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L’esigenza di una tutela giuridica del paesaggio è emersa per la prima volta nell’ordinamento
giuridico nazionale in occasione dell’approvazione della legge 16 luglio 1905 n. 411 riguardante la
conservazione delle pinete di Ravenna. La legge tuttavia non sottendeva concetti di tutela del
territorio né tanto meno criteri di integrità ambientale, limitandosi all’applicazione dei valori estetici
e culturali fino ad allora maturati nell’ambito della tutela dei monumenti.
Successivamente, sull’esempio della c.d. Legge Briand, Organisant la protection des sites et
monuments naturels de caractère artistique”, emanata in Francia nel 1906, fu promulgata nel 1907
la legge 364 sulle …antichità e le belle arti.
La legge 11 giugno 1922, n. 778 (legge Croce), seppure ancora priva di efficacia come
strumento di tutela paesistica, segnò un’importante fase nell’evoluzione normativa sulla tutela
“delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico”. Fondamentale
l’introduzione di un concetto che sarà caposaldo della successiva evoluzione della tutela,
l’equiparazione tra bene artistico (divenuto poi bene culturale) e le bellezze naturali (oggi beni
ambientali).
Il 29 giugno 1939 con la legge n. 1497 fu promulgata la prima fondamentale norma
“paesistica”, di “Protezione delle bellezze naturali”, con la quale si sancì definitivamente
l’equiparazione tra le bellezze naturali ed il patrimonio storico-artistico.
La grande valenza della legge del ‘39 è costituita dall’introduzione del principio vincolistico di
tutela per determinate bellezze naturali e dall’introduzione della pianificazione paesistica come
strumento attuativo della tutela sul territorio.
Fondamentale, per la comprensione della portata della legge, è l’introduzione del richiamo
all’interesse pubblico (la legge 778 del ’22 esauriva la tutela nell’interesse individuale del singolo
bene), stabilendo anche l’obbligo per i proprietari di beni situati all’interno delle aree vincolate, di
presentare preventivamente al Soprintendente competente per territorio, i progetti delle opere da
realizzare (art. 7), e con la previsione di una sanzione in caso di mancato rispetto di questo obbligo
(art. 15). Il dispositivo di questa legge è transitato interamente prima nel “Testo Unico” (D. Lgs 29
ottobre 1999 n. 490) e poi nel “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” (D. Lgs 22 gennaio
2004 n. 42 e successive modificazioni e integrazioni).
Con la delega della tutela paesaggistica alle regioni, avvenuta con il D.P.R. 616/77 le regioni,
peraltro di recente istituzione, si trovarono in difficoltà a gestire la materia paesaggistica, tanto che
in molti casi subdelegarono la competenza ai Comuni; questa prassi determinò il verificarsi di
“abusi edilizi” in quelle zone che, pur di grande interesse paesaggistico, non erano state
interessate dai vincoli previsti della legge 1497/39. Inoltre, nonostante la legge 1497/39 lo
prevedesse, erano stati pochissimi i piani paesistici ad essere redatti sul territorio nazionale.
Il 21 settembre 1984 il Ministero emanò il “Decreto Galasso”, convertito successivamente
nella legge 8 agosto 1985, n. 431, che istituì il vincolo di tutela su tutto il territorio nazionale avente
particolari caratteristiche naturali e dispose inoltre “la redazione di piani paesistici o di piani
urbanistico-territoriale” per la gestione e valorizzazione degli ambiti tutelati ai sensi della legge
1497/39. Successivamente, con il decreto 28 marzo 1985 veniva inibita qualsiasi attività in attesa
della redazione ed adozione dei Piani Paesistici (art. 1 quinquies).
Alcuni dei principi fondamentali introdotti dalla legge 431/85, rappresentano ancora oggi i
cardini dell’attività di tutela dei beni paesaggistici. Le aree sottoposte a tutela si allargano
notevolmente per effetto dell’individuazione dei vincoli “ope legis”. Inoltre i comuni e le regioni (in
attuazione dell’art. 82 del D.P.R. 616/77) pur mantenendo le loro prerogative in ambito di
autorizzazioni paesaggistiche (legate all’art. 7 della legge 1497/39) e all’applicazione delle sanzioni
(ex art. 15 della Legge 1497/39) sono obbligati dalla legge 431/85 a sottoporre all’esame delle
Soprintendenze le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate (e quindi i relativi progetti) per la verifica
della legittimità del rilascio dell’autorizzazione stessa. La norma prevedeva la possibilità da parte
del Ministro di annullare l’autorizzazione entro il termine perentorio di 45 giorni.
Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Firenze
(con esclusione della città, per le competenze sui beni storici, artistici ed etnoantropologici), Pistoia e Prato
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Le categorie di beni che la Legge 431/85 (art. 1) sottoponeva a tutela (oggi tutelati dall’art.
142 del D. Lgs 42/2004) sono i seguenti:
a) i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia,
anche per i territori elevati sul mare;
b) i territori contermini ai laghi compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di
battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
c) i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni
di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con Regio Decreto11 dicembre 1933 n. 1775, e
le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
d) le montagne per la parte eccedente i 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e
1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
e) i ghiacciai e i circhi glaciali;
f) i parchi e le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli
sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall'art. 2 commi 2 e 6, del decreto legislativo
18 maggio 2001, n. 122;
h) le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici;
i) le zone umide incluse nell'elenco previsto dal DPR 13 marzo 1976 n. 448;
l) i vulcani;
m) le zone di interesse archeologico.
Molti di questi beni, facendo parte del Demanio dello Stato, sono tutelati anche dal Codice Civile
(cfr. artt. 822 e segg.).
Con il Testo Unico (D. Lgs 490 del 29.10.1999) viene ricompresa in un unico strumento normativo
la legislazione statale vigente sulla tutela, costituita da:
L. 1497/39 sulla tutela del paesaggio;
L. 1089/39 sulla tutela del patrimonio storico-artistico;
L. 431/85 c.d. “Galasso”.
Nel “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali”
vengono sanciti nuovi principi che dispongono l’adeguamento degli strumenti urbanistici (PRG) agli
strumenti dei piani paesistici (PTP) e la cooperazione tra le Pubbliche Amministrazioni,
prevedendo il potere sostitutivo del Ministero per l’azione pianificatoria in caso di inerzia da parte
della regione.
Il 1 ottobre 2000 a Firenze viene siglata la Convenzione Europea del Paesaggio che
sancisce in modo ancora più evidente l’importanza della tutela del paesaggio per il miglioramento
della qualità della vita.
Con il D. Lgs 42/2004 “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio”, successivamente
modificato dai Decreti Legislativi n. 156 e n. 157 del 2006 e quindi dai Decreti Legislativi n. 62 e 63
del 2008, vengono ampliati alcuni concetti di tutela sia sui Beni Culturali che sul Paesaggio e
viene pienamente recepito il nuovo concetto di Paesaggio della Convenzione Europea come
patrimonio culturale dei popoli.
La “Relazione paesaggistica”
Prevista dal D.P.C.M. 12 dicembre 2005 emanato in ottemperanza di quanto disposto dal
comma 3 dell’art. 146 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, si inserisce nel quadro più
ampio dei provvedimenti intrapresi dal nostro Paese nel rispetto della Convenzione Europea del
Paesaggio Individuazione della documentazione necessaria alla verifica della compatibilità
paesaggistica degli interventi proposti.
È un documento essenziale negli elaborati da produrre in aree sottoposte a tutela
paesaggistica in quanto costituisce un’autovalutazione dell’intervento proposto. L’art. 2 del DPCM
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recita infatti che la Relazione paesaggistica costituisce per l’Amministrazione competente la
“base di riferimento essenziale” per le valutazioni previste dall’art. 146 comma 5 del predetto
Codice. Pertanto la mancanza, fra gli elaborati che accompagnano l’autorizzazione paesaggistica,
della Relazione Paesaggistica è sicuramente motivo di annullamento della suddetta
autorizzazione.
L’autorità che rilascia l’autorizzazione deve espressamente dichiarare nella “Determina di
Autorizzazione” di aver rilasciato l’autorizzazione stessa sulla base delle risultanze della Relazione
Paesaggistica.
In realtà la Relazione Paesaggistica è un documento di autovalutazione tecnica della
compatibilità paesaggistica che il tecnico proponente il progetto deve effettuare e che diviene in
pratica la sintesi del progetto stesso. Con tale documento si forniscono elementi ulteriori di
valutazione della compatibilità paesaggistica degli interventi da parte del soggetto che rilascia
l’autorizzazione paesaggistica e anche da parte delle Soprintendenze chiamate a verificare
l’operato dei citati soggetti. L’elaborato finale della Relazione Paesaggistica prevede la
realizzazione di un fotorendering dell’intervento in modo da valutare, con un margine di
approssimazione abbastanza valido, l’entità della trasformazione del paesaggio provocata
dall’intervento proposto.
I soggetti che autorizzano opere in zone vincolate dal punto di vista paesaggistico (Comuni e
Regioni) sono tenuti ad inoltrare le citate autorizzazioni (con gli elaborati progettuali) alle
competenti Soprintendente di settore.
Il Soprintendente, entro il termine perentorio di 45 giorni dal ricevimento degli atti può
annullare, con provvedimento motivato, l’autorizzazione rilasciata dal Comune o dalla Regione. La
Soprintendenza ha lo specifico compito di verificare la completezza e l’idoneità degli atti
(un’istruttoria insufficiente può in qualche modo compromettere la tutela del bene vincolato) e, in
caso di annullamento dell’autorizzazione paesaggistica è tenuta a fornire un’adeguata
motivazione.
Le autorizzazioni in via surrogatoria.
L’iter procedurale per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche prevede che queste
devono sempre precedere il rilascio dei permessi a costruire (previsti dal D.P.R. 380/2001).
È possibile che l’Amministrazione demandata al rilascio di tali autorizzazioni (Regioni
delegate oppure Comuni subdelegati) non riesca entro i termini previsti dalla legge ad avviare il
relativo procedimento. In tal caso è possibile invocare il potere di sostituzione da parte della
Soprintendenza competente per zona. La procedura prevede che il richiedente l’autorizzazione,
entro il termine dei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini previsti dal regolamento
comunale, presenti direttamente alla Soprintendenza di settore, la “richiesta di autorizzazione in
via surrogatoria”. Il richiedente dovrà comunque allegare all’istanza una attestazione
dell’Amministrazione inadempiente (Regione o Comune) dalla quale sia possibile desumere le
motivazioni del mancato rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. La Soprintendenza nel caso
specifico si esprime nel merito in quanto sta svolgendo un compito non più di controllo dell’attività
del Comune o della Regione, bensì un’attività sostitutiva di altro organo quale la Commissione
Edilizia Comunale Integrata, a cui è demandato abitualmente il compito di rilasciare i pareri
(l’autorizzazione paesaggistica viene rilasciata dal dirigente dell’area tecnica sentito il parere della
Commissione Edilizia comunale Integrata).
Anche nel caso di rilascio di autorizzazioni in via surrogatoria è importante osservare con
attenzione i tempi del procedimento.
Le verifiche di compatibilità paesaggistica
Nel caso di irregolarità nella realizzazione di interventi, ancorché autorizzati da parte
dell'Amministrazione locale e confermate dalla Soprintendenza competente per zona, in aree
sottoposte a tutela paesaggistica il “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” (Decreto Legislativo
n. 42 del 22.1.2004 e ss.mm.ii.), non prevede il rilascio di autorizzazioni paesaggistiche in
sanatoria. Dal punto di vista giuridico si è definitivamente stabilito che non è possibile rilasciare
autorizzazioni paesaggistiche ex post.
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È possibile che durante il corso dei lavori (per opere autorizzate sotto il profilo paesaggistico
in aree sottoposte a vincolo) siano stati effettuati lavori in difformità. Tali opere, molto spesso
determinate da difetti di comprensione della procedura da parte dei richiedenti, ma anche da parte
dei tecnici (progettisti, direttori dei lavori, tecnici comunali, ecc.), possono comportare la
sospensione fino al sequestro del cantiere da parte dell'Autorità Giudiziaria.
In caso di varianti da effettuare al progetto originariamente approvato è sempre opportuno
sospendere i lavori, predisporre il dovuto progetto di variante, richiedere una nuova autorizzazione
paesaggistica (al Comune o alla Regione) e sottoporre il procedimento all’esame della
Soprintendenza. In caso contrario le opere eseguite in difformità da tale procedura sono da
considerarsi a tutti gli effetti abusive.
L’attenzione da porre al procedimento è fondamentale per evitare di incorrere in
provvedimenti sanzionatori. L’art. 167 del D. Lgs 42 del 22.1.2004 infatti ipotizza la sanabilità solo
di opere che non abbiano comportato aumento di volumetria o di superficie utile. Il procedimento si
materializza attraverso una richiesta presentata al Comune (verifica di compatibilità paesaggistica)
che effettua un controllo di tipo urbanistico dimensionale prima dell’inoltro della documentazione,
accompagnata da una relazione istruttoria del tecnico comunale, alla Soprintendenza competente
per zona.
Quindi nella documentazione che il Comune inoltra alla Soprintendenza oltre alla
documentazione di rito ci sarà una verifica dimensionale della difformità da sanare con il quale il
Tecnico Comunale attesta che l’intervento proposto non ha comportato aumento di volumetria né
di superficie utile.
Le richieste di sanatoria, trattandosi di interventi già effettuati, non dovranno essere
accompagnate dalla relazione paesaggistica. Il compito della Soprintendenza è la verifica della
compatibilità paesaggistica dell’intervento eseguito. Resta inteso che anche nel caso che non ci
sia stato aumento di volumetria o di superficie utile (ancorché attestato dal Comune), non è detto
che l'intervento possa ritenersi compatibile.
Sanzioni
La legge 1497/39 all’art. 15 prevedeva, in caso di esecuzione di lavori in assenza
dell’autorizzazione della Soprintendenza una sanzione pecuniaria o ripristinatoria. Nel caso che si
fosse ritenuto impossibile ripristinare lo stato dei luoghi la norma prevedeva il pagamento di una
sanzione pecuniaria.
Tale procedura è stata mantenuta dall’art. 167 del D. Lgs 42/2004.
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Bibliografia:
G. Villani, Interventi sul patrimonio culturale: le autorizzazioni paesaggistiche, materiale di studio
per corsi di formazione profilo professionale “Architetto”, MiBAC, Roma 2008.
A. Di Bene, Tutela e gestione del Paesaggio, materiale di studio per corsi di formazione profilo
professionale “Architetto”, MiBAC, Roma 2008.
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