spogliarci di tutte le rappresentazioni mentali che

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spogliarci di tutte le rappresentazioni mentali che
Fondo Comune Limax Giugno 2009
SPOGLIARCI DI TUTTE LE RAPPRESENTAZIONI MENTALI CHE
ABBIAMO COSTRUITO E METTERCI NUDI E VULNERABILI DI
FRONTE AL MISTERO DELL’ONTOLOGICO
Eliseo Gurraccha
Soddu Abala, Etiopia
Tabù impenetrabili e infrangibili per difenderci dalla «vergogna della nudità»
È da molto tempo che l’Ontologico scrive queste riflessioni nelle pagine della mia
consapevolezza; esse si sono abbozzate nella mia carne, si sono incise nelle mie sensazioni, nella
mia esperienza di vita.
In questo nostro tempo la Vita ci chiede di osare l’incontro con la nudità, di spogliarci di
tutte le rappresentazioni mentali che abbiamo costruito, o che ci sono state tramandate, di tutte le
epistemologie che abbiamo fatto diventare baluardo delle nostre conoscenze … e denudarci,
metterci nudi e vulnerabili di fronte al mistero dell’Ontologico, davanti alla Sua nuda nudità.
«Scientifico», «Teologico», «Scienza», «Religione», «Ateismo», «Fede», «Verità»,
«Oggettivo», «Yahwè», «Dio», «Budda», «Gesù», «Theos», «Elohim», «Adonay», «Zeus»,
«Deus», «Allah», «God», «Dieu», «Geova», «Exabier», «Waaqa», «Magano» …
Sono tutte «foglie di fico» intrecciate dalla mente per nascondere la «nudità Ontologica», la
nudità dell’Essere; sono semplici «vestiti», sono «nomi», sono naturalissimi «alberi della
conoscenza piantati dalla mente».
Sono sacrosante «risorse naturali comuni», che col tempo però facciamo diventare
inespugnabili «territori mentali privati»; sono intrecci di teoria-prassi cucite insieme per coprirci,
che abbiamo trasformato in tabù impenetrabili e infrangibili. Semplicemente per difenderci dalla
«vergogna della nudità», dalla paura della indifesa, vulnerabile, «nuda Verità Ontologica».
Per nascondere la vergogna, abbiamo imparato a «vestire» la mente; ma più la mente viene
«vestita», più diventiamo «cattivi»: «prigionieri» delle immagini, «servi» delle parole. Quando le
nostre grandi menti vengono troppo vestite di parole, diventano piccole e si confondono: legano la
realtà a ceppi epistemologici inamovibili con poderose catene razionali.
Guerre, crociate, lotte, ostilità, regni, fortezze, imperi … creati per difendere «parole»
e «immagini sacre»
Le «parole», non sono la Verità; come non lo sono le «immagini mentali». La confusione
delle «parole-immagini» con la Verità, l’identificazione di esse con la Verità, ci accompagna da
molto lontano. Parole e immagini mentali non sono la Verità ma solo un pezzetto di essa, un suo
umile, fragile, riflesso. Ecco perché non basta aver ragione, non basta far tornare tutti i calcoli
mentali, non basta seguire «la logica» per conoscere la Verità. Aver ragione non significa aver la
Verità, anzi molto spesso aver ragione diventa un insormontabile ostacolo a incontrare la Verità, ad
essere da essa raggiunti, toccati, coccolati, spogliati, bagnati, fecondati.
Guerre, crociate, lotte, ostilità, regni, fortezze, imperi … creati per difendere «parole» e
«immagini sacre». Per difendere queste originali «uniformi», questi «abiti talari», questi
«preservativi mentali» a prova di Ontologico. Conflitti, scomuniche, morte, maledizioni,
benedizioni senza numero per dimostrare la superiore Verità delle proprie «fortezze mentali». Per
convincere noi stessi della bontà di questi «castelli» eretti dalla mente per ripararsi dalla pioggia
della «nuda nudità» dell’Ontologico, per non venire bagnati dal seme della Sua feconda rugiada
mattutina, per non venire riscaldati dal Suo nudo sole di mezzogiorno, per non venire sfiorati dalla
brezza della Sua denudante carezza notturna. Per non sottometterci alle inviolabili stagioni vitali.
Piccole «piante» poste al centro dell’eden del nostro essere, «buone da mangiare», con rami,
colori e foglie differenti che però producono tutte lo stesso identico «frutto letale» «gradito agli
occhi e desiderabile», di cui la specie uomo/a è ghiotta: certezze, sollievo, «idee chiare», privilegi,
ruoli, salvezza garantita, assicurazione d’eternità (Genesi 2: 8-9).
«Alberi piantati dalla mente» umana per paura di «guardare Jahwè-Dio in faccia», per paura
di confrontarsi con la sua seducente «nuda» domanda mattutina; alberi piantati nel giardino della
Vita per sottrarsi alla vista diretta dell’Ontologico e non venire sedotti e benedetti dall’amplesso
della Sua travolgente e creativa nudità (Genesi 32: 25-31).
«Alberi della conoscenza» divorati avidamente per esorcizzare la paura del «limite» con cui
all’Ontologico è piaciuto disegnare la nostra specie. Limite vivamente descritto nel racconto del
divieto, dove Jahwè Dio della Vita proibisce all’uomo/a di mangiare del frutto dell’albero che sta al
centro del giardino di Eden (Genesi 2: 16-17).
Sono «codici segreti»… sono «nomi» fabbricati… sono «carte d’identità»… sono
splendidi «vestiti»… sono solo «veli» antichi… sono «giubbetti antiproiettile razionali»…
… Sono «codici segreti», preparati ad arte nelle officine delle nostre menti, con cui la specie
uomo/a crede di dover/poter imporre all’Ontologico un codice di condotta, una morale, onde evitare
che familiarizzi troppo con l’umano, o si intrattenga liberamente con il caos.
… Sono «nomi» fabbricati nel laboratorio mentale, sono «steccati» con cui alla specie
uomo/a sembra di poter «recintare» l’Ontologico e non farsi raggiungere e toccare dalla sua
semplicità, dalla sua disarmante nudità.
… Sono «carte d’identità», «passaporti», «lasciapassare» della ragione, per identificare
l’Ontologico ed illudersi di poter/dover/saper tenerlo sotto controllo dentro la piccola tenda della
mente umana.
… Sono splendidi «vestiti» con cui la specie uomo spera di dover/poter obbligare
l’Ontologico a coprirsi e non farsi vedere in giro nella sua nuda, contadina, semplicità. «Indumenti
raffinati» fabbricati dalla ragione per vestire quella nudità con cui da sempre l’Ontologico ci viene
incontro alla brezza di ogni mattino nel giardino della storia in cui ci ha collocati.
… Sono solo «veli» antichi e preziosi con cui abbiamo bisogno di coprire l’Ontologico per
non venire feriti dalla sua sconvolgente e seducente nudità … «vestiti» tirati fuori dagli armadi delle
nostre menti per non dover fissare lo sguardo sul mistero reale della nostra sorgente; per coprire,
nascondere e proteggerci dalla nostra originale nudità.
… Sono «giubbetti antiproiettile razionali», «armi atomiche mentali», «scudi stellari
epistemologici» fabbricati apposta per non lasciarci raggiungere dallo sguardo disarmante e
seducente dell’Ontologico, per non lasciarci vincere dal suo silenzio, «toccare» dalle sue parole
bagnate, nude, penetranti. Per non venire spogliati ed accarezzati dalla Sua irresistibile e
sconcertante tenerezza.
Non è davanti alle immagini-parole che dobbiamo prostrarci
… Sono «immagini» da adorare e servire, sono statue di pietra scolpite dalla mente, sculture
indistruttibili scolpite così bene nella mente che sembrano vere! Sono «idoli»: immagini mentali
dell’Ontologico. Idoli con cui costringere l’Ontologico a mostrarsi, ma non direttamente; a farsi
visibile, ma non troppo … contravvenendo al grande precetto della Vita: «16 Perché non vi
corrompiate e non vi facciate l’immagine scolpita di qualche idolo, la figura di maschio o femmina,
17 la figura di qualunque animale, la figura di un uccello che vola nei cieli, 18 la figura di una
bestia che striscia sul suolo, la figura di un pesce che vive nelle acque sotto la terra; 19 perché,
alzando gli occhi al cielo e vedendo il sole, la luna, le stelle, tutto l’esercito del cielo, tu non sia
trascinato a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle» (Deuteronomio 4: 16-19; 4: 23; 5: 8; 27: 15;
Levitico 26: 1; Esodo 20: 4).
Questo testo antico ci rimanda a tutte le «immagini mentali» dell’Ontologico che l’uomo/a
odierno, alla pari di quello antico, continua a farsi. Non è davanti alle immagini-parole che
dobbiamo prostrarci ma è l’Ontologico (la Sorgente) che dobbiamo cercare, ascoltare, respirare …
abbracciare appassionatamente. Solo Yahwè Dio della Vita bisogna adorare! Per questa ragione il
criterio di verità di una conoscenza non è se ha una logica migliore o più perfetta di un altra ma se
libera … se ci avvicina alla Vita, alla nostra Vita, all’Ontologico.
Sessualità e spiritualità sono forze che emanano dalla medesima unica sorgente:
l’Ontologico
Tutti gli opposti (sessualità e spiritualità, Fede-Religione e Scienza …) come Giacobbe ed
Esaù sono da sempre (fin dal grembo materno –Genesi 25: 22-) in lotta, si contendono la
primogenitura della benedizione dell’Ontologico, di poter/saper preparare il piatto ad esso preferito
(Genesi 27: 4), di fare la sua volontà, di avere il vestito più appropriato con cui l’Ontologico
desidera essere vestito. In realtà questa rivalità antica (tipica degli «opposti») nasconde solo una
paura: essere visti nella propria nudità. Credo che questa sia la causa prima della schizofrenia
profonda (ragione-emozioni, teoria-prassi …) che caratterizza la storia e questo nostro tempo; una
causa fondamentale del disagio profondo, causa di violenza e di scatenamento di forze distruttive
irresistibili e devastanti.
Chissà se la vergogna che l’uomo/a prova della propria nudità (fisica ed Ontologica) non è
solo un riflesso di un originale allontanamento dalla nudità dell’Ontologico; della vergogna della
sua vera icona. L’Ontologico è nudo! La nudità è una caratteristica fondamentale della Vita. Una
dimensione profonda che ci attrae, ci piace, ci avvince … e ci spaventa!
La nudità ci fa sentire fame e sete della nostra originaria sorgente e ci trascina
irresistibilmente verso di essa, ci fa vibrare al ricordo travolgente del suo primo nudo abbraccio.
Abbiamo così tanta fame e sete di questo abbraccio originario, di questa «carezza prima» e
insieme così tanta paura che ci dissetiamo avidamente a qualsiasi sorgente (da Caino a Gesù, da
Giuda a San Francesco, dalla strage di Erode a Gandhi, dalle torri gemelle ai proclami filantropici,
dalla guerra agli aiuti umanitari, dalla Shoah alla carità, dalla fede alla scienza, dalla agiografia alla
pornografia, dalla castità alla dissolutezza, dalla mistica alla perversione …).
Per questa ragione «religiosità e laicità», «fede e scienza», «sperimentazione spirituale e
sperimentazione scientifica», «soggettivo ed oggettivo», «economia domestica ed economia
finanziaria», «obbedienza e autodeterminazione», «sottomissione e libertà», «sessualità e
castità/verginità», «salute e malattia», «bontà e cattiveria», «verità e falsità», «villaggio e mondo»
… sono oggi chiamate ad osare l’antica strada dell’ospitalità rinunciando all’escamotage
dell’inimicizia utilizzato per nascondere la paura della propria ontologica nudità. È questo il tempo
favorevole per tutti gli opposti di osare il cammino dell’incontro e della complicità sponsale per
ritrovare il proprio collegamento alla comune sorgente.
«Religiosità e laicità», «sessualità e castità/verginità», «fede e scienza», «spiritualità e
sperimentazione», «povertà ed economia», «obbedienza e autodeterminazione», «sottomissione e
libertà», «salute e malattia» non saranno più concepite in maniera antitetica, e così potranno
ritrovare la loro integrazione originaria, il loro collegamento alla sorgente. Ogni coppia è dimora
privilegiata dell’Ontologico, come lo è ogni singola parte. In questo senso io oggi vedo «fede e
scienza», «sessualità e spiritualità» … come dimora privilegiata dell’Ontologico sia come coppie
che come singole dimensioni. E l’importante non è sapere quale delle due sia la prima o la più
importante, quanto piuttosto di vedere che «sessualità e spiritualità» (come ogni coppia) per quanto
profondamente diversi sono «gemelli». Come Giacobbe ed Esaù provengono entrambi dallo stesso
grembo. All’origine sono stati bene insieme fino a quando uno dei due in obbedienza a delle precise
tradizioni ha dovuto prendersi la primogenitura, la benedizione paterna. Sappiamo che con la
complicità della madre fu Giacobbe, quello uscito per ultimo, ad averla. Ma all’origine non è così.
All’origine spiritualità e sessualità, come tutte le coppie (uomo-donna, fede-scienza …) sono
gemelli, profondamente diversi, ma capaci di vivere insieme, in dinamica creativa l’uno con l’altro.
Sessualità e spiritualità sono forze che emanano dalla medesima unica sorgente: l’Ontologico!
Entrambe (come tutti gli opposti) sono discepole e maestre che provengono dall’Ontologico e ad
esso conducono!
La sofferenza, è come una «sacra doglia» che ci spinge per farci transitare «oltre»
l’attuale umanesimo
La sofferenza, ogni sofferenza, ha profonde radici epistemologiche. In questo nostro tempo
le «contrazioni vitali» sono proporzionate al mutamento antropologico in atto. Sono contrazioni
fortissime perché la transizione è profonda, in particolare la «transizione mentale»: transitare da
quell’irresistibile bisogno di definire, di recintare, di eliminare, di scartare, di purificare, di
sterilizzare, di liberarsi dei rifiuti … frutto della «prima edizione» epistemologica di ogni individuo,
popolo, cultura … a una metodologia di risurrezione-integrazione delle risorse, dunque di tutti gli
opposti, è una lotta appassionante (Romani 8: 22-23). La prima edizione della nostra epistemologia
è una edizione necessariamente «grezza», statica, «fotografica uni-versale» che tiene strettamente
insieme l’Ontologico e le sue immagini. Così strettamente insieme da perdere il senso della
distinzione. Questa identificazione totale, ci ha privato della capacità di metterci realmente in
ascolto del palpito dell’Ontologico, della sua voce, delle sue intime vibrazioni, dei suoi piacevoli e
travolgenti orgasmi quotidiani … della sua nudità. Questa identificazione ci ha spinto a privilegiare
la relazione con le immagini/parole a scapito della relazione con la sorgente. In questo senso stiamo
ancora vivendo la genesi, l’inizio: anche noi siamo come «Caino (fede) e Abele (scienza)» quando
la Vita ci chiede di metterci in ascolto-rapporto con l’Ontologico.
C’è una forza profonda che ci trattiene «liberamente» prigionieri delle prime immagini
mentali che ci siamo fatti dell’Ontologico, e che dell’Ontologico ci hanno fatto fare (famiglia …
religione e cultura). Si tratta di una forza potente, misteriosa, uterina, inafferrabile, ineffabile e
indicibile. La sofferenza, è come una «sacra doglia» che ci spinge per farci transitare di
epistemologia in epistemologia sempre più vicina all’Ontologico. Anche oggi questa «antica
doglia» ci sta facendo transitare dentro ad un nuovo umanesimo. Non verso un «transumanesimo»
con cui la attuale specie uomo non avrebbe niente a che vedere, se non addirittura da temere, ma
«oltre» l’attuale umanesimo. Dentro/verso un «umanesimo creativo e danzante» capace di andare
«al di là della mente», «oltre la Ragione», dentro l’oceano profondo e affascinante della nuda Verità
dell’Essere, dell’Ontologico. Un umanesimo in cui l’uomo/a è «signore» delle rappresentazioni
mentali e non schiavo. Un «umanesimo umile» che non disprezza né crocifigge le «immagini
mentali», ma che sente forte il bisogno di inginocchiarsi ogni giorno di fronte alla quotidiana
«originale» nudità con cui l’Ontologico ama passeggiare ogni mattino nel giardino della Vita di
ogni essere vivente.
Abbiamo la possibilità di andare oltre le parole/immagini mentali e incontrare
realmente la Nuda Nudità
Oggi siamo davanti a una grande opportunità vitale: abbiamo la possibilità di andare oltre le
parole/immagini mentali a cui ci siamo fino ad oggi affidati in maniera incondizionata (uterina) e
incontrare realmente la Nuda Nudità: Colui/Colei (l’ineffabile Mistero Personale Profondo) di cui
le parole/immagini sono l’ombra, l’impronta, il riflesso … la teoria. Grazie alla storia che ci
precede, oggi possiamo disporci meglio a tale liberante, avvincente, incontro!
Denudare la mente significa «insegnarle a camminare» «oltre le parole», aiutarla ad andare
«oltre le immagini mentali» e ad abbandonarsi alla «nudità» dell’Essere. Significa insegnarle di
nuovo a «misurare». Solo quando è nuda la mente può respirare il «vento leggero» della «Verità»,
può «misurare» le profondità vitali. Denudare la mente è la strada di cui ha oggi bisogno la Vita per
non precipitare nel vortice del vuoto e della confusione disperante; per non venire sottomessa alla
«Dea Ragione»; per far si che l’arte dell’amore (crossing-over) che intreccia e «crea», non venga
neutralizzata dalle antiche strategie della logica che spezzetta, frantuma e «distrugge».
Posare di nuovo lo sguardo sulla «nuda nudità» dell’Essere, andare «oltre le parole», è la
carezza di cui ha ancora bisogno la «mente» per ritrovarsi; per fare luce, per illuminarsi … per
illuminare la Vita complessa del «mondo villaggio»; per aprire nuove strade alla Verità, alla
Giustizia e alla Pace. «Ora tutti e due erano nudi, l’uomo e sua moglie, ma non ne provavano
vergogna» (Genesi 2: 25). L’ontologico è nudo: non veste di parole, non veste di culture, non veste
di religione, né di scienza; non veste di apparenze, non veste di tutto ciò di cui vorremmo vestirlo
per sentirci tranquilli e non sentire la sua nuda presenza alla brezza di ogni nostra giornata! Allo
stesso tempo è proprio tale nudità che permette all’Ontologico di non disdegnare di indossare
infiniti vestiti, qualsiasi lingua, infinite parole, qualsiasi intreccio-contraddizione, ogni cultura e
ogni religione, ogni scienza, ogni filosofia!
La povertà è nudità dell’Essere. La nudità è seducente ricchezza dell’Essere. La povertà è
forza travolgente dell’Essere. L’Ontologico non veste di porpora (religioso) e bisso (scientifico),
l’Ontologico è nudo, è povero, per questo non è possibile farsi di esso immagine alcuna, reale o
mentale che sia. Si potrebbe dire che la vera immagine dell’Ontologico è la «nuda nudità»; la
oscurità luminosissima che emana dalla invisibile «nuda nudità».
La nostra nudità è vera icona dell’Ontologico; è espressione vera del nostro essere a Sua
immagine e somiglianza. La nudità è retaggio di tutti perché è condizione originaria di ognuno e in
quanto tale, non ci tradisce e non ci corrompe. Infatti ha il potere di trattenerci permanentemente
nell’Ontologico e ad esso non si sostituisce per essere adorata. In questo senso non ci si deve fare
immagine alcuna dell’Ontologico, perché tale immagine c’è già: perché nella nudità c’è la sua
immagine profonda.
Vorrei che «parole» e «non parole» si «sposassero» e nascesse una nuova mente e un
nuovo cuore
La nudità è una risorsa molto fragile, è la nostra primordiale ricchezza. Nella nudità è viva e
palpitante la complicità creativa e festosa dell’Ontologico. La nudità è il terreno di incontro tra
storia e meta-storia, è lo spazio Ontologico e fisico dell’intimità tra visibile e invisibile. La nostra
natura umana ha bisogno di dissetarsi alla sorgente della nudità, ha bisogno di nutrirsi del suo
abbraccio, di inebriarsi del suo piacere, della carezza della sua compagnia.
Essere nudi è un diritto e un bisogno di ogni uomo/a, di tutti. E non sto parlando soltanto
della nudità corporea, né solo del rito affascinante e spettacolare che presiede alla scintilla che dà
origine ad ogni vita umana, ma parlo soprattutto di quella nudità ineffabile che è la condizione
originaria dell’Essere: la sua specificità, la sua profonda verità. Sto parlando di quella nudità che
poi chiamiamo bellezza, verità, libertà, ascolto, rispetto contemplativo del mistero di ogni diversità
… Tutti quanti abbiamo bisogno di essere in contatto con questa nudità per vivere, ne abbiamo
bisogno come dell’aria per respirare. Chissà perché questa dimensione così affascinante e piacevole
dell’Essere fa così tanta paura. Perché essere nudi, essere visti nudi, farci vedere nudi ci fa tremare
così tanto?
Vorrei sentir vibrare dalle mie «non parole» il sospiro, il bacio, la carezza dell’Ontologico, il
battito del Suo Cuore. Vorrei che la sinfonia delle «non parole» echeggiasse «la Parola Ontologica»
che è «antico silenzio», è «arcobaleno di dinamiche» … è «molteplici sinfonie di voci e di silenzi».
Chissà se un giorno riuscirò a godermi una passeggiata «oltre le parole», perché in realtà ciò
che voglio comunicare non sono «parole», ma la loro eco antica, la loro anima, la loro carne. Eco,
anima, carne … di cui le «parole scritte» o «dette», sono solo un vestito, dico uno, uno dei tanti,
spesso neppure il più adatto; tante volte forse il meno indovinato che mi sembra di intuire dal
sussurro dell’Ontologico da cui sono stato sedotto.
Vorrei «non scrivere», vorrei che le mie «parole» la smettessero di fare «la prima donna» e
si concedessero una danza con le mie «non parole». Vorrei che «parole» e «non parole» si
«sposassero» e nascesse una nuova mente e un nuovo cuore … un uomo/a nuovi (Geremia 31: 3134).