la figura del cavaliere nelle pagine di calvino
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la figura del cavaliere nelle pagine di calvino
Giuseppe Ceddia (“BariSera” – 26 Luglio 2010) LA FIGURA DEL CAVALIERE NELLE PAGINE DI CALVINO Chiara Lacirignola Italo Calvino e i cavalieri fantastici Stilo editrice pagg.157 - €15 In lontananza vediamo un cumulo di polvere, man mano si avvicina, ci sembra di scorgere un cavallo al galoppo, poi un’armatura, un elmo, i lineamenti dell’uomo che cavalca sono tesi, concentrati, sono i tratti del condottiero ma anche dell’insicuro, si muove costantemente col suo cavallo sulla strada. Si muove ma è leggero, quasi cavalcasse su una nuvola, ormai è vicino, ora possiamo vederlo, è un cavaliere nella sua armatura lucente, è il paladino dei tempi perduti, è la simbologia eterna della battaglia per la giusta causa, è la dignità che s’impossessa dell’atto della conquista, feticcio danzante contro la collera umana da domare, è figlio dei tempi andati, è stato sulla luna a cercare il senno perso di un collega, ha combattuto i mulini a vento pensando fossero agitati giganti, con a fianco un grottesco scudiero, si è perso nei labirinti fantastici del (sur)reale, si è diviso in due, metà giusto e metà gramo, ha vissuto sugli alberi scoprendosi dal panno sporco della realtà, è sparito, poi ha mischiato i tarocchi in sensi uguali e contrari e ha deciso le nostre vite, è andato sulla luna ancora una volta e ha fatto stringere la mano a scrittori di epoche assai diverse, Cervantes ha presentato Ariosto a Calvino e i due son diventati amici, bardi pensanti e creativamente incastonati nel vivere quotidiano, buio e orrendo della crisi dell’intellettuale. Salvarono il reale cospargendolo di polverina magica al sapore di fantastico, al gusto speciale della mitizzazione sincera. Mentre eran seduti a tavola arrivarono altri ospiti, arrivò Queneau in abito da sera cosparso di fiori blu, arrivò un argentino quasi cieco di nome Borges con un labirinto come collana, vedeva più degli altri e come un timoniere decideva rotte e terre nuove da esplorare, coinvolgendo tutti nell’assurdo viaggio alla ricerca del magico reale, fratello del realismo magico sudamericano o italiano (Bontempelli in primis). C’erano una volta i cavalieri, bellimbusti virili e innamorati, deboli e lucidamente folli, sinceri e trasparenti, dinamicamente statici e pesantemente leggeri, occhi di fuoco e lacrime, draghi da abbattere e fanciulle da conquistare, realtà da cambiare e illusioni da rincorrere. Italo Calvino ha destrutturato la figura del cavaliere e, prendendo a braccetto Orlando e Don Chisciotte, ha reinventato nella modernità il ruolo dello stesso. Ha cercato un’altra via per la risoluzione della crisi dell’intellettuale, discostandosi da certo (neo)realismo e battendo la strada del fantastico, del magico, del gioco, dell’uomo che sa farsi anche bimbo curioso di scoprire l’innominabile, l’indicibile. Ha riletto Ariosto e ci ha parlato dei nostri antenati che erano dimezzati, rampanti e inesistenti, giusti padri del moderno uomo-specchio frantumato, svuotato d’identità e coscienza critica, ha narrato di cosmici cavalieri dal nome alieno che giocano nel contesto spazio-temporale, ci ha fatto entrare in castelli e taverne dove la pazzia dell’intreccio infinito tra anime rende vana l’identità del singolo, che ritrova se stesso ma anche un altro sé, uguale e contrario, vita, morte e resurrezione del piccolo uomo moderno, con l’aiuto di una guida cieca, Virgilio-Borges del disegno laoocontico dominato dal caos-caso, ha esplorato i meandri della neo-selva attorcigliatasi su se stessa ormai. Ecco allora che il libro di Chiara Lacirignola, classe 1982, edito da Stilo, prefazione di Daniele Maria Pegorari, dal titolo assai esplicito Italo Calvino e i cavalieri fantastici, va letto per vari motivi, ma essenzialmente perché unisce a una scrittura semplice e chiara (guarda caso il nome dell’autrice) un disegno assai concretamente abile di spiegazione della figura del cavaliere nelle varie epoche letterarie, tracciando un iter ben piantato per terra, per quello che il tema trattato può concedere, tema aduso ad alzarsi dal suolo per volare nel cielo del fantastico. Altro merito che il volume racchiude in sé è la presa d’atto che può esser letto anche da chi non conosce affatto Calvino, il libro si legge come fosse pane quotidiano delle nostre letture, scorre e si fa portavoce di una ricerca semplice ma completa sul tema, i brani in appendice (tratti dalle opere di Calvino) sono poi ausilio corretto per meglio comprendere la parte saggistica dell’autrice. Per Calvino, dice l’autrice, quello del cavaliere è un atteggiamento, un’attitudine esistenziale che da morale e intellettuale si farà poi tensione. D’altra parte anche questi cavalieri sono “eroi in tensione” come il Tonio Kröger di Mann e il giovane Törless di Musil, vittime senza armatura del contesto moderno e inumano. In conclusione diciamo che la figura del cavaliere, smitizzata e destrutturata, poi rimitizzata e ricomposta, è il collante del volume dell’autrice, che ci fa sognare nella speranza che nuovi cavalieri (di carta o in carne e ossa) facciano la loro comparsa in questi tempi particolarmente – ahinoi – bui, in ambito culturale, sveglino, col rumore degli zoccoli dei loro destrieri, dal torpore spalmato d’inettitudine oblomovista dei tempi moderni. Ne avremmo un gran bisogno. Chissà che quel po’ di polvere che in lontananza vediamo sollevarsi non sia auspicio di buone nuove.