Rapporto annuale 2011 - amnesty :: Rapporto annuale

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DUEMILA
UZBEKISTAN
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Violent attacks against Roma in Hungary: Time to investigate racial motivation (EUR
27/001/2010)
UZBEKISTAN
REPUBBLICA DELL’UZBEKISTAN
Capo di stato: Islam Karimov
Capo del governo: Shavkat Mirzioiev
Pena di morte: abolizionista per tutti i reati
Popolazione: 27,8 milioni
Aspettativa di vita: 68,2 anni
Mortalità infantile sotto i 5 anni (m/f): 63/53‰
Alfabetizzazione adulti: 99,3%
Sono continuate a pervenire incessantemente segnalazioni di tortura e altri maltrattamenti. Decine di appartenenti a gruppi minoritari e di religione islamica sono stati condannati a lunghi periodi di detenzione al termine di processi iniqui, così come i difensori
dei diritti umani che hanno continuato a essere incarcerati. Le autorità hanno energicamente respinto ogni richiesta internazionale per un’indagine indipendente e internazionale sulle uccisioni di massa di manifestanti.
TORTURA E ALTRI MALTRATTAMENTI
Sebbene le autorità avessero affermato che l’impiego della tortura era notevolmente diminuito, sono pervenute ininterrottamente denunce di tortura e altri maltrattamenti di
detenuti e prigionieri. Nella gran parte dei casi, le autorità non hanno condotto indagini
immediate, approfondite e imparziali.
Diverse migliaia di persone condannate per legami con partiti islamisti o movimenti islamici messi al bando in Uzbekistan, nonché persone che avevano criticato il governo e
oppositori politici, sono rimasti in carcere a scontare lunghe pene detentive in condizioni
equivalenti a trattamento crudele, disumano o degradante.
L’Uzbekistan ha nuovamente rifiutato l’accesso al Relatore speciale delle Nazioni Unite
sulla tortura, nonostante ripetute richieste.
A giugno, le autorità hanno rilasciato l’oppositore politico Sanzhar Umarov per motivi umanitari e gli hanno
permesso di riunirsi alla famiglia negli Stati Uniti d’America. Nel 2006, Umarov era stato condannato a
otto anni di reclusione per truffa e appropriazione indebita dopo un processo iniquo. I suoi sostenitori avevano affermato che tali accuse erano di matrice politica. A settembre, egli ha raccontato al New York Times
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di aver trascorso mesi in isolamento in piccole celle punitive in cemento dotate di scarsa luce naturale e
prive di riscaldamento. Ha riferito di essere stato picchiato da guardie carcerarie e da altri detenuti e che
gli sono state negate le cure mediche.
Il 10 giugno, la Corte europea dei diritti umani ha emesso il verdetto sul caso Garayev vs. Azerbaigian stabilendo che l’estradizione di Shaig Garayev dall’Azerbaigian in Uzbekistan avrebbe violato il divieto di tortura sancito dalla Convenzione europea sui diritti umani. La Corte ha dichiarato che “ogni persona
sospettata di crimini trattenuta in custodia [in Uzbekistan] è a rischio di essere sottoposta a tortura o a
trattamento crudele, disumano o degradante”.
CONTROTERRORISMO E SICUREZZA
A gennaio, sono iniziati i processi a porte chiuse di circa 70 imputati accusati di attentati
avvenuti nella valle di Fergana e nella capitale Tashkent a maggio e agosto 2009, nonché
dell’omicidio di un imam filogovernativo e di un alto ufficiale di polizia, uccisi a Tashkent
nel luglio 2009. Le autorità avevano addossato la responsabilità degli attentati e degli
omicidi al Movimento islamico dell’Uzbekistan (Islamic Movement of Uzbekistan – Imu),
all’Unione della Jihad islamica (Islamic Jihad Union – Iju) e al partito islamista Hizb-utTahrir, tutti messi al bando in Uzbekistan. Tra le decine di persone arrestate nel 2009 in
quanto presunti membri o simpatizzanti dell’Imu, dell’Iju e di Hizb-ut-Tahrir, c’erano persone che avevano frequentato moschee non autorizzate, studiato con imam indipendenti,
viaggiato all’estero o che erano sospettate di essere affiliate a organizzazioni islamiche
messe al bando. Si ritiene che molti siano stati detenuti senza accusa né processo per
lunghi periodi. Ci sono state segnalazioni di torture e processi iniqui.
Ad aprile, un tribunale di Dzhizzakh ha condannato 25 uomini a periodi di reclusione variabili dai due ai
10 anni per gli attacchi del 2009. Sono stati tutti condannati per attentato contro la costituzione dello
stato e per estremismo religioso. Almeno 12 di loro hanno denunciato durante il processo che le loro confessioni erano state estorte sotto tortura. Il giudice ha ordinato un’indagine su tali denunce e, in seguito,
ha dichiarato che erano infondate. Osservatori indipendenti hanno riferito che gli uomini avevano ammesso
di aver partecipato a incontri di preghiera e di aver praticato sport insieme, ma avevano negato di far
parte di un gruppo che mirasse a sovvertire l’ordine costituito.
Ad aprile, la corte penale regionale di Kashkadaria ha condannato Zulkhumor Khamdamova, sua sorella
Mekhriniso Khamdamova e la loro parente Shakhlo Pakhmatova a periodi di reclusione tra i sei anni e
mezzo e i sette anni, per attentato contro la costituzione dello stato e minaccia all’ordine pubblico. Facevano
parte di un gruppo di più di 30 donne arrestate dalle forze di sicurezza in operazioni antiterrorismo nella
città di Karshi, nel novembre 2009. Si è ritenuto che le donne avessero frequentato lezioni di religione
tenute da Zulkhumor Khamdamova in una delle moschee cittadine. Le autorità hanno accusato Zulkhumor
Khamdamova di aver organizzato un gruppo religioso illegale, un’accusa negata dalle sue sostenitrici. Difensori dei diritti umani hanno riferito che, durante la custodia, le donne erano state maltrattate; a quanto
sembra, agenti di polizia le hanno denudate e minacciate di stupro.
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Dilorom Abdukadirova, una rifugiata uzbeka fuggita dal paese dopo le violenze di Andijan del 2005, è stata
arrestata e detenuta per quattro giorni al suo rientro a gennaio, dopo aver ottenuto assicurazioni dalle
autorità che non sarebbe stata accusata di alcun reato. A marzo, è stata nuovamente arrestata e detenuta
in custodia di polizia per due settimane senza poter ricevere assistenza legale o visite dei familiari. Il 30
aprile è stata incriminata per attività anticostituzionali, per aver partecipato alle manifestazioni di Andijan,
nonché per essere illegalmente uscita dal paese ed esservi rientrata. È stata condannata a 10 anni e due
mesi di reclusione dopo un processo iniquo. I familiari hanno riferito che al processo era apparsa molto
dimagrita e aveva lividi sul volto.
LIBERTÀ DI ESPRESSIONE – DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI E GIORNALISTI
Difensori dei diritti umani e giornalisti indipendenti sono stati sottoposti a vessazioni,
percosse, detenzione e processi iniqui. Attivisti per i diritti umani e giornalisti sono stati
convocati per interrogatori di polizia, posti agli arresti domiciliari e regolarmente sorvegliati da agenti di polizia in uniforme o in borghese. Altri hanno riferito di essere stati
picchiati dalla polizia o da persone sospettate di lavorare per le forze di sicurezza.
A gennaio, Umida Ahmedova, una famosa fotoreporter, è stata condannata a tre anni di carcere per aver
offeso la dignità dei cittadini uzbeki e aver danneggiato l’immagine del paese, a causa di alcuni progetti
fotografici e video che documentavano la povertà e la disuguaglianza di genere in Uzbekistan. Tuttavia, il
giudice che presiedeva il tribunale le ha concesso l’amnistia ed è stata rilasciata. Il suo appello contro il
verdetto che ha continuato a portare avanti è stato respinto a maggio.
A ottobre, tribunali di Tashkent hanno condannato per diffamazione due giornalisti indipendenti che lavoravano per organi di informazione stranieri, imponendo il pagamento di grosse ammende. Vladimir Berezovski, corrispondente del quotidiano russo Parlamentskaia Gazeta, è stato accusato di aver pubblicato
16 articoli sul sito indipendente Vesti.uz che contenevano informazioni diffamatorie miranti a ingannare
il popolo uzbeko e a creare panico. Gli articoli riguardavano l’Imu e i lavoratori migranti e non erano stati
scritti da Vladimir Berezovski, ma ripresi da agenzie di stampa russe. Abdumalik Boboev, corrispondente
per la stazione radiofonica Voice of America, finanziata dal Congresso statunitense, è stato condannato al
pagamento di un’ammenda rilevante. Il tribunale ha ritenuto che i materiali scritti e radiofonici a sua
firma offendevano la magistratura e le forze di sicurezza. I suoi articoli e reportage riguardavano le restrizioni alla libertà di espressione e le detenzioni arbitrarie e i processi iniqui di giornalisti e attivisti per i
diritti umani. Entrambi i giornalisti si sono appellati contro i verdetti, ma i loro ricorsi sono stati respinti.
A dicembre, le autorità hanno rilasciato in libertà condizionata il difensore dei diritti umani Fakhad Mukhtarov dopo aver scontato 11 mesi della condanna a cinque anni inflittagli per corruzione e frode. Almeno
altri 11 difensori dei diritti umani sono rimasti in carcere. Alcuni di loro sono stati incriminati con nuove
accuse per aver violato il regolamento della prigione e le loro condanne sono state aumentate di vari anni,
dopo processi segreti e iniqui. Almeno altri tre difensori dei diritti umani sono stati condannati a lunghe
pene detentive nel 2010, per accuse presumibilmente inventate, mirate a punirli per la loro attività.
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A gennaio, il difensore dei diritti umani Gaibullo Dzhalilov è stato condannato a nove anni di reclusione
per attentato contro la costituzione dello stato e appartenenza a un’organizzazione religiosa illegale. Membro dell’associazione indipendente e non riconosciuta Società dei diritti umani dell’Uzbekistan (O’zbekiston
Inson Huquqlari Jamiyati – Oihj), Dzhalilov si occupava di arresti e processi di appartenenti o presunti
appartenenti a movimenti islamisti messi al bando nel paese e aveva denunciato torture e altri maltrattamenti. Egli ha dichiarato di essere stato costretto a confessare di far parte di Hizb-ut-Tahrir. A marzo,
la sua condanna è stata confermata in appello. Ad agosto, gli sono state imputate nuove accuse basate,
secondo il pubblico ministero, su testimoni oculari che l’avrebbero visto in occasione di raduni religiosi,
durante i quali erano stati proiettati filmati con contenuto religioso estremista. È stato condannato a
quattro ulteriori anni di carcere al termine di un’udienza a porte chiuse, presso la corte penale regionale
di Kashkadaria, anche se nessuno dei testimoni dell’accusa è stato chiamato a deporre.
LIBERTÀ DI RELIGIONE
Il governo ha continuato a esercitare uno stretto controllo sulle comunità religiose, compromettendo così il godimento del loro diritto alla libertà di religione. I più colpiti sono
stati i membri di gruppi non riconosciuti, come le congregazioni cristiane evangeliche e
i musulmani che pregavano in moschee fuori dal controllo statale.
Presunti seguaci del teologo musulmano turco Said Nursi sono stati condannati in vari processi avviati
nel 2009 e proseguiti nel 2010. Le accuse nei loro confronti comprendevano l’appartenenza a o la creazione
di un’organizzazione religiosa estremista illegale e la pubblicazione o la distribuzione di materiale che minacciava l’ordine sociale. A dicembre 2010, almeno 114 uomini erano stati condannati a pene comprese
tra i sei e i 12 anni di reclusione a seguito di processi iniqui. Secondo quanto riferito, alcuni verdetti si
sono basati su confessioni estorte con la tortura durante la detenzione preprocessuale, testimoni della difesa ed esperti non sono stati chiamati a deporre e in alcuni casi l’accesso ai processi è stato impedito,
mentre altri procedimenti si sono svolti a porte chiuse.
RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO
A giugno, le autorità hanno garantito per un breve periodo riparo alle migliaia di rifugiati
di etnia uzbeka, fuggiti dalle violenze scoppiate nel vicino Kirghizistan meridionale. Per
la prima volta dall’imposizione di lasciare il paese nel 2006, le autorità hanno permesso
a squadre di soccorso dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, di entrare
in Uzbekistan e nei campi profughi. Le forze di sicurezza hanno strettamente controllato
i movimenti dei rifugiati, compresi quelli feriti e ricoverati in ospedale, e i loro contatti
con il mondo esterno. A fine giugno, con l’eccezione di circa 2000 persone, erano tutti
tornati in Kirghizistan. Si è temuto che i rimpatri non fossero stati del tutto volontari e
che le autorità locali kirghize e uzbeke avessero fatto pressione su di loro.
VAGLIO INTERNAZIONALE
A cinque anni di distanza dall’uccisione di centinaia di manifestanti, per lo più pacifici,
da parte delle forze di sicurezza ad Andijan, il 13 maggio 2005, le autorità hanno con578
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tinuato a respingere tutte le richieste per un’indagine indipendente e internazionale. La
revoca delle sanzioni da parte dell’Eu è stata indicata come la dimostrazione che ormai
la questione era chiusa.
A marzo, durante l’esame del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite sull’attuazione da parte dell’Uzbekistan del Patto internazionale sui diritti civili e politici, la delegazione uzbeka ha negato che i difensori dei diritti umani fossero stati arrestati e
perseguitati. La delegazione ha insistito che i “nemici” dell’Uzbekistan avevano dichiarato una “guerra dell’informazione” contro il paese e che le Ngo internazionali erano pagate per diffondere diffamazione e disinformazione.
RAPPORTI DI AMNESTY INTERNATIONAL
Uzbekistan: Submission to the Human Rights Committee – Update, May 2009-January
2010 (EUR 62/001/2010)
Uzbekistan: A briefing on current human rights concerns (EUR 62/003/2010)
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