sull`arabo, il suo insegnamento, il suo apprendimento

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sull`arabo, il suo insegnamento, il suo apprendimento
il Prof Igor e l’arabo
«Beh, Igor, la decisione di pensionarmi non è poi tanto improvvisa. Ti dirò che ci
pensavo anche da prima di questi ultimi fatti che hanno inciso così pesantemente sulla
mia vita. Con la burocrazia che imperversa, la managerialità che è diventata l’unico
sistema di conduzione e che – a mio avviso – non si coniuga con le nostre discipline, con
le nostre lingue. Si annegano gli insegnamenti fondamentali nel mare di tanti altri
pressoché inutili a scapito di un loro serio apprendimento. Per lingue come le nostre lo
studio necessiterebbe di essere soprattutto continuativo, mirato e senza dispersioni».
Il Prof, parlando, teneva fisso il suo sguardo sulla pizza, che aveva momentaneamente
abbandonata, coltello e forchetta impugnati stretti da mani ferme appoggiate ai bordi
del tavolo. Igor lo ascoltava attento trascinandosi distrattamente sul suo piatto,
preso dalla improvvisa piega seria che aveva preso il discorso…
Il Prof continuò: «Risento più che mai delle difficoltà che vengono a ostacolare lo
studio e l’apprendimento di una lingua come l’arabo da parte degli studenti. Al solito,
come ci diciamo da almeno un paio di decenni, prima fra tutte l’obbligo della seconda
lingua orientale, spacciato come un raddoppio delle possibilità offerte dall’università.
Un crimine. Checché accampino gli ideatori sfruttatori utilitaristi vampiri del crimine.
Continuo a notare – come ho sempre notato – la sofferenza di molti studenti per
doversi disperdere in altre lingue impegnative invece che potersi concentrare sulle già
cospicue difficoltà della loro prima lingua. Come ho detto più volte, sarebbe da sentire
il parere degli stessi studenti. Al ché i cosiddetti ‘cari colleghi’ interessati obiettano:
“sarebbe come indire un referendum sulla volontà della popolazione di pagare le
tasse”. Già, analogia calzante. Solo loro sanno cosa sia davvero utile agli studenti. Ma
quello che sanno ancora meglio – ma non si dice – è cosa sia davvero utile a loro.
Comunque, senza arrivare a chiedere cosa ne pensano agli studenti, sarebbe ancor più
semplice rendere le altre lingue solo facoltative. Guai, però, a proporlo».
Igor: «Come non esser d’accordo con te, Prof. Da una ventina d’anni ci facciamo gli
stessi discorsi. Specie notando – appunto come hai sottolineato – i problemi che le
lingue extra pongono ai nostri giovani. Io ho preso da te di esser – diciamo –
magnanimo con gli studenti in sofferenza con l’arabo come seconda lingua e gli passo
esami dalle preparazioni molto discutibili che non passerei mai a uno studente
arabista. Mentre so di colleghi di altre lingue, inflessibili nel voler tener di gran conto
i loro insegnamenti anche nei confronti di studenti che li subiscono e che non ne
trarranno mai profitto. La grande balla raccontata all’inizio del primo anno alle
matricole: “Conoscerete almeno due lingue orientali, volete mettere?”, anche per me è
ai limiti del delitto. Che schifo!».
«Già. È proprio così. Una grande menzogna. Se l’opportunità fosse data come scelta
opzionale, pur fraudolentemente camuffata come di grande utilità, si potrebbe anche
ingoiare. Starebbe allo studente cercar di capirne in tempo le problematiche, magari
informato da qualcuno che gli presenta correttamente e obiettivamente i pro e i
contro di una tale scelta».
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«Certo. Lo studente informato che voglia scegliere di fare due, tre, quattro lingue
orientali… sono affari suoi. Se è bravo, tenace, e soprattutto dotato, può anche
riuscire ad andarne fuori. E – forse, molto forse, in qualche raro caso – a trar utilità
da tutte in sinergia».
«Dici bene, Igor. Soprattutto dotato. Ne abbiamo già parlato spesso. Portato per le
lingue in particolare. Dote che non è presente nel DNA dell’italiano medio. Di più. L’ho
rilevato io nei miei quasi quarant’anni d’insegnamento e sicuramente anche tu nei tuoi
circa vent’anni. Una buona percentuale di italiani, applicandosi e praticando sul luogo
lingue come l’inglese, il francese e pure il tedesco, raggiungono buone competenze. Lo
vedo in molti nostri studenti. Mentre poi, gli stessi, con l’arabo pratico, spesso notte
fonda. Buone preparazioni teorico-grammaticali, ma impacciati nell’uso spicciolo della
lingua. L’avevo scoperto sulla mia pelle quasi mezzo secolo fa, quand’ero studente del
secondo anno, la prima volta che andai per uno stage in Tunisia. Ottimo test
grammaticale d’ingresso, con conseguente naturale ammissione a un corso avanzato. E
mio rapido autodeclassamento dopo una settimana di fusione incontrollata in una
classe dov’era ammesso solo l’uso dell’arabo, come ti ho già più volte raccontato».
Igor rise: «Sì. La tua prima esperienza in terra araba, sia da corsista estivo che da
cantante chitarrista a Sidi Bu Saìd e ancora da autostoppista lungo tutto il Màgreb è
nota a quasi tutti i giovani arabisti che hanno studiato a Venezia. È una delle prime
cose che racconti all’inizio di ogni primo anno di corso per illustrare – sulla tua
esperienza – quanto può aspettarsi lo studente medio, di positivo e negativo, si tratti
di lingua o di approccio all’‘altro’».
«Tutto sulla mia esperienza infatti. Su cui mi sono fatto la mia opinione soprattutto
sulla lingua. Sbagliata? Per me no, ma per altri può essere. Colleghi arabisti – è noto –
sostengono che l’arabo è una lingua come tutte le altre. Buon per loro. Tutte le lingue
sono come le altre se vogliamo banalizzare. Ma io banalizzo ulteriormente affermando
che ciascuna lingua è differente dalle altre. Anche le Nazioni Unite sono arrivate a
fare una graduatoria sulla difficoltà delle lingue. E l’arabo appare nel gruppo delle più
ostiche col cinese, il coreano e qualche altra. E non voglio entrare nelle ulteriori
difficoltà dovute alla diglossia per cui nel mondo arabo le parlate comunemente usate
a quasi tutti i livelli son ben distanti dall’arabo standard, quasi solo scritto».
«Sì, Prof. La diversità tra la lingua scritta e le lingue parlate aggiunge altre zeppe
all’apprendimento dei nostri giovani arabisti, contribuendo a complicare le difficoltà.
Discorso lungo. O breve – rise – perché la sostanza è tutta qua, senza voler cavillare.
A quanti studenti l’abbiamo fatto in decenni. Ricordo perfettamente che lo feci alla
‘mia’ Luisa. Te la ricordi bene».
«Certo Igor. E son certo che Luisa ha fatto bene a restare negli studi giuridici.
Restando in argomento sulle difficoltà nell’imparar altre lingue leggevo l’altro giorno
uno studio sul differente l’approccio a un’altra lingua relativamente alla lingua di
partenza. Un inglese mediamente dotato ha maggiori difficoltà ad apprendere un’altra
lingua rispetto a un italiano o a un francese, sempre mediamente dotati. L’inglese è una
lingua semplice, pur con la sua ortografia e fonologia per qualcuno al limite del
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demenziale, opinione che mi trova molto d’accordo. Sarà per questo che gli inglesi sono
pigri nei confronti delle altre lingue, e sarà perché la loro lingua è diffusa a tutti i
livelli nel mondo che non ritengono di sobbarcarsi alla fatica e all’impegno di
apprenderne un’altra. Quand’ero in Omàn, in un tavolata di otto italiani e un inglese
tutti ritenevano naturale conversare in inglese. Cosa che a me dava fortemente ai
nervi, anche dato il fatto che io – a differenza di te ed Eric – con la lingua inglese son
sempre stato in conflitto, soprattutto per la sua comprensione orale. Non parliamo
dell’americano. Provocatoriamente – e naturalmente gratis – proponevo a tutti di
parlare una lingua terza. Francese. O arabo. Guardato come un marziano».
«Beh, sia io, ai miei tempi, ed Eric qualche anno fa, abbiamo avuto la fortuna di poter
fare degli stage di vari mesi in Inghilterra e negli Stati Uniti, opportunità che tu non
hai avuto».
«Altri tempi i miei. È già stato tanto – allora – avere l’ardire di affrontare con Ric, il
mio amico, sodale e collega che tu conosci, quei nostri primi viaggi alla brava nel Mondo
arabo. Spinte per andar a studiar l’inglese non ne avevamo. Non era così sentito. Alle
medie di allora si studiava ancora per lo più il francese. E nella mia scuola la seconda
lingua straniera era il tedesco!».
…
«Beh. Dall’idea del mio pensionamento siamo partiti per la tangente. Ma non credo che
tornerò su questa mia decisione. Non è per niente allettante, ma bisogna prender atto
da una parte dell’anagrafe, dall’altra delle circostanze psicologiche in cui i fatti della
vita ti conducono e, non ultimo, il rendermi conto dell’inadeguatezza dei miei metodi
d’insegnamento rispetto ai tempi attuali. Io mi sono formato sulla splendida
grammatica di Veccia Vaglieri, che dà delle notevoli basi teoriche. Ma ora alla maggior
parte dei giovani studenti arabisti non interessa più di tanto l’approfondimento della
grammatica. Vogliono la lingua viva, utile, semplificata. La lingua dei giornali ancor più
che la lingua della letteratura moderna. Quella lingua snella che non bada talmente alla
pignola precisione grammaticale e che il lettore arabo, anche di scarsa cultura, subito
recepisce. Ma che la mia deformazione di arabista datato mi fa leggere continuamente
distratto da quelle che noto, che mi sembrano, come improprietà. E che forse non lo
sono più. Non è drammatico, ma è un dato di fatto che io non posso non considerare.
Tu, Igor, in questo senso sei più aggiornato di me».
«Merito tuo Prof che, conscio di quella che chiami una tua ‘deformazione
professionale’, hai sempre dato ai tuoi studenti le giuste indicazioni per non – come
dire… – per non trovarsi ‘deformati’ pure loro».
«L’ho sempre sentito come un dovere rilevare le mie fisime e fare in modo che non vi
si invischino gli altri, se non ne hanno consapevole motivo».
Aprì un’altra bottiglia e riempì i due bicchieri. Riprese: «Ora i giovani arabisti hanno a
disposizione molti strumenti utili per imparare la lingua tanto dal punto di vista
teorico che pratico. Strumenti che mi incuriosiscono e talvolta mi attraggono, ma che
non trovo più sensato approfondire in quanto comporterebbero da parte mia un
impegno per maneggiarli ai fini dell’insegnamento non più logico alla mia età. Troppo
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breve il tempo che mi rimarrebbe per utilizzarli. Quindi, per me non ha senso che mi ci
applichi al di là della momentanea curiosità che mi muovono. Oltre al fatto di rilevare,
con rammarico, che questi strumenti, di per sé notevoli per la loro impostazione e pur
coi loro supporti audio-visivi, spesso mal si adattano all’organizzazione e alla
distribuzione dei corsi come sono usciti dalle riforme di quest’ultima decina d’anni. A
partire dalla loro triennalizzazione e alla laurea cosiddetta ‘breve’. Utile se – come si
diceva – ci si concentrasse nello studio della lingua e della sua ‘civilisation’:
letteratura, storia, geografia, religione, scienze. Ma con le dispersioni di cui si
parlava, solo pochi eletti escono con una buona preparazione. Dovuta alla
predisposizione e all’impegno personale del singolo più che alla cosiddetta enfatizzata
teorica offerta formativa».
…
Posso farti una confessione che sicuramente ti sconcerterà? E che in un certo senso
sconcerta anche me? Credo di essermi stancato dell’arabistica. Son quarant’anni che
quasi tutto della mia vita gira attorno a questi studi. Ora vorrei lasciare, almeno per
un po’, e darmi ai tanti interessi altri che ho avuto e che finora ho lasciato da parte.
Molti dei quali hanno comunque a che fare con l’arabo, ma in modo meno opprimente».
…
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