Leggi l`elaborato - Fogli di Viaggio

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Leggi l`elaborato - Fogli di Viaggio
DUE
MILIONI
7 Novembre 2014
HOW ARE YOU?
La prima è stata la ragazza allo sportello dell'immigrazione dell'aeroporto.
Mi sono avvicinata al bancone tendendo la mano con il passaporto e mentre glie lo consegnavo le
ho detto "good morning". Lo ha preso e, sfoderando un gran sorriso, mi ha risposto " good morning,
how are you?", "fine" le ho detto, stupita. All'inizio ho pensato che forse, oltre al fatto di essere una
persona estremamente gentile, fosse stata la mia faccia, non troppo sveglia e brillante, ad indurla ad
informarsi sul mio stato di salute, ma dopo qualche giorno di permanenza in questo Paese ho capito
perchè mi ha chiesto come stavo.
I namibiani quando si incontrano non si salutano dicendo soltanto buongiorno e buonasera.
Aggiungono anche "come stai?"," Bene" e poi "tutto bene?","si, tutto bene".
A volte, fanno anche altre domande che riguardano la famiglia o il lavoro, e questo non avviene
solo tra persone che si conoscono. Tutta questo simpatico teatrino si svolge anche tra persone che
non si conoscono e che si incontrano per strada per la prima volta.
Loro ovviamente si salutano nella loro lingua, anzi, in una delle tante lingue che si parlano in
Namibia.
A me che sono straniera ovviamente si rivolgono in inglese.
I primi giorni facevo fatica a sostenere un saluto cosi' lungo nel breve tempo che intercorre tra due
persone che incrociano le loro vite e i loro sguardi per pochi secondi per strada. Adesso invece,
dopo una settimana di allenamento, appena vedo da lontano una persona con la quale mi scambierò
sullo stesso marciapiede o per strada, gioco d'anticipo e comincio prima io, da lontano, il saluto, in
modo da non perdersi le parole alle spalle, dopo essersi oltrepassati.
L'altro ieri, il tassista che mi ha accompagnato nello sperduto lodge sul fiume Okavango, non
conoscendo la strada per raggiungerlo, ogni volta che incrociavamo una persona, abbassava il
finestrino e prima di chiedere informazioni sulla strada da percorrere, salutava, nella sua lingua, con
tutto il cerimoniale.
"N'gepi?","nawaa” gepi?","nawaa".
Le parole danzano e accarezzano l'anima quando qui ci si saluta. E regalano davvero una buona
giornata.
13 Novembre 2014
ALI
Quando guido il motorino e da lontano vedo qualcosa in mezzo alla strada o sui margini, che
potrebbe essere un animale ferito investito da un auto, chiudo gli occhi per un secondo, sperando
che la velocità mi permetta di oltrepassarlo senza essere costretta a constatarne la sofferenza ed
anche la morte.
Spero sempre di sbagliare nei miei avvistamenti e di scambiare un sacchetto di plastica o uno
straccio abbandonato per un gatto.
L'impotenza che provo di fronte ad una qualsiasi creatura morente mi divora.
Le strade asfaltate che in Namibia collegano le principali città, solcano l'infinità del paesaggio con
una innaturalezza che quasi dispiace dover percorrere a gran velocità come usa fare da queste parti,
soprattutto considerando che ai margini delle strade bivaccano e pascolano molti animali, come
capre ed asini, che sulll'asfalto vengono a riposare.
Quando la settimana scorsa sono andata a Rundu da Tsumeb con un taxi collettivo, ho avuto la
fortuna di sedere accanto al tassista e questo mi ha permesso di godere di una visuale privilegiata e
di tenere sotto controllo il contachilometri. Quando è arrivato e per molto tempo si è mantenuto sui
140 km orari gli ho chiesto "Ma qual'è qui il limite di velocità?", "120" mi ha risposto sorridendo.
Notando una mia certa inquietudine è sceso a 130.
"Eh già, dovrei andare più piano, anche perchè se mi fanno la multa e mi ritirano la patente io non
lavoro più. Ma qui tutti corrono come pazzi e i ricchi che si possono permettere di pagare le multe,
superano anche i 220 km orari" mi ha risposto. Poi, tanto per rassicurami mi ha detto "nel maggio
scorso ho fatto un incidente su questa strada. La macchina si è rovesciata ma per fortuna io e i miei
passeggeri ne siamo usciti vivi ".
La ragazza che mi ha dato un passaggio dall'aeroporto al centro di Windhoek, quando sono arrivata,
mi ha detto che in Namibia, tra le principali cause di morte, ci sono proprio gli incidenti stradali.
Ad un certo momento, sul lato sinistro della strada, ho scorto da lontano un asino sdraiato sul fianco
destro, con la testa rivolta in alto. L'autista mi ha detto che sicuramente era stato investito.
Sembrava stesse implorando per essere aiutato.
Non ho fatto in tempo a chiudere gli occhi. Non era un sacchetto. Non era uno straccio. Era un
asino.
Arrivata a Rundu ho contrattato con l'autista per farmi portare al lodge sul fiume Okavango.
Appena sono entrata nel mio bungalow, ho notato che una farfalla era rimasta prigioniera tra le due
reti, una a maglie fitte e l'altra a maglie un po' più grosse, che sigillavano la finestra per impedire
agli insetti di entrare.
Ho fatto finta di non vederla. Ho lasciato lo zaino per terra e sono uscita subito.
Nel pomeriggio, quando sono rientrata, lei era ancora lì, ferma, dove l'avevo lasciata.
Allora mi sono avvicinata nel tentativo di capire come avesse fatto a finire lì dentro.
Ho provato a distanziare la rete a maglie grosse da quella a maglie piccole e lei ha cominciato a
sbattere le ali.
Era ancora viva.
Ho cercato di allontanare ancora di più quella rete e lei continuava a sbattere le ali con un vigore
impressionante, incurante del fatto che lo spazio a sua disposizione era ridottissimo.
Non capiva invece che per uscire doveva chiuderle le ali, ruotare sul suo asse di 180 gradi e infilare
la testolina e poi il suo corpo massiccio dentro una maglia della rete. Ma come far capire tutto ciò
ad una farfalla?
Ho preso una penna e, aiutata da mille imprecazioni, l'ho indirizzata con delicatezza in un buco
della rete, quello più vicino al suo corpo, per farle capire che da lì doveva uscire. Alle mie
sollecitazioni continuava a sbattere le ali. Poi di colpo si è fermata, le ha richiuse, si è voltata
indietro ed è uscita. E' caduta sul tavolo sotto la finestra. Immobile, con una ferita sanguinante sul
corpo. Accanto a lei c'erano dei pezzetti delle sue fragili ali e alcune parti dei suoi esili arti
amputati.
Che tristezza.
"Almeno è morta libera" ho pensato.
L'ho adagiata su un foglio ed ho aperto la porta per restituirla alla natura. L'ho lanciata in aria il più
lontano possibile da me.
Lei però ha riaperto le ali ed è volata via.
16 Novembre 2014
HO ABBRACCIATO L'ALBA
Avevo deciso di non provarci neanche, stamani.
Ma veder rinascere il giorno da lassù è stata una tentazione troppo forte.
Quando ieri ho iniziato ad affondare nella sabbia e ad arretrare di due passi per uno che ne facevo
cercando di arrivare in cima alla Elim Dune, ho avvertito un profondo senso frustrazione.
Soprattutto vedendo i miei compagni di viaggio più giovani, ma anche più anziani di me, arrivare
con disgustosa disinvoltaura in cima alla duna senza accusare il benchè minimo sforzo. Io invece
sentivo che le mie forze cedevano e venivano sepolte dalla sabbia ad ogni mio passo.
Mi sono accasciata. "Posso stare qui" mi sono detta, mentre gli altri piantavano la bandiera sul
traguardo. Ho lasciato che il mio corpo si abbandonasse avendo cura di non lasciarlo inaridire dal
sole. Mi sono distesa sul lato ombreggiato della duna.
Sono arrivate le formiche. Le ho lasciate percorrere il mio corpo esplorandolo, cercando di non
muovermi troppo per non disturbarle.
Il vento sollevava la sabbia e spettinava i miei pensieri.
"Potrei rimanere per sempre qui" ho pensato "e diventare cibo per queste formiche". Per la prima
volta in vita mia mi sono sentita parte di un ciclo naturale e questo stranamente mi ha dato un senso
di onnipotenza. Sono rimasta ancora un pò sdraiata.
Dopo un po' mi sono rialzata, ho ripreso il cammino lungo il crinale percorrendo gli ultimi metri ed
ho raggiunto gli altri, con l'assoluta convinzione che stamani avrei ammirato la duna 45 da lontano,
senza provare nenache a violare i suoi 150 metri di altezza.
Invece no.
Lei, che maestosa e sfacciatamente bella si ergeva su tutte le altre, imponendosi sul paesaggio
spettacolare del deserto del Namib, è riuscita invece a smuovere il mio corpo portandolo fino in
cima, senza affaticarlo, nonostante il vento, nella sua opera di scultura delle dune, attentasse al mio
equilibrio facendomi temere di scivolare giù.
Ho abbracciato l'alba. E lei ha abbracciato il mondo.
22 Novembre 2014
DIAMANTI
Un signore mi ha detto che erano 17 anni.
La ragazza della Goerke Haus mi ha detto invece che di anni ne erano passati ben 25 e,
probabilmente, lei non era neanche nata quando l’ultimo treno è arrivato in questa città.
Erano anni che gli abitanti di Luderitz non vedevano arrivare un treno in quella stazioncina che
conserva ancora il fascino di cent’anni fa.
Ed erano in tanti ad aspettarlo martedi scorso.
Oltre agli operai che continuavano a sgombrare i binari dai sassi, assiepati ai margini della ferrovia,
tutti erano in attesa di un segnale che non cogliesse impreparate le machine fotografiche pronte ad
immortalare l’arrivo del treno.
Io, per caso, mi sono ritrovata a passare di lì.
Dopo poco, il fischio prolungato della sirena ha annunciato il suo arrivo accompagnando quel
trenino, un locomotore e cinque vagoni merci, fino a regalarlo agli sguardi di chi, quel mezzo, non
l’aveva mai visto per davvero in questa città, come i tanti bambini usciti da scuola.
Appena scorto dietro la curva, in tanti hanno alzato le macchine fotografiche, i telefonini e i tablets
per fermare l’immagine del suo storico arrivo.
C’era però qualcosa di stridente in quella situazione.
Il contrasto tra i moderni mezzi di comunicazione che ti portano il mondo sul palmo della mano, e
quel treno, che se ci sali sopra ti porta davvero a conoscere il mondo, era troppo forte.
E’ curioso come la storia di questa città sia legata anche alla sua ferrovia.
Agli inizi del ‘900 un operaio, mentre stava lavorando alla costruzione della linea ferroviaria, trovò
una pietra bellissima, luccicante. La consegnò al padrone.
Iniziò quindi lo sfruttamento dei giacimenti di diamanti della Namibia, portando alla creazione di
una zona proibita, lo Sperrgebiet, da parte del paese colonizzatore, la Germania, che lasciò poi in
eredità al suo più crudele successore, il Sudafrica razzista, che amministrò questo Paese per
settant'anni, estendendovi il sistema dell'apartheid. Nacquero citta’ come Kolmanskop che la sabbia
del deserto avrebbe riconquistato dopo il suo abbandono avvenuto negli anni ’50.
Se le immense ricchezze della Namibia fossero state sfruttate a beneficio della sua popolazione,
martedi scorso avrei visto arrivare a Luderitz un treno vero, quello che porta le persone in giro per il
mondo, non il balocchino romantico la cui immagine farà da sfondo al desktop di computers e
smartphone di quelle persone che erano lì ad aspettarlo.
25 Novembre 2014
AUTENTICA
Era come se un bambino indispettito perchè rimproverato dalla maestra, avesse deciso di colpo di
prendere la gomma e cancellare la strada tracciata sul foglio di carta.
Quando il sole ormai aveva smesso di far capolino dalle rocce e l'oscurità della sera iniziava ad
avvolgere il paesaggio lunare che si offriva allo stupore di chi è abituato quotidianamente a fare i
conti con il cemento, il vento ha dato il colpo di grazia al mio equilibrio psichico.
Ha sollevato la sabbia e l'ha portata sulla strada che stavo percorrendo a bordo del minibus,
cancellandone i margini a più riprese, quasi a voler riconsegnare alla natura quello che il genere
umano gli aveva strappato.
C'era qualcosa di surreale e straordinariamente autentico in quella visione notturna.
Quell'autenticità che in questa disneyland del creato, che è la Namibia, non ho trovato quando sono
dovuta per forza entrare nel costoso circuito turistico che impone tempi e modalità adatti a chi si
limita a fare lo spettatore voyeur, pretendendo comforts che poco hanno a che vedere con l'ambiente
che lo circonda.
Nonostante sia un Paese indipendente solamente da 24 anni, tutto il settore turistico e gran parte
dell'economia della Namibia è rimasto saldamente in mano ai sudafricani bianchi che lo gestiscono
come se la politica segregazionista che ha governato per decenni, non fosse mai stata messa al
bando, favorendo un tipo di turismo che non fa altro che sancire sempre più la separazione tra
bianchi e neri.
Non ho visto i leoni, gli elefanti, gli ippopotami, i rinoceronti e le giraffe che popolano i parchi di
una parte di questo territorio addomesticato.
Credo di essere una delle poche persone che è venuta in Namibia e non è stata all'Etosha Park.
Se non guidi un auto o non ti aggreghi ai tours organizzati, la stragrande maggioranza dei luoghi
turisticamente famosi ti sono preclusi.
Nei miei lunghi, lunghissimi spostamenti con i mezzi pubblici, attraversando paesaggi sconfinati,
ho visto però orici, springboks, babbuini, cavalli selavaggi, scoiattoli, fenicotteri e uno struzzo.
Tra le dune del deserto, aiutata da una guida locale, ho visto le piccole creature che lo popolano.
Uno scorpione, un serpente, il simpatico geco palmato, l'elegantissima "dancing white lady" e il
buffo camaleonte. Essendo un'escursione organizzata come quella che mi ha portato a vedere
pellicani, otarie, delfini, pinguini e balene, ho pensato malignamente che l'avvistamento di tutti
questi animali fosse programmato a tavolino per non deludere il portafoglio dei partecipanti. Le
otarie che saltano sul catamarano e ti vengono a fare le fusa sono divertenti, ma non hanno niente di
autentico.
Un pomeriggio, a Swakopmund, mi sono incamminata sulla spiaggia per arrivare fin dove le dune
del deserto incontrano il mare. Ad un certo punto, a pochi metri da me, mi sono ritrovata
improvvisamente davanti un'otaria. Mi sono fermata di colpo. Istintivamente avrei voluto farle una
carezza. Lei, appena ha visto che mi stavo avvicinando, ha cominciato a ringhiare e si è precipitata
subito in mare. Si è messa a fare un sacco di capriole in acqua lasciandosi coccolare e sfidando la
fredda corrente dell'Atlantico.
Ogni tanto sembrava addirittura che si voltasse verso di me col puro intento di suscitare invidia.
Dopo un po' ha preso il largo ed io l'ho accompagnata con lo sguardo fino a vederla scomparire tra
le onde.
Invidiandola.
26 Novembre 2014
STELLE
La signora che guidava il minibus che da Luderitz mi ha portato alla stazione di Keetmanshoop, non
ha fatto altro che sbraitare per tutta la durata del viaggio. Sembrava ce l'avesse col mondo intero, o
forse ce l'aveva con una singola persona, o forse stava solo raccontando, al ragazzo dai capelli
ossigenati accanto a lei, che l'altra sera aveva bruciato il fritto di calamari che stava preparando per
la suocera. Parlava in afrikaans. E io non capivo niente.
Dopo aver imbarcato gli ultimi passeggeri e prima di ingranare la marcia per lasciare Luderitz, lei e
gli altri hanno detto una preghiera.
Qui in Namibia, tutte le volte che ho preso un minibus, quando sono arrivata a destinazione ed ho
chiesto all'autista del combi di indicarmi il modo per raggiungere l'ostello o come in questo caso, la
stazione ferroviaria, lui o lei, mi ha dato in consegna ad un passeggero di sua fiducia in modo da
potermi aiutare a raggiungere il luogo desiderato.
Questa volta sono stata affidata a Charles e Rooney.
Arrivata alla stazione ferroviaria non ho avuto nemmeno bisogno di dire al bigliettaio “voglio un
biglietto per...”. Il sig. Smith dell'ostello, durante la prenotazione gli aveva già fornito i miei dati e
la destinazione. In ogni caso non avrebbe dovuto fare un grande sforzo per capire dove ero diretta,
visto che da lì parte un solo treno passeggeri al giorno per Windhoek.
Mi ha detto però che non poteva ancora emettere il biglietto perchè non sapeva se il nostro treno,
che aveva subito un guasto, sarebbe potuto partire.
Considerando che sono arrivata alla stazione a mezzogiorno, avevo qualche speranza che il
problema potesse essere risolto in tutta comodità, visto che tanto il treno partiva alle 18.50.
Arrivati lì, Rooney, persona pacata, si è seduto su una panchina e si è messo fare un po' di
telefonate. Charles, più inquieto, si è messo a fumare e, insieme, abbiamo deciso di andare al
supermercato per comprare alcuni generi di conforto utili ad affrontare l'attesa e il viaggio.
Lungo il tragitto mi ha raccontato di essere un militante della SWAPO e questo me lo ha fatto
diventare subito simpatico.
Mi ha detto che non era sposato e mi chiesto se io lo fossi. Appena gli ho detto “no”, con grande
naturalezza ha aggiunto “perchè non ci sposiamo? Io mi prenderò cura di te”. Sembrava serio
quando mi ha fatto la proposta. Anch'io lo sono stata quando gli ho risposto “no”.
Tornati in stazione, il bigliettaio ci ha annunciato che il treno sarebbe partito e quindi mi ha fatto il
biglietto.
Ho scelto il vagone con le cuccette in business class. Praticamente una nostra seconda classe, di un
treno di trent'anni fa.
Sono stata tutto il pomeriggio a sedere sulla panca che si trovava nella biglietteria ad osservare le
persone.
Devo dire che erano tutti molto rilassati.
Si sedevano sulla comoda poltroncina davanti al bancone e interloquivano col bigliettaio.
Lui, sempre gentile con tutti, ogni tanto alzava gli occhi e dava uno sguardo alla TV che aveva di
fronte, posizionata in alto a destra. Sembrava di essere alla casa del popolo.
Verso le 19 è iniziata la telenovela “Don't mess with an angel” e tutte le persone in attesa, si sono
riunite lì per non perdersi la puntata.
Chorina, una bambina che avrà avuto 8 anni, mi accarezzava i capelli. Io accarezzavo i suoi.
Mario, il fratellino, rompeva i coglioni con le sue mille richieste.
Il treno non è partito alle 18.50, bensì alle 21.30. Evidentemente i problemi tecnici hanno avuto
bisogno di più tempo per essere risolti. O forse il capostazione ha deciso di procrastinare la partenza
per permetterci di vedere la telenovela.
Ho condiviso lo scompartimento con Charles e Rooney che non hanno fatto altro che ripetermi “con
noi sei al sicuro”, “non ti preoccupare”, “noi ci prendiamo cura di te”, e con un altro passeggero
salito sul treno poco prima di partire.
Charles ha passato quasi tutta la notte fuori dallo scompartimento a chiacchierare e fumare con
alcuni ragazzi.
Io non ho chiuso occhio.
Alle cinque mi sono messa a sedere ed ho guardato fuori dal finestrino.
Nonostante il vetro sudicio e il treno viaggiasse ad una velocità di ben 40 km orari, ho visto un
milione di stelle.
In quel momento, io, che la Namibia l'ho anche odiata, mi sono detta “anche stavolta ne è valsa la
pena”.
27 Novembre 2014
DUE MILIONI
Non è passato un giorno da quando sono arrivata in questo Paese in cui non mi sia detta "sono
soltanto due milioni".
Due milioni di abitanti.
Se le baraccopoli che ci sono in ogni Paese del sud del mondo ci pongono di fronte alle nostre
responsabilità di occidentali predatori, quelle della Namibia, lo fanno, generando in chi la visita,
sensi di colpa ancora più grandi.
Le ho viste a Tsumeb, quando il tassista prima di partire è passato da lì a prendere alcune persone da
portare a Rundu. E le ho viste stamani, dal treno che da Keetmanshoop mi ha riportato a Windhoek,
vicino a Rehobot.
Baracche fatte di lamiera e niente più.
Sono soltanto due milioni gli abitanti della Namibia. Soltanto due milioni. E ci sono le baracche.
Con i diamanti che gli rotolano tra i piedi potrebbero permettersi il lusso di mettere un collier ad
ogni capra, come fosse un giubbottino catarifrangente, per segnalare la loro presenza sulle strade.
Con l'uranio che sbuca dalle mattonelle del pavimento del salotto, potrebbero fare la permanente a
tutto il pianeta.
E con le ostriche che allevano, potrebbero permettersi di far merenda tutti giorni a ostriche e
champagne.
E invece no.
Tutte queste ricchezze ce lo godiamo noi. E nelle baracche li facciamo vivere loro.
Sono soltanto due milioni. E vivono in un Paese grande quanto la Spagna e la Germania messe
insieme.
Domani in Namibia si vota per eleggere il Presidente e il Parlamento.
Sicuramente vincerà il candidato della SWAPO, dr. Hage Geingob.
Spero si ricordi che dovrà governare un Paese con soltanto due milioni di abitanti.