L`universale frarealtàefinzione

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L`universale frarealtàefinzione
Cultura e spettacoli
giovedì 22 novembre 2012
laRegioneTicino
28
di Claudio Lo Russo
Ieri a Castellinaria è stato
presentato ‘L’intervallo’
di Leonardo Di Costanzo,
un film italo-svizzero prodotto
anche da Rsi e Amka Films.
Bello e duro, ambientato alla
periferia di Napoli, racconta
una giornata diversa di due
adolescenti; una reclusa,
l’altro carceriere.
Un film che sa guardare la
propria realtà, ci dice il regista,
‘come una manifestazione
di problematiche universali’
«Oggi il documentario cerca sempre più
di ‘finzionare’ la realtà, c’è troppa attenzione all’idea di coerenza narrativa.
All’inizio vedevo questo come una grande opportunità, oggi, come un limite per
le sue possibilità di infilarsi nelle pieghe del reale. Credo che nel documentario ci sia una difficoltà nel raccontare,
più di quanto non possa fare la finzione, dove c’è una coscienza critica che ha
un’idea, fa una ricerca sul campo e la
scrive, assumendosene completamente
la responsabilità. Quello del documentario invece è un problema etico, di rappresentatività, spesso le persone vengono usate per raccontare delle storie che
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sono una proiezione di chi racconta».
Mentre in Italia si riduce sempre più
lo spazio per ciò che non è commedia di
evasione, L’intervallo rivela che c’è ancora chi crede in progetti diversi. Ne è
convinto Di Costanzo: «Soprattutto nella nuova generazione ci sono produttori
disposti a osare di più, perché hanno
smesso di avere come riferimento solo
l’Italia. Spesso i film vengono coprodotti,
c’è sempre più l’esigenza di confrontarsi
con altre realtà. Per me è importante avere un campo più aperto, non parlare solo
al mio vicino».
Infatti, il discorso si fa inevitabilmente anche creativo: «Da sempre, da quan-
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Stasera
a Castellinaria
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L’universale
fra realtà e finzione
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«Napoli per me è solo un posto in cui le
cose si vedono più chiaramente». Leonardo Di Costanzo la vede così. La sua
città o il cinema sono i contenitori, l’epidermide, la sostanza va cercata molto
più in profondità. Non si trova nella
particolarità di un luogo o di un linguaggio, ma nell’universalità delle dinamiche cui vuole dare corpo. Il regista
italiano ce ne ha parlato ieri a Castellinaria, dove ha presentato il suo L’intervallo, arrivato anche nelle sale ticinesi.
Il film è una coproduzione italo-svizzera fra Tempesta, Amka Films e Rsi, interpretato da due giovani esordienti,
Francesca Riso e Alessio Gallo, e vincitore di sette premi alla ultima Mostra
del cinema di Venezia.
L’intervallo innanzitutto dimostra
come con poco (un budget di poco più di
un milione di euro) si possa fare molto,
in termini di qualità e umanità. Alla periferia di Napoli, il film racconta la giornata diversa di due adolescenti, Salvatore e Veronica; lui guardiano, lei prigioniera. Veronica ha sfidato le regole
dei clan frequentando un ragazzo di un
quartiere nemico. Salvatore è solo un
venditore di granite ambulante costretto a sorvegliarla. Prigionieri entrambi,
la loro giornata scorre all’interno di un
enorme collegio abbandonato (nella realtà il terribile e suggestivo ex ospedale
psichiatrico), in attesa dell’arrivo del
boss della zona. Un film bello, intenso,
duro, senza mai sforzarsi di essere tale.
Non un film sulla camorra, specifica il
regista: «Il centro è la relazione fra i due
ragazzi, la ragione che li tiene lì dentro è
un artifizio narrativo».
Leonardo Di Costanzo, 54 anni, è al
primo lungometraggio dopo anni di documentari e di insegnamento per gli
Atelier Varans di Parigi, anche in diversi Paesi in via di sviluppo in Africa, Asia
e Sud America. Perché ha aspettato tanto per passare alla finzione? «Ero convinto che avrei continuato a fare documentari per tutta la vita. Ma a un certo
punto mi sono reso conto che con il documentario non riuscivo più a soddisfare le
mie esigenze di racconto».
Che cosa offre in più la finzione?
ore 18.15
Appartamento ad Atene
di Ruggero Dipaola,
con Laura Morante
(Italia, 2011)
alla presenza del regista
ore 20.45
La mer à l’aube
di Volker Schlöndorff,
(Francia/Germania, 2011)
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do faccio documentari, ho cercato di raccontare la realtà che
abito, che conosco, cercando di guardarla
con un occhio partecipato ma distante.
L’occhio di chi la vede
non solo nella sua
particolarità, nel suo
folclore, ma come una manifestazione
particolare di problemi universali».
Il lavoro più lungo, per Di Costanzo, è
stato trovare i due attori, bravissimi,
due ragazzi senza nessun passato di recitazione. Un percorso che è anche metodo, iniziato un anno prima con la selezione di 12 giovani fra 250: «Essendo basato tutto su loro non potevo sbagliare. È
una questione istintiva, si avverte una
disponibilità a mettersi in gioco». Dopo
un primo laboratorio, Di Costanzo ha
visto altri 50 ragazzi prima di trovare
Alessio. Poi un’altra sfida, rendere il
tutto vero: «Abbiamo iniziato a lavorare
sulla sceneggiatura, scritta in italiano.
Sono stati loro a scegliere il linguaggio
che aderisse meglio alla loro cultura, al
© Riproduzione riservata
loro quotidiano».
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«Una regia cruda e brillante!»
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«In questo film Pitt è il massimo.»
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DAL 22 NOVEMBRE AL CINEMA
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