Vera Dittmann La tradizione del dibattito sulle - Phil.
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Vera Dittmann La tradizione del dibattito sulle - Phil.
Vera Dittmann La tradizione del dibattito sulle norme linguistiche in Italia – una breve introduzione Quando si parla di un dibattito sulle norme linguistiche nella società italiana, è necessario tenere conto del fatto che, in Italia, la discussione sulla lingua e la norma linguistica ha ormai una lunga tradizione. Vorremmo esporre brevemente l’evoluzione storica di questo dibattito per dimostrare le radici del interesse pubblico per la questione della lingua. Il primo contributo alla discussione sulle norme linguistiche e sulla difesa della lingua volgare italiana fu proposto da Dante Alighieri già nel Trecento sebbene i suoi trattati, ad esempio “De vulgari eloquentia”, sarebbero diventati pubblicamente noti solo due secoli dopo. Proprio in quel periodo, nel Cinquecento, iniziò il dibattito lungo ed importante sulla Questione della lingua. In generale si tratta di stabilire norme per la lingua volgare. Due prime posizioni importanti furono da una parte quella di Pietro Bembo che pubblicò nel 1525 le “Prose della volgar lingua” e dall'altra parte la posizione di Baldassare Castiglione con il suo trattato “Il libro del Cortegiano” del 1528. Mentre Castiglione proponeva il concetto di un Koiné italiano moderno e senza barriere regionali, Bembo suggeriva invece una norma orientata alla lingua usata dagli scrittori toscani quali Petrarca e Boccaccio. Con la pubblicazione del “Vocabolario” dell'Accademia della Crusca, nel 1612, fu rinforzata la posizione di Bembo e le norme dell'italiano furono stabilite. Comunque nei secoli a seguire il dibattito non cessò ma si spostò su altri problemi come, per esempio, nel Settecento, la difesa della lingua italiana dall'influsso del francese (cf. Demel 2007: 81-83). In generale la Questione della lingua fu un argomento di grande importanza nelle corti e nei circoli frequentati dall'élite intellettuale e politica dell'Italia del sedicesimo secolo ed era dunque fortemente influenzata da ideali politici e letterari. Si può dire allora che questa tradizione è la base dell'attenzione pubblica per questioni di lingua in Italia fino ad oggi (cf. Demel 2007: 81-83). Nel diciannovesimo secolo il dibattito sulle norme linguistiche cambiò ed iniziò a non essere più esclusivamente un dibattito accademico. Già nel 1760 fu la rivista letteraria “Il Caffè” una delle prime riviste italiane in cui si discussero norme linguistiche, sebbene ancora in un contesto soprattutto letterario. Seguirono all'inizio del Ottocento riviste come “Il Poligrafo”, “Biblioteca Italiana” e “L'Antologia” che pubblicarono cronache linguistiche e fornirono così una nuova base di partecipazione al dibattito (cf. Demel 2007: 83). Molto importanti furono anche i trattati di Alessandro Manzoni, che proposero il modello linguistico di un fiorentino moderno basandosi soprattutto sulla sua stessa opera “I promessi sposi” (cf. Demel 2007: 84). Nel Novecento il dibattito si allargò ulteriormente e vi parteciparono sempre più persone di professioni diverse. Si fecero avanti posizioni come quella di Antonio Gramsci, che sottolineò la componente sociale della lingua e richiese una didattica linguistica per le classi meno abbienti della società in modo tale da contrastare una strumentalizzazione della lingua da parte del regime fascista. Già nella posizione di Antonio Gramsci si nota una peculiarità che caratterizzerà il dibattito sulla “nuova questione linguistica” anche nel dopoguerra, l'abbandono delle varietà regionali della lingua come unico tema della discussione. Pier Paolo Pasolini sostenne, negli anni sessanta, che con un “neo-italiano tecnologico” è stata raggiunta l'unità linguistica da un'ampia parte della società. Negli anni settanta, sotto la guida di Tullio de Mauro, si discusse nuovamente sulle norme della lingua in riferimento a riflessioni sulla didattica e l'insegnamento scolastico (cf. Demel 2007: 85). Per un lungo periodo di tempo, in seguito all'esperienza fascista, le missioni di normative linguistiche da parte del governo italiano non furono ben viste. Solo dagli anni ottanta e novanta si notano alcuni interventi, a partire dal 1985 con le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” di Alma Sabatini, che furono pubblicate dal governo. Inoltre, dagli anni novanta il governo si impegnò soprattutto nella semplificazione del linguaggio burocratico (cf. Demel 2007: 86-88). Per quanto riguarda la stampa, nel ventesimo e ventunesimo secolo, le cronache linguistiche aumentano e diventano sempre più un argomento di ampio interesse. Un primo esempio sono le cronache di Omero Redis nel “Giornalino della domenica” tra il 1906 e il 1919. Oggi praticamente tutte le riviste importanti offrono una rubrica linguistica. Particolarmente in Italia si nota che gli autori sono spesso linguisti, e quindi esperti, oltre che personaggi spesso ben noti e popolari, come Tullio de Mauro o Umberto Eco. Questa particolarità è sicuramente causa della popolarità delle cronache. Gli argomenti trattati sono vari, spesso si parla di varietà regionali o di questioni lessicali e grammaticali. (cf. Demel 2007: 91-93). Fonte: Demel, Daniela (2007): Si dice o non si dice? Sprachnormen und normativer Diskurs in der italienischen Presse, Frankfurt am Main: Lang