La principessa di ghiaccio
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La principessa di ghiaccio
Eilert Berg non era una persona felice. TI fiato bianco che gli usciva a sbuffi dalla bocca indicava che respirare gli costava un certo sforzo, ma il suo problema principa le non era la salute. Svea era bellissima, da giovane, tanto che Eilert aveva fatto fatica a dominarsi fino alla fatidica prima notte di nozze. E lei pareva remissiva, gentile e un po' timida. Ma la sua vera natura era emersa dopo un periodo di passio ne giovanile durato decisamente troppo poco. Ormai era no quasi cinquant'anni che lo teneva nel suo pugno di fer ro. Eilert però aveva un segreto. Per la prima volta intra vedeva la possibilità di conquistarsi, nell'autunno dell'e sistenza, un po' di libertà, e non aveva intenzione di la sciarsela scappare. Per tutta la vita si era sfiancato con la pesca, e le en trate erano bastate giusto giusto per mantenere Svea e i figli. Da quando poi aveva smesso di lavorare, avevano dovuto vivere della sua magra pensione. Senza un po' di soldi in tasca, non avrebbe avuto modo di rifarsi una vi ta altrove, da solo. Quella possibilità invece era giunta co me un dono del cielo, e oltretutto era di una semplicità al limite del ridicolo Ma se qualcuno era disposto a pa gare una cifra esorbitante per un'oretta di lavoro alla set 11 timana erano fatti suoi. Lui non se ne sarebbe certo la mentato. Nel giro di un solo anno le banconote nella cas setta di legno dietro il compost erano arrivate a formare un discreto gruzzolo, e tra poco gli avrebbero permesso di partire per latitudini più calde. Si fermò a prenùere fiato lungo la ripida salita e si mas saggiò le mani indolenzite dai reumatismi. La Spagna o forse la Grecia sarebbero state in grado di sciogliere quel gelo che veniva da dentro. Eilert calcolava di avere da vanti almeno una decina d'anni prima di andare all'altro mondo, e aveva tutta l'intenzione di sfruttarli al massimo. Quindi, col cavolo che li avrebbe passati con quella be fana che aveva a casa. La passeggiata alle prime luci dell'alba era da tempo il suo unico momento di calma, e in più gli dava l'occasio ne di fare quel po' ùi movimento di cui aveva sicuramente bisogno. Seguiva sempre lo stesso percorso, e chi cono sceva le sue abitudini usciva spesso a scambiare due pa role con lui. Un particolare piacere gli derivava dalle bre vi chiacchierate con la bella ragazza della casa in cima al la salita che portava alla Hakebackenskola. Era lì esclusi vamente nei fine settimana, sempre da sola, ma si conce deva volentieri qualche minuto per parlare del più e del meno. Tra l'altro la signora Alexandra era anche interes sata alla FjaIlbacka di un tempo, un argomento che Eilert affrontava volentieri. E poi, a guardarla c'era da rifarsi gli occhi: pur essendo vecchio, se ne intendeva ancora. Cer to, si era spettegolato parecchio su di lei, ma se si fosse dato ascolto alle chiacchiere delle comari non sarebbe ri masto tempo per fare altro. Poco più di un anno prima gli aveva chiesto se gli an dava l'idea di fare una capatina a casa sua ogni venerdì mattina, visto che comunque passava di lì. L'edificio era vecchio e sia la caldaia che le tubature erano inaffidabili, non le avrebbe fatto piacere trovare le stanze gelide arri· vando per il fine settimana. Gli avrebbe dato la chiave in modo che potesse entrare e controllare che fosse tutto a posto. Nella zona c'erano stati diversi furti con scasso, quindi avrebbe dovuto accertarsi anche che non ci fosse ro state effrazioni. L'incarico non gli era parso pesante, e una volta al mese quando passava trovava nella cassetta della posta una bu sta per lui contenente quella che ai suoi occhi era una som ma principesca. Oltretutto gli piaceva sentirsi utile in qual. che modo. Era difficile stare con le mani in mano, dopo avere passato una vita intera a lavorare. Quel giorno, quando lo aprì spingendolo in dentro sul vialetto d'ingresso, il cancello sbilenco protestò. La neve non era stata spalata ed Eilert pensò che la signora Alexandra avrebbe dovuto chiedere aiuto a uno dei ra gazzi. Non era un lavoro da donne, quello. Armeggiò con la chiave, stando ben attento a non la sciarla cadere nella neve alta. Se fosse stato costretto a in ginocchiarsi, non sarebbe più riuscito a tirarsi su. I gra dini della verandina erano ghiacciati e scivolosi, ma per fortuna c'era il corrimano. Eilert stava per infilare la chia ve nella toppa quando si accorse che la porta era soc chiusa. Perplesso, l'aprì ed entrò nell'ingresso. «C'è qualcuno in casa?» Possibile che la signora Alexandra fosse arrivata prima del previsto? Non rispose nessuno. Eilert vide il respiro condensato uscire dalla bocca e si rese improvvisamente conto che la casa era gelida. D'un tratto non seppe che pesci pigliare. Qualcosa non andava, e non sembrava che si trattasse solo di una caldaia rotta. Attraversò l'ingresso. Non era stato toccato niente. La 12 13 timana erano fatti suoi. Lui non se ne sarebbe certo la mentato. Nel giro di un solo anno le banconote nella cas setta di legno dietro il compost erano arrivate a formare un discreto gruzzolo, e tra poco gli avrebbero permesso di partire per latitudini più calde. Si fermò a prenùere fiato lungo la ripida salita e si mas saggiò le mani indolenzite dai reumatismi. La Spagna o forse la Grecia sarebbero state in grado di sciogliere quel gelo che veniva da dentro. Eilert calcolava di avere da vanti almeno una decina d'anni prima di andare all'altro mondo, e aveva tutta l'intenzione di sfruttarli al massimo. Quindi, col cavolo che li avrebbe passati con quella be fana che aveva a casa. La passeggiata alle prime luci dell'alba era da tempo il suo unico momento di calma, e in più gli dava l'occasio ne di fare quel po' ùi movimento di cui aveva sicuramente bisogno. Seguiva sempre lo stesso percorso, e chi cono sceva le sue abitudini usciva spesso a scambiare due pa role con lui. Un particolare piacere gli derivava dalle bre vi chiacchierate con la bella ragazza della casa in cima al la salita che portava alla Hakebackenskola. Era lì esclusi vamente nei fine settimana, sempre da sola, ma si conce deva volentieri qualche minuto per parlare del più e del meno. Tra l'altro la signora Alexandra era anche interes sata alla FjaIlbacka di un tempo, un argomento che Eilert affrontava volentieri. E poi, a guardarla c'era da rifarsi gli occhi: pur essendo vecchio, se ne intendeva ancora. Cer to, si era spettegolato parecchio su di lei, ma se si fosse dato ascolto alle chiacchiere delle comari non sarebbe ri masto tempo per fare altro. Poco più di un anno prima gli aveva chiesto se gli an dava l'idea di fare una capatina a casa sua ogni venerdì mattina, visto che comunque passava di lì. L'edificio era vecchio e sia la caldaia che le tubature erano inaffidabili, non le avrebbe fatto piacere trovare le stanze gelide arri· vando per il fine settimana. Gli avrebbe dato la chiave in modo che potesse entrare e controllare che fosse tutto a posto. Nella zona c'erano stati diversi furti con scasso, quindi avrebbe dovuto accertarsi anche che non ci fosse ro state effrazioni. L'incarico non gli era parso pesante, e una volta al mese quando passava trovava nella cassetta della posta una bu sta per lui contenente quella che ai suoi occhi era una som ma principesca. Oltretutto gli piaceva sentirsi utile in qual. che modo. Era difficile stare con le mani in mano, dopo avere passato una vita intera a lavorare. Quel giorno, quando lo aprì spingendolo in dentro sul vialetto d'ingresso, il cancello sbilenco protestò. La neve non era stata spalata ed Eilert pensò che la signora Alexandra avrebbe dovuto chiedere aiuto a uno dei ra gazzi. Non era un lavoro da donne, quello. Armeggiò con la chiave, stando ben attento a non la sciarla cadere nella neve alta. Se fosse stato costretto a in ginocchiarsi, non sarebbe più riuscito a tirarsi su. I gra dini della verandina erano ghiacciati e scivolosi, ma per fortuna c'era il corrimano. Eilert stava per infilare la chia ve nella toppa quando si accorse che la porta era soc chiusa. Perplesso, l'aprì ed entrò nell'ingresso. «C'è qualcuno in casa?» Possibile che la signora Alexandra fosse arrivata prima del previsto? Non rispose nessuno. Eilert vide il respiro condensato uscire dalla bocca e si rese improvvisamente conto che la casa era gelida. D'un tratto non seppe che pesci pigliare. Qualcosa non andava, e non sembrava che si trattasse solo di una caldaia rotta. Attraversò l'ingresso. Non era stato toccato niente. La 12 13 casa era in ordine come al solito. Videoregistratore e tele visore erano alloro posto. Dopo avere passato in rassegna tutto il pianterreno, Eilert imboccò la scala per salire a quello superiore. Era ripida, tanto che dovette tenersi al corrimano. Una volta di sopra, andò prima di tutto in ca mera da letto. Era una stanza femminile, ma di buon gu sto e in ordine come il resto della casa. Ai piedi del letto, rifatto, c'era una valigia ancora chiusa. D'un tratto si sentì vagamente stupido. Forse era arrivata un po' prima del so lito, si era accorta del guasto alla caldaia ed era uscita a cercare qualcuno che potesse ripararla. No, non credeva neanche lui alla propria spiegazione. Qualcosa non anda. va: lo sentiva nelle giunture, come a volte percepiva 1'av vicinarsi di una tempesta. Proseguì cauto il suo sopral. luogo. La stanza successiva era una grande mansarda con il tetto spiovente e le travi di legno. Ai lati di un camino, due divani uno davanti all'altro. Alcuni giornali sparsi sul tavolino, per il resto tutto al suo posto. Tornò al piano in feriore. Anche lì gli parve di non notare niente fuori dal normale. L'unica stanza rimasta era il bagno. Qualcosa lo indusse a esitare prima di aprire la porta. Regnava ancora il silenzio più assoluto. Rimase lì, incerto, ma poi si rese conto di essere ridicolo e spinse deciso la porta. Qualche secondo dopo stava correndo verso !'ingresso alla massima velocità consentitagli dall'età. All'ultimo mo mento si ricordò che i gradini erano scivolosi e si afferrò al corrimano un attimo prima di precipitare a capofitto. Arrancò nella neve lungo il vialetto e imprecò contro il cancello che non voleva aprirsi. Una volta sul marciapie de si fermò, spaesato. Poco più giù, lungo la salita, vide avvicinarsi a passo veloce una figura, e subito dopo rico nobbe la figlia di Tore, Erica. La chiamò, gridandole di fermarsi. 14 Era stanca. Stanca da morire. Erica Falck spense il computer e andò in cucina a riempirsi di caffè la tazza per la seconda volta. Si sentiva sotto pressione su tutti i fronti.. L'editore voleva una prima bozza del libro entro agosto e lei aveva appena cominciato. Il libro su Selma Lagerl6f, la sua quinta biografia su una scrittrice svede se, doveva essere il migliore di tutti, ma Erica aveva esau rito la voglia di scrivere. Sebbene fosse trascorso più di un mese dalla morte dei suoi genitori, il dolore era anco ra palpabile come il giorno in cui le era stata data la no tizia. Oltretutto, sgombrare la casa della sua infanzia si era rivelato un compito molto meno facile di quanto aves se sperato. Tutto risvegliava in lei ricordi. Ogni scatolone che preparava richiedeva ore di lavoro: qualsiasi oggetto le capitasse tra le mani le riversava addosso immagini di una vita che a tratti le pareva vicinissima e a tratti incre dibilmente lontana. Ma era giusto che ci mettesse il temo po che ci voleva. Per il momento aveva subaffittato l'ap partamento a Stoccolma: poteva benissimo scrivere lì, nel la casa dei genitori a Fjiillbacka. Era ai margini del pae se, nella frazione di SaIvik, dove regnavano pace e tran quillità. Erica si sedette nella veranda e spaziò con lo sguardo sull'arcipelago. Il panorama non smetteva mai di toglier le il respiro. Ogni cambio di stagione portava con sé un nuovo spettacolare scenario, e quel giorno sfoggiava un so le accecante che proiettava sul ghiaccio spesso una cascata di bagliori. Suo padre avrebbe adorato una giornata co me quella. La gola le si chiuse e l'aria le parve improvvisamente soffocante. Decise di fare una passeggiata. Dato che il ter· mometro segnava meno quindici si coprì bene, uno stra to dopo l'altro. Quando si ritrovò fuori dalla porta rab 15 casa era in ordine come al solito. Videoregistratore e tele visore erano alloro posto. Dopo avere passato in rassegna tutto il pianterreno, Eilert imboccò la scala per salire a quello superiore. Era ripida, tanto che dovette tenersi al corrimano. Una volta di sopra, andò prima di tutto in ca mera da letto. Era una stanza femminile, ma di buon gu sto e in ordine come il resto della casa. Ai piedi del letto, rifatto, c'era una valigia ancora chiusa. D'un tratto si sentì vagamente stupido. Forse era arrivata un po' prima del so lito, si era accorta del guasto alla caldaia ed era uscita a cercare qualcuno che potesse ripararla. No, non credeva neanche lui alla propria spiegazione. Qualcosa non anda. va: lo sentiva nelle giunture, come a volte percepiva 1'av vicinarsi di una tempesta. Proseguì cauto il suo sopral. luogo. La stanza successiva era una grande mansarda con il tetto spiovente e le travi di legno. Ai lati di un camino, due divani uno davanti all'altro. Alcuni giornali sparsi sul tavolino, per il resto tutto al suo posto. Tornò al piano in feriore. Anche lì gli parve di non notare niente fuori dal normale. L'unica stanza rimasta era il bagno. Qualcosa lo indusse a esitare prima di aprire la porta. Regnava ancora il silenzio più assoluto. Rimase lì, incerto, ma poi si rese conto di essere ridicolo e spinse deciso la porta. Qualche secondo dopo stava correndo verso !'ingresso alla massima velocità consentitagli dall'età. All'ultimo mo mento si ricordò che i gradini erano scivolosi e si afferrò al corrimano un attimo prima di precipitare a capofitto. Arrancò nella neve lungo il vialetto e imprecò contro il cancello che non voleva aprirsi. Una volta sul marciapie de si fermò, spaesato. Poco più giù, lungo la salita, vide avvicinarsi a passo veloce una figura, e subito dopo rico nobbe la figlia di Tore, Erica. La chiamò, gridandole di fermarsi. 14 Era stanca. Stanca da morire. Erica Falck spense il computer e andò in cucina a riempirsi di caffè la tazza per la seconda volta. Si sentiva sotto pressione su tutti i fronti.. L'editore voleva una prima bozza del libro entro agosto e lei aveva appena cominciato. Il libro su Selma Lagerl6f, la sua quinta biografia su una scrittrice svede se, doveva essere il migliore di tutti, ma Erica aveva esau rito la voglia di scrivere. Sebbene fosse trascorso più di un mese dalla morte dei suoi genitori, il dolore era anco ra palpabile come il giorno in cui le era stata data la no tizia. Oltretutto, sgombrare la casa della sua infanzia si era rivelato un compito molto meno facile di quanto aves se sperato. Tutto risvegliava in lei ricordi. Ogni scatolone che preparava richiedeva ore di lavoro: qualsiasi oggetto le capitasse tra le mani le riversava addosso immagini di una vita che a tratti le pareva vicinissima e a tratti incre dibilmente lontana. Ma era giusto che ci mettesse il temo po che ci voleva. Per il momento aveva subaffittato l'ap partamento a Stoccolma: poteva benissimo scrivere lì, nel la casa dei genitori a Fjiillbacka. Era ai margini del pae se, nella frazione di SaIvik, dove regnavano pace e tran quillità. Erica si sedette nella veranda e spaziò con lo sguardo sull'arcipelago. Il panorama non smetteva mai di toglier le il respiro. Ogni cambio di stagione portava con sé un nuovo spettacolare scenario, e quel giorno sfoggiava un so le accecante che proiettava sul ghiaccio spesso una cascata di bagliori. Suo padre avrebbe adorato una giornata co me quella. La gola le si chiuse e l'aria le parve improvvisamente soffocante. Decise di fare una passeggiata. Dato che il ter· mometro segnava meno quindici si coprì bene, uno stra to dopo l'altro. Quando si ritrovò fuori dalla porta rab 15 brividì ugualmente, ma le bastò percorrere un breve trat to a passo sostenuto per scaldarsi. Fuori regnava una pace rigenerante. In giro non c'e ra nessuno. L'unico rumore che sentiva era quello del suo respiro. Il contrasto con i mesi estivi, quando il pae sino brulicava di vita, era netto. Erica preferiva restare alla larga nel periodo delle ferie. Pur sapendo benissi mo che la soprawivenza della comunità dipendeva dal turismo, non riusciva a scuotersi di dosso la sensazione che ogni estate Fjallbacka venisse invasa da un gigante sco sciame di cavallette, un mostro dalle tante teste che lentamente, un anno dopo 1'altro, fagocitava il vecchio paesino di pescatori acquistando case vicino al mare e trasformandolo in un villaggio fantasma per nove mesi all'anno. Per secoli la pesca aveva rappresentato per Fjallbacka l'unico mezzo di sostentamento. Le asperità dell'ambien te e la continua lotta per la soprawivenza in cui tutto di pendeva dagli spostamenti dei banchi di aringhe avevano forgiato una popolazione temprata e forte. Ma da quan do Fjallbacka, a mano a mano che la pesca perdeva la sua importanza come fonte di reddito, era diventata un luo go pittoresco che attirava turisti dai portafogli gonfi, a Erica sembrava che i residenti camminassero con la schie na sempre più curva. I giovani si trasferivano e i vecchi sognavano i tempi andati. Lei stessa era una dei tanti che avevano scelto di andarsene. Accelerò ulteriormente 1'andatura e svoltò a sinistra verso la salita che portava alla Hakebackenskola. Awici nandosi alla cima, sentì Eilert Berg che le gridava qual cosa, ma non riuscì a distinguere le parole. Agitava le braccia e le andava incontro. «È morta!» 16 Eilert aveva il respiro corto e affannoso, e dal petto gli usciva un fischio preoccupante. «Si calmi, Eilert! Cos'è successo?» «È là dentro, è morta!» Stava indicando la grande casa di legno verniciata d'az zurro in cima alla salita, guardandola implorante. Erica impiegò qualche secondo a registrare le parole, ma quando le si furono impresse nella coscienza spinse il cancello recalcitrante e avanzò arrancando nella neve fi no alla porta d'ingresso. TI vecchio 1'aveva lasciata aperta ed Erica oltrepassò cauta la soglia, chiedendosi cosa do veva aspettarsi di trovare. Per qualche motivo non aveva pensato di chiederlo a lui. Eilert la seguì esitante, indicando con un gesto muto il bagno. Erica evitò mosse precipitose. Si girò verso il vec chio e gli rivolse uno sguardo interrogativo. Era pallido, e la voce gli s'incrinò. «Lì dentro.» Era passato un sacco di tempo dall'ultima volta che Eri ca aveva messo piede in quella casa, ma la conosceva e sapeva da che parte si trovava il bagno. Rabbrividì, no nostante fosse ben coperta. La porta si aprì lentamente e lei entrò. Non sapeva esattamente cosa si fosse aspettata di tro vare, ma non era preparata al sangue. Il bagno era pia strellato di bianco e 1'effetto del sangue dentro la vasca e tutt'intorno risultava tanto più intenso. Per un brevissi mo istante fu colpita dalla bellezza di quel contrasto, ma subito si rese conto che quello che si trovava immerso nel l'acqua era un essere umano. Nonostante il biancore innaturale e le sfumature blua stre della pelle, la riconobbe subito: era Alexandra Wijk ner, nata Carlgren, figlia dei proprietari della casa in cui 17 brividì ugualmente, ma le bastò percorrere un breve trat to a passo sostenuto per scaldarsi. Fuori regnava una pace rigenerante. In giro non c'e ra nessuno. L'unico rumore che sentiva era quello del suo respiro. Il contrasto con i mesi estivi, quando il pae sino brulicava di vita, era netto. Erica preferiva restare alla larga nel periodo delle ferie. Pur sapendo benissi mo che la soprawivenza della comunità dipendeva dal turismo, non riusciva a scuotersi di dosso la sensazione che ogni estate Fjallbacka venisse invasa da un gigante sco sciame di cavallette, un mostro dalle tante teste che lentamente, un anno dopo 1'altro, fagocitava il vecchio paesino di pescatori acquistando case vicino al mare e trasformandolo in un villaggio fantasma per nove mesi all'anno. Per secoli la pesca aveva rappresentato per Fjallbacka l'unico mezzo di sostentamento. Le asperità dell'ambien te e la continua lotta per la soprawivenza in cui tutto di pendeva dagli spostamenti dei banchi di aringhe avevano forgiato una popolazione temprata e forte. Ma da quan do Fjallbacka, a mano a mano che la pesca perdeva la sua importanza come fonte di reddito, era diventata un luo go pittoresco che attirava turisti dai portafogli gonfi, a Erica sembrava che i residenti camminassero con la schie na sempre più curva. I giovani si trasferivano e i vecchi sognavano i tempi andati. Lei stessa era una dei tanti che avevano scelto di andarsene. Accelerò ulteriormente 1'andatura e svoltò a sinistra verso la salita che portava alla Hakebackenskola. Awici nandosi alla cima, sentì Eilert Berg che le gridava qual cosa, ma non riuscì a distinguere le parole. Agitava le braccia e le andava incontro. «È morta!» 16 Eilert aveva il respiro corto e affannoso, e dal petto gli usciva un fischio preoccupante. «Si calmi, Eilert! Cos'è successo?» «È là dentro, è morta!» Stava indicando la grande casa di legno verniciata d'az zurro in cima alla salita, guardandola implorante. Erica impiegò qualche secondo a registrare le parole, ma quando le si furono impresse nella coscienza spinse il cancello recalcitrante e avanzò arrancando nella neve fi no alla porta d'ingresso. TI vecchio 1'aveva lasciata aperta ed Erica oltrepassò cauta la soglia, chiedendosi cosa do veva aspettarsi di trovare. Per qualche motivo non aveva pensato di chiederlo a lui. Eilert la seguì esitante, indicando con un gesto muto il bagno. Erica evitò mosse precipitose. Si girò verso il vec chio e gli rivolse uno sguardo interrogativo. Era pallido, e la voce gli s'incrinò. «Lì dentro.» Era passato un sacco di tempo dall'ultima volta che Eri ca aveva messo piede in quella casa, ma la conosceva e sapeva da che parte si trovava il bagno. Rabbrividì, no nostante fosse ben coperta. La porta si aprì lentamente e lei entrò. Non sapeva esattamente cosa si fosse aspettata di tro vare, ma non era preparata al sangue. Il bagno era pia strellato di bianco e 1'effetto del sangue dentro la vasca e tutt'intorno risultava tanto più intenso. Per un brevissi mo istante fu colpita dalla bellezza di quel contrasto, ma subito si rese conto che quello che si trovava immerso nel l'acqua era un essere umano. Nonostante il biancore innaturale e le sfumature blua stre della pelle, la riconobbe subito: era Alexandra Wijk ner, nata Carlgren, figlia dei proprietari della casa in cui 17 si trovavano in quel momento. Da piccole erano state amiche del cuore, ma le sembrava che fosse passata una vita. In quel momento la donna nella vasca le pareva un'e stranea. Gli occhi del cadavere erano misericordiosamente chiusi, ma le labbra erano di un blu intenso. Sul corpo si era formata una sottile crosta di ghiaccio che ne nascon deva completamente la parte inferiore. TI braccio destro pendeva, floscio e striato di rosso, fuori dalla vasca, con le dita immerse nella pozza di sangue rappreso sul pavi mento. Lì vicino, una lametta da barba. L'altro braccio si vedeva solo dal gomito in su, il resto era nascosto dal ghiaccio. Anche le ginocchia spuntavano dalla superficie congelata. I capelli lunghi e chiari di Alex erano sparsi a ventaglio sul bordo della vasca, ma in quel gelo avevano un'aria fragile, quasi fossero fatti di ghiaccio. Erica rimase a lungo a guardarla, rabbrividendo di freddo e del senso di solitudine irradiato da quella scena macabra. Poi, lentamente, uscì dalla stanza camminando all'indietro. Dopo, si era svolto tutto come in una nebbia. Aveva chiamato il medico di guardia con il cellulare e aspettato l'arrivo dell'ambulanza insieme a Eilert. Riconoscendo i segni dello stato di shock, lo stesso di quando aveva ri cevuto la notizia della morte dei genitori, non appena rientrata a casa si era versata un bicchiere di cognac. For se non era esattamente quello che avrebbe ordinato il dot tore, ma almeno avevano smesso di tremarle le mani. La vista di Alex l'aveva riproiettata di colpo nella sua infanzia. Erano trascorsi quasi venticinque anni dall'epo ca tn CUI erano amiche ma, nonostante nella sua vita fos sero andate e venute molte persone, Alex le era ancora IDolto cara. Allora erano bambine. Da adulte erano tor nate a essere estranee. Eppure Erica faticava ad accetta re l'idea che Alex si fosse tolta la vita, per quanto fosse impossibile dare un'interpretazione diversa di ciò che aveva visto. Alexandra che conosceva era una delle per· sone più vivaci e serene che avesse mai incontrato. Bel lissima e sicura di sé, dotata di una radiosità tale da far voltare la gente. E, a giudicare da quanto si sentiva dire in giro, la vita era stata indulgente nei suoi confronti, esat tamente come aveva previsto Erica: Alex gestiva una gal· leria d'arte a Goteborg, era sposata con un uomo bello e di successo e abitava in una casa simile a un maniero, a Saro. Ma evidentemente qualcosa non era andato per il verso giusto. Sentendo il bisogno di distrarsi un po', compose il nu mero di sua sorella. «Stavi dormendo?» «Scherzi? Adrian mi ha fatta alzare alle tre, stanotte, e quando finalmente si è riaddormentato, verso le sei, si è svegliata Emma e voleva giocare.» «Ma scusa, non poteva alzarsi Lucas, per una volta?» Silenzio raggelante all'altro capo del filo. Erica si mor se la lingua. «Ha una riunione importante, oggi, aveva bisogno di riposare. Tra l'altro, la situazione al lavoro è cos1 caotica. azienda è in una fase molto delicata.» La voce di Anna si era come impennata, ed Erica per cepì una sfumatura isterica. Lucas aveva sempre un'otti ma scusa a portata di mano e Anna lo citava parola per parola. Se non si trattava di una riunione, era stressato per le tante importanti decisioni che doveva prendere o esaurito per la pressione a cui era sottoposto in quanto - secondo la definizione che dava di sé - uomo d'affari 18 19 r.: r.: si trovavano in quel momento. Da piccole erano state amiche del cuore, ma le sembrava che fosse passata una vita. In quel momento la donna nella vasca le pareva un'e stranea. Gli occhi del cadavere erano misericordiosamente chiusi, ma le labbra erano di un blu intenso. Sul corpo si era formata una sottile crosta di ghiaccio che ne nascon deva completamente la parte inferiore. TI braccio destro pendeva, floscio e striato di rosso, fuori dalla vasca, con le dita immerse nella pozza di sangue rappreso sul pavi mento. Lì vicino, una lametta da barba. L'altro braccio si vedeva solo dal gomito in su, il resto era nascosto dal ghiaccio. Anche le ginocchia spuntavano dalla superficie congelata. I capelli lunghi e chiari di Alex erano sparsi a ventaglio sul bordo della vasca, ma in quel gelo avevano un'aria fragile, quasi fossero fatti di ghiaccio. Erica rimase a lungo a guardarla, rabbrividendo di freddo e del senso di solitudine irradiato da quella scena macabra. Poi, lentamente, uscì dalla stanza camminando all'indietro. Dopo, si era svolto tutto come in una nebbia. Aveva chiamato il medico di guardia con il cellulare e aspettato l'arrivo dell'ambulanza insieme a Eilert. Riconoscendo i segni dello stato di shock, lo stesso di quando aveva ri cevuto la notizia della morte dei genitori, non appena rientrata a casa si era versata un bicchiere di cognac. For se non era esattamente quello che avrebbe ordinato il dot tore, ma almeno avevano smesso di tremarle le mani. La vista di Alex l'aveva riproiettata di colpo nella sua infanzia. Erano trascorsi quasi venticinque anni dall'epo ca tn CUI erano amiche ma, nonostante nella sua vita fos sero andate e venute molte persone, Alex le era ancora IDolto cara. Allora erano bambine. Da adulte erano tor nate a essere estranee. Eppure Erica faticava ad accetta re l'idea che Alex si fosse tolta la vita, per quanto fosse impossibile dare un'interpretazione diversa di ciò che aveva visto. Alexandra che conosceva era una delle per· sone più vivaci e serene che avesse mai incontrato. Bel lissima e sicura di sé, dotata di una radiosità tale da far voltare la gente. E, a giudicare da quanto si sentiva dire in giro, la vita era stata indulgente nei suoi confronti, esat tamente come aveva previsto Erica: Alex gestiva una gal· leria d'arte a Goteborg, era sposata con un uomo bello e di successo e abitava in una casa simile a un maniero, a Saro. Ma evidentemente qualcosa non era andato per il verso giusto. Sentendo il bisogno di distrarsi un po', compose il nu mero di sua sorella. «Stavi dormendo?» «Scherzi? Adrian mi ha fatta alzare alle tre, stanotte, e quando finalmente si è riaddormentato, verso le sei, si è svegliata Emma e voleva giocare.» «Ma scusa, non poteva alzarsi Lucas, per una volta?» Silenzio raggelante all'altro capo del filo. Erica si mor se la lingua. «Ha una riunione importante, oggi, aveva bisogno di riposare. Tra l'altro, la situazione al lavoro è cos1 caotica. azienda è in una fase molto delicata.» La voce di Anna si era come impennata, ed Erica per cepì una sfumatura isterica. Lucas aveva sempre un'otti ma scusa a portata di mano e Anna lo citava parola per parola. Se non si trattava di una riunione, era stressato per le tante importanti decisioni che doveva prendere o esaurito per la pressione a cui era sottoposto in quanto - secondo la definizione che dava di sé - uomo d'affari 18 19 r.: r.: