rivista bancaria - Minerva Bancaria

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RIVISTA BANCARIA
www.rivistabancaria.it
MINERVA BANCARIA
ISTITUTO DI CULTURA BANCARIA «FRANCESCO PARRILLO»
Luglio-Agosto 2009
Tariffa Regime Libero:-Poste Italiane S.p.a.-Spedizione in abbonamento Postale-70%-DCB Roma
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RIVISTA BANCARIA
MINERVA BANCARIA
ANNO LXV (NUOVA SERIE)
LUGLIO-AGOSTO 2009 N. 4
SOMMARIO
G. DI GIORGIO
S. FATICA
R. FIORI
F. PIERSANTE
N. LINCIANO
Editoriale - Prima della grande crisi:
gli strumenti inadeguati della FED
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Competition in the Italian banking system:
some new empirical evidence
»
7
Contributi
Assicurazione dei depositi, altre reti
di sicurezza finanziaria e la crisi:
problemi generali e il caso italiano
»
41
»
77
Saggi
Rubriche
Un approfondimento sul mercato dei credit default swap (F. Farabullini)
Grandi banche internazionali: la crescita dimensionale
non è più una priorità (S. Carletti)
»
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Attualità di Ernesto d’Albergo (g.p.)
»
99
»
103
Abstract/Sintesi
Presidente del Comitato Scientifico: Giorgio Di Giorgio
Direttore Responsabile: Giovanni Parrillo
Comitato di redazione: Eloisa Campioni - Mario Cataldo - Domenico Curcio - Vincenzo
Formisano - Pina Murè - Giovanni Scanagatta - Giovanpietro Scotto di Carlo
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Editoriale
PRIMA DELLA GRANDE CRISI:
GLI STRUMENTI INADEGUATI DELLA FED
Nell’agosto 2007 la crisi dei mutui subprime USA fa emergere una improvvisa carenza di liquidità nel mercato bancario mondiale e richiede immediati e massicci interventi da parte delle banche centrali. È l’inizio di quella spirale di eventi drammatici che ha coinvolto il sistema finanziario internazionale e che si è ormai trasferita pienamente all’economia reale, portando i maggiori paesi industrializzati in recessione nel 2009 e frenando il percorso di crescita dei maggiori paesi emergenti.
Allo scoppio della crisi, la Federal Reserve inietta ingenti risorse attraverso lo
strumento ordinario (e generalmente appropriato) di finanziamento del
settore bancario, le operazioni di mercato aperto, e contestualmente inizia una
rapida manovra di riduzione dei tassi, che culmina nel dicembre 2008 con la
decisione di azzerare il tasso nominale di interesse sui federal funds (più
precisamente di individuare in una forbice tra 0 e 25 punti base il tasso target sui federal funds).
La risposta della BCE è ancora più intensa, in termini di quantità di liquidità temporanea immessa. I tassi europei non vengono all’inizio toccati,
coerentemente con il mandato anti-inflazionistico dettato dal trattato di
Maastricht (e sulla base del quale vengono esplicitamente giudicati i banchieri centrali europei): le aspettative di aumento dell’inflazione, sostenuta da una
dinamica pericolosamente vivace dei prezzi delle materie prime e dei beni alimentari, erano ancora forti. Addirittura la BCE, in quello che viene indicato da molti come un serio errore di policy, aumenta, a distanza di un anno dall’inizio della crisi (e poco prima del fallimento di Lehman), i tassi di 25 punti base, salvo ripiegare rapidamente poco dopo, e iniziare un percorso di riduzione graduale ma incisiva che porta all’attuale livello del 1% i tassi di intervento.
In questo editoriale, sosterrò la tesi, fuori dal coro, che la risposta immediata della BCE, nei limiti espressi dal suo mandato, è stata più appropriata
ed efficace di quella della Riserva Federale, anche e soprattutto per via della
disponibilità di strumenti più adeguati. Vengo immediatamente al punto. La
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GIORGIO DI GIORGIO
strategia di politica monetaria della FED si basa sul targeting di un obiettivo operativo, il tasso desiderato sui federal funds, per l’appunto, che può essere controllato e influenzato attraverso opportune manovre degli strumenti a disposizione da parte della banca centrale americana. Questi strumenti
sono la riserva obbligatoria, il finanziamento allo sconto e le operazioni di
mercato aperto. Tralasciando il primo, che ha natura più strutturale, il finanziamento allo sconto e le operazioni di mercato aperto hanno caratteristiche
molto diverse.
Il finanziamento allo sconto è concesso individualmente a un gran numero
di banche commerciali in qualche modo regolamentate e/o vigilate dalla
FED. È a volte definito come finanziamento di “ultima istanza” in quanto
rivolto (in particolare il cosiddetto “credito secondario”) a banche che hanno difficoltà a finanziarsi sul mercato (magari in quanto prive di attività liquide da fornire a garanzia). Per questo motivo, è più caro del finanziamento interbancario standard (prima dell’inizio della crisi 100 punti base in
più del fed fund rate), ma accordato a rubinetto purché garantito da un set ampio di strumenti finanziari accettato a garanzia (collateral). Queste caratteristiche, e il fatto che venga fornito su richiesta individuale, lo rendono scarsamente appetibile a banche presenti strutturalmente sul mercato interbancario, in quanto il suo utilizzo segnala pubblicamente uno stato di difficoltà che
può tornare a svantaggio del richiedente nell’approvvigionamento successivo di fondi (in termini di tassi più elevati richiesti dai finanziatori sul mercato libero). Nel caso europeo, uno strumento analogo è il rifinanziamento
marginale.
Le operazioni di mercato aperto venivano condotte, per tradizione negli
USA, dalla Fed con un numero molto limitato di controparti (20, i cosiddetti primary dealers) in gran parte costituiti da banche di investimento e rilevanti società di intermediazione mobiliare. Queste operazioni hanno la caratteristica di essere “anonime” in quanto condotte su base d’asta, e di richiedere come titoli a garanzia del finanziamento concesso un set molto limitato, e di alta qualità, di titoli mobiliari. I primary dealers avevano poi il
compito di ricanalizzare la liquidità immessa dalla FED alle proprie controparti, operando sul mercato interbancario. È ovvio che questa struttura, nei
primi mesi della crisi, e fino all’introduzione di nuove “facilities” ha severamente impedito alla Fed di fornire in modo efficace liquidità al mercato, mantenendo troppo a lungo elevati i tassi sull’interbancario. Infatti, le singole banche, riluttanti ad accedere al finanziamento allo sconto per i problemi reputazionali connessi, hanno avuto da penare per ottenere liquidità dai prima4
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PRIMA DELLA GRANDE CRISI: GLI STRUMENTI INADEGUATI DELLA FED
ry dealers. In un contesto di carenza complessiva di liquidità e incertezza sulla qualità dei titoli in portafoglio, questi erano naturalmente riluttanti a ricanalizzare la liquidità ottenuta dalla Fed alle banche. Inoltre, l’elevata
qualità richiesta come collateral per accedere al finanziamento in asta poneva un vincolo esplicito all’ammontare di risorse effettivamente erogabili.
In Europa, invece, le operazioni di mercato aperto risentono di una forte struttura federale che delega alla “periferia”, ossia alle banche centrali nazionali,
molte delle funzioni operative di central banking. In particolare, potenzialmente circa 2.500 banche possono finanziarsi anonimamente in asta, e utilizzare una ampia gamma di titoli a garanzia del finanziamento ottenuto. Ovviamente, nonostante queste maggiori potenzialità, come conseguenza indiretta delle turbolenze bancarie americane e delle esposizioni incrociate cross
border, anche il mercato interbancario europeo è stato rapidamente e severamente colpito.
La Fed ha dunque reagito introducendo un ampio set di nuovi strumenti
“provvisori” di gestione della liquidità bancaria, dalle Term Auction Facilities, in sostanza operazioni di mercato aperto rese accessibili alle banche
(da dicembre 2007), alla Primary Dealers Credit Facility, con cui poter finanziare allo sconto (e quindi anche su collateral meno pregiato) i primary
dealers (da marzo 2008, nell’ambito del programma di salvataggio di Bear
Sterns). E poi ancora con la Term Security Lending Facility, attraverso la quale scambiare (a tempo) titoli di stato nel bilancio della Fed con titoli “illiquidi”, le nuove facilities di finanziamento a fronte di commercial papers o
ABCP e via dicendo.
Credo sarà utile per il futuro mantenere questa maggiore flessibilità, o riformare del tutto gli strumenti tradizionali del discount lending e delle operazioni di mercato aperto negli USA, prendendo spunto dalla più recente costruzione monetaria nell’area dell’Euro. In effetti, il framework operativo della
BCE sembra già esser diventato una sorta di benchmark a cui ispirare l’azione riformatrice oltreoceano. Anche la recente decisione di remunerare le riserve in eccesso (ottobre 2008) mira di fatto a instaurare negli USA la logica del “corridoio” ufficiale dei tassi in uso nell’Eurosistema. E d’altronde, il
neo confermato Chairman della FED, che è stato tra i principali sostenitori
a livello teorico dell’adozione di un regime “flessibile” di inflation targeting,
giustamente considera il “corridoio” uno strumento utile ed efficace.
Al di là delle sempre maggiori somiglianze nel framework operativo, tra
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GIORGIO DI GIORGIO
BCE e FED, la vera sfida che rimane, per entrambe le banche centrali, è riuscire a trovare come conciliare gli obiettivi, a volte in tensione reciproca, di stabilità dei prezzi e stabilità finanziaria, per limitare quanto più possibile il ripetersi di crisi sistemiche come quella da cui speriamo di uscire il prima
possibile. Da un punto di vista istituzionale, l’approfondimento ulteriore delle relazioni con le autorità di regolamentazione e vigilanza sui mercati e
sugli intermediari sarà fondamentale. L’estensione (e l’implementazione
empirica) del modello standard adottato negli ultimi dieci anni come framework teorico di riferimento a fini di controllo monetario1 a scelte di portafoglio complesse e mercati finanziari imperfetti è il progetto di ricerca prioritario a cui decine di economisti, accademici e nelle banche centrali, stanno lavorando.
Giorgio Di Giorgio
1 Si tratta di un modello dinamico di equilibrio generale stocastico con concorrenza monopolistica e rigidità
nominali, ben spiegato ad esempio nella rassegna di Clarida, Galì e Gertler sul Journal of Economic Literature del 1999 o nel volume Interest and Prices di M. Woodford, Princeton University Press, 2003.
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EDITORIALE