Beatrice Barbalato
Transcript
Beatrice Barbalato
Beatrice Barbalato ed., Le carnaval verbal d’Ascanio Celestini Chapitre III Telos, il senso della fine BEATRICE BARBALATO Abstract : Celestini traduit en méta-récit les mille composantes du raconter du bas, reconstruisant un telos, un sens de la fin concrétisé dans l'acte même du narrer. Différentes techniques rapprochent ses œuvres d'éléments constitutifs de l'atmosphère épique, joyeuse et exubérante, de Gargantua et Pantagruel de Rabelais : 1) La dynamique de l'abaissement de la figure du pouvoir ; 2) Le mouvement haut >< bas >< haut, comme subversion des hiérarchies ; 3) Le concept de vide, à la manière des trous de Baktine conçus comme des lieux de réaménagement du monde; 4) Les défilés comme formes de destitution de l'autorité, de mise à zéro de la verticalité. Des registres qui exaltent donc par contraste la réalité de violence que Celestini dénonce. On voit des récits structurés dans une conception épique de l'actualité où à travers des mnémotechniques on peut reparcourir les chambres de la mémoire dans une langue nomade, de frontière (selon la définition de Deleuze-Guattari), liée à des enchaînements spécifiques. Langue générative par excellence dans laquelle aucun discours ne se transforme en parole d'ordre parce que - comme le rappelle Foucault - les paroles d'ordre deviennent rapidement des ordres muets et inversement, débouchant ainsi sur le fascisme. It.: Celestini traduce in meta-racconto le mille componenti del raccontare dal basso ricostruendo un telos, un senso della fine, un compimento che si concretizza nell’atto stesso del narrare. Diverse tecniche avvicinano le sue opere all’epica gioiosa ed esuberante di Gargantua et Pantagruel di Rabelais: 1) la dinamica dell’abbassamento delle figure del potere ; 2) il movimento alto > < basso > < alto come sovvertimento delle gerarchie ; 3) Il concetto di vuoto, come i buchi descritti da Bachtin quali luoghi di facimento del mondo ; 4) le sfilate come forme di detronizzazione, azzeramento della verticalità. Registri che finiscono per esaltare per contrasto la realtà di violenza che Celestini denuncia. Racconti strutturati in un’epica dell’attualità, dove attraverso delle mnemo¬ techiche si ripercorrono le stanze della memoria in una lingua nomade (secondo la definizione di Deleuze-Guattari), sul confine, soggetta a concatenazioni. Lingua generativa per eccellenza, dove nessun discorso di questa lingua dal basso ricostruita, reinventata, può diventare una parola d’ordine, perché - come ricorda Foucault - le parole d’ordine passano rapidamente a ordini muti, e viceversa. E in fondo al fascismo. 83 B. Barbalato, Telos, in senso della fine, Le carnaval verbal d’A. Celestini Rabelais mobilita tutti i mezzi della lucida imagerie popolare per estirpare da tutte le idee sull’epoca e sui suoi avvenimenti qualsiasi menzogna ufficiale e serietà limitata, dettata dagli interessi delle classi dominanti. [... ] distruggendo la falsa serietà e il falso pathos storico, egli prepara il terreno per una nuova serietà e per uno nuovo pathos storico. Michail Bachtin1 1 - Gettare l’amo Al di là della fluidità e delle smarginature volute, la struttura di fondo delle narrazioni di Ascanio Celestini è fortemente organizzata, ciò che facilita la trasposizione della fabula e dell’intreccio in un altro tessuto narrativo, in un’altra lingua. Meno semplici, meno mimetiche risultano le trasposizioni per quanto riguarda il discorso2, inteso come contenuto aderente ad una determinata forma. Risultano infatti irriproducibili nel loro insieme: il tono popolare, l’idioma, il patto autobiografico testimoniale dovuto alla presenza di Celestini sulla scena come narratore che ri-racconta storie ascoltate. Blocchi di narrazione si susseguono in una studiata logica drammaturgica : a) le voci che confluiscono in un’unica narrazione sono simili al modo di raccontare del narratore di Benjamin3 ; b) la postura riconduce a regole prossemiche del raccontatore seduto4 ; c) la velocità e il grain de la voix a tecniche della trasmissione orale. Anche se singoli episodi possono essere accorciati, allungati, e perfino omessi, la costruzione dell’intreccio resta immutata, così come la polifonia che ne orchestra le componenti. Le opere sono nutrite da varie eco su episodi accaduti realmente, dando voce alla memoria del vissuto e non 1 2 3 4 84 Bachtin, Michail, L’opera di Rabelais e la cultura popolare-Riso, carnevale e festa nella tradizione medioevale e rinascimentale, trad. di Romano, Mili, Torino, Einaudi, 1995 (1979), p. 483. (1° ed. 1965). Eco, Umberto, « Traduzione. Un problema di pragmatica », in (a cura del Corso di Laurea specialistica in “Traduzione dei testi letterari e saggistici”), La traduzione d’autore, Pisa, Edizioni Plus-Pisa University press, 2007. Eco afferma che la traduzione del discorso « superficie lineare linguistica che comporta anche caratteristiche stilistiche », (ivi, p. 32-33) può incidere anche sulla fabula (gli avvenimenti, la storia), e sull’inteccio (i modi del tempo e dello spazio nella vicenda narrata). Benjamin, Walter, « Le narrateur. Réflexions sur l’œuvre de Nicolas Leskov», in Essais 2- 1935-1940, (trad. dal tedesco di De Gandillac, Maurice), Paris, Denöel et Gontier, 1983/1971. Frankfurt 1955. Vanoye, Francis ; Mouchon, Jean ; Sarrazac, Jean-Pierre, Pratiques de l’oral, op. cit. Beatrice Barbalato ed., Le carnaval verbal d’Ascanio Celestini dell’accaduto in sé, favorendo la rimemorazione e la destabilizzazione di immagini stantie e sedimentate. Celestini traduce in meta-racconto le mille componenti del raccontare dal basso ricostruendo un telos, un senso della fine, un compimento che si realizza nell’atto del narrare. Questo senso del compiuto nel racconto, non induce ad una visione chiusa e conclusa della realtà, ma si lascia intendere come una lettura elettiva su infiniti fatti che intuiamo poter essere veramente accaduti. Lyotard parla della distruzione del telos nella nostra epoca post-industriale5, di distruzione di quel filo conduttore che attraverso la struttura del racconto attribuiamo alla vita. Kermode parla di senso della fine6 nelle costruzioni letterarie. Questo periplo, questo termine ad quem è assai riconoscibile in particolare nella circolarità del racconto di Storie di uno scemo di guerra. Il bambino Nino che, dopo aver osato fare la pipì sull’elmetto di un soldato tedesco, scampa miracolosamente al suo tiro di pistola, è il punto centrale di un passato (realmente accaduto), del suo presente (perché lui è vivo), di una speranza, perché il giovane soldato ha un senso di sollievo per non aver ucciso un ragazzino. Questo evento di Nino è fondativo (la sua vita è salva), non è puramente cronologico perché attraversa tutta la vita, e resta un punto di vista esplicito all’inizio e alla fine della narrazione come filo conduttore. La viva voce di Nino ormai malato e anziano fatta ascoltare in scena7 contribuisce non tanto a transporre il racconto in un fatto di cronaca, quanto, al contrario, a renderlo oracolare. La voce di Nino che evoca l’episodio chiave della sua vita, quello cioè di un bambino che l’ha scampata 5 6 7 La crisi della post-modernità non è dovuta secondo Lyotard tanto a fattori economici, quanto alla crisi del metaracconto capace di conferire un senso compiuto alle azioni umane : Lyotard, Jean-François La Condition Postmoderne: Rapport sur le Savoir, Paris, Les Editions de Minuit, 1979. Cf. : Lefort, Claude, The Age of Novelty, Telos 29 (Fall 1976). Telos Press, New York. Cf. : Kermode, Frank, The Sense of an Ending. Studies in the Theory of Fiction, Oxford University Press, 1966. [Ed. it.: Il senso della fine. Studi sulla teoria del romanzo, (trad. di Montefoschi, Giorgio), Milano, Rizzoli, 1972]. Come Tadeusz Kantor che inserisce in Wielopole, Wielopole le voci registrate di amici defunti e di membri della sua famiglia. Queste voci di assenti permette a Kantor di riportare nell’attualità un passato di un tempo che diventa sospeso per sempre. Alcuni aspetti dell’opera di Kantor : l’autobiografismo, l’ossessivo permanere della memoria, la percezione poetica di alcuni eventi, la relazione con la morte, il rifarsi a linguaggi diversi, permette di individuare un’alleanza (non intenzionale) del lavoro di Celestini con quello del teatro autobiografico di Kantor [il termine allenza è qui preso secondo l’interpretazione dell’opera di Carmelo Bene da parte di Deleuze, Gilles, Superpositions, Paris, Gallimard, 1979, p. 94, - cioè alleanza versus filiazione -]. 85 B. Barbalato, Telos, in senso della fine, Le carnaval verbal d’A. Celestini bella, eternizzano la narrazione, che, oltre a rinviare a una realtà veramente vissuta, diventa evocatrice di un telos, e conferma il senso della parabola. Il narrare sulla scena di Ascanio Celestini, il costituirsi porte-parole di ciò che (gli) è stato narrato da più voci, il situare questi racconti in una struttura dove lo spazio e il tempo non sono sottomessi alla disciplina di categorie convenzionalmente oggettive, porta nell’interpretazione di Celestini a far percepire il carattere mitico che alcuni avvenimenti assumono nella memoria di una collettività. Porta, come si è appena sottolineato, a entrare nel racconto come spettatori attivi, potenzialmente ri-raccontatori di versioni altre. Questo carattere epico, in senso largo, favorisce, probabilmente, la transponibilità dei suoi testi in altri adattamenti, in altre lingue, che possono privilegiare una voce, più voci insieme, o una delle piste presenti in un racconto dai mille fili intrecciati. Adattamenti infedeli, perché in questo teatro plurivocale, aggiungere e sottrarre, designare con le parole di una lingua altra alcuni particolari, porta a dei percorsi necessariamente autonomi, ma che possono salvaguardare la struttura origiaria e il senso della narrazione . 2 - Fabula e intreccio In Storie di uno scemo di guerra la narrazione ha uno sviluppo circolare, in Pecora nera, e soprattutto in Fabbrica, a spirale, utilizzando caratteri letterari che possono essere avvicinati alla serie dei cinque romanzi di Gargantua et Pantagruel di Rabelais, che costruisce attraverso il grottesco un’epica anti-autoritaria e vitale, i cui caratteri popolari sono stati messi in luce da Michail Bachtin. Celestini-narratore attraverso una struttura circolare e reiterata, basata su dei lietmotiv, costruisce una fabula8 racchiusa fra un inizio e una fine, e gioca più liberamente sull’intreccio, cioè omette o aggiunge informazioni o tranches di discorso durante le diverse repliche. Questa testualità elastica riguarda la presenza e la durata di singoli elementi, ma non l’impalcatura, l’ingegneristica del funzionamento delle narrazioni. Non è un’opera aperta, in altri termini, l’epilogo non può essere cambiato. Però chi vede e ascolta può nella sua mente 8 86 I termini fabula e intreccio sono qui intesi secondo la definizione dei formalisti russi. Il discorso rinvia allo stile. Tomaševskij, Boris, «La costruizione dell’intreccio», in (a cura di Todorov, T., I formalisti russi, op. cit., p. 311-326. « Per la fabula hanno rilevanza solo i motivi legati, per l’intreccio, invece, sono a volte proprio i motivi liberi (le ‘digressioni’) ad avere le funzioni più importanti, determinando la struttura dell’opera .», p. 316. Beatrice Barbalato ed., Le carnaval verbal d’Ascanio Celestini interagire : riprendendo per analogia le tecniche di dialettizzazione9 presenti nel suo lavoro come meccanismi generativi, oppure allungando le liste relative alle descrizioni (come i cartelli immaginari degli affitti della bassetta di Radio clandestina, il corteo in Storie di uno scemo di guerra, ecc.), sostituendo qualche tessera del mosaico. Bachtin ha descritto il funzionamento narrativo del mettere in parallelo una sequela di denominazioni (vicinati) in Gargantua et Pantagruel. Anche leggendo il Pentamerone abbiamo la stessa possibilità di entrare nella vertigine della lista, per usare un’espressione di Umberto Eco10. L’asse verticale (cioè i contenuti, come il bombardamento di San Lorenzo in Storie di uno scemo di guerra, o le testimonianze degli operai in Fabbrica) può arricchirsi di particolari, o essenzializzarsi, ma le stanze della memoria11 si succedono nell’ordine previsto, topoi di una struttura che non cambia. 3 - Epica eroica e epica ironica Epica significa racconto, racconto di un passato fondatore e mitico, dai tempi antichi in versi e orale, con accompagnamento musicale, e facente ricorso alla mimetica, cioè riferendo il parlato diretto dei personaggi. È fondamentalmente il racconto omerico. Possiamo ritrovare alcune di queste tecniche nell’opera di Celestini: la mimetica, il dare voce ad altre voci, sempre di più l’intervento della musica e del canto, il carattere figé di personaggi senza psicologia interiore (che impedisce l’identificazione dello spettatore) che sono quasi delle icone : la bassetta di Radio clandestina, lo scemo di guerra, ecc. Bachtin, riportando il pensiero di Goethe12, afferma che l’epica propone un passato assoluto. L’epopea sarebbe cioè slegata da quei 9 10 11 12 Si tratta infatti di un modulo dialettale, e non di parlata dialettale. Cf.: cap. VIII, e IX.. Umberto Eco si riferisce alla compilazione di cataloghi che, soprattutto a partire dal XVI secolo, testimoniano della ricerca di un’identità culturale attraverso l’individuazione di determinati criteri, come, ad esempio, le collezioni naturaliste del XVI secolo. Troviamo liste anche in Omero e Joyce. E poi con altri intenti in Andy Wharol. Eco, U., La vertigine della lista, Milano, Bompiani, 2009. Si tratta di tecniche molto antiche che presiedevano all’arte della retorica (come spiega Cicerone in Ad Herennium), e come illustra : Yates, Frances A., L’arte della memoria, (trad. di Biondi, Albano), Torino, Einaudi, 1993. Con lo scritto « In memoria dell’opera di Frances A. Yates » di Gombrich, Ernst Hans, trad. di Serafini, Aldo. Ed. originale The art of memory, London, Routledge & Kegan Paul Ldt, 1966. Bachtin, M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare-Riso, carnevale e festa nella tradizione medioevale e rinascimentale, op. cit., p. 454-482. 87 B. Barbalato, Telos, in senso della fine, Le carnaval verbal d’A. Celestini passaggi graduali cronologi, e non lascia scappatoie per il futuro. Né la durata della tranche di storia-leggenda che l’epica racconta ha una grande importanza. L’Odissea e l’Iliade di Omero sono dei brevi percorsi di epopee più varie, più lunghe e più complesse : sono le romanzizzazioni scritte o filmiche successive che danno al viaggio di Ulisse, ad esempio, una conclusione determinata. Non è così nella creazione epica delle origini13. Mille storie continuano al di là della tranche de vie narrata nell’Odissea. Ne sono testimonanza racconti meno noti, disegni su antichi vasi, ecc. L’epica di Celestini si riferisce a fatti realmente accaduti, ad un passato dove tutto è ormai compiuto (Fabbrica, Radio clandestina), ecc.). Ciò che resta in vita è l’interpretazione sull’accaduto nell’attualità. Celestini dice di riraccontare ciò che ha ascoltato (e di non ambire all’oggettività14), di adottare delle mnemotecniche, e di costruire delle storie sulla base anche dell’elaborazione fantastica (che è ugualmente viva e vera) dell’ avvenuto. È un’epica risonante delle voci della gens de peu15. Celestini si fà autore-cantore di un passato concluso, ma vivo nei racconti (vissuti o ascoltati e riascoltati), adottando il registro dell’ironia e del sorriso che fa pensare a tratti, anche se alla lontana, all’Orlando furioso, con le sue deformazioni, inverosimiglianze proprie del sentito dire delle fonti secondarie, dell’intreccio di varie piste. Un’opera che aveva dato inizio ad un nuovo modo di intendere la meraviglia, diverso dal medioevo che precede il poema e dal barocco che lo segue. Questo teatro di narrazione possiamo avvicinarlo a Gargantua et Pantagruel di Rabelais, esemplare per come si appropria di molte strategie del raccontare della cultura popolare, studiate analiticamente da Bachtin. Si possono stabilire dei precisi paralleli fra quest’opera di Rabelais e i lavori di Celestini : 1) la dinamica dell’abbassamento delle figure maggiori che ritroviamo nella descrizione della resurrezione di Cristo e le mosche in Storie di uno scemo di guerra16. Tema presente in Gargantua et 13 14 15 16 88 Barbalato, B., « Littérature et modèles culturels - L’aventureux, menteur, immuable Ulysse homérique a mis à rude épreuve les modèles éthiques de la littérature occidentale », in Aventures et voyages au pays de la Romane, Cortil-Woton (BE), E.M.E., 2002, p. 15-25. Cf.: De Gregorio, Concita, « Prefazione », in Celestini, A., Pecora nera, op. cit., p. V-VIII. Espressione di Sansot, Pierre, Les Gents de peu, PUF, 1991. Celestini, A., Storie di uno scemo di guerra, op. cit., p. 106-110. Beatrice Barbalato ed., Le carnaval verbal d’Ascanio Celestini Pantagruel, per esempio, nell’episodio della resurrezione di Epistemone (cap. XXX), ritenuta da Abel Lefranc17 una versione parodica del miracolo di Lazzaro e della figlia di Giairo18. 2) Il movimento alto-basso: si veda il bambino Nino (in alto su un albero) di Storie di uno scemo di guerra che detronizza la figura dell’occupante (in basso) facendo la pipì sull’elmetto del soldato tedesco. Questa dinamica basso-alto, il capovolgimento di un ordine del mondo è al centro dell’analisi di Bachtin. Anche la lingua è capovolta letteralmente e figurativamente in Ascanio Celestini : la cacca rovesciata, il tema dei cessi che occupano tutta la casa, la merda cosmica, il fratello che dice le parole al contrario in Appunti per un film sulla lotta di classe19. 3) Il concetto di vuoto, i buchi descritti da Bachtin sono luoghi di facimento del mondo. Il buco nella terra corrisponde alla fecondità, in Rabelais è il bacino di Proserpina20. La pancia di Pantagruel (I libro) dove Alcofribas, il narratore, entra e vi trova campi e boschi curati da chi vi vive. Il ventre di Pantagruel è il cronotopo di eventi che avvengono in un hortus clausus, lontano da ogni concezione metafisica o del Potere. Di luoghi-buco è piena l’opera di Celestini : la casa di Assunta, il buco dove affonda la testa Fausto, il pozzo, le stanze dei figli morti del vecchio che coltiva le pere, in Fabbrica. E anche l’alto forno è un altro buco un po’ misterioso e inconoscibile che richiama un certo modo oscuro dei racconti di Conrad. Una sorta di antro è l’abitacolo dell’uomo dal braccio secco, e ancora il buco dove vive il maiale e dove vi muore in Storie di uno scemo di guerra. Il buco è anche una 17 18 19 20 Lefranc, Abel Jules Maurice, Rabelais : études sur Gargantua, Pantagruel, le Tiers livre / avant-propos de Marichal, Robert Paris, Albin Michel, 1953. (1° ed. 1905) Bachtin, M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare, op. cit., p. 417-419. Celestini, A., Appunti per un film sulla lotta di classe, è un lavoro composito che assembla delle idee, dei ricordi, delle trovate; al centro il lavoro precario, i cui contratti sono definiti con sigle improbabili come co.co.co e co.co.pro . Tre musicisti accompagnano questo lavoro: Roberto Boarini, violoncello, Gianluca Casadei, fisarmonica, Matteo D’Agostino, chitarra. « Per Paniurge il luogo più terribile non è affatto la gola di Satana, ma il bacino di Proserpina, nel quale essa fa i suoi bisogni ». Bachtin, M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare, op. cit., p. 415. La beatitutine del corpo proviene dal basso in contrapposizione parodica col movimento ascensionale dal basso verso l’alto del medioevo, come in Dante, per esempio. Il basso è in Rabelais il vero avvenire dell’umanità. 89 B. Barbalato, Telos, in senso della fine, Le carnaval verbal d’A. Celestini speranza21 e la sua negazione (luogo di conservazione e poi di morte del maiale, e allo stesso tempo il vuoto). Il buco in Rabelais nell’interpretazione di Bachtin è il basso, e dal basso in alto vi è anche un percorso di beatitudine dall’ano al cuore al cervello22. In Celestini il buco è una zona focale di un cominciamento non sempre positivo, ma che sancisce un cambiamento di rotta della storia. 4) La carnevalizzazione : con questo termine Bachtin23 designa la parata degli dei detronizzati e rovesciati. Una componente presente nelle opere di Celestini con varie processioni : il corteo della cooperativa del maiale, la sfilza dei seppelliti24 in Storie di uno scemo di guerra ; la suora che scoreggia col suo piccolo seguito di squinternati in La Pecora nera ; la fila degli scolari gerarchizzata secondo la rilevanza etnica (agli occhi della maestra) ne La fila indiana. Il razzismo è una brutta storia25. Queste parate carnevalesche nella tradizione popolare ne degerarchizzano i facenti parte. Si tratta di un’antica tradizione del raccontare popolare suscettibile presso l’ascoltatore di prolungare la lista26, lo si è già accennato, e di ribaltare e deridere, il carattere celebrativo delle sfilate ufficiali27. Inoltre, non possiamo non pensare in questo mondo rovesciato al Mistero buffo di Dario Fo, al suo mondo capovolto. Tuttavia, la funzione del raccontare non è la stessa e si possono solo indirettamente stabilire delle alleanze fra l’opera di Celestini e di Fo. Il termine mistero rinvia ad una rappresentazione sacra, nata intorno al III-IV sec. dopo Cristo. Il giullare, che si rivolge agli spettatori coinvolgendoli con varie tecniche, capovolge il tema sacro attraverso una chiave grottescosatirica, deridendo i potenti e denunciandone le sopraffazioni. 21 22 23 24 25 26 27 90 Deleuze, G.-Guattari, F. nell’Anti-oedipe, Paris, Les éditions de Minuit, 1972, fanno riferimento ai buchi non come luoghi di assenza, ma luoghi dove le particelle - come dicono i fisici - vanno più veloci della luce. Metaforicamente luoghi di desiderio : « Des physiciens disent : les trous ne sont pas des absences de particules, mais des particules allant plus vite que la lumière. », p. 45. Bachtin, M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare-Riso, carnevale e festa nella tradizione medioevale e rinascimento, op. cit., p. 416. Ivi, p. 432. Celestini, A., Storie di uno scemo di guerra, op. cit., p. 39-40. Celestini,A., La fila indiana. Il razzismo è una brutta storia, accompagnamento musicale D’Agostino, Matteo, trad. Bebi, Patrick, Théâtre Nationalde Bruxelles, 24 ottobre 2010. Si veda la p. 138, in Storie di scemo di guerra, op.cit. dove alla fine della narrazione tutti sono in qualche fila. Celestini parla in La Pecora nera di santi, che trasmigrano fra la chiesa e la sagrestia, e appaiono agli occhi del protagonista dei preti mascherati a carnevale. Beatrice Barbalato ed., Le carnaval verbal d’Ascanio Celestini Se alcuni aspetti di questo teatro di narrazione, di affabulazione, sono ripresi da Celestini28, tuttavia la sua postura sempre fissa, il non coinvolgere il pubblico, il non dirimere il campo fra buoni e cattivi, fra i nostri e gli altri, non permette di stabilire un’allenza diretta, e tanto meno una filiazione, non consente di andare al di là di un’appartenenza generica allo stesso tipo di teatro di Fo. Celestini dribbla il teatro brechtiano (a cui per esempio per qualche aspetto si rifà La Fabbrica nell’interpretazione di Charles Tordjman29), nel senso che supera la necessità di far cadere la quarta parete raccontando in prima persona, e sostenendo il suo ruolo di atto-autore. Né intende interloquire con il pubblico, non lo coinvolge, non vuole essere didattico. Anche quando sembra rivolgersi al pubblico non fa che ribadire il suo ordine del discorso. La giocosità che apparenta Celestini all’epica di Rabelais, è un registro che fa da contrasto alle vicende di violenza sociale che racconta. I suoi lunatici come in La Pecora nera conservano, pur nel dolore della loro condizione di reclusi, una loro leggerezza nel senso in cui ne parla Ermanno Cavazzoni30, malgrado siano vittime dell’autoritarismo delle istituzioni. 28 29 30 Anche alcune battute come ‘mio mio mio’ che Pietrasanta può pronunziare finalmente dalla finestra (Cf. : Celestini, A., Fabbrica, Roma, Donzelli, 2007, (2003), p. 9) ricordano direttamente una battuta di Mistero buffo. Celestini, A., La Fabbrica, regia di Charles Tordjman, op. cit. Cavazzoni, E. « La parola lunatico in italiano è diversa dall’inglese, che dà più l’idea del matto, in italiano il lunatico è uno che cambia opinione, uno un po’ nervoso che ha un umore che varia, non proprio matto del tutto. È un essere nella luna, che ha la mente persa. Anche per questa via di mezzo mi piaceva molto la parola lunatico, è molto bella, perché è una parola un po’ antica, una parola ancora ben conosciuta, esatta, ma non più di moda. E poi è una parola molto evocativa perché richiama sia la pazzia, sia l’umore che cambia, la varietà dell'umore, che fa sì che una persona cambi opinione velocemente, insomma non è qualcosa di fisso, ma qualcosa di inafferrabile. La parola lunatico mi è sempre piaciuta perché indica un po’ lo stato degli uomini, dell’umanità, che non sono matti, ma mezzi matti : è questa l’idea. L’idea è che la luna sia come il luogo, la capitale dei matti, dove va Astolfo dell’Orlando furioso dell’Ariosto, cavaliere mezzo matto, e anche un po’ gay, un po’ così bel bello, un po’ leggermente omosessuale, un po’ effeminato, un cavaliere che non usa la forza, ma usa le magie, ed è una bellissima figura in Ariosto. Ed è quello che cavalca proprio il cavallo alato, che è il cavallo della fantasia, va sulla luna, è il più matto dei cavalieri e quello che trova è il senno di Orlando, che è stato matto davvero, e glielo ridà. Questa idea della luna mi è sempre piaciuta molto, l’idea del lunatico che, secondo me, non è come dire un “matto“, parola più adatta ad una diagnosi medica che dà forza alla malattia. La parola lunatico può dire che la pazzia può essere una cosa transitoria, che passa attraverso la vita di tutti, ecco per questo mi è più simpatica come parola, che è più nella tradizione letteraria… ». «Un paìs de lunaticos », in « La mia Italia », INTRAMUROS (monografia a cura Barbalato, 91 B. Barbalato, Telos, in senso della fine, Le carnaval verbal d’A. Celestini 4 - Lingua impavida e gioiosa, capace di fronteggiare le tragedie della storia Scrive Bachtin che in Gargantua et Pantagruel il linguaggio non è mai neutro, come per il linguaggio parlato è sempre indirizzato a qualcuno, ha a che fare con un interlocutore, parla con lui o di lui. La struttura dialogica (come quella immaginata con la bassetta di Radio clandestina) ha anche la funzione di riportare le parole ad un parlato diretto, non gerarchizzato, in opere dove il narratore unico in scena, a rigore, dovrebbe usare lo stile indiretto quando riferisce la parola altrui. Inoltre: Più il linguaggio è ufficiale, più questi toni (lodi e ingiurie) si differenziano, perché il linguaggio riflette la gerarchia sociale instaurata, la gerarchia sociale dei giudizi (in rapporto alle cose e alle nozioni) e le frontiere statiche fra le cose e i fenomeni stabilite dalla concezione ufficiale del mondo. Ma quanto più il linguaggio è familiare e meno ufficiale, tanto più frequentemente e sostanzialmente questi toni si fondono e tanto più debole diventa la barriera fra lode e ingiuria; esse cominciano a mescolarsi in una sola persona e una sola cosa, come rappresentanti di un mondo intero in divenire. Le rigide barriere ufficiali fra le cose, i fenomeni e i valori, cominciano a mescolarsi e a scomparire. Si risveglia la vecchia ambivalenza di tutte le parole e le espressioni che racchiudono in sé l’auspicio di vita e di morte, di semina della terra e della rinascita31. È una visione da Antioedipe, di cui parlano Deleuze e Guattari32, che non riguarda il desiderio del singolo, ma un desiderio, una tensione sociale, che esprime potentemente la speranza di cambiare il mondo. « Le désir n’est jamais à interpréter, c’est lui qui expérimente »33. La machine desirante è l’inconscio non ridotto a schemi fissi, ma una sorta di boîte à outils di risorse, una fabbrica di energia34. Anche la lingua di Celestini piena di astuzie, vince su un dogmatismo linguistico. È una lingua impavida e gioiosa (in Gangantua 31 32 33 34 92 B.), op. cit., p. 16. Cf. : Cavazzoni, E., Il poema dei lunatici, Milano, Feltrinelli, 1987. A questo libro si è ispirato Fellini per il film La voce della luna, 1990. Bachtin, M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare, op. cit., p. 463. Deleuze, G. - Guattari, F., L'Anti-Œdipe - Capitalisme et schizophrénie, op. cit. Deleuze, G. - Parnet, Claire, Dialogues, Paris, Flammarion, 1977, p.115. « Reconnaitre le désir, c’est précisément remettre en marche la production désirante sur le corps sans organes, là même où le schizo s’était replié pour le faire taire et l’étouffer. Cette reconnaissance du désir, cette position du désir, ce Signe, renvoie à un ordre de productivité réel et actuel, qui ne se confond pas avec une satisfaction indirecte ou symbolique, et qui, dans ses arrêts comme dans ses misères en marche, est aussi distinct d’une régression pré-œdipienne que d’une restauration progressive d’Œdipe ». Deleuze, G. - Guattari, F., L’anti-œdipe, op. cit., p. 155. Beatrice Barbalato ed., Le carnaval verbal d’Ascanio Celestini et Pantagruel è felicemente esagerata), e si genera all’interno di usi riconosciuti e attuali della lingua (come imparare per insegnare ad esempio in Celestini), stravolta nel suo uso standard, rimessa in circolo con una nuova energia, attraverso un gioco fra regola e innovazione. È una lingua in grado di fronteggiare le tragedie della Storia : « Tutti gli atti del dramma della storia mondiale si sono svolti davanti al coro popolare che ride. Senza ascoltare questo coro non si può comprendere il dramma nel suo insieme »35. Varie tecniche in Celestini destituiscono la lingua da un tono celebrativo e codificato, e ne fanno un vero strumento di ribaltamento, capovolgimento di senso. È una lingua inventata (non riproduce l’espressione dialettale, ne riprende piuttosto le modalità, lo abbiamo già detto), generativa, piena di salti di palo in frasca (almeno così vuole apparire). Una lingua che vuole ricreare il mondo, proprio come scrive Bachtin per Rabelais : In un’epoca di sfaldamento totale dell’assetto gerarchico del mondo e di costruzione di un nuovo ordine, mentre si stavano rimodellando ex novo tutte le vecchie parole, cose e idee, il coq-à-l’âne36, come forma capace di liberarle temporaneamente da ogni legame semantico, come forma del loro libero svago, veniva ad assumere un significato fondamentale. Era una sorta di carnevalizzazione del linguaggio che liberava dalla serietà grave e unilaterale della concezione ufficiale del mondo, dalle varietà correnti e dai punti di vista comuni. Questo carnevale verbale liberava la coscienza umana dalle secolari catene di concezione medioevale del mondo, preparando una nuova sensata serietà37. La distruzione della gerarchia verbale è una modalità linguistica dei lavori di Celestini. Il padrone, i padroni di Fabbrica, il gerarca, non si esprimono differentemente dagli operai. Questo traghettare fra codici linguistici diversi, riportati interclassisticamente al discorso orale, sfuma come in una dissolvenza i confini delle categorie, deterrorializzandole. Questo passaporto linguistico, tuttavia, non affranca i sottomessi dalla loro condizione. Inoltre i confini fra sacro e profano sono infranti, cosí come la distinzione fra classi sociali. Le funzioni di luoghi o di persone sono sovvertite. La vita e la morte si interscambiano: 35 36 37 Bachtin, M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare-Riso, carnevale e festa nella tradizione medioevale e rinascimento, op. cit., p. 523. In italiano: saltare di palo in frasca. Le coq-à-l’âne è un modo di dire riferito ad una serie di frasi, di battute messe insieme senza un legame logico fra di loro. Bachtin, M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare, op. cit, p. 469. Il corsivo è mio. 93 B. Barbalato, Telos, in senso della fine, Le carnaval verbal d’A. Celestini Certe volte co’ l’altri ragazzini ce l’andavamo a guardare dal campanile quel cimitero burino, ma ci andavamo solo per respirarci l’aria buona e verso i lumini del camposanto ci buttavamo soltanto l’occhio, ce lo smicciavamo con un miscuglio di pietà e distrazione come uno guarderebbe un acquario di pesci morti.[...] Il Verano è una robba grossa, è il quartiere con le strade in mezzo e per raccapezzarci ci vuole una carta geografica... il mappamondo. E poi la guerra l’ha trasformato in una cosa viva. O forse ha trasformato Roma in una robba morta. Mo’ la città che sta costruita attorno di notte è più silenziosa di questo sterminato camposanto. Mo’ i cristiani stanno più zitti dei morti e il brulichio delle lucette in mezzo alle tombe pare l’unica cosa viva, come se i morti potessero permettersi di non rispettare il coprifuoco,di non tacere manco davanti al nemico che ascolta. I morti si prendono la rivincita e festeggiano senza paura dei bombardamenti, lasciano tutto acceso pure di notte e trasformano il Verano in una casbah di lapidi38. 5 - Il pensiero circolare Celestini attore e autore adotta un dispositivo linguistico e prossemico che favorisce la presenza fantasmatica dell’altro : « La conscience de soi n’est possible que si elle s’éprouve dans le contraste»39. In una polarità di un io e di un tu, si instaura un processo di comunicazione. L’uomo ricco d’astuzie raccontami, o Musa, che a lungo/ errò dopo che ebbe distrutto la rocca sacra di Troia ; / di molti uomini le città vide e conobbe la mente, / molti dolori patí in cuore sul mare, / lottando per la sua vita e pel ritorno dei suoi40. Omero si rivolge nel suo presente ad una musa per raccontare la storia di Ulisse. Vi è la stessa ouverture nell’Iliade (Cantami, o diva, del divino Achille). La stessa mise en scène accompagna i poemi eroicomici. L’epica, la lirica, incorniciano il passato nell’attualità del raccontare41. Questa scena dialogante dell’inizio accompagnerà in filigrana il lettore, e il poeta narratore porte-parole della musa sarà in grado di farsi mimeticamente portavoce di altri protagonisti. 38 39 40 41 94 Celestini, A., Storie di uno scemo di guerra, op. cit., p. 28-29. Benveniste, É., « La nature des pronoms », in Problèmes de linguistique générale, op. cit., p. 252. Diversi capitoli sono dedicati in questa opera da Benveniste alla tipologia dell’uso dell’io, pronome personale, che include secondo Charles Morris ricorda Benveniste -, non solo il segno, ma colui che ne fa uso. Omero, Odissea, trad . Rosa Calzecchi Onesti, Torino, Quaderni RAI, 1968, Canto I, vv 1-5. « chi non capisce il presente non ha passato », Celestini, A., Fabbrica, op. cit., p. XIX. Beatrice Barbalato ed., Le carnaval verbal d’Ascanio Celestini Celestini nei suoi lavori ha il ruolo di atto-autore (ciò che non può accadere nelle traduzioni e trasposizioni) che figura sulla scena un alterego o un destinatario (in Fabbrica attraverso la madre che riceve le lettere ; in Radio clandestina, la bassetta, in La Pecora nera, l’io doppio, schizofrenico di Nicola, lo si è già detto, ecc.). Questo è lo scenario in cui si srotola il racconto, dove date e luoghi sono menzionati con riferimenti precisi, per impedire che i fatti vengano percepiti come irreali. Fabbrica è per antonomasia una fabbrica durante il XX secolo. I giganti operai della prima parte interpretano una visione da realismo socialista dell’uomo-operaio. La collocazione in uno spaziotempo indeterminato degli avvenimenti raccontati non impediscono di andare con la memoria a situazioni concrete, malgrado il racconto non possa essere ingessato come fatto isolabile nella cronaca, né si incastoni in una Storia già scritta. La traiettoria circolare di Storie di uno scemo di guerra, la descrizione topografica di vari luoghi in Fabbrica (l’alto forno, la casa inquietante e misteriosa del padrone, il pozzo, la spianata macabra col pero) permettono di risalire a nostre esperienze analoghe, smarginate42 nella nostra memoria, ai bordi. Inoltre, la cronaca riportata in scena in inserti con la voce diretta, registrata, di alcuni protagonisti (come lo struggente ascolto della voce di Nino, papà di Ascanio) invece di ricondurci al genere della cronaca e dell’attestazione della verità, porta all’evocazione, ad una specie di oracolarità, autorità infallibile, che segnala la strada maestra. Tutto il contrario dalla falsa immagine-verità, così sfruttata dai media : « L’image n’est plus là que pour donner du poids au commentaire, pour occuper les yeux »43. Le immagini nella nostra contemporaneità sono diventate un puro supporto a discorsi già fatti. Il sogno dello storico di avere degli archivi allo stato primordiale, di pura fonte, è totalmente smentito dallo stato delle cose. Nel lavoro di Celestini è proprio la fonte che delocalizza la verità intesa come riconducibile ad un puro mostrare, dimostrare la sua oggettività. Le evidenze non hanno bisogno di dimostrazioni (come l’eccidio delle Fosse ardeatine, o l’entrata degli americani a Roma, o la realtà delle fabbriche). È importante, invece, attivare la memoria, la percezione emotiva dei fatti. Si tratta di una memoria affettiva e non tanto di una 42 43 Sul concetto di stare ai bordi, ai margini, cf. : Bene, C. – Artioli, Umberto, Un dio assente-monologo a due voci sul teatro, Milano, Ed. Medusa, 2006, p. 94 ; e Derrida, Jacques, Marges de la philosophie, Paris, Editions de Minuit, 1972. Bourdon, Jerôme, « L’Historien devant l’audiovisuel. Préambules méthodologiques », in Image et histoire. Actes du colloque de Paris-Censier, Mai 1986, in Sources. Travaux historiques, Paris, Publisud, 1987, p. 79. 95 B. Barbalato, Telos, in senso della fine, Le carnaval verbal d’A. Celestini memoria intellettuale44, che ha a che fare col sentire e ri-sentire della gente, ciò che si è voluto o potuto cogliere non solo al momento dei fatti, ma nell’après-coup45. Lo spazio-tempo della memoria non ha a che fare con la cronologia dello storico e neanche con dei metodi strettamente scientifici antropologici e sociologici. Ciò non vuol dire che il lavoro di Celestini sia asistematico : al contrario destabilizza le funzioni rigide frutto di idee figées intorno alla cronaca, alla storia, ai simboli, per stimolare a leggerli in un ordine nuovo. Come le voci dal vivo che non sono inserite per supportare nessun discorso confezionato, ma al contrario parlano della e alla nostra memoria sensibile. 6 - “Spaziale” La narrazione su scena è scarna : Celestini su una sedia non si muove, racconta. Il mondo che evoca ha spazi non stanziali, è nomade, in movimento, va verso altri luoghi, si trasforma. Gli spazi ai quali rinvia sono deterrorializzati, proprio nel senso indicato da Deleuze e Guattari46. Si tratta di spazi da cui si esce (che sono sempre a un certo punto disabitati deterritorializzati), e dove i personaggi come i nomadi vivono in dei tragitti, in degli intermezzi, in degli entre-deux47. Nelle opere di Celestini non troviamo alcuna stanzialità, né temporale, né spaziale. Né alcun discorso diventa una parola d’ordine. Come ricorda Foucault48 le parole d’ordine passano rapidamente a ordini muti, e viceversa. La fabbrica è un mondo a parte - scrive Celestini - e ci vuole una lingua diversa per poterlo raccontare. Marco, lo sloveno che fa il capoturno alla ferriera di Servola, ogni volta che si trova a dover raccontare qualcosa che supera i limiti della normalità dice “spaziale”. Sia quando si tratta di una 44 45 46 47 48 96 Jean Pierre Vernant ha scritto che a seconda delle diverse epoche e di diverse culture vi è solidarietà fra la pratica di tecniche di memorizzazione, l’organizzazione interna di questa funzione « sa place dans le systhème du moi et l’image que les hommes se font de la mémoire ». Vernant, Jean Pierre, Mythe et pensée chez les Grecs. Etudes de psychologie historique, Paris, François Maspero, 1965, p. 51. Sull’après-coup, il post-traumatico : Cf. : Bollas, Christofer, 2006, « Les transformations amenées par l’inconscient. Créativités de l’inconscient. Christofer Bollas répond aux questions de Vincenzo Bonaminio », EPF Bulletin 60, 22 oct. 2006; e Heenen-Wolff, Susann, « Petite métapsychologie de l’écoute analytique », Carnets PSY, n° 131, 2008. Deleuze, G. - Parnet, C., Dialogues, op.cit., p. 163-176. Deleuze, G. - Parnet, C., Mille plateaux - Capitalisme et schizophrénie, Paris, Ed. du Minuit ,1980. Cf. in particolare la p. 471. Foucault, Michel, L'Ordre du discours (leçon inaugurale au Collège de France, 1970), Gallimard, Paris, 1971 Beatrice Barbalato ed., Le carnaval verbal d’Ascanio Celestini cosa molto bella, sia quando si tratta di una situazione drammatica. “Spaziale” è ciò che non si può raccontare. Qualcosa che rischia di perdersi prima di arrivare a un’elaborazione completa. Ho cercato di riportarla verso un racconto epico come nei racconti della lotta partigiana. Ho cercato nel patrimonio della letteratura orale, nelle fiabe e nelle leggende. Ma una parola che non esiste ancora in forma di parola, forse, non deve essere detta. Deve restare ai margini del dicibile . È lontana come la Rivoluzione russa per l’operaia della lettera “16 marzo 1974”. È “spaziale”49. In Storie di uno scemo di guerra siamo a Roma il 4 giugno 1944, i luoghi evocati raccontano di episodi reali (come il rastrellamento del Quadraro), eppure rinviano anche a mille episodi analoghi. In Fabbrica con i suoi spazi-ventre, i personaggi sono mentalmente e fisicamente sempre di passaggio da un luogo all’altro, sul limitare. In La Pecora nera il protagonista schizofrenico - e già doppio, dunque -, esce per andare al supermercato e facendoci osservare con i suoi stessi occhi il mondo “normale” esterno, finisce col farcelo apparire più pazzo di questo protagonista disturbato. Il suo essere per antonomasia un altro ciò che è escluso, ex-clausus - un essere fuori dal sé, singolarizzato -, permette di guardarsi intorno con nuovi occhi. La tecnica del capovolgimento a cui si è accennato ha qui il suo pieno dominio. La morte entra nella vita attraverso la trasmissione dei nomi (si veda Fausto nella Fabbrica), i vivi che sanno di essere continuatori del morto (“Il vivo porta il morto”). Ho trovato quasi le stesse parole - les morts sont nos enfants -, nel racconto autobiografico di Adolphe Nysenholc, uno dei bambini ebrei nascosti da famiglie belghe, i cui genitori sono stati sterminati. « Quella notte [...] Léa è venuta in me per reclamare di vivere. Ero gravido di mia madre. Mi chiedeva di darla alla luce, di riparare alla sua morte. Testarda, mi dava dei colpi da montone, dall’interno. Parlava la mia voce, vedeva con i miei occhi »50. 7 - Capovolgere il tempo Questo è anche il tempo capovolto di Ascanio Celestini, che non evolve nel senso di una vera e propria cronologia, ma in un 49 50 Celestini, A., Fabbrica, « Nota introduttiva », in Racconto teatrale in forma di lettera, Roma, Donzelli, 2007 (2003), p. XII. « Cette nuit là […] Léa est venue en moi réclamer de vivre. J’étais gros de ma mère. Elle me demandait de lui donner le jour, de réparer sa mort. Têtue elle me donnait férocement des coups de bélier de l’intérieur. Elle parlait de ma voix, elle voyait par mes yeux .», Nysenholc, Adolphe, Bubelè, l’enfant à l’ombre, Paris, L’Harmattan, 2007, p. 126 (penultimo paragrafo della narrazione). 97 B. Barbalato, Telos, in senso della fine, Le carnaval verbal d’A. Celestini dispiegamento temporale ciclico che riporta alla centralità del narratore e della narrazione. Del vissuto come un telos. La nostra attenzione viene indirizzata verso azioni che implicano una compartecipazione suscettibile di generare altre azioni soprasegmentate da un filo rosso di tic, ripetizioni, immagini ricorrenti. Il superfluo (ciò che appare nella narrazione come al di là del necessario) diventa il nesso stesso del raccontare. Ciò che dovrebbe (secondo canoni standard) stare fuori dalla storia costituisce l’essenza del racconto, rivelando e mettendo a nudo così il funzionamento del raccontare, e cioè che ciò che conta non è il cosa, ma il come. Questo spazio-tempo, questo cronotopo, non si basa su uno spazio e un tempo sdoppiato fra un dentro e un fuori, come accade in molti romanzi o pièces teatrali a carattere psicologico. Non vi è la storia / Storia e chi pensa. L’io come dice Benveniste « est ’ego’ qui dit ego »51, e ricordando Charles Morris sottolinea che l’io non è solo segno, ma proprio colui stesso che ne fa uso. Il protagonista-narratore coincide con ciò che dice. La mancanza di tratti psicologici, di cui anche Benjamin parla ne Il narratore52, evita di marcare una singolarizzazione, una connotazione, una figurazione concreta. Foucault ricorda ne L’herméneutique du sujet che Seneca riflette su un’esistenza « ponctuelle dans l’espace, ponctuelle dans le temps ». Niente a vedere con l’arcana conscientiae del cristianesimo53. Il dentro del soggetto per gli stoici doveva essere sistematicamente curato (cura te stesso ricorda Foucault era tanto importante come il più conosciuto motto conosci te stesso) e rapportato costantemente al suo fuori. Nessuno sdoppiamento, dunque, fra il tempo pensato dal soggetto e il tempo della sua storia, cioè della sua vita. Così l’opera di Celestini non propone un cronotopo interno al raccontatore, dissociato dal suo fuori. Il principio della cronotipicità dell’immagine letteraria per la prima volta è stato scoperto con tutta chiarezza da Lessing nel suo Lacoonte (Laokoon). Egli stabilisce il carattere temporale dell’immagine letteraria. Tutto ciò che è statico-spaziale deve essere descritto in modo non statico e trascinato nella 51 52 53 98 Benveniste, É., Problèmes de linguistique générale, op. cit., p. 260. Benjamin, Walter, «Le narrateur. Réflexions sur l’œuvre de Nicolas Leskov», in Essais 2- 1935-1940, (trad. dal tedesco di De Gandillac, Maurice), Paris, Denöel et Gontier, 1983/1971. Frankfurt 1955. Foucault, M., L’herméneutique du sujet - Cours au Collège de France, 1981-1982, Hautes Etudes. Paris, Gallimard-Seuil, 2001, pp. 266-267. Beatrice Barbalato ed., Le carnaval verbal d’Ascanio Celestini serie temporale degli eventi raffigurati e dello stesso raccontoraffigurazione54. Nella cultura del mondo antico55 non venivano individualizzati interiormente i personaggi, non ci si avvaleva di un tempo parallelo fra l’io interiore e l’io esterno. Così Lessing porta come esempio fra altri i versi dell’Iliade dove la bellezza di Elena è descritta attraverso le osservazioni dei venerabili vecchi che dicono fra di loro che non bisogna stupirsi che Troiani e Greci abbiano sofferto per una tale bellessima donna56. La stessa immagine riflessa riceviamo di Fausto e dei Fausti che si susseguono per generazioni in Fabbrica, del soldato tedesco in Storie di uno scemo di guerra, la cui macchia rossa sul suo viso la troviamo anche in Giubileo. Una metodologia dello scambio e della trasmissione di un io multiplo che permette ad altri interpreti di riprendere come staffette il testimone. 54 55 56 Bacthin, M., Estetica e romanzo, Torino, Einaudi, 1979, p. 398. Generalmente fino al romanzo ellenistico, come L’asino d’oro di Apuleio. Lessing, Gotthold Ephraim, Laocoon, presentazione di Bjalostocka, Jolanta, Paris, Hermann, 1964, p. 116-117. Lessing si riferisce ai versi 156-158 del canto III. (1° ed.. 1766). 99