Le droghe della nuova narrativa
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Le droghe della nuova narrativa
Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 211 Le droghe della nuova narrativa Drugs A cura di Divier Nelli, con Gianni Biondillo, Teresa Ciabatti, Marcello Fois, Elisa Genghini, Laura Del Lama, Gianluca Morozzi, Divier Nelli, Valerio Varesi, Marco Vichi, Guanda Parma 2011, pp.260, € 16,50. MILLY CURCIO E’ buona in partenza l’idea dell’editore Guanda di riunire un gruppo di nove scrittori italiani, diversi per linguaggio e per temperamento, intorno a un tema che fungesse da filo conduttore di altrettanti racconti che, con varie soluzioni narrative e con esiti originali, avrebbero potuto riflettere efficacemente la sfaccettata realtà dei nostri tempi. Con tutte quelle forme di dipendenza da cui nessuno è immune, e che ciascuno di noi assume, più o meno consapevolmente, per le più svariate ragioni: per colmare un vuoto, per incapacità di affrontare le inevitabili difficoltà del vivere, per quell’oscuro senso di inadeguatezza o di disagio che talvolta ci attanaglia, per il terrore di rimanere soli. Oppure, semplicemente perché si è alla ricerca del piacere in sé, o perché si coltiva una passione senza misura, con una dedizione tale da sconfinare nel patologico: può succedere con uno sport, con un videogioco, con un social network, o, più nobilmente, con un’arte (si pensi alla magnifica ossessione che rappresentò la pittura per Gaugin: egli finì i suoi giorni senza smettere mai di dipingere su ogni pezzo di tela e di muro e in ogni spazio della propria stanza). La parola chiave è dunque Drugs. A differenza di quello che ci saremmo aspettati, Drugs, il libro edito da Guanda, contiene nove storie che narrano proprio di dipendenza, NC 12.2011 211 Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 212 [MILLY CURCIO] NC 12.2011 212 fisica o psicologica, dalle droghe in senso stretto: le sostanze stupefacenti, per intenderci. Questa interpretazione letterale del termine – che solo in due casi di cui dirò è il pretesto per una rielaborazione davvero personale del tema – restringe il campo e gli orizzonti, conferisce alla raccolta un tono monocorde, paralizza gli scrittori che ora annaspano alla ricerca di qualcosa di non-detto, ora faticano a «chiudere» il racconto (come Morozzi in Quel cielo così bianco), li àncora su formulette scontate e, senza apprezzabili guizzi di creatività, consegna al lettore storie scialbe e indecise (Lo sciopero di Vichi), confuse (Che caos, Cosmedin di Biondillo!), o già sentite (Melancolia della Genghini, Un lavoro per vecchi di Nelli), immagini già viste sui giornali (il palazzinaro, gli escort, l’omosessuale derubato ne Il tuffo della Ciabatti;) o nelle innumerevoli fiction televisive (lo squallido ispettore Carnevali in Visto, ma mai guardato di Fois). I racconti proposti appaiono, per lo più, esercitazioni da laboratorio di scrittura, fotografano circostanze, ambienti, esistenze dal di fuori, fermandosi alla superficie, senza indagare sugli stati d’animo e sulle dinamiche profonde che sono all’origine dei comportamenti umani. Personaggi scipiti, situazioni tipo, niente di emotivamente coinvolgente, fatta eccezione per due racconti, al contrario notevoli, firmati da Valerio Varesi e Laura Del Lama. Tanto Varesi (Bisogna esserci stati in mezzo) quanto Del Lama (La cagna) costruiscono due storie appassionanti e convincenti, sia nell’elaborazione dell’intreccio sia nell’uso del linguaggio. La voce narrante, in entrambi i casi, è un io che racconta (il genere è quello della confessione, rispettivamente di un ciclista dopato ad un giudice e di una madre eroinomane alla propria figlia), in un’operazione maieutica che, con un movimento che va dal basso verso l’alto, dall’interno verso l’esterno, è prima di tutto un atto liberatorio. Non a caso i due racconti si presentano come due lunghi monologhi, nei quali l’altro non ha ragione di esprimersi (le battute del giudice in Varesi sono riportate sotto forma di discorso indiretto o comunque sempre filtrate dalla voce del protagonista), e non assume dignità di interlocutore perché, nelle intenzioni del parlante, è il muto destinatario di un messaggio così drammaticamente perentorio da non prevedere repliche. Così ne La cagna, una sorta di lettera-testamento cui non ne seguiranno altre (c’è un tempo anche per la confessione, passato il quale, nulla ha più senso!) e che, com’è giusto che sia, finirà «in fondo al cestino della carta straccia»; così in Bisogna esserci stati in mezzo, in cui incolmabile appare la distanza tra chi parla e chi ascolta, inconciliabili i mondi a cui i due appartengono. Qui, più che il così fan tutti invocato per autoassolversi, sono le accorate parole di uno che «si è rotto il culo in sella» per campare (al contrario di «’sto giudice che prende lo stipendio tutti i mesi sia che lavori sia che scaldi la sedia») a catturare il lettore; è il racconto sofferto di una vita di fatica, di sudore, di sforzi sovrumani, di paura di non farcela a turbare, inaspettatamente, persino il giudice (è quel che dice il narratore), come se in lui si «fosse smosso un fondale torbido decantato da tempo». Ma, nonostante la bella prova di Varesi, occorre dire onestamente che se questo libro ha un senso lo si deve esclusivamente alla scrittura originale, non conformista rispetto al tema e particolarmente stimolante di quel piccolo gioiello di narrazione che è La Cagna di Laura Del Lama. La scrittrice fiorentina non si lascia mettere in soggezione dal tema; al contrario, e qui sta la sua forza, fa finta di dimenticarsene: descrivere gli effetti della dipendenza da eroina poco interessa alla sensibilità della Del Lama di fronte all’urgenza di affondare le unghie (e graffiare) nel complesso e intricato rapporto tra due donne adulte che si sono dette tutto, o forse niente: una madre e la propria figlia neomamma. Come dire: attenzione, le dinamiche familiari sono spesso imperscrutabili e tali possono rimanere per tutta l’esistenza, irrisolte e irrisolvibili, grovigli inestricabili, grumi che possono non sciogliersi mai e divenire più devastanti delle droghe stesse! Nuova Corvina 23_Nuova Corvina 19 2011.12.07. 14:10 Page 213 [LE DRO GHE DELLA NUOVA NARRATIVA] Con acutezza psicologica non comune Laura Del Lama narra il perché e il come una matura signora di mezza età, non un’adolescente, decida improvvisamente di «farsi di eroina». E’ un discorso incalzante, che spiazza il lettore, che non risparmia nessuno: i padri che scompaiono dopo il primo sussulto di paternità, i figli che ti succhiano la linfa vitale finché campi, le donne lasciate sole, impaurite, col corpo sfatto «perché poi alla fine i figli sono di chi li fa». In un colpo solo la scrittrice sbaraglia coraggiosamente luoghi comuni, fa a pezzi la melensa retorica legata all’idea di maternità, infrange impudicamente un antico tabù nonché la sacralità di un ruolo che già fu della Madonna, madre di Cristo e madre di tutte le madri: «Ma i discorsi che hai sentito finora sulla maternità non erano forse universali, uguali per ogni donna? Non sono altro che frasi fatte, ecco la verità. Nessuno ti ha mai detto che quei momenti meravigliosi hanno un prezzo molto alto, che diventare madre è per tante donne un’esperienza drammatica. Per me è stato così». In una scrittura caustica, con parole affilate come la lama di un coltello, e che suonano scandalose perché più vicine all’istintivo sentire di una «cagna» (mi guardavi come si guarda una cagna che ha appena abbandonato il suo cucciolo…») che ai sentimenti propri di una madre («la verità è che non ti volevo, non ti ho mai desiderato»; «Invece ho desiderato che tu morissi. Alcune volte l’ho desiderato davvero tanto»), Del Lama confessa l’inconfessabile: l’atroce sofferenza che si può provare nel diventare madre, quel punto di non ritorno che fa sì che una donna uccida se stessa nell’attimo stesso in cui dà la vita alla sua creatura: «Poi sei nata tu. Di tutte le cose che avevo fatto, di tutti i pensieri positivi per il mio futuro, non è rimasto che una manciata di polvere. Come se fosse passato un prestigiatore e avesse fatto la magia: sparito tutto». Ad una dipendenza non voluta perché arrivata nel momento sbagliato (Teresa è giovane, ha tanti sogni, è una brillante ricercatrice) e poi subita per lungo tempo, Teresa ne sostituirà un’altra, quella dall’eroina: questa sì voluta e cercata e trovata nel momento giusto, l’estremo anelito di libertà quando tutti i sogni sono ormai infranti, quando l’ultima felicità possibile è quella indotta dalla droga. Laura Del Lama, dopo il romanzo d’esordio Non so dove ho sbagliato (edizioni Cult, Firenze 2009), conferma con La cagna il suo talento nel narrare i sentimenti più profondi e contrastanti che albergano nell’animo femminile, la sua naturale capacità di andar dritto alla sostanza delle cose, con un linguaggio che nulla concede agli stereotipi in cui sembra cadere tanta parte della narrativa contemporanea. NC 12.2011 213