Solo lo stupore conosce - Azione Cattolica Italiana

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Solo lo stupore conosce - Azione Cattolica Italiana
Solo lo stupore conosce
«Il Signore ha rassicurato i Suoi discepoli, e tramite
loro anche noi, che sarà con noi tutti i giorni, fino
alla fine del secolo. Questo rende possibile l’incontro
con Lui, e ogni incontro con il Signore provoca lo
stupore e la conoscenza». Sua Santità Bartolomeo I,
Patriarca ecumenico di Costantinopoli, spiega e
commenta per 30Giorni la frase di Gregorio di Nissa
recentemente riproposta da monsignor Luigi
Giussani
Intervista con Bartolomeo I, Patriarca di Costantinopoli di Gianni Valente
«Non l’opera della persuasione, ma qualcosa di veramente grande è il
cristianesimo… Il nostro Dio Gesù Cristo, ora che è tornato al Padre, si manifesta di più.
Dinanzi alle persecuzioni del mondo il cristianesimo non si sostiene con le parole
dell’umana sapienza, ma con la forza di Dio». Così scriveva all’inizio del II secolo
cristiano sant’Ignazio di Antiochia, il padre della Chiesa che più degli altri testimonia
uno sguardo stupito di bambino.
La certezza della fede fiorisce dallo stupore di fronte a una presenza nella carne.
Basta guardare i Vangeli: dai pastori alla culla di Betlemme, fino agli angeli che
accolgono il Signore risorto nel suo vero corpo quando ascende al Cielo.
Oggi, in tutta la Chiesa, questo tratto distintivo della fede di chi porta il nome
cristiano sembra perduto. Tutto si concepisce e si organizza come se la certezza cristiana
fosse conseguenza di una riflessione, di un discorso persuasivo. E tutta la Chiesa, come
registrava il poeta Charles Péguy già all’inizio di questo secolo, sembra diventata
un’immensa istituzione pedagogica per insegnare agli uomini alcune verità.
In questa situazione si può trovare conforto anche volgendo lo sguardo a quei fratelli
della Chiesa ortodossa che nella fedeltà alla Tradizione hanno custodito, nelle loro
liturgie, quella percezione dell’azione sorprendente della grazia che è inizio e sorgente di
ogni passo della fede e della vita cristiana.
Per questo 30Giorni ha interpellato Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di
Costantinopoli, massima autorità della comunione delle Chiese ortodosse.
«I concetti creano gli idoli. Solo lo stupore
conosce». Vorremmo che Sua Santità spiegasse e
commentasse questa bella frase di san Gregorio
di Nissa, recentemente riproposta anche da
monsignor Luigi Giussani.
BARTOLOMEO I: Prima di dare una qualsiasi
risposta bisogna chiarire i significati, perché si
creano tanti malintesi dovuti ai duplici o molteplici
sensi delle parole. I significati della prima
proposizione di san Gregorio non hanno bisogno di
chiarimenti, perché sono usati con il senso
consueto, a eccezione della parola idoloche in
questo contesto non significa, sicuramente,
l’immagine di una qualche divinità, ma la creazione
della fantasia, la rappresentazione che contrasta con
La Natività (1192), chiesa della Panaghia
il reale, di cui costituisce una semplice immagine.
Arakiotissa, presso Lagudera, Cipro.
Sull’iconografia delle chiese di Cipro
Che cos’è però lo stupore, che cos’è l’estasi e
l’Eparchia di Piana degli Albanesi ha da
che cos’è la conoscenza? Stupore nella vita naturale
poco pubblicato lo studio di Demosthenes
Demosthenous, Affreschi bizantini di
è la riduzione della capacità visiva, provocata dalla
Cipro, con presentazione del professor
Tommaso Federici
luce eccessiva. Nella vita spirituale stupore è la
situazione analoga, provocata dal bagliore della luce
spirituale. A tale proposito leggiamo nell’Antico
Testamento: «Mosè avanzò nella nube oscura, nella quale era Dio» (Es 20, 21). Nel
Nuovo Testamento (cfr. At 9, 3) leggiamo invece che quando Saulo camminava verso
Damasco lo aveva totalmente abbagliato una luce dal cielo, che lui stesso, parlando ad
Agrippa, qualifica come più luminosa del sole (cfr. At 26, 13), tanto che, aperti i suoi
occhi, non vedeva nulla (cfr. At 9, 8). Ma anche ai pastori che vegliavano a Betlemme
durante la notte della nascita del Signore brillò la gloria di Dio (cfr. Lc 2, 9), mentre
durante la trasfigurazione del Signore sul monte Tabor il Suo volto s’illuminò come il
sole e i Suoi vestiti divennero bianchi come la luce… ed una nube luminosa ricoprì i
presenti (cfr. Mt 17, 2. 5). Infine, durante la resurrezione del Signore, le Mirofore, che si
recarono al sepolcro di buon mattino, videro un giovane vestito di una veste bianca e si
stupirono (cfr. Mc 16, 5), perché il suo aspetto era come folgore e la sua veste candida
come neve (cfr. Mt 28, 3).
Lo stupore, allora, è provocato da una diretta esperienza della celeste luce increata e
costituisce una conoscenza immediata della sua realtà, in contrasto con le idee, le
congetture ed i pensieri a riguardo di questa luce increata, che riescono a creare
unicamente rappresentazioni, idoli, e comunque creano una mera approssimazione
intellettuale e non un contatto concreto con la realtà ultramondana.
Questo stupore viene provocato anche quando la grazia divina increata interviene nel
mondo naturale e opera miracoli, anche se la presenza di questa grazia divina increata
non si manifesta sensibilmente come luce. Così ci fu stupore in tutti a motivo della
cacciata dei demoni da parte del Signore (cfr. Lc 4, 36); stupore s’impadronì di Pietro a
motivo della pesca miracolosa (cfr. Lc 5, 9); tutti si stupirono a motivo della guarigione
dell’indemoniato (cfr. Mc 1, 27); i discepoli si stupivano a causa delle parole del Signore
(cfr. Mc 10, 24); stavano salendo insieme a Lui, si stupivano ed erano pieni di timore
(cfr. Mc10, 32); le folle si riempirono di stupore ed estasi a motivo della guarigione dello
zoppo (cfr. At 3, 10); i discepoli vedendo il Signore si stupirono (cfr. Mc 9, 15), e così
via. In tutti questi casi non si tratta di una semplice ammirazione, del solo sbalordimento,
ma di una diretta concreta comunione con l’energia divina increata, che produce la
conoscenza autentica di questa realtà soprannaturale. Perché la grazia divina che
accompagna il miracolo o le parole o la presenza divina, che veramente si diffonde e
inonda totalmente i presenti, stupisce a volte sia i loro occhi naturali che quelli spirituali,
a volte soltanto quelli spirituali, naturalmente nella misura in cui essi percepiscono
l’energia divina increata e soprannaturale, perché quando l’anima è appesantita viene
ostacolata la percezione del soffio leggero della divina presenza. «La sapienza non entra
in un’anima che opera il male, né abita in un corpo schiavo del peccato» (Sap 1, 4).
Questo per quanto riguarda lo stupore. Il termine estasi ha un duplice significato
nella letteratura patristica. Esiste la cattiva estasi, sulla quale l’abate Isacco di Ninive
scrive: «Al rilassamento delle membra o dei pensieri segue un’estasi impura, mentre al
lavoro senza misura segue l’accidia, e all’accidia l’estasi. E c’è differenza da estasi a
estasi» (Omelia 55). Esiste ancora l’estasi buona, della quale san Massimo il Confessore
scrive: «Dunque, la parola buona, che è la vigna, coltivata per mezzo delle virtù, fa
nascere la conoscenza, e la conoscenza fa nascere l’estasi buona, che desta la mente
dalla relazione secondo il sentimento» (Sulla Teologia, centuria quarta, 37, in
Nicodemo Aghiorita, Filocalia dei santi Padri Nittici, vol. II, p. 115). L’estasi buona,
che alcune volte si chiama stupore, costituisce un cambiamento spirituale, operato dalla
grazia divina increata, in conseguenza della quale l’uomo partecipa a una situazione di
diretta comunione con questa grazia. Questa situazione non ha nessuna relazione con le
altre situazioni estatiche che vengono provocate artificiosamente con metodi naturali o
demoniaci, perseguite da alcuni uomini, che le confondono con l’autentica e pura estasi
cristiana. Però lo sviluppo completo di questo argomento richiede tanto tempo e tanta
pazienza e soprattutto tanta esperienza, perché entriamo in un campo dove è in agguato il
pericolo del malinteso, e per la cui giusta comprensione solitamente non esistono
espressioni acquisite. Perciò valgono anche in questo caso le parole di san Gregorio che
stiamo commentando, secondo cui le idee, i pensieri, le riflessioni sull’argomento creano
gli idoli, cioè immagini di fantasia e non una conoscenza vera. Ricordiamo la chiara
parola dell’abate Isacco di Ninive: «Non è di tutti questo discernimento, ma di coloro
che sono nati per essere spettatori e ministri di questa cosa» (Omelia 32). Teniamo
presente soltanto la conclusione di questa introduzione fondamentale, ossia il fatto che
chi si trova nell’estasi buona si è mentalmente allontanato dalla relazione con gli esseri
secondo il sentimento e vive le loro vere parole e le loro vere relazioni e così acquisisce
l’unica vera conoscenza di essi. Potremmo dire che supera la relatività derivante dalla
relazione secondo il sentimento tra l’osservatore e il fenomeno osservato e vede le cose
come le vede Dio, cioè secondo l’unico modo che dà conoscenza vera e non relativa. È
però tempo di dire alcune poche cose circa la conoscenza, per capire perché san
Gregorio dica che soltanto lo stupore, l’estasi conosce, anche se abbiamo già toccato
l’argomento.
La questione della conoscenza vera e del modo di acquisirla ha certamente molto
interessato la letteratura sia profana che ecclesiastica. Basti sottolineare che nell’indice
della Filocalia dei santi Padri Nittici, in cinque volumi, la parola “conoscenza” occupa
14 colonne (sette pagine). Come, dunque, l’estasi, così anche la conoscenza viene
affrontata a volte come male («la conoscenza gonfia», 1 Cor 8, 2; «ma dell’albero della
conoscenza del bene e del male non devi mangiare», Gn 2, 17), a volte come bene
(«conoscerete la verità e la verità vi farà liberi», Gv 8, 32; «mettete ogni impegno per
aggiungere alla vostra fede la virtù, alla virtù la conoscenza», 2 Pt 1, 5, ecc.).
La conoscenza naturale, che ha come oggetto «lo studio della sapienza logica, che è
adatta al governo di questo mondo» (abate Isacco di Ninive, Omelia 63) si chiama
“conoscenza spoglia” ed è considerata superficiale, corruttibile e poco utile. «In questa
conoscenza è piantato l’albero della conoscenza del bene e del male, che sradica
l’amore… e questa è orgoglio e superbia perché attribuisce ogni cosa buona a sé e non a
Dio» (abate Isacco di Ninive, loco citato). Al contrario, «la conoscenza della verità
perfeziona, in umiltà, l’anima di quelli che l’acquisiscono» (abate Isacco di Ninive, loco
citato). Questa conoscenza della verità non è una semplice comprensione intellettuale di
alcune conclusioni che definiscono la verità. È una partecipazione ed esperienza del
bene, vissuta nello stupore e nell’estasi buona. In modo analogo anche la conoscenza del
male non è la comprensione teorica di che cosa sia il male, ma la partecipazione e
l’esperienza vissuta di esso. Per questo anche il comandamento di Dio proibì ai
progenitori di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, poiché in
questo caso conoscere il male significava compierlo, con la conseguente negazione del
bene e la morte spirituale. Per la migliore comprensione della conoscenza vera del bene
e del male, l’unica che avviene non in maniera confusa, come in uno specchio, valgano
le parole dell’Antico Testamento, secondo cui Adamo conobbe Eva sua moglie non
quando la vide con i suoi occhi e l’identificò o le diede il nome e la distinse da ogni altro
essere, ma soltanto quando si unì a lei ed acquistò una diretta esperienza della sua
esistenza, come anche le parole dell’apostolo san Paolo ci dicono: «Ora conosco in
modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (1
Cor 13, 12).
Con tutto ciò diventa chiaro quel che dice san Gregorio di Nissa: attraverso i
pensieri, i ragionamenti e le idee non è possibile acquisire una conoscenza reale. Questa
invece si acquisisce soltanto attraverso lo stupore e l’estasi buona che è provocata dalla
presenza dell’energia divina increata, come partecipazione ed esperienza della verità;
anzi dice una cosa più sostanziale, cioè che soltanto lo stupore e l’estasi buona
conoscono, o, in altre parole, soltanto lo stupore e l’estasi buona costituiscono la vera
conoscenza.
I primi a essere sorpresi furono dei semplici
pastori. Non se lo aspettavano. Non era gente che per
mestiere si occupava di cose della religione.
BARTOLOMEO I: La sensibilità autentica nelle
questioni religiose non si trova sempre in proporzione
diretta con l’essere sistematicamente occupati in queste
cose. Potremmo dire che la sensibilità di fronte a Dio è un
atteggiamento interiore, per il quale l’anima e tutto
l’uomo ricercano la comunione personale con il Divino,
spesso silenziosamente e spesso dentro una apparente
opposizione contro tale ricerca o addirittura contro la
stessa fede in Dio. La sensibilità ostentata verso i
problemi religiosi potrebbe nascondere un
comportamento egocentrico, per cui la religione è
utilizzata per la salvaguardia dell’ego da qualche pericolo
San Pietro, particolare dell’entrata
incombente, come il pericolo dell’incertezza per
a Gerusalemme (inizi dell’XI
secolo), chiesa di San Nicola del
l’esistenza o anche il pericolo della morte, cioè della
Tetto, presso Kakopetria, Cipro
certezza della perdita dell’esistenza. Questo
comportamento egocentrico non implica interesse per il
Divino, per la comunione con Esso, non implica amore ed affezione verso il Divino TU,
ma autismo spirituale, interesse esclusivo per l’ego, di cui Dio è chiamato a diventare
servitore e salvatore sottomesso alla volontà del soggetto umano. Di conseguenza, in
queste persone “sensibili ai problemi religiosi”, ma che si pongono davanti a tutto solo in
modo egocentrico, non esiste possibilità di scoperta di qualche altro TU, anche se questo
TU è Dio, perché sono chiuse, completamente chiuse verso ogni TU. Certamente, allora,
non esiste neanche la possibilità dello stupore, perché lo stupore, come abbiamo detto
prima, è conseguenza della manifestazione dell’energia increata del supremo TU verso
una persona aperta all’amore gratuito, aperta cioè al gesto di un’esistenza verso un’altra
esistenza imprevedibile e non dettato da fattori antecedenti. Dio, che scruta i reni e i
cuori, conosce il profondo dell’anima, perché «un orecchio geloso ascolta ogni cosa,
perfino il sussurro delle mormorazioni non gli resta segreto» (Sap 1, 10) e così si rivela a
quelli che sinceramente, anche se alcune volte inconsciamente, lo ricercano e non a
quelli che attraverso l’occupazione religiosa ricercano se stessi, «poiché i ragionamenti
tortuosi allontanano da Dio» (Sap 1, 3). Non esiste pensiero più perverso e illusione più
grande che voler sembrare qualcuno che cerca Dio, mentre in verità si cerca
l’affermazione di se stessi, del proprio ego.
È chiaro, dunque, che nel profondo dell’anima dei pastori che vegliavano nella
campagna esistesse quella pura e diretta e sincera e gratuita ricerca di Dio, che permise
la loro comunione con il supremo TU. La santa Scrittura e la Chiesa raccomandano
continuamente questo volgersi non presupposto verso Dio e soltanto questo volgersi
senza precondizioni implica la possibilità dello stupore e dell’estasi, cioè della diretta
partecipazione nell’esperienza delle divine energie increate. «Rettamente pensate del
Signore, cercatelo con cuore semplice. Egli infatti si lascia trovare da quanti non lo
tentano, si mostra a coloro che non ricusano di credere in lui… Il santo spirito che
ammaestra rifugge dalla finzione, se ne sta lontano dai discorsi insensati» (Sap 1, 1-2.
5).
Tutti gli incontri con Gesù, dall’inizio alla fine, sono segnati dallo stupore
davanti alla Sua presenza eccezionale. I pastori sono i primi a rimanere stupiti. Poi
tocca agli apostoli. Infine, le preghiere delle liturgie orientali narrano che anche gli
angeli rimasero stupiti quando all’Ascensione videro tornare in Cielo il Verbo
incarnato. Cosa destò il loro stupore?
BARTOLOMEO I: Abbiamo già risposto che il loro stupore non è suscitato dal loro
essere impressionati, come succede nelle solite occasioni di meraviglia per qualche cosa
bella o eccezionale o straordinaria o maestosa e in genere impressionante, ma dalla
presenza della divina energia increata, che scaturisce dal volto del Signore e si diffonde
secondo la potenza delle opere compiute da Dio.
Questo è, secondo i termini propri della Sacra Scrittura, il caso autentico dello
stupore. Ma certamente talvolta il termine viene usato anche per indicare l’intensissima
meraviglia che provoca sorpresa analoga all’autentico stupore. Questo è il caso di alcuni
inni ecclesiastici, come quelli che lei ha riferito. In verità è implicata anche in questi casi
la presenza di Dio, l’energia increata del Quale provoca lo stupore, ma l’innografo
incentra la nostra attenzione sul meravigliosissimo fatto compiuto, piuttosto che sulla
Divinità che opera, esattamente perché vuole mostrarci quanto inattesa sia l’energia
divina.
Così per esempio nei tropari del vespro del Giovedì dell’Ascensione ascoltiamo:
– Il Signore è asceso nei cieli… gli angeli si meravigliano, vedendo un uomo sopra
di loro.
– Signore per la Tua Ascensione sono stupiti i cherubini.
– Oggi sul monte degli Ulivi sei asceso in gloria e nella partecipazione alla nostra
natura decaduta l’hai elevata intronizzandola accanto al Padre.
– Dunque gli eserciti degli incorporei celesti, stupefatti dal miracolo, si stupivano.
– Quando sei arrivato sul monte degli Ulivi, o Cristo, per completare il
compiacimento del Padre, si stupivano gli angeli celesti.
– Allora angeli stupiti… gridavano ai discepoli.
– Il coro degli angeli si rallegrava con gioia.
Nello stesso modo anche tanti dei tropari del mattutino concentrano la nostra
attenzione nel fatto meraviglioso dell’Ascensione del Signore nella carne umana verso i
cieli. Così:
– Meravigliandosi gli angeli per lo straordinario evento dell’ascesa… le forze dei
cieli si meravigliano gridando.
– Oggi nei cieli le forze celesti vedendo la nostra natura, si meravigliano per lo
straordinario modo dell’ascesa.
– I cori degli angeli si stupivano vedendo nella carne Cristo, il Mediatore tra Dio e
gli uomini.
– Le schiere degli angeli, o Salvatore… stupendosi inneggiavano a te.
– Si stupivano i cori degli angeli.
– Sono stupefatti gli eserciti degli angeli.
– Gli angeli esultano.
Quando Dio agisce, tutti si sorprendono e si stupiscono. Anzi, è meglio dire che
quando siamo in posizione di comprendere le opere di Dio tutti ci sorprendiamo e ci
stupiamo, perché Dio opera continuamente, ma noi non ci allontaniamo dalle relazioni
secondo il sentimento, per usare la terminologia di san Massimo, in modo da vedere
queste meravigliose opere di Dio e avvertire la sua energia increata – la grazia divina –
direttamente e sensibilmente, come specialmente san Simeone il Nuovo Teologo crede
molto fortemente necessario, e così ci priviamo dello stupore e della conoscenza che
proviene da esso. Non entriamo nella nube della luce intensa e non abbiamo più sete
della pienezza vera delle acque spirituali e così ostacoliamo la grazia divina
dall’adombrarci sensibilmente, in modo da acquistare la conoscenza diretta, di cui san
Gregorio, quando riferisce lo stupore come la sola fonte della vera conoscenza, parla nel
passo citato nella sua prima domanda.
Sono appropriate in merito le parole di san Simeone il Nuovo Teologo:
Non vogliono chiedere di Te, ma credono di averTi,
e se confessano di non averTi, Dio mio,
allora Ti proclamano a tutti come totalmente impossibile a riceversi…
se ad essi Tu non fai brillare la Tua luce affinché possano conoscerTi, come
potrebbero credere che chiaramente appari a quelli che sono degni…
a quelli infatti che Ti negano e dicono che non brilla la Tua luce eterna nelle anime
dei degni,
come mostrerai la luce del Tuo volto, o mio Salvatore?
Lo stupore, allora, è provocato dalla presenza visibile dell’energia increata di Dio
nelle anime che vogliono ricevere questa rivelazione.
C’è un Padre della Chiesa, Ireneo, secondo cui tutta la vita cristiana consiste nel
rimanere per grazia nello stupore dell’inizio. Lo stupore dei pastori davanti alla
culla di Gesù. In che modo potrebbe aiutare i cristiani di oggi un “ritorno a
Ireneo”?
BARTOLOMEO I: Infatti Ireneo ci aiuta ad abbandonare l’eccessivo intellettualismo
e cerebralità e a vivere con tutta l’esistenza l’incarnazione del Verbo di Dio. Questa cosa
può essere raggiunta solo nello Spirito Santo, cioè con l’entrata nella sfera spirituale ove
lo Spirito Santo non è una parola vuota, un’idea, un pensiero o un ragionamento, ma
un’entità personale con cui ci troviamo in comunione personale, che provoca in noi
stupore. Lo stesso Ireneo, che lei ha citato, dice in merito le seguenti cose: «Sappi che
ogni uomo o è vuoto o è pieno. Perché se non ha lo Spirito Santo, non ha conoscenza del
suo Creatore, non accetta la vita, Gesù Cristo, non ha visto il Padre che è nei cieli; se non
vive secondo la parola, secondo la legge celeste, non è sapiente, non agisce giustamente;
quest’uomo è vuoto. Ma se ha ricevuto Dio, che ha detto “abiterò in loro e camminerò
insieme a loro e sarò per loro Dio”, quest’uomo non è vuoto, ma pieno» (Biblioteca dei
Padri greci, p. 179, vers. 25).
E in un altro passo sottolinea: «Poiché senza lo Spirito di Dio non possiamo essere
salvati, l’apostolo, nell’esortarci a conservare lo Spirito di Dio, tramite la fede e la
conversione sincera, in modo che, non diventandone privi, non perdiamo il regno dei
cieli, ha gridato che non è possibile per la carne, in se stessa, ereditare nel sangue il
regno di Dio» (Biblioteca dei Padri greci, p. 163, vers. 77). E chiarisce, per non stare a
citare altri versetti, che il Logos incarnato trasforma e rende incorrotta anche la carne
umana mortale (cfr. vers. 78, 81) e che la comunione con Dio è vita e luce, e la
separazione da Lui è morte e tenebra (cfr. vers. 87). Questi fatti non devono essere
semplicemente compresi, ma devono essere vissuti realmente, dentro lo stupore e la
sorpresa per l’inabitazione in noi della presenza divina, non semplicemente dentro la
meraviglia psicologica o sentimentale, che è provocata dalla comprensione intellettuale
di un fatto difficilmente comprensibile.
Allora, concludendo la risposta, ripetiamo che lo stupore davanti alla culla di
Betlemme, davanti al sepolcro vuoto, davanti alla carne assunta del Signore, non è
provocato principalmente dall’evento, ma dalla presenza visibile di chi realizza questo
evento, che naturalmente a loro volta i puri di cuore riconoscono.
In che modo il Signore custodisce per la Sua Chiesa la possibilità del rinnovarsi
perenne di questo stupore?
BARTOLOMEO I: Il Signore ha rassicurato i Suoi discepoli, e tramite loro anche
noi, che sarà con noi tutti i giorni, fino alla fine del secolo (cfr. Mt 28, 20). Questo rende
possibile l’incontro con Lui, e ogni incontro con il Signore provoca lo stupore e la
conoscenza. È però possibile che qualcuno si sbagli scambiando un incontro qualsiasi
come incontro con il Signore e uno stupore qualunque come fosse uno stupore
proveniente dalla presenza di Dio, e abbiamo tanti di questi casi e precisamente interi
gruppi di cristiani che si sbagliano in merito, e perciò sono necessarie attenzione e
distinzione.
In merito abbiamo già altre volte continuamente sottolineato che secondo la fede e il
vissuto della Chiesa ortodossa orientale, l’esperienza dell’incontro divino si trasmette, o,
in altre parole, si consegna di generazione in generazione. La tradizione non si
comprende come una continuazione di usanze, costumi, modi ed insegnamenti ma come
trasmissione di vivo vissuto, come viva consegna dell’esperienza di quelli che sono stati
testimoni oculari del Logos, innesto delle generazioni che succedono le une alle altre in
quel primo palpito della vita manifestata «che era presso il Padre e si è resa visibile a
noi» (1 Gv1, 2).
Il vissuto di quel primo avvenimento come un evento che si ripete continuamente
nella Chiesa e nella vita personale del fedele, ma anche contemporaneamente
l’esperienza nel presente delle realtà escatologiche, si compie principalmente nella
divina liturgia. Durante la frazione del pane il Signore è riconosciuto (cfr. Lc 24, 35),
sono vissute tutte le cose che ha fatto sin dall’inizio, è vissuto l’avvenimento che si è
manifestato sulla terra ed ha frequentato gli uomini, per farci simili all’immagine della
Sua gloria, e da questo vissuto oltre il tempo scaturisce lo stupore che provoca il
ringraziamento ed il rendimento di gloria.
Vivendo la Chiesa ortodossa questo carattere di ringraziamento e di lode della divina
liturgia, essa è celebrata con tutta la possibile solennità e con la partecipazione di tutto
l’uomo, del corpo e dell’anima.
La divina liturgia è la suprema azione della Chiesa, è il suo vissuto supremo.
Cominciamo benedicendo il Regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e già da
questo momento della prima benedizione, malgrado stiamo ancora sulla terra, siamo
elevati ed introdotti nel Regno sopraceleste della santa e benedetta Trinità che governa
sia la terra che i cieli. E per usare di nuovo la terminologia di san Massimo, siamo usciti
dalla relazione secondo il sentimento e ci troviamo in una relazione soprasensibile. Il
mondo sensibile è attorno a noi, è ancora sensibile, ma non è esso a determinare la nostra
conoscenza. Perché il mondo sensibile è entrato dentro il soprasensibile, l’unità del
visibile con l’invisibile e del sensibile col soprasensibile è stata ristabilita, quello che è
soprasensibile è ormai sensibile anche esso, noi tocchiamo i cieli e tutto ciò che è in essi
e i cieli con le forze celesti discendono sulla terra e ci toccano. Ora le forze dei cieli
insieme a noi invisibilmente rendono gloria e noi, mettendo da parte ogni affanno della
vita, ed elevandoci al di sopra della relazione secondo il sentimento accogliamo il Re di
tutte le cose, fra grande stupore sia da parte degli angeli per la discesa di Dio che da
parte nostra per l’ascesa dell’uomo, che viene operata dall’Agnello immolato, egli stesso
Dio e Logos, che è disceso e si è incarnato rendendosi presente fra di noi invisibilmente
nello Spirito e visibilmente nel Suo corpo e nel Suo sangue; che poi è asceso e ha fatto
ascendere insieme con Lui anche l’uomo, divinizzandolo.
La presenza di Dio non è ideale, non è invenzione, non è pensiero intellettuale, non è
immagine e idolo, è evento esistenziale, realtà ontologica più certa della relazione
secondo il sentimento, che partecipa del sentimento, ma lo supera, confessata e allo
stesso tempo ineffabile, che attraversa «il collegamento delle nostre membra, tutte le
giunture, i reni, il cuore». Questa presenza di Dio rende possibile l’incontro ripetuto con
Lui, il rinnovarsi infinito nello stupore della comunione divina, come lo definite nella
vostra domanda.
Lo stupore come conseguenza della diretta conoscenza della presenza di Dio, la
diretta conoscenza, come causa dello stupore, l’amore divino e l’incontro con quelli che
desiderano Cristo, è un vissuto che è continuamente desiderato e continuamente si
compie nella Chiesa, e perciò non esiste sazietà, per quanto riguarda la celebrazione
della divina liturgia e la partecipazione alla divina eucaristia.
Disse una volta Albino Luciani, che poi
divenne papa col nome di Giovanni Paolo I: «Il
vero dramma della Chiesa che ama definirsi
moderna è il tentativo di correggere lo stupore
dell’evento di Cristo con delle regole».
BARTOLOMEO I: Si sta compiendo di fatto
oggi la secolarizzazione cominciata già da secoli
nelle Chiese cristiane, vale a dire la dedivinizzazione, in altre parole l’umanizzazione del
Dio-Uomo, una rinascita dell’arianesimo inconscia
in molti. In conseguenza di questo non si dà
l’importanza dovuta all’incontro con la persona di
Cristo, ma piuttosto alla conservazione di
insegnamenti e canoni di comportamento morale,
che sono in gran parte precetti umani, sorti da una
comprensione intellettuale dell’annuncio
L’Ascensione (XIV secolo), chiesa della
evangelico molte volte con tanti malintesi, e non
Santa Croce, a Pelendri, Cipro
da una viva comunione faccia a faccia con Cristo.
Cristo è considerato ormai da tanti non necessario
ossia non l’unico e l’insostituibile, la Sua parola «Io sono la via, la verità, la vita;
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6) è dimenticata e trascurata,
vengono edificate diverse chiese cristiane senza Cristo, cioè in fine tutto è svilito in un
antropocentrismo senza uscita, dentro cui l’anima dell’uomo soffoca.
L’entusiasmo, l’amore divino, l’incontro, lo stupore, la sorpresa sono messi da parte,
e piuttosto considerati prodotti di situazioni psicopatiche, è prevalsa la tirannide della
logica (logocrazia), ed il luogo in cui fuggono ormai quanti soffocano all’interno
dell’arido e soffocante dominio della logica (logocrazia) sono le religioni orientali, le
religioni misteriche, la magia e cose simili, che non offrono esperienze di salvezza, ma
piuttosto esperienze catastrofiche, crudeltà, disumanità e prigionia interiore.
Questa situazione deriva da una lunga strada, con continue deviazioni dalla
originaria vita pura e genuina della Chiesa. Al punto di partenza di questo cammino si
trova la prima deviazione, con cui si è perso di mira lo scopo che è soltanto e solamente
Cristo. Dal momento che si sono frapposti, e dove si sono frapposti, intenti di dominio
mondano, scopi di potere, cioè scopi antropocentrici, si è perso dall’orizzonte Cristo, che
è Colui al Quale va rivolto il desiderio e l’amore e così è diventato non desiderabile, e di
conseguenza non raggiungibile l’incontro con Lui, e lo stupore che deriva da questo
incontro, solo per mezzo del quale si conosce direttamente e veramente Cristo. Qualche
volta è restata una ricerca sentimentale di emozioni, cioè qualcosa che ha la sua nascita
nell’uomo e costituisce semplicemente un surrogato del vero stupore.
La vita esiste realmente soltanto quando l’incontro personale è possibile. L’uomo
che non può incontrarsi in una cordiale relazione personale, amichevole e nell’amore con
Cristo è già morto spiritualmente, pur portando un corpo che si muove con uno spirito
privo di forza vitale. La nostra vita è Cristo e soltanto tramite Cristo ed in Cristo è tutto
benedetto e goduto con piacere. Quando Cristo, la nostra vita, si manifesta in noi e viene
ad abitare dentro di noi e viviamo in Lui e per Lui, solo allora siamo pieni di vita e di
pace e di gioia e di rallegramento e di stupore e di sorpresa e di conoscenza diretta e
reale. E non soltanto questo. Siamo pieni di grazia, siamo santificati, irradiamo la grazia,
illuminiamo e attiriamo, non tramite noi stessi, ma tramite la grazia divina che è in noi.
Ciò che è richiesto, allora, è la grazia divina, senza cui non possiamo fare niente.
Tuttavia una certa parte dei cristiani, piuttosto grande, ha negato la qualità della
grazia divina come energia increata del Dio Trino e la considera creata. Ma l’energia
creata, per quanto sia grande, non porta in comunione diretta con la Divinità increata, da
cui viene lo stupore, e così si proclama Dio come «totalmente irraggiungibile» secondo
l’espressione di san Simeone il Nuovo Teologo prima riferita. Questo riporta l’uomo
nella sua solitudine prima di Cristo, cioè in una vita nella quale l’incarnazione di Cristo,
che ci libera dalle catene della corruzione, non opera efficacemente, in quanto l’uomo
nega la sua divinizzazione in Cristo, la sua trasformazione ontologica secondo la grazia,
rimanendo escluso dalla vita eterna, che consiste nella conoscenza di Dio («Questa è la
vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù
Cristo»,Gv 17, 3), intendendosi con questo la conoscenza diretta e concreta e non quella
dovuta alla costruzione con idee e invenzioni di idoli e immagini intellettuali della
divinità.
Esempio caratteristico della deviazione dalla strada corretta della immediatezza
empirica della nostra trasformazione ontologica in Cristo è grosso modo la riduzione
della vita spirituale a regole. Così ascoltiamo fare riferimento, ed alcune volte siamo
trascinati e parliamo anche noi della validità dei sacramenti, cioè applichiamo categorie
del pensiero e della scienza giuridica a una questione di vita, alla quale si addice la
terminologia ontologica capace di esprimere la trasformazione che avviene nel mondo
reale e non sul piano ideale delle relazioni giuridiche. I sacramenti, dunque, per
precisione non si giudicano come validi o invalidi, ma come esistenti o inesistenti o, in
altre parole, come efficaci o inefficaci, e questo si verifica non sulla base di
ragionamenti e supposizioni, ma sulla base dei loro risultati sensibili, come si misura
l’efficacia di una medicina per il ristabilimento della salute sulla base dell’osservazione
e dell’esperienza derivante e non sulla base di disposizioni di regolamento. Se avessimo
conservato viva la nostra comunione con lo Spirito Santo, con la grazia e l’energia
divina increata, ci sentiremmo ogni volta come se avessimo ricevuto lo Spirito Santo, e
potessimo sperimentalmente rispondere alla domanda «Avete ricevuto lo Spirito Santo?»
(At 19, 2), mentre noi ormai discutiamo teoricamente sul fatto che, se concorrono i
presupposti a), b) e c), il sacramento è valido e abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, senza
però avvertirlo operare dentro di noi.
Certamente ci serve in merito attenzione particolare, a cui l’apostolo esorta dicendo
«mettete alla prova le ispirazioni» (1 Gv 4, 1), in vista anche dell’illusione dominante in
alcuni ampi gruppi di cristiani, che considerano come energie dello Spirito Santo
diverse grazie spirituali, che non sono provocate in verità dallo Spirito Santo. Ma tutto
ciò non significa che questo pericolo d’illusione deve impedirci di esprimere e di
ricercare la verità in merito. Colui che è capace di discernere, lo “spirituale”, secondo la
terminologia dell’apostolo Paolo, interroga tutto (cfr. 1 Cor 2, 15) e specialmente in
base alla sua diretta esperienza, come l’assaggiatore di cibi, e non sulla base di pensieri
giuridici. La vita della Chiesa e la vita del fedele in Cristo è vissuta sul piano ontologico
e non giuridico.
Lo stupore è l’unica cosa che non si può imporre. Forse per questo le strategie
ecclesiastiche preferiscono occultare la gratuità di questo inizio, e puntare su
altro…
BARTOLOMEO I: Lo Spirito soffia dove vuole (cfr. Gv 3, 8) e di conseguenza
nessuno può costringere Dio a manifestarsi. I santi pregano e continuano a chiedere di
poter afferrare, in quanto anche essi sono già stati afferrati da Cristo (cfr. Fil 3, 12), che,
come confessa sulla base della propria esperienza san Simeone il Nuovo Teologo,
«vedendo il mio desiderio mi osservava con discrezione, e io vedendolo – come ho detto
prima – lo inseguivo con vigore» con il risultato che «è stato lui, allora, ascoltatemi, a
trovarmi, venendomi incontro; da dove, e come è venuto non lo so» (san Simeone il
Nuovo Teologo, Inno 29, col. 115-118, 135-138). Questa manifestazione ed incontro è
da una parte una corrispondenza a un desiderio intimo e anche esplicito, ma non è
determinato, non è controllato, non è imposto a Dio dall’uomo, benché quanti sono
degni «a seconda dell’amore e dell’osservanza dei comandamenti, illuminati vedono e
sono iniziati alla profondità divina dei segreti misteri» come dice lo stesso santo (op. cit.,
col. 212-216).
I risultati dell’apparizione divina, cioè della rivelazione dell’energia divina increata
all’uomo, la gioia, la sorpresa, la luce, la pace, la visione, in una parola lo stupore, non
sono provocati dalla volontà umana, e se si tenterà ciò, il risultato sarà l’illusione.
Tuttavia tutta la vita cristiana ha per scopo una e una sola ricerca: la comunione tramite
lo Spirito Santo con la persona di Cristo, mediante il quale si conosce anche il Padre,
cioè l’incontro che provoca stupore. Tutti i comandamenti hanno come scopo la
preparazione per l’accoglienza di questo grande e splendido incontro, che malgrado la
preparazione non cessa di essere dono e solamente dono di Dio verso l’uomo
predisposto. Ma il lavoro spirituale di questa preparazione è talvolta invisibile, e le cose
apparenti, secondo l’imperfetto giudizio umano, è possibile che guidino ad un risultato
negativo, e perciò Dio dice che si rivela a quelli che non lo cercano. Tutto ciò certamente
è perfetto. Ma poiché gli uomini non sono perfetti, il Signore non si è rifiutato di
scendere fino al livello dell’uomo decaduto e di cominciare a predicare la conversione ai
peccatori, quando noi eravamo ancora peccatori; e neanche l’Apostolo ha esitato a farsi
tutto a tutti per salvare così alcuni e dissetare i principianti di latte e non di cibo solido.
In conseguenza anche la Chiesa accoglie ogni fedele nella situazione in cui si trova e
tenta di promuoverlo a un gradino superiore, usando la predicazione e, dopo il primo
catechismo ed il suo battesimo, la grazia divina, che tramite i sacramenti agisce in tutta
l’esistenza dell’uomo, misteriosamente ma sensibilmente. La Chiesa, dunque, accoglie
tutti nella situazione in cui si trovano ed offre ad ognuno il cibo adatto fino a che tutti
giungiamo allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di
Cristo. Perciò anche il Vangelo è pieno di comandamenti pratici, dalla cui osservanza
comincia l’amore verso Dio e la ricerca di Dio, alla quale viene come risposta la
manifestazione della grazia ed energia increata di Dio all’uomo che ne è degno, cosa che
provoca lo stupore. L’amore del Signore verso i peccatori è consegnato e trasmesso alla
Sua Chiesa.
La fede ridotta a ideologia ha generato guerre di religione per l’egemonia. Ad
esempio, nel nome di Dio, le Chiese d’Oriente subirono i saccheggi dei crociati
d’Occidente. Tra i tesori di queste razzie c’erano anche molte reliquie di santi
apostoli e martiri, che ora sono sparse in molte chiese d’Europa. Nel segno del
perdono, in vista del Giubileo, ritiene sia auspicabile una restituzione di queste
reliquie alle Chiese d’Oriente da parte della Chiesa cattolica?
BARTOLOMEO I: Certamente è auspicabile ed opera di giustizia la restituzione
delle sacre reliquie alle Chiese da cui sono state portate via. Crediamo che questa cosa
sarà gradita anche ai santi, le cui reliquie sono state asportate senza il consenso della
Chiesa locale che con pietà le custodiva.