ponte di messina - Rotary Club Arezzo Est

Transcript

ponte di messina - Rotary Club Arezzo Est
Pier Lodovico Rupi * Il ponte sullo stretto La relazione si articola in tre parti. Dapprima, un richiamo alle procedure che condussero alla solle‐
cita approvazione del progetto del Ponte sullo stretto di Messina. Quindi, qualche sommario ri‐
chiamo della storia dei ponti, da quelli etruschi e romani fino ai ponti sospesi. Infine la descrizione del Ponte sullo stretto e delle sue principali problematiche Negli ultimi decenni, la realizzazione delle grandi infrastrutture, autostrade, linee ferroviarie eccetera, è stata contrastata e spesso impedita da numerosi sbarramenti. Regio‐
ni, Province, Comuni, altri Enti locali, c’era quasi sempre qualcuno che ne stoppava l’avvio o ne interrompeva l’esecuzione. Nell’aretino, è successo così per la “due mari”, interrotta, da una parte, per l’opposizione del Comune di Lucignano che la voleva far passare sotto casa, e dall’altra, per la contesa tra due Comuni della Valtiberina, ciascuno dei quali con la propria soluzio‐
ne. È successo così anche della terza corsia dell’autostrada del Sole, nel tratto tra Arezzo e Firenze, che inciampò nel parere negativo dei Comuni del Valdarno. Figuratevi cosa è successo per il Ponte sullo stretto… negli ultimi cinquant’anni, il Ponte era divenuto un tormentone nazionale, con concorsi e gare indetti e disdetti, propo‐
ste e controproposte, manovre dilatorie e ripiegamenti, ordini e contrordini. Ma nel 2001, la Comunità Europea individua il “cor‐
ridoio 1 – Berlino ‐ Palermo”, e indica tra le opere priorita‐
rie di questo “corridoio” il Ponte sullo Stretto. Ciò significa, in parole semplici, l’impegno dell’Europa di addossarsi una parte del costo. Del resto, che l’Europa attribuisca molta importanza a questo tipo di infrastrutture lo mostra anche il fatto che in qualsiasi Euro cartaceo sia sempre rappresen‐
tato un ponte. Anche per questo diventa quindi urgente sbloccare la situazione di paralisi e a tal fine, il 21 dicembre del 2001, il Parlamento emana la cosiddetta “legge obiettivo”. Questa legge formula un elenco di circa 150 importanti infrastrut‐
ture, per lo più strade e ferrovie, e tra queste il Ponte sullo stretto, che classifica come “opere strategiche di interesse nazionale”. Per le opere comprese in questo elenco la legge abroga la competenza delle Regioni, delle Province, dei Comuni e di ogni altro Ente. I progetti di queste opere sono di sola, esclusiva, intera competenza del Consiglio dei Ministri. Con l’abrogazione delle competenze di Regioni, Province, Comuni eccetera, scom‐
paiono anche le mansioni dei corrispondenti organi tecnici, commissioni, comitati, consul‐
te eccetera. Assunta la competenza esclusiva, il Consiglio dei Ministri ha avuto allora la necessità di una propria struttura tecnica per l’esame e l’approvazione dei progetti e per il controllo della loro esecuzione, soprattutto in relazione agli aspetti ambientali. Infatti, se l’inserzione di una infrastruttura nell’elenco della “legge obiettivo” corri‐
sponde alla sua classificazione come “opera di interesse strategico nazionale”, ciò vuol di‐
re che quest’opera si deve realizzare. Ma ciò non vuol dire che quest’opera debba essere realizzata in qualsiasi modo. Resta il problema della qualità dell’opera, soprattutto nel suo rapporto con i territori attraversati. Resta cioè l’esigenza di evitare, o comunque, di limita‐
re al massimo, quell’effetto negativo nel territorio e nel paesaggio chiamato “impatto am‐
bientale”. A tal fine, il 4 dicembre 2002, il Presidente del Consiglio dei Ministri nomina per l’esame dei progetti di queste opere una Commissione di nove componenti, tra i quali ho avuto la ventura di essere inserito.. Il 20 giugno 2003 dopo un’istruttoria compiuta entro i tassativi 90 giorni dalla pre‐
sentazione, questa Commissione approva all’unanimità, con varie prescrizioni, il progetto del “Ponte sullo stretto di Messina”, cui, il 10 agosto, segue il decreto del Consiglio dei Ministri. ~ ~ ~ Spendiamo ora qualche parola sui ponti in generale. Nei tempi più antichi, i fiumi si traversano in barchetta, poi i romani inventano l’arco e con esso costruiscono i primi veri ponti che compaiono della storia dell’uomo Classico esempio è Ponte Milvio, il ponte con i lucchetti degli innamorati. I ponti romani sono costituiti da uno o più archi appoggiati su pile poste anche nell’alveo del fiume. La luce di questi ponti, cioè la distanza tra una pila e l’altra, non supera i 20 metri. Nel territo‐
rio aretino, a Quarata, abbiamo un classico esempio di ponte romanico; Ponte Buriano, di‐
venuto famoso come il ponte della “Gioconda”. Per quasi due millenni, il modello dei ponti romani, ad arcate su pile di pietra o di mattoni, resta insuperato. E per due millenni, le luci tra una pila e l’altra continuano a non andare oltre i venti‐venticinque metri. Una prima evoluzione si ha nel 1877, con l’entrata in scena dell’acciaio. L’ingegnere Eiffel, il costruttore della torre di Parigi, realizza ad Oporto un ponte con struttura retico‐
lare in acciaio, ma sempre con lo stesso schema del ponte ad arco dei romani, anche se i valori di resistenza del nuovo materiale consentono di ottenere una luce maggiore. Nessuno si è ancora reso conto di quale è la differenza fonda‐
mentale dell’acciaio rispetto alla pietra. L’acciaio, diversamente dalla pietra, regge anche a trazione e può essere adoperato in cavi ai quali si possono appendere grandi pesi. Se ne accorgo‐
no, invece, gli americani che nel 1883, appena sette anni dopo il ponte di Eiffel, realizzano un modello rivoluzionario di ponte, il “ponte sospeso”. Uno schema radicalmente nuovo, che uti‐
lizza fino in fondo la qualità dell’acciaio di resistere a trazione e che consente di ottenere luci assolutamente inusitate. Brooklyn – New York City – U.S.A. (1883)
Luce 479 m - Torri 83 m
Il prototipo assoluto di “ponte sospeso” è il Ponte di Brooklyn, quello della “gomma del Ponte” che tante volte abbiamo visto in TV. Ultimato nel 1883, ha luce di 479 metri. Si è passati d’un balzo dai 20/25 metri a poco meno di mezzo chilometro. Ancora non esistono le au‐
tomobili e questo ponte serve solo per i pedoni e per le carrozze. Al centro del Ponte, una targa ri‐
corda Emily Warren, una donna che subentra al marito, il costruttore del Ponte paralizzato per un incidente nel lavoro, raccogliendone le indicazioni e dirigendo la fase conclusiva della costruzione ~ ~ ~ Il “Ponte sospeso” è un ponte nel quale la funzione portante è affidata a una o più coppie di cavi di acciaio (detti “catenarie”) dai quali calano, in successione a intervalli re‐
golari, i cavi secondari (detti “pendini”) che reggono il piano stradale (detto “impalcato”).. Per ottenere un cavo principale che corra in alto, a cui poter appendere i cavi se‐
condari che sostengono il piano stradale, occorre che questo cavo sia, a sua volta, appeso tra due torri poste ai due estremi del ponte. E affinché il peso del piano stradale non tiri giù le torri facendole ribaltare sul fiume, occorre che i cavi siano contrastati dalle parti op‐
poste da un adeguato ancoraggio. Molti anni dopo il ponte di Brooklyn, si costruiranno altri ponti sospesi raggiun‐
gendo via, via luci maggiori. Ecco alcuni fra i più noti e importanti: - Golden Gate (porta d’oro) a San Francisco, ul‐
timato nel 1937, con luce metri 1.280; - Ponte di Verrazzano, a New York, progettato dall’ingegnere italiano Morandi, ultimato nel 1964, con luce metri 1.298; - Ponte sul Bosforo, che collega l’Asia all’Europa, ultimato nel 1973, con luce metri 1.074. - Humbert Bridge, a Ching Stone (Inghilterra), ultimato nel 1981, con luce metri 1.410 (foto); - Great Belt (Danimarca), ultimato nel 1998, con luce metri 1.624; - Akashi Kaikyo (Giappone), ultimato nel 1999, con luce metri 1.991. Quest’ultimo ponte, che collega due isole del Giappone, è il ponte con la maggior luce esi‐
stente al mondo, quasi due chilometri. A metà costruzione, in condizioni di massima vul‐
nerabilità, subì un terremoto ‐ che atterrò intorno molti edifici ‐ restando indenne. Infine, l’Oresund Bridge che collega la Danimarca alla Svezia. Poiché quel tratto di mare è poco profondo, una successione di pilastri sostiene la strada che, in prossimità del‐
la costa danese entra in galleria subacquea, per risbucare dentro Copenaghen Parlando di ponti, non si può non ricordare i bellissimi ponti di Calatrava e, tra questi, il ponte sul Bilbao, un ponte sospeso pedonale ad andamento curvo, strutturalmen‐
te assai modesto, ma di grande eleganza architettonica. ~ ~ ~ Ma la storia dei ponti non è solo così come l’ho raccontata finora, tutta in discesa. Essa subisce una battuta di arresto e un grave motivo di ripensamento nel 1940, con la vi‐
cenda del ponte sul Tacoma. I ponti sospesi erano sempre più sottili e il problema non valutato risultò essere il vento. Il vento contro un ostacolo provoca dei vortici irregolari che inducono delle defor‐
mazioni alternate e se, come si dice in gergo tecnico, gli effetti di questi vortici non si dis‐
sipano, cioè se il ponte non ritorna nella sua conformazione prima di subire gli effetti del vortice successivo, questo aggiunge una ulteriore deformazione, questa volta di maggiore ampiezza perché trova il ponte già deformato e quindi più vulnerabile. È così che s’innesca un fenomeno simile alla risonanza, che può portare al disastro. Fu a causa di un vento di meno di 70 chilometri all’ora che il ponte sul Tacoma co‐
minciò ad ondeggiare e a contorcersi fino a crollare. ~ ~ ~ Ormai i collegamenti sul mare programmati dalla Comunità Europea sono stati rea‐
lizzati, resta ancora da realizzare il Ponte sullo stretto. Il 20 giugno 2003, la Commissione di Valutazione esprime parere favorevole con alcune prescrizioni al progetto della società “Ponte sullo Stretto”. Il 10 agosto 2003, il Consiglio dei Ministri approva il proget‐
to. Nel 2004, la società “Ponte sullo Stretto” indice la gara in‐
ternazionale di appalto. Il 12 ottobre 2005, si conclude l’appalto con l’affidamento per 3,88 miliardi di Euro ad un raggruppamento di imprese italiane e giapponesi, capofila (o meglio, “general con‐
tractor”) l’Impregilo. Nel 2006 interviene lo stop del governo Prodi. Due anni non sono indolori, saltano l’appalto, gli accordi con il Ministero, con le FFSS, con l’ANAS eccetera. Il 28 dicembre 2008, il presidente del Consiglio dichiara che “l’agenda degli inter‐
venti infrastrutturali prevede come prima priorità il Ponte sullo stretto”. La società “Ponte sullo Stretto” che finanzia l’opera è presieduta da Zamberletti, già Ministro per la protezione civile, consigliere delegato è Ciucci, presidente anche dell’ANAS. Lo Stato non entra direttamente nell’operazione, perché si tratta di un “project fi‐
nancing”, un’opera, il cui finanziamento è fondato sulla previsione di incasso dei pedaggi. Il “project financing” è una modalità per realizzare un’opera importante che viene da lon‐
tano: il ponte Vecchio di Firenze (1345) fu finanziato con i soldi disponibili con la pre‐
vendita delle botteghe. L’importo dell’appalto, di 3,88 miliardi di Euro, dovrà essere ricontrattato. La socie‐
tà Fintecno, socia per il 65% dispone di 2,6 miliardi, ricavati dalla cessione della società Autostrade. ANAS e ferrovie partecipano con il 13%, Regioni Calabria e Sicilia per quote minori. Per le somme mancanti sarà fatto riferimento al mercato internazionale, trattando‐
si sicuramente di un’opera assai redditizia, senza dire della Banca Europea degli Investi‐
menti e dei Fondi Strutturali. ~ ~ ~ Il Ponte sullo stretto costituirà un’opera fortemente innova‐
tiva per la sua luce, la distanza tra le due torri di 3.300 metri, a fronte del ponte di maggior luce esi‐
stente oggi al mon‐
do, di 1.991 metri. L’altezza delle torri, interamente in acciaio, sarà di 376 metri, la stessa altezza dell’Empire State building. E il Ponte si eleverà al centro oltre 75 metri sul livello del mare, per consentire il pas‐
saggio di qualsiasi nave che oggi solchi gli oceani. Mentre i ponti maggiori hanno lar‐
ghezza intorno a 30 metri, il Ponte sullo stretto avrà una larghezza di 60,50 metri, maggiore di quella di un campo di calcio. 376 m
Il Ponte prevede nelle due direzioni tre cor‐
375 m
sie di marcia, una veloce, una normale, una lenta e la corsia di emergenza, due binari per il treno al centro, più una strada di ser‐
vizio per parte, in tutto, dodici “corridoi”. Per far fronte agli effetti provocati dal ven‐
to, l’impalcato è costituito da tre settori se‐
parati, due per i nastri stradali e uno per quello ferroviario. Una successione di elementi trasversali compatta il sistema. E tutte le parti dell’impalcato hanno le forme aerodinamiche delle sezioni alari. In tal modo, il ven‐
to, invece di incontrare una vasta superficie su cui esercitare la spinta, viene deviato dalle forme aerodinamiche verso gli spazi vuoti. Un ulteriore accorgimento per stabilizzare il Ponte consiste nell’incrociare, fuori del Ponte, le due carreggiate, con la conseguenza di ribaltarne il senso di marcia. In tal modo, i carichi pesanti, camion o autotreni, si posizioneranno verso il centro e non agli estremi, come accadrebbe con il normale senso di marcia. Il Ponte è stato calcolato mettendolo in sicurezza rispetto ad eventi così rari che ab‐
biano probabilità di avvenire solo una volta ogni 2000 anni. Ad esempio, per quanto ri‐
guarda il rischio sismico, sono state eseguite ricerche storiche, campagne archeologiche, indagini geofisiche, riscontri letterari, che hanno consentito di datare e classificare secondo l’intensità i terremoti avvenuti nella zona fin da molti secoli passati. Quindi con modelli matematici è stata estratta la curva probabilistica del tempo di ritorno per le varie intensità di evento sismico. Secondo questa curva matematica gli eventi sismici via, via più intensi hanno un tempo di ritorno via, via più lungo. Estrapolando questa curva, si è ottenuta l’indicazione del tempo di ritorno di ogni livello di intensità di evento sismico. Il Ponte è stato calcolato per resistere ad un evento sismico così estremo, e quindi così raro, avente probabilità di ritorno ogni 2000 anni. Dall’indagine tettonica risulta che la Calabria si sovrappone alla Sicilia e quest’ultima scivola via alla velocità di un millimetro all’anno. Questo fenomeno è assolu‐
tamente irrilevante di fronte alle grandezze in gioco, di fronte, ad esempio, alla dilatazione termica. L’allungamento, o la contrazione, dei 3.300 metri di impalcato, con la stagione cal‐
da o con quella fredda arriva a valori massimi di tre metri. Indubbiamente i problemi maggiori della costruzione del Ponte, riguardano le tec‐
niche costruttive: ad esempio, come stendere tra le due torri, alte come l’Empire, oltre 3,5 chilometri di cavo di diametro metri 1,20, pesante circa 10 tonnellate al metro e costituito da 44.000 fili di acciaio. La tecnica adottata per il Great Belt consisté nella realizzazione preliminare di un sistema sospeso leggero, comprendente una teleferica per il trasporto dei singoli fili di acciaio e il camminamento per gli operai. Invece, l’impalcato, suddiviso in parti, venne tirato su da chiatte sul mare per mezzo degli stessi pendini, che poi avreb‐
bero costituito il sistema portante. Quando il Ponte sullo stretto sarà stato realizzato, l’ingegneria e l’industria di co‐
struzioni italiana avranno fatto un grande balzo in avanti, avendo dovuto affrontare e ri‐
solvere problemi finora sconosciuti. Occorre ricordare che il progetto del Ponte sullo stretto è un “project financing”, cioè i soldi per la sua realizzazione non sono dello Stato ma in larga parte di alcuni privati cittadini che hanno fatto la proposta: il Ponte contro i pedaggi. Se la proposta non fosse stata accolta, nulla avremmo potuto dire su dove questi cittadini avrebbero dovuto mette‐
re i loro soldi. Comunque, assai difficilmente nella costruzione di autostrade nel sud, dove non si pagano i pedaggi. Oggi sembra che tutti siano molto preoccupati per le tasche di questi privati cittadi‐
ni e per le sorti delle imprese appaltatrici, paventando per il Ponte sullo stretto disastri di ogni genere. Anch’io penso che, come il Ponte di Brooklyn e come altre grandi opere, il Ponte sullo stretto sia una sfida. Ma se la Società ci ha messo i suoi soldi e le più grandi imprese del mondo si sono contese l’appalto, se poi ha vinto un gruppo che va dalla mag‐
giore impresa italiana a quella giapponese, non riesco a vedere una ragione plausibile e trasparente per tale preoccupazione. Concludo, riportando una frase di Sergio Romano nella rubrica del Corriere della sera, “un paese in cui la molla dell’ambizione scatta per i Mondiali di calcio, ma si affloscia per una grande opera (la TAV del corridoio 5, il Mose di Venezia, il Ponte sullo stretto) è condannato alla mediocrità”. Relazione tenuta il 29 gennaio 2009 * Dottore ingegnere, dottore architetto, già professore incaricato di un corso di Urbanistica alla Facoltà di Architettura dellʹUniversità di Firenze. Dal 1973 al 1993 nominato dal Consiglio Regionale componente della Commissione Urbanistica Regionale della Toscana. Dal 2002 al 2007 nominato dal Presidente del Consiglio componente della Commissione Speciale Grandi Opere di interesse strategico nazionale.