione di Giannino Piana Sommario 13 Prefazione di Giuseppe Zollo 17 Presentazione di Francesco Varanini 27 Prologo 31 Introduzione parte prima 1.La conoscenza in ambito filosofico di Eugenio Bastianon e Alberto F. De Toni La conoscenza in diversi ambiti disciplinari 39 41 46 52 54 60 64 1.1 Introduzione 1.2 Le filosofie presocratiche 1.3 Le filosofie socratiche 1.4 La filosofia medievale 1.5 La filosofia moderna 1.6 La filosofia contemporanea 1.7 Conclusioni 2. La conoscenza in ambito economico 67 68 73 74 91 2.1 Ruolo della conoscenza nella teoria economica classica 2.2 Ruolo della conoscenza nella teoria economica neoclassica 2.3 Machlup: la nascita della società dell’informazione 2.4 L’emergere dell’economia della conoscenza 2.5 L’affermarsi dell’economia della conoscenza 3.La conoscenza nelle teorie dell’impresa e organizzative 99 115 3.1 R uolo della conoscenza nelle principali teorie dell’impresa 3.2 R uolo della conoscenza nelle principali teorie organizzative 4. 123 138 141 142 4.1 Classificazioni della conoscenza in ambito manageriale 4.2 La conoscenza in relazione a dati e informazioni 4.3 La scala della conoscenza 4.4 Il processo di apprendimento organizzativo La conoscenza in ambito manageriale parte seconda 5.Principali modelli teorici di governo della conoscenza Modelli e strumenti per la gestione della conoscenza 151 156 160 163 165 167 169 171 173 175 6. Knowledge strategy 177 188 192 5.1 O rigini, scuole e accezioni del termine “gestione della conoscenza” 5.2 Organizational Knowledge Creation (Nonaka) 5.3 Social Learning Cycle (Boisot) 5.4 Organizational Knowing Cycle (Choo) 5.5 Cynefin (Snowden) 5.6 Open Innovation (Chesbrough) 5.7 Personal Knowledge Development (Wiig) 5.8 Altri modelli presenti in letteratura 5.9 Lettura unitaria dei principali modelli teorici 5.10 I l framework proposto di classificazione dei contributi di letteratura 6.1 Le dimensioni della knowledge strategy 6.2 Relazioni tra le dimensioni della knowledge strategy 6.3 Principali modelli di knowledge strategy 7. Knowledge management 201 211 225 7.1 Mappatura di fasi e cicli di gestione della conoscenza 7.2 Principali modelli di knowledge management 7.3 Gli strumenti di knowledge management 8. Knowledge evaluation 235 236 246 8.1 Le difficoltà nella misurazione della conoscenza 8.2 Il capitale intangibile e le sue componenti 8.3 Principali modelli di knowledge evaluation 9.Modelli integrati di knowledge strategy, management & evaluation 263 265 268 9.1 Knowledge Management Toolkit (Tiwana) 9.2 Knowledge Management Building Blocks (Dalkir) 9.3 Sintesi dei modelli di knowledge strategy, management ed evaluation parte terza 10. Il triangolo della conoscenza Il framework proposto: il triangolo della conoscenza 273 274 283 288 300 311 314 322 324 10.1 Introduzione 10.2 Natura e valore della conoscenza 10.3 La metafora dell’energia della conoscenza 10.4 Il modello di knowledge strategy 10.5 Il modello di knowledge management 10.6 Politiche di ks in relazione alle fasi del ciclo di km 10.7 Il modello di knowledge evaluation 10.8 Il triangolo di trasformazione della conoscenza 10.9 Applicazioni del triangolo della conoscenza a casi aziendali parte quarta 11.L’enfasi sulla knowledge strategy: il caso Eurotech Applicazioni del triangolo della conoscenza 329 329 330 341 346 11.1 Profilo aziendale 11.2 Corporate strategy 11.3 Knowledge strategy 11.4 Knowledge management 11.5 Conclusioni 12.L’enfasi sul knowledge management: il caso Lago 347 348 348 350 357 12.1 Profilo aziendale 12.2 Business strategy 12.3 Knowledge strategy 12.4 Knowledge management 12.5 Conclusioni 13.L’enfasi sulla knowledge evaluation: il caso Trelleborg Wheel Systems 359 359 360 364 369 375 13.1 Profilo aziendale 13.2 Corporate strategy 13.3 Knowledge strategy 13.4 Knowledge management 13.5 Knowledge evaluation 13.6 Conclusioni parte quinta 14.Coerenza tra business strategy e knowledge strategy: il caso illycaffè di Fabio Nonino e Matteo Pivetta Oltre il triangolo della conoscenza 379 381 384 389 394 399 14.1 Introduzione 14.2 Strategie e politiche di knowledge management 14.3 Un modello per la valutazione della coerenza strategica del knowledge management 14.4 L a Knowledge Strategy Coherence Diagnostic Matrix 14.5 Il caso illycaffè 14.6 Conclusioni 15.Coerenza tra business strategy e knowledge evaluation: il caso Sweet di Mauro De Bona e Fabio Candussio 401 402 403 404 405 413 15.1 L’azienda e il mercato 15.2 Capitali intangibili e allineamento strategico: obiettivi dell’analisi 15.3 L’evoluzione del modello 15.4 Metodologia 15.5 I risultati emersi 15.6 Conclusioni 16. Tra management e social learning: il caso Intesa Sanpaolo di Roberto Battaglia 415 418 423 430 16.1 La gestione della conoscenza per Intesa Sanpaolo 16.2 Le comunità di pratica 16.3 L’apprendimento diventa sociale 16.4 La nuova frontiera. Il Learning Experience Design 433 Conclusioni 435 Epilogo 437 Postfazione di Giannino Piana 441 Ringraziamenti A ppendici 447 Appendice I - Mappa delle fasi di KM 459 Appendice II - Mappa dei modelli di KM 463 Appendice III - Mappa delle dimensioni del capitale intangibile 471 Appendice IV - Indicatori del capitale intangibile 475 Appendice V- Indicatori dei semafori di valutazione della conoscenza 479 Appendice VI - Dati del caso studio illycaffè 483 Appendice VII - Libri inerenti al knowledge management 509 Bibliografia 537 Gli Autori 539 Indice analitico Prefazione Sul rapporto tra conoscenza e impresa si è scritto moltissimo. Nel 2000 Paul Burden compila una bibliografia sul knowledge management riportando 900 libri e circa 8000 articoli. Nel 2003 Herwig Rollet redige una bibliografia con oltre 1000 articoli. Nel 2006 David Schwartz riferisce che circa 500 articoli annui sono pubblicati su 15 riviste specializzate. Non c’è dubbio che il tema della conoscenza sia in una fase di ricerca divergente, oggetto di molteplici linee di ricerca, sollecitate dalle innovazioni tecnologiche, dai cambiamenti economici e sociali e dalle più recenti scoperte delle neuroscienze e delle scienze cognitive. Non c’è da meravigliarsi che, sottoposta a tante spinte, la comunità scientifica si frammenti in tanti gruppi eterogenei, ognuno con le proprie linee di indagine e i propri metodi. Bisogna plaudire gli autori del presente volume che cercano di mettere le mani in questo caos creativo allo scopo di tracciare un quadro d’insieme che orienti coloro che, per interesse professionale o per curiosità scientifica, intendono approfondire il tema. Il testo che abbiamo tra le mani è un libro stimolante e impegnativo. Promette ai lettori una bussola per addentrarsi nel labirinto di interpretazioni, proposte, modelli e pratiche che hanno per oggetto la conoscenza come risorsa per produrre valore. Alberto F. De Toni e Andrea Fornasier entrano nella mischia scegliendo l’unica strada possibile: seguire l’evoluzione storica delle teorie, catalogare con la cura dell’entomologo gli approcci e gli strumenti, osservare nella pratica delle imprese cosa voglia dire la gestione della conoscenza. E tuttavia gli autori non sono ispirati dalla pulsione del collezionista che vuole ammassare nella sua Wunderkammer esemplari notevoli della storia della conoscenza. Al contrario, scelgono, confrontano, sintetizzano e costruiscono schemi interpretativi, consapevoli che la materia non può essere imbrigliata in una classificazione semplice ed esaustiva. Un esempio è nel Capitolo 8, dove gli autori passano in rassegna i modelli per misurare la conoscenza e il loro impatto sui risultati organizzativi. I modelli classificati sono ben 39. De Toni e Fornasier sanno di aggirarsi in un paesaggio complesso, che non può 14 Prefazione essere mappato nella sua interezza. Scelgono un itinerario e invitano il lettore a seguirli. E come ogni viaggiatore fanno tappa nei luoghi che ritengono più significativi e stimolanti. Le prime due parti del libro sono la collezione delle note del viaggio, sintetiche quanto basta per comunicare i fatti degni di nota e abbastanza numerose per fornire un quadro della molteplicità di metodi, obiettivi e strumenti messi in campo per “domare” una risorsa così recalcitrante come la conoscenza. Le prime due parti del libro sono anche un viaggio d’iniziazione, che ogni studente e ogni manager dovrebbe intraprendere. Alla fine del viaggio agli autori (e al lettore) rimane una domanda: perché da questo intenso coro di riflessioni e di pratiche manageriali non emerge una posizione dominante? Quale sintesi sarà mai possibile? Gli autori sanno che vi è un problema epistemologico. Le discipline economico-organizzative sono di tipo interpretativo e ricostruttivo. Non si comportano come le scienze fisiche, che possono assumere legittimamente due ipotesi: che il mondo fisico “là fuori” sia governato da leggi sottratte allo svolgersi della storia; che le leggi della natura, tranne che per il bizzarro regno della meccanica quantistica, non siano contaminate dall’intervento dell’osservatore. Ipotesi non praticabili nelle scienze sociali. Alle quali va aggiunto il fatto che nel campo organizzativo e manageriale le idee vincenti non sono selezionate dal dibattito accademico, ma dalla loro diffusione nella pratica sociale. La prevalenza delle idee di Taylor per larga parte del Novecento è stata sancita dall’efficacia nella pratica aziendale, e non da un superiore status scientifico rispetto ad altre proposte. Ma l’uso è un mezzo di selezione debole, che consente una pluralità di nicchie ecologiche, dove idee molto diverse possono annidarsi e sopravvivere. Tuttavia De Toni e Fornasier non si accontentano della spiegazione epistemologica. Fanno un passo più in là. Affermano che un modello unico, coerente e completo, del rapporto tra conoscenza e impresa non è possibile per la natura stessa della conoscenza, perché la conoscenza ha una sua identità “plurale”, che consente la convivenza di connotazioni diverse e perfino contrapposte. Ogni proposta passata in rassegna ha una sua ragion d’essere, una sua utilità, una sua razionalità. Come non riconoscere le virtù del taylorismo e la vitalità di alcuni suoi principi, reificati oggi nel Business Process Reenginering? Perché sposare l’idea della conoscenza come processo e trascurare l’utilità di considerarla come oggetto? O affermare la superiorità dell’Open Innovation rispetto allo sviluppo delle competenze interne? Tentare di ridurre la ricchezza della molteplicità dei punti di vista è un’operazione miope. Bisogna prendere atto che la conoscenza ha una sua dimensione plurale, in cui molti schemi interpretativi competono tra loro. La conoscenza plurale è figlia legittima del Novecento. Il secolo scorso è stato il secolo in cui la scienza ha scoperto i limiti della ragione nel descrivere e prevedere quanto avviene nel mondo. È sufficiente un piccolo elenco: limiti alla precisione delle misure dei sistemi fisici (principio di indeterminazione di Prefazione 15 Heisenberg); limiti alla costruzione di sistemi formali completi e coerenti (teorema dell’incompletezza di Gödel); limiti alla computazione (Halting Problem di Turing); limiti alla prevedibilità dei sistemi dinamici (teoria del caos); limiti alla completezza delle teorie della realtà fisica (teoria corpuscolare e teor ia ondulatoria della luce); limiti della razionalità nelle scelte cooperative (il dilemma del prigioniero); limiti delle strategie razionali di gruppo (il problema del El Farol Bar); limiti cognitivi nei processi valutativi e decisionali (i bias cognitivi scoperti da Kahneman e Tversky); limiti della ragione (l’interferenza delle emozioni nei processi razionali scoperta da Antonio Damasio); limiti di decisioni rappresentative (il teorema di Arrow). Limiti che intervengono nella produzione sia della conoscenza scientifica sia della conoscenza personale. Limiti che fanno assomigliare l’attività conoscitiva all’arte di un bricoleur che deve destreggiarsi con i mezzi che ha a disposizione. Necessariamente, il risultato finale non può che essere intriso di incertezze, ripensamenti, ambiguità, paradossi e incoerenze. Eppure, tentativo dopo tentativo, una logica si dispiega. Si avverte la crescita della consapevolezza di come l’impresa sta nel mondo. Nei primi modelli la conoscenza aveva un ruolo puramente strumentale, era un grimaldello in grado di svelare in modo compiuto e affidabile il modo con cui l’impresa dovesse operare. Un’impresa pensata come sistema chiuso, che riusciva a tenere fuori la varietà e la complessità dei mercati e della società. Nel tempo, progressivamente, è emersa la visione, più ampia, di un’impresa intessuta nella società in cui opera. Si è compreso che la conoscenza, come pratica del conoscere e come memoria del sapere, è embedded nella comunità di riferimento dell’impresa. La conoscenza non è solo il risultato di un atto di misura e di un calcolo razionale, ma è anche quella incorporata nelle storie e nelle credenze che circolano nel sistema sociale. Una conoscenza più impalpabile, ma essenziale per costruire i significati condivisi che danno senso all’azione collettiva. La ricerca più recente, infine, si addentra nel territorio della complessità, dove si manifestano fenomeni di cui non è possibile rintracciare una causa evidente, dinamiche di cui non è possibile prevedere la traiettoria futura, fatti che presentano contorni incerti. La scoperta che il mondo può assumere i caratteri della casualità, del disordine e dell’imprevedibilità cambia le regole del gioco del conoscere, le modalità con cui la conoscenza viene prodotta, distribuita e utilizzata. Si aprono nuove prospettive manageriali, che fanno leva sulla diversità e sulla creatività di un’intelligenza collettiva. Basta far riferimento al modello Cynefin di Snowden e Kurtz o al modello Open Innovation di Chesbrough, riportati nel testo, per rendersi conto di quale percorso sia stato compiuto dai “fatti certi”, accertabili con metodo scientifico dei modelli di Babbage (1835) o di Taylor (1911). La nuova consapevolezza che attraversa il pensiero più recente è che non c’è nessun osservatore in grado di osservare la scena del mondo seduto distaccato in platea. L’osservatore produce conoscenza operan- 16 Prefazione do sul palcoscenico, mentre è coinvolto nell’azione, facendo leva contemporaneamente sulle sue capacità cognitive (embrained knowledge), sui movimenti del proprio corpo (embodied knowledge), sugli artefatti che ha costruito (en coded knowledge), sulle relazioni sociali che intreccia (embedded knowledge). Così, quando De Toni e Fornasier tirano le somme del viaggio compiuto, non possono far altro che prendere atto della natura straripante e ribelle della conoscenza. E propongono al lettore una propria chiave interpretativa: la conoscenza si presenta sempre agli occhi dello studioso come a quelli del manager come una medaglia a due facce. Ogni connotazione attribuita alla conoscenza deve prevedere la connotazione complementare: la conoscenza è tacita ed esplicita, ha origine all’interno e all’esterno dell’azienda, è astratta e concreta, è centralizzata e distribuita, è processo e prodotto. Se esiste un attributo, esiste anche quello opposto. Gestire efficacemente la conoscenza significa saper riconoscere queste complementarità, saper comprendere la ricchezza della visione duale e sapersi muovere fra i trade-off che generano. A partire da questa consapevolezza, De Toni e Fornasier propongono un insieme di strumenti e metodi che possono aiutare il manager a padroneggiare la conoscenza nell’ambito dell’azione strategica e dell’attività gestionale e valutativa. E non mancano di specificare le proprie proposte con una varietà di applicazioni in casi concreti. Dunque, si chiedono alla fine gli autori, qual è il valore della conoscenza? La risposta che ne viene data è intrigante: «La conoscenza è valore in potenza, mentre il valore è conoscenza in atto». Attenzione. Gli autori non affermano “la conoscenza ha un valore”. Dicono qualcosa di più radicale: la conoscenza è valore. Cioè, il valore non è un attributo della conoscenza, bensì il valore è la conoscenza stessa divenuta concreta, incorporata nell’azione. Mentre, simmetricamente, la conoscenza è valore potenziale non ancora incorporato nell’azione. Si ripropone qui una dualità più profonda. Conoscenza e valore sono anch’esse due facce di una medaglia. Il valore non può esistere senza la conoscenza, e viceversa. L’azione che produce valore non potrebbe esistere senza la conoscenza. Le conoscenze non sono altro che pattern di azioni potenziali. Anche la semplice categorizzazione di un fenomeno è la premessa necessaria per dirigere l’attenzione e l’azione. Nel caso dell’impresa, è il modello di business a realizzare la trasmutazione della conoscenza in valore. Ma la conclusione degli autori ha un significato più ampio: l’idea che i pattern conoscitivi si trasformino in valore quando si concretizzano in pattern d’azione ha implicazioni che vanno al di là dello specifico campo dell’organizzazione d’impresa e delle pratiche manageriali, investendo la natura stessa della conoscenza. E dunque offre nuovi spunti di riflessione a quanti vorranno cimentarsi con questa scottante tematica. Una ragione in più per leggere questa Guida al knowledge management. Giuseppe Zollo Prologo “Quanto vale Gerusalemme?” chiede Baliano a Salah-al Din, quando ha appena concluso la negoziazione per la consegna della città ai musulmani, in cambio di un salvacondotto per tutti i cristiani, asserragliati a difesa di Gerusalemme assediata da giorni dai saraceni. La domanda citata è ripresa dalla scena finale del film del 2005 Le Cro ciate del regista Ridley Scott. Il film è ambientato nel xii secolo, a cavallo tra la seconda e la terza Crociata. Orlando Bloom è l’attore protagonista che interpreta il cavaliere dell’ordine degli Ospitalieri Balian di Ibelin (nel film Baliano). Nel 1187, assieme a pochi pellegrini, difende la città di Gerusalemme dall’attacco dei saraceni, guidati da Salah-al Din, interpretato da Ghassan Massoud. Quando Baliano, rintracciato in Francia dal padre naturale, il barone Goffredo, giunge a Gerusalemme, la cittadinanza lo scongiura di restare a sua difesa. Viene quindi nominato comandante per la difesa della città. Insieme al l’arcivescovo Eraclio, Baliano si prepara all’inevitabile assedio del saraceno Salah-al Din, che infatti – dopo aver conquistato molte altre città – arriva infine per invadere Gerusalemme. Durante l’assedio Salah-al Din riesce ad abbattere parte delle mura, ma nonostante ciò non riesce a entrare in città. Il 2 ottobre 1187 Baliano esce da Gerusalemme e si dirige verso l’accampamento nemico per trattare con il suo avversario. Di seguito il dialogo tra i due: Salah-al Din: Consegnerete la città? Baliano : Prima di perderla, la farò divorare dalle fiamme, distruggendo i vostri luoghi sacri, i nostri, ogni cosa di Gerusalemme, il che condurrà ogni uomo alla pazzia. S: Mi domando se non sarebbe meglio che lo faceste. La distruggerete? B: Ogni pietra e ogni cavaliere cristiano che ucciderete si porterà con se dieci saraceni, voi distruggerete l’esercito senza più crearne un altro. Giuro su Dio che la presa di questa città sarà la fine vostra. S: La vostra città è piena di donne e bambini, se il mio esercito morirà, morirà anche la vostra città. 28 Prologo Dopo alcuni secondi di silenzio, Baliano risponde: Offrite un accordo io non lo chiedo. S: Concederò a ogni anima un salvacondotto per le terre cristiane, a ogni anima, le donne, i bambini, i vecchi e tutti i vostri cavalieri e i vostri soldati e la vostra regina, a nessuno sarà fatto del male. Giuro su Dio. B: I cristiani massacrarono tutti i musulmani quando presero la città. S: Io non sono quegli uomini, io sono Salah-al Din, Salah-al Din. B: Allora a queste condizioni consegno Gerusalemme. S: Salemu alaikum. B: E la pace sia con voi. A questo punto, mentre Salah-al Din ritorna verso le sue truppe, Baliano gli chiede: Quanto vale Gerusalemme? Salah-al Din si ferma, si gira verso Baliano e gli risponde: Niente. Quindi Salah-al Din riprende a camminare verso il proprio esercito. Dopo po chi attimi si rigira verso Baliano, e – portando i pugni verso il petto – aggiunge con un sorriso: Tutto! Qui termina il dialogo tra Baliano e Salah-al Din. E adesso proseguiamo noi: ma allora quanto vale realmente Gerusalemme? Niente o tutto? Baliano – che non sembra essere del tutto convinto di aver fatto la scelta giusta – chiede direttamente a Salah-al Din cosa pensa del vero valore di Gerusalemme. E Salah-al Din dapprima rincuora Baliano circa la bontà della sua scelta (Gerusalemme non vale niente), ma poco dopo dà la risposta a cui crede veramente (Gerusalemme vale tutto): alla fine infatti i musulmani hanno riconquistato la città santa, e con essa, si sono riappropriati del suo immenso valore simbolico. Gerusalemme prima non vale niente e quindi vale tutto. Non vale “niente” perché le sue mura, le sue costruzioni, le sue abitazioni sono quasi tutte distrutte: il suo valore materiale è pressoché nullo. Ma in realtà vale “tutto”, per il suo incomparabile valore sul piano spirituale. Ne sa qualcosa il salmista della Bibbia che ammonisce nel salmo del Canto della Speranza: «Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra» (Salmi 137). Gerusalemme è città santa per i fedeli delle tre grandi religioni monoteiste. Per ebraismo e cristianesimo è l’unica città santa, mentre per l’Islam è la terza in ordine d’importanza, dopo la Mecca e Medina. Gerusalemme è uno dei luoghi più ricchi di storia del mondo; l’essere l’unica città “sospesa” tra le tre religioni monoteiste la rende assolutamente straordinaria. La città santa per eccellenza è un luogo simbolico incomparabile, teatro dei più delicati equilibri religiosi e teologici delle tre grandi religioni monoteiste. Ritornando al quesito di Baliano «Quanto vale Gerusalemme?», Salah-al Din risponde: «Niente […] Tutto». Analogamente se un lettore ci chiedesse «Quanto vale la conoscenza?», noi risponderemmo: «Niente […] Tutto». La conoscenza di un’organizzazione o di un’impresa non vale “niente” se non è fonte di valore. Vale “tutto” se lo diventa. La conoscenza possiede un va- Prologo 29 lore nullo se non è trasformata in prodotti e/o servizi e viceversa possiede un valore “vitale” quando è alla base di un efficace modello di business. Utilizzando la distinzione proposta da Aristotele di “essere in potenza” e di “essere in atto” – un pulcino è un gallo in potenza, mentre un gallo è un pulcino in atto – possiamo dire che la conoscenza è valore in potenza, mentre il valore è conoscenza in atto. La conoscenza assume un reale valore solo quando viene trasformata in prodotti e/o servizi vendibili, cioè quando l’intangibile diventa tangibile. Detenere delle conoscenze è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per competere e avere successo nel business. Ciò che è fondamentale è la capacità di trasformarla. È molto più facile trasformare del denaro in buona ricerca che trasformare della buona ricerca in denaro. Ecco perché la conoscenza – come Gerusalemme – non vale “niente” se non si è capaci di trasformarla, ma vale “tutto” se invece si è capaci di farlo. Introduzione Non c’è desiderio più naturale del desiderio di conoscere. Michel de Montaigne (filosofo francese, 1533-1592) L’importanza della conoscenza nella competizione tra imprese è ampiamente riconosciuta: il knowledge management, infatti, è il filone della teoria manageriale dedicato appunto allo studio della conoscenza come fonte di vantaggio competitivo per le imprese. Approcci come la Resource Based View e la Knowledge Based Theory pongono al centro dello sviluppo d’impresa la creazione, la combinazione e l’applicazione della conoscenza. Ma che cosa fare per creare, combinare e applicare conoscenza è una domanda che tutti si pongono e a cui non è facile rispondere. Innanzi tutto perché in letteratura non si converge nemmeno sulla definizione della conoscenza intesa in molti modi: come una risorsa, un oggetto, un processo, una capacità, un flusso ecc.; e inoltre perché vengono proposte varie metodologie spesso però non giustificate in un quadro coerente che ne valorizzi l’utilità e la specificità. Nel libro – dopo una rapida rassegna dei contributi sulla conoscenza dei principali autori in ambito filosofico, economico, organizzativo e manageriale – si propone di considerare la conoscenza come una entità di natura plurale (conservativa, moltiplicativa e generativa) che può essere incorporata in un vettore di natura duale: oggetto e processo. L’attribuzione al vettore della conoscenza di una natura duale (oggetto e processo) si ispira all’attribuzione alla luce di una natura duale (corpuscolare e ondulatoria). Per quanto riguarda le metodologie, si descrivono i principali modelli di knowledge management presenti nella letteratura specializzata (ne vengono delineati sinteticamente 18 degli oltre 70 principali citati in letteratura). Successivamente gli autori propongono un framework per sviluppare azioni di strategia, di gestione e di valutazione della conoscenza. Per ognuna delle 32 Introduzione tre aree (strategia, gestione e valutazione) sono stati avanzati degli strumenti denominati rispettivamente: il cubo della strategia della conoscenza, il ciclo di gestione della conoscenza e i semafori di valutazione della conoscenza. Questo insieme di strumenti operativi – denominato triangolo della conoscenza – è finalizzato a supportare il processo di creazione, combinazione e applicazione della conoscenza. Gli strumenti indicati sono stati quindi testati rispettivamente in tre casi aziendali (Eurotech, Lago e Trelleborg Wheel Systems). Lo strumento del triangolo della conoscenza è fondato sulla metafora dell’energia della conoscenza: l’energia potenziale (la conoscenza) non vale niente se non si trasforma in energia cinetica (prodotti e/o servizi), nel caso contrario vale tutto. Utilizzando i concetti aristotelici di essere in potenza (il pulcino è un gallo in potenza) e di essere in atto (il gallo è un pulcino in atto), si conclude che la conoscenza è valore in potenza, mentre il valore è conoscenza in atto. Il modello di knowledge strategy suggerito si sviluppa in due aree. La prima, denominata analisi dello status della strategia della conoscenza, riprende i classici strumenti di analisi strategica e li adatta all’analisi della conoscenza: Knowledge swot analysis, Knowledge gap analysis e Posizionamento competitivo. La seconda, denominata politiche di valorizzazione della co noscenza, propone tre principali dimensioni a livello di knowledge strategy (sviluppo, codificazione e sfruttamento). Queste tre dimensioni rappresentano gli assi dello strumento proposto denominato cubo della strategia, al cui interno ogni punto rappresenta, a un dato istante, la strategia della conoscenza dell’impresa. In grande sintesi, la tesi sostenuta è che la strategia della conoscenza si fonda su tre scelte chiave: sviluppo della conoscenza sulla base di fonti interne e/o esterne, codificazione spinta o limitata, sfruttamento interno e/o esterno all’impresa. Per quanto riguarda il modello di knowledge management, dopo aver analizzato in letteratura i diversi cicli e le molteplici fasi della conoscenza, gli autori propongono un ciclo di gestione della conoscenza basato sull’applicazione della legge di conservazione della materia alla conoscenza, considerata in questo caso nella sua natura conservativa. La tesi sostenuta è che ogni impresa utilizza strumenti di gestione della conoscenza (manageriali-organizzativi e ict) in parte comuni ad altre imprese e in parte specifici e sviluppati ad hoc. L’attenzione viene posta nel verificare che tutte le fasi del ciclo della conoscenza siano presidiate da metodologie gestionali o strumenti informatici. Per quanto riguarda la knowledge evaluation, lo studio della letteratura propone modelli che si originano da ambiti anche molto distanti tra loro: capitale intangibile, Knowledge Management Maturity Models, Social Network Analysis ecc. Il modello proposto dagli autori è ascrivibile a quelli basati sul capitale intangibile. Esso viene articolato in tre componenti principali: capitale umano, capitale strutturale e capitale relazionale. Vengono quindi assunti Introduzione 33 dalla letteratura un certo numero di indicatori di misurazione delle componenti del capitale intangibile, i quali sono collocati in una matrice ottenuta incrociando le tre dimensioni del capitale intangibile con le fasi del ciclo di gestione della conoscenza. A ogni quadrante della matrice ottenuta – denominata se mafori di valutazione della conoscenza – è quindi associato un set di indicatori (i semafori), ai quali è attribuito un colore verde, giallo o rosso rispettivamente per valutazioni positive, neutre o negative, da cui il nome dello strumento. In questo terzo caso la tesi sostenuta è che è opportuno che ogni organizzazione definisca gli indicatori chiave per il suo modello di business, distribuiti nei tre tipi di capitale intangibile e nelle diverse fasi di gestione della conoscenza. I casi aziendali sviluppati – Eurotech, Lago e Trelleborg Wheel Systems – hanno consentito di ottenere dei riscontri empirici dei tre modelli proposti: rispettivamente cubo, ciclo e semafori. Eurotech, che opera nella realizzazione di tecnologie per Nano pc e High Performance Computing, è stata selezionata per verificare la capacità interpretativa del framework di knowledge strategy. Il caso Lago, azienda operante nel settore legno arredo, è stato sviluppato in quanto l’impresa vanta diverse iniziative incentrate sulla codificazione della conoscenza e sulle variabili e strumenti a supporto del ciclo di gestione della conoscenza. Trelleborg Wheel Systems – impresa multinazionale operante nella produzione di pneumatici agricoli – ha consentito di testare il modello di knowledge evaluation, ambito su cui l’impresa è impegnata da tempo. Oltre al triangolo della conoscenza (articolato nelle sue tre componenti: il cubo della strategia, il ciclo di gestione e i semafori di valutazione), nel libro vengono proposte successivamente altre due metodologie. La prima è una metodologia di analisi della coerenza tra la business strategy e la knowledge strategy che utilizza uno strumento denominato Matrice diagnostica della coerenza della knowledge strategy, testata nel caso aziendale illycaffè, nota azienda leader nell’ambito dell’espresso. La seconda è una metodologia di analisi della coerenza tra business strategy e knowledge evaluation denominata Value Discovery, testata nel caso aziendale Sweet, piccola azienda di successo del settore dolciario. La metodologia confronta il modello di business dell’impresa, i determinanti del valore (mercato, prodotti e servizi, processi e organizzazione), le variabili intangibili (capitale umano, strutturale e relazionale) e i risultati aziendali (quantitativi e qualitativi) sulla base di indicatori chiave di performance (o kpi - Key Performance Indicator) relativi agli asset intangibili. Infine, nell’ultimo caso aziendale – Intesa Sanpaolo – viene descritta un’esperienza significativa relativa al knowledge management e al social learning, con particolari approfondimenti sulle comunità di pratica (professionali e di apprendimento) e sul Learning Experience Design. 34 Introduzione Struttura del libro Il libro si articola in cinque parti. • La Parte prima fornisce una panoramica del tema della conoscenza. Nel Capitolo 1 si analizza il significato epistemologico di conoscenza e l’origine del termine. Nel Capitolo 2 si riportano i principali contributi relativi alla conoscenza in ambito economico e le differenti chiavi di lettura del significato attribuito all’economia della conoscenza. Nel Capitolo 3 si ripercorre il ruolo assunto dalla conoscenza nelle teorie d’impresa e in quelle organizzative. Nel Capitolo 4 vengono individuate le diverse classificazioni della conoscenza in ambito manageriale. • La Parte seconda è dedicata alla revisione della letteratura nelle diverse aree inerenti alla gestione della conoscenza. Nel Capitolo 5 si descrivono i principali modelli teorici di governo della conoscenza. Nel Capitolo 6 si delineano le dimensioni e i modelli riconducibili alla knowledge strategy. Nel Capitolo 7 ci si focalizza sul knowledge management (inteso strettamen- Introduzione 35 te come gestione); in particolar modo vengono analizzate le fasi principali del ciclo della conoscenza, i principali modelli e gli strumenti di knowledge management. Nel Capitolo 8, dopo un breve excursus sul capitale intangibile, sono riportati i modelli di knowledge evaluation presenti in letteratura. Infine, nel Capitolo 9 sono descritti due modelli di knowledge management (inteso in senso lato) che prendono in considerazione tutte le aree precedentemente menzionate. • Nella Parte terza (Capitolo 10) vengono proposti inizialmente la natura plurale della conoscenza, il vettore duale di incorporazione della conoscenza e la metafora dell’energia della conoscenza. Successivamente viene presentato il framework proposto – denominato il triangolo della conoscenza – con la descrizione dei modelli di knowledge strategy, knowledge management e knowledge evaluation; in particolare sono trattati rispettivamente il cubo della strategia, il ciclo di gestione e i semafori di valutazione. • Nella Parte quarta si indaga empiricamente sui fenomeni oggetto di analisi. Sono presentati i casi Eurotech (Capitolo 11), Lago (Capitolo 12) e Trelleborg Wheel Systems (Capitolo 13). • Nella Parte quinta sono trattati altri tre casi aziendali. Nel primo caso, illycaffè (Capitolo 14), si esemplifica la metodologia proposta di analisi della coerenza tra business strategy e knowledge strategy. Nel secondo caso, Sweet (Capitolo 15), si esemplifica la metodologia proposta di analisi della coerenza tra business strategy e knowledge evaluation. Infine, nel terzo caso, Intesa Sanpaolo (Capitolo 16), si esplora il tema di frontiera del social learning in relazione al knowledge management. 5.Principali modelli teorici di governo della conoscenza A volte l’uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si rialza e continua per la sua strada. Winston Churchill (primo ministro britannico, 1874-1965) 5.1 Origini, scuole e accezioni del termine “gestione della conoscenza” Il knowledge management (km), letteralmente traducibile con “gestione della conoscenza”, è una disciplina manageriale relativamente recente che negli ultimi anni ha ricevuto un’attenzione non certo trascurabile. In una prospettiva estesa il km viene inteso come «un termine ombrello per un ampio spettro di orientamenti accademici» (an umbrella term for a wide spectrum of academic orientation) (Alvesson e Karreman, 2001, p. 996). La nascita del km nella tradizione manageriale viene fatta coincidere con la pubblicazione del libro Knowledge Management Foundations a opera di Karl M. Wiig nel 1993. Questo libro rappresenta il primo tentativo di un approccio organico al problema della gestione della conoscenza in ambito aziendale e si presenta come il risultato di una più approfondita riflessione sul ruolo sempre più importante assunto dalla conoscenza nelle imprese. Nei primi anni Sessanta, Peter Drucker (1964) aveva già sottolineato la natura dinamica della società, soggetta a continue trasformazioni e modifiche; in particolare, egli aveva osservato che la società della produzione di massa del dopoguerra si era trasformata nella società della conoscenza. Egli utilizza questo termine (knowledge society) per identificare una società nella quale la risorsa economica principale è rappresentata dalla conoscenza e dai soggetti conoscitori che la generano. Drucker fu tra i primi a coniare i termini knowledge work e knowledge worker e ad attribuire un ruolo fondamentale alla conoscenza tacita, fino a quel tempo poco considerata dagli altri autori. 152 Modelli e strumenti per la gestione della conoscenza Possiamo quindi affermare che il termine km era già presente nella teoria economica degli anni Sessanta, ma diventa una disciplina manageriale solamente all’inizio degli anni Novanta. Nel 1989 una survey rivolta ai ceo delle più grandi multinazionali americane fece emergere come la conoscenza fosse già ritenuta un fattore fondamentale per il successo dell’impresa e delle attività (Wiig, 1997). Si possono individuare due macrocause che hanno stimolato e accelerato la riflessione sull’argomento del km: • forze di tipo esogeno rispetto all’impresa, ovvero relative all’ambiente competitivo; • forze di tipo endogeno all’impresa. La maggior parte delle organizzazioni aziendali non esercita alcuna forma di controllo sull’ambiente in cui opera; di conseguenza la loro vitalità e la loro sopravvivenza dipendono direttamente dalla capacità di risposta alle sollecitazioni esterne. Tra questi fattori esogeni citiamo (Prusak, 2001; Wiig, 1993; Bowman, 2002; Cainarca et al., 2002; Maier, 2002): • la globalizzazione dei mercati, che ha allargato in modo esponenziale il raggio d’azione del commercio internazionale, rendendo disponibile una maggiore quantità di alternative per i clienti; • l’evoluzione dei fabbisogni dei consumatori finali, sempre più alla ricerca di prodotti nuovi che sappiano soddisfare desideri non ancora espressi e che esprimano la loro personalità; • l’evoluzione dei fornitori, che si sono trasformati da costruttori di semplici componenti a costruttori di sottosistemi. L’elevato livello tecnologico e qualitativo raggiunto dai fornitori spinge nella direzione della coprogettazione del prodotto/servizio; • l’aumento delle disponibilità dell’Information & Communication Technology (ict), che è rappresentata da nuovi e avanzati motori di ricerca, condivisione di linguaggi e protocolli, groupware per il lavoro collaborativo ecc. Si è inoltre verificata una serie di cambiamenti endogeni alle imprese che hanno sviluppato la riflessione sull’importanza della conoscenza. Tra questi ricordiamo (Wiig, 1993): • lo spostamento della competizione in prevalenza sulle fasi a monte, ovvero nel concept e nella progettazione di prodotti/servizi, ovvero sulle fasi storicamente caratterizzate da maggiore intensità di conoscenza rispetto a quelle a valle (produzione e distribuzione); Principali modelli teorici di governo della conoscenza 153 Figura 5.1 Prospettive prevalenti di studio della conoscenza Prospettive prevalenti di studio della conoscenza Approccio americano (Gestire la conoscenza) Approccio europeo (Misurare la conoscenza) Approccio giapponese (Creare conoscenza) Fonte: Moustaghfir e Secundo, 2008. • la progressiva consapevolezza dell’importanza delle risorse cognitive nel determinare vantaggi competitivi attraverso la gestione dei processi di apprendimento e di condivisione della conoscenza. Interessante è la riflessione di Moustaghfir e Secundo (2008) circa l’esistenza di prospettive prevalenti di studio sul knowledge management in ambito europeo, americano e giapponese (Figura 5.1). Gli studi europei si sono concentrati sull’aspetto della misurazione della conoscenza, proponendo degli appositi strumenti di misurazione (per esempio il modello di Edvinsson). Le ricerche americane hanno posto l’enfasi sulla gestione stessa della conoscenza, sviluppando metodologie e tecnologie per l’aquisizione, l’immagazzinamento, la condivisione e l’applicazione della conoscenza (il modello di Holsapple e Joshi o quello di Tiwana). Infine, gli studi giapponesi si sono focalizzati sui modelli di creazione della conoscenza (per esempio il famoso modello di Nonaka). Un altro importante lavoro da segnalare è quello di Earl del 2001. Egli cerca di fornire una tassonomia delle strategie per la gestione della conoscenza, da lui denominate “scuole”. Lo scopo principale di questo framework è quello di guidare i dirigenti nell’avviare progetti di gestione della conoscenza sulla base degli obiettivi organizzativi e tecnologici e dei vincoli comportamentali ed economici. Questo framework può essere anche utile ai docenti nell’evidenziare la rilevanza della Fonte: Earl, 2001. Codificazione “Filosofia” Connettività Capacità Commercializzazione Groupware e Internet Asset intellettuali Sistemi di registrazione e processo Sistemi Knowledge based Contributo It principale Profili e directories Database condivisi in Internet Cultura sociale e intermediari della conoscenza Team specializzati Processi istituzionalizzati Conoscenza, apprendimento e informazione distribuita e non limitata Cultura/Incentivi per condividere la conoscenza e connettere le persone Validazione dei contenuti e incentivi a fornire contenuti Fattori critici di successo Collaborazione BP Amoco Shell Dow Chemical IBM HP Frito-Lay Bain & Co AT&T Comunità Xerox Shorko Films Know-how Raggruppare conoscenza Esempi Attività Asset di conoscenza Flussi di conoscenza Directory di conoscenza Network Organizzativo Impresa Reddito Processi Commerciale Mappe Ingegneria Dominio Basi di conoscenza Tecnologia Cartografico ECONOMICA Unità Obiettivo Focus Sistemi TECNOCRATICA Tabella 5.1 Scuole di Knowledge Management Connettività Strumenti di accesso e di rappresentazione Progettazione per obiettivi e incoraggiamento Skandia British Airways Luogo Scambiare conoscenza Spazio Spaziale COMPORTAMENTALE Consapevolezza Eclettico Artefatti retorici Skandia Unilever Business Capacità di conoscenza Mentalità Strategico 154 Modelli e strumenti per la gestione della conoscenza Principali modelli teorici di governo della conoscenza 155 gestione della conoscenza e ai ricercatori nel generare proposte per ulteriori studi (Tabella 5.1). Le prime tre scuole sono etichettate come “tecnocratiche” perché sono basate sull’informazione o sulla gestione delle tecnologie, le quali forniscono un ampio supporto e condizionano i knowledge worker nelle attività quotidiane. La quarta scuola, etichettata “economica”, è maggiormente orientata alla commercializzazione: lo sfruttamento delle conoscenze-capitale intellettuale aumenta il fatturato. Infine, le altre tre scuole sono denominate “comportamentali”: i manager e le persone assumono un ruolo centrale, sono proattivi nella creazione, condivisione e utilizzo dei knowledge asset intesi come risorse dell’azienda. Passando ad analizzare le definizioni di km di seguito riportate (Tabella 5.2), è possibile raggrupparle in due categorie: accezione estesa e accezione ristretta. Nella prima accezione rientrano quelle definizioni che fanno riferimento al km come disciplina generale, volta alla creazione del valore, mentre nella seconda rientrano tutte le definizioni maggiormente operative direttamente riconducibili ai processi di km. Tabella 5.2 Definizioni di Knowledge Management Accezione estesa von Krogh, 1998 Il KM si riferisce all’identificazione e allo sfruttamento della conoscenza collettiva di un’organizzazione per aiutarla a competere meglio. Sveiby, 1998 Il KM è l’arte di creare valore dagli investimenti intangibili di un’organizzazione. Webb, 1998 Il KM consiste nell’individuazione, ottimizzazione e attiva gestione degli investimenti intellettuali per creare valore, aumentare la produttività e il profitto e sostenere il vantaggio competitivo di un’organizzazione. Wiig, 1993 Il KM è definito come sistematica, esplicita e deliberata costruzione, rinnovamento e applicazione di conoscenza per massimizzare l’efficacia e il ritorno dagli investimenti in conoscenza di un’impresa. Accezione ristretta Quintas et al., 1997 Il KM è il processo riguardante la continua gestione di conoscenza in ogni forma, al fine di incontrare le necessità esistenti ed emergenti di un’organizzazione, di identificare e sfruttare i knowledge asset esistenti e acquisiti e di cogliere le nuove opportunità che si presentano a un’impresa Liebowitz e Wilcox, 1997 Il KM è l’abilità di un’organizzazione nel gestire, immagazzinare, valutare e distribuire la conoscenza. Prusak, 2001 Il KM descrive ogni processo o pratica di creazione, acquisizione, cattura, trasferimento e utilizzazione della conoscenza, in qualsiasi sua forma, al fine di migliorare l’apprendimento e le performance dell’organizzazione. Boisot, 1998 Il KM raggruppa le fasi di creazione, utilizzo e trasferimento della conoscenza all’interno dell’organizzazione. Gli Autori A lberto Felice De Toni ([email protected]), laureato in Ingegneria chimica e dottore di ricerca in Scienza dell’innovazione industriale, è professore ordinario di Organizzazione della produzione e di Gestione dei sistemi complessi presso l’Università di Udine. È preside della facoltà di Ingegneria e Past President dell’Associazione Italiana di Ingegneria Gestionale. È coautore, tra l’altro, di Prede o ragni. Uomini e organizzazioni nella ragnatela della complessità (Utet, Torino 2005), Visione evolutiva. Uun viaggio tra uomini e organizzazioni, management strategico e complessità (Etas, Milano 2010), Auto-organizzazioni. Il mistero dell’emergenza nei sistemi fisici, biologici e sociali (Marsilio, Venezia 2011). A ndrea Fornasier ([email protected]), laureato in Ingegneria gestionale e dottore di ricerca in Ingegneria industriale e dell’informazione, ha svolto attività di ricerca nell’ambito della gestione dell’innovazione e del knowledge management presso l’Università di Udine. Oggi è responsabile dei progetti strategici e dell’education presso Unindustria Pordenone. Eugenio Bastianon ([email protected]), laureato in Filosofia, dottorando di ricerca in Ingegneria gestionale presso le Università di Padova e Udine. Svolge attività di ricerca sulle teorie della complessità e sulla teoria dei giochi come modello strategico per il change management delle organizzazioni complesse. Roberto Battaglia ([email protected]), è responsabile della Formazione del Gruppo Intesa Sanpaolo. Ha svolto il suo percorso professionale nell’ambito dell’Organizzazione e del Personale, ricoprendo svariati incarichi in aziende del settore bancario. Fabio Candussio ([email protected]), laureato in Ingegneria delle tecnologie industriali a indirizzo economico-organizzativo, è professore a contratto di Sistemi informativi aziendali presso l’Università di Udine. Dopo una lunga esperienza in Tecnest nell’ambito del Supply Chain Management, oggi collabora con Campus come consulente su temi di strategia, organizzazione e operations. M auro de Bona ([email protected]), laureato in Ingegneria gestionale. Già professore a contratto di Economia e organizzazione presso l’Università di Udine, è partner di Campus, società di consulenza strategica e organizzativa del Gruppo Innova. 538 Gli Autori Fabio Nonino ([email protected]), laureato e dottore di ricerca in Ingegneria gestionale, è ricercatore e docente di Gestione dei processi e dei progetti presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Svolge attività di ricerca sulle reti organizzative informali e sul ruolo strategico della gestione della conoscenza nei processi organizzativi. Giannino Piana ([email protected]), già docente di Etica cristiana presso l’Istituto Superiore di Scienze religiose dell’Università di Urbino e di Etica ed economia presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino. Autore di diversi volumi e di numerosi saggi su questioni di etica generale e applicata, specialmente nei campi della bioetica e dell’etica socioeconomica e politica. M atteo Pivetta ([email protected]), laureato in Ingegneria gestionale. Oggi è Business Planner presso la società di consulenza Fair Play, dove sta maturando esperienza internazionale principalmente nei settori retail, luxury e automotive in qualità di consulente strategico. Francesco Varanini ([email protected], www.francescovaranini.it), laureato in Scienze politiche a indirizzo socio-antropologico, formatore e consulente, docente a contratto di Knowledge management presso il corso di laurea interfacoltà di Informatica umanistica dell’Università di Pisa, direttore delle rivista Persone & Conoscenze, autore tra l’altro di Leggere per lavorare bene: nuovi romanzi per i manager (Marsilio, Venezia 2007), Contro il management: la vanità del controllo, gli inganni della finanza e la speranza di una costruzione comune (Guerini e Associati, Milano 2010), Nuove parole del manager : 113 voci per capire l’azienda (Guerini e Associati, Milano 2011). Giuseppe Zollo ([email protected]) è professore di Sistemi per la gestione aziendale presso la facoltà di Ingegneria dell’Università “Federico II” di Napoli. È presidente dell’Agenzia Campania Innovazione della Regione Campania. È coordinatore del dottorato in Science and technology management. Una Guida autorevole, completa e funzionale sul knowledge management inteso come fonte di valore nella competizione tra imprese. L’insieme delle conoscenze di un’organizzazione o di un’impresa possiede un valore nullo se non è trasformata in prodotti e/o servizi e viceversa possiede un valore “vitale” quando è alla base di un efficace modello di business. La Guida al knowledge management illustra le modalità attraverso cui trasformare la conoscenza in valore reale.