le estorsioni in campania

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le estorsioni in campania
Con contributi di: Giacomo Di Gennaro • Franco Roberti • Maria Di Pascale
Andrea Procaccini • Carlo De Luca • Amelia Debora Elce
VOLUME DISTRIBUITO
GRATUITAMENTE
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ARCIPELAGO
mafie • economia • impresa
LE ESTORSIONI IN CAMPANIA
volume pubblicato nell’ambito del pon sicurezza per lo sviluppo
- obiettivo convergenza 2007-2013 - obiettivo operativo 2.4
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GIACOMO DI GENNARO (A CURA DI)
La ricerca sul fenomeno estorsivo in Campania è la prima a interessare
l’intera area regionale. Basata su fonti statistiche e giudiziarie descrive
i principali caratteri del fenomeno e le ragioni del suo differenziato
modo di affermarsi in contesti locali diversi della regione. Il volume
costituisce una nuova tappa di analisi dell’attività estorsiva che fa
capo ai clan di camorra per entrare in profondità sulle ragioni che
ne determinano la persistenza, lo sviluppo e la sua trasformazione,
approdando a considerazioni che riguardano il ruolo delle vittime
e delle istituzioni sociali e civili. La valutazione che emerge sulla
diffusione del fenomeno implica la consapevolezza che se si ostacola
questa primaria forma di accumulazione illegale che permette di
esercitare il dominio in uno spazio sociale, si contrasta sul nascere non
solo una modalità acquisitiva violenta di risorse economiche basilare
per lo sviluppo di ulteriori attività e traffici criminali, ma si restituisce
alle comunità locali quel diritto alla sicurezza che è condizione
fondamentale e imprescindibile per l’esercizio della libertà economica
e degli ulteriori diritti civili e sociali.
LE ESTORSIONI
IN CAMPANIA
IL CONTROLLO
DELLO SPAZIO SOCIALE
TRA VIOLENZA E CONSENSO
a cura di
Giacomo Di Gennaro
prefazione di
Franco Roberti
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diretta da Tano Grasso
Le estorsioni in Campania
Il controllo dello spazio sociale
tra violenza e consenso
a cura di Giacomo Di Gennaro
prefazione di Franco Roberti
Rubbettino
Progetto grafico: Giuseppe D’Arrò, Santina Cerra, Luigi De Simone
© 2015 - Rubbettino Editore
88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - tel (0968) 6664201
www.rubbettino.it
Se io accetto di morire perché gli altri vivano, avrò la vita, se
io pur di vivere allargherò attorno a me gli effetti della mia
voracità, già ora vivo il mio annientamento
(Non disturbate l’Amore: “Tra Eros e Thanatos”,
Ernesto Balducci).
Prefazione
La camorra di oggi, che si è andata evolvendo a partire dalla
seconda metà del Ventesimo secolo da fenomeno endemico
di criminalità diffusa, fino a diventare una delle più aggressive
forme di criminalità organizzata transnazionale, è il prodotto di
dissennate scelte politiche dei gestori della cosa pubblica, che
fino a ieri hanno preferito governare l’illegalità a tutti i livelli,
anziché reprimerla; è il prodotto di un patto scellerato tra pezzi del mondo politico ed economico campano e la criminalità
organizzata, tradottosi nell’uso di quest’ultima per fini politicoelettorali e imprenditoriali e nel corrispettivo uso della politica
e dell’imprenditoria per fini criminali.
Se queste sono le conclusioni cui conducono i principali
accertamenti giudiziari degli ultimi anni, mi sembra rilevante, ai
fini della comprensione del fenomeno, l’analisi della componente economica e di quella sociale come risulta da questo lavoro.
La componente economica, e in generale la spinta all’accumulazione con ogni mezzo di risorse, rappresenta la finalità
principale, per non dire unica, che spiega le scelte strategiche
e tattiche delle organizzazioni criminali di ogni tipo e della camorra in particolare, che è storicamente caratterizzata da una
spiccata vocazione mercantile. Ma la possibilità di profitto da
sola non basta; deve essere accompagnata da una situazione
ambientale favorevole, che definiremmo di vulnerabilità economico-finanziaria e istituzionale.
La vulnerabilità economico-finanziaria è collegata a situazioni di bassa competitività ed efficienza. La vulnerabilità istituzionale, a sua volta, si può riscontrare quando, in un contesto
territoriale, la competizione economica e lo sviluppo non sono
prefazione
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garantite da una struttura di pubbliche autorità e istituzioni
che assicurano la tutela dei diritti, la risoluzione dei conflitti e
in generale il rispetto delle leggi. In tale contesto la criminalità
ha buon gioco a far valere, nell’area della produzione e degli
scambi, gli strumenti e le procedure extra-economiche e illegali
che la caratterizzano.
La vulnerabilità ambientale diviene così condizione essenziale per l’insediamento e la diffusione di forme di criminalità
organizzata. Cresce l’economia illegale, intendendo con tale
denominazione tutti quegli scambi o produzioni in cui le relazioni di comportamento sono regolate da norme diverse – spesso
opposte – rispetto a quelle istituzionali pubbliche. L’economia
illegale della criminalità organizzata coincide con quella parte
di scambi illegali in cui almeno uno degli attori fa parte di una
organizzazione criminale.
L’economia illegale può assumere forme diverse e riguardare sia la parte “reale” che quella “finanziaria” del sistema:
ad esempio, produzione e commercio di stupefacenti, traffici
illeciti di merci o persone, racket e usura, credito abusivo, riciclaggio. La presenza di forme di criminalità organizzata in
settori dell’economia reale e finanziaria si traduce peraltro in
un inquinamento progressivo non solo dell’ambito economico, ma anche, inevitabilmente, del contesto sociale e della vita
pubblica. Si innesta così un circuito perverso: la vulnerabilità
ambientale facilita l’inquinamento da criminalità organizzata,
che a sua volta deteriora ulteriormente il contesto ambientale.
L’equazione “sviluppo economico=legalità” si è dimostrata,
alla luce dell’analisi economica, superata e fallace, in quanto il
rapporto va decisamente rovesciato: non può esserci sviluppo
economico senza legalità. Infatti, in presenza di criminalità non
può esserci una sana attività di impresa e di investimento. Al
contrario, se il flusso di investimento – privato e pubblico – non
è assistito da condizioni di legalità, sono altissimi i rischi di inefficienza del flusso di risorse e, addirittura, che lo stesso flusso
vada ad alimentare gli stessi fenomeni di criminalità diffusa.
La teoria economica ha da tempo sottolineato il ruolo
fondamentale della sicurezza e della fiducia per la crescita e il
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buon funzionamento dell’economia di mercato, intese come
insieme di regole e procedure che permettono produzione
e scambio efficienti delle risorse in una società avanzata e
democratica.
La sicurezza e la fiducia degli operatori economici sono
basate appunto sulla convinzione che esista un complesso di
regole del gioco, garantito e controllato dalle pubbliche istituzioni, che indirizza i comportamenti, dirime i conflitti di interesse, punisce le condotte sleali. La minaccia al regolare sviluppo
dell’economia è rappresentata dalla quantità, ma soprattutto
dalla qualità degli atti illeciti e criminali che vengono commessi
nel suo ambito. Non v’è dubbio che la presenza dell’imprenditoria criminale nel tessuto economico-sociale, alterando la libera
concorrenza, incidendo negativamente sulla qualità dei servizi,
sottraendo masse finanziarie al prelievo fiscale e scoraggiando
gli investimenti, costituisce un potente freno allo sviluppo e,
quindi, all’occupazione legale.
L’obiettivo primario dell’azione di contrasto giudiziario deve perciò consistere – con sempre maggiore intensità – nell’individuare e colpire patrimoni, ricchezze, forme e percorsi di accumulazione dei profitti e dei capitali, anche all’estero, proprio
perché le mafie incidono pesantemente sull’economia legale
sotto forma di corruzione, riciclaggio e controllo delle imprese apparentemente legali, ma in realtà a capitale mafioso. La
contrazione degli impieghi bancari, dovuta all’attuale crisi economica, favorisce senza dubbio il ricorso degli imprenditori in
difficoltà a forme di finanziamento anomale o illegali. Tradizionalmente, ma ancora oggi, gli interlocutori privilegiati dei gruppi mafiosi sono gli imprenditori meno propensi a denunziare le
pressioni estorsive e i prestiti usurai, spesso, più che per reale
paura di ritorsioni, per calcolo utilitaristico legato all’esigenza
di non attirare l’attenzione dello Stato sui profili illegali delle
proprie attività (evasione fiscale, acquisti di merce in nero, dipendenti non inquadrati, ecc.). In proposito è significativo un
dato statistico nazionale aggiornato al 2013: negli ultimi due
anni, le denunce per usura che rappresentano solo la porzione
“emersa” del fenomeno criminale, sono aumentate rispetto al
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2010-2011 quasi del 20%. Sicché imprese apparentemente legali
si ritrovano, nei fatti, nelle mani della criminalità.
Il “caso Campania” – cresciuto nel tempo tra strumentalizzazioni e sottovalutazioni – rappresenta esattamente, più
di ogni altro fenomeno criminale, la somma delle inefficienze
e delle inadempienze in questi settori.
Per quanto riguarda, in particolare, il fenomeno delle estorsioni, sono emerse negli ultimi anni rilevanti correzioni di tendenza operate sia da parte delle organizzazioni mafiose che da
parte degli imprenditori. Per quanto riguarda le prime, dopo un
periodo nel quale la strategia di esazione estorsiva ha indubbiamente subito un mutamento – poiché alla scelta perseguita
da oltre un quindicennio di formulare delle richieste capillari di
somme di moderata entità, strettamente commisurate al volume di affari dell’esercente l’attività economica si era sostituita
una formulazione di richieste di entità notevolmente superiore – oggi le organizzazioni criminali sono tendenzialmente ritornate ai vecchi “protocolli” di riscossione nella logica del dare
minore visibilità possibile alla propria attività criminale; lo stesso
è a dirsi circa gli avvertimenti o le reazioni ai mancati pagamenti
per i quali si è tornati a danneggiamenti meno eclatanti ma di
maggiore frequenza.
Tale modalità pratica di realizzazione del delitto appare particolarmente significativa in realtà nelle quali le organizzazioni
criminali appaiono in crisi di leaderschip, poiché proprio le dette
modalità consentono alle organizzazioni mafiose di conservare
il controllo del territorio, che, si ricordi, è un dato imprescindibile per le stesse, senza dover operare azioni criminali particolarmente eclatanti, che possono destare le reazioni dello Stato.
Permane costante la continuità della reazione di una parte
della società civile, in cui, grazie ad associazioni antiracket e
antiusura accreditatesi negli ultimi anni anche nei confronti
delle istituzioni civile per il coraggio, la coerenza, la serietà e
la continuità dei loro interventi, già da tempo si erano concretamente innestati elementi di rigetto contro questa forma di
violenza mafiosa, nonché l’esatta percezione delle conseguenze che essa comporta. Ma quel che più conta è che anche i com10
mercianti e gli imprenditori si sono fatti portavoce di questo
rifiuto della violenza parassitaria mafiosa. Un sintomo assai
rilevante di questo rifiuto è stata l’adesione, da parte di molti
di essi, alle predette associazioni. Nello stesso quadro vanno
positivamente valutate le iniziative che tendono a coinvolgere
il mondo delle libere professioni in un quadro di resistenza e
reazione civile al racket estorsivo.
È maturata da parte di molti cittadini la consapevolezza
che l’estorsione è la prima attività mafiosa, quella essenziale
per la sopravvivenza dell’organizzazione criminale. Se non c’è
più estorsione è molto più difficile il controllo del territorio;
se il sistema estorsivo collassa comincia il declino delle mafie
radicate sul territorio.
Naturalmente la strada da percorrere è ancora molto lunga
e travagliata e passa, anzitutto, per la conquista della fiducia dei
cittadini da parte delle istituzioni, le quali devono dare prova,
con i fatti concreti e non con i proclami, di voler veramente
sradicare la mala pianta del crimine organizzato.
Franco Roberti
Procuratore Nazionale Antimafia
prefazione
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Introduzione
Il presente lavoro è incentrato sul fenomeno dell’attività estorsiva in Campania. È il primo, la cui analisi si estende a tutte le
province della regione, a radiografare su territori diversi il fenomeno ed è il secondo a fare il punto delle ragioni della sua
persistenza e trasformazione in maniera quanto più compiuta
possibile. Infatti, nel 2010 a conclusione di un percorso di ricerca
che ha visto integrate competenze giuridiche, sociologiche,
economiche, investigative, sotto l’impulso della Fondazione
Rocco Chinnici e sintetizzato nel volume I costi dell’illegalità.
Camorra ed estorsioni in Campania, si dava conto dell’attività
estorsiva nelle due maggiori aree provinciali (Napoli e Caserta)
mettendone in risalto dimensione quantitativa, effetti sul tessuto economico e sociale, criticità persistenti nella legislazione di
contrasto. I problemi aperti, cui perveniva la ricerca, riguardavano, tra l’altro, l’incipiente diffusione del fenomeno nelle altre
province in particolare quelle implicate – come la beneventana
e la salernitana – da interessanti trasformazioni economiche,
dallo sviluppo ed estensione dell’urbanistica, da una modificazione dell’economia agricola e turistica. Il coinvolgimento di
queste aree in nuove direttrici e dinamiche economiche pone,
inevitabilmente, stante il carattere strutturale della criminalità organizzata in Campania, il problema dell’estensione della
pratica estorsiva, nonché quello, attraverso la pratica corruttiva, della permeabilità e vulnerabilità delle attività economiche all’inquinamento del crimine. È un imperativo categorico,
quindi, restare con i riflettori accesi su una pratica illegale che
costituisce la primaria forma distintiva tra il profilo deviante e
quello criminale. L’attività estorsiva, infatti, per essere svolta
introduzione
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necessita di brutalità, diponibilità a fare ricorso alla violenza,
crudeltà, prepotenza, astuzia, capacità persuasiva, furbizia.
Non è un caso che la semantica utilizzata dagli emissari, affiliati,
dai picciotti, dagli incaricati dei mafiosi è sempre allusiva, metaforica e, solo in fasi successive, esplicita. E non è un caso che
boss, capibastone, uomini di onore, ’ndranghetisti si servano
di persone fidate, ma nella fase del convincimento che succede
all’aggancio venga utilizzato personale subalterno reclutato tra
le fila della marginalità illegale che aspira a carriere criminali.
Contrastare, allora, il racket delle estorsioni significa ostacolare la primaria forma accumulativa che permette a un nucleo
criminale di sodali di acquisire risorse per soddisfare molteplici
esigenze ed esercitare il dominio su un’area (sia essa un quartiere, una zona più ampia, un comune, un vasto territorio) per
sviluppare ulteriori traffici illegali. L’esigenza, allora, di produrre
riflessività, operatività, impegno civile è necessaria se si vuole
liberare l’economia e il tessuto sociale dalla ferrea gabbia del
crimine organizzato nostrano. Questa finalità è alla base del più
ampio Progetto del pon Sicurezza per lo Sviluppo (Obiettivo
operativo 2.4) nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza 20072013, relativo all’asse “contrastare il racket delle estorsioni e
dell’usura”, che costituisce il format entro il quale si situa questa ricerca. Essa è il risultato di una intesa collaborativa con la
Federazione italiana antiracket (fai), evoluzione del movimento
antiracket, che da venticinque anni è impegnata in prima persona nella tutela delle vittime di estorsione, nel consolidamento
della risposta giudiziaria e difesa processuale, nel contrasto dal
lato della domanda di ogni sentiero di consumo che favorisce
la commercializzazione e la distribuzione di beni e servizi la cui
provenienza è direttamente collegata alle imprese criminali o
assoggettata da queste a commercianti consenzienti. È, come
si arguisce, un impegno profuso in maniera interdipendente sul
lato della primaria azione: la denuncia. Poi su quello della tutela,
della responsabilizzazione e del recupero della vittima. Infine, sul
terreno sia della sensibilizzazione e implementazione del consumo critico che della sfera dell’individuazione delle imprese
e attività economiche che in forme mascherate impongono a
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imprenditori, commercianti, artigiani, servizi, beni, prodotti o in
forme di collusione ne compartecipano i vantaggi. Ed è proprio
a partire da questi ultimi due aspetti che appare opportuno domandarsi: a che servono le estorsioni? Perché, nonostante lo
sviluppo e il maggior rendimento di altri traffici illegali (per es.
droga, rifiuti, tratta di immigrati, traffico di medicinali) mafia,
camorra, ’ndrangheta sentono ancora il bisogno di praticare le
estorsioni? Come è cambiata l’attività estorsiva ed è omogenea
in tutti i territori? Fra tutte le diverse organizzazioni criminali?
Interessa tutti coloro che iniziano o gestiscono attività economiche o solo alcuni? In base a quale criterio sono selezionate
le vittime? E le estorsioni sono praticate nei riguardi solo della
sfera delle attività legali o sono estese anche a quelle illegali? Il
comportamento delle vittime è uguale o si diversifica? Questi interrogativi hanno un fondamento perché, innanzitutto, l’attività
estorsiva è la più antica e primaria attività illegale che la camorra
ha prodotto ed “esportato”. Non è un caso che a partire dalla
seconda metà dell’Ottocento e lungo tutto il Novecento a Napoli
veniva usato il termine “camorra” per designare la tassazione
praticata nelle carceri o su alcune attività illegali da guappi o
gruppi di delinquenti specializzati nell’estorsione realizzata in
vari settori e perfino con nomi diversi. Nella provincia di Reggio
Calabria, nel catanzarese, nel cosentino ancora in pieno Novecento affermare «io sono camorrista» o dire «occorre riscuotere la
camorra» significava indicare la pratica estorsiva e al contempo
l’organizzazione mafiosa. L’identificazione della pratica evocando la parola “camorra” appariva più pregnante nonostante fosse
già in uso, dopo l’Unità d’Italia, la parola mafia sia in Calabria che
in Sicilia per indicare non solo una più specifica organizzazione,
ma un insieme circoscritto di relazioni sociali e collaudate attività
economiche. L’uso del termine mafia, quindi, aveva di fatto già
soppiantato il termine “camorra” usato a Napoli, ma per l’estorsione si utilizzava “camorra”. Come è stato possibile, allora, che
l’attività estorsiva sia sopravvissuta per un periodo così lungo di
tempo e perché oggi è così ancora fortemente esercitata?
La risposta risiede nelle funzioni che l’attività estorsiva soddisfa: a) in primo luogo, come già anticipato, è la forma primaria
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di accumulazione di risorse economiche. Se una famiglia mafiosa,
un clan di camorra ha necessità di acquisire immediate risorse,
liquidità, ricorre alle estorsioni. Se un gruppo di giovani dediti a
reati predatori, a rapine, furti intende uscire dalla marginalità
criminale e darsi un profilo mafioso, la prima attività che compie
è l’estorsione; b) in secondo luogo, l’estorsione è il modo migliore per garantirsi il dominio di un territorio, esercitare il potere,
rendere fattiva la dimensione glocale nel caso in cui il clan abbia
assunto anche la dimensione di impresa. Se un clan intende appropriarsi di una fetta di territorio e su esso esercitare un controllo che deve essere totale per poi sviluppare successive attività
economiche illegali, ha bisogno innanzitutto di assoggettare in
maniera sistematica tutti coloro che producono in questo spazio fisico e urbano ricchezza, sia in forma legale sia illegale. La
reputazione di un clan è tanto più forte quanto maggiore è la
capacità di esercitare la sovranità e questa quanto maggiore e
datata è, tanto meno necessita di essere imposta con la violenza;
c) ancora: proprio perché è una forma arbitraria di tassazione
gravante su chiunque produce ricchezza, vende merci o svolge
provenendo dall’esterno un’attività economica in un territorio
considerato “proprietà privata”, assurge – in una forma cognitiva
e simbolica distorta – a risarcimento per tutti i diritti che sono
negati; d) in quarto luogo, è una “cassa” destinata primariamente
e funzionalmente al pagamento degli avvocati, al mantenimento
delle famiglie dei detenuti, alla retribuzione dei gregari; e) inoltre,
costituisce una sorta di “dote”, un capitale, una rendita assicurata
trasmessa, specialmente per quei clan che sono radicati in un
territorio da lungo tempo, da una generazione a un’altra e come
tutte le doti va preservata e consolidata; f) in più, è l’esercizio
selettivo e strumentale di una strategia di lenta acquisizione di
patrimoni, beni, aziende la cui finalità è, attraverso il riciclaggio
del denaro proveniente dalla stessa attività e da altre collaterali
(per es. l’usura), l’estromissione delle vittime dal controllo dell’attività economica e l’entrata nel mercato legale; g) è un’attività
che si connota sempre più con un carattere imprenditoriale non
solo perché ci sono clan che impongono prodotti, servizi, beni,
forniture, ma perché si concretizza come forma di scambio di
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gare, appalti che, se non possono essere gestiti in prima persona,
vengono girati a imprese consenzienti o colluse; h) è un’attività
che genera nei segmenti marginali degli strati sociali consenso
sociale dal momento che i clan impongono l’occupazione di
persone, offrono lavoro alla manodopera locale, alla gente del
posto, distribuiscono opportunità lavorative tra quelle imprese
con le quali si stringono accordi ambientali; i) infine, è un’attività
che nella sua forma estrema rappresenta una modalità di socializzazione al crimine organizzato e ingresso in esso. Una sorta di
scuola, di palestra di allenamento all’assunzione del profilo più
marcatamente mafioso che deve combinare affidabilità, competenza, omertà. L’attività estorsiva alimenta la coesione interna al
gruppo, assicura solidità al gruppo di persone legate da vincoli
delinquenziali e garantisce compattezza tra i membri e fedeltà
agli obiettivi preordinati.
Sulla base di queste funzioni, esercitare, quindi, l’attività
estorsiva diviene una necessità, quasi un obbligo se si vuole passare dalla fase primaria di accumulazione a quella secondaria
fondata sull’esercizio di ulteriori e distinte attività illegali (per
es. l’usura, il controllo delle piazze di spaccio, la commercializzazione di sostanze di stupefacenti). Anche i clan, le cosche,
le famiglie mafiose che evolvono e agiscono nella sfera economica attraverso l’“impresa mafiosa” non rinunciano all’attività
estorsiva. E proprio perché è necessaria vi è una correlazione
stretta e interdipendente tra contesto ambientale, tipo di organizzazione e forma o modalità in cui si esprime l’estorsione. Il
che vuol dire che l’attività estorsiva è cambiata e non si pratica
nella stessa maniera in tutti i territori, non assume un carattere
uniforme e non tutti i gruppi criminali organizzati nostrani la
svolgono secondo una tipologia unitaria.
L’estorsione assume un carattere diretto quando è esercitata in forma di pizzo. Nel 2008 un gruppo di ricercatori sotto
l’egida di un programma di ricerca ideato sempre dalla Fondazione Rocco Chinnici, all’esito dei risultati di un lavoro che
contribuiva per la prima volta a produrre una conoscenza più
approfondita del fenomeno, sosteneva che in terra siciliana la
strategia della mafia era cambiata e ancorché all’esercizio di
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una vera e propria protezione delle vittime si affiancava una
strategia predatoria più attenuata nella cui essenza si potesse
rendere visibile la maggiore sensibilità e vicinanza delle famiglie mafiose «alle esigenze degli operatori economici». Questa
strategia contemplava la riduzione del costo del pizzo a “costo ambientale” sopportabile con l’evidente conseguenza di
rendere meno vantaggiosa e disincentivante la collaborazione
degli imprenditori e dei commercianti con la giustizia e al contempo assorbire il peso e la presenza criminale attuando un
programma basato su accorgimenti più subdoli e persuasivi
piuttosto che le intimidazioni violente e prototipiche connesse
maggiormente al genere estorsivo predatorio. Nel 2010 nella
ricerca campana sull’area napoletana e casertana mettevamo
in luce come a differenza della mafia i clan di camorra esibissero
un repertorio tipologico estorsivo più ampio con un modello
di operatività contrassegnato da due poli estremi, protezionepredatorio puro, ma il continuum è internamente diversificato da una gamma di forme non tutte ascrivibili a tutti i clan e
condizionate ancorché dal contesto ambientale dal modello
organizzativo del clan. La lettura permanente degli atti giudiziari conferma le tesi sviluppate quasi cinque anni addietro e per
non pochi aspetti in ragione della crisi economica, le arricchisce.
Anche nella presente ricerca possiamo confermare che l’attività estorsiva in Campania si realizza in forme diverse: il pizzo,
la tangente sono le forme più dirette, quelle che si basano sul
capitale informativo acquisito dal clan e sono subordinate al
settore commerciale, all’attività imprenditoriale, alla zona sulla
quale ricade l’attività, alla dimensione dell’impresa o dell’attività
commerciale, al tipo di attività illegale, al grado di vulnerabilità
della vittima. Questo tipo di estorsione può avere una cadenza temporale molto ampia (mensile, periodica, una tantum) e
può combinarsi con altre forme (estorsione multipla). C’è poi
l’estorsione mascherata, ossia quella che si realizza acquistando
un bene a un prezzo non rispondente al suo valore reale. Una
famiglia entra in possesso di un bene acquisito in proprietà attraverso un prestanome perché attraverso questo accordo si offre il
permesso a un investitore, un imprenditore di portare a termine
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il proprio investimento (o attività) – sul quale possono slittare
anche altre utilità – e si lucra sul margine di guadagno. C’è l’estorsione allargata, quella che si sviluppa attraverso il pagamento
delle fatture alterate, la costituzione di fondi extra bilancio. C’è
l’estorsione che assume sempre più il carattere di offerta di servizi, beni, prodotti, forniture (caffè, acqua minerale, carni, slot
machine, calcestruzzo, ecc.). È in un certo senso anch’essa una
forma mascherata di imposizione ma tende a imprenditorializzare l’opportunità estorsiva perché si basa sull’offerta-imposizione
di beni o servizi che sarebbero in ogni caso acquisiti dalle vittime
con il vantaggio, per queste, che in taluni casi il prezzo è migliore (sebbene di rado), in altri la trattativa evita che la relazione
slitti su un piano violento. Questa forma di estorsione si pratica
con la collusione di imprenditori ai quali si chiede la percentuale
sul piazzato o attraverso imprese che sono emanazione diretta
dei clan. È questa una delle opportunità che si situa tra black
economy e grey economy. C’è, infine, l’estorsione che nella sua
forma predatoria si basa sia sul pagamento di una quota che su
quella del controvalore in merce (talvolta si accompagnano), e
spesso a queste forme si associa l’uso o il consumo gratuito di
beni di proprietà della vittima.
Come si può arguire ci troviamo di fronte a un’ampia gamma
di forme estorsive la cui differenziazione spiega anche perché è
facile che si estenda, ovvero che trovi nelle diverse tipologie di
attività economica l’appropriata e adattabile forma. Ma è anche
vero che non tutti i clan sono titolari di tutti i tipi di estorsione.
C’è una correlazione che va delineandosi come sempre più stretta tra modello organizzativo del clan di camorra e tipologia di
estorsione. L’estorsione quando è diretta, ovvero identificata
nella richiesta del pizzo essa è trasversale a tutti i clan e ciò che
varia è solo la sua temporalità. È la combinazione di questa con
le altre forme che rende l’estorsione multipla appannaggio, poi,
di alcuni e non di tutti i clan. Questa selezione è subordinata al
contesto, alla configurazione organizzativa del clan e al tipo di
vittima. L’estorsione a carattere più imprenditoriale e/o quella
mascherata richiede un ulteriore grado di specializzazione del
clan e capacità di aggancio degli imprenditori o dei commercianti
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e per ciò stesso, quindi, è ancora più selettiva. Solo grandi clan e
spesso ben radicati sul territorio sono capaci di articolare queste
forme. Esse, infatti, necessitano di una dimensione imprenditoriale e di personale professionalmente idoneo che lavora in
nome e per conto del clan. Il clan dei casalesi, per esempio, è
stato (ed è) impegnato fortemente nel settore dell’edilizia e dei
rifiuti. L’evoluzione di questo cartello criminale verso la forma imprenditoriale è stata così sviluppata e intensa che si è sostanziata
in una capacità di gestione di traffici illegali a livello nazionale e
transnazionale, con profitti riciclati in investimenti sul territorio
nazionale ed estero. Un altro aspetto che non va sottovalutato
per spiegare le diverse forme attuative dell’estorsione attiene il
ruolo della vittima. L’attività estorsiva, infatti, è resa anche più
facile dal comportamento delle vittime che non è mai univoco.
E qui si pone l’altra faccia del problema.
In genere la vittima è assoggettata perché si fa leva sull’intimidazione, la paura di ritorsioni, del coinvolgimento di familiari, sulla violenza che si può subire, sulla scarsa fiducia nelle
istituzioni giudiziarie, nell’azione investigativa. In tempi di crisi
economica si fa leva sull’apparente generosità del boss che
riduce i costi dell’estorsione o addirittura si rende disponibile a
prestiti che diventano poi crediti usurai. Ci sono vittime che non
collaborano, che negano anche in dibattimento, anche di fronte
all’evidenza dei fatti, ogni pressione subìta, ogni atto estorsivo.
Ci sono poi vittime che non solo non collaborano per le ragioni
indicate ma non lo fanno perché colluse, ovvero hanno tratto e
traggono dalla relazione con il boss di turno vantaggi, appalti,
gestione monopolistica di attività economiche in particolari
ambiti dal momento che grazie alla protezione del clan o della
famiglia camorristica le altre imprese oneste sono state fatte
fuori. Non sono succubi e obbedienti ma compartecipi dei vantaggi del controllo territoriale esercitato dal clan. Spesso essi
stessi si trasformano da vittime in carnefici. Ci sono vittime, poi,
che considerano l’estorsione come un fatto “normale”, c’è un
lento processo di assuefazione a questo modus operandi per
cui il costo interpretato come “costo ambientale” viene traslato sul consumatore o si fa la “cresta” sulle forniture. Ci sono
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vittime, infine, che non chinano la testa sin dall’inizio di fronte
alle pretese della camorra, della mafia. Si affidano alla magistratura, alle forze di polizia, avvicinano le associazioni antiracket,
collaborano perché convinte che se si cede per una sola volta
sin dall’inizio il percorso diventa irreversibile. A queste vittime
si associano quelle che scoprono più tardi la convenienza della
collaborazione, della denuncia. È un processo più lento, si afferma in tempi avanzati quando l’estorsione ha cominciato a
produrre i suoi carnefici effetti sull’attività economica, sull’impresa. Queste vittime collaborano al punto che dopo diventano
spesso protagoniste della lotta antiracket. Il ruolo della vittima,
come si può comprendere, è fondamentale per la soluzione del
problema. E proprio perché è fondamentale il ruolo dell’associazionismo antiracket è delicato. Non è un caso che infiltrazioni
nel movimento si sono già registrate, così come formazioni di
associazioni generate dagli stessi boss o clan. Il rendimento e
la collaborazione dell’associazionismo antiracket deve essere
costantemente monitorato, valutato attraverso parametri trasparenti e certi, così come tali devono essere i requisiti. L’accesso ai fondi di solidarietà per le vittime non può essere minato
da incertezze, opache procedure, ambigui comportamenti. La
lotta all’attività estorsiva non può prevedere tentennamenti.
L’attività estorsiva è cambiata e sempre più assumerà una fisionomia imprenditoriale piuttosto che predatoria. I vantaggi
derivanti da questa connotazione sono maggiori dei costi. Sarà
un processo lento ma rischia di prendere questo indirizzo e
una ragione di questa trasformazione risiede da un lato nella
trasformazione del capitalismo mondiale, sempre più aggressivo, inquinato da una finanza immoralmente gestita e da una
forte liquidità proveniente dagli investimenti criminali. Questo
capitalismo violento, rapace offre la spalla e la giustificazione
all’affermazione di questa prassi criminale. L’attività estorsiva,
inoltre vede occupate, dall’altro, nella sfera delle attività predatorie in continua ascesa le donne, sia nella gestione del racket
sia in quella di tanti traffici illegali. È questo un ulteriore elemento di novità. La camorra per prima, poi la mafia, ora anche la
’ndrangheta: in queste organizzazioni le donne vanno sempre
introduzione
21
più ricoprendo ruoli di primaria rilevanza. Date alle donne le
stesse opportunità degli uomini e vedrete cosa sono capaci di
fare. Potrebbe essere questo l’incipit di un nuovo lavoro sulla
scia delle tesi già sviluppate da Freda Adler nel 1975 nel suo
Sisters in Crime. Sono infatti ormai diverse decine le donne di
clan che escono dalle investigazioni e dai dibattimenti nelle aule
di giustizia con responsabilità registrate in maniera precisa su
eventi estorsivi. Responsabilità di gestione, di coordinamento,
di aggancio, di intimidazione, investimento dei profitti.
Colpire l’attività estorsiva, proprio perché è la primaria attività che discrimina un gruppo di sodali delinquenti da uno criminale
di tipo mafioso, significa colpire l’atto costitutivo e generativo
dell’iter criminale. Significa amputare le gambe a chi intende fare dell’attività criminale e illegale la fonte dei propri guadagni.
Significa recidere le radici a chi svilupperà più tardi il peso nell’economia e nella finanza, nonché nei successivi e ben più lucrosi
traffici illegali, primo fra tutti la droga. Significa liberare l’economia, l’azione imprenditoriale dal controllo illegale del territorio.
Ridare sicurezza, qualità della vita lì ove regnano paura e soggezione. E d’altra parte è pensabile l’esercizio della libertà senza la
sicurezza? Questa è alla base dell’esercizio dei diritti civili e sociali
dei cittadini, influenza il benessere economico, determina uno
sviluppo equilibrato. Ma la sicurezza non potrà mai essere garantita considerevolmente se pensata come esclusiva azione delle
forze di polizia, della magistratura, degli apparati di intelligence,
dei pubblici poteri. La sicurezza è l’esito di un processo integrato
di azioni e attività alle quali non possono sottrarsi i privati cittadini sia contribuendovi con forme sussidiarie e complementari
di controllo sociale che con atti partecipati e formazione di reti
associative idonei a costruire forme di protezione collettive.
Questo lavoro racchiude questi elementi di riflessione. Si
sviluppa in due parti. Nella prima, si cerca di fare il punto sulla
dimensione teorica: come è stato ed è interpretato il fenomeno
estorsivo. Cosa c’è dietro questo rapporto, spesso mascherato,
di protezione che talvolta è posto in essere proprio per offrire
un servizio. Perché in molte parti della nostra regione l’estorsione si regge su un forte carattere violento, predatorio. Come
22
è cambiata l’attività estorsiva nella transizione da una camorra
storica a una contemporanea. Qual è il volume di questa delittuosità nel Paese nell’ultimo periodo. I contributi dello scrivente
e di Maria Di Pascale si misurano con una serie di indicatori che
rivelano la permanente apicalità della Campania nel ranking nazionale. Occorrerebbe mettere in scena un’azione straordinaria
e permanente per un non breve periodo integrando politiche
di contrasto, formative, educative, del lavoro, di welfare per
essere certi di ottenere quanto meno risultati significativi di
riduzione del danno della presenza dei clan nella vita e nella
storia della nostra regione. Ridurre, cioè, una tale presenza
finalmente a qualcosa di contingente e singolare. La seconda
parte, è dedicata alla Campania, alle sue differenti province, alle
specificità e comunanze che caratterizzano il fenomeno. Sono
stati elaborati dati su una configurazione territoriale che tiene
conto per la prima volta anche delle distinte geografie territoriali giudiziarie presenti nella regione, ancorché della classica
ripartizione provinciale. Andrea Procaccini rilegge la geografia
estorsiva sulla base delle competenze territoriali dei Tribunali
dando conto della presenza dei clan e dell’andamento delle
estorsioni nei diversi circondari giudiziari.
La comparazione è realizzata tra realtà territoriali meno
estese e più omogenee rispetto a quelle provinciali e ciò permette di valorizzare maggiormente i tassi e gli indicatori elaborati a livello comunale. In più, una tale rielaborazione permette
di acquisire informazioni sull’attività dei tribunali in merito a
questo reato, il carico di lavoro e, in conseguenza del tasso di
investigazione territoriale realizzato, spiegare un incremento
dell’attività giudiziaria, come nel caso di Salerno che proprio nel
quadriennio esaminato ha visto accrescere per questo reato il
valore delle denunce passate dal 13,9% del 2010 al 43,6% del 2013.
I risultati della ricerca pongono alcune criticità e generano
alcuni timori che vanno affrontati con tempestività e coerenza
se si vuole rendere conto dell’efficacia della lotta alle diverse
mafie senza che siano vanificati gli sforzi, le risorse e il capitale
umano impiegato in questa lotta. Il contrasto passa attraverso
diversi aspetti che, tuttavia, vanno rivisitati: in prima istanza le
introduzione
23
strategie incentrate sull’intelligence investigativa; a seguire il
tema dello smantellamento dei patrimoni illecitamente costruiti. L’investigazione è necessaria ma non è sufficiente se non fa
seguito ad essa l’acquisizione definitiva dei patrimoni accumulati illecitamente. La prima tappa, come direbbe Augusto Balloni,
è un’arte perché ancorché fondata su un uso appropriato delle
tecniche d’indagine e in quanto osservazione, supposizione,
deduzione, argomentazione consiste nel mettere in scena gli
indizi coordinandoli con altri fatti (essenziali o accidentali) in
modo da rendere evidente il significato della loro funzione. In
tal senso, allora, l’investigazione non deve orientarsi alla disgregazione di un clan se non colpisce contemporaneamente
in una zona gli altri o l’altro che vi domina. L’indebolimento di
un gruppo inevitabilmente porta al rafforzamento di un altro
che si sostituisce nella dinamica criminale. È opportuno colpire
e sradicare per aree, zone, quartieri tutte le famiglie o i gruppi che si contendono il controllo di quel determinato spazio.
Ridare alle comunità locali che abitano quello spazio sociale il
ritrovato senso di libertà e sicurezza.
E veniamo al secondo aspetto: la sottrazione dei patrimoni.
Una politica di contrasto incentrata su iniziative di controllo e
riduzione del crimine non avrà alcuna efficacia se non è accompagnata e seguita da effettive azioni di acquisizione definitiva
e riuso dei patrimoni accumulati illegalmente. Questo aspetto
chiama in causa il ruolo, la riorganizzazione interna e le funzioni
assegnati all’Agenzia nazionale per i beni confiscati. Occorre
una programmazione della destinazione dei beni, un monitoraggio costante dell’azione di riuso e rivalutazione di tali beni;
bisogna attivare un coordinamento tra gli attori gestori e le
istituzioni locali essendo l’azione di recupero strategica per la
visibilità della legalità sul territorio e rilevante ai fini della dinamica economica. Lo Stato non vince la battaglia contro le mafie
se oltre a sradicarne presenza, radici e interessi non restituisce
appieno sicurezza, libertà, legalità alle comunità locali. Ciò non
è sufficiente confiscando i simboli del potere accumulato dai
clan ma occorre che esse siano risarcite dei danni procurati
attraverso un riuso legale e produttivo di qualsiasi tipo di bene,
24
specie le aziende, perché è solo rendendo sostenibile in forma
legale la produttività e il rendimento di questi beni precedentemente identificati come simboli del successo e del potere
e trasformandone la connotazione e funzione in beni sociali
disponibili che si potrà sperare in un più generale e collettivo
radicamento della fiducia nei confronti dello Stato e in una sua
acquisita credibilità. Quest’obiettivo risulta indicato in maniera
molto chiara nel recente documento della Commissione1 e fatto
proprio dall’attuale Governo ove si sostiene che ruolo strategico è da assegnarsi «al sistema di gestione e destinazione dei beni
confiscati, di cui occorre assicurare una più adeguata efficienza
con l’intento di promuovere la riaffermazione della legalità, in
uno allo sviluppo dei territori interessati dal fenomeno mafioso.
In questa prospettiva, si rende necessario predisporre misure che
rendano i beni sottratti alla criminalità mafiosa “presidi di legalità”, forieri di rinnovate relazioni economiche, sane e legali, con
una particolare attenzione alle aziende sequestrate e confiscate,
perché divengano occasione di rilancio economico, soprattutto
per le aree geografiche maggiormente interessate dal fenomeno
mafioso, tra cui le zone economicamente più depresse del Paese,
ponendo il lavoro al centro di un nuovo percorso di riscatto civile
e sociale».
Il timore è che questo che dovrebbe essere un obiettivo
cardine della “moderna politica antimafia” resti un corollario
di buone intenzioni.
Un terzo aspetto, infine, riguarda le politiche di contrasto
alla mafia e al crimine organizzato in generale.
Occorre consolidare con provvedimenti legislativi gli incentivi
alla denuncia, incoraggiare le vittime a contrastare il dominio
violento dello spazio sociale nel quale si sviluppa la propria vita
quotidiana. Restituire sotto forma premiale il coraggio di aver
rotto il muro dell’omertà accompagnando le vittime a entrare
1. Vedi, Rapporto Antimafia, Per una moderna politica antimafia. Analisi del fenomeno
e proposte di intervento e riforma, rapporto della Commissione presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri, per l’elaborazione di proposte in tema di lotta, anche patrimoniale, alla criminalità; documento gennaio 2014, Roma (reperibile al sito www.
governo.it), cit. p. 11.
introduzione
25
nella trasparente dinamica economica del mercato assumendosi
l’onere di concorrere mediante innovazione, ricerca, creatività,
competizione, competenza. L’uscita dovrebbe prevedere una
fase di transizione nella quale a fronte della denuncia e uscita
da condizioni protette o imposte, si agevoli la vittima con l’affidamento di lavori pubblici, commesse, convenzioni inerenti, magari, lavori di ristrutturazione dei beni confiscati o interventi sul
patrimonio acquisito o semplicemente con una fiscalità ridotta.
Come si può comprendere si tratta di aprire forse una nuova
fase nella lotta alle organizzazioni criminali di stampo mafioso e camorristico. Una fase più organizzata, coordinata, che
certamente deve vedere e trovare lo Stato nelle sue diverse
articolazioni presente e a capo dello schieramento sociale e
civile che si è andato già costituendo ma deve rafforzarsi e la cui
linfa sarà tanto maggiore quanto inarrestabile sarà la riflessività
prodotta sui fenomeni e i comportamenti criminali.
Max Horkheimer in un denso e breve testo Die Rackets und
der Geist (Le espressioni del racket e lo spirito), scritto tra il 1939
e il 19422, espone quella che può definirsi la teoria del racket
interpretato come espressione di ciò che più ampiamente inerisce i rapporti di dominio e il nesso esistente tra dominio e
rinuncia. Egli sostiene che «la forma fondamentale del dominio
è il racket» e lo identifica con la funzione e l’esercizio della protezione. Ogni forma di racket osserva solo la legge della propria
auto-conservazione, entra in conflitto con ogni forma di universalizzazione delle “mediazioni”, (per es. le norme giuridiche,
l’arte, la lingua), con ogni tendenza alla formalizzazione delle
norme. Il racket è avverso alle mediazioni che, nel linguaggio
del pensatore francofortese e sulla scia hegeliana, coincidono
con lo “spirito”, ovvero con tutte quelle manifestazioni che ne
permettono l’emancipazione attraverso l’universalizzazione dei
diritti, l’apertura alle differenze, l’accettazione della specificità.
Il racket è una tale forma di dominio che sacrifica i legami più
intimi, quelli più cari. Instilla sfiducia verso le istituzioni, fecon2. Ripubblicato in un numero della rivista «Kainos», nuova serie, dedicato al tema
della Malavita, n. 12, 20 gennaio 2014.
26
da paura, insicurezza, senso di illegalità, rinuncia all’esercizio
della personale libertà, sfigura il sistema produttivo, l’economia, contrae l’iniziativa privata, mortifica il principio di libera
concorrenza, toglie speranza al futuro. Se non si vuole cedere
il passo al potere che i clan hanno di imbrigliare e contaminare
la vita sociale di una comunità, non occorre inventare nuove
parole per dare linfa alla reazione e all’impegno civico, bisogna
solo agire, partecipare, vigilare perché progredisca in un senso
più ricco la cittadinanza la cui articolazione di diritti-doveri delle
persone e delle loro formazioni sociali non ha fondamento se
privata del vettore dei diritti umani e se strangolata da ogni
forma di dominio. La Campania negli ultimi anni non è proprio
tra le priorità dell’agenda politico-governativa, né la sua interna
classe dirigente sembra preoccuparsi dei rischi di regressione
sociale che il tessuto economico e sociale manifesta. Alle molte
discontinuità istituzionali non si può che contrapporre dal basso
un orientamento fattivo che accoglie e interpreta la sfida che
il crimine organizzato pone negando la dignità della persona
il cui carattere trascendente non è riducibile ad alcuna forma
storica di cittadinanza.
Giacomo Di Gennaro
Ringraziamenti
La ricerca è stata svolta nell’ambito del Progetto PON Sicurezza
per lo Sviluppo (Obiettivo operativo 2.4) nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza 2007-2013, relativo all’asse “contrastare il
racket delle estorsioni e dell’usura”. Terminata nel 2014 è stata
realizzata sull’intero territorio campano e resa possibile grazie
innanzitutto alla disponibilità dei dati messi a disposizione dalla
banca dati dello SDI, Ministero dell’Interno, Dipartimento della
Pubblica Sicurezza; dalla Procura Nazionale Antimafia, dalle
sedi della Dia, dai Presidenti dei Tribunali della Campania, dalle
Procure presso i Tribunali della regione, dalla banca dati della
Fai (Federazione Antiracket Italiana). La ricerca non sarebbe
introduzione
27
stata possibile senza l’impegno e la disponibilità di tanti magistrati, giudici, pubblici ministeri, funzionari delle forze di polizia
e ufficiali dell’Arma dei carabinieri che hanno concesso il proprio tempo per la ricerca dei materiali giudiziari e la discussione
degli obiettivi dell’indagine. A tutti un sincero ringraziamento
e gratitudine per la collaborazione realizzata.
Un ringraziamento anche a molte vittime che hanno dato
conto attraverso i loro racconti dell’esperienza dell’estorsione, concedendo suggerimenti utili e orientamenti per le tracce
dell’intervista. Motivi di riservatezza ci impediscono di fare i nomi sebbene molte delle loro testimonianze meriterebbero una
cornice editoriale degna della valorizzazione delle sofferenze
patite e del coraggio esibito. Siamo rammaricati, infatti, che
molto del materiale acquisito non sia stato possibile refluirlo
nella pubblicazione in conseguenza dei vincoli editoriali. Tuttavia proprio la ricchezza delle informazioni raccolte merita che
si dedichi ad esse una pubblicazione specifica.
Infine un grazie sentito alla generosa attenzione dei colleghi Riccardo Marselli e Francesca Di Iorio per i suggerimenti, la
lettura e la validazione di molte elaborazioni fatte. Degli errori
eventualmente presenti ne sono l’esclusivo responsabile.
28

Parte prima
1. Come spiegare origine, sviluppo
e decadenzadel fenomeno estorsivo
Giacomo Di Gennaro
Premessa
Chi si occupa di fenomeni criminali sa bene che quando si parla
di crimini, di reati, di delittuosità se si vuole andare oltre le definizioni convenzionali per interpretare tali fenomeni occorre
considerare diversi fattori: i processi legali e legislativi (con conseguente coerenza, razionalità ed efficacia del codice penale);
le modalità con cui si esercita il controllo sociale o più semplicemente si fa rispettare la legge; le motivazioni dell’offender e
quelle della vittima; il potere di istituzioni o gruppi sociali determinati di etichettare come “crimine” o atto deviante un’azione
o comportamento; la riconoscibilità da parte di una collettività
che un’azione, un atto, un comportamento non abbiano solo
infranto il sentimento morale di un aggregato umano ma provocato un danno a una persona, a un’entità tangibile (un gruppo,
una comunità, una collettività, un ambiente). Esistono, infatti,
danni e costi sociali che ricadono sulla vittima in forme dirette
e immediate, ma in forme indirette questi possono estendersi
anche a un gruppo o addirittura a una collettività. Alcuni danni
e costi sono quantificabili e misurabili con parametri e indicatori
più precisi, altri sono di difficile misurazione, o perché appunto
indiretti o perché immateriali.
Possono avere ricadute brevi e costi che, invece, si propagano nel tempo su contesti territoriali specifici, su singoli settori
economici, sulle istituzioni, su determinate categorie commerciali, imprese, ancorché sulle generazioni successive. E ciò ancor di più perché i reati di cui sono interpreti, per esempio, le
organizzazioni criminali, hanno impatti differenti in ragione del
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
31
contesto economico e istituzionale in cui sono commessi. Pertanto, gli effetti di particolari reati, nel nostro caso l’estorsione,
non sono il risultato esclusivo dell’intensità della presenza del
crimine organizzato, ma si correlano alla presenza e diffusione
dei mercati illegali e al tipo di struttura economica, finanziaria
e sociale di riferimento. Inoltre, tale incidenza non è detto che
sia costante nel tempo e può darsi che esista una soglia oltre
la quale ogni ulteriore incremento dell’attività illegale implichi
ulteriori effetti sull’economia e la vita sociale.
Si dovrebbe intraprendere una direzione analitica dei danni
e dei costi sociali prodotti da determinati crimini. Una sorta di
agenda di studi ed evidenze empiriche di matrice zemiologica
scandita da un programma che consideri gli effetti, per esempio, della presenza del crimine organizzato e i danni non solo
economici procurati e solo a tutt’oggi accertati, con migliaia di
morti, alle popolazioni locali in quei contesti denominati “Terra
dei fuochi” (il triangolo tra i comuni di Acerra, Nola e Marigliano) o in altri da appurare ove il clan dei Casalesi ha fatto del ciclo
dei rifiuti speciali e tossici (raccolta, trasporto, smaltimento)
una soluzione di ragguardevoli profitti irriguardosa del disastro
ambientale e sanitario prodotto1. Oppure che misuri con scan1.Vedi, commissione parlamentare d’Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti e sulle Attività
Illecite ad esso connesse (2007), Relazione territoriale sulla Campania, relatori sen.
Roberto Barbieri e sen. Donato Paglionica, doc. xxiii, n. 2, 13 giugno e doc. xxiii, n. 4, 20
dicembre; (2008), Relazione finale, doc. xxiii, n. 8, 28 febbraio. Inoltre, la documentata
ricostruzione della vicenda in t. sodano, n. trocchia, La peste, Rizzoli, Milano 2010.
Le recenti dichiarazioni di Carmine Schiavone, per anni cassiere della federazione criminale dei casalesi, sullo smaltimento dei rifiuti tossici, anche radioattivi, per verità
messe a verbale già negli interrogatori del 1993, 1994, 1996 e nel 1997 in un’audizione,
non più secretata, presso la commissione parlamentare e sulle mancate bonifiche dei
siti inquinati da parte dello Stato, costituiscono un’ennesima riprova della ignominia
connessa al traffico dei rifiuti tossici e l’interramento nelle cave di sabbia sul territorio
che va dal Lago Patria fino a Mondragone, l’area sud della Terra di Lavoro, la zona
nord-est dell’hinterland partenopeo nonché ampia parte dell’ex Asl Napoli 5 e l’ambito
del Comune di Casal di Principe (Ce); vedi, xiii Legislatura, commissione parlamentare
d’Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti e sulle Attività Illecite ad esso connesse, seduta di martedì
7 ottobre 1997, declassificato parte segreta 31 ottobre 2013, audizione del collaboratore
di giustizia Carmine Schiavone; nonché, Legambiente, Terra dei fuochi: radiografia di un
ecocidio. I numeri, le responsabilità, le conseguenze sulla salute dei cittadini e le proposte
di Legambiente, Roma 18 settembre 2013.
32
giacomo di gennaro
sione più precisa di quanto già fatto, quale sia nei suoi effetti
negativi il peso e la tipologia di influenza che il radicamento
delle attività economiche illegali esercita sulle economie regionali e locali2. E che dire, poi, della corruzione: terreno ideale per
l’infiltrazione delle mafie di ogni tipo. La corruzione politica,
economica, amministrativa altera l’efficienza del mercato, di
un servizio, di una prestazione. Contamina l’immagine della
pubblica amministrazione, di un ente, una istituzione, un organismo di partito. Distorce le regole della concorrenza, della
fiducia e inietta nell’organizzazione sociale e nella convivenza
civile dosi di diffidenza, scetticismo, sospetto, cultura e profili
morali dell’illegalità3. Si ha l’impressione che la corruzione sia
un male della contemporaneità, ma in realtà non è così. Oggi se
ne parla di più, emerge in forme e con dinamiche più frequenti
perché si indaga di più su fatti ed eventi corruttivi, se ne misura
la percezione, ma in realtà essa c’è sempre stata e inoltre stimare la corruzione reale e quantificarne i danni è cosa diversa da
misurare la percezione che una collettività può avere di essa.
Ci può essere corruzione senza mafia, ma sicuramente dove
c’è la mafia c’è corruzione.
2. Una prima valutazione del rischio di vulnerabilità dei territori regionali del Paese
connesso alla presenza del crimine organizzato e alle diverse fasi che ne scandiscono
la crescita e lo sviluppo (accumulazione illegale; riciclaggio; investimento), è dato dal
Rapporto 2001 su Criminalità, Economia e Finanza in Italia; vedi a riguardo d. masciandaro (a cura di), Crimine e soldi, Egea, Milano 2001. Sviluppi più recenti nella direzione
delle ripercussioni della presenza criminale organizzata nei territori sono in c. detotto,
m. vannini, Counting the Cost of Crime in Italy, in «Global Crime», vol. 11, 4, 2010, pp.
421-435; f. calderoni, Mythical numbers and the proceeds of organized crime: estimating
mafia proceeds in Italy, in «Global Crime», vol. 15, 1-2, 2014, pp. 138-163.
3. Secondo il recente Libro Bianco sulla Corruption in Sanità, il costo stimato diretto
della corruzione nel sistema sanitario italiano supera i 23 miliardi di euro, ai quali è
difficile aggiungere i costi indiretti che l’inefficienza economica di molti servizi sanitari
produce sulle altre dimensioni dell’economia nazionale; cfr. ispe-sanità, Libro Bianco sulla Corruption in Sanità, Roma 2014. Sugli effetti economici e istituzionali della
corruzione si vedano m. arnone, e. iliopulos, La corruzione costa. Effetti economici,
istituzionali e sociali, Vita e Pensiero, Milano 2005; A. Vannucci, Atlante della corruzione,
Ega-Edizioni Gruppo Abele, Torino 2012; n. fiorino, e. galli, La corruzione in Italia, il
Mulino, Bologna 2013; m. lisciandra, e. millemaci, A Panel Investigation on Corruption
and Economic Growth: the Case of the Italian Regions, in «Rassegna Economica», 1, 2013,
pp. 169-185.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
33
Un’agenda zemiologica fondata su un orientamento analitico che non sia unidirezionale, come se i danni fossero imputabili
sempre e solo agli input dei clan di camorra o alle sollecitazioni
di opportunità illegali provenienti dalle organizzazioni criminali.
Come se la figura del criminale, del mafioso, del camorrista,
pur se modificata nel tempo, coincidesse sempre e solo con
esponenti delle classi marginali perché è da lì che vi si produce il
“tipo”. No, occorre adottare un’ottica circolare, non convenzionale, bidirezionale che consideri la delittuosità come originata
anche dai white collar crimes, dagli amministratori locali, dai
funzionari e burocrati degli apparati pubblici, dagli imprenditori, dai professionisti, dal personale politico, dai rapaci di turno
proprio perché la commistione dei servizi legali e illegali vede
interagire in quella “zona grigia” attori del mercato legale con
quelli del mercato illegale con cointeressenze che ne configurano l’inconfessabilità del legame. Insomma, una direzionalità
che non sia solo generata da chi gode già di una attribuzione
criminale.
Si potrebbe continuare per molto perché molti crimini si
affermano senza che chi li subisce sia considerato una vittima,
così come molte vittime non denunciano i crimini che patiscono. Ci sono danni che spesso ci si affanna a renderli “astratti”,
o intangibili in quanto connessi a quella sfera dei c.d. «crimini
senza vittime» (secondo l’espressione di Edwin Schur 19714),
la cui evidenza non riposerebbe nella sostanzialità del danno
arrecato, ma nel controllo della riorganizzazione simbolica che
una comunità o uno Stato compie dello stesso.
4. E. Schur, che aderisce alle teorie dell’etichettamento di H. Becker, ha usato l’espressione «crimini senza vittime» per indicare quei reati (droga, prostituzione, gioco
d’azzardo, omosessualità, aborto e altre pratiche) la cui punibilità è determinata dall’esistenza delle leggi che vietano tali atti piuttosto che da una sostanzialità del diritto
penale. Sono crimini che non producono vittime se non per effetto della rappresentazione di uno Stato o di una comunità astratta che verrebbe offesa; cfr. e.m. schur,
Labelling Deviant Behaviour, Harper & Row, London 1971. Le analisi vittimologiche
stanno cercando di ridefinire e riempire i vuoti lasciati dagli approcci interazionistici,
specie per quei reati (es. inquinamento ambientale, reati predatori, estorsioni, usura,
aggressioni, violenze verso le donne, ecc.) in cui è elevato il numero oscuro, proprio
perché non denunciati e quindi non registrati.
34
giacomo di gennaro
I fenomeni criminali sono l’esito, pertanto, di molti fattori
spesso indicati come push o pull factors che si combinano con
la motivazione del soggetto, con il significato che egli attribuisce all’azione compiuta, con le scelte che intraprende, con le
caratteristiche della vittima. Proprio il significato assegnato alle
proprie azioni e le caratteristiche della vittima sono oggi tanto
più importanti da capire perché molti atti o comportamenti
illegali, oltretutto, essendo diventati di routine o essendo una
componente stabile di molta parte della società organizzata,
sono apprezzati presso molti gruppi o aree della società al
punto che vengono declassati a pure offese morali. Vieppiù:
le retoriche della crisi, della società liquida e della dimensione
virtuale del sociale hanno messo in scena una configurazione
così frammentata della soggettività umana che anche quando
parliamo di cos’è un crimine o cosa sia un atto criminale sembra che il significato sia divenuto ambivalente o rifletta una
sorta di metonimia dipendente dagli orientamenti morali. Ciò
appare tanto più vero nella nostra contemporaneità in quanto è presente in ciò che chiamiamo fenomeni criminali una intrinseca complessità di fattori o multidimensionalità di aspetti
che impedisce di circoscrivere il quadro interpretativo a una
sola teoria dal momento che rilevanti sono gli elementi patogenetici o patoplastici presenti nel contesto ove si consuma
un’azione criminale. Ecco perché una teoria può essere valida
per la spiegazione di un crimine ma non per un altro. Non è un
caso che la criminologia contemporanea ha abbandonato l’idea
positivistica di elaborare una eziologia del comportamento criminale, sostituendo questa visione universale della spiegazione
dei crimini con una più parziale fondata sulla spiegazione di tipi
specifici di reati e correlandoli – attraverso questa sempre più
affinata impostazione – a un mix determinato di fattori. L’attenzione ai fenomeni criminali, inoltre, deve essere più profonda
oggi perché molti crimini sono connessi a nuovi fattori, nuovi
impulsi, nuovi profili di autori che li producono, nuove vittime.
In più se si pensa ai crimini delle organizzazioni criminali non
si può non considerare l’enorme modificazione che il processo di globalizzazione ha provocato generando per esse nuove
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
35
condizioni e opportunità istituzionali, economiche e sociali che
ne hanno favorito la diffusione, l’infiltrazione e il radicamento
in nuovi territori. Le riflessioni degli ultimi anni sui fenomeni
criminali condividono ormai l’assunto che tali manifestazioni
e i comportamenti devianti non sono separabili dai fenomeni
sociali locali e globali, tanto meno da un’analisi più profonda
e articolata, come propone De Maillard, sulla crisi degli Stati
e delle forme politiche moderne. Egli sostiene che «l’espansione indefinita e universale della criminalità, la sua diffusione
nel tempo e nello spazio attraverso processi continui, la sua
penetrazione nelle sfere dell’economia, della finanza e della
politica, mutano completamente la questione. Si scopre con
stupore e sconcerto che la delinquenza e la criminalità sono
diventate le modalità di formazione di plusvalore, delle strategie per l’acquisizione di posizione di potere assai diffuse e
generalizzate, in quanto costituiscono le attività economiche
più redditizie e assumono dimensione planetaria. Tali attività hanno ormai da tempo cessato di riguardare solo i gruppi
marginali e le classi pericolose. Inoltre non possono più essere
considerate come espressione di comportamenti meramente
individuali dissociabili dal funzionamento dei contesti sociali
in cui si radicano, ossia l’economia, la finanza e il potere. Le
pratiche criminali, infatti, sono diventate una delle modalità
di funzionamento di tali ambiti. Prendere coscienza significa
quindi fare i conti con lo sconvolgimento delle nostre categorie
mentali più consolidate»5.
C’è una dimensione locale che offre elementi esplicativi circa l’origine dei fenomeni criminali organizzati, ma c’è una nuova
versione transnazionale che conferisce a molti reati e traffici
criminali una dimensione inedita che non solo non può essere
bypassata, ma necessariamente deve essere analiticamente
rappresentata e spiegata perché si basa su quella sotterranea,
mimetica capacità che le diverse mafie hanno maturato di tessere reti affaristiche e strategie di collegamento con ambien5. j. de maillard, Il mercato fa la sua legge. Criminalità e globalizzazione, Feltrinelli,
Milano 2002, pp. 18-19.
36
giacomo di gennaro
ti economici, politici, finanziari per generare nuove e migliori
opportunità idonee a farle prosperare. D’altra parte ogni tipo
di società, ovvero di organizzazione sociale produce dal suo
interno la forma sociale che va assumendo la criminalità e la
devianza.
Certo, resta ancora problematico trovare un accordo metodologico e concettuale su cosa intendere per crimine organizzato in ragione di quel carattere fluido e polisemico che, come
ha indicato Costantino, è l’esito «delle dimensioni semantiche
delle definizioni politiche, legislative e applicative delle sue
manifestazioni»6. Tuttavia, proprio i limiti registrati negli approcci economici rational e in quelli sociologici e criminologici
impongono sforzi di integrazione delle acquisizioni teoriche
e concettuali più efficaci raggiunte negli ultimi tempi in base
anche alle nuove evidenze empiriche, in modo da sviluppare
modelli interpretativi più aderenti alla realtà e idonei a formulare una più adeguata e selettiva costruzione e implementazione
di politiche pubbliche preventive e di contrasto. La ricerca di un
modello integrato sarà utile sia per superare un’analisi monodimensionale e riduzionista del fenomeno che per oltrepassare
l’impasse metodologica qualità versus quantità celebrata quale
esito spesso di confini teorici concettualmente rigidi (talvolta
astratti) con un corrispettivo rigido uso di tecniche e metodi
che non facilitano la cooperazione e l’integrazione.
1.1 L’attività estorsiva: una forma illegale di primaria
accumulazione
L’attività estorsiva, specie quella praticata dalle organizzazioni
criminali di camorra, racchiude, per verità, molti degli elementi
fin qui richiamati. Per tale fenomeno non abbiamo uno specifico
e lungo corso di studi e ricerche contemporanee. Esso, in genere, è stato inquadrato nell’ambito sociologico nella più ampia
6. s. costantino, Criminalità e devianze. Società e divergenze, mafia e Stati nella seconda modernità, Editori Riuniti, Roma 2004, p. 282.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
37
analisi dell’origine delle organizzazioni mafiose, nel carattere
violento di alcuni ceti dominanti, nella funzione che tale risorsa
garantisce ai fini del controllo territoriale, o come risorsa economica costante utile al mantenimento della struttura associativa.
Ciò che anche sul piano giuridico è avvenuto al di là del
contemplato dell’art. 629 del codice penale che colloca il reato
nell’ambito delle norme a tutela del patrimonio è stato oggetto solo negli ultimi anni di riflessioni più proprie della dottrina
che dell’analisi criminologica e sociologica7. L’evoluzione e la
dinamica complessa che le diverse sfaccettature contempla la
fattispecie delittuosa sono state oggetto, infatti, di approfondimenti giuridici e dottrinari connessi agli affiancamenti che
derivano dall’esame degli artt. 110 e 416 bis c.p. che ne rilevano il
carattere ascrivibile alla criminalità organizzata e l’introduzione
dell’art. 2 comma 19, l. n. 94/2009 che ha introdotto una sorta
di obbligo di collaborazione con l’Autorità Giudiziaria a carico
dell’imprenditore vittima dei reati di cui agli artt. 317 e 629 c.p.
aggravati ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. 13 del 1991 n. 152 convertito
con modificazioni nella legge n. 203/1991. L’opera progressiva
di tipizzazione giurisprudenziale e normativa è proseguita con
la recente introduzione della legge n. 62 del 17 aprile 2014 che
ha apportato modifiche al già introdotto art. 416 ter c.p. con il
d.lgs. 8 giugno 1992, n. 306 il quale già apprestava, modificando
il 416 bis l’esigenza di disciplinare il fenomeno dello scambio
elettorale politico-mafioso.
La ricostruzione dei confini normativi della fattispecie delittuosa estorsiva assume una rilevanza oltretutto sociologica
specie se coglie i differenti aspetti e le connessioni che derivano
da un lato, da ciò che è l’esperienza dell’associazionismo antiracket e antiusura, alla quale è connessa una importante e utile
7. r. scarpinato, Sistemi criminali, in «Questione Giustizia», 3, 2008, pp. 151-167.
Ancora in un recente manuale di criminologia, per esempio, gli autori dedicano molta
attenzione a diversi reati contro il patrimonio nonché a reati violenti e alla criminalità
economica. Pur trattando, sebbene sinteticamente la criminalità di stampo mafioso
non vi è alcuna attenzione e riflessione circa l’attività estorsiva. Vedi, a. balloni, r. bisi,
r. sette, Manuale di Criminologia, vol. ii, Clueb, Bologna 2013.
38
giacomo di gennaro
legislazione per tutelare le vittime e incoraggiare le denunce8.
Dall’altro, proprio sotto il profilo dell’analisi vittimologica i casi
di estorsione come di usura praticati dalle organizzazioni criminali di tipo mafioso delineano una “plurioffensività” di questi
reati che trascende l’immediata ed esclusiva lesione patrimoniale. Non è un caso che l’acquisizione probatoria nei reati di
cui indicato si rende più difficoltosa per effetto della pressione
psicologica cui è sottoposta la vittima e la paura che essa percepisce per l’incolumità propria e della sua famiglia. Da qui la
rilevanza anche giuridica della costituzione di parte civile nei
processi delle associazioni antiracket e antiusura il cui supporto ancorché psicologico è importante nelle fasi dibattimentali
ai fini dell’assunzione di responsabilità da parte della vittima,
nonché di estensione della fiducia e tutoraggio nell’intero processo di normalizzazione dell’attività economica e della vita
quotidiana per uscire dai danni che l’evento ha procurato9.
Occorre partire dal presupposto che con o senza mafia l’estorsione genera un danno. Quando l’estorsione è occasionale e
realizzata in un ambito privato (es. il figlio che estorce danaro al
padre per una dose di droga) ancorché la violazione di un diritto
patrimoniale, si configura una indubbia lesione dell’integrità
psicologica della vittima e comunque una lacerazione della sua
identità morale. Quando, invece, ci occupiamo di estorsione e
usura connessa ai gruppi mafiosi, esse generano danni sociali
così plurimi che vanno oltre la relazione diretta rispetto alla
8. Il riferimento è alla legge 23 febbraio 1999, n. 44 “Disposizioni concernenti il
Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura” e alla legge n.
512/1999 che ha istituito il Fondo di Rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati
di tipo mafioso. Importante è anche la nuova norma art. 2, comma 19, legge 15 luglio
2009, n. 94, “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, che interviene colpendo
chi, essendo acquiescente, usufruisce di una posizione di vantaggio nell’acquisizione
di opere pubbliche rispetto ad altri. La norma ha una funzione di riequilibrio delle
posizioni nella concorrenza sul mercato. Colpisce chi grazie alla convivenza distoglie
risorse della comunità a vantaggio di organizzazioni mafiose. Chi si aggiudica un appalto, ad esempio per costruire un ospedale, e paga il pizzo, utilizza soldi dei cittadini
per finanziare la mafia.
9. t. grasso, Racket e antiracket a Napoli, in g. di gennaro, a. la spina (a cura di),
I costi dell’illegalità. Camorra ed estorsioni in Campania, il Mulino, Bologna 2010, pp.
283-332.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
39
vittima e ai suoi familiari, in quanto non solo hanno un carattere silente ma chi le subisce, spesso, non denuncia. Sono tipi
di reati che condizionano l’economia, riducono gli investimenti, generano interconnessioni con altre attività illegali lucrose,
alterano il senso di sicurezza di un territorio. Il reato estorsivo
oltre ad avere una intrinseca natura illegale e un forte carattere
sommerso, si nutre di condizioni ove è rilevante l’esito variabile
dell’interazione tra i seguenti fattori: a) soggezione della vittima; b) grado di ricattabilità della stessa; c) modalità di consumo
dell’evento; d) tipologia di settore economico e mercato del
lavoro locale; e) radicamento nel territorio del gruppo criminale e proprio modello organizzativo; f) livello di presenza ed
estensione sul territorio di attività economiche illecite, illegali,
criminali; g) livello di disgregazione dei tessuti sociali locali; h)
efficacia delle politiche di prevenzione, di sicurezza, delle strategie investigative, delle risultanze giudiziario-processuali; i)
capacità associativa, organizzativa e di mobilitazione delle vittime e delle comunità locali che come stakeholder sono titolari
di diritti lesi e di interessi che attengono anche al comune bene
della legalità.
Studiare e analizzare il fenomeno estorsivo è complicato:
perché, innanzitutto, occorre fondare ogni interpretazione,
anche se riguarda la dinamica di particolari reati, su un impianto
metodologico rigoroso che fornisca ancorché l’esplicitazione
del percorso adottato e la controllabilità del risultato, la base
per l’acquisizione sia di informazioni quantitative sia qualitative attraverso fonti ricostruttive diverse. Ciò perché sulla scia
dell’insegnamento weberiano, la conoscenza del mondo sociale
non può che essere intesa come conoscenza anche del mondo
cognitivo dell’attore sociale. Esso è davvero conoscibile solo
se si fanno parlare le persone senza imporre loro vincoli di modalità espressiva. Inoltre, perché la difficoltà di costruire un’accurata analisi su un tale accadimento deriva dal fatto che non
è possibile affidarsi solo all’informazione statistica, non solo
perché, per quanto dettagliate, restano sempre parziali e non
scevre di errori. Basti pensare che ancora oggi in Italia manca
una banca dati unica corrispondente alla verifica tra l’autorità
40
giacomo di gennaro
giudiziaria e l’autorità giudicante. Ma, innanzitutto, perché un
adeguato approfondimento che stilizzi la correlazione tra modello organizzativo del gruppo criminale e modalità di richiesta,
entità della stessa, tipologia di richiesta, dimensione spaziale
dell’influenza territoriale del gruppo, modalità di adescamento e poi adesione della vittima, significato attribuito all’azione
delittuosa dal reo, numero di soggetti coinvolti, funzione del
delitto. Insomma, questi e altri aspetti correlati al fenomeno
estorsivo non sono decifrabili attraverso l’informazione statistica ma necessitano di indagini vittimologiche appropriate
fondate su interviste non direttive, nonché approfondimenti
su materiali giudiziari. Purtroppo il livello di sinergia anche per
soli fini scientifici con la magistratura inquirente è ancora delegato alla sensibilità del singolo magistrato e trova difficoltà a
dispiegarsi come attività programmatica per rendere più efficaci
i modelli di prevenzione e contrasto a riguardo di alcuni reati.
Nonostante i limiti richiamati, l’analisi sul fenomeno delle
estorsioni in generale e in Campania in particolare, non parte
da zero. Innanzitutto, perché questo lavoro è stato preceduto
da un altro che, tra il 2009 e il 2010, pur concentrandosi sulle
esclusive aree metropolitane di Napoli e Caserta ha messo in
risalto per la prima volta, con una impostazione metodologica
quanti/qualitativa, sia la stima del prelievo di risorse realizzate attraverso l’attività estorsiva diretta, sia la descrizione e la
classificazione qualitativa di alcuni comportamenti illegali, anzitutto degli appartenenti alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, attraverso l’analisi di atti giudiziari, procedimenti
giudiziari, sentenze, ordinanze, analisi testuali di intercettazioni
telefoniche e ambientali, analisi statistiche dei dati acquisiti,
interviste semistrutturate a testimoni privilegiati. In particolare,
si possono indicare in quattro sintetiche fasi e relativi risultati
i passaggi fondamentali che hanno caratterizzato l’intera ricerca sull’influenza della camorra in Campania e il peso delle
estorsioni10.
10. Il riferimento è a g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità, cit.,
pp. 17-40.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
41
Primo passaggio: ricostruzione dei sodalizi criminali campani operanti nelle due aree e analisi delle forme di influenza
esercitate attraverso le diverse attività illegali. Sapevamo già
molto sulle condotte dei camorristi in relazione ai propri patrimoni e alla proprie eventuali attività imprenditoriali, nonché
alle modalità seguite nella manipolazione di appalti. L’attenzione è stata fissata sulle interferenze effettuate da questi nei
confronti dell’attività di soggetti che non sono né camorristi né
collusi. Ad esempio, le modalità di richiesta, la quantificazione
e riscossione del pizzo, l’imposizione di prodotti o fornitori, di
assunzioni, commesse, l’acquisizione di prodotti, l’uso gratuito
di beni. L’obiettivo è stato quello di costruire condotte tipiche
in relazione ai vari aspetti ritenuti rilevanti (come ad esempio
dimensioni dell’impresa, settore produttivo, localizzazione, atteggiamento dell’imprenditore nei confronti degli estorsori,
comportamento delle altre vittime).
Oltre a magistrati e operatori delle forze dell’ordine, sono
stati sentiti, mediante interviste in profondità, commercianti
vittimizzati, collaboratori di giustizia, imprenditori che avevano
già denunciato in modo pubblico l’estorsione (i quali pertanto
si possono ritenere ben più attendibili rispetto all’operatore
economico medio, possibilmente esposto all’intimidazione e
come tale controinteressato a parlarne), subendo di conseguenza costi notevoli a carico delle proprie aziende.
Secondo passaggio: creazione di un data-base comprendente i casi di estorsioni tentate e consumate nell’area delle
due province campane in un arco temporale che copre circa
vent’anni (1990-2009) e che sono emerse dall’analisi del materiale giudiziario. Si tratta di oltre 1.124 atti giudiziari dai quali
sono stati depurati i reati di estorsione personale (es. “cavallo
di ritorno”) o quelli privi di intercettazioni telefoniche o ambientali, le cui caratteristiche salienti sono state riportate su
una scheda di rilevazione. Questo prezioso data-base, la cui
costruzione è stata alquanto laboriosa, ha reso possibili le elaborazioni successive. In particolare, è stato indicato l’importo
del pizzo che viene richiesto alle imprese ritenute tipiche, distinte per settori di attività, collocazione geografica, dimen42
giacomo di gennaro
sioni del fatturato e del numero di addetti, su territori ritenuti
anch’essi tipici. Va sottolineato che l’insieme di casi così ottenuto non costituisce un campione probabilistico. Se vi fosse,
come in effetti si è avuto, un numero di casi maggiore in una
provincia e minore in un’altra, ciò potrebbe dipendere, in parte, dall’intensità e dallo stato di avanzamento delle indagini
e della disponibilità dei materiali e non solo dalla maggiore o
minore presenza del fenomeno criminale. D’altra parte non è un
campione autoselezionato ove è presente il rischio che chi ha
deciso di rispondere al questionario o all’intervista sia soltanto
o prevalentemente un certo tipo di soggetto (ad esempio un
imprenditore che già aderisce a un’associazione antiracket),
con corrispondente sottorappresentazione o esclusione di altri
segmenti della popolazione. Inoltre, le informazioni apprese si
fondano su osservazioni empiriche talmente robuste da non
essere scalfite neppure dalle dichiarazioni in senso contrario
che talvolta si sono avute da parte di imprenditori reticenti (per
paura o altre ragioni), che pure sono stati vittime del pizzo. Il
quantum del pizzo, ad esempio, o le modalità della richiesta
risultano indicate senza possibilità di vaghezza, sottovalutazione o esagerazione. Si può quindi asserire, viste l’affidabilità
dei mezzi di rilevazione e la quantità dei casi, che, allo stato,
questa si presenti come la migliore – o meno peggiore – base
empirica realizzabile in relazione al fenomeno studiato.
Terzo passaggio: ricognizione dei dati ufficiali disponibili
relativi alla situazione del tessuto imprenditoriale campano,
alle dimensioni e alla contendibilità dei vari mercati, al numero e alle caratteristiche delle imprese ivi operanti, suddivise in
gruppi omogenei di dimensioni note. Tale suddivisione in gruppi si è resa necessaria, dal momento che i costi non risultano
uguali per i diversi tipi di esercizi economici. Per le imprese,
ciò è causato da fattori quali le differenze nella dimensione o
nell’ubicazione, la natura del processo di produzione e le diverse soluzioni tecnologiche utilizzate. La suddivisione in gruppi
serve a effettuare stime separate dei costi per ciascun gruppo
di soggetti (ad esempio: grandi e piccole imprese, o imprese
di un certo settore produttivo).
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
43
Quarto passaggio: produzione di una stima quantitativa
(attraverso l’incrocio tra risultanze dell’analisi qualitativa con
dati tra cui quelli relativi ai costi per tipi di impresa, al numero
di imprese esistenti per settore economico, alle caratteristiche dei mercati, alla dislocazione delle attività sul territorio)
dell’impatto economico della criminalità camorristica e di altre
forme di illegalità, per tipi di impresa e per settore produttivo.
È stato stabilito un percorso di analisi sperimentato su alcuni casi, ambiti e settori produttivi. È stata adottata ogni cautela
nella formulazione di stime e cifre, segnalando volta per volta
l’iter seguito, i margini di incertezza, la pertinenza delle informazioni. Una strategia analoga si potrebbe seguire per descrivere
e quantificare anche altre attività illegali della camorra, come
ad esempio il narcotraffico, l’usura, la contraffazione, il gioco
d’azzardo e così via. Altre forme di illegalità particolarmente
gravi, tali da giustificare l’uso di tecniche investigative così intrusive (come alcune forme di “grande” corruzione), potrebbero
anch’esse venir studiate avvalendosi di materiali giudiziari, se
questi dovessero essere abbastanza rilevanti e numerosi.
È opportuno sottolineare che ragioni di reiterazione dell’impianto metodologico e tecnico, di raffinamento delle tecniche
di rilevazione, trattamento e analisi delle informazioni, correttezza della comparazione, rispetto dei confini di un oggetto
conoscitivo, vincoli temporali, finanziari, gestionali e strumentali, hanno portato l’intera équipe di ricerca campana e la
Fondazione Chinnici che ha sostenuto la ricerca, a indicare fin
dall’inizio la necessità di dedicare almeno parte dei contributi e
della rilevazione che li ha resi possibili al tema delle estorsioni
esistendo l’esigenza di incastrarlo in un’attenta analisi del quadro evolutivo del fenomeno estorsivo in prospettiva comparata
essendo già esistente un analogo approccio sperimentato in
una precedente ricerca sul caso siciliano11.
Tuttavia, rispetto al precedente studio due novità sono state introdotte: a) una quota del materiale giudiziario reperito per
11. a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità. Mafia ed estorsioni in Sicilia, il Mulino,
Bologna 2008.
44
giacomo di gennaro
lo scopo prima indicato è stata utilizzata metodologicamente,
per la prima volta, nel caso di uno studio di carattere anche
criminologico, per l’analisi testuale basata sulla selezione di un
totale di 2.248 intercettazioni telefoniche e ambientali acquisite
da 438 atti giudiziari, con lo scopo di individuare e approfondire
temi e relazioni tra significati lessicali che rimandano a determinate azioni (fatte o da intraprendere), gestione di ruoli, appartenenze a clan, riferimenti territoriali, trasmissione di ordini
ecc. Si è fatto ricorso a due tipi diversi di software (il T-Lab e il
Taltac 2.10)12; b) essendo venuta alla luce una stretta relazione
tra l’attività estorsiva dei clan e l’attività usuraria, si è deciso di
prestare una certa attenzione anche al fenomeno dell’usura,
pur nella consapevolezza che si è trattato solo di un accenno
al tema del ricorso al credito illegale.
Le conclusioni a cui pervenivamo ne I costi dell’illegalità
è che l’estorsione praticata in Campania conserva ancora un
carattere parassitario perché da un lato, è praticata su attività ricattabili (in quanto a loro volta esercitate nell’illegalità
e facilmente soggette all’osservazione criminale), dall’altro,
però è prodotta anche come attività di controllo ed esercizio
del potere territoriale, ovvero come protezione. Nel primo caso garantisce una funzione redistributiva nei confronti delle
masse marginali e di quanti sono disponibili al reclutamento,
nel secondo caso è una necessità funzionale al radicamento
territoriale e a determinare il profilo di stabilità del clan. Tant’è
che gruppi più consolidati e con una long crime history praticano in forma di subappalto l’estorsione imponendo al gruppo
12. Si tratta di programmi utilizzati nella pratica della ricerca “qualitativa”; ovvero,
d’analisi semiautomatica testuali ispirati all’approccio lessicometrico che trovano origine nel lavoro francese di Jean-Paul Bénzécri (id., L’analyse des données, Dunod, Paris
1973) e sviluppati, con l’ausilio di tecniche statistiche e lessicali, per analizzare le parole
e le loro relazioni all’interno del testo. Sono softwares particolarmente appropriati
per l’analisi sistematica di testi di ampie dimensioni (nel nostro caso le intercettazioni
telefoniche) o di domande aperte e permettono l’estrazione di contenuti del discorso
e le principali differenze tra le diverse categorie di intervistati, attestando in via indicativa la frequenza e la rilevanza di ciascun tema; vedi g. losito, L’analisi del contenuto
nella ricerca sociale, in l. cannavò, l. frudà (a cura di), Ricerca sociale. Tecniche speciali
di rilevazione, trattamento e analisi, Carocci, Roma 2007, cap. v, pp. 117-132 e f. della
ratta-rinaldi, L’analisi testuale computerizzata, in ivi, pp. 133-152.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
45
affidatario una tassa e riducendo così i rischi e ottimizzando i
risultati. La frammentazione dei clan e l’incertezza che l’elevata
densità determina conferisce quel carattere specifico di attività
violenta che non è parte della storia dell’intera mafia. Il carattere daziario dell’attività estorsiva specie dei clan napoletani è
la forma più diretta ed elementare di accumulazione primitiva
della ricchezza. L’attività estorsiva, almeno nelle due aree analizzate, si presenta, quindi, con una modalità in cui l’elemento
predatorio rispetto alla funzione protettiva incide in misura più
elevata rispetto alla Sicilia e tale carattere è maggiore nell’ambito cittadino ancorché in quello provinciale13.
A quattro anni dalla pubblicazione di questo lavoro che ha
fornito per la prima volta un quadro più compiuto del fenomeno
estorsivo in Campania e basando l’intera analisi su un impianto
metodologico rigoroso quanto esplicito sul percorso adottato e
la controllabilità del risultato, eccoci di nuovo con una ulteriore
riflessione che sia per estensione geografica, sia per elaborazione di nuovi obiettivi ci restituisce una declinazione ancora
più chiara dell’attività estorsiva che, come si sa, distingue il
profilo criminale di un gruppo dedito alle attività illegali più di
ogni altro reato o comportamento criminale.
La riflessione inevitabilmente ha toccato anche le modificazioni storiche di tale attività, il tema delle forme organizzative
dei clan e il rapporto che essi hanno con i territori ove sono
insediati. I risultati raggiunti hanno confermato alcune precedenti acquisizioni ma disvelano anche molti aspetti nuovi che
non riguardano solo il tema del controllo territoriale, bensì la
13. Il carattere predatorio di cui si parla in questa sede coincide con quello di cui
parla Lupsha che distingue in tre i gradi di sviluppo della criminalità organizzata: predatorio, parassitario e simbiotico. Nella fase predatoria la criminalità è essenzialmente
una forma di gangsterismo urbano: usa la violenza soprattutto in modo difensivo per
eliminare i nemici e per il controllo del territorio. In effetti questo carattere convive, a
nostro avviso, con quello più specificamente protettivo descritto da Gambetta. Vedi
p.a. lupsha, Organized Crime in the United States, in r. kelly (eds.), Organized Crime: An
International Perspective, Rowman and Littlefield, Totowa, nj 1986; id., Transnational
Organized Crime versus the Nation State, in «Transnational Organized Crime», vol. ii,
1, 1996, pp. 21-48; p.a. lupsha, s.a. pimentel, The Nexus Between Crime and Politics:
Mexico, in «Trends in Organized Crime», 3, 1, 1997, pp. 65-67.
46
giacomo di gennaro
stessa entità estorsiva praticata sia sulle attività economiche
legali sia sulle attività tipiche dell’economia sommersa o caratterizzate dall’irregolarità e presenza di esclusivo lavoro nero. La
tipologia estorsiva così come emerge e la relazione esistente tra
forma organizzativa del clan e la pratica estorsiva conferiscono
all’analisi del fenomeno aspetti che accertano dimensioni che
possono essere molto utili per le azioni sia di prevenzione che
di contrasto.
1.2 Da dove partire per spiegare l’origine e lo sviluppo
dell’attività estorsiva
Prima di addentrarci nell’analisi e comparazione dei dati sul
fenomeno delle estorsioni, vi è la necessità di fornire qualche
risposta a qualche interrogativo di fondo connesso al fenomeno. Come si spiega l’estorsione come attività specializzata e in
che misura essa è all’origine delle organizzazioni mafiose. Come
si è sviluppata, consolidata e quali sono i moderni caratteri che
va assumendo l’attività estorsiva.
Un primo aspetto da cui si può partire e che ha segnato una
linea interpretativa elaborata per spiegare l’originaria precondizione che ha favorito la nascita dei gruppi mafiosi attiene l’offerta di protezione. Non pochi autori, sulla scia delle intuizioni di
Franchetti prima e Landesco dopo, hanno sostenuto che se c’è
una proprietà specifica che si può attribuire alla mafia siciliana,
alla ’ndrangheta e alle diverse mafie (quella italo-americana,
quella russa, le Triadi di Hong Kong, la Yakuza giapponese) è
che esse sono organizzazioni specializzate nella fornitura di
protezione14. Ovvero, la protezione offerta dalle organizzazioni
14. Su questo vedi, a. graebner anderson, The Business of Organized Crime. A Cosa
Nostra Family, Hoover Institution Press, Stanford, CA 1979; p. reuter, Racketeers as
Cartel Organizers, in h. alexander, g. caiden (eds.), Political and Economic Perspectives
on Organized Crime, Lexington, Mass. D.C. Heath 1984, pp. 49-65; ora anche in f. varese
(eds.), Organized Crime. Critical Concepts in Criminology, Routledge, London and New
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Economics of Intimidation, The Rand Corporation, Santa Monica, ca 1987; f. sabetti, Village Politics and the Mafia in Sicily, Mc Gill-Queen’s University Press, Montreal e
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
47
mafiose si presenta come un servizio reso sia in termini di sicurezza, sia per eliminare nei rapporti economici la concorrenza,
sia, infine, per regolare i rapporti sociali garantendo il riconoscimento di diritti che vengono elusi da alcuni contro altri15. La
protezione, pertanto, si trasforma in un bene che viene offerto
nella sfera dei rapporti economici e in quelli sociali. Ci sono condizioni che generano maggiormente l’affermarsi di una iniziale
domanda di questo bene, altre, invece, che ne determinano
l’iniziale offerta. Tuttavia, le organizzazioni criminali quando si
dedicano all’attività estorsiva producono effetti così negativi e
perversi da non ricadere esclusivamente e direttamente sulla
vittima, ma si estendono su collettività e tessuti socio-economici più ampi perché mediante essa l’attività criminale si evolve
e si estende verso una pluralità indeterminata di reati-scopo
(commercio stupefacenti; gestione sale da gioco e scommesse;
contrabbando Tle; controllo lavori pubblici; usura), ovvero, attività che non solo sono fonte di ingenti proventi che vengono
Kingston, London Ithaca 2002 (1a ediz. 1984); c. tilly, War Making and State making
as organized crime, in p. evans, d. rueschemeyer, t. skocpol (eds.), Bringing the State
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2001; id., How mafias migrate: The case of the ’Ndrangheta in morthern Italy, in «Law
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organizzato conquista nuovi territori, Einaudi, Torino 2011; b. alexander, The Rational
Racketeer. Pasta Protection in Depression Era Chicago, in «Journal of Law and Economics», vol. 40, 1, 1997, pp. 175-202; s. skaperdas, The political economy of organized
crime: Providing protection when the state does not, in «Economics of Governance» 2,
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in a socialist market economy, in «Global Crime», vol. 12, 4, 2011, pp. 290-311.
48
giacomo di gennaro
investiti in ulteriori attività economiche illecite, nonché nella
costituzione di imprese per l’esercizio di attività commerciali
su diversi territori (dal locale al nazionale) e talvolta all’estero,
ma sono funzionali all’esercizio della sovranità territoriale che
intanto si va affermando perché è alimentata da un patrimonio
di conoscenze necessarie per agire successivamente da intermediario nel mondo degli affari e della politica.
Cerchiamo di vedere da vicino questi aspetti. Un primo punto
di partenza può essere la cumulazione analitica che si è sviluppata
sull’origine della mafia e di organizzazioni criminali similari in varie
parti del mondo. Molti contributi teorici ed empirici sono in linea
con quella che è stata denominata la “property-rights theory”16.
In sintesi questa prospettiva sostiene che il processo di accumulazione illegale parte dall’attività di protezione privata che, in
generale, si origina o per assenza (o debole presenza) di una condizione di tutela dei diritti di proprietà da parte dello Stato il quale
si mostra incapace, con la fine del feudalesimo, di risolvere e
regolare controversie diverse. A questa tardiva capacità si associa
la presenza di un banditismo diffuso e una condizione di sfiducia
generalizzata che stimola la formazione di quella che Gambetta
ha definito la “nuova industria specializzata in protezione”17. I
gruppi mafiosi intercettando la sfiducia delle popolazioni locali
si specializzano nell’introdurre nel tessuto sociale dosi calcolate
di sfiducia in modo da mantenere viva la domanda di protezione.
Essi attenuano l’incertezza che circonda il mercato e il tessuto
sociale proprio perché manca l’esternalità della fiducia, ma, ovviamente, hanno interesse ad assicurarsi che tale condizione
16.Vedi f. varese, Mafie in movimento, cit., p. 261; o. bandiera, Private states and the
enforcement of property rights: theory and evidence on the origins of Sicilian mafia, in
«Journal of Law, Economics and Organization», xix, 1, 2003, pp. 218-244; p. buonanno,
r. durante, g. prarolo, p. vanin, On the Historical and Geographic Origins of the Sicilian
Mafia, Munich Personal RePEc Archive (mpra), paper No. 37009, posted 29 February
2012 16:29 utc. In effetti questa tesi parte dalle osservazioni di Franchetti e riprese da
D. Gambetta il quale spiega l’origine della mafia siciliana tra gli inizi e la metà dell’Ottocento come risposta a una transizione imperfetta e rapida da una economia agricola
feudale a una di mercato moderna necessitante sicurezza statale, ordine, rispetto della
legge e delle regole del mercato; vedi d. gambetta, La mafia siciliana. Un’industria della
protezione privata, Einaudi, Torino 1992, pp. 89-126.
17. d. gambetta, La mafia siciliana, cit. p. 126.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
49
persista perché la sfiducia è esattamente ciò che giustifica il loro
intervento18. L’attività che più contraddistingue i gruppi mafiosi,
allora, sarebbe la protezione-estorsione, perché attraverso essa
viene regolata la «signoria territoriale» della mafia19. La teoria dei
diritti di proprietà della mafia è stata estesa ad altri casi, come il
Giappone, la Russia postsovietica e la Cina, per spiegare come
le mafie possano affermarsi in epoche di transizione rapida ma
imperfetta verso l’economia di mercato20. Sulla base di questa
impostazione si è prodotta una più generale teoria esplicativa
dell’origine della mafia che si compendia nella protezione: è un
servizio offerto per eliminare la concorrenza; proteggere lavoratori e sindacati; intimidire gli imprenditori; salvaguardare anche
contro l’estorsione, contro i furti, le vessazioni della polizia, per
recuperare crediti, regolare e ricomporre una vasta gamma di
controversie e conflitti21.
Questo percorso interpretativo, ripreso in periodi diversi,
si è opposto all’iniziale spiegazione “culturalista” che, invece,
ha insistito sul carattere diffuso di una subcultura fondata sulla
propensione all’uso della violenza privata, considerando, pertanto, la mafia come un modello organizzato di tale espressione22. Lungo questa scia, che ha rappresentato la prima interpre18. id., Mafia: i costi della sfiducia, cit., pp. 283-305.
19. u. santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 1995.
20. f. varese, What is the Russian Mafia?, in «Low Intensity Conflict and Law Enforcement», 5, 2, 1996, pp. 129-138; id., The Russian Mafia, cit., pp. 260 e ss.; id. Mafie in
movimento, cit., pp. 199-252; p. brown, Central Authority and Local Autonomy in the
Formation of Early Modern Japan: The Case of Kaga Domain, Stanford University Press,
Stanford ca 1993; c. j. milhaupt, m.d. west, The dark side of private ordering: An institutional and empirical analysis of organized crime, in «University of Chicago Law», lcvii,
1, 2000, pp. 41-98; sul caso della Cina inoltre vedi, p. wang, op. cit., pp. 290-311.
21. Per i diversi aspetti indicati la ricostruzione può essere fatta attraverso la documentazione richiamata anche in p. arlacchi, Uomini del disonore: la mafia siciliana nella
vita del grande pentito Antonio Calderone, Mondadori, Milano 1992; d. gambetta, La
mafia siciliana, cit., pp. 171-79 e 190-92; y.k. chu, op. cit., pp. 43-53 e 77-80; f. varese, The
Russian Mafia, cit., pp. 69-72, 102-105, 110-13 e 119; p. reuter, The Decline of the American
mafia, in «The Public Interest», 120, 1995, p. 90.
22. h. hess, Mafia, Laterza Roma-Bari 1973, (1a ed. 1970, Tübingen, j.c.b. mohr); p.
pezzino, Una certa reciprocità di favori. Mafia e modernizzazione violenta nella Sicilia
postunitaria, FrancoAngeli, Milano 1990.
50
giacomo di gennaro
tazione sociologica moderna della mafia, un gruppo di studiosi
stranieri focalizzerà l’attenzione sulla dimensione organizzata
della mediazione culturale: mafia e mafiosi vengono descritti
come patrons, come mediatori culturali violenti che colmano
gap di comunicazione tra stato e classi subalterne23.
La stagione degli studi sulla mafia in Sicilia proseguirà nel
corso degli anni Ottanta del secolo scorso intrecciando, in
effetti, elementi di una prospettiva più economicistica con
quelli di traiettorie neoculturaliste, senza tuttavia, trascurare
le diverse articolazioni che il tema della protezione presenta:
prevalenza della domanda o dell’offerta; protezione attiva o
passiva; imposta o ricercata. Gli studi di Arrighi prima, di Arlacchi e Piselli poi e di Catanzaro dopo dispiegheranno i temi delle
precondizioni economiche e socioculturali della manifestazione mafiosa nel Mezzogiorno postunitario, sottolineando come
il processo di incorporazione di molte aree del Mezzogiorno
nel moderno sviluppo capitalistico è avvenuto adattando le
forme tradizionali di comportamento e di relazioni sociali
(parentela, clientela, aggregazioni residenziali, comunità) alle moderne strutture di mercato, influenzando così in vario
modo i mutamenti indotti dallo sviluppo. La mafia in diverse
zone della Calabria esercita la protezione regolando i mercati
all’ingrosso, le transazioni, stabilendo i prezzi, indicendo aste,
offrendo garanzie sulla qualità, «facendo rispettare i patti,
imponendo obblighi e perfino proteggendo, apparentemente,
i lavoratori dagli abusi e da un eccessivo sfruttamento»24. I
tradizionali sistemi socio-economici si integrano e fondono in
23. a. blok, The Mafia of a Sicilian Village, Harper and Row, New York 1974 (tr. it. La
mafia di un villaggio siciliano 1860-1960), Einaudi, Torino 1986; j. boissevain, Friends
of Friends. Networks, Manipulators and Coalitions, Basil Blackwell, Oxford 1974; j.c.
schneider, p.t. schneider, Culture and Political Economy in Western Sicily, Academic
Press, New York 1976 (tr. it. Classi sociali, economia e politica in Sicilia, Rubbettino,
Soveria Mannelli 1989; a. pizzorno, I mafiosi come classe media violenta, in «Polis», n.
1, 1987, pp. 195-204.
24. Vedi la descrizione che ne da f. piselli, Circuiti politici mafiosi nel secondo dopoguerra, in «Meridiana», n. 2, 1988, pp. 125-66, la quale arricchisce con risultati empirici
i tratti populistici e le forme di appoggio ribellistico alle richieste dei contadini presenti anche nelle ’ndrine delle aree tirreniche confutando la tesi esposta nel 1985 dalla
Commissione parlamentare antimafia la quale attribuiva questa caratteristica solo ai
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
51
nuovi sistemi pluralistici di più ampie dimensioni coincidendo
con il partito e con lo Stato che diventano i luoghi e le forme
di aggregazione ideale per redistribuire redditi ed esercitare
il potere25.
Questi processi accompagnano una modificazione dei
livelli organizzativi della mafia che, per non pochi autori, caratterizzano l’ingresso dei gruppi mafiosi nelle attività imprenditoriali lecite26. Non è un caso che il core delle riflessioni alla
fine degli anni Ottanta è dato dal tema dell’impresa mafiosa:
vi è un carattere innovatore, secondo la più classica concettualizzazione schumpeteriana, presente nei mafiosi e coincidente con il profilo di agenti dediti all’accumulazione della
ricchezza27, la cui best way è la capacità di segnalarsi come
imprenditori della protezione-estorsione violenta28, nonché
come produttori e regolatori di una domanda di protezione
gruppi mafiosi della Calabria Jonica e poco alla mafia siciliana. La citazione è ripresa
da d. gambetta, La mafia siciliana, cit., pp. 109-110.
25. g. arrighi, f. piselli, Capitalist Development in Hostile Environments: Feuds, Class
Struggles and Migrations in Peripheral Region of Southern Italy, in «Review», 4, 1987; f.
piselli, g. arrighi, Parentela, clientela e comunità, in p. bevilacqua (a cura di), Storia
d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi. La Calabria, Einaudi, Torino 1985; p. arlacchi, Mafia
contadini e latifondo nella Calabria tradizionale, il Mulino, Bologna 1980; r. catanzaro,
Imprenditori della violenza e mediatori sociali. Un’ipotesi di interpretazione della mafia,
in «Polis», I, 2, 1987. pp. 261-282.
26. È quanto è emerso dalla ricerca di Santino e La Fiura la cui base dati deriva da un
numero di accertamenti in applicazione della legge antimafia italiana comparandoli con
il contesto americano del quale vengono ricostruiti lo sviluppo storico del rapporto tra
gruppi criminali e vita economica e sociale, le scelte sociali e gli interventi istituzionali;
cfr. u. santino, g. la fiura, L’impresa mafiosa. Dall’Italia agli Stati Uniti, FrancoAngeli,
Milano 1990.
27. p. arlacchi, La mafia imprenditrice. L’etica mafiosa e lo spirito del capitalismo, il
Mulino, Bologna 1983. Secondo l’A. tre processi non colti combinati tra loro delineavano già alla fine degli anni Settanta il profilo moderno della mafia imprenditrice: a)
l’acquisizione di una razionalità strumentale nella condotta economica; b) il fatto che
le famiglie mafiose siciliane si caratterizzassero come imprese nel sistema mondiale
della droga e dell’economia illegale; c) lo sviluppo di una significativa autonomia politica
del potere mafioso.
28. r. catanzaro, Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Liviana, Padova
1988; Id., Il governo violento del mercato. Mafia, imprese e sistema politico, in «Stato e
mercato», 23, 1988, pp. 177-212. Sull’impresa mafiosa, si veda il più recente lavoro di n.
dalla chiesa, L’impresa mafiosa. Tra capitalismo violento e controllo sociale, Cavallotti
University Press, Milano 2012.
52
giacomo di gennaro
e garanti della fiducia nelle diverse transazioni economiche
in contesti di sfiducia generalizzata29.
Questi diversi aspetti entrano e arricchiscono le riflessioni sulla mafia anche se le tesi che si fronteggiano all’interno
di questa visione offrono risultati controversi e in alcuni casi
elementi di contraddizione analitica risaltati nella posizione di
qualche autore30. Tuttavia si comincia a dare più conto della
complessità del fenomeno mafioso, tant’è che contemporaneamente altri studi sono indirizzati alle relazioni di potere e alla
capacità di inserimento dei gruppi mafiosi nella sfera politica
e istituzionale31. Fantò sosterrà che l’impresa mafiosa diventa
parte integrante di un rapporto triadico costruito assieme a
imprenditori e politici fondato su scambi e favori reciproci e che
evolve in direzioni molteplici dando vita a una articolata presenza della mafia sia nell’economia illegale che in quella legale
e distinguibile attraverso imprese criminali legali, illegali-legali,
legali-illegali delle quali l’impresa a “partecipazione mafiosa” ne
è una ulteriore evoluzione utile a esercitare «una “regolazione”
complessiva del mercato e un più solido controllo “politico”
29. d. gambetta, La mafia siciliana, cit., pp. 5-31. A partire dall’ambiguità esistente tra
estorsione e protezione, già richiamata dal Franchetti nel 1876, sostiene che la violenza
è un mezzo, una risorsa utilizzata per affermare un servizio che è la protezione e che
si applica a tutte le transazioni (specie quelle instabili generate da assenza di fiducia).
È in virtù di questo processo che si crea un mercato della protezione con effetti sia
negativi che positivi (le esternalità economiche). Ciò non va confuso con l’estorsione
che, sulla scia di Charles Tilly, Gambetta considera un’azione realizzata quale esito di
danni procurabili.
30. È quanto sostiene u. santino, Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 15-33; l’A. si riferisce particolarmente
alla posizione di Arlacchi definita «frutto di frettolose teorizzazioni e scarsamente o
per nulla documentata», p. 16. Si veda anche, u. santino, g. la fiura, op. cit., pp. 17-97.
31. f. sabetti, Political Authority in a Sicilian Village, Rutgers University Press, New
Brunswick, n.j. 1984; tr. it. Politica e potere in un comune siciliano, Pellegrini Cosenza
1993; u. santino, La mafia come soggetto politico. Ovvero: la produzione mafiosa della
politica e la produzione politica della mafia, in g. fiandaca, s. costantino (a cura di),
La mafia, le mafie tra vecchi e nuovi paradigmi, Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 118-141; m.
santoro, La mafia e la protezione. Tre quesiti e una proposta, in «Polis», vol. 9, 2, pp.
285-299. 1995; id., Mafia, cultura e politica, in «Rassegna Italiana di Sociologia», vol. 39,
4, 1998, pp. 441-476; f. armao, Il sistema mafia. Dall’economia-mondo al dominio locale,
Bollati Boringhieri, Torino 2000; r. sciarrone, Mafia e potere: processi di legittimazione
e costruzione del consenso, in «Stato e mercato», vol. 78, 3, 2006, pp. 369-401.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
53
del territorio»32. Estorsioni e usura sono considerate attività
tradizionali utili alla compartecipazione, così come le forme di
riciclaggio delle risorse illegali permette la ricapitalizzazione. Il
rapporto triadico mafia-imprenditoria-politica evolve dal primario carattere di interazione fondata sullo scambio di benefici di
diversa natura a quello di cointeressenza e compartecipazione
i cui esiti influenzeranno e distorceranno la modernizzazione
del Mezzogiorno.
La stagione fortunata degli studi sulla mafia registra, inoltre,
contributi sulla dimensione organizzativa. Best e Luckenbill sostengono che la criminalità organizzata non sia altro che un tipo
di organizzazione sociale formale caratterizzata da un elevato
grado di organizzazione sociale della devianza (numero componenti, sistema di regole, struttura gerarchica) e della criminalità.
Ognuno ha un proprio specifico ruolo e la collaborazione tra i
membri è orientata al raggiungimento di determinati scopi. Associazione, frequentazione reciproca, divisione elaborata del lavoro, organizzazione estesa, sono, per gli autori, caratteristiche
che contraddistinguono le organizzazioni formali, il cui massimo
grado di espressione dell’organizzazione sociale è la devianza
che si evolve in criminalità organizzata allorquando le organizzazioni pongono in essere costantemente comportamenti
delittuosi33. Le stesse teorie delle associazioni differenziali di
Sutherland, delle subculture, delle tecniche di neutralizzazione
32. e. fantò, L’impresa a partecipazione mafiosa. Economia legale ed economia criminale, Dedalo, Bari 1999, p. 86.
33. j. best, d.f. luckenbill, The Social Organization of Deviants, in «Social Problems»,
vol. 28, 1, 1980, pp. 14-31; id., Organizing deviance, Prentice Hall, Englewood Cliffs, New
Jersey 1994. Gli autori individuano cinque forme di organizzazione sociale: loners,
colleagues, peers, mobs and formal organizations (solitari, colleghi, pari, squadre e organizzazioni formali). I tipi solitari agiscono individualmente e condividono argomenti
di comune interesse solo con persone simili che hanno la stessa subcultura; i pari
agiscono illegalmente collaborando e facendo gruppo (es. alcune gang giovanili); le
squadre hanno una maggiore divisione interna di compiti anche se lavorano in gruppo.
Un ulteriore riferimento sulle tipologie di devianti estratte da peculiarità organizzative
ma criticate da J. Best e D.F. Luckenbill, è in c. gibbons, Delinquent Behaviour, Prentice
Hall, Englewood Cliffs, New Jersey 1970; m.b. clinard, r. quinney, Criminal Behavior
Systems: a typology, Rinehart and Winston, Holt, New York 1973; g. miller, Odd Jobs,
The World of Deviant Work, Prentice Hall Press, New Jersey 1978.
54
giacomo di gennaro
e delle carriere criminali offrono elementi di analisi per spiegare
perché un individuo è indotto a entrare in una organizzazione
criminale e intraprendervi una carriera. D’altra parte, ben presto la caratteristica e dimensione organizzativa dell’impresa
mafiosa si segnalerà innanzitutto proprio per la sua capacità di
sviluppare una sorta di intelligence interna all’organizzazione,
di proteggere i propri membri attraverso misure di sicurezza fisica e l’elaborazione di un codice di condotta riservato, nonché,
successivamente, di interferire sul funzionamento del mercato
e condizionare lo sviluppo locale34.
Sulla scia degli studi di Mintzberg sul rapporto tra grado di
stabilità dell’ambiente, condizioni ambientali e forme diverse
di organizzazioni, la mafia viene, inoltre, analizzata come una
“organizzazione professionale” che offre protezione in un contesto in cui la legalità è debole in conseguenza della fievole
credibilità e del basso rendimento che le politiche pubbliche
riscuotono tra i cittadini e gli imprenditori35.
La tesi prospettica è che l’assenza di una efficace e trasparente azione regolativa della spesa pubblica edifica la formazione di una vera e propria “borghesia mafiosa” e “camorristica”
cointeressata a intercettare le risorse pubbliche e fare affari
con le reti illegali che infiltrandosi nelle amministrazioni locali,
acquisiscono appalti e servizi, corrompono amministratori e
funzionari pubblici, diffondono e favoriscono la cultura dell’illecito36. È il terreno ideale sul quale si sviluppa un mercato politico (con un’autonoma circolazione di scambi occulti, favori e
risorse) e un mercato illegale dipendente dall’infiltrazione dei
gruppi criminali che prima sono subordinati all’azione politica,
poi si affrancano dal ceto politico generando una più diretta e
34. u. santino, g. la fiura, op. cit.; s. zamagni (a cura di), Mercati illegali e mafie. L’economia del crimine organizzato, il Mulino, Bologna 1993; m. centorrino, a. la spina,
g. signorino, Il nodo gordiano. Criminalità mafiosa e sviluppo nel Mezzogiorno, Laterza,
Roma-Bari 1999.
35. a. la spina, Mafia, legalità debole e sviluppo del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna
2005.
36. Sul concetto di borghesia camorristica rimando a g. di gennaro, d. pizzuti (a cura
di), Dire camorra oggi. Forme e metamorfosi della criminalità organizzata in Campania,
Guida, Napoli 2009, specie pp. 55-65 e 124-35.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
55
autonoma rappresentanza politico-amministrativa. Lo sviluppo
economico, l’equilibrio del mercato e il tessuto sociale ne escono alterati e inquinati. Un tale deficit istituzionale indebolisce
la produzione di capitale sociale come bene pubblico, senza
neanche garantire la sua conservazione e riproduzione semmai
venisse generato da ambiti sistemici diversi. Anzi induce gruppi
sociali, organizzazioni e singole persone ad agire investendo
nell’accumulazione di benefici soggettivi, a privilegiare orientamenti comportamentali particolaristici37.
Dall’erosione del capitale sociale positivo – ovvero quello che più alimenta la fiducia sociale estesa, la cooperazione
allargata e impersonale tra i diversi attori sociali, che incentiva all’impegno civico, sollecita alla responsabilità sociale e
all’impegno morale nei confronti degli altri, instilla una sorta di
obbligazione sociale al rispetto delle norme e della legge – ne
deriva una conseguente riduzione delle barriere istituzionali e
di quelle che si originano dal tessuto delle relazioni sociali i cui
effetti proteggono dal formarsi in modalità estese e radicate
della devianza e della criminalità38.
Accanto a questi studi di teoria dell’organizzazione e analisi
degli effetti delle politiche pubbliche si sviluppa una versione sociologica neoculturalista fondata più su un approccio strategico
particolarmente attento, con un armamentario concettuale
nuovo, alle pratiche sociali e agli schemi cognitivi, ai repertori
di logiche di azione, ai simboli condivisi, ai network di significati
i cui risultati ripenseranno e rileggeranno la subcultura mafio37. a. la spina, Mafia, legalità debole, op. cit., pp. 190-99.
38. Sugli aspetti di contenimento della devianza e della criminalità si vedano, j. hagan,
Crime and Disrepute, Pine Forges Press, London 1994; g. la free, Losing Legitimacy: Street
Crime and the Decline of Social Institutions in americana, Westview Press, Boulder (Col.) 1998;
r.j. sampson, s.w. raudenbush, f. earls, Neighborhood and Violent Crime: A Multilevel Study
of Collective Efficacy, in «Science», vol. 277, 1997, pp. 918-924; b.p. kennedy, i. kawachi, d.
prothrow-stith, k. lochner, v. gupta, Social Capital, Income Inequality and Firearm Violent
Crime, in «Social Science and Medicine», vol. 1, 1998, pp. 7-17; r. rosenfeld, s.t. messner,
e.p. baumer, Social Capital and Homicide, in «Social Forces», vol. 80, n. 1, 2001, pp. 283-310;
u. gatti, h.m. schadee, r.e. tramblay, Capitale sociale e reati contro il patrimonio. Il senso
civico come fattore di prevenzione dei furti d’auto e delle rapine nelle province italiane, in
«Polis», vol. XIV, n. 1, 2002, pp. 57-71; g. di gennaro, t. brancaccio, Il “valore” del Capitale
sociale, in «OggiDomaniAnziani», a. XVIII, n. 2, 2005, pp.31-60.
56
giacomo di gennaro
sa39. Questi approcci saranno, altresì, accompagnati dalla ripresa di studi di carattere più storico interessati alla genesi e alla
estensione in altre regioni meridionali del fenomeno mafioso
o di associazioni criminali similari per spiegare le ragioni di una
espansione e di un territoriale radicamento40.
Ne deriverà una poliedricità analitica che invece di produrre
una sintesi fonderà tesi contrapposte. Alcune incentrate sulla
correlazione tra taluni caratteri endogeni originari della società siciliana e lo sviluppo del fenomeno mafioso41. Altre basate
sulla reiterata idea che la causa primaria risiede nella debole
azione dello Stato che in tutte le sue espressioni (amministrazioni centrali e periferiche) mantiene un profilo di inefficienza
della pubblica amministrazione essendo infeudata ai partiti.
È uno Stato incapace di far valere il suo monopolio legittimo
della forza42 e permette, così, ai gruppi mafiosi di «utilizzare la
violenza privata in tutte le sue espressioni (…) come strumento
di arricchimento e mobilità sociale»43 colonizzando le istituzioni
dello Stato, gli enti locali, lo stesso tessuto sociale44.
39. r. siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994; m. santoro, Mafia, cultura
e politica, op. cit. 1998; Id., Mafia, cultura e subculture, in «Polis», vol. 14, 1, 2000, pp.
91-112; id., La voce del padrino. Mafia, cultura e politica, Ombre corte, Verona 2007; a.
dino, Vita quotidiana di Cosa Nostra: «normalità» della devianza?, in a. dal lago, r. de
biasi (a cura di) Un certo sguardo. Introduzione all’etnografia sociale, Laterza, Roma-Bari
2002, pp. 131-159.
40. s. lupo, r. mangiameli, Mafia di ieri, mafia di oggi, in «Meridiana», 7-8, 1990, pp. 1744; p. pezzino, Una certa reciprocità di favori, FrancoAngeli, Milano, 1990; n. tranfaglia,
La mafia come metodo, Laterza, Roma-Bari 1991; id., Il Mezzogiorno e le sue «mafie»:
una risposta, in «Meridiana», 15, 1992, pp. 269-277; p. bevilacqua, La mafia e la Spagna,
in «Meridiana», 13, 1992, pp. 105-127.
41. Gli antecedenti di questa tesi sono il ruolo svolto dai banditi al servizio dei proprietari terrieri nel sistema feudale e la successiva funzione di strato intermedio tra
autorità e delinquenza, cfr. s.f. romano, Storia della mafia, Mondadori, Milano 1966;
e.j. hobsbawm, I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Einaudi, Torino, 1990.
42. n. tranfaglia, La mafia come metodo nell’Italia contemporanea, Laterza, RomaBari 1991; id., Mafia, politica e affari nell’Italia repubblicana, Laterza, Roma-Bari, 1992;
p. bevilacqua, Breve storia dell’Italia Meridionale, Donzelli, Roma 1993, pp. 39-42.
43. n. tranfaglia, La mafia come metodo, op. cit., p. 23. La tesi dell’imposizione per
mano militare della mafia considerata altresì dotata di una caratura “politica” è sostenuta anche da p. pezzino, Stato, violenza, società. Nascita e sviluppo del paradigma
mafioso, in m. aymard e g. giarrizzo (a cura di), La Sicilia, Einaudi, Torino 1987, pp.
903-82; id., Mafia: industria della violenza, La Nuova Italia, Firenze 1995.
44. id., Mafia, politica e affari 1943-2008, Laterza, Roma-Bari 2008.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
57
La controversia che dispiega il dibattito storico riguarderà
i fattori che l’hanno originata, quelli che l’hanno consolidata e
lo stesso carattere imprenditoriale la cui effervescenza non si
afferma negli anni Settanta del Novecento, come sostenuto
da Arlacchi, ma ben prima a partire dagli anni Cinquanta dello
stesso secolo su competenze e capacità che per verità erano
state acquisite nella gestione dei mercati agricoli e dello zolfo
già alla fine dell’Ottanta45.
Anche gli sviluppi della mafia, le strategie di contrasto sociale, economico, politico, civile, investigativo, giudiziario, nonché
il tema dell’organizzazione della mafia, il tipo di modello che
ne sostiene la capacità di radicamento e al contempo di metamorfosi saranno oggetto di dispute. Relativamente al primo
aspetto, in sintesi, per alcuni la lotta alla mafia viene configurata come un «destino reversibile»46 (indicatori del quale sono
i differenti colpi inferti alla “cupola” con le centinaia di arresti
di latitanti, lo smantellamento di diversi mandamenti e di decine e decine di famiglie e clan, le migliaia di beni confiscati, le
centinaia di detenuti mafiosi al 41bis, la reazione della società
civile); per altri, invece, la mafia ha assunto nel tempo i tratti
di una indelebile cifra della storia italiana47. L’argomento ricostruttivo, invece, della matrice organizzativa territoriale della
mafia fa i conti con la stagione del pentitismo mafioso e gli
esiti delle investigazioni. Si fronteggeranno due tesi: i sostenitori dell’idea che i network mafiosi sono fluidi e instabili (Hess,
45. Sugli esiti delle capacità imprenditoriali e commerciali di imprenditori mafiosi
negli anni Cinquanta si veda la ricerca di u. santino, g. la fiura, op. cit., pp. 99-162.
Sulla continuità e trasformazione di preesistenti capacità imprenditoriali mafiose già
manifestate in non poche occasioni nel controllo di attività commerciali o gestione
di attività agricole, cfr. s. lupo, Storia della mafia dalle origini ai giorni nostri, Donzelli,
Roma 1993 e 2004; nonché id., Tra società locale e commercio a lunga distanza: la vicenda
degli agrumi siciliani, in «Meridiana», 1, 1987, pp. 81-112. Sulle risposte del Mezzogiorno
agricolo alle sollecitazioni del mercato internazionale, vedi p. bevilacqua, Il Mezzogiorno
nel mercato internazionale (secoli xviii-xx), in «Meridiana», 1, 1987, pp. 19-45.
46. j.c. schneider, p.t. schneider, Un destino reversibile. Mafia, antimafia e società
civile a Palermo, Viella, Roma 2009.
47. s. lupo, Andreotti, la mafia, la storia d’Italia, Donzelli, Roma 1996; n. tranfaglia,
Mafia, politica e affari 1943-2008, cit., pp. 5-26 e 260-275.
58
giacomo di gennaro
Blok, gli Schneider)48 e i fautori, come per certi versi confermerà
proprio il «teorema Buscetta», dell’idea che la mafia coincide
con un’unica organizzazione verticisticamente strutturata e
con un comando piramidale (“cupola” o “commissione”) che
tende a incorporare tutti i mandamenti e le cosche territoriali.
Di quest’ultima tesi vi sono riscontri nelle convergenti testimonianze dei “pentiti”49, così come i successi registrati dalle
forze dell’ordine nel corso dei due ultimi decenni spingeranno
a parlare di un vero e proprio smantellamento di buona parte di
Cosa nostra. Tuttavia, proprio l’arresto di Bernardo Provenzano
nel 2006 incrinerà la visione univoca della mafia, rinvigorendo la
tesi della molteplicità organizzativa. Anzi, proprio la maggiore
disponibilità del Provenzano alla mediazione più che all’incisività dell’azione, propria dei Riina e Bagarella, confermerebbe
l’ipotesi della riorganizzazione differente da parte dei gruppi
mafiosi sia come risposta all’effettività dell’azione di contrasto
che come entità aggregata e forma sociale propria di un contesto sociale nel quale la mafia modella forme di scambio con
soggetti, istituzioni nel campo della politica, dell’economia,
della società50.
Come si arguisce un lungo percorso di riflessione che parte
dall’Inchiesta del Franchetti sulle condizioni politiche e amministrative della Sicilia, condotta nel 1875 e da qui attraversando
l’antropologia, la storia, l’economia, la sociologia, la psicologia
e la criminologia giunge alla contemporaneità per dare conto
del tipo di criminalità organizzata siciliana. Un lungo percorso
che tuttavia, bisogna dirlo, non ha prodotto una teoria generale
48. Per questi la mafia è un reticolo di alleanze fluide e mutevoli, «task-oriented»,
specifiche, che celano relazioni con pezzi dello Stato, con membri corrotti della classe
dirigente, relazioni finalizzate all’accumulo di potere e ricchezza, ma non hanno una
forma organizzata stabile, né una struttura organizzativa centrale.
49. l. paoli, The Pentiti’s Contribution to the Conceptualization of the Mafia Phenomenon, in v. ruggiero et al. (a cura di), The New European Criminology, Routledge,
London 1998, pp. 264-285; gruppo abele, Dalla mafia allo stato. Pentiti: analisi e storie,
ega, Torino 2005.
50. r. catanzaro, m. santoro, Pizzo e pizzini. Organizzazione e cultura nell’analisi della
mafia, in r. catanzaro, g. sciortino (a cura di), La fatica di cambiare. Rapporto sulla
società italiana, il Mulino, Bologna 2009, pp. 173-174.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
59
della mafia, tant’è che ancora oggi non c’è condivisione assoluta su che cosa sia la mafia, quali forti meccanismi nel tempo
l’hanno riprodotta, quali strategie più efficaci ne possono garantire l’espianto.
1.3 L’attività estorsiva nelle acquisizioni teoriche ed
empiriche degli economisti
Abbiamo sottolineato come l’estorsione sia considerata la matrice originaria di un sodalizio criminale mafioso o camorristico,
mentre l’usura ne rappresenti, invece, l’esito espansivo della
seconda fase di accumulazione illegale tant’è che, dall’analisi
georeferenziata e ricostruita su materiali giudiziari, emerge
che sono molti i clan di camorra che associano al racket l’usura
sebbene non tutti gli usurai appartengano o siano affiliati a
clan di camorra.
Mentre la fase di costituzione originaria territoriale dei
gruppi criminali mafiosi nel Mezzogiorno è passata attraverso l’attività estorsiva, quella espansiva che si è realizzata dagli
anni Settanta del secolo scorso al Nord è stata caratterizzata
da un modo più “silenzioso”: mediante l’ingresso e il controllo
monopolistico di attività economiche e segmenti di mercato.
Non è un caso, infatti, che tutti gli studi più recenti sulle diverse mafie mettono in risalto la capacità di conquista di nuovi
territori, la vulnerabilità di qualunque zona e la loro presenza
in diverse attività economiche legali ancorché nel controllo di
quelle illegali, realizzando quel processo di diversificazione di
aree territoriali, investimenti e attività51.
51. Su questo si può vedere, transcrime, Gli investimenti delle mafie. Analisi degli
investimenti delle organizzazioni criminali nell’economia legale, Progetto Pon Sicurezza
2007-2013, Programma Operativo Nazionale Sicurezza per lo Sviluppo - Obiettivo Convergenza 2007-2013, Ministero dell’Interno, Roma 2013; vedi anche n. dalla chiesa, m.
panzarasa, Buccinasco. La ’ndrangheta al Nord, Einaudi, Torino 2012. Sul processo di
diversificazione, vedi p. camapana, Understanding Then Responding to Italian Organized
Crime Operations across Territories, in «Policing», doi: 10.1093/police/pat012. Il recente
studio di f. varese, Mafie in movimento, cit., per molti aspetti conferma la relativa in-
60
giacomo di gennaro
Proprio l’analisi dei meccanismi più profondi che alterano il
mercato economico e quello degli effetti distorsivi che l’agire
criminale mafioso produce in economia sono al centro della riflessione di molti economisti. Numerosi studi e ricerche empiriche,
più internazionali che nostrane per verità, vengono indirizzati
nuovamente all’esame dei rapporti tra economia e criminalità52.
Infatti, i riferimenti alla formazione dei mercati illegali risalgono
agli studi di Schelling elaborati alla fine degli anni Sessanta del
dopoguerra. L’autore constatando l’esilità di studi economici
sul proibizionismo degli alcolici, il racket e il gambling rilevava
come l’attenzione e l’elaborazione di stime più precise sui costi
e le perdite dovute alle imprese criminali avrebbe consentito di
adeguare le leggi americane e generare programmi di contrasto
più adeguati per minimizzarne gli effetti53. I terreni sui quali si
sviluppava il crimine organizzato, per il nostro, erano il mercato
nero e il racket. Il primo si forma grazie alla produzione e scambio illegale che deriva dalla proibizione di alcuni beni e servizi; il
secondo si forma perché l’uso della violenza costituisce una risorsa che genera un tipo di business (l’estorsione) e al contempo
permette di generare il monopolio criminale (considerata altra
modalità di business). Soffermiamoci per qualche secondo su
questo autore perché la sua analisi dell’estorsione è interessante
per il nostro lavoro in quanto ci suggerisce alcune riflessioni.
Schelling ritiene che esercitare il monopolio criminale attraverso mezzi illegali sia funzionale all’abbattimento della concorrenza e considera l’estorsione un tributo dato dalle vittime ai
criminali in quanto ad esse è consentito di operare e al contempo si garantisce l’assenza di concorrenza54. Lungo quest’asse
fondatezza delle tesi culturaliste del “civismo” e del “capitale sociale” come antidoto
al trapianto mafioso.
52. Un primo esame è in s. zamagni (a cura di), Mercati illegali e mafie, cit., pp. 15-115;
a. becchi, g. rey, L’economia criminale, Laterza, Roma-Bari 1994.
53. t.c. schelling, Economics and Criminal Enterprise, Apendix D, Task Force Report:
Organized Crime, Washington D.C., The President’s Commission on Law Enforcement
and Administration of Justice, 1967, ripubblicato in Choice and Consequence. Perspectives of an errant economist, Harvard University Press, Cambridge-London 1984.
54. L’Autore sostiene che ci siano tre tipi di monopoli: quello acquisito attraverso
mezzi legali, quello attraverso mezzi illegali in quanto contrari alle regole sull’antitrust
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
61
interpretativo l’autore identifica criminalità organizzata con
estorsione e con agire monopolistico, tant’è che la distingue
dalla criminalità comune (il cui carattere è predatorio). D’altra
parte, i mercati che si generano in base al proibizionismo presuppongono che i produttori dei beni (o servizi) vietati non
potendo ricorrere alle autorità legali necessitano di protezione
contro ogni forma di abuso (legale o illegale) e della limitazione
della concorrenza. I mercati neri, quindi, forniscono l’infrastruttura per gli affari dell’underworld55, ovvero per quanti già operano in una condizione illegale ed essi sono le prime vittime. Tuttavia, è solo mediante lo svolgimento dell’azione monopolistica
basata sull’intimidazione che si esclude la concorrenza e ciò
permette al crimine organizzato di acquisire settori di attività
lecite. Per Schelling, quindi, al di là della struttura organizzativa,
della divisone del lavoro, della gerarchia e delle specializzazioni presenti in una organizzazione criminale, l’aspetto che più
contraddistingue quest’ultima è l’orientamento e l’azione alla
distruzione della concorrenza: praticare l’estorsione in modo
sistematico e su larga scala significa diventare un’autorità fiscale e specializzarsi nella soppressione dei rivali56.
Schelling è, di fatto, consapevole, sulla scia di Donald Cres57
sey , che l’attività economica del crimine organizzato offra
opportunità di profitto a rispettabili membri della società (e
non si riferisce solo alla polizia) e che, in ogni caso, specializzarsi
nell’offerta di protezione consenta di accumulare risorse (che
possono poi essere investite in altre attività economiche), ma
non coglie due aspetti importanti: a) una cosa è proteggere una
merce (o un servizio) altra cosa è il business della protezione;
e il terzo mediante mezzi violenti e criminali; t.c. schelling, Choice and Consequence,
cit., specie cap. 8, What is the Business of Organized Crime, pp. 179 e ss.
55. Ivi, p. 177.
56. Ivi, pp. 185, 186 e 193. I mercati neri, per Schelling, comportano per i produttori
dei costi ma generano anche effetti collaterali perché offrono occasioni di corruzione
della polizia; spingono i consumatori di beni proibiti a rivolgersi ad essi; per alcuni beni
(es. droghe) le condizioni delle persone ne escono aggravate; configurano opportunità
di guadagni per altri soggetti.
57. d. cressey, Theft of the Nation. The Structure and Operation of Organized Crime in
America, Harper & Row, New York 1969.
62
giacomo di gennaro
b) una cosa è l’azione estorsiva praticata in una condizione di
sovranità territoriale (che richiede comunque tempo per essere costruita e riconosciuta), altra cosa è quando in un dato
territorio l’offerta protettiva è millantata o mascherata o resa
flebile dall’uso concorrenziale della mano violenta da parte di
altri gruppi criminali. Aspetto, quest’ultimo, di non poco conto
perché rivela, come si vedrà in seguito, che vi è una correlazione
forte tra tipo di organizzazione criminale, pratica estorsiva e
condizione ambientale.
Generalmente l’estorsione è definita nelle scienze sociali
un’attività estrattiva di risorse realizzata grazie all’intimidazione
per servizi che in realtà sono millantati58. A differenza di altre
attività illegali «la sua organizzazione consiste in una rete di
relazioni più che in un bagaglio di conoscenze e di tecniche di
produzione o commercializzazione, e spesso non necessita di
disponibilità finanziarie iniziali»59.
Questa definizione in realtà non è accettata da molti studiosi vuoi perché è considerato un servizio reso a fronte di un
pagamento eccessivo; vuoi perché è in realtà considerata una
semplice imposizione; vuoi, infine, perché non sempre la prestazione risulta efficace60. Sebbene, secondo, Varese queste
tre fenomenologie siano tutte presenti nel comportamento dei
mafiosi, la distinzione tra protezione reale e fittizia sarebbe infondata61. Questo aspetto, in realtà, è controverso. La modalità
di commissione del reato non è solo varia nella sua fenomenologia62, ma assume effetti distinti come già la ricerca del 2010 a
Napoli e Caserta di cui si è detto ha mostrato. L’esistenza di una
gamma molto vasta di tipologie estorsive, direttamente collegate a una strutturata organizzazione mafiosa, entro un conti58.Vedi f. varese, What is Organized Crime?, in Id. (eds.), Organized Crime: Critical
Concenpts in Criminology, cit., pp. 1-33.
59. p. monzini, L’estorsione nei mercati leciti e illeciti, Liuc Papers, in «Storia, impresa
e società», 1, settembre 1993, p. 1.
60. Cfr. w. block, g.m. anderson, Blackmail, Extortion and Exchange, in «New York
Law School Law Rewiew», vol. 44, 2001, pp. 541-561.
61. f. varese, Mafie in movimento, cit., p. 19, nota 11.
62. Su una primaria classificazione dell’attività estorsiva, vedi p. monzini, L’estorsione
nei mercati leciti e illeciti, cit., pp. 1-28.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
63
nuum che tra due poli differenzia l’estorsione seriale da quella
saltuaria, impedisce di condividere una tale definizione. Ci sono
condizioni nelle quali molte vittime prima di iniziare un’attività
commerciale o l’esecuzione di un lavoro richiedono di “mettersi
a posto” con l’organizzazione criminale. «A questo meccanismo
sfuggono, di solito, le imprese della grande distribuzione, che,
quando non hanno radici locali, presentano una più rilevante
capacità di impermeabilizzazione alle richieste estorsive, poiché è più difficile e più rischioso per l’organizzazione mafiosa
entrare in contatto con i dirigenti di tali imprese, senza correre
il rischio di denunce e di conseguenti arresti e condanne»63. In
altre condizioni, invece, per esempio le imprese che agiscono
nel settore degli appalti pubblici, il fenomeno assume connotazioni del tutto diverse con l’applicazione di principi di proporzionalità e progressività, cosicché in molti casi per le imprese
diviene addirittura conveniente accordarsi con l’organizzazione
mafiosa. La convenienza è data dal fatto che l’organizzazione
mafiosa «si fa garante di un illecito sistema di turnazione nell’aggiudicazione delle gare tra imprenditori, in cambio di una serie
di benefici, sia in denaro (generalmente il 3% sull’importo dei
lavori) sia di altra natura, quali le forniture o le assunzioni»64. La
connivenza impone non solo di «non denunciare, ma anche, in
un secondo momento, a estorsione scoperta attraverso le altre
prove acquisite, di negare l’esistenza del delitto. Molti dati processuali hanno rivelato che la vittima talvolta versa il pizzo non
soltanto per paura, ma perché c’è assuefazione a pagare»65 e a
certi livelli e in determinate attività economiche la convenienza
è maggiore. Condizioni di monopolio territoriale, poi, possono
spingere un clan di camorra a non imporre un pizzo eccessivo
poiché potrebbe risultare controproducente, non solo perché
si può alzare la probabilità che le vittime si ribellino, ma perché
per queste, defezionare dall’attività economica, può risultare
63. m. de lucia, Le tecniche di indagine nei procedimenti in materia di estorsione e usura,
in t. grasso (a cura di), Mai più soli. Le vittime di estorsione e d’usura nel procedimento
penale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, p. 65.
64. Ibidem.
65. Ivi, p. 68.
64
giacomo di gennaro
più vantaggioso che permanervi. È evidente in questo caso l’effetto disastroso per tutti i giocatori.
Una condizione con effetto diverso a quanto prima indicato è quella che si può determinare allorquando la vittima è
soggiogata dalla “doppia estorsione”. A Ercolano, un comune
della provincia di Napoli famoso per la presenza di scavi archeologici e uno storico radicamento di clan di camorra risalente a
trent’anni di attività all’ombra del Vesuvio, nei più recenti anni
tra il 2001 e il 2012, si è consumata tra faide, alleanze, agguati e
nuovi accordi, la storia criminale di due-tre clan di camorra agguerriti (Iacomino-Birra, Ascione-Papale)66 che si contendevano
le lucrose attività economiche illegali realizzate sul territorio
(spaccio di stupefacenti, racket delle estorsioni, usura, furti,
ecc.). La densità dei clan in un territorio troppo angusto e la
capillarità del racket eseguito con una strategia che supera la
soglia di equilibrio in quanto intenso e imposto alle vittime sia
da un gruppo che dall’altro, hanno prodotto la dissoluzione dei
clan e delle intere attività economiche illegali67.
Un caso più complesso di quello appena citato conferma
come la distinzione fondamentale tra chi produce beni e servizi
e chi si occupa di protezione è spesso ambigua. La vicenda risale
agli anni tra il 2007 e il 2008 e riguarda il “racket del caro estinto”, un settore economico con elevate barriere all’ingresso e
nel quale il titolare di un’agenzia di onoranze funebri con sede
principale in Calvizzano, comune a nord di Napoli, e filiali sparse
in diversi altri comuni dello stesso hinterland, ancorché ritenu66. Ogni “cartello” in effetti era il coacervo di altre famiglie aderenti: al clan AscionePapale vi aderivano anche le famiglie Montella, Suarino e Nocerino; al clan IacominoBirra le famiglie Durantini, Zeno, Sasso, Viola, Scognamiglio e Savino.
67. Per una ricostruzione della vicenda di Ercolano, vedi n. daniele, a. di florio, t.
grasso, La camorra e l’antiracket, Felici, Ghezzano 2012. Non vi è dubbio che l’esito
positivo finale dell’intera vicenda lo si deve alla contemporanea efficace azione investigativa, al ruolo attivo del sindaco, dell’associazionismo antiracket e all’incisività
dell’azione giudiziaria. Tuttavia la vicenda è sintomatica anche delle richieste troppo
esose cui venivano sottoposte le vittime. Nei periodi delle festività natalizie e pasquali,
ad esempio, i clan non solo raccoglievano le somme concordate ma costringevano i
commercianti a consegnare merci tipiche di tali feste (colombe e uova pasquali, panettoni, bottiglie di vino, ecc.) che poi rivendevano ad altri commercianti imponendone
l’acquisto.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
65
to dagli inquirenti vicino al clan Nuvoletta-Polverino, avrebbe
acquisito, con il consenso del clan dominante sul territorio, una
sorta di monopolio di fatto dell’attività di servizio68. Le ipotesi
sollevate dagli inquirenti sulla base della denuncia del titolare di
una impresa concorrente e fondate su una investigazione lunga
e articolata, condotta mediante intercettazioni telefoniche e
ambientali, nonché facendo soprattutto leva sulle dichiarazioni di ben quattro collaboratori di giustizia, erano: estorsione,
corruzione e illecita concorrenza con minaccia o violenza aggravate dal metodo mafioso69. L’esito giudiziario il cui iter è
durato circa quattro anni ha prodotto l’assoluzione “perché il
fatto non sussiste”: non si tratta, per i giudici, di estorsioni di
camorra, tra l’altro aggravate dal metodo mafioso, ma semplici
«patti di non concorrenza tra gli impresari funebri», soprattutto
tra quelli di lungo corso70.
Un caso in cui si combina avidità della richiesta e protezione
millantata proviene dalla vicenda che si è consumata a Napoli
tra il 2011 e il 2012 e di cui è vittima un imprenditore dello Sri Lan68. Cfr. Tribunale di Napoli, Sezione del Gip n. 333694/07 r.g.n.r., n. 27913/08 r.g.g.i.p.,
Ordinanza applicativa di misura coercitiva e decreto di sequestro preventivo del
29/6/2009.
69. Si legge nell’ordinanza che le attività investigative confortavano l’assunto secondo il quale «le ditte di pompe funebri gestite da Cesarano Attilio godevano di una
sorta di esclusiva sui territori rientranti in diversi comuni del napoletano – storicamente
condizionati dalla presenza del “clan Polverino” – evidenziando, altresì, che, in altri
comuni (es. Giugliano, il Cesarano partecipava ad una sorta di “cooperativa” tra i diversi
operatori presenti sul territorio; che nel comune di Pozzuoli, lo stesso opererebbe
unitamente alla ditta “Barca”; che il Cesarano esercitava sistematicamente pressioni
di natura illecita sui titolari delle ditte concorrenti, cui veniva sostanzialmente imposto,
il divieto di lavorare nei comuni di competenza del prevenuto» (p. 9). Nel caso la ditta
risultava estranea al triangolo di comuni targato clan Polverino e insisteva per fare il
funerale, doveva allora pagare una tangente tra i 1.500 e i 2 mila euro. Atteso che «il
settore commerciale delle pompe funebri, costituisce uno dei settori imprenditoriali
di precipuo interesse delle organizzazioni mafiose operanti sul territorio – fonte di
facili introiti e potenzialmente idoneo a costituire un canale di riciclaggio dei capitali
di provenienza illecita – e che, per tale motivo, tra le diverse imprese di pompe funebri
esistano, di fatto, delle vere e proprie suddivisioni di carattere territoriale» (ivi), «è
agevole dedurre che il Cesarano Attilio proprio in quanto in rapporto (se non di cointeressenza quantomeno) preferenziale con il clan camorristico operante sul territorio,
ha potuto escogitare e mettere in pratica un sistema tendenzialmente monopolistico,
ed in continua espansione, per la gestione delle proprie attività imprenditoriali» (p. 10).
70. Cfr. Tribunale di Napoli, iii sez. penale, sentenza del 18.12.2013 n. 16877/13, p. 19.
66
giacomo di gennaro
ka trapiantato nella città71. L’episodio si consuma in una cornice
dove due autonomi gruppi criminali operano in due quartieri
della città ognuno rivendicandone il controllo ed esercitando il
predominio. La richiesta estorsiva è praticata nelle zone con il
carattere della periodicità72, ma nei confronti dell’imprenditore
cingalese, che gestisce negozi situati nei due diversi quartieri,
assume ben presto una fisionomia esosa sia perché doppiamente taglieggiato sia perché esposto alle angherie dei connazionali. D’altra parte gli stessi contrasti interni alla comunità cingalese
vengono utilizzati dai clan di camorra della zona per regolare i
conflitti, coltivare una reputazione di autorevolezza e legittimare il dominio territoriale. La pratica estorsiva che questa vicenda
rimanda conferma che, a differenza di molti casi siciliani o di
’ndranghetisti che evitano richieste eccessive o le stesse sono
regolate dagli interventi di capi famiglia73, la densità e frammentazione dei gruppi criminali campani e l’assenza di una struttura
piramidale, specie nella città di Napoli, impedisce l’autoregolazione, ovvero alimenta una voracità estrattiva illegale in quanto
non sottoposta a disciplina da parte di organi di raccordo o di
regole comuni. Millantare pertanto una protezione è più facile
e al contempo l’unico modo per renderla credibile è il ricorso
immediato e continuo alle minacce o alle diverse forme di intimidazione. Questo non vuol dire che non via siano gruppi, clan
o più radicate e storiche famiglie camorriste che non pratichino
71. Cfr. Tribunale di Napoli, n. r.g.n. r. 6968/12; r.g. g.i.p. 30781/12, sentenza n. 2912/12
del 14.12.2012; Corte di Appello, sez. vii, r.g. App. 1134/13. La vicenda riguarda richieste
di pizzo a commercianti nei quartieri Sanità e Avvocata sotto il controllo di referenti
del clan Lo Russo e del clan Lepre. Le indagini hanno accertato che il giovane cingalese,
che si suiciderà alla vigilia del rito abbreviato, era sottoposto a una doppia estorsione
perché le attività commerciali di cui era titolare ricadevano nei diversi territori ciascuno
dei quali sottoposto al controllo autonomo dell’uno e dall’altro clan. Sebbene, pertanto,
veniva esibita la protezione da ciascuno contro i connazionali e i “concorrenti” di fatto
il più ampio e reale accordo fra i clan contemplava la doppia estorsione.
72. La periodicità coincide con le festività natalizie, pasquali e di ferragosto.
73. Varese racconta che il «capo della famiglia di San Luca, la quale è considerata la
depositaria delle norme e dei valori collettivi di tutta la ’ndrangheta, fu allarmato dalle
richieste eccessive che il capo della famiglia di Locri stava imponendo nel suo territorio»,
al punto che dovette intervenire per riportare a un livello più “accettabile” la raccolta
del pizzo; cfr. f. varese, Protezione ed estorsione, Annuario Kainos, 2, Malavita, Mimesis,
Milano 2013, p. 49.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
67
l’estorsione a fronte di una reale protezione. Più il clan assume
il carattere di organizzazione piramidale ed estesa, maggiore
è il livello di esternalizzazione delle attività minori e di quelle
che comportano rischi più elevati e utilità relative. Il processo
di differenziazione dei profili aggregati criminali nel contesto
regionale campano, sul quale ci soffermeremo in seguito, pur
conservando un core coincidente con la struttura familiare e la
rete parentale, risponde non tanto alla specificità della frantumazione territoriale (che ne è un effetto) quanto alla capacità
distinta dei diversi gruppi di svolgere in forma autonoma e con
una significativa dose di controllo e sovranità territoriale più
attività economiche all’interno della filiera criminale e manifestando abilità nel costruire reti relazionali con esponenti del
circuito politico-amministrativo, imprenditoriale, professionale
e sociale. I gruppi criminali che agiscono al livello primario – la
cui nati-mortalità è alta – restando ancorati alla gestione delle attività predatorie (es. furti, rapine, estorsioni, ecc.) sono
destinati o si rassegnano a svolgere funzioni subordinate che,
tuttavia, se sono ancorate a fonti redditizie specie se connesse
al controllo di piazze di spaccio sono motivo di conflitto perché
si orientano ad acquisire una legittimità criminale superiore74.
Per ora vale solo la pena indicare che l’alta densità cittadina dei
clan rende conto dell’alta conflittualità e dei precari equilibri
esistenti nelle relazioni tra i clan75. Viceversa, nella cintura dei
comuni metropolitani la gestione delle attività fa più spesso
capo a un unico clan o convivono, in un numero molto ristretto,
organizzazioni criminali che attraverso accordi (sebbene sem74. Su questo aspetto rimando a g. di gennaro, Mercati illegali e struttura di classe,
in g. di gennaro e d. pizzuti (a cura di), op. cit., pp. 81-98.
75. È il caso di ricordare che nella sola città di Napoli si contano circa 38 clan più qualche gruppo minore e nella provincia si superano le 40 unità e oltre 10 piccoli aggregati.
L’intera regione raccoglie non meno di 130 sodalizi criminali. Si è parlato di mero gangsterismo per distinguerlo da quei gruppi che hanno una forma di criminalità organizzata
più strutturata distinta, tuttavia, dall’organizzazione con un profilo tipicamente più
mafioso. Negli anni più recenti la formazione di “cartelli” criminali (alleanze create tra
clan diversi su obiettivi più strategici) segnala in misura più specifica la performance
della criminalità napoletana, il che mostra come il modello del gangsterismo è piuttosto
marginale.
68
giacomo di gennaro
pre precari e minati da scissioni interne ai gruppi) si dividono il
territorio. Discorso diverso, invece, riguarda il territorio casertano nel quale il modello organizzativo e la gestione delle attività
economiche illegali fa capo a una esclusiva organizzazione (i
casalesi) che – sebbene oggi più disarticolata – presenta una
fisionomia aggregativa più vicina a una struttura federata di
gruppi ancorati a una leadership storica, oltretutto più pervasiva e presente nel mercato dei servizi amministrativi76. Infine,
le tre altre aree provinciali della regione campana. I modelli
organizzativi dei clan presenti in esse hanno similarità con quelli
dell’hinterland napoletano e casertano, nonché specificità connesse alla fisionomia ambientale. Le prime derivano dal fatto
che spesso sono aree interessate (come nel salernitano) dalla
presenza di articolazioni criminali collegate a sodalizi più strutturati provenienti dal casertano o dall’avellinese; le seconde
correlate a presenze di clan più storici il cui radicamento è minato dall’effervescenza di alternati tentativi di gruppi capeggiati
da giovani pregiudicati che tendono a insediarsi utilizzando le
disarticolazioni giudiziarie dei clan più strutturati.
Un ulteriore caso nel quale, infine, l’inefficace azione
dell’amministrazione comunale nel regolare la commercializzazione e gli spazi di un mercato ittico si combina con la capacità
di un clan locale di produrre tali e tante vessazioni da generare
una domanda di protezione. La vicenda riguarda la gestione del
mercato ittico di Pozzuoli, un comune a ovest di Napoli. Nell’area domina tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo
secolo il clan camorristico dei Longobardi contrapposto al clan
Beneduce per il controllo dell’area77. Il mercato ittico di Pozzuoli
finisce sotto il controllo del gruppo dei Longobardi che impongono ai rivenditori operanti nell’area in forme diverse dazi sul
pescato, pizzo sull’attività economica, fino a estendere l’attività
estorsiva su imprese operanti nell’edilizia e su differenti altre
76. Sulla distribuzione territoriale dei clan si veda, per gentile disponibilità della Dia,
le cartine aggiornate allegate al quarto capitolo.
77. Cfr. dia, direzione investigativa antimafia, Relazione del ministro al parlamento
sull’attività svolta e sui risultati conseguiti, i semestre 2007, p. 131.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
69
attività commerciali e imprenditoriali e associando ad essa ulteriori attività illegali78. Questa vicenda mette in luce due aspetti
derivanti dall’attività estorsiva: essa nasce imponendosi attraverso un’attività intimidatoria e di assoggettamento che non
ha alcun carattere di protezione in nessuna delle sue fasi. Inizia
con l’imposizione del pizzo senza alcuna intenzione di offrire
alcunché in cambio e si estende e rinvigorisce, grazie ad una
reputazione costruita nel tempo, su un ambito commerciale
strategico per l’economia dell’area sia estromettendo qualsiasi
competitore sia sostituendosi alla governance dell’amministrazione locale il cui esito è di alimentare esternalità negative. Ovvero, coloro che non erano diventati bersaglio delle vessazioni
del clan finiscono per chiedere aiuto a componenti del gruppo
criminale sottomettendosi così a un protettore vicino o direttamente connesso al clan (contro le vessazioni tra l’altro della
polizia locale). L’equilibrio che ne è derivato è Pareto Inferiore
esattamente come quello che si produce nella Chicago degli
anni Venti nella vicenda narrata da John Landesco di Mr. Becker
che consociò Al Capone nella sua azienda: ognuno è spinto a
cercarsi un protettore con il risultato che tutti pagano79. Con
l’unica differenza che in questo caso l’esternalità negativa è
prodotta dalla defezione dell’amministrazione locale incapace
di regolare la gestione degli spazi di vendita dei commercianti
del pesce e controllare l’esercizio dell’attività economica.
Molti economisti concordano nel sottolineare che accanto
alla qualità delle istituzioni, al grado di corruzione e all’efficacia delle misure di governance, è il grado di presenza dell’atti78. Cfr. Tribunale di Napoli, sez. g.i.p. Ufficio 30, o.c.c. r.g.n.r. n. 118229/00, r.g. gip. n.
80547/01. L’attività estorsiva praticata dal clan è di tipo multipla: va dall’imposizione del
pizzo, al prelievo settimanale di merce, all’ingiunzione di forniture, all’uso gratuito dì
beni e servizi di altrui proprietà. Il controllo territoriale si estende e consolida in modo
così elevato da interferire nell’attività politica dell’amministrazione locale la quale si
mostra incapace di regolare l’esercizio commerciale ittico facilitando così la funzione
regolatrice del clan senza inibire la condizione di assoggettamento e omertà che deriva
da tale funzione.
79. La vicenda che vede protagonista l’imprenditore indipendente Morris Becker è
narrata da j. landesco, Organized Crime in Chicago, University of Chicago Press, Chicago
1929 (19682), p. 158. È stata ripresa da f. varese, Protezione ed estorsione, cit., p. 50.
70
giacomo di gennaro
vità criminale a condizionare le decisioni degli imprenditori a
defezionare da o investire in determinate aree80. L’intensità
e l’estensione dell’attività criminale non solo scoraggia gli investimenti ma rende più fragile l’attività dell’impresa, riduce i
rendimenti dell’investimento, spinge alla delocalizzazione, ha
effetti di alterazione del credito alle imprese, genera una falsa
pacificazione sindacale, foraggia il senso di insicurezza, indebolisce ancora di più il capitale sociale territoriale, degrada il
tessuto civile e il senso della legalità, colonizza le performance
imprenditoriali perché genera shift operativi fra mercati legali
e illegali, crea saldature inquinanti con apparati della pubblica
amministrazione nella fornitura di beni e servizi alterando l’allocazione della spesa pubblica81. Su questi effetti economisti e
sociologi in particolare dibattono talvolta in modo anche non
convenzionale per risaltare le conseguenze negative che la
80. Cfr. p. mauro, Corruption, Country Risk, and Growth, in «Quarterly Journal of Economics», vol. 110, 1995, pp. 681-712; d. kaufman, a.e. kraay, p. zoido-lobaton, Governance Matters, World Bank Policy Research, Working Paper, n. 2196, 1999; d. kaufman,
a. kraay, m. mastruzzi, Governance Matters vi: Governance indicators for 1996-2006,
«World Bank Policy Research», Working Paper, n. 4280, 2007; inoltre, d. rodrik, a. subramanian, f. trebbi, Institutions Rule: the Primacy of Institutions over Geography and
Integration in Economic Development, in «Journal of Economic Growth», 9, 2, 2004, pp.
131-165; t. besley, Property Rights and Investment Incentives: Theory and Evidence from
Ghana, in «Journal of Political Economy», vol. 103, 5, 1995, pp. 903-937; t. besley, s.
coate, Group Lending, Repayment Incentives and Social Collateral, in «Journal of Development Economics», vol. 46, 1, 1995, pp. 1-18; s. johnson, j. mcmillan, c. woodruff,
Property Rights and Finance, in «American Economic Review», vol. 92, 5, 2002, pp.
1335-1356.
81. Sulla correlazione tra presenza dei gruppi criminali e alterazione del credito alle
imprese, vedi e. bonaccorsi di patti, Legalità e credito: l’impatto della criminalità sui
prestiti alle imprese, in «Mezzogiorno e politiche regionali», Workshops and conference,
Banca d’Italia, 2, 2009, pp. 165-189. Per l’A. la differenza nel tasso di interesse tra le
province il cui tasso di criminalità si colloca al 25° percentile e quelle al 75° percentile
raggiunge i 24 punti base. Si veda anche g. di gennaro, r. marselli, Accesso al credito
e tasso di vittimizzazione in una comunità imprenditoriale, paper presentato all’International Interdisciplinary Conference, Issues of Legitimacy: Entrepreneurial Culture,
Corporate Responsability and Urban Development, Napoli, 10-14 settembre, 2012,
Università di Napoli Federico ii; ora in g. di gennaro, r. marselli, Access to Credit and
the Rate of Victimitation in an Entrepreneurial Community, «Sociology Study», vol. 3,
10, 2013, pp. 781-793. Sulla distrazione dei fondi pubblici erogati alle imprese da parte
della criminalità organizzata, vedi g. barone, g. narciso, The Effect of Organized Crime
on Public Funds, in «Temi di discussione», 916, 2013, Banca d’Italia, pp. 5-34.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
71
presenza delle organizzazioni criminali assume sullo sviluppo
produttivo e la crescita economica di un’area. La letteratura
internazionale ci offre diverse evidenze empiriche circoscritte, quella nostrana è invece ancora limitata e i dati disponibili
non identificano ancora in maniera diretta connessioni causali
specifiche82.
Tuttavia un problema si pone. Quando parliamo degli effetti suindicati derivanti dalla presenza del crimine organizzato
nei territori di quale criminalità parliamo, di quella tradizionale
(predatoria) o di quella imprenditoriale? Oppure è ipotizzabile
l’esistenza di un equilibrio dinamicamente stabile derivante
dalla coesistenza fra i due modelli di criminalità organizzata?
Proviamo a capirci. Partiamo da un contributo del 2000 di
un economista, Maurizio Pugno, il quale sostiene che la divaricazione nello sviluppo tra le economie regionali meridionali
e quelle del Nord, va spiegata in base a una causa poco considerata: al Sud più che al Nord le persone vanno alla ricerca di
attività rent-seeking, ovvero di posizioni artificiali di rendita83.
Queste sono distinte in due fattispecie: una di tipo legale coincidente con l’occupazione in esubero nel settore pubblico, l’altra
di tipo illegale rappresentata dall’attività predatoria (es. rapi82. Su questo punto critico e la produzione di un primo tentativo di stima dei costi
economici aggregati della mafia mediante l’analisi delle performance di sviluppo di
due regioni meridionali attraverso la costruzione di due campioni di regioni, vedi p.
pinotti, The Economic Costs of Organized Crime: Evidence from Southern Italy, in «Temi
di Discussione», Banca d’Italia, 868, 2012, pp. 5-37. Una misurazione del costo della
criminalità in Italia derivato da un sottoinsieme di reati che coprono circa il 64% dei
reati registrati nel Paese nel 2006 il cui valore ammonterebbe a 38 miliardi di Euro, pari
al 2,6% del Pil, è in c. detotto e m. vannini, Counting the cost of crime in Italy, «Global
Crime», vol. 11, 4, 2010, pp. 421-435. La stessa Svimez ha iniziato a prestare attenzione
ai temi della criminalità solo a partire dalla seconda metà degli anni Novanta e solo
con il Rapporto 2000 sull’economia del Mezzogiorno registriamo una più articolata e
schematica riflessione sulle connessioni tra economia e presenza del crimine organizzato. È dagli anni successivi che nei Rapporti vengono monitorati in modo più puntuale
anche se aggregato gli effetti della criminalità sull’economia meridionale, ma senza
dare alle evidenze empiriche quello spazio e approfondimento che consentirebbero
di rispondere a molti degli interrogativi sui meccanismi riproduttivi e alle connessioni
causali. Vedi dal 2001 per i tipi del Mulino le pubblicazioni dei Rapporti.
83. In economia le attività rent seeking sono attività che generano un guadagno mediante l’acquisizione di una rendita economica manipolando o sfruttando altre attività
produttive economiche.
72
giacomo di gennaro
ne, estorsioni, ecc.) dei gruppi criminali organizzati. Secondo
questa tesi la convenienza economica oggettiva che spinge le
persone in direzione di attività rent-seeking, sia in modo lecito
che illecito, deriva da quello che North ha chiamato l’assetto
istituzionale84. Ovvero: le “regole del gioco” della convivenza
sociale sono date da ciò che è l’assetto sociale e istituzionale
che si costruisce in un determinato contesto. Esso consente,
oppure non riesce a contrastare sufficientemente, da un lato
l’estensione di un settore come il personale in esubero nel pubblico impiego, dall’altro lo sviluppo della criminalità organizzata su un territorio85. Come si vede il modello interpretativo si
regge su due presupposti: intanto si genera una convenienza
economica a orientarsi verso attività rent-seeking perché nelle
regioni meridionali l’inefficienza dell’amministrazione pubblica
è conseguenza di un debole esercizio del controllo della legalità
da parte dello Stato. E intanto si sviluppa la ricerca di attività di
rent-seeking nell’ambito della sfera illegale perché l’attività criminale è di tipo predatoria ed è fondamentalmente considerata
come attività redistributiva, idonea ad assicurare un salario a
un numero crescente di rent-seekers. Questa interpretazione
ha il limite di argomentare la criminalità organizzata ancora
come stilizzata su un modello di diffusa marginalità sociale e
di arretratezza, così come si evince dalle stesse riflessioni della
Becchi che ancora nel 1993 riteneva i gruppi criminali italiani
poco inclini a investire i proventi illeciti in attività produttive86.
Più tardi, nel 2009, Raul Caruso, sulla base dell’input che
derivava dal Rapporto del Ministero dell’Interno del 2007 sull’infiltrazione della mafia, della camorra e della ’ndrangheta nella
vita economica, costruendo un’analisi panel per le 20 regioni
italiane nel periodo 1997-2003 sul rapporto tra vita economica e
84. Cfr. d.c. north, Istituzioni, cambiamento istituzionale, evoluzione dell’economia,
il Mulino, Bologna 1990.
85. m. pugno, Rent Seeking e questione meridionale, in «Politica Economica», a. xvi,
3, 2000, pp. 387-419.
86. a. becchi, La criminalità organizzata come impresa economica in Italia: paradigmi
incerti, in Camera dei Deputati, Commissione Parlamentare Antimafia (1993); aa.vv.,
Economia e criminalità. Come difendere l’economia dalla criminalità organizzata. Analisi
del fenomeno, regole di comportamento, Camera dei Deputati, Roma 1993.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
73
criminalità organizzata, rilevava, sulla scia delle teorie economiche del rent-seeking e dei conflitti che esiste: a) una significativa
associazione positiva tra investimenti nel settore immobiliare e
l’indice di criminalità organizzata; b) una significativa associazione positiva tra investimenti pubblici e l’indice di criminalità
organizzata; c) una significativa associazione negativa tra spese
per la protezione sociale e l’indice di criminalità organizzata; d)
una significativa associazione negativa tra investimenti privati
e l’indice di criminalità organizzata87.
Da un certo punto di vista, tutte le attività criminali, come
ha mostrato Tullock, sono rent seeking, in quanto deprimono il
tasso di crescita aggregato dell’economia, ancorché il livello e il
tasso di crescita del reddito88. Per i gruppi criminali in genere il
processo accumulativo illegale parte dall’attività estorsiva per
estendersi in ragione della capacità organizzativa del gruppo
ad altre attività e traffici, tant’è che l’accumulazione assume
una connotazione illegale ma anche legale (da qui il riciclaggio). L’estorsione ha per eccellenza questa caratteristica dal
momento che coniuga la finalità estrattiva (ci si appropria con
una pratica illegale di una quota della ricchezza prodotta da
altri) e quella monopolistica (attraverso l’offerta di protezione
si tende a conquistare il monopolio o quanto meno il controllo
delle successive attività economiche – per es. l’usura, le piazze
di spaccio – spazialmente ricadenti sull’area controllata). L’attività estorsiva – la cui pratica violenta è tanto più elevata quanto
minore è l’autorevolezza del gruppo criminale – si avvantaggia
nell’area regionale campana del basso tessuto innovativo delle
imprese e, a differenza della Sicilia, non sempre ad essa fa riscontro una contro prestazione (protezione)89. Anzi la presenza
87. Cfr. r. caruso, Spesa pubblica e criminalità organizzata in Italia: evidenza empirica
su dati panel nel periodo 1997-2003, in «Economia e Lavoro», 1, 2009, pp. 73-90.
88. g. tullock, Rent seeking, in The New Palgrave. A Dictionary of Economics, vol. 4,
1987, pp. 147-149; m. centorrino, g. signorino (a cura di), Macroeconomia della mafia,
Nis, Roma 1997.
89.Vedi g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità, cit., pp. 161-84. Dalla
ricerca indicata abbiamo registrato, tra l’altro, sei tipi distinti di estorsione praticati
lungo l’asse delle due polarità estreme (predatoria/protettiva): a) l’imposizione periodica; b) l’estorsione una tantum; c) la formula multipla (periodica più una tantum);
74
giacomo di gennaro
di un carattere predatorio non ristretto a qualche clan scoraggia fortemente l’investimento imprenditoriale confermando la
tesi già espressa da Murphy, Shleifer e Vishny secondo i quali
il minore tasso di crescita dell’economia in alcuni contesti ove
sono diffuse le attività rent seeking si spiega proprio in funzione del flusso delle innovazioni che risente dello spostamento
di soggetti dotati di abilità e talenti in direzione proprio di tali
attività, considerate più remunerative. Il circolo vizioso che si
attiva si caratterizza per maggiore diffusione delle attività rent
seeking, minore flusso di innovazioni, riduzione del tasso di crescita economica90.
D’altra parte proprio l’attenzione sugli effetti distorsivi in
economia delle attività illegali prodotte dal crimine organizzato e l’impatto che queste hanno sul tessuto socio-economico
delle realtà locali è cresciuta nel corso degli ultimi anni, anche se si potrebbe sottolineare il ritardo di questa avvertenza
rispetto allo sviluppo e al moltiplicarsi delle commistioni fra
attività illegali e attività legali. I sodalizi criminali mafiosi hanno
manifestato, infatti, non solo una elevata capacità nella moltiplicazione delle attività illegali, ma un’abilità nell’intercettare
d) l’imposizione di forniture, prodotti, servizi, maestranze; e) il prelievo sia di danaro
che di merce. Se ad essi si associa il c.d. “cavallo di ritorno” (sottrazione di un bene e
restituzione dietro pagamento di una quota) e l’uso gratuito di beni di proprietà delle
vittime, si evince una tipologia multiforme che, ovviamente, si moltiplica per effetto
delle diverse combinazioni. A queste ultime si deve aggiungere il servizio truccato, una
forma di estorsione che si basa sulla fornitura di beni e servizi a prezzi nient’affatto
vantaggiosi. Le diverse forme risentono del livello di adattabilità al territorio, della
densità dei gruppi criminali in esso ricadenti, del ciclo di vita del clan, del grado di
radicamento territoriale, della tipologia organizzativa del clan, dell’esclusività o meno
dell’attività.
90. È questo il caso, per esempio, della commercializzazione scoperta nel 2001 di
falsi trapani Bosch prodotti a Hong Kong e acquistati dal cartello dell’Alleanza di Secondigliano che servendosi di esperti in attività commerciali e riciclaggio, fiscalisti e
investitori finanziari e una rete di magliari (venditori ambulanti), nonché imponendone
la vendita a commercianti, aveva realizzato una struttura economico-finanziaria che
comprendeva la commercializzazione anche di altri brand contraffatti. Cfr., Tribunale di
Napoli. Ufficio del g.i.p., o.c.c. 5 luglio 2004, Proc. n. 100839/01. Sull’effetto deprimente
delle attività rent seeking per i mercati della concorrenza, vedi k. m. murphy, a. shleifer,
r.w. vishny, The Allocation of Talent. Implications for growth, in «Quarterly Journal of
Economics», 106, 2, 1991, pp. 503-530; id., Why is Rent-seeking so Costly to Growth?, in
«American Economic Review», 83, 2, 1993, pp. 409-414.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
75
risorse economiche pubbliche, distorcere il mercato dei servizi
richiesti dalle amministrazioni locali, riciclare quantità enormi di
danaro nell’economia legale, entrare anticipatamente rispetto
anche all’imprenditoria legittima in nuovi settori economici91,
generare nuove attività illegali ad alto valore aggiunto, capaci,
cioè, di produrre profitti impensabili, infiltrarsi nella gestione
delle imprese, innestarsi nel processo globale di finanziarizzazione dell’economia92. Tant’è che dallo stesso Palazzo Koch
nel 2011 si è elevato un grido sulla pericolosità del riciclaggio,
vera e propria sfida per il Paese in quanto attività criminale
dotata di un’autonoma «capacità di trasformare la liquidità di
provenienza illecita in potere d’acquisto effettivo, utilizzabile per
scopi di consumo, risparmio o investimento»93.
Come le conseguenze della crisi economica hanno impatti
differenti sulle aree territoriali e sui mercati del lavoro locali,
così è differente nei suoi effetti territoriali il peso e il radicamento delle attività economiche illegali gestite dai gruppi criminali94. Già nel 2010 nelle sue “considerazioni finali”, l’allora
Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, sottolineava la
stretta connessione tra la densità della criminalità organizza91. Come nel caso dell’energia eolica o del fotovoltaico; cfr. cnel, I rischi di infiltrazione
della criminalità organizzata nel settore dell’energia eolica, documenti, 19 luglio 2012,
Roma.
92. m. draghi, La mafia a Milano e nel nord: aspetti sociali ed economici, Intervento
del governatore della Banca d’Italia all’Università degli Studi di Milano, 2011, pp. 4 e ss.
Sulla trasformazione della mafia tradizionale e sul carattere nuovo di mafia finanziaria
descritto già dagli anni Ottanta, vedi u. santino, The Financial mafia. The Illegal Accumulation of Wealth and the Financial-Industrial Complex, in «Contemporary Crises», 12,
3, 1988, pp. 203-243. Utile il rapporto del cnel, osservatorio socioeconomico sulla
criminalità, L’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia di alcune regioni
del nord Italia, Roma 2010. Una ricostruzione dettagliata delle forme e delle figure del
riciclaggio è in p. grasso, e. bellavia, Soldi sporchi, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2011.
Infine, sulla capacità della mafia siciliana di tessere su scala mondiale traffici e relazioni
criminali generando basi strategiche in ogni angolo del mondo, vedi c. sterling, Cosa
non solo nostra. La rete mondiale della mafia siciliana, Mondadori, Milano 1990.
93.Vedi a.m. tarantola, Prevenzione e contrasto del riciclaggio: l’azione della Banca
d’Italia, Intervento alla Fondazione Centro Nazionale di prevenzione e difesa sociale
(cnpds), Milano 2011, p. 3.
94. Cfr. d. vittorio, Organized crime and regional development. A review of the Italian
case, MPRA Paper n. 16547, posted 3 August, utc Univerity of Magna Grecia Catanzaro
2009, http://www.mpra.ub.uni-muenchen.de/16547.
76
giacomo di gennaro
ta e il livello di sviluppo, sostenendo che «nelle tre regioni del
Mezzogiorno in cui si concentra il 75% del crimine organizzato,
il valore aggiunto pro capite del settore privato è pari al 45% di
quello del centro nord»95. E appena qualche settimana dopo il
vice direttore generale dello stesso Istituto alla presentazione del rapporto sull’economia della Campania sottolineava la
difficoltà di fare impresa a causa della «diffusa presenza della
criminalità organizzata che altera le condizioni di concorrenza,
accresce i costi per le imprese e i cittadini, ostacola l’accumulazione di capitale [...] è in grado di frenare significativamente la
crescita del prodotto»96.
Uno sviluppo, quindi, frenato, un’economia alterata e distorta, mortificata dai suoi assetti strutturali e sociali, ma ai quali
si aggiunge in forma specifica il peso dell’illegalità organizzata
che influenza fortemente l’assetto territoriale dell’economia il
cui processo di contrazione congiunturale, per effetto del lungo
periodo di recessione che da oltre cinque anni affligge l’area,
fa attestare a consuntivo del 2012 e del 2013 il Pil regionale
a un -2,6%: un indice più intenso sia rispetto all’area dell’euro
(-0,6% nel 2012), sia rispetto all’Italia (-2,4%)97. Infatti anche il
2013 è stato un anno di recessione per la Campania: il sesto
consecutivo, con una diminuzione del Pil del 2,7% e portando
così a oltre 13 punti percentuali il calo cumulato dall’inizio della
crisi. Nella loro sostanzialità i dati del 2013 e 2014 delineano una
attività economica stazionaria in ragione di investimenti ostacolati «dall’incertezza sui tempi e l’intensità della ripresa nonché
dal persistere di vincoli finanziari» i cui effetti si riverberano
sull’occupazione: nel primo semestre del 2014 il numero di occupati è nuovamente diminuito, mentre sono «oltre un milione
i residenti campani che cercano attivamente un’occupazione o
95. m. draghi, Considerazioni finali, Assemblea ordinaria dei Partecipanti, Banca d’Italia, 31 maggio 2010, pp. 12-13.
96. Così a.m. tarantola, Intervento alla presentazione del Rapporto: L’economia
della Campania, Napoli, 7 giugno, 2010, cit. pp. 10-11.
97. banca d’italia, Economie regionali. L’economia della Campania, Rapporto, giugno,
2013, n. 16.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
77
sono disponibili a lavorare»98. Uno spaccato severo delle criticità presenti sul territorio campano in specie per quanto attiene
il sistema del credito, la cui entità è anche funzione del tessuto
del sommerso e della economia criminale. Maggiore criminalità significa, dunque, meno ricchezza, più disuguaglianza, più
sviluppo distorto, minore equilibrio nella distribuzione delle
risorse, minore cultura civica, maggiore disponibilità fra attori
sociali diversi a realizzare scambi occulti.
Questi aspetti entrano nelle analisi degli economisti che sulla
scia degli studi di Becker ed Ehrlich99 forniscono orientamenti
nuovi che influenzano anche i nuovi approcci criminologici e sociologici, sia perché l’assunto di base sarà che il comportamento
criminale non può che essere interpretato che entro uno schema
di massimizzazione razionale del soggettivo benessere, sia perché entrano in gioco proxies anche di ordine istituzionale precedentemente poco considerate: punizione attesa, livello della
disoccupazione, presenza e composizione della popolazione nelle aree urbane, opportunità, intensità del controllo, ciclo economico, ecc. Le stesse carriere criminali, quindi, non sono altro che
il risultato di scelte soggettive e di condizioni istituzionali improntate dalla redditività maggiore che le attività illegali forniscono
rispetto alla scarsezza e remunerazione delle alternative legali.
La criminalità organizzata, essendo qualcosa in più delle semplici
scelte aggregate, evidenzia i tratti dell’impresa criminale, ma sul
tema della concentrazione mono-oligopolistica di certi settori
produttivi illegali non c’è identità di vedute al riguardo. James
Buchanan ha sostenuto che le imprese criminali preferiscono
agire in regime di monopolio essendo questa opzione anteposta
a quella competitiva tipica dell’economia legale in quanto il monopolio evita la riproduzione allargata del crimine, vi corrisponde una limitazione dell’output. Poiché la criminalità organizzata
98. id., Economie regionali. L’economia della Campania. Aggiornamento congiunturale,
Napoli, novembre 2014, p. 5.
99. g.s. becker, Crime and Punishment: an Economic Approach, in «Journal of Political
Economy», vol. 72, 2, 1968, pp. 169-217; I. ehrlich, Participation in Illegitimate Activities:
An Economic Analysis. A Theoretical and Empirical Investigation, in «Journal of Political
Economy», vol. 81, 3, 1973, pp. 521-565.
78
giacomo di gennaro
agisce come impresa monopolista dell’underworld criminale, in
condizioni di elasticità della domanda, quanto maggiore sarà la
repressione di beni e servizi illeciti tanto più monopolistico diverrà il mercato e di conseguenza si riduce la vendita della merce
proibita. In realtà, come ha già chiarito Rey, i costi da sopportare
per l’impresa monopolistica non sono bassi e sono facilmente
intercettabili, il che rende vulnerabile l’organizzazione e in ogni
caso non è detto che si produca una riduzione dell’offerta100.
Le analogie tra mercati legali e illegali sono valide fino a un
certo punto considerando, oltretutto, che contrariamente a
molte tesi che hanno identificato la fenomenologia criminale
con gli strati marginali, più il profitto è ricercato, più l’accumulazione capitalistica estromette dalla distribuzione delle risorse
differenti strati sociali, maggiore è il ricorso a crimini che non
sono identificabili in quelli che Gordon ha definito i «ghetto
crimes»101. Reuter, infatti, contrariamente alle tesi di Buchanan
considera la criminalità contemporanea come disorganized crime, ovvero più che di impresa monopolistica occorre parlare di
imprese varie che estendono la propria presenza nel mercato
legale102. In primo luogo, ci sono incentivi economici perché i
mercati illegali sono popolati da molte imprese, sebbene effimere; in secondo luogo nei mercati illegali non ci sono barriere
all’entrata né capacità di fissare il prezzo, stando ai principi
dell’industrial organization, nessuno dei classici indicatori dei
mercati controllati centralmente avrebbe valore. In terzo luogo, come è stato notato, «l’impresa criminale non ha relazioni
“normali” né con i dipendenti, né con i fornitori. Le transazioni
che instaurano con i vari soggetti, sono diverse dalle transazioni
analoghe che intercorrono sui mercati legali: in particolare sono
più esposte al rischio e quindi più instabili»103.
100. a. becchi, g. rey, op. cit., pp. 66-67.
101. d.m. gordon, Capitalism, Class and Crime in America, in r. andreano, j.j. siegfried
(eds.), The Economics of Crime, Jhon Wiley and Sons, New York 1980.
102. p. reuter, Disorganized Crime. The Economics of the Visible Hande, Mit Press, Cambridge, Mass. 1983.
103. a. becchi, m. turvani, Domanda e offerta nel mercato internazionale dei narcotici:
effetti della proibizione, in s. zamagni (a cura di), Mercati illegali e mafie, cit., pp. 297345, cit. p. 314.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
79
Come si evince l’analisi economica della criminalità ruota,
sostanzialmente, attorno a quattro aspetti fondamentali: a) gli incentivi che spingono gli individui a privilegiare le scelte dell’agire
illegale rispetto a quello legale; b) lo studio del comportamento
delle organizzazioni criminali come organizzazioni complesse
che operano in mercati non competitivi con alti gradi di specializzazione nelle diverse fasi del ciclo produttivo; c) gli effetti distorsivi, a partire dal costo del “fare impresa”, che l’agire proprio
delle organizzazioni criminali di tipo mafioso produce sui mercati
legali e illegali; d) il ruolo assunto dalla bassa qualità dell’agire
istituzionale e quindi dall’inefficacia delle misure di governance.
Quest’ultimo fattore è stato fortemente privilegiato nella fase iniziale della scoperta della mafia da parte degli economisti
italiani. Zamagni, per esempio, attribuisce all’incapacità dello
Stato l’esercizio delle garanzie nelle transazioni e nell’esigibilità
dei diritti di proprietà, cui si aggiunge il fallimento del mercato
incapace di sollecitare buone ragioni e orientamenti efficaci alla cooperazione. I mercati della mafia sono monopolistici e si
fondano sul ricorso alla violenza e grazie a tale risorsa i mafiosi
praticano l’estorsione in cambio della protezione monopolistica
e della fiducia selettiva104. Riprendendo una concettualizzazione
di Hirsch e traducendo in una prospettiva economica le tesi di
Gambetta, Zamagni sostiene che la fiducia fornita dai mafiosi è
del genere dei beni posizionali, ovvero di quel tipo di beni (distinti
da quelli privati e pubblici) che portano un incremento di utilità
per il soggetto aggiudicatario mentre gli altri soggetti consumano il medesimo ammontare negativo. Il desiderio di appropriarsi
di un bene posizionale innesca una serie di interazioni tra i soggetti concorrenti, una competizione “a somma zero” poiché
non porta a un aumento dei beni disponibili per la collettività105.
L’utilità che i beni posizionali conferiscono non è legata al loro
uso, quanto al fatto che il loro consumo rappresenta un’etichetta
con la quale la persona si posiziona rispetto agli altri. In defini104. s. zamagni, Criminalità organizzata e dilemmi della mutua sfiducia: sulla persistenza
dell’equilibrio mafioso, in id., Mercati illegali e mafie, cit. p. 143.
105. Ivi, pp. 143-146.
80
giacomo di gennaro
tiva, la mafia vende fiducia come bene posizionale in quanto è
«un bene che viene offerto sulla base di una discriminazione che
mira a riprodurre il ruolo dei mafiosi. Questa condizione non si
realizzerebbe se la fiducia diventasse un bene pubblico offerto a
tutti, oppure un bene privato da cui tutti gli altri sono esclusi»106.
Questa linea interpretativa, come si arguisce, intreccia il tema
della formazione della fiducia interistituzionale, delle connessioni
tra essa e la fiducia interpersonale e della cooperazione tra soggetti economici. Ovviamente si pone la questione da dove partire
per attivare un circuito virtuoso? Chi deve produrre incentivi per
raggiungere obiettivi e risultati di sviluppo sociale?
Lo sviluppo più contemporaneo specie dei reati economici
per i quali appaiono rilevanti le responsabilità dei colletti bianchi, delle persone “rispettabili”, di appartenenti ai ceti politici,
amministrativi, imprenditoriali, già ampiamente denunciate a
partire dal 1939 da Sutherland e il grado di illegalità di moltissimi appartenenti a ceti di elevata condizione professionale,
occupazionale o attività sociale che soggiace ai reati di corruzione, falso in bilancio, evasione fiscale, insider trading, crimini
di impresa, crimini ambientali, ecc. che non solo non appaiono
nelle statistiche ufficiali, ma risultano incrementarsi, non incoraggiano la prospettiva che vuole nella palingenesi dell’azione
politica l’alternativa risolutrice.
Su questi aspetti non è un caso che già Cottino ha sottolineato come si realizza il processo di decriminalizzazione che tende
a rendere invisibile determinate condotte rilevando la colposa omissione degli studiosi di criminologia, così come si può
aggiungere in parte di quella degli economisti e dei sociologi,
derivante dalla sottovalutazione e mancato approfondimento
proprio dei meccanismi, delle modalità e condizioni che invece
consentono l’enorme produzione dell’illegalità e criminalità
economica da parte delle classi e dei ceti dominanti107. E si po106. u. santino, Dalla mafia alle mafie, cit., p. 198, corsivo nostro.
107. a. cottino, Disonesto ma non criminale. La giustizia e i privilegi dei potenti, Carocci,
Roma 2005. Sul processo di decriminalizzazione dei colletti bianchi, vedi o. vidoni
guidoni, La criminalità, Carocci, Roma 2004, pp. 86-92.
come spiegare origine, sviluppo e decadenza
81
trebbe dire, ciò nonostante le ampie e lucide pagine che già
Engels nel 1848 e Marx nel 1866 hanno steso sul legame tra
potere e immunità, tra potere e crimine108.
Sembra quindi evidente che lo sviluppo e il contributo degli studi economici sugli effetti e il peso che i mercati criminali e l’economia illegale assumono sulla crescita e lo sviluppo
delle diverse aree geografiche e singoli territori non può che
indirizzarsi sulle correlazioni negative che sia la presenza delle
mafie produce sui diversi indicatori di sviluppo economico che
l’incidenza dei crimini economici dei colletti bianchi i cui effetti
di spiazzamento degli investimenti non sono minori sulle prospettive di crescita e sviluppo sostenibile di lungo termine.
108. f. engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Editori Riuniti, Roma
1972, pp. 387-388; k. marx, Il Capitale, Libro i, Editori Riuniti, Roma 1974, La giornata
lavorativa, pp. 281-291 e L’Inghilterra dal 1846 al 1866, pp. 709-715.
82
giacomo di gennaro
2. Una regolazione sociale violenta
Giacomo Di Gennaro
2.1 Caratteri e modalità del fenomeno estorsivo nella
camorra tradizionale e contemporanea
Gli studi sull’attività criminale, sul radicamento, lo sviluppo, le
trasformazioni e i tipi distinti di organizzazione che chiamiamo
camorra o se si vuole oggi al plurale camorre per marcarne la diversità territoriale in termini di configurazione aggregativa, non
possono vantare quell’armamentario concettuale e analitico
che abbiamo rintracciato per la mafia. Né ci si può compiacere
di aver studiato e compreso alcune caratteristiche del modus
operandi della camorra, il suo stile cognitivo, le ragioni della
sua esistenza, il ruolo assunto dalle classi sociali, l’interferenza
e condizionamento sulla vita economica e amministrativa, la
connessione diretta e indiretta tra il sistema delle azioni illegali e quello delle azioni criminali, l’impegno e il disimpegno
della società civile sul fronte del contrasto culturale e sociale,
l’interazione tra scambio corrotto e scambio criminale. Anche
per tutto ciò occorre ricorrere, anche se in forma comparativa, all’armamentario in possesso per la mafia proprio perché
è venuta meno per la criminalità camorristica quella stabile e
continua attenzione esistente, invece, a proposito della mafia.
Rilevavo già qualche anno addietro che l’attenzione data
dagli studiosi della mafia alla criminalità dei potenti nell’interpretazione dei processi d’istituzionalizzazione della mafia e la
legittimazione che essa riceve in forme dirette e indirette da
ampi settori della “borghesia mafiosa” non ha trovato negli studi sulla camorra neanche una giustificata radicalità e continuità
interpretativa di questa distorsione segmentale di classe, nonouna regolazione sociale violenta
83
stante sia stata proprio la camorra prima della mafia1 ad essere
artefice di un’asse reticolare che già Monnier nel 1862 richiamava denunciando l’esistenza di rapporti tra “città signorile”
e “città plebea”2. Sottolineatura che lo stesso Francesco Mastriani faceva nel 1863 raccontando della “camorra elegante”3,
o più ancora Saredo nella famosa Inchiesta allorquando parla
dell’«alta camorra costituita dai più scaltri e audaci borghesi»
tratteggiando così la permeabilità dei confini tra una città legale
e una città illegale4. Un asse reticolare tutt’altro che indebolito
e che negli ultimi decenni si è rafforzato incorporando il sistema dei partiti, i notabili politici, le segreterie amministrative, i
differenti colletti bianchi e ancora poliziotti e talora magistrati5.
La camorra non è una forma sociale organizzata di criminalità che rispetto ad altre forme di crimine organizzato internazionale è un monstrum anomalo che gode di peculiarità esclusive.
Sono molti i tratti che la camorra contemporanea condivide
con le moderne forme di criminalità organizzata sparse per il
mondo. Secondo aspetto: parlare di estorsioni significa parlare
della storia della camorra. Non si può comprendere la modificazione storica dei tratti essenziali dell’attività estorsiva o la
persistenza degli stessi se non si ricostruisce il modo in cui la
camorra si è originata, trasformata, sviluppata. La camorra sta
all’estorsione come il territorio sta alla mafia.
1. l. franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, in l. franchetti,
s. sonnino (a cura di), Inchiesta in Sicilia, Vallecchi, Firenze 1974; u. santino, La mafia
interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino, Soveria Mannelli 1995; id.,
Borghesia mafiosa, in Dizionario di mafia e di antimafia, in «Narcomafie», 12, 2003; id.,
Borghesia mafiosa e società contemporanea, Relazione al convegno su “Mafia e potere”
di Magistratura Democratica, 18 febbraio, Palermo 2005, disponibile in http://www.
centrimpastato.it.
2. m. monnier, La camorra. Notizie storiche raccolte e documentazione, Berisio, Napoli
1965 (I ed. Barvera, Firenze 1862).
3. f. mastriani, I Vermi. Studi storici sulle classi pericolose in Napoli, Miliani, Napoli
1972 (I ed. Gargiulo, Napoli 1863).
4. g. saredo, Relazione sulla amministrazione comunale, 1901, a cura di S. Marotta,
Vivarium, Napoli 1998.
5. Su questo vedi g. di gennaro, Mercati illegali e struttura di classe, in g. di gennaro,
d. pizzuti (a cura di), op. cit., pp. 55 ss.
84
giacomo di gennaro
2.1.1 Il profilo dell’estorsione della camorra storica
Monnier fu tra i primi a descrivere l’attività estorsiva e fu tra i
primi anche a cogliere un aspetto che permane nelle sue vesti
moderne: l’azione del crimine organizzato della camorra è strutturalmente facilitata da un’ampia illegalità culturale e sociale
non esclusivamente radicata nella plebe ma insediata anche nei
segmenti della vita borghese. Nei primi si concretizza in attività
quotidiane illegali come tratto di sopravvivenza, nei secondi si
esprime in termini di collusione, disponibilità alla corruzione,
accrescimento dei propri interessi6. La labilità dei confini tra
legale e illegale e tra illegale e criminale costituisce da sempre
un nodo critico di contesto che ha fortemente influenzato sia
l’affermazione di un milieu di corruttele istituzionali, sia quello
delle attività criminali. Si tratta di relazioni costruite dalla camorra coi «guanti», per strutturare collaborazioni con esponenti
delle classi superiori, borghesi, amministrative, burocratiche,
professionali intrecciando interessi, cooptando soggetti su
obiettivi di malaffare e attività illegali: la camorra come distributore di benefici che derivano da tutti coloro che, soggetti
singoli o gruppi, investono in queste relazioni. Relazioni illegali
che oltretutto non difettavano a segnalarsi per l’autonoma e
intrinseca debolezza della struttura statale: aspetto dominante
della riflessione storica postunitaria. Precondizione documentata dagli scritti di storici e di politici e che spiega per non pochi lo
stesso sviluppo iniziale della camorra: la debole struttura dello
Stato in tutta la fase postunitaria7.
La camorra storica si sviluppa su un terreno criminale (l’estorsione) la cui logica, attività e mezzi criminali sono favoriti
6. Monnier descrive questa continua interferenza su ogni tipo di affare o passaggio
di moneta, sottolineando la diffusività dell’attività estorsiva praticata su molti ambiti
e che raggiunge dimensioni in pochi anni su larga scala.
7. Ancora agli inizi del nuovo secolo sulla base del lavoro svolto dalla Commissione
d’inchiesta presieduta da Saredo emergeva un «degrado politico amministrativo […]
che non riguardava solo Napoli ma interessava i rapporti tra Stato e Mezzogiorno, e in
particolare le relazioni tra i poteri centrali, le autonomie locali, le amministrazioni periferiche»; f. barbagallo, Storia della camorra, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 74, corsivo
nostro.
una regolazione sociale violenta
85
da un originario senso di illegalità diffusa nei diversi strati sociali
che ha reso da sempre inseparabile la città legale da quella
criminale: un elemento di continuità tra passato e presente8.
Il senso della legalità, anzi potremmo dire il deficit di legalità9.
La retorica dei vincoli che hanno impedito e tutt’oggi impediscono lo sviluppo socio-economico del Mezzogiorno si è
servita non poco del tema del basso senso di legalità affermata
e praticata dalle popolazioni meridionali. Quasi come se “l’irregolarità” fosse una pratica abitudinaria della vita sociale connessa alla cultura e al costume di tali popolazioni. Questo nodo
critico, in realtà, ha un carattere declinabile dall’alto (deficit di
statualità, di governance, di efficace applicazione delle norme
da parte degli apparati pubblici) e dal basso (dal punto di vista
del rispetto delle norme, le regole a volta più elementari anche
del vivere civico da parte della popolazione). Se non vi fossero relazioni di scambio corrotto con istituzioni e soggetti nel
campo della politica, dell’economia e della società, la mafia o le
mafie, la camorra, la ’ndrangheta sarebbero molto più deboli.
In ogni caso, per un lungo periodo, salvo poi a scoprire una
matrice italica, si è sostenuto che nel Sud vi fosse una estesa e
variegata fenomenologia comportamentale coincidente con il
basso rispetto delle regole di cui la violazione delle norme penali – massima espressione ne diviene la criminalità mafiosa – ne
costituisce solo la punta dell’iceberg10. Da qui la necessità di una
«cultura della legalità», «campagne per la legalità», «educazione
alla legalità», «patti per la legalità», «assessorati alla legalità»,
e così via. Insomma, un impegno per la legalità che costituisce
l’altra faccia della lotta contro l’illegalità. Un impegno che, per
8. a. pansa, Napoli: criminalità e sviluppo economico, in g. di gennaro e a. la spina
(a cura di), I costi dell’illegalità, cit., pp. 63-90.
9. Su questo vedi, a. la spina, Mafia, legalità debole e sviluppo del Mezzogiorno, il
Mulino, Bologna 2005; nonché g. di gennaro, a. la spina, Introduction. The Costs of
Illegality: a Research Program, in «Global Crime», vol. 19, 2015.
10. Ancora nel 2010 la crisi della legalità è sottolineata come fattore che in Campania
rallenta la crescita economica perché altera la concorrenza e si esprime con modalità
critiche che investono la “correttezza dei comportamenti” la cui rilevanza è collettiva;
cfr. a.m. tarantola, Presentazione del Rapporto, L’economia della Campania, Banca
d’Italia, Napoli, 7 giugno 2010, pp. 10-12.
86
giacomo di gennaro
non pochi, travalica i confini della ripartizione meridionale, dal
momento che la legalità “imperfetta” costituisce il vero nodo
che si staglia sullo sfondo della vita pubblica italiana, indice di
un itinerario sociale ancora tutto da costruire per superare la
lacerante preoccupazione diffusa nell’opinione pubblica circa
il dilagare della corruzione, dell’infedeltà dei pubblici amministratori e funzionari, dell’uso strumentale della legge, della
bassa interiorizzazione collettiva della legalità come valore11.
In realtà ancorché identificabile con la violazione delle norme penali, della norma di diritto amministrativo o tributario o
del lavoro, violata è pur sempre la «legge». D’altra parte, violazioni del genere possono essere estremamente rilevanti per
i loro effetti socio-economici, il che rende ancor più improprio
il loro indulgente ridimensionamento al rango di irregolarità.
Sarebbe più corretto dire che sono (letteralmente) illegali tutte
le attività che infrangono una legge o altri precetti che dalla
legge derivano (ad esempio quelli di un regolamento attuativo), distinguendo poi tra le varie forme di illegalità (o, se si
preferisce, antigiuridicità): di volta in volta a rilevanza penale,
amministrativa, civile, tributaria, e così via. Anche i comportamenti “irregolari”, quindi, sono in effetti illegali, e vengono favoriti da un insufficiente esercizio del potere coercitivo
(quando i responsabili vi rinunciano, ovvero quando lo sforzo
c’è, ma è insufficiente a fronteggiare una illegalità di vaste dimensioni). Non si disconosce, quindi, l’esistenza di una vasta
cultura illegale che si annida in pratiche sociali, consuetudini,
comportamenti, atteggiamenti, funzioni pubbliche. Anzi, si può
sostenere che all’illegalità mafiosa si affianca quella generata
dallo scambio occulto che si esplica anche nei rapporti diadici
ancorché tra funzionari e organizzazioni criminali. Lo scambio
occulto dipende da scelte che fanno capo in ultima istanza agli
individui, ma vi sono alcune condizioni strutturali che lo ren11. Interessante a riguardo è il volume di g. acocella (a cura di), La legalità ambigua,
Giappichelli, Torino 2013, nel quale è analizzata la centralità del tema della legalità nella
cultura giuridica moderna, ma in particolare i dilemmi e le ambiguità che l’accompagnano dando vita, così, a una sua imperfetta implementazione nella struttura pubblica
e ad una sua ambigua percezione e rappresentazione nella vita delle comunità sociali.
una regolazione sociale violenta
87
dono più o meno probabile: esempio, le ampie dimensioni del
settore pubblico e in particolare della spesa; l’ampiezza degli
spazi di discrezionalità amministrativa, l’assenza di controlli di
risultato; il numero dei passaggi amministrativi e dei soggetti
coinvolti, e in genere la complessità, l’opacità e la lunghezza
delle procedure.
A queste due forme o tipi di illegalità si aggiungono, talvolta
s’intersecano, quelle forme di violazione di norme che specialmente gli attori economici, ma non solo, guardano con fastidio
e ineriscono la regolazione dei rapporti in materia ambientale,
previdenziale, lavoristica, commerciale, fiscale, urbanistica, ecc.
La violazione delle norme che regolano questi ambiti non dipende da una sorta di inclinazione soggettiva (che per quanto configurabile è la risultante di un habitat culturale che favorisce o
non ostacola certi comportamenti), quanto maggiormente dal
comportamento tollerante dei soggetti incaricati di vigilare sul
rispetto e l’applicazione delle norme. Myrdal considerava il soft
State un’espressione dell’incapacità e non volontà sistematiche
da parte degli apparati e istituzioni pubbliche di applicare tali
norme12. Questo processo non attiva circuiti virtuosi per uscire
dal sottosviluppo, anzi irrigidisce la rete comportamentale delle
infrazioni tollerate.
La legalità è un bene comune, è una risorsa etica che intimamente ci costituisce come famiglia umana perché tesse
relazioni orientate alla convivenza civile e funzionalmente
(tale risorsa) garantisce una migliore fruizione di ulteriori
beni e diritti privati e pubblici. Non è un caso, per es., che la
l. 94 del 15 luglio 2009, all’art. 2 comma 19, sanziona l’acquiescenza dell’aggiudicante un appalto o un servizio pubblico
non solo perché ha alterato con il suo comportamento il principio della libera concorrenza (si è posto in una condizione
di vantaggio rispetto ad altri imprenditori) e ha finanziato
l’organizzazione criminale, ma la sua connivenza ha leso il
diritto della comunità territoriale di accedere al bene pubblico
12. g. myrdal, The Challenge of World Poverty. A World Anti-Poverty Program in Outline,
Pantheon, New York 1970.
88
giacomo di gennaro
compromettendo il proprio diritto a fruire di un tessuto di
relazioni interpersonali positive a rilevanza pubblica capaci
di tutelare e fecondare una qualità etica dei rapporti sociali,
valorizzare quelle relazioni che tessono un’etica civile. Ecco
perché occorre riflettere costantemente su come tutelare
nello spazio pubblico, ancorché privato, in modo determinante la stabilità e la riproduzione del senso e significato della
legalità, il cui valore non si racchiude nel pensiero giuridico,
ma occorre viverlo come ambito fondante della relazione
con gli altri.
Tuttavia il deficit di legalità non spiega in modo correlato e
diretto l’origine della camorra e la sua estensione. Alcuni storici contemporanei hanno segnalato che il confuso, fragile e
indistinto confine tra la città illegale (della massa plebea), la
città delinquente (dei ladri, ricettatori, truffatori), la città criminale (della «classe dei Camorristi») e la città della «camorra
amministrativa» si combina con quattro fattori importanti ed è
da questo mix che si genera una precondizione che favorisce il
lento ma inesorabile radicamento dei gruppi e successivamente
delle famiglie camorristiche:
a. l’elevata densità della popolazione, la presenza di modalità illegali diffuse nel gestire opportunità economiche,
una domanda di lavoro proveniente da una massa plebea
artigianalmente e lavorativamente non addestrata, senza
competenze. Questi tre aspetti si addensano e conferiscono
una matrice al carattere urbano napoletano lungo tutto
l’Ottocento dentro il quale lo scompenso tra popolazione
e risorse facilita la formazione di occasioni redistributive
illegali. Le prime figure camorristiche ne assorbono i tratti
agendo e muovendosi entro tale confine urbano e al massimo con qualche propaggine in Terra di Lavoro e zone limitrofe con una spiccata cultura violenta e accaparratrice;
b. il ruolo dei quartieri di Napoli e delle attività economiche
dei mercati che in essi si sviluppano con caratteri, alcuni,
di alta ricattabilità proprio per i profili originari intrinseci di
illegalità. Su essi si sovrappone una immediata attivazione
di una delle attività tipiche della costruzione di un profilo
una regolazione sociale violenta
89
criminale: l’estorsione che la “classe dei camorristi” praticava come mestiere;
c. la funzione delle carceri. Nel secondo quarto dell’Ottocento, molti profili di “guappi” o capi camorristi fanno del mondo delle carceri e delle colonie penitenziarie che il governo borbonico aveva organizzato nelle isole a partire dalle
Tremiti, di fronte al Gargano, il luogo della elaborazione
culturale e dell’addestramento camorristico alla tangente.
Questo aspetto favorisce la gerarchizzazione nell’area delinquenziale della ca-morra che oltretutto trova nell’esercito
borbonico, dove venivano arruolati i criminali detenuti, un
luogo ideale di rappresentata legittimazione sociale;
d. infine, la debole governance statale13.
Per quanto, allora, non si potesse parlare di organizzazione e
di gruppi stabili, la prima camorra storica, la Società dell’umirtà,
con i suoi riti e le sue regole si era data anche una articolazione interna14, invadendo per via violenta e oligopolistica spazi
mercantili attraverso modalità al contempo accaparratrici e
redistributive15.
La camorra napoletana ha, quindi, espresso sin dalla sua
origine una elementare articolazione organizzativa funzionale
allo sviluppo delle diverse attività illegali (contrabbando, lotto
clandestino, gestione dei “giochi dell’incertezza”16), al centro
delle quali vi è stata l’estorsione. Allo sfruttamento dei detenuti
si era ben presto aggiunto, all’esterno, una esazione su tutte
le attività commerciali realizzate attorno ai mercati, al porto
13. m. marmo, Ordine e disordine: la camorra napoletana nell’Ottocento, in «Meridiana», n. 7-8, 1990, pp. 157-190; id., Il coltello e il mercato. La camorra prima e dopo l’unità
d’Italia, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2011; f. barbagallo (a cura di), Camorra e
criminalità organizzata in Campania, Liguori, Napoli 1988; id., Dal camorrista plebeo al
criminale imprenditore: una modernizzazione riuscita, in «Studi Storici», n. 2, 1988a, pp.
549-555.
14. m. Marmo, La città camorrista e i suoi confini: dall’Unità al processo Cuocolo, in G.
Gribaudi, (a cura di), Traffici criminali. Camorra, mafia e reti internazionali dell’illegalità,
Bollati Boringhiri, Torino 2009, pp. 33-49.
15. id., Il coltello e il mercato, cit., p. 10.
16. p. macry, I giochi dell’incertezza, l’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2002.
90
giacomo di gennaro
e ad ogni forma di transazione monetaria. L’attività estorsiva
era facilitata ovviamente da una forza impositiva che derivava
dall’uso della violenza ma, altresì, dalla disponibilità di una massa plebea, specie giovanile, vogliosa di mettersi al servizio di
qualche Masto, desiderosi di farsi rispettare: giovani lazzaroni
vogliosi di usare la forza per intimidire, di far soldi attraverso
il malaffare. La camorra offriva in cambio danaro, appartenenza, reputazione sociale, identità e carriera. L’altro aspetto era
la coincidenza tra pratiche illegali diffuse tra la massa plebea
(working poor crime) e necessità che su di esse non vi fosse
l’attenzione dello Stato. Né più né meno di quanto accade oggi,
solo che questo carattere si è esteso ai differenti segmenti della
stratificazione sociale17. Nel senso che l’attività estorsiva era
rivolta innanzitutto alla sfera delle attività illegali e poi a qualche attività economica. Oggi l’attività estorsiva è praticata su
tutte le attività illegali, sulle attività legali e su quelle criminali.
Ci sono due aspetti tra loro correlati utili per capire l’attività estorsiva: uno è il modello organizzativo del gruppo criminale, l’altro è la configurazione dell’attività estorsiva. Blok
ha sostenuto che la mafia ha avuto origine “rurale” e che la
funzione di mediazione tra i proprietari e i contadini, l’esercizio
17. In una raccolta di scritti pubblicati nel 2006 Amato Lamberti con lucida e al contempo allarmata profondità analitica ci consegna l’immagine di una città nella quale
sembra che il cambiamento abbia lasciato più facilmente il posto alla stagnazione
essendo alcuni processi – per es. l’invasività delle bande criminali; la necessità di una
classe dirigente meno collusa con criminali e affaristi, e più capace di progettare in
modo efficace e risolutivo; la necessità di ridurre l’estensione della massa marginale – presenti quanto se non più di quanto già si registrava nella letteratura politicosociale dell’Ottanta e del primo Novanta. Vedi, a. lamberti, Lazzaroni. Napoli sono anche
loro, Graus, Napoli 2006. Questa nota lunga che attraversa la storia della città e che
fa da scenario allo sviluppo della camorra, è interessante ripercorrerla e ricostruirla
attraverso gli scritti e le denunce di molti meridionalisti e politici locali. La rilevanza di
questo scenario è tale che non è richiamato solo da chi per professione fa lo storico
ma anche da chi ha esigenze ricostruttive per spiegare il rapporto tra le criticità proprie
della vita amministrativa e sociale di Napoli e il diffondersi della camorra; su questo
vedi g. acocella, Camorra e politica a Napoli un secolo fa, in «Il Progetto», VII, 40, 1987,
pp. 5-10. Essendo il numero della rivista dedicato in tutta la prima parte al tema della
criminalità organizzata nelle sue diverse forme aggregate, si vedano, per la conferma di
una persistente lettura basata su un modello che ne rappresenta strutturali meccanismi,
anche i contributi di A. Lamberti, P. Gelardi, L. Malafarina, G. Priulla, M. Morcellini, A.
Signorelli, E.U. Savona, B. Sorge.
una regolazione sociale violenta
91
di quell’arte del tessere accordi e insediarsi nei rami dell’attività
patrimoniale in contatto e concorrenza con le classi dominanti
siciliane è stata, oltre alla capacità di erogare violenza, la cifra
che ha prodotto le dinastie mafiose e dentro le quali notabili
e grandi proprietari (la «mafia in guanti gialli») sono risultati
coinvolti nella medesima rete di complicità18. La mafia, come già
indicato, si origina in aree di relativo sviluppo economico ove
era presente un’agricoltura intensiva di esportazione. «Zone
caratterizzate da relative opportunità di sviluppo, nelle quali si
sarebbe poi affermata come risposta a esigenze di regolazione
politica, economica e sociale»19. E non sono state poche le testimonianze che già nel secolo xix hanno indicato «nella mafia
un’organizzazione criminale gerarchica» ove «ogni comune aveva la propria mafia cioè il proprio “aggregato di mafiosi”, dipendente da uno o più capi, subordinati questi a un capo supremo
[…] e ogni gruppo mafioso comunale era subordinato a un capo
intercomunale o provinciale o anche interprovinciale»20.
Nel percorso storico della camorra, a differenza della mafia, tranne gli anni della restaurazione borbonica nei quali la
camorra tenta di darsi un’organizzazione stabile attorno a un
capo (caposocietà) – tentativi che ritornano in epoche anche
recenti21 – non c’è traccia di una storia di clan federati regolati da
livelli territoriali superiori fino ad arrivare a una gerarchia unica
o centralizzata. La storia della camorra coincide maggiormente
18. a. blok, The Mafia of a Sicilian Village, Harper and Row, New York 1974 (tr. it. La
mafia di un villaggio siciliano 1860-1960), Einaudi, Torino 1986. Altri autori, r. catanzaro,
Il delitto come impresa. Storia sociale della mafia, Liviana, Padova 1988; s. lupo, Nei
giardini della Conca d’oro, in «Italia contemporanea», 156, 1984, pp. 43-53; a. recupero,
Ceti medi e «homines novi». Alle origini della mafia, in «Polis», 2, 1987, pp. 307-328, hanno
sostenuto che la mafia è un fenomeno insieme rurale e urbano sorto in Sicilia dalle
tensioni del latifondo le cui soluzioni erano ricercabili solo nelle città. Per Franchetti,
invece, la mafia era un fenomeno tipicamente urbano e questa posizione era condivisa
anche da g. alongi, La mafia, Sellerio, Palermo 1886.
19. r. sciarrone, Mafie vecchie. Mafie nuove. Radicamento ed espansione, Donzelli,
Roma 1998, p. 24.
20. g.g. lo schiavo, Il reato di associazione per delinquere nelle province siciliane, ora
in id., 100 anni di mafia, Bianco, Roma 1962, p. 137.
21. Uno fra tutti il tentativo egemonico di Raffaele Cutolo tra il 1979 e il 1983 con il
cartello della Nuova camorra organizzata di centralizzare la camorra napoletana.
92
giacomo di gennaro
con storie urbane individuali e storie familiari, è una storia più
orizzontale fatta di gruppi (specie famiglie) che attraverso attività economiche illegali si espandono su singoli territori con
una densità parcellizzata di aggregazioni che ha in sé un limite
evidente sotto il profilo della possibilità coesiva e che al tempo
stesso è un fattore che forgia l’attività estorsiva. Se consideriamo l’intero periodo che va dai primi anni postunitari al primo
decennio del Novecento, nonostante le funzioni sociali di cui
abbiamo detto (ordine, controllo sociale della «città bassa»,
esazione imposte, ecc.), non possiamo parlare di radicamento
territoriale della camorra, essendo stata l’azione di contrasto
più volte violenta e gli stessi rapporti tra autorità ufficiali e camorra erano controversi, oscillando tra compromessi, simbiotici
interessi e dure repressioni22.
Nel caso della camorra storica l’azione estorsiva risponde
più all’attuazione di una pratica accumulativa primordiale che
alla strategia razionale di una organizzazione stabile. Nella letteratura sulla mafia, come abbiamo visto, molti hanno convenuto
sul carattere embedded della mafia che si esprime attraverso il
radicato controllo e potere territoriale e alcune posizioni convergono nel considerare l’attività estorsiva come un’offerta di
protezione di un gruppo di specialisti (mediatori/imprenditori
della violenza) che sfruttano una condizione favorevole determinata: a) dall’assenza di affidabilità tra privati; b) dall’assenza
22. Monzini individua tre sostanziali fasi di evoluzione di tali rapporti: la prima coincide con la camorra organizzata (l’«Onorata Società») che gode di un’ampia tolleranza
istituzionale, sviluppa i traffici di contrabbando ed è utilizzata per prevenire manifestazioni di ostilità nei confronti del regime liberale. La seconda fase, tra il 1862 e il 1866,
è segnata da una prima azione di contrasto che depotenzia la camorra del carattere
oppositivo. Ma deleghe e patteggiamenti con le élites criminali sono ancora praticate
anche se gli spazi ridimensionati. La terza è caratterizzata da un disinteresse istituzionale, la camorra è identificata con la classe delinquenziale (la tesi dell’espressione della
plebe) e non si avvertono connessioni con l’«alta camorra». Solo l’impegno analitico
dei meridionalisti si contrappone all’ipotesi dell’immunità delle istituzioni pubbliche
al fenomeno. Occorrerà attendere l’inizio del nuovo secolo e la spinta delle diverse
denunce di corruzioni locali perché l’attenzione al tema dei rapporti tra camorra e sfera
pubblica riprendesse vigore; vedi p. monzini, Gruppi criminali a Napoli e a Marsiglia. La
delinquenza organizzata nella storia delle due città [1820-1990], Donzelli, Roma 1999,
pp. 5-10.
una regolazione sociale violenta
93
di fiducia nel sistema amministrativo e politico della giustizia;
c) dalla funzione di controllo sociale che determinati gruppi
svolgono avendo in cambio opportunità di mobilità sociale;
d) infine, dalla discrasia tra compiti e sfere di intervento dello
Stato e reale ed efficace gestione di tali compiti23.
D’altra parte, la variante teorica della protezione proposta
da Gambetta sulla fiducia come aspetto di specializzazione dei
gruppi mafiosi per mantenere viva la domanda di protezione24,
configura proprio l’idea che l’attività primaria della mafia è stato
il business della protezione privata con richieste non moderate di (pizzo-estorsione) funzionale alla costante e regolare
acquisizione di risorse economiche (obiettivo economico), alla
regolazione e attivazione della «signoria territoriale» (obiettivo politico) sostituendosi allo Stato nell’offerta di servizi25.
Il carattere impositivo dell’esazione fiscale resta confermato
a distanza di decenni, tant’è che nel più recente lavoro della
Fondazione Chinnici in Sicilia è stato coniato l’aforisma “pagare
poco pagare tutti” per indicare, però, che l’essenza attuativa
dell’attività estorsiva così come è praticata oggi dalla famiglie
mafiose ha visto trasformare la sua modalità, passando dal carattere selettivo della vittima (scelta tra le imprese e gli esercizi commerciali di una certa consistenza economica) tipico del
passato, a quello esteso o c.d. a tappeto della riscossione, che
vede coinvolte tutte le attività economiche del territorio, anche
le minori sia pure per contributi minimi26.
In quest’ottica, l’estorsione è sempre vincolata a un contesto organizzativo e legata al livello locale: «a differenza di
altre attività illegali la sua organizzazione consiste in una rete
23. r. catanzaro, Imprenditori della violenza e mediatori sociali. Un’ipotesi di interpretazione della mafia, in «Polis», 2, 1987, p. 262.
24. Le nefaste conseguenze della dominazione spagnola, per Gambetta, hanno avuto
effetti di lungo periodo sull’emergere della mafia che si è specializzata nel produrre,
promuovere e vendere protezione privata, cfr., d. gambetta, La mafia siciliana, cit., pp.
89-126.
25. u. santino, La mafia interpretata. Dilemmi, stereotipi, paradigmi, Rubbettino,
Soveria Mannelli 1995, pp. 37 ss.
26.Vedi, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità. Mafia ed estorsioni in Sicilia, il
Mulino, Bologna 2008, p. 63.
94
giacomo di gennaro
di relazioni più che in un bagaglio di conoscenze e di tecniche
di produzione o commercializzazione, e spesso non necessita
di disponibilità finanziarie iniziali»27. Entrambe queste posizioni configurano un’autonomia dell’agire e un monopolio della
violenza illegittima dell’organizzazione derivante da un insediamento territoriale di cui se ne vuole il controllo. Il fondamento
di questa tesi, al di là se prevale l’offerta o la domanda di fiducia, si esplica in quello che Block ha chiamato power syndicate:
l’estorsione come attività finalizzata al controllo del territorio
che si distingue, inoltre, dall’enterprise syndicate, ossia dal carattere primario di una organizzazione mafiosa interessata a
organizzare e realizzare affari e traffici illeciti28.
A queste posizioni si contrappone un’altra ipotesi fondata
sulla premessa che non necessariamente all’attività estorsiva
debba essere collegata una prestazione (per es. la «garanzia
di sicurezza» di cui parlava Weber, oppure protezione, amministrazione della giustizia)29. L’offerta coattiva di protezione,
specie se ha carattere monopolistico, non ha bisogno di prestazioni, non ha bisogno di rigidità o flessibilità organizzativa, né
dovrebbe essere considerata un mezzo per il raggiungimento
di altri fini (il controllo e potere territoriale) dal momento che
si basa sull’uso arbitrario della violenza. L’estorsione sarebbe,
allora, in virtù dell’esercizio illegittimo della violenza (delineata
o praticata), solo una esazione parassitaria praticata su attività
che più sono ricattabili (perché a loro volta esercitate nell’illegalità) più facilmente sono soggette all’osservazione criminale.
Le versioni richiamate oltre a presupporre il radicamento
territoriale di cui si è detto, offrono una chiave di lettura per il
27. p. monzini, L’estorsione nei sistemi di criminalità organizzata, in «Quaderni di Sociologia», 11, 1996, p. 134.
28. a. block, East Side-West Side. Organizing Crime in New York 1930-1950, Transactions
Books, New Brunswick, N.J. 1983.
29. u. santino, Dalla mafia alle mafie. Scienze sociali e crimine organizzato, riportando
passi del libro di Antonino Cutrera o racconti di Libero Grassi, l’imprenditore siciliano
ucciso il 29 agosto 1991 per non essersi piegato alle estorsioni mafiose, mostra come
l’attività estorsiva da semplice tassazione senza controprestazione si configura poi
come primo atto per l’acquisizione dell’attività imprenditoriale o commerciale. Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 35-41.
una regolazione sociale violenta
95
profilo associato stabile, non per quello individuale e originario
dell’azione delinquenziale, tanto meno per le estorsioni realizzate in realtà territoriali caratterizzate da una forte instabilità
dei gruppi criminali (come è a Napoli) che operano su territori
circoscritti, limitati, spesso anche molto ridotti e contigui ad
altri nei quali operano i concorrenti. È questa la ragione per la
quale gli equilibri fra i clan sono molti flebili, instabili. Basta a
volte oltrepassare il “confine” di un quartiere o intromettersi
in un affare che salta la pax territoriale. E poiché l’estorsione
qualifica il profilo criminale del clan e resta appannaggio esclusivo di questi proprio perché garantisce il controllo del territorio
(e non viceversa), mantenere un profilo predatorio è più facile
perché non esige contropartite, ovvero non occorre neanche
investire risorse per offrire servizi che oltretutto potrebbero
alimentare un mercato con più concorrenti.
Queste considerazioni non è che hanno valore solo perché
c’è differenza tra la genesi della mafia, la sua successiva stabilizzazione e quello della camorra tradizionale rispetto alla moderna. Le deboli radici di alcuni clan e l’incertezza determinata
dalla loro elevata densità è un dato specifico della moderna
camorra e conferisce all’attività estorsiva una peculiarità che
non appartiene alla mafia. Le due sostanziali ipotesi richiamate
presuppongono linearità comportamentali non riscontrabili
sempre nelle evidenze empiriche30. Se la pratica estorsiva è un
atto nella cui sequenza e stabile ricorrenza si configura il potere
e la «sovranità piena e totale sul territorio» della organizzazione
mafiosa31, quindi, attività di chi esercita un potere e tratto che
racchiude l’essenza dell’organizzazione criminale, allora la camorra di cui abbiamo finora parlato non è configurabile come
una organizzazione che controllava il territorio in passato, bensì
le attività illegali che su di esso si consumavano e produceva30. Le definizioni, sebbene idealtipiche, hanno un carattere dicotomico che impedisce
di cogliere condizioni di sovrapposizione ambientale tra i due tipi, così come non è
possibile considerare i confini ambigui dell’estorsione/protezione: tra intimidazione e
accordo si può generare uno sbilanciamento del discorso verso ciascuno dei due poli.
31. a. dino, Mutazioni. Etnografia del mondo di Cosa Nostra, La Zisa, Palermo 2002, p.
104.
96
giacomo di gennaro
no. L’attività estorsiva si delinea più per il carattere daziario
e ancora oggi viene praticata perché costituisce la forma più
elementare e diretta di accumulazione primitiva della ricchezza
allorquando la gang vuole assumere un profilo e svolgere una
carriera criminale per impadronirsi di pezzi di territorio (e di
ulteriori attività illegali). Ora come «tangente parassitaria», ora
come «intermediazione», altre volte come «accaparramento/
protezione», oppure come strategia di autodifesa, o anche come determinante di un «controllo monopolistico» di uno spazio, o infine, come «servizio truccato». L’eterogeneità dei fatti
sociali concreti fa venir fuori profili differenti tutti accreditabili
e non necessariamente dipendenti dall’esclusiva modalità organizzativa del gruppo o dal ricorso alla violenza32. È questo
che, come vedremo, marca la differenza tra l’attività estorsiva
praticata a Napoli e quella nel suo hinterland; così come tra
queste e le altre aree più interne delle province campane.
2.1.2Il superamento della camorra storica e il ruolo dell’unità
di base: i clan familiari nella modernizzazione della
Campania
Dopo il processo Cuocolo la camorra esaurisce la sua fase aggregativa di delinquenti privi di una qualificata organizzazione
criminale ma “vicini” (i «guappi di sciammeria» e i camorristi
plebei arricchiti) all’alta società più per il ruolo di garanti extralegali dell’ordine pubblico che di criminali di professione.
Nella belle époque sparisce la camorra storica e non si hanno
32. Gli studi della Marmo evocano varie situazioni estorsive: da quella del guappo
di quartiere la cui attività serviva oltre che a conseguire profitti a salvaguardare e
consolidare la reputazione e credibilità sociale, alla tangente parassitaria, di tipo più
predatoria e praticata su qualsivoglia passaggio di denaro. Altra forma era l’intermediazione praticata nei mercati alimentari o sulle attività di contrabbando che si distingueva
dalla protezione prodotta nei confronti della forza-lavoro nei servizi di trasporto; o
ancora, dall’estorsione delle consorterie dei facchini praticata a difesa del prezzo della
manodopera, o di quella realizzata nelle carceri o connessa all’esercizio di un ruolo di
giustiziere; m. marmo, La città camorrista e i suoi confini: dall’Unità al processo Cuocolo,
cit., pp. 35-42.
una regolazione sociale violenta
97
significative tracce fino al periodo compreso tra le due guerre33.
Due le ragioni: l’assenza di una estesa rete criminale e la scarsità
di risorse da poter scambiare sull’arena politica34. Ciò non vuol
dire che scomparvero i guappi o che venne meno la tendenza
da parte di persone dedite al malaffare – tipica dei contesti ove
la composizione sociale è fortemente dominata da un enorme
massa marginale – a insinuarsi in ogni tipo di attività economica
o sociale per alterare i caratteri e derivarne un idoneo profitto.
Anzi, dal dopoguerra la continuità tra la camorra storica e quella
che inizia attorno ai clan familiari (per non pochi aspetti ormai
definibile come camorra tradizionale) s’incentra su un comune
carattere di marginalità e subalternità che sostanzialmente si
arresta alla fine degli anni Cinquanta e va accrescendo la sua
discontinuità lungo il decennio successivo. Non è un caso che
dal dopoguerra e fino agli inizi degli anni Sessanta si affermeranno in diversi contesti della provincia napoletana e casertana
individualità camorristiche e mediatori che collegano i contadini
con i mercati urbani ortofrutticoli35. Nell’area urbana, invece,
risalteranno profili criminali legati ai traffici illeciti e al mercato
nero che sarà realizzato sotto l’impulso dei prodotti di provenienza alleata indirizzati a fronteggiare la grande miseria e le
devastazioni prodotte dalla guerra36. Ne deriverà un circuito di
33. m. marmo, Economia e politica della camorra napoletana nel sec. xix, in «Quaderni», II, n. 2, 1988, Istituto Universitario Orientale, Dipartimento di Scienze Sociali, pp.
103-30; id., Ordine e disordine: la camorra napoletana nell’Ottocento, in «Meridiana», n.
7-8, 1990, pp. 157-190.
34. p. monzini, Gruppi criminali a Napoli e a Marsiglia, cit., pp. 76-79.
35. Erano mediatori che s’insinuavano nelle campagne, spadroneggiando, decidendo
i prezzi e sfruttando il lavoro contadino, ritagliandosi un ruolo di protettori di contadini
e commercianti nella catena che congiungeva i grossisti e i concessionari dei magazzini del mercato ortofrutticolo all’ingrosso; cfr. f. barbagallo, Storia della camorra,
Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 103 ss. Il modello criminale che si registra già in queste
aree provinciali e in Terra di Lavoro ha più di un tratto differente rispetto alla camorra
urbana. Non attiene solo il più rigido carattere gerarchico, ma ricomprende in modo più
organico e coeso il milieu ambientale in cui onore, omertà, disuguaglianze di genere,
autoritarismo patriarcale, lealtà familistica, formale pietà religiosa, sono proprietà che
appartengono all’universo cognitivo e simbolico delle popolazioni locali.
36. Si commercializzava di tutto: sigarette, farina, zucchero, caramelle, cioccolata,
cibi in scatola, biancheria, benzina, coperte, scarpe, orologi, farmaci, liquori e più tardi
elettronica, prodotti sportivi. Tale attività impiegava consistenti masse popolari distri-
98
giacomo di gennaro
attività connesse alla borsa nera e negli anni immediatamente
successivi si formerà un ampio mercato locale illegale autonomo che si differenzierà, senza alcun efficace contrasto dell’autorità statale, in economia informale o semilegale (con le diverse
produzioni e vendite di capi d’abbigliamento e tessuti), in traffici
illegali ed economia clandestina (con al centro il contrabbando
di sigarette) e in attività criminali (di cui l’estorsione e l’usura ne
costituiranno il punto di contatto con la tradizionale e storica
camorra)37. Il costituirsi di queste aree economiche e sociali in
forma segmentata ma con confini fragili conferisce continuità
a quel carattere interstiziale (ambiente/organizzazione) che
dall’origine ha marcato la presenza della camorra a Napoli e in
Campania38. La schiera di traffici e attività illegali di massa che
si svilupperà agli inizi degli anni Sessanta sarà svolta alla luce
del sole in un clima di accettazione e declassamento dell’illebuite fra il lavoro dei falsi, le attività di contraffazione, i truffaldini scartiloffi (raggiro e/o
imbroglio di merci), la ricettazione, la vendita al dettaglio. È stato il contrabbando di sigarette a generare l’apprezzamento delle prime grandi famiglie camorriste napoletane,
come i Giuliano di Forcella, i Nuvoletta di Marano, i fratelli Zaza. La centralità di questa
attività non implicava l’assenza di altri traffici: per es. estorsioni, usura, compravendita
di oro, traffico di armi; o di altre attività illegali (lotterie popolari, gioco clandestino).
37. A questo processo differenziato di economie extralegali e attività produttive
clandestine e informali corrisponderà un parallelo composito universo di profili illegali
coincidenti con diverse figure autonome, ma anche con nuclei familiari organizzati (i
clan) che genererà una riorganizzazione delle gerarchie illegali territoriali. Molti guappi
di provincia assunsero il ruolo di grossisti (detti «carte di tresette») gestendo il lavoro
dei magliari (venditori di tessuti e vesti con marchi falsificati); altri camorristi provinciali
si diedero al controllo dei mercati ortofrutticoli e del bestiame; nell’underworld cittadino solo alcune famiglie di contrabbandieri tra alleanze, accordi e lotte sopravvissero
alla selezione che la guerra per il controllo internazionale del traffico dei Tle e la droga
aveva visto contrapposti i mafiosi di Cosa nostra e i marsigliesi. La multiforme economia
illegale permetterà ai diversi profili di attestarsi su posizioni di comando quale esito
di un processo selettivo che nel frattempo stava già determinando le basi per creare
all’interno del crimine ruoli e posizioni distinte, inoltre il formarsi dell’ampio mercato
extralegale se è vero che supplirà all’endemica domanda di reddito della pletorica
massa debole e marginale dell’area urbana, è pur vero che innerverà nel tessuto sociale
ed economico una cultura dell’illegalità e un senso dell’autarchia che non solo avrà
effetti deleteri sulla stessa crisi sociale ed economica della città, ma consoliderà ancora
di più la contiguità spaziale tra “città illegale” e “città legale”.
38. g. di gennaro, Estorsioni ed usura: l’impatto distorsivo delle attività illegali dei
clan di camorra sull’economia regionale campana, in «Rassegna Economica», 1, 2013,
pp. 115-126.
una regolazione sociale violenta
99
gale a illecito come sfere sostitutive delle legali opportunità
lavorative, prodromo di quella criminalizzazione dell’economia
che Behan intravede come edificazione di un parallelo “Stato”
funzionalmente attento a soddisfare le esigenze della massa
marginale39. Ci troviamo di fronte alla reiterazione del clima
ideologico ottocentesco che legittima la presenza di un’ampia
area di illegalità quale condizione della precarietà o debolezza
del mercato del lavoro. È in questo senso che la camorra ha
fatto anche la storia della Campania non meno di quanto la
Campania abbia fatto anche la storia della camorra.
I primi clan familiari cittadini s’impegnano nel contrabbando
di sigarette che vede Napoli attestarsi come uno dei principali
mercati del Mediterraneo. In provincia, invece, è ancora l’attività d’intermediazione con i mercati cittadini a caratterizzare
per un non breve periodo l’attività dei clan40. Se è vero che per
ancora un lungo periodo la camorra presidia tutte le attività
illegali che la nuova plebe del xx secolo produce (ricettazione,
furti, rapine, contrabbando, scommesse, prostituzione, gioco
d’azzardo, truffe, usura, lotto clandestino, racket) è anche vero
che con lo spostamento ad attività centrale del contrabbando
dei Tle – prima in condizione di subalternità ai marsigliesi e alla
mafia siciliana negli anni Sessanta e poi acquisendo un ruolo
internazionale e di collaborazione paritaria con Cosa nostra
negli anni Settanta – si afferma una nuova configurazione organizzativa, di cui l’unità familiare ne è il core, che si espande sui
39. t. behan, The Camorra, Routledge, London and New York 1996; ripubblicato con
See Naples and Die. The Camorra and Organised Crime, I.B. Tauris Publishers, LondonNew York 2002.
40. «Sul finire del 1926 – nota Barbagallo – un ispettore generale del ministero dell’Interno documentò con precisione l’espansione di una “camorra a raggiera” che dal
Napoletano si espandeva nel Casertano e raggiungeva l’agro sarnese-nocerino nel
Salernitano», f. barbagallo, Storia della camorra, cit., 98. In effetti la configurazione
storica della camorra più rurale dell’agro aversano e della provincia di Terra di Lavoro
(il basso Volturno e la zona dei Mazzoni) ha avuto da sempre un carattere diverso da
quello urbano, più disposto all’organizzazione gerarchica ma al contempo più violento.
La stessa intermediazione nei mercati agricoli avviene attraverso imposizioni violente
anche se la contiguità spazialmente situata con le figure amministrative e politiche
locali ha agevolato un intreccio di interessi non governato esclusivamente con l’intimidazione.
100
giacomo di gennaro
mercati criminali con una dotazione di capitali e una capacità
organizzativa che non è comparabile con la storia precedente.
L’unità organizzativa di base del clan è la famiglia camorristica la
cui interna solidità conferisce forza verso l’esterno e la strategia
di allargamento del clan avviene attraverso relazioni consanguinee e nuove inclusioni parentali (mediante i matrimoni).
Questa modificazione è accompagnata da tre contemporanei
processi esogeni alla sfera criminale ma che ne influenzeranno il
percorso nei decenni successivi e non tratteggiano solo le connessioni con la sfera organizzata criminale della città, ma dell’intero hinterland e della stessa Terra di lavoro: a) l’accrescimento
della densità edilizia; b) l’attivazione di un flusso d’investimenti
pubblici orientati ad attivare processi di industrializzazione;
c) la formazione di un blocco sociale che attorno alle risorse
pubbliche e al ruolo dei partiti e delle amministrazioni pubbliche praticherà una strategia di raccolta del consenso fondata
sulla redistribuzione e il controllo clientelare delle risorse, sulla
funzione di mediazione e protezione politica41.
Questi tre processi avranno influenze anche sulla fenomenologia territoriale della camorra, perché con l’aumento della
densità edilizia praticata senza un’idea urbana complessiva si
metterà in moto un’area di mercato connessa al mattone i cui
effetti, prodotti sia dall’edilizia pubblica che da quella privata,
genereranno: i) pezzi di città senza identità, regole e gerarchie
riconoscibili, accompagnati nel tempo, specie nella periferia,
da vere e proprie alienazioni urbanistiche42; ii) la formazione di
41. Per questi aspetti vedi d. pizzuti, Napoli: un futuro possibile, in aa.vv., Chiesa italiana e Mezzogiorno. Messaggi, riflessioni, voci, Ave, Roma 1993, pp. 101-134; nonché,
mi permetto il rimando al mio Napoli, profilo di città: l’eterna incompiuta, in l. frudà (a
cura di), Le città italiane tra spazio fisico e spazio socio-culturale, FrancoAngeli, Milano
2007, pp. 223 ss.
42. L’edilizia pubblica avrà un peso quantitativo non indifferente ma si dispiegherà
senza un ruolo ordinatore, come nel caso del rione Traiano tra la fine degli anni Cinquanta e Sessanta, o della 167 di Secondigliano negli anni Settanta o, nel successivo decennio, con l’alienazione urbanistica di Scampia e dei rioni Taverna del Ferro, Pazzigno, le
“Case dei Puffi”, il “Terzo Mondo”. Realtà, alcune, urbanistiche da cui prolifereranno
generazioni di giovani incorporati, utilizzati dai clan e spazi territoriali utilizzati come
bunker per occultare merci illegali, per l’autodifesa e il nascondimento di latitanti. Oltre
al fatto che proprio molti di questi interi rioni sono stati, attraverso l’occupazione pilo-
una regolazione sociale violenta
101
un vasto segmento di mercato economico nel quale l’attività
estorsiva, l’intimidazione e il ricatto troveranno più facile radicamento per effetto del carattere semilegale e illegale della
maggioranza delle imprese43.
Nuclei e realtà industriali nell’area metropolitana produrranno una presenza a macchia di leopardo di classe operaia che
di fatto in molti quartieri della città funzionerà come fattore di
contenimento e controllo sia della marginalità criminale che della stessa camorra. Tuttavia, il blocco sociale che si forma attorno
alla gestione delle risorse pubbliche costituirà una così ghiotta
occasione di crescita per i diversi clan che si origineranno fitti
rapporti di cointeressenza e collusione con differenti segmenti professionali ed esponenti politici e amministrativi locali, al
punto che gli anni del post terremoto in Campania del 1980
rappresenteranno il momento in cui si realizzerà per molti clan
di camorra un ulteriore salto di qualità determinato dalla capacità di incunearsi nelle pieghe della gestione dell’«economia
della catastrofe»44.
tata degli alloggi, occasione di un mercato arbitrario di assegnazioni e localizzazione di
intere reti parentali legate ai clan. L’edilizia privata sarà, invece, l’attività predominante
sulla quale costruirà la propria specializzazione economica gran parte dell’imprenditoria napoletana e campana, specie nel dopoguerra allorquando, in forma rapace e
accelerando in maniera violenta il processo di materializzazione degli alloggi, darà vita,
senza regole e progetti, a quel disordine urbanistico, alla parcellizzazione di pezzi di
città su cui addensare, talora in forma interclassista, talaltra per categoria di reddito,
strati di popolazione, singoli ceti, interi gruppi sociali. Una speculazione edilizia che
tanto ha aggravato e deteriorato lo scenario paesaggistico e naturale di Napoli.
43. Sulla trasformazione dello spazio urbano, la formazione di quartieri periferici
anomici e lo scempio edilizio consumato a Napoli sia nel dopoguerra che nei decenni
successivi quale occasione di “trionfo della macchina politico-criminale”, vedi p. allum,
Napoli punto e a capo: partiti, politica e clientelismo, L’Ancora, Napoli 2003; dello stesso, id., Il potere a Napoli: fine di un lungo dopoguerra, L’Ancora, Napoli 2001 e l’ormai
classico, Potere e società a Napoli nel dopoguerra, Einaudi, Torino 1975.
44. Sugli effetti e le interconnessioni tra trasferimenti di risorse pubbliche e organizzazioni criminali vedi a. becchi collidà (a cura di), Napoli “miliardaria”. Economia e lavoro
dopo il terremoto, FrancoAngeli, Milano 1984; a. lamberti, Dall’economia criminale
all’economia legale: le linee di tendenza della camorra imprenditrice, in «Osservatorio
sulla camorra», Fondazione Colasanto, n. 1, 1987, pp. 19-34; g. di gennaro, Questione
morale e questione criminale nel Mezzogiorno, in aa.vv., Chiesa italiana e Mezzogiorno,
cit., pp. 135-182; commissione parlamentare antimafia (cpa) Camorra e politica, Laterza, Roma-Bari 1994.
102
giacomo di gennaro
In poco più di trent’anni tra il 1950 e il 1980 il crimine organizzato a Napoli compie tre fondamentali salti: il passaggio in
città dalla gestione delle attività economiche illegali a basso
rendimento (working poor crime) alla gestione, commercializzazione e traffico di una merce a più alto margine di profitto
(il contrabbando dei Tle dai primi anni Sessanta e successivamente, un decennio dopo, il traffico degli stupefacenti)45.
Questa fase è accompagnata da due evoluzioni strategiche di
cui i clan a base familiare ne guidano i processi: una attiene il
superamento della dipendenza dalle cosche mafiose siciliane
che di fatto non raggiungerà mai la piena autonomia e che
oltretutto fu motivo di scontro alla fine degli anni Settanta tra
la Nco e la Nuova famiglia46. L’altra è l’effetto della «mafizzazione» della camorra che produrrà la formazione di un vero e
proprio apparato militare nei clan. L’incorporazione di affiliati
45. Sul contrabbando dei Tle, si veda m. figuraro, f. marolda, Storia di contrabbando.
Napoli 1945-1981, Pironti, Napoli 1981; n. guarino, Sigarette di contrabbando: il traffico
illecito di tabacchi a Napoli dal dopoguerra agli anni Novanta, in g. gribaudi (a cura di),
op. cit., pp. 90-111.
46. Tra il 1979 e il 1983 Napoli e la Campania furono teatro di uno scontro tra la Nuova
camorra organizzata (Nco) di Raffaele Cutolo (che ambiva a formare un’unica organizzazione camorristica indipendente dalle cosche siciliane) e la Nuova famiglia (Nf:
evoluzione della Nuova fratellanza) che riuniva i clan cittadini e della provincia (avversi
a questo disegno) maggiormente collegati a Cosa nostra. Secondo gli inquirenti solo la
Nco disponeva di 2.000 affiliati, saliti poi addirittura a 7.000, cfr. cpa, op. cit., p. 41. Al
termine di tale periodo si contarono 900 morti. Questo scontro segue il sopravvento
di Cosa nostra sui marsigliesi per il controllo del contrabbando di Tle su Napoli che
si consuma tra il 1972 e l’inizio del 1973. A tal seguito la mafia siciliana affilierà come
“uomini di onore” esponenti di alcuni dei clan già in vista in quegli anni: Michele e
Salvatore Zaza leader della famiglia Mazzarella (che operava a Napoli nei quartieri di S.
Lucia fino a S. Giovanni a Teduccio; Angelo e Lorenzo Nuvoletta dominanti a Marano e
già in rapporti economici con i corleonesi Liggio, Alberti e Riina; Raffaele Ferrara (boss
di Giugliano e Villaricca); Antonio Bardellino (capostipite dei casalesi) che operava in
provincia nell’agro aversano. Proprio dalla metà del 1973 inizia il periodo più florido del
contrabbando cui farà seguito nel giro di pochi anni il traffico di stupefacenti. Afferma
Barbagallo: «a Napoli si contano circa 5.000 contrabbandieri, di cui 4.000 sui motoscafi.
Le casse di sigarette sbarcate ogni mese sono circa 60.000. Le persone che operano
nell’indotto di questo traffico ammontano a circa 50.000 […]. Nel 1977 solo Michele
Zaza gestisce un movimento annuale di 5.000 tonnellate di sigarette per un fatturato
di 150 miliardi di lire», f. barbagallo, Storia della camorra, cit., p. 116.
una regolazione sociale violenta
103
con esclusivi compiti militari47. Il secondo salto avviene in coincidenza dello sviluppo del traffico degli stupefacenti quando,
dalla metà degli anni Settanta, i più intraprendenti clan napoletani e casertani (Ammaturo, Zaza, Nuvoletta Bardellino,
Cutolo) mostrano capacità imprenditoriali e organizzative tali
da espandere le iniziative economiche sui mercati criminali
mondiali e al contempo organizzare in forme più regolate le
attività criminali (in primis l’estorsione). Il terzo salto avviene
con la trasformazione di molti clan di camorra in collettori di
voti, in dispositivi territoriali capaci di intercettare consenso
elettorale, sostegno politico ad amministratori o partiti in
cambio della gestione degli appalti, dei servizi pubblici, che
specialmente dal terremoto dell’Ottanta conferiscono il maggior carattere imprenditoriale a molte organizzazioni criminali
perché si accelera ed estende la presenza della camorra nei
mercati e nelle attività legali.
La periodizzazione e la mutevolezza indicate non devono
essere interpretate su un asse dicotomico lineare tradizionalemoderno che in forma unitaria ha investito tutti i clan e le aree
territoriali perché sarebbe una rappresentazione inadeguata e
deformerebbe la comprensione stessa della camorra, delle sue
attività e dei suoi traffici. In realtà ci sono sempre stati clan familiari molto più estesi, più influenti, con un forte controllo del
territorio, un’alta reputazione sociale e criminale, più embedded
che hanno fatto la storia criminale di interi quartieri o pezzi di
città e hanno anticipato, per capacità organizzativa, utilizzo di
tecniche, metodologie e strategie di implementazione dei traffici, le stesse organizzazioni economiche presenti sui mercati
regolari. Esponenti gerarchici di tali clan non erano (e non sono)
tuttavia estranei ad un repertorio di cognizioni, valori, simboli,
regole e pratiche sociali che sarebbero ascrivibili a una cultura
arcaica e/o tradizionale. A questi si sono contrapposti clan più
deboli, piccoli, impegnati su limitate attività economiche illegali,
47. Di «mafizzazione» della camorra ne ha parlato i. sales, La camorra, le camorre,
Editori Riuniti, Roma 1988.
104
giacomo di gennaro
con ruoli subalterni e satellitari, e sodalizi intermedi attivi su più
traffici e su territori più ampi48.
C’è, insomma, un grado di autonomia più che una correlazione diretta positiva tra sviluppo delle attività criminali e
poi traffici, e debole esercizio della sovranità dello Stato sul
territorio. Sostenere che quest’ultimo fattore spieghi l’origine
dell’esercizio della violenza e del controllo camorristico del territorio, almeno per il profilo della camorra risulta insufficiente.
Il modello estorsivo, infatti, non si esaurisce nella tipologia protezione-estorsione. Questa appartiene più alla fenomenologia
mafiosa. L’offerta di protezione, infatti, si basa sulla capacità
di esercitare la violenza; da ciò ne discende che violenza e protezione sono inscindibili. In effetti, molte evidenze empiriche
sulla camorra raccolte, come indicato, dagli storici, così come
i risultati della nostra ricerca ci dicono che non è così.
48. Prendiamo, per es. la famiglia Giuliano di Forcella, «l’aristocrazia della camorra
napoletana». La reputazione criminale è di lunga data, risale a Pio Vittorio e alla camorra
dei cocchieri ottocenteschi. È stata la prima famiglia a reagire al disegno di Cutolo (con
il cartello della Nuova fratellanza) già alla fine degli anni Settanta. Il consolidamento
criminale lungo il corso del Novecento avviene nell’immediato dopoguerra attraverso la
gestione della borsa nera dei beni contrabbandati, il gioco, il lotto clandestino, l’usura,
la compravendita dell’oro e nei primi anni Sessanta con il contrabbando organizzato
delle sigarette, fino all’impegno nella droga. Il profilo dell’attività estorsiva cambia nel
tempo: essendo un clan embedded (tant’è che il dominio territoriale era accompagnato
da una diffusa adesione e partecipazione popolare) il controllo del territorio precede
l’attività estorsiva ma non deriva da una tradizione di violenza bensì da un insieme di
attività illegali praticate in un lungo arco di tempo che hanno assunto funzioni territoriali
occupazionali e di welfare. L’iniziale carattere di esazione era popolarmente legittimato
perché inserito in un originario quadro di redistribuzione occupazionale (sebbene di
working poor). In una intervista del 2010 rilasciata dal dott. Alfonso D’Avino (dda di
Napoli) ai fini della ricerca sulle estorsioni a Napoli, egli afferma: «i Giuliano hanno sempre preferito taglieggiare innanzitutto le grandi imprese commerciali o economiche e
poco i piccoli commercianti al dettaglio, la qual cosa garantiva sul territorio un’ampia
base di consenso popolare». Questo carattere si mantiene anche con lo sviluppo del
contrabbando dei Tle. È quando il dominio territoriale è totale (conseguito anche attraverso faide) che la pratica estorsiva: a) si estende a tutte le attività economiche (legali
e illegali); b) coinvolge anche la sfera dei lavori pubblici; c) assume un doppio carattere:
è un bene venduto (la protezione) ai clienti e membri della comunità d’appartenenza
(i quartieri su cui si esercita il dominio), è un’opportunità di accumulazione dei profitti,
di organizzazione di un traffico nei confronti di tutti i soggetti che dall’esterno per
qualsiasi ragione devono interagire con lo spazio territoriale controllato (e a questa
accezione è correlata anche una modalità attuativa più violenta, fatta di attentati,
intimidazioni, violenza fisica, ecc.).
una regolazione sociale violenta
105
2.1.3La sfera criminale: differenziazione e modificazione
dell’attività estorsiva
La Commissione parlamentare antimafia, istituita nel 1962, scopre la camorra solo nel 1993. Mentre la Sicilia e l’Italia venivano scosse dalle stragi di Capaci e di Via d’Amelio, in Campania
si erano consumate altre guerre senza che una osservazione
istituzionale di alto profilo si adoperasse a capire cosa stava accadendo. Ci riferiamo ovviamente alle guerre tra Nco e Nf; agli
scontri rispettivamente tra il clan di Bardellino versus Nuvoletta
(1984-’88), e alla guerra tra i casalesi e il gruppo Alfieri (1988’91)49. Si potrebbe dire ancora una volta lo Stato arriva tardi. Ma
è solo la conferma di un generale clima di sottovalutazione50.
La relazione descrive la fenomenologia criminale organizzata
campana mettendo in risalto l’alta densità dei gruppi criminali51
e l’ulteriore salto storico che la camorra compie dopo il 1980
(il quarto): la proposizione diretta come soggetto economico
imprenditoriale sul mercato degli appalti, dei subappalti, dei
servizi diretti alle imprese «forte di una propria connotazione
societaria, organizzazione aziendale, mentalità manageriale;
dotata di esperti di marketing, osservatori economici, uffici
legali, relazioni politiche»52. Insomma, la Commissione scopre
che la camorra ha nel corso del tempo costruito tali e tanti
rapporti di scambio, relazioni conniventi, contiguità affaristi49. Sulle guerre di camorra, le diverse faide e le ragioni delle scissioni si rimanda a l.
brancaccio, Guerre di camorra: i clan napoletani tra faide e scissioni, in g. gribaudi (a
cura di),op. cit., pp. 65-89.
50. Effetto combinato dell’azione più eclatante e visibile della mafia, dell’attacco più
diretto a membri dello Stato, della più forte capacità di creare connivenze con esponenti istituzionali e amministrativi, di un discorso politico-culturale (sostenuto anche
dal circuito mediatico) che più facilmente entra nella sfera pubblica, e nel quale gioca
un ruolo significativo anche l’antimafia della società civile.
51. Si indicano circa 111 clan operanti in regione con oltre 6.700 affiliati e si sostiene
che essi hanno un controllo del territorio, dell’economia e delle istituzioni locali così
elevato che è incomparabile rispetto alla stessa mafia siciliana e alla ’ndrangheta. Molti
clan basano i loro interessi economici e la propria rete di relazioni su uno scenario
più internazionale senza rinunciare alla presenza territoriale di provenienza che si è
rafforzata in quanto estesa agli interessi politici, cfr. cpa, op. cit., pp. 10-11 e 117 ss. e
182 ss.
52. Ivi, p. 169.
106
giacomo di gennaro
che, possiede un tale esercito, è l’unica che ha ucciso parenti
di collaboratori di giustizia, da ritenerla una forza pari se non
più potente delle consorelle mafia, sacra corona unita e ’ndrangheta. Descrive diverse attività illegali quali fonti di profitti ma
non si sofferma sull’estorsione. Ne parla come di un’attività
trasversale, sostenendo che il profilo criminale è camorristico
se è contemplata l’attività estorsiva.
Emerge un quadro più articolato dei gruppi criminali campani e nello stesso tempo s’intravede la preoccupazione per
un mutato scenario economico nazionale e internazionale
nel quale la soluzione dello sviluppo economico meridionale
appare più complicata dal momento che la condizione per la
sua affermazione è la creazione di un ambiente più sicuro, una
competizione di mercato che non risenta della presenza di quel
capitalismo aggressivo tipico delle organizzazioni mafiose che
distorcono le regole del mercato per orientarle ai propri fini, e
in ultimo, ma enormemente importante, la produzione di un
capitale sociale come asset per generare obiettivi comuni di
innalzamento della qualità del tessuto sociale e invertire i processi di erosione della fiducia nelle comunità territoriali53. Vi
è, d’altra parte, una condizione di ambivalenza nella crescita
dell’economia criminale: se da un lato, essa segue la crescita di
un territorio (come nel caso della città partenopea negli ultimi
anni nuovamente al centro dei traffici e degli scambi internazionali), dall’altro, non vuol dire che interessa in modo omogeneo
tutti i gruppi criminali organizzati che su esso interagiscono,
né, tanto meno, che tutti acquisiscano un profilo globale. Anzi,
mentre alcune organizzazioni hanno coniugato la dimensione
globale/locale54, altri clan hanno mantenuto un profilo più bas53. Sulla rilevanza del capitale sociale e dell’uso di questa risorsa come asset operativo,
vedi r. leonardi, r.y. nanetti, La sfida di Napoli. Capitale sociale, sviluppo e sicurezza,
Guerini e Associati, Milano 2008.
54. Si pensi ad esempio agli accordi relativamente al mercato delle grandi griffes
di cui si fecero artefici alla fine degli anni Novanta Pierino Licciardi, Eduardo Contini,
Costantino Sarno, Paolo Di Lauro e i fratelli Lo Russo. In pochissimi anni utilizzando il
lavoro nero delle centinaia di fabbriche di abbigliamento sparse sul territorio dell’hinterland napoletano e la compiacenza di decine di imprenditori locali, hanno inondato
i mercati esteri commercializzando grandi marchi di abbigliamento contraffatti ma di
una regolazione sociale violenta
107
so, solo locale, «network di affiliazione»55 cui si sono aggiunti,
confermando quella tradizione caotica e anarchica propria della
città e riflessa nel crimine nostrano, sodalizi circoscritti a piccoli
territori, cellule criminali che lavorano per conto di clan, gruppi associati con rilevanza esclusiva nel quartiere, gang predatorie criminali che aspirano ad essere riconosciute come “di
camorra”56. Un processo di differenziazione organizzativa che
si staglia lungo un continuum di polarità connotative: aperto/
chiuso, fragile/forte, sicuro/insicuro, locale/globale, verticale/
orizzontale, coeso/instabile, reticolare molteplice/reticolare
limitato. Una differenziazione aggregativa che piuttosto che
contrarsi si dispiega con una maggiore densità di gruppi, manifestandosi come un limite perché ne depotenzia il peso nel
panorama territoriale nazionale e internazionale ed è precondizione per la fragilità delle pax territoriali; oltretutto alta densità
e differenziazione organizzativa del crimine condizionano la
stessa azione di contrasto57.
buona qualità. E sempre i clan di Secondigliano hanno realizzato e protetto la commercializzazione dei trapani col falso marchio Bosch esportando anche negli Usa.
55. p. lupsha, Transnational Organized Crime Versus the Nation-State, in «Transnational
Organized Crime», 1, 1996, pp. 21-48.
56. Ancora nel rapporto 2009 la dia fotografava il panorama indicando nella sola città
di Napoli 35 clan più 5 clan minori; nella provincia partenopea 41 clan più 14 minori; a
Benevento e provincia 6 più 3 clan minori; nell’area avellinese 4 e nel salernitano 13.
Infine nella provincia di Caserta è presente 1 cartello c.d. dei casalesi attorno al quale si
addensano in forma federata, come i chicchi di uva al raspo del grappolo, vari gruppi.
Come si evince un totale di 112 clan più 22 clan minori (senza contare gli aggregati ai
casalesi); cfr., dia, Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e
sui risultati conseguiti, gennaio-giugno, Ministero dell’Interno, Roma 2009, p. 162.
57. Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta nell’ambito regionale della
Campania vi era un numero più limitato di grandi clan (Maisto, Mallardo di Giugliano,
Moccia di Afragola; D’Alessandro a Castellammare di Stabia; Gionta, Contini, Licciardi,
Mazzarella, ecc.), ma si erano già moltiplicati sia all’interno della città che nella provincia clan più autonomi alleati su singole attività illegali e specialmente distributori
e costituenti la fitta rete regionale di spaccio di droga. Inoltre il fronte dei casertani si
era rotto a metà del 1988 con lo scontro tra il clan degli Schiavone, dei De Falco e di
Francesco Bidognetti contro Ernesto Bardellino. Con l’estromissione di quest’ultimo in
realtà il conflitto si sviluppò tra gli Schiavone e i De Falco e terminerà con la spaccatura
del clan dei casalesi che solo alla fine del 1992 si concluderà con il sopravvento della
fazione Schiavone e Bidognetti con il controllo dell’intero territorio casertano, il basso
Lazio, molti comuni del Sannio e dell’Irpinia.
108
giacomo di gennaro
Se quindi il trasferimento delle risorse pubbliche dal centro alla periferia ha innescato processi degenerativi sia nella
classe dirigente politica che nell’allargamento delle opportunità espansive della criminalità campana (e napoletana in particolare), il processo di modernizzazione sociale ed economica
non ha beneficiato e modificato le sacche di sottoproletariato
urbano e metropolitano che caratterizzano spesso il serbatoio
della criminalità predatoria e delle bande urbane, anzi ne ha
modificato la natura dell’anti-social behavior alzandone aspettative di consumo e di acquisitività, proiettando e identificando
così il profilo dell’integrazione sociale soggettiva nel possesso
di beni di consumo vistoso (o posizionali). Per alcuni c’è una
correlazione diretta tra l’insuccesso di Napoli come metropoli
moderna e lo sviluppo del gangsterismo urbano e delle diverse
aggregazioni di camorra. Un insuccesso che spiegherebbe non
solo la permanenza dei comportamenti criminali ma, data la
debolezza del mercato legale in tutta l’area metropolitana, il
radicamento dell’uso della violenza come risorsa utilizzata dai
malviventi per garantirsi risorse economiche, offrire protezione,
aggregare attorno a un repertorio simbolico-culturale e uno
stile di vita giovani marginali58.
La differenziazione che si sarebbe generata nello spazio
criminale urbano e metropolitano ha quindi radici endogene
ed esogene ai profili organizzativi delinquenziali. Le prime risiedono nella lunga storia criminale propria dell’area, le seconde
coincidono con gli effetti distorsivi della modernizzazione economica e con quella mancata a livello sociale. Una differenziazione che è accompagnata in ogni caso dall’entrata in scena di
una nuova generazione di camorristi la cui presenza si avvertirà
tra la fine degli anni Novanta e l’ingresso nel nuovo millennio sia
per la volontà e capacità di erogare violenza con una semplicità
che è impressionante, un cinismo che è sconcertante, sia per
le capacità imprenditoriali che irrobustiscono quel carattere
transnazionale già espresso qualche decennio addietro. Non è
58. È la lettura che emerge da i. sales, Le strade della violenza. Malviventi e bande di
camorra a Napoli, L’Ancora, Napoli 2006.
una regolazione sociale violenta
109
un caso che a questa capacità imprenditoriale fa riscontro un
aumento del ruolo della camorra nel narco-traffico e, proprio
tra le organizzazioni più qualificate, una forte incisività imprenditoriale in aree regionali del centro-nord59.
Quali caratteri assume l’attività estorsiva oggi e quale continuità/discontinuità presenta rispetto alla stessa azione praticata dalla camorra storica o da quella tradizionale? Sotto il profilo
della continuità, così come i camorristi storici svolgevano «veri
e propri compiti di polizia e di controllo sociale nei luoghi tipici
della “pericolosità” popolare» sottoponendo tutte le attività
delittuose a un prelievo percentuale60, altrettanto oggi la camorra sottopone a prelievi tutte le attività illecite praticate sul
territorio dalla malavita comune o dall’underworld (parcheggio
abusivo, contrabbando, gioco d’azzardo, prostituzione, spaccio
stupefacenti, falsi, ricettazione, rapine, usura, ecc.). L’estorsione è praticata quasi sempre in maniera diretta dal clan ed
eseguita da affiliati al clan, ma non è disdegnato il subappalto di
cui si è detto per il quale si stabiliscono precise royalties. Inoltre,
secondo diversi magistrati, non sono pochi i gruppi criminali
(minori) che piuttosto che correre i rischi connessi all’attività
estorsiva, preferiscono i più lauti vantaggi della gestione delle
piazze di spaccio date in concessione dai clan superiori a fronte
anche in questo caso di dazi pagati sulle quantità e sulle aree
utilizzate61.
59. dia, Relazione del Ministro, cit., pp. 11 e 185 ss.
60. p. monzini, Gruppi criminali a Napoli e a Marsiglia, cit., p. 4.
61. È questa la ragione per la quale in qualche quartiere della città la pratica estorsiva
non è a “tappeto” specialmente se sono state registrate presenze dell’associazionismo
antiracket. È interessante notare secondo le risultanze investigative più immediate e le
considerazioni svolte nella Relazione del Procuratore Nazionale Antimafia, nel periodo compreso tra il 1° luglio 2012 e il 30 giugno 2013 i dati elaborati dalla dda di Napoli
accertano che vi è una «limitata coincidenza tra coloro che sono iscritti per il delitto di
cui all’art. 416 bis c.p. e quelli che rispondono del delitto associativo ex art. 74, d.P.R.
n. 309/1990 (332 persone)». Ciò vuol dire che «i clan camorristici solo qualche volta si
occupano direttamente delle attività correlate al traffico di stupefacenti, preferendo
svolgere una funzione di supervisione esterna alle varie fasi di tali traffici, gestiti da
organizzazioni criminali specializzate, che comunque fanno capo agli stessi clan»; cfr.
procura nazionale antimafia, Relazione Annuale sulle attività svolte dal Procuratore
nazionale antimafia e dalla Direzione nazionale antimafia, nonché sulle dinamiche e stra-
110
giacomo di gennaro
Altro elemento di continuità è l’uso della violenza. È un ingrediente presente da lunga data, anche se la camorra della
fine degli anni Cinquanta del Novecento e lungo il decennio dei
Sessanta pratica un comportamento più mite, meno aggressivo più funzionale alla mobilitazione e organizzazione delle
proprie risorse per alzare il rendimento delle attività illecite;
quella moderna, invece, ricorre in maniera più intensa, decisiva
e imprevedibile all’azione violenta. Anzi, spesso ne fa un tratto
esclusivo. Se guardiamo al profilo della discontinuità, la prima
cosa riguarda l’estensione dell’attività estorsiva dall’area delle
attività illegali all’area delle attività economiche legali ricadenti
sul territorio di competenza del clan. In alcuni comuni della
provincia napoletana, in tutto il casertano e in molti quartieri
della stessa città non c’è attività economica, impresa, ditta,
bancarella, cantiere edile, spazio in cui girano soldi che non subisca una qualche forma di estorsione. È una tassa dovuta quale
riconoscimento dell’autorità dell’organizzazione sul territorio.
È in genere quella forma di estorsione che assume il carattere
di un bene venduto: la protezione. La sua forma è connessa al
dominio monopolistico o oligopolistico del/dei clan. Piuttosto
che farsi la guerra si dividono il territorio e su questo sviluppano le altre attività e gli altri traffici: piazze di spaccio; usura;
contrabbando di sigarette; lotto clandestino; contraffazione;
controllo della prostituzione, delle aste pubbliche, delle attività
delle bande criminali, della microcriminalità, fino ad arrivare al
controllo amministrativo ed elettorale funzionale a intercettare
risorse pubbliche.
Un altro elemento di discontinuità è dato dalla presenza, spesso, della doppia estorsione. Ovvero, l’imprenditore o
commerciante paga due volte perché da distinti clan subisce
l’estorsione. E poiché l’estorsione non ha più solo il carattere
del prelievo stabile, della percentuale o dell’una tantum, ecco
l’altra discontinuità: a queste forme si associa l’imposizione di
forniture, di prodotti, servizi, e anche personale, nonché l’uso di
tegie della criminalità organizzata di tipo mafioso, periodo 1° luglio 2012-30 giugno 2013,
Roma, gennaio 2014, p. 711.
una regolazione sociale violenta
111
beni o servizi appartenenti alla vittima62. Un’ulteriore distinzione è l’estorcere merce che poi viene rivenduta e imposta ad altri
negozianti. Queste diverse forme non si escludono ma in molti
casi convivono. Da qui un tartassamento, una vittimizzazione
degli operatori economici che rende il contesto impraticabile a una economia pulita, sana, liberamente concorrenziale.
All’attività estorsiva, spesso, si associa anche quella usuraia
che aggrava il carattere di mortificazione, di violenza che molto
tessuto sociale in questa regione subisce. Spesso la sua finalità
è l’appropriazione dell’attività economica, imprenditoriale o
comunque mantenerne il controllo.
Un’altra forma estorsiva discende dalla fragilità e fluidità di
molti clan che tendono ad assumere un alto profilo criminale
ma non ne hanno forza e tempo rendendo il quadro discontinuo rispetto al passato, ma anche più complesso: la presenza
di una quota di estorsioni che ha un carattere disordinato o
addirittura predatorio. Disordinato perché il ciclo breve di vita/
morte di clan minori genera il fenomeno della doppia estorsione; predatorio perché, in genere l’estorsione può servire a un
gruppo criminale per costruirsi il profilo criminale, rendere visibile sul territorio la propria presenza, accreditarsi pur senza una
progettualità, senza che l’attività sia inserita in un time-table
criminale: il comportamento estorsivo di questo tipo non reciproca nulla. Altro che protezione privata offerta in concorrenza
allo Stato: essa assume solo il carattere di un prelievo forzato,
una imposizione senza controprestazione. Anzi è millantata
una protezione che si sa non essere ancora capaci di garantire.
62. Il caso prima illustrato del clan Ascione-Papale e Birra-Iacomino di Ercolano è
sintomatico. La casistica giudiziaria ci mostra che non sono mancate estorsioni che si
sono espresse nell’imposizione di una tangente “una tantum” o nella dazione gratuita
di merce o nell’effettuazione di servizi senza ricevere alcun corrispettivo. Nel corso
delle indagini ad Ercolano è emerso che l’assenza di un accordo di spartizione tra i
due clan del territorio negozianti, imprenditori e gestori di attività economiche varie
pagavano all’uno e all’altro clan con cifre che si aggiravano dai 100 euro ai 2000 euro
a volte mensili, quadrimestrali o “una tantum” a secondo dell’esercizio o dell’attività
economica e della capacità contributiva. Un vero e proprio elenco contenente oltre
100 esercizi commerciali è stato ritrovato da agenti della polizia in casa di uno degli
affiliati con l’indicazione della cifra pagata.
112
giacomo di gennaro
Questa forma criminale la si registra spesso nella città di Napoli
ed è una conseguenza della densità dei gruppi criminali, della
detenzione prolungata di capi clan, dell’arresto e immediato
indebolimento delle ali militari di un clan, delle nuove alleanze
che rafforzano un gruppo ma indeboliscono un altro. Su territori contigui, spesso, agiscono più famiglie, spesso tra loro
legate anche in forza di vincoli parentali, ma anche più bande
che spontaneamente tentano la scalata criminale. Cercano di
imporsi nella gestione delle piazze di spaccio (molto più redditizie), ma per farlo necessariamente devono imporsi sul territorio. È da qui che nasce l’esigenza di appropriarsi del mercato
dell’estorsione. La sua riuscita significa l’elevata probabilità di
imporsi sugli altri traffici. È questa dinamica che conferisce, in
un orizzonte temporale che è considerato di breve durata, allo
scenario cittadino criminale un elevato tasso di conflittualità
investendolo di una proprietà violenta e intensa che, al di là dei
costanti “regolamenti di conti” che segnano l’agenda mensile
del crime time, esplode con le faide, o le guerre di camorra generate o da scissioni, o da tentativi di predominio nell’ambito
della geografia criminale, o da assestamenti nel panorama delle
cooperazioni momentanee63.
63. È da sottolineare che pur in un allarmante scenario di generale assuefazione
dell’opinione pubblica alla presenza della camorra considerata a Napoli come un fatto
“endemico”, una fenomeno strutturale della vita sociale, ciò che lascia sgomenti è
la lunga scia di morti innocenti conseguenti appunto alle guerre e faide, o ad azioni
non pianificate che certamente non sono tipiche dei consorzi associativi mafiosi che
controllano con autorevolezza il territorio. Le forme di angusta ferocia che sprigionano gli eventi omicidiari segnano spesso l’atroce destino della vita innocente di molte
donne, giovani, ragazze, uomini, anziani, bambini che incrociano per solo un attimo
fatale l’immediatezza della barbarie assassina. È così lungo l’elenco che solo per dare
sostanzialità alle affermazioni richiamiamo per l’area metropolitana napoletana le
tragiche esperienze vissute della morte di persone del tutto estranee ai contesti criminali entro cui erano state programmate le spedizioni omicidiarie: l’omicidio di Silvia
Ruotolo, al Vomero, nel 1997; l’omicidio di Paolo Castaldi e Luigi Sequino, a Pianura,
nel 2000; l’omicidio della piccola Valentina Terracciano, a Pollena Trocchia, ancora nel
2000; l’omicidio di Dario Scherillo a Casavatore, nel 2004; l’omicidio di Attilio Romanò,
nel 2005, a Scampia; l’omicidio di Gelsomina Verde, nel 2004, nel corso della prima
tragica e lunga faida di Scampia; l’omicidio di Domenico Noviello nel 2008, di Nicola
Nappo nel 2009, di Vincenzo Liguori nel 2011, di Pasquale Romano nel 2012, di Vincenzo
Ferrante nel 2014.
una regolazione sociale violenta
113
Discorso diverso vale per le province di nuovo insediamento o nelle quali si ambisce a creare radicamenti. Le province di
Avellino, Benevento e Salerno presentano panorami diversi
dovuti o a influenze esterne, come nel caso del Beneventano i cui territori più confinanti con l’area casertana risentono
dell’estensione dei clan afferenti alla federazione dei casalesi
che, dopo un momento di sconvolgimento dovuto alla cattura di Michele Zagaria – avvenuta nel cuore del suo feudo a
Casapesenna (Ce) il 7 dicembre 2011 – dopo appena un anno
dall’arresto di Antonio Iovine (altra figura apicale del cartello
dei casalesi), stanno riorganizzando con una più accentuata autonomia operativa e in forme più mimetiche il ferreo
controllo del territorio, ritornando alla rigida applicazione
dell’attività estorsiva un tempo non necessariamente imposta sia a tutti che in tutti i territori e alla più lucrosa attività di
riciclaggio, specie nel privilegiato settore dell’edilizia, dei cospicui profitti delittuosi. Oppure il panorama è caratterizzato
dalla presenza di clan più “storici”, che hanno un radicamento
territoriale e una storia criminale più datata, come gli Sperandeo a Benevento, alleati con il clan Pagnozzi, o il clan Cava di
Quindici (Av) antagonista storico dei Graziano presenti non
solo nello stesso territorio ma con influenze e propaggini nei
comuni di Bracigliano e Mercato S. Severino della provincia
di Salerno. In quest’ultima città la ripresa egemonica dei clan
Panella-D’Agostino conferisce un carattere più monopolistico
alla gestione dei traffici e delle attività criminali, così come assume analogo profilo a Nocera Inferiore e Superiore, sempre
nel salernitano, l’azione dello storico clan dei Mariniello e a
Battipaglia il dominio del clan De Feo.
In queste realtà territoriali la pratica estorsiva è generalmente estesa e assume il carattere di controprestazione per un “servizio offerto”: la protezione. E infatti è molto sovente il caso di
commercianti, imprenditori, affaristi che in tali aree siano essi
stessi a ricercare la copertura del clan per entrare o restare in un
determinato affare (spesso nelle gare di appalto; oppure nelle
costruzioni, ecc.). L’estorsione è «uno dei banchi di prova per
misurare la supremazia del clan sul territorio, testare la fedeltà
114
giacomo di gennaro
di esattori e cassieri, valutare l’efficienza di nuove leve tratte sovente dai ranghi della microcriminalità in incombenze di minore
complessità quali il pattugliamento del territorio, il recapito delle
richieste di denaro, l’esecuzione di rappresaglie»64.
2.2 La dimensione quantitativa del fenomeno: tentativi
di stime
È difficile dare conto in genere della dimensione quantitativa
dell’estorsione: un reato ove è presente in modo rilevante
il numero oscuro. Ancor più difficile stimare quanto i gruppi
criminali ricavino da essa, nonostante negli ultimi anni si sia
prodotta in Italia una gara fra enti, osservatori, centri di ricerca a realizzare il rapporto più attendibile e suadente. Molte sono le stime rese sul costo economico sostenuto dalle
imprese la cui attendibilità, tuttavia, è fortemente discussa
sia perché è oscurata la metodologia adottata, sia perché si
contemplano tipologie molto limitate, sia perché, infine, hanno un carattere quasi esclusivo di analisi vittimologica65. Se
64. Cfr. direzione investigativa antimafia (dia), Relazione del Ministro dell’Interno al
Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Dia, i semestre 2014, Roma,
p. 232.
65. Da anni il rapporto della Confesercenti, “sos Impresa”, fornisce dati a riguardo
dando conto dell’oscillazione che il fenomeno manifesta nel Paese, senza tuttavia
fornire elementi di controllo della metodologia adottata. Secondo il Rapporto 2011, il
prelievo ha raggiunto i 9 miliardi di euro di cui 5,5 mld dal solo settore del commercio,
nel quale sono colpiti 160 mila esercenti (40 mila nella sola regione Campania cui si
aggiungono altre 10mila imprese di altri settori che fa salire la contribuzione coatta
complessiva regionale a 4,5mld di euro); cfr. Id., Le mani della criminalità sulle imprese.
xiii Rapporto 2011, Alberti, Reggio Emilia 2011; e dello stesso, Focus Campania (2012). Il
xiii Rapporto (Confesercenti 2011), ad esempio, stima che il ricavo lordo della “Mafia
Spa” sia intorno ai 140 miliardi di euro, con un profitto netto intorno ai 100 miliardi.
L’indagine di vittimizzazione di Transcrime (2012) di cui si è già detto, per esempio,
registra in Campania sul totale delle imprese campionate una percentuale di imprese
vittimizzate dall’estorsione pari all’85,3% (p. 10), ma l’intera indagine non offre alcun
elemento né stima i ricavi che derivano dall’estorsione. Cosa che, invece, si può evincere dallo studio già citato e realizzato per il Ministero dell’Interno (Pon Sicurezza
2007-2013, I beni sequestrati e confiscati alle organizzazioni criminali nelle regioni
dell’Obiettivo Convergenza), Transcrime (2013), Gli investimenti delle mafie, dal quale
emerge: a) l’attività estorsiva nel Paese costituisce la seconda fonte (4,7mld di €) di
una regolazione sociale violenta
115
davvero si vuole contribuire a illuminare tali fenomeni e a non
destare infondati allarmi, sarebbe il caso che le pubblicazioni
e le ricerche fondassero su una rigorosa, esplicita, visibile e
giudicabile metodologia scientifica le proprie stime e la costruzione degli indici di misura. Ciò perché l’allarme alimenta
il senso di insicurezza, ma spesso il primo rischia di essere
valutato anche come orientato strumentalmente e facilmente
confutabile se non basato su dati verificabili. D’altra parte, se
sulle estorsioni è accertato che il numero oscuro è elevato,
basti osservare lo scarto tra le denunce ufficiali pervenute ogni
anno all’autorità giudiziaria e i dati assoluti degli esercenti
o imprenditori “stimati” nei diversi rapporti, vuol dire che:
a) o la fiducia nelle forze dell’ordine e nella stessa autorità
giudiziaria è talmente bassa che la denuncia è considerata
più una esposizione a un rischio piuttosto che una ribellione
e affidamento protettivo nelle mani dello Stato66; oppure b)
la raccolta delle informazioni da parte di molti organismi di
ricerca si basa su strumenti che sovrastimano i dati, senza
per giunta orientare verso un percorso di emersione legale (e
legittima) la domanda di intervento dello Stato; o, terza considerazione c) ma sarebbe molto grave, il clima di impudenza
nel nostro Paese è tale che la convenienza a non denunciare
è superiore, per un numero molto vasto di assoggettati, alla
ribellione. In un modo o nell’altro questo operare, al di là delle
pur comprensibili reticenze degli operatori economici, non
ricavi illegali; b) in Campania è stimato un ricavo pari a 1,4 mld circa di € all’anno (quasi
il 30% dell’ammontare delle estorsioni dell’intero territorio nazionale; c) Campania e
Calabria presentano una incidenza nei valori medi dei mercati illegali sul Pil regionale (media 2007-2010) più alta: rispettivamente 3,5% e 3,3%; d) l’incidenza dell’attività
estorsiva sul totale dei ricavi illegali regionali è pari in Campania al 40%, in Calabria al
50%, in Sicilia al 32% e in Puglia al 26%; e) la Camorra fa registrare la percentuale più alta
di ricavi tra tutte le attività illegali che sono state stimate: da un minimo di 2,9 mld di
€ a un massimo di 4,5 mld €.
66. Per es. dal Rapporto Confesercenti pubblicato nel 2011 si riporta che sono 160 mila
i commercianti colpiti dal racket. Nello stesso periodo in Italia si registrano appena,
secondo fonte sdi, 4.956 delitti commessi e 6.099 denunce raccolte con un numero
di persone denunciate o arrestate che raggiunge gli 8.592 e un rapporto tra questi e
le denunce pari a 1,4 per lo stesso periodo. Vedi il capitolo 3 in questo lavoro curato
da Maria Di Pascale.
116
giacomo di gennaro
incrina il clima spesso di omertà che attanaglia le vittime, né
contribuisce a rompere il circuito vizioso intimidazione-pauraestorsione-controllo del territorio che è proprio ciò sul quale
si basa la forza delle diverse organizzazioni criminali. E qui
veniamo a un punto fondamentale.
Oggi chi vuole approfondire e studiare le condotte dei criminali può realizzarlo in modo sempre più esteso e approfondito.
In passato le mafie erano organizzazioni segretissime, delle
quali si sapeva pochissimo, vista l’omertà imperante. Oggi dei
mafiosi si sa non soltanto quanto hanno rivelato e vanno rivelando i singoli collaboratori di giustizia, ma anche tutto ciò che
emerge da indagini patrimoniali e bancarie, perquisizioni, ritrovamenti in occasione della cattura di latitanti (come i “pizzini”
e i “libri mastri”), intercettazioni telefoniche, telematiche e
ambientali, appostamenti, pedinamenti, perlustrazioni, videocamere, tabulati telefonici, posizione nello spazio e nel tempo
dei segnali provenienti dai cellulari, incroci di transazioni, analisi
di laboratorio tramite tecnologie sempre più avveniristiche,
e così via. Oltretutto le reti criminali, le famiglie, le cosche e
i clan mafiosi non sono impenetrabili come una volta, per lo
meno non tutte. Prendiamo un momento in considerazione le
brecce che si sono determinate per effetto dei collaboratori
di giustizia. Intanto è da sottolineare che tra le diverse mafie
nostrane i clan di camorra appaiono quelli che manifestano
una maggiore esposizione alla defezione dei propri adepti. Il
più alto numero di collaboratori di giustizia (l. 15 marzo 1991
n. 82, c.d. “pentiti”), infatti, si registra fra la camorra, mentre
tra i testimoni di giustizia (modifiche alla legge del 1991; l. 13
febbraio 2001, n. 45) prevalgono gli aderenti alla ’ndrangheta.
I collaboratori di giustizia che provengono dalle fila dei clan di
camorra costituiscono oggi il 43,8%, a fronte degli omologhi provenienti dalla famiglie mafiose che rappresentano il 25,8% del
totale. Nel grafico sottostante e nella tabella B21 in appendice
i dati aggiornati al dicembre del 201367. Come si vede, dopo il
67. Innanzitutto, a partire dal 1995, dopo l’immediatezza del primo biennio che fa
registrare qualche punta avanzata, l’adesione a tale posizione è scelta da un numero
una regolazione sociale violenta
117
2003 vi è una riduzione di adesioni al piano alternativo previsto
dalla legge sui collaboratori di giustizia e dura fino al 2006 per
poi risalire fino a oggi.
Grafico 1 - Collaboratori di giustizia e testimoni dal 31/12/1995 al
31/12/2013
Fonte: Ministero dell’Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza
In sintesi tutto il primo decennio (1995-2005) – coincidente
con la più intensa e dura fase di contrasto realizzata dallo Stato nei confronti della Mafia all’indomani delle stragi di Capaci
e di Via D’Amelio, nonché degli attentati a Milano, Firenze e
Roma – fa registrare una maggiore defezione tra le fila proprio delle cosche mafiose, mentre il numero degli aderenti
più o meno stabile di persone che, specialmente fra le fila delle famiglie mafiose, costituiscono la parte preponderante. Tra i collaboratori di giustizia provenienti dalla mafia
per un decennio si registra una defezione dalle cosche pari a poco più di 1/3 del totale;
cfr. Relazione al Parlamento sulle speciali misure di protezione sulla loro efficacia e sulle
modalità generali di applicazione, Roma 2013. Alla fine del 2013 risultavano censiti complessivamente 1.224 titolari di programma di protezione, ripartiti in 1.144 collaboratori e
80 testimoni; i familiari sono 4.617 (di cui 267 per i testimoni e 4350 per i collaboratoti),
che costituiscono nel loro insieme una popolazione protetta ammontante a 5841 unità,
con un incremento rispetto al semestre precedente (gennaio-luglio 2013) pari a 318
unità (n. 44 collaboratori o testimoni e n. 274 familiari (p. 1).
118
giacomo di gennaro
ai diversi clan di Camorra non raggiunge mai le adesioni dei
mafiosi ma, a differenza di questi, è in sostanziale costante
aumento68. Viceversa, tra le organizzazioni straniere la quota
dei collaboratori in tutto il primo periodo (dal 1995 al 2002)
è, in proporzione, più elevata perfino dei componenti il gruppo proveniente dai clan di camorra, per poi costantemente
contrarsi fino a raggiungere percentuali inferiori a tutte le
altre componenti criminali. Questa performance, tuttavia,
contrasta con le più recenti analisi provenienti dall’intelligence investigativa che sottolinea, viceversa, l’aumento della
presenza nei traffici illegali e nella criminalità specie negli
ultimi anni nel territorio nazionale delle aggregazioni di matrice estera, e ciò indipendentemente dai più recenti allarmi
connessi al terrorismo, tant’è che tra le diverse matrici estere
la criminalità albanese ha acquisito una posizione di primo
piano nello scenario delinquenziale nazionale, sia per effetto
dei collegamenti con le organizzazioni mafiose nostrane che
per le sinergie con organizzazioni dell’Europa dell’Est e le
consorterie maghrebine69.
68. Sintomo di una non condivisione della strategia militare-stragista all’interno delle
diverse famiglie e dei mandamenti aderenti a Cosa Nostra. La percentuale, invece, delle
adesioni alla collaborazione tra le cosche ‘ndranghetiste è sempre bassa sin dall’inizio
della serie, a conferma della forza dei legami di sangue che costituisce l’ossatura su cui
si basano le ‘ndrine, dal momento che un collaboratore di giustizia quasi sicuramente
sarebbe (ed è stato) costretto a chiamare in causa membri della famiglia e parenti
più prossimi. La diffusività contenuta della Sacra Corona Unita, così come delle altre
organizzazioni allogene nel Paese, è alla base dei dati relativi che si osservano tra i
collaboratori di giustizia i quali, tra le due distinte configurazioni aggregative, ciononostante, fanno registrare trends diversi: una sostanziale defezione più o meno costante
fino al 2003 fra gli aderenti ai gruppi pugliesi, con una lieve ascesa delle collaborazioni
a partire dall’anno successivo che stabilmente si mantiene tale fino ad oggi; vedi tab.
B21 in appendice.
69. In particolare emerge che i sodalizi cinesi e albanesi appaiono acquisire connotazioni assimilabili a quelle dei tradizionali raggruppamenti mafiosi e in particolare aspetti
che attengono: «elevato grado di coesione interna; compartimentazione dei ruoli;
spiccata capacità di intimidazione violenta; omertà delle vittime; proiezione internazionale delle attività criminali; disponibilità di armi; capacità di stringere alleanze ad hoc,
limitate a determinati progetti criminali»; cfr. Dia, Relazione del Ministero dell’Interno
al Parlamento, I semestre 2014, op. cit. p. 169.
una regolazione sociale violenta
119
Figura 1 - Aree criminali di provenienza dei collaboratori di giustizia.
Anno 2013
Fonte: Ministero dell’Interno. Relazione sulle speciali misure di protezione.
Ultime due considerazioni: a partire dagli ultimi anni, a conferma del peso che le defezioni dai clan di camorra fanno
registrare, la Commissione Centrale70 ha ricevuto il maggior
numero di richieste dei piani di protezione dalla Procura e dda
di Napoli; relativamente, poi, alle organizzazioni criminali straniere è interessante sottolineare che al 31 dicembre 2013 nel
sistema tutorio italiano «sono inseriti 62 cittadini stranieri di cui
12 beneficiano delle misure destinate ai testimoni e 15 sono di
sesso femminile. La maggior parte di essi, 22 unità, proviene
dalla criminalità comune, 16 sono affiliati alla camorra, 8 alla
’ndrangheta, 6 alla mafia, 3 al terrorismo eversivo, 2 alla sacra corona unita ed infine i rimanenti 5 appartengono ad altre
organizzazioni»71. Come si nota se escludiamo la provenienza
delle unità il cui programma di protezione è determinato dal
70. Istituita presso l’Ufficio Coordinamento e Pianificazione delle Forze di Polizia
del Ministero dell’Interno con il compito di definire e applicare le speciali misure di
protezione, ex art. 10 L. 82/1991.
71. Cfr. ministero dell’interno, Relazione al Parlamento sulle speciali misure di protezione, cit. p. 14. In prevalenza si tratta di cittadini provenienti dai Paesi dell’Est europeo
e dall’Africa.
120
giacomo di gennaro
consumo di reati propri di criminalità comune, la quota più elevata di collaboratori stranieri si registra tra quanti sono affiliati
alla camorra, segnale di alleanze legate al traffico e spaccio
di stupefacenti, nonché di integrazioni criminali straniere o
incrocio di personale straniero nelle reti relazionali criminali,
utili nella filiera di attività finalizzate allo sfruttamento della
prostituzione, all’organizzazione di truffe e nelle falsificazioni.
Si tratta di una dimensione relazionale che più che delinearsi
come affiliazione che genera comportamenti e azioni realizzate
esclusivamente sotto “l’ombrello protettivo” di qualche clan ai
fini del controllo del territorio (nel senso del power syndicate
così come inteso da Block), assume il contenuto di un coinvolgimento esterno al vincolo associativo generato dall’elemento
connettivo che è l’interesse per la conduzione di traffici e affari
illeciti (connotandosi quindi come enterprise syndicate) che costituiscono l’opportunità per dare prova di capacità relazionali
e saperi criminali72.
Queste considerazioni sul ruolo dei collaboratori di giustizia
sono importanti perché oltre ad essere persone che hanno dato, in base a un passato di appartenenza a una organizzazione
criminale o mafiosa, un contributo informativo importante per
scardinare le strutture organizzative e fare luce su obiettivi e
rapporti di connivenza e collusione, costituiscono anche un
indicatore della maggiore o minore chiusura e impermeabilità
di un ambiente mafioso. La capacità di preservare un clima di
omertà e assoggettamento al vincolo associativo costituisce un
elemento discriminante il profilo dell’organizzazione criminale
72. Emblematica è stata l’operazione investigativa «Money & Drugs» condotta dai
carabinieri per oltre un anno dal 2012 e che ha portato nel maggio 2014 all’arresto di 27
tra ghanesi, nigeriani, tanzanesi e italiani ai quali è stato contestato il reato di traffico
e spaccio di stupefacenti; o.c.c. Tribunale di Napoli; cfr. dia, Relazione del Ministero
dell’Interno al Parlamento, i semestre 2014, cit., p. 176. Nella Relazione della dna del
2012 nella parte relativa alle “attività di collegamento investigativo con riferimento ai
Distretti delle Corti di Appello: napoli”, si legge: «Il numero di soggetti di nazionalità
estera scritti per i delitti ex art. 51, comma 3 bis c.p.p. (sono) 180 persone, la cui fetta maggiore ricomprende cittadini nigeriani, a dimostrazione dell’ormai consolidata
presenza criminale di soggetti di tale nazionalità in terra campana, ove si occupano
prevalentemente di traffico di stupefacenti e di sfruttamento della prostituzione», cit.,
p. 644.
una regolazione sociale violenta
121
di stampo mafioso. Non è un caso che fra tutte le nostrane le
’ndrine calabresi producono un numero di collaboratori di giustizia basso, anche se il contributo dei testimoni è leggermente
più alto. Ma come si sa il contributo dei testimoni è connesso
alla testimonianza relativamente all’accadimento di un fatto
delittuoso e spesso le informazioni su beni illecitamente accumulati dalla cosca, su strategie adottate, obiettivi perseguiti,
su logistiche di protezione di importanti boss, sui meccanismi
che regolano le forme di investimento, risultano scarse.
Ecco perché per studiare e capire l’impatto sull’economia
dei sodalizi criminali di stampo mafioso, ovvero il loro condizionamento negativo sui processi di sviluppo occorre affrontarlo
con metodologie rigorose e limitate a gruppi di variabili, mediante indicatori e indici sintetici, che siano replicabili, osservabili, e del cui impatto sia possibile rintracciare e misurare il “peso” ancorché la correlazione tra fenomeni. Chi già fa impresa
nelle aree in ritardo di sviluppo ha vita stentata, e, soprattutto,
chi potrebbe farvi impresa vi rinuncia, dirigendosi altrove. Per
converso, come è stato a più riprese evidenziato tra gli altri
dalla World Bank73, i migliori tassi di crescita e attrazione di
investimenti si riscontrano in nazioni o aree in cui le istituzioni
pubbliche vengono ritenute più credibili dalle comunità degli
uomini d’affari. Con ciò si intende che esse vengono percepite
come intenzionate a, e capaci di, mantenere ferme e condurre
a compimento le politiche intraprese, nonché come dotate di
comportamenti amministrativi e giudiziari prevedibili e competenti, livelli di criminalità accettabili, corruzione non elevata.
Da qui la necessità di individuare con precisione e con cautele maggiori di quanto non sia stato fatto finora, e attraverso
percorsi metodologici controllabili, sia le caratteristiche e le
dimensioni quantitative dei fenomeni illegali, sia le loro conseguenze economiche dirette e indirette. Ciò non soltanto
in omaggio ad un ideale (che non è soltanto un’aspirazione
73. world bank, The State in a Changing World, Oxford University Press, Oxford 1997;
id., World Development Report 2002: Building Institutions for Markets, Oxford University
Press, Oxford 2002.
122
giacomo di gennaro
astratta) di rigore conoscitivo, ma anche perché analizzare i
fenomeni il meno possibile approssimativo ci aiuta anche a
combatterli meglio e a evitare allarmismi o autoflagellazioni
che non servono alla causa. Il ricorso, ad esempio, al materiale
giudiziario (ordinanze di custodia cautelare e relative sentenze, intercettazioni telefoniche e ambientali) è di fondamentale
importanza ai fini della ricostruzione di molti aspetti che i dati
statistici non ci offrono in quanto la singola estorsione viene
letteralmente fotografata o quanto meno fonoregistrata, per
cui è ricavabile una dimensione quantitativa più attendibile e
sulla quale è possibile costruire stime più rigorose; così come si
comprende meglio la trasformazione della modalità attuativa
della pratica, oppure la correlazione tra tipologia di gruppo
criminale e tipologia delle attività illegali; dimensione spaziale
delle stesse, profilo delle vittime, circostanze che rendono più
esposte categorie particolari al rischio di vittimizzazione, ecc. È
questo un punto sul quale, in futuro, occorrerà lavorare molto
e meglio per costruire sinergie virtuose tra strutture di ricerca e
ambiti giudiziari in modo da porre le premesse per nuovi e articolati programmi di ricerca così come avvenuto per altri reati sui
quali il contributo della criminologia si è reso più efficace, nella
consapevolezza che lo sviluppo di tali programmi non può che
apportare reciproci vantaggi con ricadute significative sia per la
comprensione dei soggetti altamente vulnerabili rispetto allo
specifico reato, sia per lo sviluppo delle indagini con inevitabili
ricadute sul piano della prevenzione e del contrasto. D’altra
parte, oggetto di indagine sono i fatti del passato che sono
ricostruiti in base alle tracce rimaste nel presente (c.d. metodo
abduttivo), dove si procede “a ritroso” dal conseguente verso l’antecedente per il tramite di generalizzazioni tratte dalla
scienza e dall’esperienza corrente. Ciò che può essere efficace
per il contrasto all’attività estorsiva è rendere meno “passato”
nelle indagini preliminari ciò che può essere affrontato sul nascere, a partire ovvero dalla fase dell’“aggancio” della vittima.
Il che presuppone, ovviamente, la possibilità di costruire un modello di prevenzione (e di indagine) che basandosi innanzitutto
su una strategia di incentivazione, accumulazione e sviluppo
una regolazione sociale violenta
123
della fiducia nei diversi apparati dello Stato (prioritariamente
forze di polizia e magistratura) da parte di quelle che in questo caso sono “vittime collettive” – in quanto appartenenti a
un particolare gruppo di soggetti, legati da speciali rapporti,
circostanze, interessi – attivi un circuito virtuoso che rompa
la tendenza primaria delle vittime di privatizzare la soluzione
del problema nell’illusoria credenza di venirne fuori o, peggio
ancora, considerare il racket una componente “normale” della
vita regionale. Nessun peggiore impatto devastante per l’integrità delle comunità locali, per l’economia del territorio e lo
scollamento del tessuto sociale potrebbe generarsi se si consolidasse questa idea. Ecco perché, allora, è importante sostenere
e sviluppare l’associazionismo antiracket, perché costituisce
l’espressione di una parte importante degli attori in gioco: è un
modo di sottoscrivere la condivisione di norme di legalità, di collegare la forma di capitale sociale bonding (che come self-help
si sviluppa tra le vittime creando la base per un secondo tipo di
relazioni) a quella bridging (la rete delle relazioni orizzontali fra
le diverse associazioni e soggetti istituzionali che contrastano
o sono interessati a combattere ogni forma di estorsione) e
quest’ultima tradursi in relazioni di “azione” e aggancio (capitale sociale linking) con le istituzioni politiche, le stesse forze
di polizia, la magistratura per aumentare quella che Sampson
e Raudenbusch hanno chiamato «efficacia collettiva»74, ovve74. Sul concetto di “efficacia collettiva” si veda, r.j. sampson, s.w. raudenbush, f.
earls, Neighborhood and Violent Crime: A Multilivel Study of Collective Efficacy, «Science», vol. 227, n. 5328, pp. 918-924; r.j. sampson, j.d. morenoff, f. earls, Beyond Social Capital: Spatial Dynamics of Collective Efficacy for Children, «American Sociological
Review», vol. 64, 1999, pp. 633-660; j.d. morenoff, r.j. sampson, s.w. raudenbush,
Neighborhood Inequality,Collective Efficacy, and Spatial Dynamics of Urban Violence, «Criminology», vol. 39, 3, 2001, pp. 517-560. Più recentemente Sampson dopo un ventennale
periodo di studi e ricerche sulle dinamiche intra e inter-quartiere e i comportamenti
etero-interessati, ha approfondito l’associazione tra dati individuali e dati di quartiere
in un ambizioso lavoro frutto del Project of Human Development on Chicago Neighborhood (phdcn), partito nei primi anni Novanta, fondando – su una corposa analisi
longitudinale e l’uso molteplice di tecniche e metodologie – la tesi che meccanismi e
relazioni di quartiere sono a monte dei problemi di criminalità e disagio, così come degli
indicatori di benessere e progresso; cfr. r. sampson, Great American City. Chicago and
the Enduring Neighborhood Effect, University of Chicago Press, Chicago 2011.
124
giacomo di gennaro
ro un “anticorpo” nel supporto del controllo sociale a livello
di quartiere che coincide con la capacità di mobilitazione di
una comunità territoriale su questioni di mutuo interesse, per
ottenere risultati di sicurezza, di libertà, di controllo sociale,
risposte di policy. Il controllo sociale in un quartiere, in questo
caso, non deve essere inteso come esclusivo dispiegamento
delle forze endogene delle comunità che passa attraverso i
singoli individui o i loro legami più o meno stretti, ma portato
della sinergia, del collegamento costante, interattivo tra la particolare comunità territoriale e i diversi segmenti della società
i quali elaborano una strategia condivisa e articolata di lungo
periodo programmata secondo fasi distinte di informazionepartecipazione-condivisione-denuncia-controllo sì da generare
un effetto moltiplicatore di una cittadinanza più responsabile e
di un migliore rendimento dell’azione delle istituzioni.
È lo snodarsi di queste interazioni che crea precondizioni
virtuose per lo sviluppo di opportunità economiche e sociali.
Noi sappiamo, ed è ormai acquisito, che la presenza nelle aree
territoriali della criminalità organizzata, così come una diffusa corruzione, o una incerta se non debole applicazione delle
norme amministrative utili alla gestione dell’economia costituiscono un disincentivo per potenziali investitori esterni. oecd,
imf, wto, World Bank, così come le agenzie di rating parlano
al riguardo di business climate o di business environment, un
concetto che è diventato sempre più importante via via che si
sono aperte le economie nazionali, si sono globalizzati i mercati, e si sono affacciati ad essi Paesi come quelli dell’Europa
dell’est e di recente Cina, India, Brasile. Gli investitori, sia locali,
sia soprattutto stranieri, cercano un business climate favorevole. Quest’ultimo dipende anche da aspetti quali la pressione
fiscale, il sistema di regolazione dell’attività d’impresa75, la dotazione infrastrutturale e di servizi, la presenza di vantaggi o
svantaggi competitivi in relazione a materie prime, costo del
75. oecd, Regulatory Policies in OeCd Countries. From Interventionism to Regulatory
Governance, Paris 2002; id., Review of Regulatory Governance in South East Europe, Paris
2003.
una regolazione sociale violenta
125
lavoro, disponibilità di capitali, aiuti pubblici, perifericità, possibili connessioni con altre attività produttive, distretti, saperi
locali, e ancora dotazione di un “capitale sociale” immateriale
rappresentato dal senso civico e dal livello di qualità della vita.
E come si sa molti di questi aspetti, anche se non tutti, dipendono dalle caratteristiche dell’intervento pubblico. D’altra parte,
com’è intuibile, il business climate è condizionato anche, dal
rilievo che concretamente assumono le diverse forme di illegalità di cui si detto in precedenza, che a loro volta possono
incidere su alcuni degli aspetti appena menzionati. L’indicazione che ricaviamo da molti studi di matrice economica che
stimano gli effetti della presenza del crimine organizzato sia
su determinati settori di attività economica che su produttività, minori investimenti dall’estero, riduzione dei margini di
profitto e di attività, alterazione della concorrenza sui mercati,
rischiosità e costo del credito superiore, e altro ancora, sono
tutti aspetti che ci offrono la misura discriminante del peso
della criminalità organizzata76. È in questa prospettiva, quindi,
76. Cfr., m. centorrino, f. ofria, L’impatto criminale sulla produttività del settore privato dell’economia. Un’analisi regionale, Giuffrè, Milano 2001; id., Criminalità organizzata e
produttività del lavoro nel Mezzogiorno: un’applicazione del modello “Kaldor-Verdoorn”,
«Rivista Economica del Mezzogiorno», n. 1, 2008, pp. 163-189; m. centorrino, m. limosani, f. ofria, Il pedaggio dello sviluppo: come la criminalità organizzata taglieggia il
profitto nelle regioni meridionali, Palomar, Bari 2003; v. daniele, u. marani, Criminalità
e investimenti esteri. Un’analisi per le province italiane, «Rivista Economica del Mezzogiorno», n. 1, 2008, pp. 189-218; v. daniele, Organized crime and regional development.
A review of the Italian case, in «Trends in Organized Crime», 12, 2009, pp. 211-234; a.m.
lavezzi, Economic Structure and Vulnerability to Organized Crime: Evidence from Sicily,
«Global Crime», Vol. 9, n. 3, 2008, pp. 198-220; g. ciaccio, La criminalità organizzata
nelle regioni meridionali: effetti sullo sviluppo economico e sul costo dei servizi pubblici
locali, «Economia Pubblica», vol. 39, n. 1-2, 2009, pp. 91-114; e. bonaccorsi di patti,
Weak institutions and credit availability: the impact of crime on bank loans, Bank of Italy,
Occasional Papers, 52, July 2009; s. busso, l. storti, I contesti ad alta densità mafiosa:
un quadro socio-economico, in r. sciarrone (a cura di), Alleanze nell’ombra. Mafie ed
economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno, Donzelli, Roma 2011, pp. 67-94; p. pinotti,
The economic costs of organized crime: evidence from Southern Italy, Banca d’Italia,
working papers, n. 868, april 2012; m. arnone, e f. ofria, Criminalità e rischiosità dei
crediti: un’analisi per le banche di credito cooperativo, «StrumentiRES», v, 5, 2013 http://
www.strumentires.com/attachments/article/482/Arnone-Ofria_credito_cooperativo.
pdf; g. barone, g. narciso, The effect of organized crime on public funds, in «Temi di
discussione», 916, 2013, Banca d’Italia, pp. 5-34.
126
giacomo di gennaro
che va considerato il peso dell’attività estorsiva e dello stesso
ricorso all’attività usuraia che, sebbene non faccia capo in maniera sistematica, costante e pervasiva in Campania ai clan, è
pur vero che quando questi la consentono sul territorio che
dominano – premesso che sul gruppo che la pratica ne impongono royalties – permette di investire i proventi illeciti di altre
attività criminali, utilizzando intermediari che svolgono la vera
e propria attività usuraria e senza contatti diretti con la vittima
dell’usura. Il carattere redditizio di tale attività evidenzia un
interesse sempre più penetrante dei clan verso tale attività. I
prestiti usurari o non vengono mai erogati direttamente dagli
appartenenti all’organizzazione, oppure questi si avvalgono di
terze persone, delle quali essi rappresentano di fatto gli effettivi
soci finanziatori.
«In questa logica operativa il modulo operativo che si riscontra nelle vicende ordinarie di usura, ovvero l’appropriazione dei
beni della vittima insolvente da parte dell’usuraio si inserisce
in una dinamica più ampia che vede l’organizzazione mafiosa
arricchirsi e penetrare l’economia legale attraverso una appropriazione non più legata al singolo usuraio, ma rientrante nelle
strategie economiche dell’intera organizzazione mafiosa o di
tipo mafioso»77. Ecco perché è importante nella costruzione di
una politica seria di contrasto il coinvolgimento delle banche
perché la politica del credito agli imprenditori, specie in territori
e ambienti contaminati dalla presenza del crimine organizzato,
non è scevra da effetti perversi, al punto da esporre gli uomini
di affari, come è ormai acquisito, al credito usuraio78.
I tentativi, come abbiamo detto, di stimare i costi delle attività
illegali e il loro peso sull’economia dei singoli territori o delle ripartizioni territoriali più ampie è un esercizio che da un po’ di anni si va
77. Cfr. m. de lucia, Le attività della Sezione contrasto patrimoniale alla criminalità
organizzata: Racket e usura, in direzione nazionale antimafia, Relazione annuale, Roma
2012, cit. p. 304.
78. Cfr. g. di gennaro, r. marselli, op. cit., pp. 789-793; nonché, m. arnone, f. ofria,
Gli effetti della crisi e della criminalità organizzata sui profili gestionali delle banche locali
italiane: un’analisi comparata Nord Centro e Sud, xxxiv, Conferenza Scientifica Annuale
dell’aisre, Palermo, 2-3 settembre 2013; m. arnone, f. ofria, Criminalità e rischiosità dei
crediti: un’analisi per le banche di credito cooperativo, cit., pp. 5-13.
una regolazione sociale violenta
127
estendendo anche in Italia79. “sos impresa”, per esempio, stima da
diversi anni, tra l’altro, l’ammontare dei flussi di denaro destinati al
pagamento del pizzo, il numero dei soggetti colpiti, le differenze di
intensità dell’estorsione da una regione all’altra. Secondo questa
importante fonte in Sicilia il 70% dei commercianti ha pagato il
pizzo, talora con picchi dell’80% o più, in province quali Palermo,
Trapani, Agrigento, Caltanissetta, Catania, Messina. In Campania
sarebbero 40.000 i commercianti coinvolti (il 40% del totale) con
una intensità forte (“zone rosse”) a Napoli, Caserta e Salerno e
una minore (“zone gialle”) ad Avellino e Benevento. In Calabria la
percentuale dei commercianti coinvolti sarebbe maggiore (50%)
con una più estesa diversificazione dell’intensità80 Si tratta di un
contributo che per un verso sintetizza alcune delle conoscenze che
abbiamo sul fenomeno (ricavate anche dalle indagini giudiziarie e
dalle operazioni delle forze dell’ordine) e per altro è finalizzato ad
accrescere la sensibilità degli stessi commercianti alle tematiche
in questione, sollecitandoli a una resistenza contro il racket e l’usura. Tuttavia, se ci soffermiamo su quei risultati più connessi alla
quantificazione dei costi dell’attività estorsiva, non si evince quale
sia il percorso seguito, per cui anche le stime al netto dei profitti
appaiono arbitrarie.
Altra fonte l’Eurispes: nel 2003 ha indicato in 100 miliardi di
ricavi l’ammontare dei profitti realizzati dalle quattro maggiori
organizzazioni mafiose (Cosa nostra, camorra, ’ndrangheta e
79. I due approcci base che nella letteratura economica stimano i costi illegali si distinguono per due metodi detti “bottom up” o “top down” e stimano costi c.d. diretti/
indiretti, tangibili/intangibili. I costi diretti sono quelli sostenuti dalle vittime, quelli
indiretti sono le perdite a carico della comunità in generale; i costi tangibili coincidono
con la spesa pubblica per la sicurezza, la perdita di salario, i danni alle proprietà. Infine,
i costi intangibili si riferiscono alla paura, alla sofferenza, al dolore e al calo della qualità
della vita; su questi aspetti vedi, m.a. cohen, Pain, Suffering and Jury Awards: a Study
of the Cost of Crime to Victims, «Law and Society Review», 22, 1988, pp. 537-555; id,
Measuring the costs and benefits of crime and justice, in Measurement and Analysis of
Crime and Justice, Criminal Justice 2000, vol. 4, Office of Justice Programs, Department
of Justice, Washington dc (usa), 2000, pp. 263-315; s. brand, r. price, The Economic
and Social Costs of Crime, «Home Office Research Study», n. 217, Home Office, London
2000; d.a. anderson, The Aggregate Burden of Crime, «Journal of Law and Economics»,
42, 1999, pp. 611-642.
80. Cfr. sos impresa, Le mani della criminalità sulle imprese. xiii Rapporto di Sos Impresa, Aliberti, Reggio Emilia 2011, p. 62.
128
giacomo di gennaro
Sacra corona unita). In particolare, il narcotraffico genererebbe
da solo più di 59 miliardi di euro. Sempre Eurispes, nel 2008,
ha affermato che il volume d’affari annuale della sola ’ndrangheta sarebbe pari a 44 miliardi di euro. Più di metà di tale cifra
deriverebbe dal settore degli stupefacenti. “Soltanto” cinque
miliardi di euro annui deriverebbero dall’estorsione. È in effetti plausibile che nel caso della ’ndrangheta il traffico di droga
generi introiti assai cospicui. Ma come si è arrivati a ritenere
corretta proprio quella cifra? L’istituto di ricerca parla di un
“indice di penetrazione mafiosa”, ma non è chiara la relazione
tra questo e le stime suddette81.
Vi sono poi indagini come quella svolta da Fondazione bnc
e Censis (2003), intesa a stimare, dopo la somministrazione di
questionari a un campione di imprenditori, la percezione della
diffusione di fenomeni quali l’estorsione e l’usura, il sentimento
di insicurezza, gli atteggiamenti relativi all’associazionismo antiracket. Il tipo di rilevazione effettuata e la natura dei fenomeni e
degli atteggiamenti degli imprenditori (necessariamente cauti,
vista la temibilità e la forza intimidatoria delle organizzazioni
mafiose) fanno sì che i dati ottenuti non siano particolarmente
attendibili come misure dell’illegalità. Infatti, soltanto il 14,3%
degli intervistati ritenevano che l’estorsione fosse “molto diffusa”. Circa la metà degli intervistati, invece, ritiene che sarebbe
“poco diffusa”, mentre per il 35,1% sarebbe “inesistente”. È
evidente come tali dati siano in contrasto non solo con le stime – sia pure discutibili – di sos impresa, ma soprattutto con
le risultanze delle indagini giudiziarie. Per altro verso, il 65,5%
degli intervistati nel Mezzogiorno ha affermato – contraddittoriamente con quanto sembrano indicare i dati prima riportati
relativi alle loro stesse risposte – di non poter svolgere liberamente la propria attività per via di condizionamenti esterni, e
più di un quarto ha dichiarato di sentirsi spinto a considerare di
ritirarsi dall’attività. Il 42,5% degli imprenditori inclusi nel campione ha altresì detto che, pur potendo aumentare il proprio
81. Cfr. a. la spina, a. scaglione, I costi dell’illegalità, in «Nuova informazione bibliografica», 1, 2011, pp. 79-99.
una regolazione sociale violenta
129
fatturato, non lo fa perché non sente di operare in un ambiente
sicuro. Sulla base di tali dati, il Censis stima che le organizzazioni criminali drenino circa 7,5 miliardi di euro all’anno, il che
rappresenterebbe una mancata crescita del Pil meridionale del
2,5%, e giustifica il divario tra il Sud e il Centro-Nord del Paese.
Si tratta di una conclusione rilevante, che tuttavia si fonda su
dati inattendibili, ed è pertanto inattendibile essa stessa.
Altri studi del genere non hanno dato migliori risultati. Nel
2006 il Censis ha svolto una seconda rilevazione (pubblicata
nel 2009) con un questionario a risposte chiuse somministrato a 800 imprenditori siciliani, campani, calabresi e pugliesi.
Solo il 30,9% di essi ha dichiarato di avvertire una limitazione
apprezzabile o rilevante della propria libertà d’impresa da
parte della criminalità organizzata. Una larga parte dei rispondenti siciliani (54,4%) e calabresi (49,4%) ha ritenuto il proprio
contesto abbastanza o molto sicuro, mentre solo per l’8,5%
in Calabria per il 7,8% in Sicilia si verificano minacce frequenti
alla sicurezza.
Gfk-Eurisko per Confcommercio (2007) ha inviato ben
60.000 questionari a commercianti, di cui solo 3.750 sono rientrati, quindi con un tasso di risposta del solo 6,3% (ma del
2,3% in Sicilia, del 2,4% in Campania e del 3,3% in Puglia, Basilicata
e Calabria). Un campione auto-selezionato del genere difficilmente dà risultati plausibili. Infatti, solo il 15% degli operatori
siciliani avrebbe ricevuto minacce o intimidazioni per finalità di
estorsione. Se è così, o è falsa l’idea comunemente accettata
secondo cui in alcune province siciliane il racket del pizzo copre
quasi a tappeto gran parte delle attività economiche; o una
grandissima parte degli operatori paga spontaneamente, senza
che si arrivi a intimidazioni e minacce; o – cosa più probabile – il
dato è comunque scorretto, vista l’improprietà del percorso
seguito per costruirlo.
Va ricordata, infine, l’indagine di vittimizzazione effettuata
per il Ministero dell’Interno nel 2008 da Transcrime. Anche in tal
caso è stato somministrato un questionario, stavolta a un campione di 83.136 aziende indicate dall’Istat (l’Istituto nazionale
di statistica italiano). Circa il 14% del campione (11.447 soggetti)
130
giacomo di gennaro
ha risposto. Si tratta del più vasto studio di vittimizzazione finora svolto su aziende in Italia. 4 su 10 dei rispondenti hanno
dichiarato che la loro impresa era stata vittima di un reato nei
12 mesi precedenti la somministrazione, il che evidenzia un tasso di vittimizzazione sette volte superiore a quello registrato
dall’Istat per le persone fisiche (che è pari al 5,7%;)82. I risultati
della rilevazione mostrano che i reati potenzialmente collegati
alla criminalità mafiosa (minacce e intimidazioni, estorsione
e corruzione) sarebbero localizzati soprattutto nell’Italia del
Sud (8,1%), con un tasso che è più del doppio rispetto a quello
riscontrato nel Centro-Nord. Il 25,9% degli operatori che hanno
subito intimidazioni e 77,5% di quelli che hanno subito estorsioni
(soprattutto hotel e ristoranti, esercizi commerciali, imprese
di costruzione) hanno ricollegato tali reati a gruppi mafiosi locali. Dalla rilevazione emerge per un verso una certa presenza
delle mafie al Centro-Nord d’Italia, il che è interessante. Ma
emerge anche un’incidenza del fenomeno mafioso al Sud assai
inferiore alla copertura a tappeto di cui parlano le inchieste
delle forze dell’ordine e della magistratura o fonti come sos
Impresa. Ciò perché il gruppo di rispondenti apparentemente robusto (11.447) si è comunque auto-selezionato, e ancor
più perché, come rilevato prima, quando si tratta di mafia gli
operatori intimiditi e a maggior ragione quelli collusi tendono
a non dare risposte attendibili. Ciò conferma che gli studi di
vittimizzazione non sono una via sempre appropriata quando
si intende analizzare la criminalità mafiosa.
Il successivo rapporto Transcrime sul volume d’affari e sugli
investimenti delle mafie propone stime per importi assai più
contenuti rispetto ai 150 miliardi o giù di lì citati prima: l’1,7%
del Pil, e in particolare, per il 2012, 25,7 miliardi di euro come
importo di tutte le attività illegali (valore centrale entro un intervallo che va dai 17,7 ai 33,7 miliardi), mentre il giro d’affari delle
mafie complessivamente considerate oscillerebbe tra gli 8,3 e
i 13 miliardi di euro. Si tratta dell’analisi più vasta e articolata
82. Cfr. transcrime, Le imprese vittime di criminalità in Italia, g. mugellini (a cura di),
Report n. 16, 2012.
una regolazione sociale violenta
131
finora svolta (nell’ambito del pon sicurezza)83. Questa, peraltro, espone con riguardo ai diversi settori di attività delle varie
organizzazioni mafiose, i vari passaggi metodologici e operativi
compiuti. Oltre a calmierare certe cifre possibilmente esagerate, il rapporto, che riguarda anche la presenza delle mafie nelle
regioni italiane del Centro-Nord, i loro investimenti immobiliari,
le loro attività imprenditoriali, dà anche un contributo a sfatare la raffigurazione corrente delle mafie come entità non solo
dotate di risorse sterminate, ma anche capaci di moltiplicarle
facilmente, insieme alla loro influenza sui politici, l’economia e
le istituzioni, grazie a modernissime e lungimiranti strategie di
investimento e camuffamento. Relativamente all’attività estorsiva Transcrime stima per la Campania, un fatturato di oltre 1,3
miliardi di euro, cioè quasi il 30% dell’ammontare delle estorsioni
dell’intero territorio nazionale (4,7 miliardi di euro). Seguono la
Sicilia con quasi 700 milioni, la Calabria con 564 milioni e la Puglia con 454 milioni di euro84. L’analisi sociologica svolta mostra,
però, che le politiche di investimento mafioso sono poco remunerative, in genere tradizionaliste, nel complesso inefficienti. Il
che non significa che i mafiosi non siano tuttora potenti e non
abbiano fruttuosi rapporti con alcuni “colletti bianchi”, anche
dentro il settore pubblico. Ma non bisogna mitizzarli. Anche
perché, così facendo, in effetti li si rafforza. Tuttavia, l’analisi di
Transcrime va in direzione leggermente opposta da quanto si
ricava dallo stesso Rapporto Europol (2013) per il quale a fronte
dei 3.600 clan criminali esistenti in Europa, le organizzazioni
mafiose italiane rappresentano ancora la più grave minaccia
per i Paesi dell’Unione essendo fortemente presenti nel traffico
degli stupefacenti su larga scala, nel riciclaggio del denaro, nella
contraffazione e nei crimini ambientali85.
83. Cfr. transcrime, Gli investimenti della mafie, www.transcrime.it/pubblicazioni/
progetto-pon-sicurezza-2007-2013, pp. 2-3.
84. Ivi, p. 63. Nello specifico per la Campania si indica un ricavo da estorsioni periodiche
pari a € 1.088,54 milioni all’anno, da estorsioni una tantum € 124,33 milioni, dal settore
delle costruzioni € 170,82, per un totale di € 1.383,68 milioni per il 2011.
85. europol socta 2013, european police office, eu Serious and Organised Crime
Threat Assessment, Van Deventer, Netherlands 2013.
132
giacomo di gennaro
Una volta esplicitata la sintonia con queste coordinate generali86, e fermo restando che in questa sede non è possibile discutere tutti gli aspetti rilevanti dei diversi rapporti87, ci
soffermeremo solo su alcuni punti problematici del rapporto
Transcrime 2013. In esso, uno dei passaggi salienti consiste nella
formulazione dell’Indice di Presenza Mafiosa (ipm) che dovrebbe appunto segnalare l’intensità di tale presenza nelle aree
a tradizionale radicamento, così come in quelle verso cui si è
verificata una espansione. Un passaggio determinante rispetto
a tutti quelli successivi. Bisogna anzitutto far riferimento, al
riguardo, al significativo articolo di Calderoni che prefigura in
buona parte le scelte del team di ricerca del rapporto Transcrime del 2013, di cui lui stesso ha fatto parte88.
Calderoni, dopo aver illustrato e persuasivamente criticato
altri indici analoghi rilevabili in letteratura (tra i quali quelli di Eurispes, Censis, e Istat89), fa riferimento alle statistiche criminali
ufficiali e costruisce l’ipm sulla base di quattro dati-indicatori: a)
omicidi di stampo mafioso; b) denunce di associazione mafiosa;
c) comuni e pubbliche amministrazioni sciolte per infiltrazione
mafiosa; d) beni confiscati alla criminalità organizzata. Solo
questi quattro vengono inclusi, motivando ciò sulla base della
86. Peraltro scontata, visto che da tempo è già stata sottolineata la distanza tra certe
rappresentazioni mediatiche del fenomeno mafioso, da un lato, e le sue trasformazioni effettive, anche a seguito dei successi dell’azione di contrasto, dall’altro; cfr. m.
centorrino, a. la spina, g. signorino, Il nodo gordiano. Criminalità̀ mafiosa e sviluppo
nel Mezzogiorno, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 117 e ss.; a. la spina, The Paradox of
Effectiveness: Growth, Institutionalization and Evaluation of Anti-Mafia Policies in Italy, in
c. fijnaut, l. paoli (eds.) Organised Crime in Europe: Conceptions, Patterns, and Policies
in the European Union and beyond, Springer, Dordrecht 2004, pp. 641-675.
87. Nel quadro dei continui tentativi di misurare l’economia illegale si inserisce anche un ultimo paper pubblicato per opera delle Unioncamere - Camere di Commercio
d’Italia che richiamando alcune “voci” utilizzate da altri rapporti o ricerche e studi per
la stessa ragione cerca di dare conto, ma senza alcuna elaborazione autonoma della
dimensione delle risorse che si producono dai diversi traffici illegali; vedi La misurazione
dell’economia illegale, Roma 2013.
88. f. calderoni, Where is the mafia in Italy? Measuring the presence of the mafias
across Italian provinces, «Global Crime», vol. 12, 1, 2011, pp. 41-69.
89. istat, Informazione statistica territoriale e settoriale per le politiche strutturali
2001-2008, www.istat.it/ambiente/contesto/infoterr.xls, 2009; id, Indicatori di contesto
chiave e variabili di rottura, September, http://www.istat.it/ambiente/contesto/infoterr/
azioneB.html#tema, 2010.
una regolazione sociale violenta
133
disponibilità di lunghe serie storiche di dati e della stretta pertinenza degli stessi al fenomeno, diretta e univoca, ad avviso
dell’autore. Altri dati-indicatori rilevanti (come ad esempio gli
attentati incendiari e dinamitardi) non vengono invece usati
per l’ipm “ristretto”, giacché essi potrebbero frequentemente
riferirsi ad attività estranee ai sodalizi mafiosi. Tuttavia, Calderoni non vi rinuncia del tutto, perché costruisce anche un ipm
“esteso”, che tiene conto tanto dei primi quattro indicatori
quanto anche degli altri. A suo avviso, se si osserva la situazione
delle diverse province italiane alla luce dell’ipm “ristretto” e di
quello “esteso” i risultati sarebbero sostanzialmente i medesimi. Il che confermerebbe che il più maneggevole IPM ristretto
rispecchia adeguatamente la realtà ed è sufficiente, sicché si
può fare a meno dell’ipm allargato. Una mossa metodologica
prima facie ben argomentata.
Andiamo tuttavia a vedere nel dettaglio alcuni dei numeri.
Nelle tabelle riassuntive90 troviamo che Reggio Calabria è la
prima provincia quanto a intensità, con un tasso di occorrenza
degli eventi pari all’80,58 applicando l’ipm ristretto. A seguire
Napoli con il 47,28, Caserta con il 35,33, Caltanissetta con il
42,20, Palermo con il 50,37, e poi, tra le altre, Catania con il 32,12,
Crotone con il 34,11, Trapani con il 29,42, Latina con il 4,30, Roma
con il 2,92, Milano con il 2,53, Torino con l’1,71, Rimini con l’1,67,
Prato con lo 0,15, e così via. Con l’ipm esteso, invece, Reggio
Calabria risultava sempre prima con il 75,29. Napoli andava al
settimo posto, con 38,70, seguita da Caserta (31,19), Trapani
(29,69), Agrigento (25,24), Palermo (34,99) e da varie altre
province meridionali. Poi, però, troviamo ad esempio Latina
(con 17,36), Rimini (21,80), Prato (16,41), Roma (12,52), Torino
(10,76), Milano (9,65). Pertanto, tra Rimini e Trapani o ancor più
tra Rimini e Ragusa (25,46) adesso vi è una minima distanza. Tra
Rimini e Palermo non ve n’è molta. E stavolta (diversamente da
quanto si verifica con l’ipm ristretto) vi è assai meno distanza
tra Milano e Palermo di quanta se ne riscontri tra Palermo e
Reggio Calabria. Il che a nostro avviso per un verso suggerisce
90. f. calderoni, Where is the mafia in Italy?, cit., pp. 60, 62.
134
giacomo di gennaro
che l’ipm esteso (o qualcosa di simile) non vada affatto scartato,
perché segnala situazioni meritevoli di attenzione, e per altro
verso che c’è qualcosa che non va nell’ipm così come è stato
costruito, perché certi punteggi non sono congruenti con ciò
che sappiamo sulle presenze mafiose.
Nel successivo rapporto Transcrime (2013), invece, non si
trova alcun riferimento all’ipm esteso, mentre l’ipm ristretto
(ora definito appunto semplicemente ipm) risulta integrato
con la considerazione dei tentati omicidi di stampo mafioso
nonché (cosa che appare assai opportuna) dei gruppi criminali
attivi indicati nelle relazioni della Direzione nazionale antimafia
(dna) e della Direzione investigativa antimafia (dia), considerando peraltro lassi temporali più brevi rispetto al contributo
del 201191. I punteggi ne hanno risentito non poco. Adesso la
prima provincia quanto a intensità di presenza mafiosa è di gran
lunga Napoli (101,57). Reggio Calabria (80,25) va al secondo
posto, Palermo (58,20) al quarto. Roma ha uno score di 21,61
(quasi come la provincia di Trapani, patria di Messina Denaro,
che riceve 22,58), ma Torino di 10,47, Latina di 8,46, Milano di
8,15, Prato di 3,67, Rimini di 1,52.
Oscillazioni siffatte ci dicono già da sole che il meritorio
lavoro volto alla costruzione di un affidabile ipm sia da ritenere ancora in progress. Da qui alcuni elementi sostantivi che si
dovrebbero tenere in conto in futuro92. Anzitutto va detto che
nell’ultimo ventennio (indicando come punto di svolta l’intensificazione dell’azione di contrasto successiva alle stragi del
1992) le mafie sono cambiate profondamente. Cosa nostra per
prima. Ma gli strumenti repressivi sempre più efficaci che sono
91. Ibidem riferimenti Dia-Dna periodo 2004-2011, per omicidi e tentati omicidi e
persone denunciate per associazione mafiosa (mentre Calderoni parla di “mafia-type
associations”); dal 2000 ad agosto 2012 per i comuni disciolti, 2000-2011 per i beni
confiscati, 2000-2011 per le relazioni dna e dia, pp. 9-10.
92. Si veda anche i suggerimenti in r. sciarrone, j. dagnes, Geografia degli insediamenti
mafiosi. Fattori di contesto, strategie criminali e azione antimafia, in r. sciarrone (a cura
di), Mafie del Nord. Strategie criminali e contesti locali, Donzelli, Roma 2014, pp. 39-86, i
quali evidenziano come a seconda del concetto di organizzazione mafiosa che si utilizza
(power o enterprise syndicate) e corrispondentemente del tipo di attività criminali usate
come indicatori, la mappa delle presenze mafiose muta assai sensibilmente.
una regolazione sociale violenta
135
stati via via introdotti valgono anche per le altre. In genere
(con l’eccezione del napoletano, ove comunque si è avuto un
calo) gli omicidi commessi o tentati sono ormai estremamente
rari. Pertanto, una mafia potrebbe essere significativamente
presente in un dato territorio (di tradizionale o anche di non
tradizionale insediamento) e astenersi accuratamente da un
reato che dà tanto nell’occhio93. Il numero dei beni e aziende sotto confisca e dei soggetti denunciati per associazione
mafiosa deriva almeno in parte dall’intensità della pressione
investigativa e giudiziaria, che a sua volta tende a correlarsi
con la dimensione e la gravità del fenomeno criminale, ma
non coincide con esse94. Lo scioglimento di comuni risente
anche di contingenze politiche. In un dato territorio potremmo
riscontrare pochissime denunce o nessuna o perché i sodalizi
mafiosi sono assenti, o al contrario perché questi sono presenti, potenti e molto temuti. D’altro canto, una neo-cellula
criminale operante al Nord e non ancora indicata dalle agenzie
repressive nelle relazioni potrebbe ben applicare il metodo
mafioso senza che l’ipm (ristretto, oppure nella versione del
rapporto Transcrime 2013) possa darne conto. Ma se la neocellula talora lancia (come è presumibile, vista la necessità di
crearsi una reputazione in un territorio e presso segmenti economici non avvezzi alla presenza mafiosa) alcuni avvertimenti
nella forma di attentati incendiari o dinamitardi o comunque di
danneggiamenti, ecco che un ipm sufficientemente arricchito di
tali indicatori potrà registrare il segnale. Vero è che non tutti gli
attentati del genere sono ascrivibili a mafiosi. Moltissimi però
lo sono (in parte anche alle c.d. mafie straniere). E comunque
lo stesso problema esiste per la gran parte dei settori di attività
93. r. abbate, a.p.m. mirto, Le statistiche giudiziarie sulla criminalità organizzata, in r.
sciarrone (a cura di), Alleanze nell’ombra, cit., pp. 95-124; nonché, a. la spina, Giustizia,
criminalità, sicurezza, in svimez, Nord e Sud a 150 anni dall’unità d’Italia, Svimez, Roma
2012, pp. 447-458.
94. Andrebbe peraltro considerato anche il loro valore. Inoltre, come sottolineato
dallo stesso rapporto Transcrime, il fatto che ve ne sia un’elevata concentrazione in
una città come Roma (talora prescelta in base a considerazioni non strumentali all’attività criminale tipica) non è detto che sia connessa a un altrettanto intensa presenza
mafiosa.
136
giacomo di gennaro
considerati dal rapporto Transcrime 2013 (come il narcotraffico, il contrabbando, l’usura e così via). Si tratta di stabilire
una quota di attentati “indicante” il fenomeno e una quota da
ritenere ad esso estranea. Inoltre, il dato sugli attentati ha il
pregio di essere hard. Esso prescinde, cioè, dalle dichiarazioni
degli operatori economici (e da loro eventuali comprensibili
reticenze). Come già mostrano i numeri riportati dallo stesso
Calderoni, in talune province salienti del Centro-Nord, e non
soltanto, l’ipm allargato che lui stesso ha ritenuto di calcolare dà risultati alquanto differenti dall’ipm ristretto. Anche gli
omicidi sono un dato “duro”, ma visto che le mafie odierne
tendono ad astenersene (con qualche eccezione), a maggior
ragione non dovremmo lasciarci sfuggire le intimidazioni esercitate tramite danneggiamenti e attentati.
Il rapporto Transcrime avanza poi, avvalendosi di metodiche
desunte dalla letteratura internazionale, una serie di stime sul
volume di alcuni settori di attività: prostituzione, narcotraffico, usura, traffico illegale di armi da fuoco, traffico illegale di
tabacco, traffico di merci contraffatte, gestione illegale dei rifiuti, estorsioni. Eccettuato quest’ultimo settore (interamente
ricondotto alle mafie), per ciascuno degli altri viene scomputata
una parte del volume di affari cui si ritengono estranei i sodalizi
mafiosi. Non vengono considerati i proventi derivanti direttamente dal settore pubblico (vale a dire quote incamerate dai
mafiosi dei flussi finanziari riguardanti opere, forniture, aiuti alle
imprese e così via). Sommando gli importi di ciascun settore,
si perviene così a quella forchetta tra gli 8,3 e i 13 miliardi di
euro citata prima. Non è questa la sede per entrare nel dettaglio di ciascuna di tali stime, e ciò è comunque ovviamente al
di là delle nostre intenzioni. Vi sono settori (come il traffico di
droga o il contrabbando di sigarette) in cui si fa riferimento sia
ai quantitativi sequestrati, che in effetti dipendono anch’essi
dall’intensificazione e dall’affinamento dell’azione di contrasto,
sia anche ad altri indicatori.
Ci limitiamo qui a quattro sole considerazioni. La prima,
scontata, è che in qualche modo si dovrebbe dar conto anche
di quanto le varie organizzazioni mafiose trattengono dai flussi
una regolazione sociale violenta
137
di danaro (nazionali ed europei) gestiti dalle pubbliche amministrazioni (sui sussidi di cui alla legge 488/1992)95.
La seconda, più generale, riguarda le conseguenze dell’ipm.
Il rapporto Transcrime 2013 sottolinea a più riprese come le sue
risultanze evidenzino una rimarchevole presenza delle varie mafie al Centro-Nord. In ragione di tale presenza sui vari territori, a
esse verrà attribuita, nelle stime, una quota maggiore o minore
del volume d’affari della criminalità. Se in alcune province (di
tradizionale radicamento e non) la presenza mafiosa fosse più
elevata di quanto registrato dall’ipm Transcrime 2013 (come
suggerito prima), la stima del volume d’affari a essa riferito
andrebbe di conseguenza ritoccata al rialzo.
In terzo luogo, con specifico riguardo alle estorsioni, il rapporto Transcrime 2013 per un verso evidenzia che nel settore
delle costruzioni queste tendono ad avvenire una tantum nella forma della “messa a posto”, per una percentuale del 3%
dell’importo dei lavori (il che in effetti è spesso vero, anche se
non sempre, e porta a rivedere un po’ al ribasso alcune stime
delle ricerche della Fondazione Chinnici). Per altro verso, volendo quantificare la quota di imprenditori che pagano il pizzo,
Transcrime 2013 si rifà alle varie inchieste di vittimizzazione citate prima (svolte da soggetti quali bnc, Censis, gfk) e in particolare a Transcrime (2012). Stanti i limiti di tale approccio già
evidenziati e in particolare il netto sottodimensionamento che
questo tende a effettuare del numero oscuro del pizzo, anche
per questa ragione è plausibile che la quantificazione degli importi relativi all’estorsione possa essere stata a propria volta
sottodimensionata più del dovuto.
In quarto luogo, infine, il rapporto dell’Unità di informazione finanziaria (uif) della Banca d’Italia (2014) evidenzia un
aumento delle segnalazioni di operazioni sospette (che è per
lo più dovuto all’introduzione di normative più esigenti). Dalle
circa 12.500 del 2007 si è passati alle circa 65.000 avutesi tanto nel 2012 che nel 2013. Nel solo 2013 le segnalazioni hanno
95. Cfr. g. barone, g. narciso, The effect of organized crime on public funds, Banca
d’Italia, working papers, n. 916, June 2013.
138
giacomo di gennaro
riguardato un importo complessivo di circa 84 miliardi di euro.
Occorre tenere presente che sempre nel 2013 l’uif ha archiviato
circa l’8% delle segnalazioni, e per altro verso ha attribuito una
valutazione di rischio medio o elevato a oltre metà delle segnalazioni esaminate. Oltre la metà delle segnalazioni trasmesse
alle autorità competenti viene in genere considerata suscettibile di accertamenti investigativi96. Si può dunque immaginare, in
prima approssimazione, che si tratti di circa 40 miliardi di euro
(tale somma potrebbe essere maggiore, se le operazioni oggetto di approfondimento fossero per lo più quelle di maggiore
importo, cosa che però non sempre è, visto che sono ritenute
anomale anche quelle di piccoli importi, ma frequentemente ripetute). Gli accertamenti troveranno poi che una certa parte di
tali operazioni non corrisponde a reati, mentre la parte restante
sarà materia di sanzioni penali o di altra natura. Comunque le
segnalazioni riguardano anche i proventi di evasione fiscale,
corruzione e altri illeciti, diversi da quelli trattati nel rapporto
Transcrime 2013. D’altro canto, la gran parte degli affari delle mafie viene regolata in contanti, senza passare attraverso
il sistema bancario. Fermo restando che occorrono ulteriori
informazioni al riguardo (ad esempio servirebbe sapere quali
delle indagini connesse alle segnalazioni dell’uif girate alla dia
e al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza
riguardano sodalizi mafiosi e per quali importi), in prima battuta
anche questi dati suggeriscono di chiedersi se la forchetta tra
gli 8,3 e i 13 miliardi non sia forse più stretta del dovuto97.
96. banca d’italia, eurosistema, Unità di informazione finanziaria per l’Italia, Rapporto Annuale dell’Unità di Informazione Finanziaria, Rapporto 2013, Roma, maggio 2014,
pp. 11-12 e ss.
97. L’Ufficio Studi dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre Cgia (http://
www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2014/08/RICICLAGGIO-AGO-2014.pdf) ha
ritenuto, a partire dai dati dell’uif, che “l’economia criminale vale 170 miliardi di euro”, rilevando anche il boom delle segnalazioni sospette (a suo avviso derivante da
una crescita delle attività illegali, ma in realtà, come già detto, dovuto a modifiche
della normativa). Non è stato chiarito il percorso attraverso il quale si perviene alla
sensazionale cifra suddetta. La stessa fonte sottolinea anche che le regioni in cui tali
segnalazioni sono più frequenti (per quasi il 60% del totale) sono la Lombardia (11.575),
il Lazio (9.188), la Campania (7.174), il Veneto (4.959) e l’Emilia Romagna (4.947). Ma
si tratta anche di regioni molto popolose (che sommate danno più della metà della
una regolazione sociale violenta
139
Le considerazioni fatte sin qui, pertanto, suggeriscono molta cautela sia nella produzione di stime che nell’assunzione delle
stesse da parte degli organi di stampa. Il grado di attendibilità
delle informazioni che circolano sul fenomeno delle estorsioni
(così come di altre attività illegali) è molto basso e in più manca in genere un’integrazione fra modelli teorici e applicazioni
pratiche, e i risultati conseguiti spesso non sono collocati in una
più ampia prospettiva teorica capace di descrivere e spiegare
meccanismi di riproduzione, connessioni ed effetti sul tessuto
sociale.
2.3 Poco più di un decennio di estorsioni
Nelle pagine successive daremo conto di ciò che emerge dall’analisi dei dati. Come abbiamo anticipato in precedenza per la
Campania abbiamo un riscontro empirico fatto per le sole province di Napoli e Caserta nel 2010 e da tale studio emerge un
prelievo estorsivo annuale che oscilla in un intervallo tra i 780
mln e i 1.120 mln di euro circa, con un tasso di vittimizzazione
registrato maggiormente nei settori del commercio al dettaglio
e delle costruzioni98. Sebbene il rischio di vittimizzazione estorsiva sia molto elevato in questi settori economici è pur vero che,
come una ricerca su un campione di associati a Confindustria
Campania ha mostrato nel 2007, più le imprese hanno dimensioni piccole indipendentemente dalla categoria economica cui
appartengono maggiore è il rischio di essere vittimizzati99. Un
altro dato interessante che emerge sempre dalla stessa ricerca
popolazione nazionale) e per lo più caratterizzate da un’alta concentrazione di attività
economicamente rilevanti. Tale comunicato è stato divulgato acriticamente e a tappeto
dagli organi di informazione, anche tra i più autorevoli.
98. Cfr. m. lisciandra, Camorra ed estorsioni: una stima del costo per le imprese, in g.
di gennaro e a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità, op. cit. pp. 161-84.
99. È quanto emerso da uno studio condotto nel 2006 su un campione di imprese
associate a Confindustria Campania distribuite su tutte le province; cfr. Confindustria
Campania e Osservatorio della camorra e sull’illegalità (2007), L’impresa e l’aggressione
criminale in Campania, Napoli 2007; ora in g. di gennaro, r. marselli, Access to Credit,
op. cit., p. 788.
140
giacomo di gennaro
è che sebbene circa l’87% degli imprenditori sia stato vittima di
una qualche azione delittuosa non ha denunciato all’autorità
di polizia l’accaduto100.
L’analisi statistica della delittuosità è in genere utile specie
se effettuata a dimensioni quanto più piccole di scala e se correlate a dinamiche particolari i cui esiti attraverso particolari
indicatori ci danno conto che hanno funzionato come incentivi
alla denuncia (es. presenza associazionismo antiracket; pressione delle forze di polizia nell’esercizio del controllo sul territorio; esiti positivi di processi nei confronti di clan, aumento
investigazioni, ecc.) e quindi al contrasto del fenomeno, o ci
fanno capire, viceversa, quali indicatori contraggono la spinta.
Gli indici di occultamento dei reati, pertanto, non sono l’esito
esclusivo del controllo sociale esercitato dagli organi di polizia
e dalla giustizia, ma dipendono anche dal comportamento delle
vittime.
Abbiamo riportato nella tabella 2 che segue i dati sulla
delittuosità estorsiva denunciata per il periodo 1998-2010.
Si tratta di una serie consolidata che si riferisce a poco più
di un decennio e sebbene ci offra informazioni parziali qualche riflessione di partenza è possibile101. La stessa serie, poi,
è stata stilizzata attraverso tre grafici per rendere più efficaci
le differenze fra le regioni sulla base di elaborazioni distinte.
Come si nota dalla tabella un prima informazione riguarda il
volume dei delitti di estorsione denunciati nelle diverse regioni. La Campania per tutto il periodo esaminato fa registrare
una performance che la colloca al primo posto fra le regioni
con una cifra totale di 10.531 denunce per tale reato pari al
16,6% del totale dell’intera serie, con una media di 810 de100. Ibidem.
101. Sono opportune alcune avvertenze: non vi sono precise statistiche sul reato di
estorsione che rilevano le diverse forme (pizzo, forniture prodotti o servizi, manodopera ecc.) e distinguono tra estorsione semplice e aggravata dall’art. 7. Per quest’ultima
occorre ricorrere ai dati in possesso della DNA che allo stato attuale non fa elaborazioni
di questo tipo. Le fonti non sono sovrapponibili. Il Ministero dell’Interno fornisce dati
attraverso lo SDI coincidenti con i reati denunciati dalle forze di polizia all’AG e il livello
di disaggregazione e trattamento da parte di enti di ricerca, per ragioni di sensibilità
dei dati, si ferma alla dimensione delle province o macro aggregazioni comunali.
una regolazione sociale violenta
141
nunce l’anno. Seguono rispettivamente la Sicilia (12,5% con
una media di 608,8), la Lombardia (11,3% con una media di
denunce annuali pari a 551,2) e la Puglia (10,5% e una media
pari a 511,8). Valori più contenuti li fanno registrare a seguire
il Lazio e il Piemonte, e poi via via le altre regioni. Lo scarto
tra i valori registrati nelle denunce in Campania e la Sicilia è di
ben 4 punti e aumenta ovviamente al discendere comparativo
con i valori delle altre regioni. Se assumiamo che le denunce
sono un indicatore della pressione estorsiva, nonostante il
rapporto tra le denunce registrate e i reati estorsivi commessi
abbia un indice di occultamento alto, si evincerà di conseguenza che la Campania è l’area territoriale che fa registrare
per tutta la serie storica la pressione più alta. E ovviamente
se assumiamo che tale valore è relativamente rappresentativo rispetto a quello reale, ne deriverà la logica conseguenza
che il fenomeno è sottorappresentato. Tuttavia, per ora non
sappiamo lo scarto esistente tra i due “valori”: quello che
emerge dai dati e quello reale. Se, invece, si assume, per pura
congettura analitica, che i valori riportati sono quelli “reali”
ne deriva in ogni caso che la Campania resta, rispetto alle altre
regioni quella con la pressione estorsiva maggiore, con una
conferma delle altre regioni meridionali e l’ingresso – ma non
per gli addetti ai lavori – della Lombardia nel ranking. Le quattro regioni meridionali (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia),
inoltre, fanno registrare il 45,6% del totale delle denunce per
estorsione nell’intero periodo102.
102. Un andamento regionale simile si rileva se si tiene in considerazione anche il dato
relativo alle persone denunciate, e/o arrestate, per il reato ex art. 629 c.p. Il più alto
numero di persone segnalate per estorsione si registra ancora una volta in Campania.
Qui tra il 1998 ed il 2008, 13.612 soggetti sono stati denunciati per tale reato, con un
peso espresso in percentuale sul totale di periodo storico pari al 19,5. Segue la Sicilia
con il 13,4%, la Puglia con il 10,6%, la Lombardia con il 9,3%, il Lazio con il 7,3%, la Calabria
con il 6,6% ed il Piemonte con il 6,5% (tab. B6 in appendice). Percentuali al di sotto dei
cinque punti, invece, per le restanti regioni italiane. Va altresì specificato che tutte le
regioni chiudono il periodo con un segno positivo, il che equivale a dire che nel decennio
considerato, il numero delle persone denunciate è aumentato e, talvolta, anche con
variazioni in rialzo di ben oltre i duecento punti (tab. B7 in appendice).
142
giacomo di gennaro
una regolazione sociale violenta
143
63
374
55
12
Abruzzo
Molise
17
Umbria
Lazio
143
Marche
158
Emilia-Romagna
Toscana
131
Veneto
35
66
Trentino-Alto Adige
88
259
Lombardia
Liguria
7
Valle d’Aosta
Friuli-Venezia Giulia
274
1998
Piemonte
Regioni
21
73
319
71
51
148
160
93
66
138
47
369
2
262
1999
25
60
265
70
27
162
192
60
42
110
32
331
3
286
2000
23
85
372
72
43
168
213
76
52
121
21
316
4
275
2001
27
66
361
73
30
212
198
63
52
156
28
333
5
307
2002
24
94
283
81
42
205
208
79
66
143
26
468
4
312
2003
38
126
410
111
74
272
286
115
66
240
44
608
5
392
2004
Anni
36
155
374
102
55
303
317
93
57
232
52
642
11
374
29
128
349
87
58
246
250
101
61
231
40
653
4
352
2005 2006
Tabella 1 - Totale dei delitti di estorsione denunciati per regione. Anni 1998-2010
42
140
349
139
55
315
326
128
74
301
51
771
9
449
2007
22
156
585
165
75
308
423
152
53
330
66
813
9
434
35
148
447
138
66
315
395
135
65
273
38
805
9
416
2008 2009
27
163
517
123
65
317
290
154
63
273
50
797
3
409
2010
0,6
2,3
7,9
2,0
1,0
4,9
5,4
2,1
1,2
4,2
0,9
11,3
0,1
7,2
% regionale su totale del
periodo
1998-2010
144
giacomo di gennaro
247
599
45
239
591
124
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
101
517
223
51
374
511
2000
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
125
44
390
378
Puglia
480
1999
475
1998
Campania
Regioni
75
526
263
35
533
476
2001
86
493
255
34
332
517
2002
74
458
257
32
330
565
2003
123
629
305
40
622
905
2004
Anni
98
669
352
56
635
955
119
585
393
41
571
1.101
2005 2006
2008 2009
2010
134
811
374
56
667
134
697
343
62
618
120
689
279
80
638
143
650
311
51
565
1.227 1.200 1.098 1.021
2007
2,3
12,5
6,1
1,0
10,5
16,6
% regionale su totale del
periodo
1998-2010
Grafico 2 - Andamento dei delitti di estorsione denunciati per regione. Anni 1998-2010
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Grafico 3 - Estorsioni medie denunciate negli anni 1998-2010, differenziate per regione
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
una regolazione sociale violenta
145
Lungo la serie storica, inoltre, si può notare che i valori assoluti
delle denunce in Campania dal 1998 al 2007 crescono costantemente per poi contrarsi fino al 2010, mentre la Sicilia per lo
stesso periodo fa registrare un andamento più ondulatorio con
una riduzione nei successivi anni. Lombardia e Puglia fanno
registrare una performance opposta: la prima si segnala per
un primo quinquennio (1998-2002) più o meno stabile e con
valori che non raggiungono mai le 400 denunce annue. A partire
dall’anno successivo e fino al 2010 l’incremento è costante e
significativamente superiore al quinquennio precedente, tant’è
che i valori della media mobile risultano superiori a partire proprio dal 2002-2004 (469,7), effetto dell’espansione delle mafie
al nord, dell’aumento delle denunce e delle investigazioni. La
Puglia, invece, fa registrare un andamento più ondulatorio con
incrementi e decrementi annui sebbene i valori assoluti crescano significativamente dopo il 2004. La serie relativa al Lazio
presenta innanzitutto valori medi più bassi (385 denunce) e in
ogni caso gli incrementi annui lì ove registrati sono molto più
contenuti. Analoga performance possiamo descriverla per il
Piemonte la cui media storica è inferiore (349,4 denunce per
la serie) e con una media mobile più contenuta lungo l’intero
periodo.
Può destare ovviamente stupore che regioni meridionali
notoriamente iscritte nel ranking della presenza storica di organizzazioni mafiose (per es. la Calabria) facciano registrare
non solo medie storiche basse (295,5 denunce), ma presentino
valori inferiori alla stessa Lombardia, al Piemonte e leggermente superiore all’Emilia-Romagna (262,8 è il valore medio e la
percentuale regionale sul totale per l’intero periodo è pari al
5,4% vs 6,1%). Tuttavia, è proprio in queste differenti performance che risiede l’ambivalenza descrittiva dei dati: infatti, si
potrebbe affermare che i valori dell’Emilia-Romagna riflettano
un territorio nel quale la presenza delle mafie, essendo un fenomeno più recente perché generato da processi estensivi e
nuovi insediamenti, presenta inevitabilmente un’attività estorsiva in fase di take-off, specialmente se si considera, tra l’altro,
l’intenso tessuto di piccole e medie imprese che caratterizza la
146
giacomo di gennaro
regione. In più, riprendendo le tesi della civicness di Putnam, potremmo essere spinti a sostenere che il tasso di occultamento è
inferiore rispetto alla Calabria, proprio perché l’impegno civico
spinge le vittime a denunciare immediatamente. La Calabria,
viceversa, regione di antico insediamento e radicamento della
‘ndrangheta, presenta valori leggermente superiori rispetto a
quelli dell’Emilia-Romagna ma non perché il fenomeno sia più
diffuso, ma semplicemente perché il tasso di presenza delle
imprese commerciali o manifatturiere è più basso. Oppure, interpretazione di segno completamente opposto, la contenuta
delittuosità estorsiva denunciata deriva dalla diffusa omertà,
dal minore senso di civicness che caratterizza le vittime e pertanto l’indice di occultamento è superiore. Quale delle due tesi
è più fondata? È esattamente questo il dilemma che sta dietro
all’analisi dei dati che, come si comprenderà, va intrecciata con
l’ausilio di altre fonti e l’incrocio di materiale diverso non esclusivamente quantitativo. D’altra parte, se valesse, allora, l’ipotesi
della correlazione diretta tra civicness e valori alti di denuncia ne
deriverebbe che la Campania è la regione con il più alto grado
di civicness e quindi di impegno delle vittime e di conseguenza
con un indice di occultamento basso. E così via, all’incontrario,
per le altre singole regioni. Per questo motivo abbiamo provato
ad approfondire con valori statistici differenti i dati della serie
storica e verificare gli esiti.
Abbiamo calcolato sull’intera serie la percentuale annua per
ogni singola regione delle estorsioni denunciate per cogliere,
rispetto ai valori assoluti, il campo di variazione tra le regioni
lungo l’intera serie. Innanzitutto, è emerso che tra il 1998 e
il 2001 Sicilia in primis e Campania a seguire fanno registrare
per questo quadriennio i rapporti più alti rispetto a tutte le altre regioni, con una percentuale media del 15,5% in Sicilia e del
13,5% in Campania. Seguono la Puglia (11,6%), il Lazio (9,2%), la
Lombardia (8,8%), il Piemonte (7,6%), la Calabria (6,7%), l’EmiliaRomagna (5%).
Si noterà che lo scarto tra i valori medi in percentuale
registrati in Sicilia e Campania rispetto a tutte le successive
regioni è significativo e, anche in questo caso, la Calabria va a
una regolazione sociale violenta
147
collocarsi all’ultimo posto tra le regioni con un ranking medio
superiore al 5%. Mentre i valori di partenza della delittuosità
per tale reato denunciato in Sicilia sono superiori a quelli della
Campania e agli omologhi delle altre regioni, osservando la
serie dopo il 2001 si nota una variazione significativa tra le performance nell’andamento regionale delle denunce che pone
interessanti interrogativi. Infatti, sulla base della variazione
percentuale media calcolata sull’intera serie storica le posizioni risultano invertite: al termine del periodo la Campania
fa registrare una percentuale pari al 16,6% seguita dalla Sicilia
(12,5%), dalla Lombardia (11,3%), dalla Puglia (10,5%), dal Lazio
(7,9%), dal Piemonte (7,2%), dalla Calabria (6,1%), dall’EmiliaRomagna (5,4%). È evidente che ciò riflette alcune condizioni
specifiche di contesto e al contempo alcuni aspetti più generali. L’analisi dei valori ci informa che, innanzitutto, è la regione
Campania l’area nella quale in tutto il periodo la delittuosità
denunciata è alta e dal 2001 s’impenna la curva fino a raggiungere i valori più alti tra il 2006 e il 2007 (20,4%; 19,1%), per poi
registrare una riduzione nei due anni successivi. La Calabria
e la Puglia, invece, sono le regioni tra le indicate che fanno
registrare valori medi senza forti oscillazioni, in modo stabile,
con una contrazione nell’ultimo periodo, ma la Puglia esibisce
percentuali molto più elevate lungo l’intera serie. La Sicilia
presenta un andamento completamente opposto con una
tendenza alla contrazione in modo costante e significativo
dal 2002, fino ad arrivare a 6 punti in meno nel 2010. Il Lazio
manifesta una performance analoga alla Puglia ma con una
variazione interna più sostenuta e una media per l’intera serie più contenuta. Discorso diverso vale per le tre regioni del
centro-nord: Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. La
prima fa registrare dopo i primi anni del 2000 una impennata
nella crescita delle denunce che è costante e raggiunge nel
2010 il valore più alto (13,3%); la seconda mantiene un rapporto
stabile lungo l’intero periodo ma con un carattere lievemente
ascendente, coincidente con la performance dell’Emilia-Romagna, ma a differenza della prima quest’ultima fa registrare
una tendenza al rialzo dal 2007.
148
giacomo di gennaro
Se osserviamo alla luce di un indice di variabilità calcolato
con le medie mobili l’andamento dei valori sin qui analizzati,
stilizzando le performance regionali attraverso un grafico, si
noterà che il movimento delle curve sugli assi rende ancora
più evidente ed efficace quanto anticipato. Il grafico 4, infatti,
evidenzia due sostanziali tendenze: in generale tutte le regioni, tranne la Sicilia e la Sardegna, presentano un andamento
iniziale che lievita o è stabile fino ai primi anni del 2000. Puglia,
Lombardia ed Emilia-Romagna presentano una curva con una
traiettoria iniziale ascendente superiore alle altre regioni, mentre la Campania vede i propri valori salire con una più modesta
progressione. Dopo i primi anni del 2000 le curve relative alle
denunce nelle regioni della Lombardia, Campania, Sicilia, Puglia
subiscono una impennata che, sebbene con margini di partenza
più contenuti, interessa anche Veneto, Toscana, Piemonte. In
sintesi, allora, mentre nella prima fase quasi tutte le regioni
sono interessate da una iniziale progressione delle denunce,
la Sicilia va nella direzione opposta. E tra le regioni meridionali
solo la Puglia risulta con un movimento simile a quello lombardo per almeno il primo triennio. Tracciando una linea retta
verticale in coincidenza del 2001 si nota che da questa fase,
corrispondente con molta probabilità agli effetti delle legge
44/1999 Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le
vittime delle richieste estorsive e dell’usura, nonché a quelli della legge 512/1999 istitutiva del Fondo di rotazione per la
solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, si avvia una
fase crescente delle denunce di estorsione con una rappresentazione logistica della curva a delineare da un lato, una presenza diffusa della criminalità organizzata di stampo mafioso che
non risparmia le principali regioni del nord (confutando quanto
veniva negato in quegli anni - e ancora oggi - da larga parte del
mondo politico ed economico103) ed è un indicatore del fatto
che tale presenza non ha più il carattere di infiltrazione ma di
vera e propria occupazione prodotta da alleanze criminali, da
103. Cfr. f. dalla chiesa, Le mafie al nord. La fine dei luoghi comuni, «Narcomafie», anno
XVIII, dicembre 2011.
una regolazione sociale violenta
149
interazioni con il mondo imprenditoriale, da forniture di servizi,
assistenza e protezione104. La probabilità che l’ipotesi dell’incentivo rappresentato dalle due leggi e la funzione positiva
dell’associazionismo antiracket sorto nel 1990 a Capo d’Orlando
siano compatibili con l’andamento delle denunce, ci viene proprio dalla lettura di ciò che scrive Tano Grasso all’indomani (alla
fine del 2001) dell’istituzione a Napoli da parte del Comune della
città partenopea di una delega assessoriale per la «tutela del
cittadino dal racket e dall’usura»105. L’impulso che venne - scrive
Grasso - dalla «promozione dell’attività associativa antiracket
fu che si registrarono in pochi anni in città un aumento di denunce passando da 71 del 2001 a 276 nel 2002, a 305 nel 2003,
a 533 nel 2004, a 614 nel 2005, a 734 nel 2006» cui fece seguito
una «vivace attività giudiziaria che ha visto l’instaurarsi di 102
procedimenti penali contro 839 imputati nel periodo novembre
2004-novembre 2009 con la costituzione di parte civile delle
associazioni antiracket in ben 80 processi»106.
Dall’altro, l’impennata della traiettoria della curva si spinge
fino al periodo tra il 2006 e il 2007 poco prima dei due provvedimenti legislativi noti come “pacchetto sicurezza”107 i cui effetti
104. Secondo l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli Studi di
Milano (Cross), la presenza delle diverse consorterie di derivazione mafiosa, ovvero specialmente della ‘ndrangheta, della mafia e della camorra costituiscono ormai un elemento
strutturale della vita sociale di molte regioni, province e comuni del nord. Nel Primo
rapporto trimestrale si legge: «la diffusione del fenomeno mafioso avviene soprattutto
attraverso il fittissimo reticolo dei comuni di dimensioni minori, che vanno considerati
nel loro insieme come il vero patrimonio attuale dei gruppi e degli interessi mafiosi. È
soprattutto nei piccoli comuni che si costruisce una capacità di controllo del territorio, di
condizionamento delle pubbliche amministrazioni locali, di conseguimento di posizioni
di monopolio nei settori basilari dell’economia mafiosa, a partire dal movimento terra.
È nei piccoli comuni che è possibile costruire, grazie ai movimenti migratori, estese e
solide reti di lealtà fondate sul vincolo di corregionalità, o meglio di compaesanità, specie
se rafforzato da vincoli di parentela di vario grado e natura»; cfr. Cross, Primo rapporto
trimestrale sulle aree Settentrionali, per la Presidenza della Commissione Parlamentare di
Inchiesta sul fenomeno mafioso, 29 settembre 2014, cit., p.10.
105. t. grasso, Prima relazione del Consulente antiracket, 17 aprile 2002, p. 1; ora in
www.antiracket.it.
106. id, Racket e antiracket a Napoli, in g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi
dell’illegalità, op. cit., pp. 285-286.
107. Vedi D.L. n. 82 convertito nella legge n. 125 del 24.7.2008 e D. L. n. 187 del
12 novembre 2010 coordinato con la legge di conversione n. 217 del 17 dicembre
150
giacomo di gennaro
con una fondata probabilità - specie il primo - si riverberano
sulla crescita delle denunce, ma negli anni successivi.
È evidente che per un settennio, nel cuore del periodo
2001-2007, l’impennata delle denunce si deve all’effetto moltiplicatore della presenza dell’associazionismo antiracket
che specialmente in Sicilia e in Campania (regioni originarie
del take-off associativo), e poi Lombardia, Lazio e Veneto
hanno visto moltiplicare il numero delle associazioni presenti sui territori. Non è da sottovalutare, inoltre, proprio
dalla fine degli anni Novanta il maggior impegno e gli esiti
efficaci di molte operazioni investigative che non solo hanno
portato alla detenzione molti capi storici delle organizzazioni
di camorra e mafiose nei diversi territori locali, ma assicurato con i processi le conclusioni di molte indagini di polizia
giudiziaria generando la disarticolazione, frantumazione e
in taluni casi il vero e proprio annientamento di molti gruppi
organizzati di stampo mafioso.
Questa tendenza, inoltre, si conferma negli anni successivi
al 2010 in coincidenza, tra l’altro, nel 2012 delle convenzioni
siglate nell’ambito del Programma Operativo Nazionale Sicurezza per lo sviluppo - Obiettivo Convergenza 2007-2013, finanziato
dall’Unione Europea, tra il Ministero dell’Interno e alcune delle
associazioni antiracket più rappresentative.
2010. In particolare, l’articolo 7-bis del decreto legge 92/2008, ha permesso la realizzazione del “Piano per l’impiego del personale delle Forze Armate nel controllo
del territorio” con il quale, a partire dal 4 agosto 2008, furono impiegati uomini
dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica Militare e dell’Arma dei Carabinieri in
compiti di vigilanza di siti istituzionali e obiettivi sensibili e nel presidio del territorio.
Dopo la strage del 18 settembre 2008 a Castel Volturno nella quale furono uccisi sei
immigrati per mano dell’ala militare del gruppo dei casalesi di Setola, furono inviati in Campania quattrocento uomini delle forze dell’ordine e a questi si aggiunsero,
successivamente, cinquecento paracadutisti della Folgore, in virtù del D.L. 2 ottobre 2008, n. 151, convertito poi con legge 28 novembre 2008, n. 186. Non è difficile
ipotizzare che l’impulso derivante da un controllo territoriale più particolareggiato
che si ebbe per effetto della proroga per altri due semestri dell’impiego delle unità
di personale militare abbia nelle province italiane interessate dal provvedimento
generato maggiore senso di sicurezza e spinto nella direzione di un aumento delle
denunce, tant’è, vedi il successivo capitolo 3 di Maria Di Pascale, l’effetto si osserva
a partire dal 2010 al 2013.
una regolazione sociale violenta
151
Grafico 4 - Medie mobili triennali
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Tabella 2 - Variazioni assolute e relative calcolate sulle medie mobili
triennali 1998-2010
Anni 1998/2000
2001/2003
Regioni
Anni 2001/2003
2006/2008
Variazione
assoluta
Variazione
relativa (%)
Variazione
assoluta
Variazione
relativa (%)
Anni 2006/2008
2008/2010
Variazione
assoluta
Variazione
relativa (%)
Piemonte
24,0
8,8
113,7
38,1
8,0
1,9%
Valle d’Aosta
0,3
8,3
3,0
69,2
-0,3
-4,5%
Lombardia
52,7
16,5
373,3
100,3
59,3
8,0%
Trentino-Alto
Adige
-23,3
-48,3
27,3
109,3
-1,0
-1,9%
Veneto
13,7
10,8
147,3
105,2
4,7
1,6%
Friuli-Venezia
Giulia
9,0
18,9
6,0
10,6
-2,3
-3,7%
Liguria
-7,7
-9,5
54,3
74,8
20,0
15,7%
Emilia-Romagna
36,3
21,4
126,7
61,4
36,3
10,9%
Toscana
44,0
29,1
94,7
48,5
23,7
8,2%
Umbria
6,7
21,1
24,3
63,5
6,0
9,6%
152
giacomo di gennaro
Anni 1998/2000
2001/2003
Anni 2001/2003
2006/2008
Anni 2006/2008
2008/2010
Variazione
assoluta
Variazione
relativa (%)
Variazione
assoluta
Variazione
relativa (%)
10,8
55,0
73,0
11,7
9,0%
6,1
89,0
26,3
88,7
20,7%
19,0
30,3
59,7
73,1
14,3
10,1%
Molise
5,3
27,6
6,3
25,7
-3,0
-9,7%
Campania
30,7
6,3
656,7
126,4
-69,7
-5,9%
Variazione
assoluta
Variazione
relativa (%)
Marche
7,3
Lazio
19,3
Abruzzo
Regioni
Puglia
17,7
4,6
220,3
55,3
-11,7
-1,9%
Basilicata
-13,0
-27,9
19,3
57,4
11,3
21,4%
Calabria
22,0
9,3
111,7
43,2
-59,0
-15,9%
Sicilia
-76,7
-13,5
205,3
41,7
-19,0
-2,7%
Sardegna
-38,3
-32,9
50,7
64,7
3,3
2,6%
Totale regionale
annuo
149,0
4,2
2444,7
65,9
-4,2
1,1
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Una ulteriore elaborazione che consente alcune considerazioni riguarda il tasso di denunce per estorsioni calcolato sulla
popolazione racchiusa nella coorte di età 14-80 anni. Abbiamo
scelto di elaborare i tassi in base a questa coorte di età poiché
si è ritenuto che le ali che precedono e seguono quest’ampia
coorte restano poco significative e rappresentative di eventuali
profili di vittime (nel senso che la popolazione 14-80 è definibile
da un punto di vista di scelta metodologica, come popolazione
d’interesse che è maggiormente protagonista di una denuncia,
ancorché come vittima)108, con il vantaggio che i tassi appaiono
più realistici. Se consideriamo, innanzitutto, per l’intera serie
storica le variazioni tra i tassi annuali e il tasso medio dell’intero
periodo, alcune differenze su quanto detto fin qui emergono.
108. Per gli aspetti specifici che chiariscono le ragioni di questa scelta metodologica
si rimanda all’appendice.
una regolazione sociale violenta
153
In primo luogo, la regione che fa registrare il tasso medio più
alto è la Calabria (18,1), cui segue la Campania (17,5), la Puglia (15,5)
e la Sicilia (15,1). Dopo questo primo range di regioni meridionali
storicamente interessate dal fenomeno, ritroviamo a distanza di
diversi punti il Molise (10,6) e l’Abruzzo (10,5). Seguono il Piemonte (9,8), il Lazio (8,8), Sardegna, Toscana e Marche con un tasso
pari all’8,1 e infine Liguria, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia
rispettivamente al 7,8; 7,7; 7,2; 7,1 (tab. B4 in appendice). Osservando all’interno dell’intero periodo i tassi delle singole regioni
emerge che tra il 2007 e il 2008 si registrano le punte più alte fra
la maggior parte delle regioni, con la Campania che esibisce il
tasso in generale più elevato nell’intera serie (26,5) e nel triennio
2006-2008 la più alta media tra i tassi tra tutte le regioni e rispetto
all’intero periodo. Tra l’altro appare, in tutta la sua evidenza, vista
a posteriori ma considerevolmente prevedibile, l’ascesa dei tassi
nella regione abruzzese colpita nel 2009 dal terremoto dell’Aquila e interessata alla ricostruzione nei successivi anni. Essendo
proprio il settore dell’edilizia uno dei segmenti economici maggiormente colpiti dalle estorsioni, si può notare come proprio dal
2010 crescono le denunce registrate nella regione.
Un aspetto che non si può considerare sulla base dei dati disponibili riguarda il peso della crisi economica. Ovvero, in
che misura a partire dal 2008-2009 in Italia si avverte l’effetto
dell’onda della crisi la cui origine finanziaria è nel 2007 negli Usa
e si sviluppa ed estende a livello mondiale riducendo innanzitutto il credito alle famiglie e alle imprese, con conseguenti
contrazioni dei consumi e del volume dell’attività edilizia. La
recessione “lunga e intensa” che vi ha fatto seguito nel triennio
2008-2010 ha colpito l’Italia (-5,2%) in conseguenza della riduzione della domanda estera e degli irrisolti problemi strutturali che
interessano il nostro sistema industriale, generando così una
inevitabile contrazione dell’occupazione e un aumento della
disoccupazione109. Il processo di contaminazione dell’econo109. Secondo l’Istat dal 2007 al 2013 l’Italia ha perso il 25% del prodotto industriale;
cfr. istat, Rapporto annuale 2014, L’evoluzione dell’economia italiana. Aspetti macroeconomici, Roma, pp. 1-40.
154
giacomo di gennaro
mia reale ha reso, quindi, più fragile il mercato del lavoro e il
sistema delle imprese. Il punto nodale della questione è se la
pressione estorsiva sulle imprese commerciali specie al dettaglio e su quelle industriali medio-piccole si sia attenuata, sia
rimasta invariata oppure utilizzando proprio la lunga scia della
crisi, combinando questa con l’attività usuraia, i clan non abbiano – attraverso processi di mimetizzazione – contribuito alla
mortalità di molte imprese o ne abbiano acquisito il controllo.
A riguardo abbiamo stimato un modello panel per le regioni
italiane sull’intera serie storica disponibile (1998-2013), ovvero
un modello di regressione per ogni unità e dati temporali, considerando come variabile dipendente le denunce di estorsione
regionale per 10.000 abitanti. Come variabili esplicative sono
state considerate: il tasso di turnover delle imprese (Tover),
ottenuto come differenza tra tasso di natalità e mortalità delle
imprese come pubblicato dall’Istat, anni 1999-2012110 che utilizzato come proxy dell’andamento dell’economia regionale; il
tasso di variazione annuale del numero dei permessi a costruire
nuovi fabbricati non residenziali anni 2001-2012 (Nresn), come
calcolata dall’ISTAT111, una variabile dummy (D) che assume valore 1 nel periodo 2003-2008 evidenziato dai grafici precedenti
e che termina con l’inizio della crisi economica e l’apertura del
fondo di solidarietà; infine viene considerato un trend temporale che tenga conto dell’andamento generale della variabile
dipendente (cioè il tasso di estorsione calcolato per 10.000
abitanti)112 e di tutti gli altri effetti che in qualche modo han110. istat, Demografia d’Impresa 2012.
111. istat, Indicatori permessi di costruire, Superficie della nuova edilizia non residenziale,
2015, dati.istat.it.
112. È evidente che la serie storica è fin troppo corta per ottenere risultati altamente
significativi, tuttavia nonostante tale limitazione gli esiti sono interessanti come indicazione di ulteriori approfondimenti. Questo modello panel usa effetti “fissi”, ovvero
le differenze tra le vare regioni si scaricano su “costanti regionali” che per evitare
inutili appesantimenti abbiamo evitato di riportare. Si consideri che il tasso di denunce
regionali è stato calcolato per 10.000 abitanti sull’intera popolazione per considerarla
come costante. Il tasso di turnover delle imprese (tover) è dato dal saldo tra tasso di
natalità e tasso di mortalità delle imprese nella regione; il tasso di variazione (nresn) è
dato dal numero dei permessi a livello nazionale di nuove costruzioni non residenziali
inteso come indicatore del ciclo economico del Paese, ma anche come una misura della
una regolazione sociale violenta
155
no contribuito all’andamento generalmente crescente della
variabile dipendente che non siamo in grado di spiegare con
altre variabili per carenze dei dataset consultati. È ragionevole
attendersi che le diverse regioni abbiamo delle caratteristiche
peculiari che ne differenziano il comportamento rispetto al tasso del reato denunciato, pertanto un modello ad effetti casuali
sembra essere il più opportuno. Nella tabella 4 sono riportati
i principali risultati dell’applicazione. Come si può osservare
tutti i parametri sono statisticamente significativi presentando un p-value decisamente inferiore all’usuale soglia del 5%. I
coefficienti risultano peraltro tutti positivi, quindi il modello
suggerisce che all’aumentare delle variabili esplicative aumenti
il valore della variabile dipendente. Ad esempio, il settore delle
costruzioni altamente esposto all’intimidazione estorsiva, allo
sviluppo di questo si correla positivamente uno sviluppo delle
segnalazioni di estorsione. L’analisi dei residui, come indicato
anche dagli indicatori riportati in calce alla Tabella 4, sembra
non evidenziare particolare problemi nella specificazione del
modello. Nel grafico 5 sono riportati i valori osservati del tasso
di delitti denunciati e quelli previsti per la stessa variabile dal
modello.
Tabella 3 - Modello panel, valori stimati
Const
Coefficient
Std. Error
T-ratio
P-value
0.352792
0.0450249
7.835
2.10e-013
Tover
0.0429781
0.0161359
2.664
0.0083
Nresn
0.00273784
0.00105928
2.585
0.0104
0.116443
0.0255294
4.561
8.52e-06
0.0507886
0.00459219
11.06
8.04e-023
D
Time
lsdv R-squared 0.827123
lsdv F (23,216) 44.93247
rho
0.177022
Within R-squared 0.421029
P-value (F)
2.13e-69
Durdin-Watson
1.355927
variazione delle “possibilità” di poter compiere il reato, dal momento che nei cantieri
edili si consuma un elevato numero di estorsioni; infine, la variabile dummy (D) vale 1
dal 2003 al 2008.
156
giacomo di gennaro
Grafico 5 - Modello Panel valori osservati e valori previsti
Altro aspetto rilevante e controverso attiene la configurazione
dell’attività estorsiva in terre di nuovo insediamento. Infatti,
che le diverse mafie non siano solo un fenomeno specifico del
Sud dell’Italia è un dato certo e acquisito da moltissimi anni.
L’aspetto da chiarire è come si configura, rispetto agli ambienti
di provenienza, l’attività estorsiva non essendo connessa alla
sua funzione primaria di accumulazione delle risorse e quella
necessitata dal dominio territoriale. Mentre il successo delle ulteriori attività illegali in terre meridionali, infatti, è molto dipeso
dalla capacità di imporre innanzitutto la protezione-estorsione
o l’estorsione come regolazione sociale violenta, nelle aree di
nuovo insediamento, essendo aree di investimento dei profitti
in attività legali, terre di riciclaggio di denaro, di penetrazione
nelle amministrazioni locali per intercettare gare, appalti, offrire
servizi, svolgere transazioni, collocarsi insomma con il volto pulito nei mercati legali locali e regionali per sviluppare maggiori
e più intense cointeressenze con le imprenditorie locali e con
esponenti politici, il modello di azione mafiosa si è imposto con
modalità distinte non essendo necessariamente dipendente
una regolazione sociale violenta
157
dalla riuscita dell’attività estorsiva. Il traffico dei rifiuti dal Nord
Italia verso il Sud docet!
Sono stati molti gli autori che hanno sostenuto l’impraticabilità delle mafie di aprire succursali in altre parti del mondo.
L’aspetto della stanzialità è stato teorizzato e dibattuto per poi
essere falsificato dai fatti. Reuter, per esempio, ha sostenuto
il carattere “locale” delle organizzazioni illegali113 e sulla stessa
scia anche Gambetta sostenendo che la mafia siciliana non sarebbe andata oltre la Sicilia occidentale e ritenendo che gli ostacoli sarebbero derivati dalla difficoltà di controllare da lontano
gli ordini impartiti agli affiliati. Così come altro intralcio verrebbe
dalla raccolta delle informazioni «precise e affidabili su persone
ed eventi» e, infine, la problematicità connessa alla costruzione
di una reputazione legata all’uso della violenza e non solo dalla
millantata minaccia114. Allo stesso modo Yiu Kong Chu ha ritenuto che le triadi di Hong Kong abbiano un raggio di azione più
locale. Il fatto di essere coinvolte in traffici internazionali non
vuol dire, per l’autore, che siano «i principali organizzatori»115.
E ancora Peter Hill nello studio sulla mafia giapponese sostiene
che la Yakuza «non è mai riuscita ad estendere la propria attività
di protezione al di fuori del mercato giapponese»116. Queste
posizioni, richiamate criticamente anche da Varese, sono state
contraddette dalla capacità espressa da molte organizzazioni mafiose di trapiantarsi al Centro-Nord dell’Italia e in altre
parti del mondo, come d’altra parte centinaia di investigazioni
confermate da sentenze hanno mostrato. Il punto, però della
questione, al di là della reale espansione è se esse si servano
o meno dell’attività estorsiva e se questa avvenga nelle forme
predatorie che conosciamo, come nel contesto cittadino partenopeo. Federico Varese, ad esempio, sostiene che anche se
le organizzazioni criminali svolgono diverse funzioni nei diversi
113. p. reuter, The Organization of Illegal Markets: An Economic Analysis, National Institute of Justice, New York U.S. 1985, p. 21.
114. d. gambetta, La mafia siciliana, op. cit., p. 351 e ss.
115. Cfr. y.k. chu, The Triads as Business, Routledge, London e New York 2000, p. 130.
116. p.b.e. hill, Tokio: la rete di Yakuza, in «Lettera Internazionale», anno XVIII, 71, 2002,
p. 53; nonché id., The Changing face of the Yakuza, «Global Crime», a. VI, 1, pp. 97-116.
158
giacomo di gennaro
mercati legali e in quelli illegali, resta il fatto che esse perpetuano l’ottica estorsiva perché garantiscono in forme diverse
la protezione. Indipendentemente dal carattere estrattivo forzato di risorse economiche per servizi che sono promessi ma
mai corrisposti, l’estorsione resta un’attività centrale se anche
in nuove terre non si vuole svolgere una semplice presenza
migratoria, o sfruttare particolari opportunità commerciali,
oppure dedicarsi al monitoraggio degli investimenti realizzati.
Tuttavia, essendo l’estorsione funzione essenziale del trapianto
perché quest’ultimo si affermi sono necessarie alcune condizioni: la presenza di mercati illegali, perché le mafie organizzano
i traffici, facilitano gli scambi illegittimi e riducono l’incertezza;
la domanda di servizi che esse possono offrire a prezzi decisamente più vantaggiosi; la disponibilità di manodopera disposta
a e in grado di usare la violenza; l’esistenza di una domanda di
protezione privata determinata dalla incapacità dello Stato di
proteggere e tutelare i diritti di proprietà; infine, la disponibilità
di imprenditori ad entrare nella sfera dell’illegalità cercando di
vendere merci legali ricorrendo a forme sleali di concorrenza o
organizzando accordi di cartello con l’appoggio della mafia117.
Ma a quali condizioni, allora, sarebbe possibile la presenza di una mafia senza estorsione? Ovvero, di una mafia che
si dedichi ai traffici illegali, agli investimenti sui mercati legali,
alle operazioni finanziarie, persino all’offerta di servizi a costi
più vantaggiosi senza che questa debba essere imposta con la
forza, magari solo ricorrendo a qualche bustarella? È possibile immaginare condizioni operative di organizzazioni mafiose
indipendenti da processi di vittimizzazione diretta? Ipotizzare
strategie di colonizzazione dei territori senza la mano arbitraria
della violenza?
In un contributo risalente ai primi anni novanta Marrelli e
collaboratori hanno sostenuto che se un Governo è intenzionato a perseguire con successo l’obiettivo di impedire la formazione di accordi collusivi tra imprese operanti nel settore
117. f. varese, Mafie in movimento. Come il crimine organizzato conquista nuovi territori,
Einaudi, Torino 2011, pp. 21- 45 e 253-270.
una regolazione sociale violenta
159
criminale (assumendo per es. che in un settore economico –
diciamo la droga – la crescita dei profitti criminali sia funzione
di accordi collusivi fra imprese criminali) è necessario che si
orienti a implementare un comportamento “strategico” finalizzato alla rottura di accordi di cartello in modo da minimizzare
la somma dei profitti delle imprese criminali. Gli esiti di tale
lotta dell’attore pubblico «garantirebbe una diminuzione degli
incentivi individuali all’appartenenza a queste organizzazioni
così da determinare una limitazione all’espansione dei settori
economici criminali»118. La modalità per ottenere tale risultato,
nell’ottica degli autori, è sviluppare politiche concentrate di
punizione (un intenso e particolare sforzo di smantellamento
della l’organizzazione A – per es. ciò che è capitato nella lotta
contro Cosa Nostra -) nei confronti di quell’impresa criminale
che ha subìto la defezione dall’accordo di collusione da parte
della rivale. La conseguenza sarebbe la maggiore onerosità dei
profitti attesi al punto da rendere non credibili le minacce di
rappresaglia da parte dell’organizzazione nei confronti della
rivale e quindi, in ultima analisi, non sostenibile un equilibrio
di collusione.
Ora, il modello proposto da Marrelli e collaboratori ha la
sua rilevanza nell’assunzione di imprese criminali impegnate
in traffici che richiedono accordi collusivi (es. tratta di esseri
umani, droga, prostituzione, gioco clandestino ecc.), ovvero di
imprese del tipo enterprise syndacate impegnate, cioè nella gestione di affari e traffici illegali. Premesso che se c’è un aspetto
che caratterizza molte organizzazioni criminali è l’ormai profilo
di ibridazione criminale organizzativa derivante dalla dimensione glocale delle stesse, il problema è che la lotta repressiva
da parte dell’attore pubblico nei confronti dell’impresa A non
garantisce affatto la minimizzazione dei profitti dell’impresa
criminale B per effetto dell’elevata probabilità che quest’ul118. m. celentani, m. marrelli, r. martina, La rottura di accordi collusivi nel settore
criminale, in s. zamagni (a cura di), Mercati illegali e mafie, op. cit., pp. 153-164; cit. p. 163.
Inoltre, si veda id., Regulating the Organized Crime Sector, in s. peltzman, g. fiorentini
(eds.), The Economics of Organized Crime, Cambridge University Press, Cambridge (GB)
1995.
160
giacomo di gennaro
tima diriga la sua primaria o ulteriore attenzione su un altro
settore di attività economica. Inoltre, una politica di contrasto
concentrata nei confronti di una organizzazione – come negli
ultimi decenni la lotta a Cosa Nostra ha mostrato – rafforza
inevitabilmente un’altra organizzazione – come la penetrazione
e il consolidamento della ‘Ndrangheta ha evidenziato proprio
lungo lo stesso periodo – indebolendo gli esiti di successo delle
politiche di contrasto al crimine organizzato. Una uscita, allora,
dal dilemma potrebbe essere proprio la concentrazione del contrasto all’attività genesi dell’impresa criminale, ovvero proprio
all’attività estorsiva che, almeno in buona parte delle regioni
meridionali, costituisce l’attività primaria il successo della quale
consente l’accesso alle altre attività. Nelle altre realtà del Paese,
invece, è l’attività che segue i traffici e gli affari, in conseguenza
del carattere espansivo che l’organizzazione mira sempre ad
acquisire e dell’orientamento al radicamento connesso.
Si possono condividere, allora, gli assunti su richiamati secondo cui condizioni particolari dal lato dell’“offerta” (per es.
presenza di delinquenti in migrazioni di popolazione; soggiorno
obbligato o trasferimento forzato di mafiosi intenzionati a sfuggire a faide interne o all’arresto; contesti finanziari più dinamici
e redditizi) non necessariamente determinino il trapianto delle
mafie in contesti new comers, ma è, in verità, dal lato della “domanda” che diventa più difficile trovare un accordo di partenza.
Infatti, condizioni economiche e sociali nelle quali non si sovrappongano presenze di mercati illegali ed agenti interessati
a scambi criminali è difficile, se non impossibile, che se ne possa
vantare l’esistenza. Ci saranno sempre segmenti di popolazione
interessati a trarre benefici e vantaggi dalla protezione mafiosa per il solo fatto che operano con profili in base ai quali non
potranno mai fare ricorso alla polizia o ai servizi di controllo
legali. Basti pensare ai mercati della prostituzione, dell’alcool,
del gioco d’azzardo, delle scommesse, della ricettazione, del
falso, del traffico di beni culturali etc. Se pensiamo, poi, ai paradossi del mercato legale, della sostenibilità della democrazia,
della farraginosità della macchina burocratico-amministrativa,
della enfatizzazione di un ideale criminale e al tempo stesso
una regolazione sociale violenta
161
romantico che i media rifrangono, allora tutto sembra una pura
utopia. Nel senso che ad ogni attività economica legale la mafia
ha la capacità di contrapporvi la sua soluzione illegale.
Transcrime ha recentemente analizzato il fenomeno dei furti di medicinali dagli ospedali italiani, cui è correlata la diffusione
di farmaci contraffatti inefficaci con il conseguente rischio di
monetizzare al dettaglio la salute delle persone119. È presumibile che i prodotti rubati siano reimmessi sul mercato illegale,
a livello nazionale ma anche all’estero, in Paesi caratterizzati
da un sistema sanitario più debole o da difficoltà di accesso ai
canali legali (Est Europa e Grecia). La geografia dei furti, prevalentemente nel Sud Italia, la tipologia dei farmaci sottratti e
le modalità di ricettazione confermano l’ipotesi che in questa
attività illecita possa essere coinvolta la Camorra o la Mafia.
Proprio il carattere transnazionale della criminalità è in qualche modo facilitato, ancorché esso stesso determinato, dai
processi di globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia
perché trova in essi nuove occasioni e vantaggi per celare gli
illeciti120. In conseguenza di ciò ad ogni forma di gestione di
un’attività illegale è molto elevato il rischio che si concretizzi
un desiderio di colonizzazione di nuovi territori e proprio il riciclaggio ne costituisce la condizione essenziale, ma perché si
traduca in un radicamento non può che avverarsi attraverso
l’attività estorsiva.119. transcrime, The Theft of Medicines from Italian Hospitals, m. riccardi, m. dugato,
m. polizzotti, (a cura di), Milano 2014; ora anche in, http://www.transcrime.it/wpcontent/uploads/ 2014/03/Pharma-Theft-Report.pdf. Emerge che tra il 2006 e il 2013 un
ospedale italiano su dieci ha subìto un furto di farmaci, con un “bottino” medico che
arriva a 330 mila euro, in leggero calo rispetto allo scorso anno, con 250 mila. Secondo
lo studio il trend dei furti è in aumento e si stanno analizzando anche altre tipologie di
sottrazione illegale, come ad esempio quelle ai camion che trasportano i medicinali.
A far gola alla criminalità sono gli antitumorali, gli immunosoppressori, gli antireumatici, i biologici e in alcuni episodi le pillole per il trattamento della disfunzione erettile.
Campania e Puglia sono le regioni nelle quali si è registrato il 45% dei furti, come già nel
2013. Al Centro e al Nord le Regioni più colpite sono Lazio, Lombardia e Friuli-Venezia
Giulia.
120. Su questo vedi, l. larivera, La globalizzazione del crimine organizzato, «La Civiltà
Cattolica», 3925, anno 165, I, 4 gennaio 2014, pp. 58-70; nonché id., Sovranità statale
e criminalità organizzata, «La Civiltà Cattolica», 3926, anno 165, I, 18 gennaio 2014, pp.
130-141.
162
giacomo di gennaro
3. Tendenze estorsive:
l’andamento del fenomeno
nel quadriennio 2010-2013
Maria Di Pascale
Premessa
Sviluppare un’analisi capace di stimare il volume della delittuosità estorsiva presente in Italia non è di semplice attuazione. È
noto, infatti, che la particolare natura della fattispecie in questione, di per sé incidente sulla psiche della vittima al punto da
determinarne una obnubilazione della capacità di comprendere
e volere1, influisce sicuramente sulla propensione della stessa a
denunciare l’illecito. Come in un feedback perverso tanto più la
vittima si rassegna nel subire anziché nel denunciare, tanto più
l’estortore è tutelato nella ripetizione delle proprie azioni delinquenziali. L’effetto di tale retroazione rende pienamente condivisibile l’affermazione secondo la quale il fenomeno estorsivo
sommerso è presente ed è rilevante2. Basti pensare che ne Le
imprese vittime di criminalità in Italia, ove si riporta un’indagine
di vittimizzazione compiuta nel 2008 su 11.477 imprese italiane,
si legge che il reato di estorsione è tra quelli che presentano
i valori più alti di non-denuncia. Solo il 6,6% delle imprese che
ha subìto estorsione nei dodici mesi analizzati ha segnalato il
fatto alle Forze dell’Ordine3. Se ci appropriassimo di tale dato,
1. m. pinto, I delitti contro il patrimonio mediante violenza alle persone, utet, Torino
2009, pp. 115 ss.
2. g. di gennaro, Estorsioni ed usura: l’impatto distorsivo delle attività illegali dei clan
di camorra sull’economia regionale campana, in «Rassegna Economica», n. 1, 2013, pp.
109 ss.
3. Stante all’indagine richiamata nel testo, tra i principali motivi della non-denuncia
dichiarati dalle imprese si annoverano: a) timore e paura di rappresaglie (34,1%); b) le
Forze dell’Ordine non avrebbero comunque fatto nulla (31,7%); c) precedenti esperienze
negative (31,1%); d) assenza di prove (28,2%); e) fatto non abbastanza grave (19,7%); f)
tendenze estorsive
163
pur consapevoli di tutti i limiti che caratterizzano le indagini di
questo tipo, potremmo affermare che per avere un’idea che
sia lontanamente coincidente con la realtà dovremmo giungere
quasi a decuplicare le cifre delle statistiche pubbliche. È chiaro,
dunque, che esiste uno iato sostanziale tra ciò che ufficialmente
si osserva e ciò che realmente è.
Viepiù: il parlare di vicende estorsive rimanda sovente alla
presenza delle mafie. La linearità eziologica rintracciata tra “sintomo e malattia” non è certo aleatoria giacché la storia, specie
quella ricostruita attraverso migliaia di atti giudiziari, insegna
che laddove c’è la mafia c’è la pratica dell’estorsione nelle sue
diverse configurazioni. Al c.d. racket del pizzo, si accompagna
l’imposizione di forniture, di prodotti, di servizi, o anche l’obbligo
di assunzione4, e sicuramente nessuna di queste formule gode
del carattere della mutua escludibilità, cagionando un vero e
proprio «tartassamento degli operatori economici»5. Ciò detto,
va tuttavia specificato che purtroppo non esistono statistiche
che ci consentano una chiara scissione tra le estorsioni praticate
non si voleva esser condotti in situazioni di giustizia (17,3%). s. caneppele, g. mugellini, Le imprese vittime di criminalità in Italia, e.u. savona (coordinamento scientifico),
Transcrime - Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Università degli Studi di
Trento, 2012, pp. 47 ss.
4. Sul tema si possono assumere ad esempio alcune ordinanze emblematiche riportate nella relazione luglio-dicembre 2012 della Direzione Investigativa Antimafia, quali:
a Messina, nell’ambito dell’operazione “Supermarket”, sono state tratte in arresto cinque persone con l’accusa di estorsione ai danni di un’azienda della grande distribuzione
alimentare. L’indagine ha accertato che un esponente del clan Mangialupi risultava
essere gestore fittizio di due supermercati che si rifornivano presso la citata azienda,
costretta a consegnare ingenti forniture senza ricevere pagamenti ovvero in cambio di
assegni postdatati (o.c.c.c. n. 2869/12 rgnr e n. 4654/rggip del Tribunale di Messina);
in provincia di Caserta, sono stati tratti in arresto dodici affiliati al clan dei Casalesi,
ritenuti responsabili dei reati di associazione mafiosa, estorsione, porto e detenzione
illegale di armi e altro, che imponevano a ristoranti, organizzatori di feste patronali ed
emittenti locali, l’ingaggio di cantanti per spettacoli trattenendo parte del compenso
per il sodalizio (o.c.c.c. n. 706/12 del Tribunale di Napoli); a Reggio Calabria, sono stati
tratti in arresto dodici affiliati alle cosche Rosmini-Carindi con l’accusa di associazione
mafiosa, estorsioni e intestazione fittizia di beni. Il sodalizio aveva imposto a taluni
rivenditori del luogo la vendita di buste e materiale cartaceo (proc. n. 458/11 rgnr-dda
proc. n. 4879/11 rggip n. 72/12 rocc del Tribunale di Reggio Calabria).
5. g. di gennaro, Realtà e rappresentazione delle estorsioni in Campania. Un’analisi
del fenomeno alla luce delle trasformazioni della camorra e della percezione dei diversi
attori, in g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità. cit., p. 125.
164
maria di pascale
dalla criminalità mafiosa rispetto a quelle che desistono dall’appartenere a tale categoria come, ad esempio, organizzazioni di
tipo comune ed estorsioni praticate individualmente (si pensi
al caso del figlio tossicodipendente nei confronti del genitore).
Date queste premesse, è sicuramente pacifico che l’indagine che si intende compiere non si veste della presunzione di
inquadrare il fenomeno nella sua interezza così come nella sua
multiformità. Il tentativo resta quello di produrre una riflessione
per così dire “allo stato degli atti”, pur sempre utile a richiamare
l’attenzione verso eventi pervasivi che caratterizzano la società.
3.1 Il volume della delittuosità estorsiva denunciata in Italia:
un confronto tra macro-aree
Le statistiche pubbliche della delittuosità estorsiva denunciata
in Italia mostrano i tratti di un crimine costantemente in crescita. Solamente nel quadriennio 2010-2013 si registra un incremento nelle denunce di quasi 15 punti percentuali. Tuttavia,
l’aumento rilevato non per forza deve intendersi come aumento effettivo dei fatti estorsivi commessi. Ossia, è pur verosimile
che questo fenomeno sia oggettivamente cresciuto negli anni,
ma non deve escludersi che fattori contingenti, come ad esempio il progressivo sviluppo dell’associazionismo antiracket sul
territorio, o l’incisività delle investigazioni delle Forze dell’Ordine, abbiano incentivato l’emersione di realtà sommerse e, di
conseguenza, questo abbia fatto lievitare il numero della c.d.
criminalità manifesta a discapito di quello oscuro.
In più si può asserire che pure la quota di persone denunciate
e/o arrestate per il reato ex art. 629 c.p. è aumentata anche se il
rapporto tra “estortori e fatti estorsivi” resta alquanto costante nel tempo (tab. 1). Pur essendo un crimine prevalentemente
commesso da italiani, oltre il 77% per l’intero periodo osservato
(graf. 1), gli aumenti più consistenti si registrano a carico della
compagine allogena. Più specificatamente si rileva una variazione
in positivo del 19% per gli stranieri, con un picco del 42% per quelli
provenienti dalla stessa Comunità europea (tab. 2).
tendenze estorsive
165
Tabella 1 - Rapporto tra persone denunciate/arrestate delle forze di
polizia e denunce per fatti estorsivi ex art. 629 c.p. Valori assoluti e
variazione relativa. Anni 2010-2013
Anni
Persone
denunciate/
arrestate*
Estorsioni
Rapporto
Variazione
annua del
fenomeno
estorsivo
2010
8.342
5.992
1,4
-3,2
2011
8.592
6.099
1,4
1,8
2012
8.174
6.478
1,3
6,2
2013
8.977
6.884
1,3
6,3
Totale
34.085
25.453
1,3
-
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
* Dati estratti dalle relazioni semestrali della dia (2010-2013).
Tabella 2 - Totale delle persone denunciate/arrestate per ex art. 629
c.p. differenziati secondo la nazionalità. Anni 2010-2013
Anni
Italiani
Variazioni
annue
Comunitario
Variazioni
annue
Extracomunitario
Variazioni
annue
2010
6.658
n.d.
494
n.d.
1.190
n.d.
2011
6.493
-2,5
795
60,9
1.304
9,6
2012
6.303
-2,9
639
-19,6
1.232
-5,5
2013
6.847
8,6
703
10,0
1.299
5,4
Totale e
variazione
storica
26.301
2,8
2.631
42,3
5.025
9,2
Fonte: ns. elaborazione su dati relazioni semestrali della dia (2010-2013)
166
maria di pascale
Grafico 1 - Persone denunciate/arrestate per ex art. 629 c.p. differenziati secondo la nazionalità. Valori percentuali. Anni 2010-2013
Fonte: ns. elaborazione su dati relazioni semestrali della dia (2010-2013)
In aggiunta, stante ai dati pubblicati nelle relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia per il periodo
2010-2013, il principale obiettivo degli estortori è il privato
cittadino, infatti, l’incidenza rilevata va ben oltre il 68%. Seguono i commercianti, gli imprenditori, i titolari di cantiere
e i liberi professionisti, rispettivamente con il 13%, il 6%, il
5% e il 4% (tab. 3 - graf. 2). Specificando che non si possiedono informazioni ulteriori che consentano una maggiore
caratterizzazione circa il contesto in cui il reato stesso si è
consumato, pare evidente che, particolarmente negli ultimi
casi, l’attività estorsiva sia connessa all’attività lavorativa
della vittima. A questo punto, la “solvibilità” dell’estorto è
garantita dalla sua maggiore vulnerabilità che, se è possibile, appare qui doppiamente evidente poiché non soltanto
connessa a timori relativi alla minaccia della incolumità personale, propria o dei propri cari, ma anche alla necessità di
salvaguardare la propria attività professionale, o esercizio
commerciale, fonte di reddito, nonché humus d’edificazione
della propria identità sociale. È anzitutto in questa occasione
che, come accennato in premessa, il dato andrebbe almeno
decuplicato per potersi considerare vagamente convergente
con la realtà.
tendenze estorsive
167
Tabella 3 - Vittime di estorsione differenziate secondo alcune informazioni note. Anni 2010-2013
TitoImlare
prendicantietore
re
Libero
professionista
Privato
cittadino
Commerciante
2010
3.676
789
327
315
253
204
5.564
2011
4.039
841
349
301
300
269
6.099
Anni
Altro
Totale
2012
4.475
812
330
278
267
316
6.478
2013
4.094
632
323
223
217
237
5.726
% sul
totale
68,2%
12,9%
5,6%
4,7%
4,3%
4,3%
23.867
Fonte: ns. elaborazione su dati relazioni semestrali della dia (2010-2013)
Grafico 2 - Vittime di estorsione differenziate secondo alcune informazioni note. Anni 2010-2013
Fonte: ns. elaborazione su dati relazioni semestrali della dia (2010-2013)
Se poi focalizziamo ulteriormente l’attenzione e osserviamo da
vicino le tendenze estorsive per macro-aree (nord-ovest, nordest, centro e sud-insulari), le dinamiche emergenti suggeriscono
ulteriori interessanti considerazioni.
Innanzitutto, dall’analisi del dato assoluto, in sintonia con
quanto rilevato da altre indagini condotte sul tema ma riferite
168
maria di pascale
a periodi storici differenti6, ciò che si deriva è che nelle regioni
sud-insulari continua a concentrarsi il maggior numero di fatti
denunciati: oltre il 47% del totale delle segnalazioni censite tra
il 2010 e il 2013 (tab. 4).
Qui in media sono stati denunciati 2.995 eventi estorsivi
all’anno, a fronte dei 1.439 del nord-ovest, dei 1.159 del centro e
dei 764 del nord-est (graf. 3). È chiaro che, in riferimento a questi territori, ritorna prepotente alla mente il sillogismo esistente
tra estorsioni e mafie poiché se è vero, come si è detto, che può
esserci estorsione senza che vi sia mafia, è sicuro che non possa
dirsi il contrario, «[…] non c’è mafia che non eserciti l’estorsione
come propria attività originaria e ordinaria»7. Dunque, è proprio
rispetto a questi luoghi, innegabilmente caratterizzati da una
presenza strutturata di criminalità organizzata, che diviene più
forte la convinzione che le attività estorsive siano un derivato
dell’affermazione del potere delle associazioni criminali esistenti sul territorio.
Tabella 4 - Totale dei delitti di estorsione denunciati nelle differenti
macro-ripartizioni. Rapporto di composizione sul totale annuo di
estorsioni. Anni 2010-2013
Anni
NordOvest
%
NordEst
%
Centro
%
SudInsulari
%
2010
1.363
22,7
676
11,3
1.022
17,1
2.931
48,9
2011
1.359
22,3
646
10,6
1.164
19,1
2.930
48,0
2012
1.431
22,1
845
13,0
1.180
18,2
3.022
46,7
2013
1.602
23,4
890
13,0
1.271
18,5
3.096
45,1
Totale
5.755
22,6
3.057
12,0
4.637
18,2
11.979
47,1
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
6. g. di gennaro, a. la spina, I costi dell’illegalità, cit.
7. t. grasso, a. varano, U pizzu. L’Italia del racket e dell’usura, Baldini & Castoldi,
Milano 2002, p. 69.
tendenze estorsive
169
Grafico 3 - Estorsioni medie denunciate negli anni 2010-2013, differenziate per macro-ripartizione
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
In questa stessa direzione anche il c.d. tasso d’incidenza estorsiva il quale consente di mettere in relazione due variabili – tempo e spazio – restituendo al lettore una visione dinamica del
fenomeno. Nel caso di specie, tenuto conto dell’ampiezza e
delle variazioni demografiche delle diverse macro-aree oggetto
d’indagine, si è provveduto al calcolo del tasso d’incidenza moltiplicando il rapporto tra denunce di estorsione e popolazione
d’interesse (soggetti di età compresa tra i 14 e gli 80 anni), residente nelle singole ripartizioni, per un N. fisso pari a 100.0008.
In questo modo si è evitata l’influenza distorsiva che il diverso
ammontare della popolazione può avere circa la percezione
del fenomeno se osservato solo in termini di valori assoluti9.
8. Per quanto il tasso sia un indice che fornisce informazioni maggiormente specifiche rispetto a quelle ricavate dalla lettura del solo dato assoluto, anche questa
misura presenta dei limiti. Innanzitutto esso viene calcolato unicamente sulla base
del dato noto, non tenendo in conto, dunque, che una larga parte del fenomeno resta
non denunciato. Inoltre, con riferimento alla popolazione d’interesse individuata, va
specificato che questa include unicamente i soggetti residenti legalmente in un certo
territorio non anche la quota di quanti, pur vivendo in un luogo, vi risiedono clandestinamente, sfuggendo ad ogni forma di censimento possibile. In realtà, un’analisi che
abbia più ampi margini di attendibilità andrebbe effettuata sul totale della popolazione
effettivamente presente, ivi compresi quei soggetti non ufficialmente registrati.
9. m. giacalone, Manuale di statistica giudiziaria, Bel-Ami, Roma 2009, p. 251.
170
maria di pascale
Nell’area sud-insulare, rispetto al quadriennio considerato,
si registra un tasso medio uguale a 17,8, il valore più alto se
posto a confronto con il 12,2 del centro, l’11,2 del nord-ovest e
l’8,1 del nord-est (tab. 5). Per di più, analizzando nel dettaglio i
singoli anni del periodo, è possibile notare che il tasso dell’area
sud-insulare è sempre superiore non solo rispetto alle singole
ripartizioni considerate, ma più in generale, rispetto allo stesso
tasso d’incidenza estorsiva nazionale (graf. 4).
Tabella 5 - Tasso d’incidenza estorsiva su 100.000 residenti di età
compresa tra i 14 e gli 80 anni. Anni 2010-2013
Anni
NordOvest
NordEst
Centro
SudInsulari
2010
2011
10,6
7,3
10,8
17,4
10,6
7,0
12,3
17,4
2012
11,1
9,1
12,5
18,0
2013
12,4
9,5
13,4
18,4
Tasso medio per
macro-ripartizione
11,2
8,1
12,2
17,8
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Grafico 4 - Tasso d’incidenza estorsiva differenziato secondo la macro-ripartizione a confronto con il tasso nazionale. Anni 2010-2013
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
tendenze estorsive
171
Tuttavia, v’è da aggiungere che mentre nelle regioni sud-insulari
le denunce per il reato ex art. 629 c.p. appaiono alquanto stabilizzate nel tempo, subendo soltanto lievi oscillazioni che chiudono il periodo con una variazione di poco superiore ai 5 punti
percentuali, gli andamenti censiti per le restanti macro-aree
risultano maggiormente addentellati e in aumento (graf. 5).
Premettendo che il quadriennio si chiude sempre con una
variazione positiva (+17,5% per il nord-ovest; +31,7% per il nordest; +24,4% per il centro), il trend dell’area del nord-est è quello
maggiormente incostante. Qui nel 2012 si è registrato un picco
in rialzo di quasi 31 punti percentuali, e tale orientamento è
stato confermato l’anno successivo, quando si è rilevato un
ulteriore aumento di oltre 5 punti (tab. 6).
Ora, ribadendo ulteriormente che, visti i dati in nostro possesso, non si è in grado di distinguere tra estorsione comune
ed estorsione praticata dalla criminalità organizzata, pare certo
un’infausta coincidenza il fatto che siano così notevolmente
aumentate negli anni sia le denunce per questo reato, sia il
tasso d’incidenza estorsiva in generale in tutta l’area del nord
d’Italia, in associazione alla, per così dire, “scoperta” della
«delocalizzazione»10 della criminalità mafiosa proprio in alcune
regioni settentrionali.
10. Nel corso dell’audizione del Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia, dr. Roberto Pennisi, tenuta il 17 aprile 2012 dinanzi alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul
fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, il Procuratore
spiega, guardando in modo particolare ai territori del Veneto, il perché dell’utilizzo del
termine “delocalizzazione”. Nelle parole del procuratore «per comprendere il significato di questa terminologia basta riferirsi al significato che il termine delocalizzazione
ha nel mondo dell’economia globalizzata, cioè l’impresa che decide di insediarsi in un
altro territorio mantenendo la sede centrale nel luogo di origine».
172
maria di pascale
Tabella 6 - Variazione annua e variazione storica delle denunce di
estorsione differenziate secondo la macro-ripartizione. Anni 2010-2013
Anni
NordOvest
NordEst
Centro
SudInsulari
2010
n.d.
n.d.
n.d.
n.d.
2011
-0,3
-4,4
13,9
-0,0
2012
5,3
30,8
1,4
3,1
2013
11,9
5,3
7,7
2,5
Variazione storica
per macro-area
17,5
31,7
24,4
5,6
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Grafico 5 - Andamento della variazione annua delle denunce di estorsione differenziato secondo la secondo la macro-ripartizione. Anni
2010-2013
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
3.2 Le trasformazioni del fenomeno estorsivo nelle regioni
italiane
L’attuale distribuzione territoriale dei fatti estorsivi denunciati
conferma l’esistenza di una svolta nella tradizionale concezione
del fenomeno come problema relegato unicamente a specifiche
regioni del Mezzogiorno d’Italia. Se negli anni Novanta i dati
tendenze estorsive
173
continuano a far sostenere che la “questione” interessa principalmente la Campania, la Puglia, la Sicilia e la Calabria, le c.d.
regioni a rischio mafia11, con gli sviluppi dell’ultimo quindicennio
si è compreso che la situazione in realtà è ben più complessa.
Tra i principali motivi che inducono a una ridefinizione della
geografia estorsiva del Paese, incisiva tanto al sud quanto in
alcune regioni del centro-nord, vi è di certo lo spostamento
degli interessi delle mafie verso il settentrione12.
In riferimento agli anni 2010-2013, le cinque regioni che fanno censire il più alto numero di delitti di estorsione denunciati
sono (tab. 7 - graf. 6):
I. la Campania, con una media di 1.036,5 denunce annuali e
un peso pari al 16,3% sul totale di periodo;
II. la Lombardia, con 874,8 e una percentuale di periodo del
13,7;
III. la Sicilia, con 663,3 e una percentuale di periodo del 10,4;
IV. la Puglia, con 621,3 e una percentuale di periodo del 9,8;
V. e infine il Lazio, con 609,5 e una percentuale di periodo
del 9,6.
11. Solo in queste regioni si concentra, tra il 1991 e il 1997, il 52% delle attività estorsive denunciate nel Paese. t. grasso, Antiracket. Le associazioni, le denunce, i processi
1990/97, in «Quaderni», anno 4 - n. 3, Edizioni Commercio, Roma 1997; se poi osserviamo
le tendenze registrate per il periodo che va dal 1998 al 2009, notiamo che il fenomeno
persiste nel concentrarsi nelle regioni summenzionate, occupando una quota sul totale del 46%. Tuttavia in questi anni, anche in altri territorio, come Lombardia e Lazio,
il fenomeno comincia ad acquisire un peso significativamente in rialzo. Per un’analisi
della serie storica 1998-2010 si rimanda al capitolo 2 del presente lavoro.
12. Per rispondere all’esigenza di implementare la conoscenza e le informazioni
sull’estensione del fenomeno mafioso nel nord d’Italia, ultimo, in senso cronologico,
è il Primo Rapporto trimestrale sulle aree settentrionali, per la presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso, pubblicato nel settembre del
2014, a cura dell’Osservatorio sulla Criminalità organizzata dell’Università degli Studi
di Milano. La tesi di fondo sostenuta dall’équipe di ricerca diretta dal Prof. Fernando
dalla Chiesa, è quella secondo cui sono soprattutto i piccoli comuni a giocare un ruolo
cruciale nell’espansione e nel radicamento delle organizzazioni mafiose nelle regioni
settentrionali. Rispetto ad essi, la capacità di controllo del territorio e delle amministrazioni pubbliche locali, è decisamente più forte di quella eventualmente esercitabile
su una grande metropoli.
174
maria di pascale
Solamente in questi luoghi si concentra quasi il 60% del totale
delle denunce per il reato ex art. 629 c.p. Se, dunque, da un lato
Campania, Sicilia e Puglia si confermano tra le regioni italiane
maggiormente afflitte, dall’altro lato Lombardia e Lazio si inseriscono a pieno titolo in questa immaginata top five.
Tabella 7 - Totale dei delitti di estorsione denunciati per regione.
Anni 2010-2013
2010
2011
2012
2013
% regionale sul
totale
409
352
403
457
6,4
3
6
15
25
0,2
Lombardia
797
873
857
972
13,7
Trentino-Alto Adige
50
43
66
48
0,8
Veneto
273
252
312
317
4,5
Regioni
Piemonte
Valle d’Aosta
Anni
Friuli-Venezia Giulia
63
57
76
84
1,1
Liguria
154
128
156
156
2,3
Emilia-Romagna
290
294
391
446
5,6
Toscana
317
327
302
372
5,2
Umbria
65
76
92
90
1,3
Marche
123
133
137
167
2,2
Lazio
517
628
649
644
9,6
Abruzzo
163
158
180
141
2,5
Molise
27
41
42
35
0,6
Campania
1.021
1.070
1.050
1.005
16,3
Puglia
565
611
671
638
9,8
Basilicata
51
71
46
82
1,0
Calabria
311
268
275
302
4,5
Sicilia
650
616
651
736
10,4
Sardegna
143
95
107
167
2,0
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
tendenze estorsive
175
Grafico 6 - Estorsioni medie denunciate negli anni 2010-2013, differenziate per regione
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Bypassando il dibattito specifico sulle tendenze campane,
meglio affrontato nei capitoli che seguono13, l’osservazione
dei dati nella loro dimensione di valori assoluti, induce sicuramente a una riflessione sulla particolare dinamica registrata in
Lombardia. È risaputo, infatti, che questa regione sin dalla fine
degli anni Ottanta è stata bersaglio sia di Cosa nostra sia della
’ndrangheta ma, mentre la prima ha subìto un arretramento
cagionato dall’incisività dell’azione delle forze di polizia a seguito delle stragi dei primi anni Novanta, la seconda si è insediata
indiscussa, e poco disturbata, su tutto il territorio lombardo14.
Solo nei decenni avvenire le indagini condurranno all’assunzione di decine di ordinanze d’arresto per associazione mafiosa di
stampo ’ndranghetista nelle quali, tra i reati ascritti, spiccano le
13. Si vedano i capitoli 4 e 5 di questo lavoro.
14. d. bettera, l. peviani, Benvenuti al nord. La mafia in Lombardia, Piemonte, Liguria,
Emilia Romagna e Veneto. Fra passato e presente, dal soggiorno obbligato al controllo
del territorio alla collusione con la politica locale, in «Paginauno», n. 28, 2012; nonché, d.
corrado, La ’ndrangheta in Lombardia, dal dopoguerra all’Expo 2015, in «Paginauno»,
n. 31, 2013; ancora, f. dalla chiesa (a cura di), Primo Rapporto trimestrale sulle aree
settentrionali, cit.
176
maria di pascale
imputazioni per centinaia di condotte estorsive15. Pare, dunque,
abbastanza chiaro che in questa regione i reticolati estorsivi
esistenti siano, almeno in parte, legittimati e governati dalla
presenza di una pervasiva forza mafiosa che ha «colonizzato»
il territorio16.
La ’ndrangheta, quindi, sembra agire tanto in Lombardia
quanto in Calabria. Eppure il fenomeno delle estorsioni, nel
corso dell’ultima decade, è emerso maggiormente nella regione settentrionale, dove tra l’altro appare in aumento, piuttosto che in quella meridionale, ove si evidenziano orientamenti
contrari. Se il modus operandi resta lo stesso, allora perché si
registra questa inversa tendenza? Sicuramente il fatto che la
Lombardia sia tra le regioni più ricche d’Italia e che sia un eccellente destinatario di investimenti, pubblici o privati, non da
ultimo l’organizzazione dell’Expo 2015, fa di questo luogo tra
i più attraenti per i gruppi malavitosi. Tuttavia, ci si domanda
se la differente ricchezza di un territorio possa incidere sulla
stessa realizzazione di fatti estorsivi. Probabilmente si, pro15. Emblematica è l’inchiesta Infinito del luglio 2010. Con ordinanza di applicazione
di misura coercitiva (n. 43733/06 r.g.n.r - n. 8265/06), il Tribunale di Milano ordina alla
polizia l’arresto di oltre un centinaio di oblati alla ’ndrangheta. Solo in questa ordinanza si riportano più di dieci casi di estorsione ai danni di differenti vittime (pp. 132
ss.). Successivamente, con sentenza n. 13255/12, dell’omonimo tribunale, molti degli
imputati saranno condannati a diversi anni di carcere; o ancora, l’indagine Insubria che,
nata negli ultimi mesi del 2012, lo scorso 18 novembre 2014 ha condotto all’arresto di
40 presunti ’ndranghetisti su richiesta della dda milanese.
16. Nella Relazione della Direzione Nazionale Antimafia del gennaio 2014, riferita
al periodo 1° luglio 2012-30 giugno 2013, si legge che la ’ndrangheta, in riferimento al
territorio lombardo e piemontese, ha attuato un vero processo di «colonizzazione»,
e dunque non di semplice delocalizzazione (così come sostenuto in nota n. 11, in riferimento ai territori del Triveneto), vale a dire, si è avuta «l’espansione di una certa ’ndrina
su di un nuovo territorio nel quale, sul modello della “casa madre”, viene similmente
organizzato ed esercitato un controllo stringente ed opprimente (con attentati, intimidazioni, richieste estorsive, accaparramento di appalti e sub-appalti, contiguità con
il mondo politico ed amministrativo) e nel quale vengono gestite le attività delittuose
ed il reinvestimento dei relativi profitti, determinandosi, così, la formazione di uno
stabile insediamento mafioso che prende, infine la forma del “locale” di ’ndrangheta,
locale la cui apertura viene, naturalmente, autorizzata in Calabria. Qui, dunque, la
’ndrangheta ha “messo radici”, divenendo, ad un tempo, un’associazione dotata di
autonomia (non diversamente dai “locali” calabresi) ma che, comunque, continua ad
intrattenere rapporti molto stretti con la “Provincia” dalla quale dipende per le più
importanti scelte strategiche.
tendenze estorsive
177
babilmente il fatto che, secondo il Rapporto svimez 2014 sull’economia del Mezzogiorno, la Calabria nell’ultimo sessennio si
sia progressivamente impoverita, rientrando tra le regioni
meno abbienti d’Italia, ha indotto le ’ndrine a cercare fonti
di denaro altrove.
Ciononostante, recuperando un orientamento di matrice
putnamiana17, non è da sottovalutare anche l’ipotesi secondo la quale in Calabria la proverbiale e strutturale debolezza
della civicness meridionale, connotata tra l’altro da una radicata sfiducia nelle performance istituzionali, nonché da una
forma mentis maggiormente esposta al pensiero omertoso,
diminuisca la capacità di denuncia nelle vittime, lasciando il
fenomeno nell’ombra. È verosimile, infatti, che in Lombardia
la popolazione-bersaglio essendo meno avvezza al vivere mafioso, semplicemente perché interessata da minor tempo, sia
meno acquiescente.
Dentro questa cornice, l’introduzione del tasso d’incidenza
estorsiva regionale, calcolato sulla popolazione residente di età
compresa tra i 14 e gli 80 anni, in riferimento agli anni 20102013, consente aggiuntive riflessioni e specificazioni (tab. 8).
Come già accennato nel corso del paragrafo precedente, il tasso
d’incidenza medio delle regioni sud-insulari è decisamente più
alto di quello calcolato per le restanti ripartizioni italiane. Se
osserviamo la figura 1, infatti, notiamo che i valori più elevati
corrispondono proprio alla Campania con un tasso medio di
22,2, alla Puglia con 18,7, alla Calabria con 18, e con valori di
poco inferiori, alla Sicilia con 16,3 e all’Abruzzo con 14,9. Queste
regioni riportano, in generale, tassi superiori rispetto alla stessa media nazionale (graf. 7). Viceversa, la maggior parte delle
regioni del centro-nord fanno censire tassi medi d’estorsione
di gran lunga inferiori ai 12 punti, ivi compresa la Lombardia il
cui valore è di 11,1 (fig. 1).
17. r. putnam, La tradizione civica nelle regioni italiane, Mondadori, Milano 1993.
178
maria di pascale
Tabella 8 - Tasso d’incidenza estorsiva su 100.000 residenti di età
compresa tra i 14 e gli 80 anni. Anni 2010-2013
Regioni
Anni
2010
2011
2012
2013
Variazione
storica
Piemonte
11,4
9,8
11,3
12,8
12,4
Valle d’Aosta
2,9
5,8
14,6
24,1
733,1
Lombardia
10,1
11,1
10,8
12,2
20,4
Trentino-Alto Adige
6,1
5,2
8,0
5,8
-6,1
Veneto
6,9
6,4
7,9
8,0
15,6
Friuli-Venezia Giulia
6,3
5,7
7,6
8,4
34,0
Liguria
11,9
10,0
12,2
12,3
3,0
Emilia-Romagna
8,3
8,4
11,1
12,6
52,4
Toscana
10,6
10,9
10,1
12,4
17,0
Umbria
9,1
10,6
12,9
12,6
38,5
Marche
9,8
10,6
11,0
13,4
36,2
Lazio
11,5
13,9
14,4
14,2
23,0
Abruzzo
15,2
14,7
16,9
13,2
-13,3
Molise
10,4
15,9
16,4
13,6
31,1
Campania
21,9
22,9
22,5
21,5
-1,9
Puglia
17,1
18,4
20,3
19,3
12,9
Basilicata
10,7
14,9
9,7
17,4
62,7
Calabria
19,3
16,7
17,2
18,9
-2,2
Sicilia
16,0
15,1
16,0
18,1
13,3
Sardegna
10,4
6,9
7,8
12,2
17,5
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
tendenze estorsive
179
Grafico 7 - Tasso d’incidenza estorsiva medio regionale a confronto
con il tasso medio italiano. Anni 2010-2013
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Ciò detto, va ulteriormente precisato che proprio alcune delle
regioni con il tasso medio più alto fanno registrare, per gli anni
osservati, un trend in flessione. Tale flessione è da riferirsi sia ai
fatti denunciati (tab. 9), sia allo stesso tasso d’incidenza estorsiva (tab. 8). In particolare, l’Abruzzo chiude il periodo con un
calo delle denunce del 13,5% e con una variazione del tasso di
-13,3 punti. Medesimo orientamento per la Calabria e la Campania, rispettivamente -2,9 e -1,6 per le denunce, e -2,2 e -1,9 per la
variazione del tasso. Al contrario, le variazioni storiche positive
più rilevanti si annotano principalmente per la Valle d’Aosta
(+733,3 per le denunce, +733,1 per il tasso)18, per la Basilicata
18. Seppur ai dati va riconosciuto il pregio d’esser carichi di una loro significatività oggettiva, con riguardo alla Valle d’Aosta, non è il caso che questi indici in rialzo vengano
oltremodo drammatizzati poiché calcolati in riferimento a valori assoluti relativamente
molto bassi. Si è passati, infatti, dalle 3 denunce per estorsione del 2010, alle 25 del
2013. Ciò specificato, è pur vero che proprio in questi anni, in questa regione, che sino
ad ora si era creduta libera da ogni forma d’infiltrazione mafiosa, numerose iniziative
hanno lasciato intendere il contrario. Basti pensare che nel 2012, il Consiglio regionale
valdostano ha ritenuto di dover costituire un organismo ad hoc, vale a dire la Commissione consiliare speciale per l’esame del fenomeno delle infiltrazioni mafiose, in risposta
all’estensione della criminalità organizzata di stampo mafioso nelle regioni del nord
180
maria di pascale
(+60,8 per le denunce, +62,7 per il tasso), per l’Emilia-Romagna
(+53,8 per le denunce, +52,4 per il tasso).
L’analisi dei fatti estorsivi denunciati sul territorio italiano
sembra, dunque, suggerire alcune interessanti conclusioni: se
le tendenze osservate, da un lato, prestano il fianco a vecchie
conferme, dall’altro ci consentono di tracciare le possibili nuove geografie estorsive che caratterizzano il Paese. Quello che
emerge, è che le regioni del Mezzogiorno d’Italia continuano
ad essere maggiormente colpite e, tra di esse, è la Campania a
detenere l’infelice primato di località in cui si registrano i valori
e i tassi d’incidenza estorsiva più elevati. Allo stesso tempo,
però, la “questione” pare investire anche nuovi luoghi, territori
finora considerati estranei a manifestazioni di questo tipo. Il
racket delle estorsioni attraversa attualmente l’intera penisola
passando dal Lazio, dall’Emilia-Romagna, dalla Toscana sino a
raggiungere il profondo settentrione. Anzi è proprio qui che
negli ultimi anni è cresciuto più velocemente facendo registrare
variazioni in costante rialzo.
d’Italia. Infatti, nel verbale sommario della riunione n. 15 dell’11/10/2012 dell’omonima
Commissione, si legge che «sebbene possa dirsi che in Valle non ci sia una presenza
strutturata di organizzazioni criminali, risulta però evidente l’influenza di grandi famiglie
della ’ndrangheta che si è manifestata nel corso degli anni con episodi di riciclaggio di
denaro, di traffico di stupefacenti e di estorsioni».
tendenze estorsive
181
Tabella 9 - Variazione annua e variazione storica delle denunce di
estorsione differenziate per regione. Anni 2010-2013
Regioni
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-Alto
Adige
Veneto
Friuli-Venezia
Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
2010
-1,7
-66,7
-1,0
2011
-13,9
100,0
9,5
Anni
2012
14,5
150,0
-1,8
2103
13,4
66,7
13,4
Variazione
storica
11,7
733,3
22,0
31,6
-14,0
53,5
-27,3
-4,0
0,0
-7,7
23,8
1,6
16,1
-3,1
-9,5
33,3
10,5
33,3
14,1
-26,6
0,6
-1,5
-10,9
15,7
10,1
-22,9
-7,0
-11,4
-36,3
11,5
-5,7
19,2
-16,9
1,4
3,2
16,9
8,1
21,5
-3,1
51,9
4,8
8,1
39,2
-13,8
-5,2
-33,6
21,9
33,0
-7,6
21,1
3,0
3,3
13,9
2,4
-1,9
9,8
-35,2
2,6
5,7
12,6
0,0
14,1
23,2
-2,2
21,9
-0,8
-21,7
-16,7
-4,3
-4,9
78,3
9,8
13,1
56,1
1,3
53,8
17,4
38,5
35,8
24,6
-13,5
29,6
-1,6
12,9
60,8
-2,9
13,2
16,8
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
182
maria di pascale
Figura 1 - Tasso d’incidenza estorsiva medio regionale. Anni 2010-2013
tendenze estorsive
183
Parte seconda
4. Le estorsioni in Campania:
una interpretazione della dinamica
nelle diverse province
Giacomo Di Gennaro
Premessa
Questo capitolo è dedicato a un approfondimento della dinamica
estorsiva in Campania. Nella prima parte i dati sono analizzati con
riferimento al contesto regionale e con comparazioni tra questo e le
altre regioni del Paese. Nei paragrafi successivi vengono approfondite le condizioni delle singole province sviluppando comparazioni
tra le diverse province e tra Napoli e il suo hinterland. A partire
dai risultati raggiunti dalle precedenti ricerche sul fenomeno e già
richiamate, abbiamo ritenuto di mettere a verifica l’ipotesi circa
la capacità produttiva dei clan relativamente alle estorsioni nei diversi territori e ritenendo che essa non solo è quantitativamente
differente ma lo è anche qualitativamente. La dimensione dei clan
non è, infatti, omogenea e non lo è nemmeno il radicamento nei
singoli territori. L’area regionale campana presenta un livello così
differenziato di gruppi criminali che se è vero che le cosche mafiose
siciliane (almeno quelle aderenti a Cosa Nostra) e calabresi sono
state caratterizzate per un lungo tempo da una configurazione più
verticale e gerarchica, non fortemente compartimentata e regolate
da organismi unitari, quelle che comunemente chiamiamo camorra,
contrariamente a quanto sostenuto da sempre, non sono caratterizzate solo da una fisionomia di tipo reticolare orizzontale ma, al
contempo, anche, e specie nelle aree della provincia napoletana
e in altre interne della regione, da una monoliticità organizzativa
addensata attorno ad un core familiare-parentale di tipo gerarchico
che conferisce al clan una vicinanza configurativa più al modello
mafioso che a quello cittadino partenopeo. Ciò è determinato: a)
innanzitutto, dalla minore densità dei clan presenti nei singoli terrile estorsioni in campania
187
tori che conferisce al clan una minore esposizione alla concorrenza
territoriale e una maggiore coesione interna; b) da una più lunga e
radicata storia di clan che consente di costruire una osmosi con il
contesto locale; c) da una più tipica configurazione e gestione delle
relazioni e della struttura familiare e parentale ancorate tuttora a
forti identità e modelli simbolico-culturali tradizionali; d) da un uso
più marginale della intimidazione violenta e crudele in conseguenza
della lunga e autorevole reputazione illegale non sempre esibita e
percepita nei contesti come criminale; e) dal maggior carattere di
protezione che assume l’attività estorsiva piuttosto che di violenta
e indiscriminata estrazione predatoria; f) infine, dal controllo più
efficace esercitato dai capi all’interno dell’organizzazione strutturata in modo più gerarchico, funzionale alla limitazione del trasferimento da un clan ad un altro di affiliati, seguaci o fiancheggiatori.
4.1 L’andamento della delittuosità estorsiva in Campania
Come più volte detto, ci siamo serviti di differenti fonti per
delineare l’andamento del reato di estorsione in Campania,
ciò nella presupposizione che i dati reali, ovvero l’insieme delle estorsioni commesse ogni giorno nelle diverse aree comunali della regione, non vengono mai acquisiti del tutto. Nella
letteratura criminologica, si sa, vengono indicati in genere tre
livelli di analisi: quello reale, l’ufficiale o registrato, quello non
conosciuto1. Ad ognuno dei livelli vi corrisponde una quantità
1. La criminalità reale coincide con tutti i reati che vengono commessi in un luogo
indipendentemente dal fatto se siano o meno denunciati o diventino oggetto dell’indagine da parte delle forze dell’ordine o ricevano una condanna; la criminalità ufficiale
(derivata dalle statistiche sulla delittuosità e sulla criminalità) corrisponde alle condotte
criminali registrate dalle diverse forze dell’ordine, dalla magistratura e dal sistema penitenziario. Molte denunce non corrispondenti a fatti reali (per es. furti denunciati per
incassare premi assicurativi) entrano anche in questo livello. La criminalità nascosta,
infine, è costituita da tutti quei reati che non sono registrati, denunciati (c.d. numero
oscuro) e che varia in ragione del tipo di reato (per es. si pensi alla corruzione, all’usura, all’estorsione). Su questi aspetti si vedano, r. marselli, m. vannini, Economia della
criminalità, utet, Torino 1999; l. berzano, f. prina, Sociologia della devianza, Carocci,
Roma 1995; t. bandini, u. gatti, b. gualco, d. malfatti, m.i. marugo, a. verde, Criminologia, Giuffrè, Milano 1991.
188
giacomo di gennaro
diversa che pone dilemmi interpretativi di non poco conto. Inoltre, per quanto la regione sia caratterizzata da una tipologia
estorsiva fortemente connotata dal profilo mafioso, ovvero
quella regolata dall’ex art. 629 c.p. aggravato dall’art. 7 del
d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (convertito nella legge n. 203/1991), i
dati ufficiali non distinguono il reato di estorsione semplice da
quello tipico delle organizzazioni criminali che è aggravato da
tale profilo, né ci offrono informazioni sul numero di episodi
estorsivi di cui è destinataria una vittima. Per avere dati netti
di quest’ultimo tipo – sempre subordinati a ciò che viene denunciato e poi accertato prima dalle forze di polizia e poi da
una condanna giudiziaria – occorrerebbero conferme dalla lettura degli atti giudiziari incrociate con le statistiche processuali
penali il materiale giudiziario delle quali o le banche dati della
Procura nazionale antimafia ci informano sui procedimenti che
diventano al contempo unità di rilevazione del rendimento di
un Ufficio o Tribunale (indicatori di efficienza e produttività) e
di differenza fra tipologie interne allo stesso reato. Purtroppo i processi di informatizzazione di queste informazioni sono
ancora fin troppo recenti per essere attendibili e generare una
serie storica, in più non sono molto veloci nella riproduzione
delle informazioni e non sempre si registra presso le diverse
procure una condivisione della necessità di tali informazioni
ai fini di una descrizione e interpretazione più attendibile dei
fenomeni criminali. Questa precisazione si rende necessaria
perché si potrebbe obiettare che il dato ufficiale (sia esso Istat o
dello SDI) riferendosi ad ogni forma di estorsione (per es. il figlio
che estorce alla madre una somma per l’acquisto di una dose)
non offre l’idea precisa del fenomeno. L’obiezione sarebbe di
per sé fondata dal momento che effettivamente in un paesino
sperduto del beneventano, dell’avellinese o del salernitano è
molto più verosimile che una denuncia per estorsione abbia un
tale significato piuttosto che la predizione di un reato di tipo
mafioso. Tuttavia, proprio perché le statistiche possono essere
interpretate da diversi punti di vista è il confronto con le altre
banche dati che riduce il rischio di confutazione. Tant’è che tutti
gli addetti ai lavori sanno che la stragrande maggioranza dei
le estorsioni in campania
189
dati che si riferiscono a questo reato hanno la connotazione
del reato mafioso.
Detto ciò veniamo all’esame dei dati. Un primo aspetto da cui
partire attiene la dimensione delle estorsioni registrate in Campania nel quadriennio che l’Obiettivo convergenza, Obiettivo
operativo 2.4 prevedeva per questo lavoro: il periodo tra il 2010
e il 2013. Per poter fare considerazioni più fondate sulla base di
dati facilmente disponibili, in alcuni casi siamo partiti dagli ultimi
sette anni. Per cui la prima considerazione riguarda l’entità delle
denunce per estorsioni registrate nel periodo dal 2007 al 2013.
Come si vede dalla tabella sottostante, in Campania si registra
un totale di 7.671 denunce nel settennio in esame (pari al 17,2%
del totale registrato nel Paese), con una media di 1.096 denunce
all’anno (6.386 in Italia). Tra l’anno di inizio della serie e quello
finale si registra una contrazione pari al 18,1% che scende all’1,6%
se consideriamo solo il quadriennio prescelto per questo lavoro.
Se le denunce calano ciò non vuol dire che la pressione estorsiva
si riduce, ma al contrario, essa può o salire o stabilizzarsi a fronte
di denunce che non vengono prodotte dalle vittime.
Tabella 1 - Totale dei delitti di estorsione denunciati per la regione
Campania. Anni 2007-2013
Anno
Delitti
di estorsione
% di estorsione sul totale
periodo
Variazione %
annua
2007
1.227
16,0
-
2008
1.200
15,6
-2,2
2009
1.098
14,3
-8,5
2010
1.021
13,3
-7,0
2011
1.070
13,9
4,8
2012
1.050
13,7
-1,9
2013
1.005
13,1
-4,3
Totale
7.671
100,0
-
Italia
44.705
-
-
Fonte: ns. elaborazioni su dati Istat e sdi/ssd
190
giacomo di gennaro
Il dato regionale l’abbiamo comparato con quello delle altre regioni e come si vede dalla tabella 2 la quota di denunce registrate
in Campania è di poco inferiore – tra le regioni meridionali – al
totale di Puglia, Calabria e Sardegna. Se i valori della Campania
li rapportiamo alle regioni del Centro-Nord occorre sommare
le denunce registrate in Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Toscana e Lazio per raggiungere la quota campana. La
contrazione nell’intero periodo interessa 6 regioni su 20 (1/3) e
se escludiamo il Molise le restanti appartengono al Sud. Questa è
una ulteriore conferma del segnale preoccupante della riduzione
delle denunce perché, contrariamente a quanto si può immaginare, non vi corrisponde una contrazione della pressione estorsiva ma solo una diffusione del timore di ritorsioni, di sporgere
denuncia avendo fiducia nell’azione repressiva dello Stato, o di
rendere visibile l’essere stati assoggettati al crimine organizzato,
o, ancora più grave, di far emergere la corresponsabilità generata
dalla collusione con il crimine organizzato.
L’incremento più sostenuto, invece, si registra in Valle d’Aosta
(177,8%), cui fa seguito il Lazio (84,5%), l’Umbria (63,6%), la Basilicata (46,4%), l’Emilia-Romagna (36,8%). Alle più classiche regioni
del Nord (Lombardia, Piemonte, Veneto) ove il fenomeno è di più
lunga datazione si vanno aggiungendo nuove aree territoriali che
specie nel Centro del Paese vedono nella Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna le nuove direttrici di espansione dei gruppi criminali
sia perché aree di investimento che territori caratterizzati da una
moltitudine di comuni medio-piccoli ideali per ogni forma di mimetizzazione. L’aspetto interessante che le informazioni rimandano
inerisce, allora, non solo la dimensione quantitativa dell’attività
estorsiva ma quella qualitativa. Ovvero, come viene esercitata la
pressione estorsiva nelle realtà territoriale di nuova espansione.
Ancorché nei confronti di settori altamente vulnerabili (es. edilizia,
commercio al dettaglio, attività illegali), su quali ambiti economici
nuovi o diversi da quelli delle aree di provenienza viene esercitata
l’attività estorsiva? Con quale frequenza? Assume maggiormente
un carattere predatorio o è una imposizione, scambio di servizi,
prestazioni? Cercheremo di seguito di fornire delle risposte a queste domande. Ma ritorniamo ai dati.
le estorsioni in campania
191
192
giacomo di gennaro
449
9
771
51
301
74
128
326
315
55
139
349
140
42
1.227
667
56
374
811
134
6.418
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-Alto Adige
Veneto
Friuli-Venezia Giulia
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
434
9
813
66
330
53
152
423
308
75
165
585
156
22
1.200
618
62
343
697
134
6.645
2008
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
2007
Regioni
416
9
805
38
273
65
135
395
315
66
138
447
148
35
1.098
638
80
279
689
120
6.189
2009
409
3
797
50
273
63
154
290
317
65
123
517
163
27
1.021
565
51
311
650
143
5.992
2010
352
6
873
43
252
57
128
294
327
76
133
628
158
41
1.070
611
71
268
616
95
6.099
2011
403
15
857
66
312
76
156
391
302
92
137
649
180
42
1.050
671
46
275
651
107
6.478
2012
Tabella 2 - Totale dei delitti di estorsione denunciati per regione. Anni 2007-2013
457
25
972
48
317
84
156
446
372
90
167
644
141
35
1.005
638
82
302
736
167
6.884
2013
Totale
regione
2.920
76
5.888
362
2.058
472
1.009
2.565
2.256
519
1.002
3.819
1.086
244
7.671
4.408
448
2.152
4.850
900
44.705
Valori
medi
417,1
10,9
841,1
51,7
294,0
67,4
144,1
366,4
322,3
74,1
143,1
545,6
155,1
34,9
1095,9
629,7
64,0
307,4
692,9
128,6
6386,4
Var.
storica
n.d.
177,8
26,1
-5,9
5,3
13,5
21,9
36,8
18,1
63,6
20,1
84,5
0,7
-16,7
-18,1
-4,3
46,4
-19,3
-9,2
24,6
7,3
Per analizzare la dimensione quantitativa del fenomeno a livello delle regioni abbiamo operato una ulteriore elaborazione
sulla base del rapporto tra numero di vittime del reato analizzato ed estorsioni denunciate (indicatore di vittimizzazione),
in un intervallo di tempo più ridotto connesso alla disponibilità delle informazioni. Rinviando all’appendice per una lettura
analitica dei risultati, si vuole in questa sede solo richiamare
sinteticamente quanto emerge: il Trentino Alto Adige è la regione che fa registrare la media più sostenuta fra le regioni
d’Italia (1,12). Ossia, considerando questo rapporto di derivazione vuol dire che una vittima subisce poco meno di un reato
di estorsione. Sostanzialmente 1 vittima 1 reato. Mentre tale
rapporto calcolato in relazione alla Valle d’Aosta, vede la propria media abbassarsi (0,91), cioè ogni vittima può subire più
di una estorsione. È evidente che questo rapporto ci dice poco
perché va correlato con la base dati di riferimento. Inoltre, se
consideriamo l’elevato numero oscuro intrinsecamente presente in questa tipologia di reato si comprende come il valore
medio di vittimizzazione si abbassa. Un altro elemento ci viene
dal fatto che questo rapporto non ci dice nulla sulla vittimizzazione reiterata, cioè quella fondata su un numero ripetuto
di episodi nell’arco per esempio di un anno, tanto meno sui
diversi tipi di estorsione subìta. Se infatti consideriamo i dati
del Trentino Alto-Adige per tutto il periodo, si contabilizzano
appena 282 vittime e 248 denunce, e addirittura irrisorio può
apparire il dato della Valle d’Aosta. Se si osservano i valori medi
delle vittime rispetto agli stessi delle denunce si noterà che in
alcune regioni (Piemonte, Liguria, Lombardia, Trentino AltoAdige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana,
Lazio, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna) i primi sono
superiori ai secondi, in altre (Campania e Sicilia) è il contrario,
in altre ancora (Valle d’Aosta, Umbria, Marche, Abruzzo,) è
pari o quasi. Si noterà, inoltre, che la base dati sulla quale si
sviluppa la media è molto diversa: da un minimo di 7 vittime
all’anno in Valle d’Aosta ad un massimo di 1.078 in Campania.
Tuttavia, per l’arco temporale considerato si può derivare che
in Italia – il cui dato medio è di 6.249 vittime di estorsione a
le estorsioni in campania
193
fronte di 6.269 denunce – nonostante la disomogeneità dei
valori assoluti il rapporto di derivazione risulta essere compreso tra 0,91 e 1,12, ovvero fin troppo prossimo per confermare
una più alta differenza nelle dinamiche estorsive nelle singole
regioni (tab. B20 in appendice).
Se l’elaborazione la sviluppiamo aggregando le regioni per
macro ripartizioni territoriali, come dalla tabella, l’area del nordest fa registrare la media leggermente superiore rispetto alle
altre, mentre è il versante delle Isole che ci consegna il valore
inferiore (0,96). Quali informazioni ci rimandano i risultati sin
qui discussi?
Tabella 3 - Andamento rapporto di derivazione, in Italia, nelle macroaree e in Campania, in relazione al delitto di estorsione. Anni 2007-2011
Aree
di riferimento
2007
2008
2009
2010
2011
Media
Nord ovest
1,03
1,04
0,99
0,97
1,00
1,00
Nord est
1,08
1,02
1,02
0,97
1,01
1,02
Centro
1,04
1,02
1,00
0,96
0,97
1,00
Sud
1,01
0,98
1,01
0,93
1,00
0,99
Campania
0,98
0,94
1,16
0,92
0,94
0,99
Isole
0,99
1,03
0,98
0,88
0,93
0,96
Italia
1,02
1,01
1,00
0,94
0,99
0,99
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
In primo luogo, nel Paese vi è un rapporto medio quasi uguale tra il numero delle denunce (6.269) e quello delle vittime
(6.249); in secondo luogo, il totale dei delitti di estorsione
denunciati ha una generale tendenza alla crescita, ma non nel
Mezzogiorno; in terzo luogo, i risultati del rapporto di derivazione nelle Isole è leggermente superiore a quello nazionale
e alle altre ripartizioni, quello della Campania si attesta sui
valori del Sud; infine, l’attività estorsiva mediamente nelle
aree del centro-nord miete un numero inferiore di vittime,
nelle aree meridionali è più consistente. Cosa si potrebbe
194
giacomo di gennaro
ipotizzare a riguardo? Se avessimo informazioni sull’intensità
(cioè la frequenza degli episodi realizzati nei confronti della
vittima) e dati più attendibili sull’ampiezza delle stesse (cioè
il numero delle persone colpite da un episodio di estorsione), si potrebbe costruire un parametro che misuri l’intensità
estorsiva (vittimizzazione reiterata) ancorché la dimensione
quantitativa delle vittime. Il soggetto A che sporge denuncia di
estorsione e narra più episodi estorsivi viene conteggiato nelle
statistiche ufficiali una sola volta (anche se gli episodi si riferiscono ad anni diversi). Così come se A denuncia Tizio, Caio e
Sempronio la scheda di registrazione del reato non computa
sempre gli autori per una vittima. È evidente, quindi, che nelle
statistiche ufficiali si perdono informazioni. Dall’analisi del
materiale giudiziario esaminato nella ricerca sulle estorsioni
in Campania del 2010 è emersa una ampia gamma di tipologie
estorsive e fra queste quella periodica (cadenzata a Natale,
Pasqua, Ferragosto, con o senza qualche altra occasione, per
es. festa patronale). Spesso oltre a questo tipo di estorsione
la vittima subisce anche un’altra forma che aggrava e rende
più insopportabile il sopruso2. La vittimizzazione multipla, in
letteratura, indica quando una vittima subisce diversi tipi di
reati, in questo caso non solo il reato è lo stesso ma è ripetuto nel tempo e si consuma in forme diverse. Ora ciò che si
ipotizza, alla luce delle considerazioni fatte e dei dati discussi,
è che nelle regioni centro-settentrionali l’effetto espansione
dei gruppi mafiosi e/o di nuovo insediamento genera, probabilmente, una organizzazione dell’attività estorsiva in forme
meno aggressive e con maggiori connotazioni di protezione.
In più sembrerebbe ipotizzabile una minore intensità della
stessa attività ancorché una minore ampiezza. Cosa che non
avviene in Campania e ancor meno nella città di Napoli. Come
vedremo nelle pagine successive, all’interno di una polarità
2. Per esempio i commercianti vittimizzati di Ercolano non solo erano costretti a
pagare il pizzo secondo la formula periodica, ma in occasioni proprio delle festività
natalizie o pasquali venivano indotti a consegnare merce tipica di tali periodi che veniva
ricollocata dai clan presso altri commercianti imponendone l’acquisto.
le estorsioni in campania
195
predazione-protezione si va articolando e differenziando un
mix di forme e operatività estorsive che in termini di corrispettivo comportamentale da parte della vittima si declina su
un continuum che va dall’assoggettamento puro al consenso
puro.
Una ulteriore osservazione possiamo farla sulla base del
grafico 1. Esso ci rappresenta la variazione nel quinquennio in
esame del rapporto di derivazione. Come si vede la Campania
e la ripartizione del Sud disegnano una traiettoria, che descrive
una tendenza che decresce dopo il 2009. Questa traiettoria, anche se in modo meno accentuato, manifesta una performance
che interessa in modo analogo tutte le ripartizioni e la stessa
Italia, per le quali si registra, però, nel 2011 un andamento crescente.
Grafico 1 - Andamento rapporto di derivazione nelle macro-aree italiane e nella regione Campania. Anni 2007-2011
Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
Dall’analisi della distribuzione delle vittime per ripartizione
regionale emerge, poi, che la Campania registra in media il
valore più elevato, nel periodo 2007-2011, che è pari al 17,2%
del totale nazionale, seguita dalla Lombardia (13%) e dalla
Sicilia (10,4%). Se aggreghiamo i valori sulla base delle macro
196
giacomo di gennaro
ripartizioni, emerge che la metà delle vittime (49%) appartiene alle regioni del Mezzogiorno. Tra le regioni settentrionali
del Paese è il Nord-ovest che ha un andamento crescente in
quasi tutto il periodo.
Grafico 2 - Distribuzione vittime di estorsione per macro-aree anni
2007-2011
Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
Se invece osserviamo i risultati del tasso medio di vittimizzazione connesso al reato calcolato sulla popolazione regionale
ristretta però alla coorte 14-80 anni, emerge che la Campania
risulta sempre al primo posto con 23,0 seguita questa volta
dalla Calabria (19,3) e dalla Puglia (19,0). La Sicilia si colloca
nella posizione successiva seguita dall’Abruzzo e dalla Basilicata
(rispettivamente 14,1 e 13,5). Tra le regioni del Nord è il Piemonte che fa registrare il valore superiore (11,6). È interessante
osservare l’andamento dei valori della Sicilia che a partire dal
2007 si presenta con una tendenza decrescente. Ciò delinea
che a fronte della stabilità dei valori della popolazione si riduce
il numero delle vittime. Questo è un segnale non tanto della
riduzione della pressione estorsiva quanto della contrazione
delle denunce.
le estorsioni in campania
197
Grafico 3 - Tasso medio di vittime sulla popolazione 14-80 nelle regioni. Anni 2007-2011
Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
Se invece il tasso medio di vittimizzazione, che nel Paese è pari
al 12,9, lo rapportiamo alle macro aree emerge: a) il tasso medio
delle regioni meridionali continentali è pari al 19,9; b) quello
delle Isole raggiunge il 14,4; c) le regioni del centro fanno registrare un valore pari all’11,2; d) la ripartizione settentrionale ci
segnala un tasso per il nord-ovest pari a 10,7 e per il nord-est
pari a 8,2. Ovviamente si noterà che tutte le regioni del Sud
fanno registrare valori superiori alla media.
C’è una ulteriore elaborazione che è stata prodotta e attiene la distribuzione regionale degli autori di estorsione. Anche da
essa emerge che la Campania è la prima regione italiana in quanto a soggetti che si sono resi responsabili dell’attività estorsiva.
Il suo valore è pari quasi al 22%. Come nel ranking precedente a
riguardo delle vittime, anche in questo caso seguono, ma con
posizioni invertite, Sicilia e Lombardia (rispettivamente 12,6%
e 10,5%). In questo caso, addirittura, il Mezzogiorno assorbe
il 56,1% degli autori di tale reato, di cui il 42% è circoscritto alle
regioni continentali e il 14,1% alle Isole. Sempre il Nord-ovest
costituisce la ripartizione nella quale il valore medio della percentuale è superiore all’intera ripartizione (18,4%).
198
giacomo di gennaro
Grafico 4 - Distribuzione autori di estorsione per macro aree anni
2007-2011
Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
Un’ultima elaborazione riguarda il tasso medio degli autori di
estorsione calcolato sulla popolazione 14-80 anni. Anche in
questo caso la Campania si attesta nella prima posizione con
un tasso medio pari a 39,9 seguita dalla Calabria (31,2) e dalla
Sicilia (26,3), ed è il Piemonte, tra le regioni settentrionali, ad
esibire il tasso più alto (13,7). Se lo stesso tasso lo rappresentiamo per macro aree territoriali, emerge che il Mezzogiorno
fa registrare il valore più elevato pari a 31,3, seguito dalle Isole
(22,0) e dal Centro (13,7). Sempre la ripartizione del Nordovest prevale sull’intera area con un valore di 12,1 a fronte
del 9,5 del Nord-est.
le estorsioni in campania
199
Grafico 5 - Tasso medio autori sulla popolazione 14-80 nelle regioni.
Anni 2007-2011
Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
Soffermarsi sul rapporto tra autori di estorsione ed episodi
estorsivi non è di poco conto. Occorre distinguere tra una situazione in cui una organizzazione opera in condizione monopolistica o oligopolistica, vantando inoltre una significativa
reputazione criminale, ed una in cui la concorrenza è elevata e
la nati-mortalità dei gruppi è sostenuta. Nel primo caso è molto probabile che l’attività estorsiva sia funzione di un’azione
protettiva (indipendentemente se domandata o offerta) grazie alla configurazione organizzativa più unitaria e gerarchica,
nonché ad una prolungata presenza gestionale del territorio.
In questo caso non è necessario destinare un numero elevato
di “scagnozzi” per attuare le estorsioni e con molta probabilità
esse non si avvarranno neanche di un elevato profilo violento. Siffatte estorsioni saranno solo una delle diverse modalità
attraverso cui si afferma il potere dell’organizzazione. Non è
un caso che in queste condizioni i costi di transazione si riducono. Se, come nel caso dell’area metropolitana napoletana
e cittadina in particolare, la densità dei gruppi criminali è alta,
la concorrenza elevata, il modello organizzativo fondato su
un nucleo ristretto (il core familiare-parentale) a cui si connet200
giacomo di gennaro
tono relazioni affiliative e affaristico-criminali che danno vita
ad un network autorganizzato con una reputazione criminale
differenziata, la necessità di ricorrere ad un numero maggiore
di “militari” è più avvertita. In questo caso maggiori saranno i
costi di transazione e l’attività estorsiva assume un più elevato
carattere predatorio.
Indicatori che possono confermare queste distinte proprietà derivano dall’ampia gamma della tipologia estorsiva registrata a Napoli e meno a Caserta e dal rapporto differenziato
esistente in contesti locali diversi tra numero di persone indirizzate all’estorsione e numero di reati di questo tipo.
Partiamo, innanzitutto, da alcuni dati generali di contesto
attinenti il numero dei procedimenti iscritti nel registro ex
art. 335 c.p.p. e quello delle persone iscritte nel registro degli
indagati nel Distretto della Procura di Napoli per il delitto di
estorsione ex art. 629 cod. pen. aggravato dall’art. 7 della
legge n. 203/19913. In tutte le relazioni della DNA esaminate,
le iscrizioni per delitto di estorsione aggravata rappresentano, in media, poco più del 30% del totale delle iscrizioni, e
presentano un andamento crescente, con una variazione sul
periodo, pari al 24,0%, contro il 22,2% di media registrata per i
delitti di associazione mafiosa, i quali a partire dal 2° semestre
2012 dopo una contrazione pari al 15,1%, manifestano un andamento crescente. Il numero di persone indagate per delitti di
estorsione aggravata subisce un calo, passando da 1.017 del
periodo luglio 2010-giugno 2011, a 947 dato rilevato per il periodo luglio 2012-giugno 2013, salvo poi subire un incremento
nel periodo successivo.
3. I dati sono stati estratti ed elaborati sulla base delle Relazioni semestrali del Procuratore Nazionale Antimafia, e si riferiscono all’attività svolta dalla Procura Distrettuale
Antimafia di Napoli per gli anni 2011-2014, e delle Relazioni DIA sulle attività e sui risultati
conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia per gli anni 2010-2014. Si riferiscono ai
territori compresi nei circondari dei Tribunali di Napoli, Napoli Nord, Torre Annunziata,
Santa Maria Capua Vetere, Nola, Avellino, Benevento. L’assenza di analoghi dati del
Tribunale di Salerno impedisce di computarne il valore. Si consideri che in riferimento
alla Procura distrettuale partenopea vengono segnalati solo i procedimenti noti. Per
l’intero periodo risultano indagate 19.814 persone con un incremento del 14,7% a fronte
di 3.380 procedimenti noti con un incremento del 5,5%.
le estorsioni in campania
201
La tabella e i rispettivi grafici sottostanti offrono un quadro di sintesi delle elaborazioni effettuate. Si può notare che
i procedimenti noti per estorsione aggravata passano dal 28%
del secondo semestre del 2010 e corrispettivo 2011, al 30,3%
dell’ultimo periodo di rilevazione, mentre il numero degli indagati subisce una insignificante contrazione (-1%), con una media
indagati per l’intero periodo di 980 persone e una stima della
percentuale di procedimenti noti su delitti denunciati che per
il periodo considerato si attesta, come indicato nella tabella 5,
in media al 31,1% e aumenta in maniera costante passando dal
25% al 35,9%, nell’arco di tempo considerato4. Inoltre il rapporto
tra procedimenti e persone indagate per reato di estorsione è
mediamente del 3,9 per l’intero periodo, mentre è di 6,1 per
quello relativo al reato associativo mafioso.
4. Siamo ben consapevoli della differenza temporale che intercorre tra il momento
della denuncia e l’iscrizione del procedimento nel registro ex art. 335 c.p.p., si è tentato comunque di stimare la percentuale di procedimenti noti su delitti denunciati
e considerare i dati per verificare la fondatezza dell’ipotesi circoscritta al differente
carattere che l’estorsione assume in ragione della configurazione organizzativa del
clan. È evidente che questa ipotesi necessita di ulteriori e più circoscritti dati territoriali
e oltretutto va perseguita in chiave comparativa tra contesti e gruppi.
202
giacomo di gennaro
le estorsioni in campania
203
5,6
Totale
4,5
6,4
Ass. mafiosa
Estorsione agg.
4.484
Totale
1.017
Estorsione agg.
1.227
804
Totale
Ass. mafiosa
192
225
Ass. mafiosa
Estorsione agg.
Fonte: ns. elaborazione dati dna
I/P
I
P
-
-
-
100,0
27,4
22,7
100,0
23,9
28,0
5,4
5,3
3,7
4.446
871
948
823
163
254
-
-
-
100,0
19,6
21,3
100,0
19,8
30,9
%
N
N
%
2° sem. 2011 1° sem. 2012
2° sem. 2010 1° sem.2011
6,3
6,4
3,6
5.743
1.248
947
905
194
266
N
-
-
-
100,0
21,7
16,5
100,0
21,4
29,4
%
2° sem. 2012 1° sem. 2013
6,1
6,3
3,6
5.141
1.271
1.008
848
201
279
N
-
-
-
100,0
24,7
19,6
100,0
23,7
32,9
%
2° sem. 2013 1° sem. 2014
-
-
-
4954
1154
980
845
188
256
N
22,2
30,3
%
-
-
-
100,0
23,4
20,0
100,0
Media
Tabella 4 - Procedimenti(P) e persone indagate (I) per delitti di estorsione aggravata (ex art. 629 c.p. e art. 7, l.n.
203/1991), associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e totale. Periodo 2° sem. 2010-1° sem. 2014
Grafico 6 - Procedimenti noti per delitti di estorsione aggravata e
associazione mafiosa. Periodo 2° semestre 2010-1° semestre 2014
Fonte: ns. elaborazione dati dna
Tabella 5 - Procedimenti noti per delitti di estorsione aggravata (Procedimenti), delitti di estorsione denunciati (Delitti), rapporto percentuale Procedimenti/Delitti. Periodo 2° semestre 2010 -1° semestre 2014
Procedimenti
noti
Delitti
denunciati
Procedimenti/
Delitti
N
N
%
2° semestre 2010 1° semestre 2011
225
901
25,0
2° semestre 2011 1° semestre 2012
254
835
30,4
2° semestre 2012 1° semestre 2013
266
809
32,9
2° semestre 2013 1° semestre 2014
279
778
35,9
Periodi di riferimento
Fonte: ns. elaborazione dati dia e dna
204
giacomo di gennaro
Grafico 7 - Confronto tra procedimenti noti per delitti di estorsione
aggravata (Procedimenti noti), delitti di estorsione denunciati (Delitti denunciati). Periodo 2° semestre 2010 - 1° semestre 2014
Fonte: ns. elaborazione dati dia e dna
* I dati sdi/ssd relativi al 1° semestre 2014 non sono consolidati.
È evidente che il numero maggiore degli indagati è quello correlato alle iscrizioni per il delitto di estorsione aggravata da
metodo mafioso e che, come scrive Beatrice, «attraverso la
pressione estorsiva si manifesta nel modo più evidente il controllo criminale da parte delle organizzazioni camorristiche: la
circostanza che il numero delle iscrizioni per il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso (871) sia quasi coincidente con quello delle iscrizioni per il reato ex artt. 629 c.p.
e 7 legge n. 203/1991 (948) costituisce (almeno per il periodo di
riferimento) una conferma di tale assunto».
le estorsioni in campania
205
4.2Effetti diversi della densità dei clan
Se si osserva la georeferenziazione territoriale dei clan
che secondo l’ultima Relazione della Dia (2014) ne censisce 141 presenti nell’intera regione senza contare i sottogruppi o le bande, emerge, in primo luogo, una stridente
differenza tra l’addensamento che si registra nella provincia di Benevento, Avellino (notoriamente meno influenzate da storie endogene di criminalità organizzata) e Salerno, rispetto a quella, casertana e napoletana in particolare
. Basti pensare che nella sola città di Napoli si contano 39 clan
affermati e circa una decina di sottogruppi o bande che operano
come satelliti dei primi il cui ammontare è superiore all’intera
aggregazione dei clan che popolano le province di Salerno,
Avellino e Benevento. Se aggiungiamo la provincia casertana
all’aggregazione indicata e compariamo il risultato con l’addensamento della sola area provinciale napoletana il numero dei
clan presenti in quest’area è nettamente superiore (44 vs 59). Il
che denota una fondamentale questione: lo spazio territoriale
occupato e perimetrato da ciascun gruppo criminale.
206
giacomo di gennaro
Figura 1 - Clan presenti nella città di Napoli
Fonte: dia 1° semestre 2014
le estorsioni in campania
207
Figura 2 - Clan presenti nella provincia di Napoli - versante occidentale
Fonte: dia 1° semestre 2014
208
giacomo di gennaro
Figura 3 - Clan presenti nella provincia di Napoli - versante orientale
Fonte: dia 1° semestre 2014
le estorsioni in campania
209
Figura 4 - Clan presenti nella provincia di Caserta
Fonte: dia 1° semestre 2014
210
giacomo di gennaro
Figura 5 - Clan presenti nella provincia di Salerno
Fonte: dia 1° semestre 2014
le estorsioni in campania
211
Figura 6 - Clan presenti nella città di BeneventoFonte: dia 1° semestre 2014
212
giacomo di gennaro
Figura 7 - Clan presenti nella città di Avellino
Fonte: dia 1° semestre 2014
le estorsioni in campania
213
Tradotto in rapporto alla superficie territoriale vuol dire che a Napoli,
la cui superficie comunale è pari a 117,27 kmq, è presente in media
ogni 3,0 kmq un clan che tende a dominare tale spazio urbano, su
esso vi sviluppa i propri traffici, affari, influenze e contende ad un
altro l’eventuale espansione territoriale. Questa elementare considerazione sviluppata sull’intero territorio generale produce questi
rapporti: l’area provinciale napoletana che è costituita da 1.171,13
kmq è abitata ogni 19 kmq da un clan, considerando solo i clan censiti
nella provincia. Sommando il numero dei clan cittadini il perimetro
si riduce a 11,9 kmq. Il rapporto calcolato per l’area provinciale casertana ci dice che vi è un clan ogni 114 kmq; per quella salernitana
uno ogni 381 kmq; quella beneventana ogni 517,8 kmq; infine, per l’avellinese ogni 707,9 kmq. Le misure per costruire rapporti possono
estendersi alla popolazione, alle imprese economiche (distinguendo
attività commerciali, aziende ecc.), alla quantità di merce, di armi
sequestrate, al numero di particolari reati e così via. Se ipotizziamo
che la capacità produttiva di un clan differisce in misura dell’entità e
della tipologia dei traffici – del numero dei componenti l’organizzazione, della superficie occupata, del tempo di vita di un clan, senza
contare (ma ciò vale per organizzazioni che si sviluppano con modelli
federati e con reti nelle quali i nodi sono riconducibili sempre a specifiche famiglie o consorterie o organismi unitari) i profitti derivati
da investimenti in altre realtà del Paese o all’estero – della capacità
produttiva di realizzare traffici transnazionali, forme di riciclaggio,
ecc, forse è più possibile iniziare a modellare parametri che ci diano
una idea più precisa della quantità e qualità dei profitti, nonché delle
differenti facce della criminalità organizzata campana.
Le due cartine che seguono ci offrono una rappresentazione
georeferenziata dell’incidenza media delle denunce per estorsione
nel periodo 2010-2013 nell’intera regione e la successiva dell’incidenza media dei denunciati nello stesso periodo. Come si nota la
gradazione differente dei colori ci dà una idea delle denunce che
mediamente si registrano nei diversi territori della regione, sebbene vada considerato che, rispetto alle aspettative, alcune province
– come per esempio Napoli – fanno risultare in questo caso una
gradazione meno intensa per effetto di una minore incidenza di
qualche comune rispetto all’insieme della provincia.
214
giacomo di gennaro
Figura 6 - Media delle denunce di estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anni 2010-2013
le estorsioni in campania
215
Figura 7 - Media dei denunciati peri estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anni 2010-2013
216
giacomo di gennaro
Tabella 6 - Tasso d’incidenza estorsiva. Anni 2010-2013
2010
2011
2012
2013
Media
Avellino
Province
12,8
17,1
17,7
16,9
16,1
Benevento
15,9
19,8
7,8
6,1
12,4
Caserta
25,4
24,2
24,4
24,8
24,7
Napoli
25,1
23,9
23,6
22,5
23,8
Salerno
15,0
21,8
23,1
20,8
20,2
Campania
21,8
22,8
22,4
21,3
22,1
Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd
L’andamento interno alle singole province si presenta con
caratteri diversi. La provincia beneventana fa registrare una
riduzione marcata del tasso a partire dal 2012, quella avellinese
cresce dal 2011 e poi si stabilizza, le altre proprio da tale periodo
disegnano curve distinte: l’area casertana spicca su tutte le altre
(25,6 nel 2010) ma presenta valori costanti; quella napoletana
registra una leggera flessione, infine la salernitana fa registrare
una tendenza crescente, che decresce nel 2013.
Grafico 8 - Andamento del tasso d’incidenza estorsiva. Anni 2010-2013
Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd
le estorsioni in campania
217
Un altro risultato che ne quantifica la dimensione proviene dal
confronto tra numero di persone che hanno subito almeno una
estorsione (vittime) e numero di estorsioni denunciate. Questo
rapporto è stato calcolato su un periodo più lungo (2007-2013)
e come si può osservare si presenta per l’intera regione con un
andamento quasi stabile con una flessione a partire dal 2010 e
una media per il periodo pari allo 0,95.
Tabella 7 - Vittime (V) e delitti di estorsione denunciati (D) in Campania. Anni 2007-2013.
Anni
Delitti denunciati
Vittime
V/D
2007
1.227
1.202
0,98
2008
1.200
1.122
0,94
2009
1.098
1.115
1,02
2010
1.021
994
0,97
2011
1.070
1.007
0,94
2012
1.050
952
0,91
2013
1.005
876
0,87
Media
1.096
1.038
0,95
Fonte: ns. elaborazione dati SDI/SSD Istat
Grafico 9 - Rapporto tra vittime e delitti di estorsione in Campania.
Anni 2007-2013
Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd
218
giacomo di gennaro
Come anticipato tale rapporto di derivazione ci dice per ogni anno quante vittime di estorsione sono state registrate e rispetto
a esse quanti delitti di estorsione sono stati denunciati. Questo
vuol dire, se si osserva la Sez. B in appendice, che: a) quasi
mai il numero dei delitti e il numero delle vittime coincidono
nello stesso anno (o perché è maggiore il primo o è maggiore
il secondo); b) ci sono variazioni interne alla serie; c) ci sono
variazioni significative tra le ripartizioni territoriali. In ragione
di ciò tale rapporto può essere considerato un indicatore della
vittimizzazione che se fosse calcolato su un numero maggiore
di reati ci direbbe quante volte le vittime hanno subito un reato,
ovvero, trasformandosi in un indicatore di vittimizzazione multipla ci direbbe il numero di individui o famiglie che nel periodo
esaminato sono state soggette a più di un reato. In questo caso
il rapporto ci dice che in Campania si registra poco meno di 1
vittima per reato, mentre in altre parti del Paese questo rapporto, ovviamente sulla base dei delitti denunciati, cresce ed è
leggermente superiore raggiungendo un valore pari a 1 vittima
per reato nelle aree del Centro-nord. In sostanza nella regione
campana una vittima subisce più di una estorsione. Il riferimento a questo rapporto è rilevante perché se lo associamo anche
alla modalità attuativa dell’episodio è possibile ipotizzare una
variazione in ragione del contesto e del tipo di clan.
Un’impronta ab initio violenta dell’estorsione necessita che
siano indirizzate un numero maggiore di persone rispetto ad un
altro profilo (per es. l’estorsione con carattere di protezione o
quella gestita in un contesto territoriale monopolistico o anche
oligopolistico) che, viceversa, non necessariamente richiede un
elevato numero di persone. Questo aspetto, ovviamente, non
ha nulla a che vedere con il numero degli episodi che subisce
una vittima.
Il problema, infatti, già sollevato da Block con la differenza
tra “entreprise syndicate” e “power syndicate” sta nel connotare i tipi prevalenti cui apparterrebbe la criminalità campana
e le logiche che sono alla base di tali tipi. La distinzione formulata da Block risponde ad una logica di specializzazione sia di
attività che di profili del crimine organizzato tant’è che in base
le estorsioni in campania
219
alla prevalenza dell’attività illegale (es. se dedita al traffico di
droga, al lotto clandestino, alla contraffazione, al contrabbando
di sigarette) potremmo derivare che il clan sarebbe del tipo
enterprise syndacate, oppure, se è concentrato maggiormente
sull’esercizio del controllo territoriale attraverso l’estorsione,
l’offerta di usura, la protezione e regolazione di diritti, ciò ne
farebbe un power syndicate. È infatti su questa scia, come abbiamo notato nelle pagine precedenti, che molti autori hanno
sostenuto che alla mafia è attribuibile il carattere prevalentemente del tipo power syndicate consistendo l’attività estorsiva
dei power brokers un servizio in cambio di protezione5. In realtà questa distinzione analitica non contempla che all’attività
estorsiva potrebbe non essere collegata alcuna prestazione,
specie se le condizioni della sua affermazione sono di carattere monopolistico e per ciò stesso svincolate dalla necessità di
generare, quasi in una logica di scambio, una reciprocazione.
Il vantaggio di specializzarsi nella regolazione sociale violenta
non è solo quello di selezionare chi è in grado di pagare di più,
ma di far pagare di più anche chiunque. Inoltre, come già anticipato, molti clan sia cittadini che in provincia sono presenti,
ormai, sia su veri e propri mercati criminali caratterizzati da
traffici (esempio la droga), che su ambiti territoriali sui quali
esercitano (o tendono ad esercitare) una sovranità funzionale
all’esercizio di ulteriori attività (per esempio usura, gestione
appalti, investimenti su attività legali).
Ma torniamo al punto della densità. L’intensità della presenza di un clan su un dato territorio e la sua maggiore o minore
contiguità spaziale costituiscono due fattori molto importanti
per la comprensione delle forme e modalità attuative dell’attività estorsiva. La prima descrive la, ed è data dalla, temporalità e
spazialità della presenza: un clan può avere una durata breve o
lunga e ciò ne condiziona la sua storia, reputazione, specializzazione, identità, attività. Se risaliamo la storia criminale di alcuni
gruppi (es. i Casalesi; Contini; Licciardi; Lo Russo; Mazzarella;
5. r. catanzaro, La regolazione sociale violenta. Il ruolo della criminalità organizzata
nell’Italia meridionale, in «Quaderni di Sociologia», vol. 37, n. 4, 1993, pp. 79-89.
220
giacomo di gennaro
Sarno; Di Lauro; Giuliano; Gionta; Nuvoletta, D’Alessandro; Mallardo; Amato-Pagano; Moccia; Cesarano; Fabrocini; Genovese;
Graziano; De Feo; Pagnozzi; Sperandeo, per citarne solo alcuni)
senza partire dai tentativi cutoliani di costruzione di un organismo unitario (la Nuova camorra organizzata) all’inizio degli anni
Settanta del secolo scorso e la successiva guerra con la Nuova
famiglia che lastricò tra il 1978 e il 1983 le strade dell’intera
provincia napoletana di 1500 morti6, nonostante le fibrillazioni
interne, le fratture con alleati, le decimazioni, le elastiche espansioni e contrazioni territoriali, ci ritroviamo ancora oggi con clan
che si sono susseguiti per generazioni. Alcuni di questi hanno
sviluppato capacità imprenditoriali investendo in altre regioni
d’Italia e all’estero, oppure hanno esteso su altre aree del Paese la propria capacità produttiva illegale7. Una lunga storia e
una intensa presenza, quindi, che ha influito sull’occupazione
del territorio e ne ha modellato la reputazione. Non è un caso
che proprio la contiguità spaziale diventa un fattore che accresce la tensione e il conflitto perché bastano piccole alterazioni
dei patti, regole non rispettate, invadenze di attività illegali o
aspirazioni che si accrescono su obiettivi che ampliano il peso,
l’influenza del clan, il suo potere, la capacità produttiva, che
esplode la guerra. Non va dimenticato, quale effetto delle tensioni permanenti, che la Campania conta 335 vittime innocenti
uccise dalla violenza criminale dei clan, la maggioranza delle
quali ricade nell’area metropolitana. E questo, ovviamente, è
6. Cfr. f. barbagallo, Storia della camorra, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 119 e ss.
7. Come l’inchiesta “mafia capitale” più recente ha mostrato e dalla quale emergono figure di collegamento tra esponenti del crimine romano, clan di camorra e
cosche calabresi coagulate attorno ad interessi finalizzati al controllo degli appalti
e dei finanziamenti pubblici. Dalla relazione semestrale della DIA (gennaio-giugno
2013) si sottolinea che nell’ambito di una operazione investigativa “Fiordaliso” che
ha prodotto una emissione di provvedimento giudiziario (O.C.C.C. n. 35522/06 RGNR,
n. 33768/07 RGIP emessa il 15/01/13 dal G.I.P. del Tribunale di Napoli), è stata smantellata una struttura transnazionale (clan Bastone aderente al cartello Amato-Pagano)
che era riuscito a stringere un accordo con produttori del cartello latino-americano,
avvalendosi del supporto in Spagna di esponenti del gruppo Amato-Pagano, per
la commercializzazione della droga; cfr. Dia, Relazione del Ministro al Parlamento
sull’attività svolta, op. cit., p. 108.
le estorsioni in campania
221
anche l’esito dell’assenza di un “direttorio centrale”8. La grande
differenza, quindi, esistente tra l’area cittadina partenopea e gli
altri territori consiste già nella strutturale tensione che deriva
dall’essere nello spazio a distanze geometriche lievemente variabili la cui condizione strutturale per la modificazione è solo
quella di mettere in discussione i delicati equilibri territoriali.
Ecco perché i casi della doppia estorsione, oppure quelli di alleanze strategiche.
Questa condizione conferisce un carattere predatorio all’attività estorsiva che non è esclusiva solo della fase di take-off del
clan ma dura nel tempo. Nella fase di avvio, infatti, l’estorsione
è l’attività che meglio etichetta la struttura di potere del clan
ed è funzionale alla massimizzazione estrattiva delle risorse
iniziali che garantiscono l’accumulazione primaria conferendo
al clan la reputazione criminale idonea ad affermare la sovranità
territoriale. Ecco perché l’estorsione è un tipico reato-mezzo
perché permette l’immediata accumulazione, rende visibile l’identità criminale (attraverso la minaccia dell’uso della violenza
o la pratica della stessa) e consente di edificare nel tempo la
sovranità territoriale. Il carattere esclusivamente predatorio in
condizioni di alta densità di gruppi criminali, come nel caso di
Napoli, è destinato a permanere in modo pregnante nel tempo
per effetto dell’elevata concorrenza esistente nel mercato criminale e illegale abitato da un numero troppo alto in rapporto
alla sostenibilità delle vittime ricadenti nel perimetro. Da qui
l’inevitabilità degli scontri e, al contempo, la necessità di espandersi su altre regioni o ripartizioni territoriali.
Questa condizione di partenza in realtà ove si riduce la densità abitativa dei clan e dove si sviluppa un modello organizzativo più verticistico9 condiziona non tanto la fase di take-off ma
8. Alleanze strategiche subordinate al coordinamento di traffici o gestione di affari
comuni sono realizzate. Un esempio proviene proprio dalle recenti investigazioni della
Dia che hanno confermato, con l’operazione “Lilium 2” del marzo 2013, la formazione
di un’alleanza tra i clan Mallardo, Licciardi e Bidognetti che avevano dato vita ad un
c.d. “gruppo misto” con un direttorio integrato «finalizzato al coordinamento delle
attività estorsive e di altre attività illecite nel litorale domitio»; Ibidem, pp. 127-28.
9. Un esempio di organizzazione strutturata con un modello gerarchico forte è il
clan Polverino che ha sostituito i Nuvoletta e la cui capacità imprenditoriale e strate-
222
giacomo di gennaro
quella di lunga durata dell’attività estorsiva caratterizzata da
una maggiore differenziazione interna della modalità estorsiva
(non si limita all’esclusivo “pizzo” ma anzi tende a imprenditorializzare l’offerta con l’imposizione di prodotti, servizi, personale ecc.) e da una modificazione esterna in quanto esibita
e praticata con il ricorso ad una minore – direbbe Dahrendorf
– violenza e intensità del conflitto. Ovvero, non vi è necessità di
ricorrere alle armi o ad atti violenti di intimidazione perché è la
reputazione del clan e la sua long criminal history che di per sé
sul territorio e nei confronti delle vittime evoca sufficientemente l’opportunità della sottomissione. In più, questa condizione
di partenza permette un risparmio di energia e un grado di partecipazione conflittuale minore tra le parti (estorsore/estorto)
dal momento che per tale attività vi si può orientare un numero
inferiore di luogotenenti e di “soldati” sapendo che la vittima
è già “informata” di come si agisce sul territorio, dedicando ad
altre attività illegali, invece, i membri della compagine o redistribuendo più compiti interni sapendo che sono eseguiti in alcuni
casi con minore energia. Così come da parte della vittima – come accade con “la messa a posto” – l’orientamento a disporsi in
maniera conforme alle “regole” illegali del clan la colloca nella
condizione di ritenersi “tranquilla”. È quest’ultimo processo che
dà vita a quella “negazione implicita” e “interpretativa” di cui
parla Cohen per la quale pur non essendo occultato da parte
della vittima il significato convenzionale assegnato al fatto, ne
viene minimizzata, giustificata la portata elaborando oltretutto
un’autoassoluzione circa l’implicazione morale e psicologica di
ciò che è avvenuto10. Infine, vi è la dimensione del consenso.
gica è sottolineata da molti investigatori e nelle stesse risultanze della Dia. Con base
originaria in Marano si è esteso nei comuni di Quarto, Qualiano, Pozzuoli, Calvizzano e
nella stessa parte collinare della città di Napoli con interessi, investimenti e presenze di
subordinati in Toscana, Puglia, Sicilia e Calabria. Investimenti risultano inoltre realizzati
in Spagna, da Barcellona ad Alicante e Malaga fino a Marbella. Nella relazione prima
richiamata si legge: «il gruppo non tollera che alcuno si sottragga alle regole del clan
poiché nelle logiche del clan il parametro dell’affidabilità dei quadri non trova eccezioni
neanche nei rapporti di parentela», cit. p. 127.
10. s. cohen, Stati di negazione, Carocci, Roma 2002. L’autore in realtà descrive le
tecniche di neutralizzazione, sulla scia degli studi di fine anni Cinquanta di G. Sykes e
le estorsioni in campania
223
Ovvero, è proprio il beneficio che la vittima riceve dagli accordi
collusivi derivanti (tipico spesso degli imprenditori) che genera
un consenso nei confronti dell’esercizio dell’attività estorsiva
trasformandosi in capitale sociale utilizzato dal clan per estendere la sovranità sul territorio, salvo a trasformare – per effetto
della propria voracità – la propria strategia in un’acquisizione
costante delle attività imprenditoriali, commerciali e depredare
le vittime11.
Infine, un ultimo aspetto. Tra le province campane il radicamento dei clan di camorra non è omogeneo e, tra l’altro, anche
la regione è interessata da processi di colonizzazione criminale.
Ovvero, non solo province come Benevento, Avellino e Salerno
sono state interessate nei decenni addietro dalla autonoma
formazione in loco di clan di camorra ma dall’espansione di
quelli originari insediati nel casertano (es. i casalesi) e nel napoletano (es. clan Gallo di Torre Annunziata; Polverino di Marano di Napoli, ecc.). La conseguenza è che sono molte le zone
D. Matza, riferendosi a chi commette i crimini e in particolare ai colletti bianchi che
provano (o si tende a realizzare nei loro confronti) processi di decriminalizzazione delle
violazioni legali o delle vere e proprie illegalità. Le tecniche di neutralizzazione sono un
insieme di strategie cognitive messe in atto (sia dal reo che dalla vittima) per risolvere
problemi di “dissonanza cognitiva” e superare sensi di colpa, vergogna, conflitti con
la morale pubblica o sociale.
11. La ricostruzione di una storia napoletana di 11 anni di estorsioni subite è emblematica del comportamento di alcuni clan (in questo caso è il clan Contini) che millantano
protezione ma in realtà tendono a indebolire l’attività economica per impadronirsene.
L’imprenditore che parla è titolare con il padre di una società di servizi di supporto
alle ditte che noleggiano auto. Egli afferma: «ogni anno eravamo costretti a pagare 25
mila euro di estorsione e sempre a metà dicembre, in prossimità delle feste natalizie.
All’inizio vennero a ritirare il denaro direttamente in azienda poi siamo stati noi a
portarli in una salumeria nei pressi dell’ospedale San Giovanni Bosco. Abbiamo pagato
dal 2003 al 2012 e quando eravamo in crisi ed impossibilitati a sostenere le richieste,
abbiamo accettato un prestito di circa 50mila euro a fronte del quale abbiamo pagato
1500 euro al mese come tasso di interesse del 3% sull’intera cifra (…). Con tutti i soldi
che abbiamo versato come “pizzo” la nostra azienda non è riuscita a crescere. Non c’è
stato lo sviluppo che avremmo voluto perché dovevamo ogni volta far fronte ad un
esborso notevole». In un momento di difficoltà economica le vittime avevano chiesto
di poter avere uno sconto ma come risposta ottennero solo la possibilità di dilazionare
la rata, con una parte a dicembre e la seconda a febbraio. Il clan intimando alle vittime
di non offrire i loro servizi ad altre aziende e di non cercare altri clienti, avevano di fatto
agevolato altre società gestite da un parente di un affiliato; cfr. http://www.antiracket.
info/archivio /mario-mango-in-tribunale-rovinati-dalle-estorsioni-e-dalla-paura/#
224
giacomo di gennaro
di tali province che rappresentano terre di nuova conquista e
per ciò stesso esse richiedono che la reputazione del clan sia
rappresentata ed esibita con efficace risoluzione. Questo vuol
dire che il ricorso ad atti intimidatori bruschi ed efficaci se da un
lato è necessitata – in condizioni di alta densità criminale – dalla
sostenibilità nel tempo dell’attività estorsiva12, dall’altro non
deve meravigliare se tale modalità viene utilizzata anche nella
fase di espansione essendo necessitata dall’accreditamento
territoriale.
C’è un primo indicatore, allora, che abbiamo utilizzato per
verificare quanto siano fondate queste ipotesi: il numero delle persone che sono utilizzate per attuare l’estorsione. Se la
violenza costituisce la risorsa su cui si fonda la legittimità della
richiesta e ne modella anche la forma, in tal caso per effetto
della densità abitativa dei clan in un dato territorio si richiederà
un numero maggiore di “militari” pronti ad entrare in azione. Viceversa, se l’attività estorsiva è offerta in ragione di un servizio
che si intende prestare (o è domandato) e nel tempo più tale
12. Un recente accertamento della DDA di Napoli ha ricostruito il contrasto tra l’efferatezza e il senso di solidarietà interno espresso da alcuni clan del napoletano (in
questo caso si tratta di gruppi afferenti alla galassia del clan Moccia di Afragola) i quali
geograficamente si erano divisi il territorio tra due comuni dell’hinterland napoletano
e le competenze criminali. Le necessità interne al gruppo connesse al mantenimento
dei detenuti e i loro familiari e al pagamento delle spese legali, venivano soddisfatte
attraverso una rete di solidarietà welfaristica interna che contemplava una tabella stipendiale distinta tra i più anziani del clan, con uno stipendio oscillante tra i cinquemila
e i seimila euro al mese, e gli altri affiliati il cui compenso mensile variava tra i 1.500 e
i 2.000 euro, a seconda dell’anzianità di affiliazione. Nella ricostruzione operata dagli
investigatori è emerso che la necessità di acquisire ogni mese tali risorse ha reso a
tal punto cruenti le modalità attuative delle estorsioni che, come hanno raccontato
alcuni imprenditori di Casoria, la vittima che si rifiutava veniva condotta in un garage
e costretta a soggiacere ad umilianti prevaricazioni e intimidazioni. «Chi aveva detto
no, oltre ad accettare l’imposizione del pizzo (rate tra i cinquemila e settemila euro)
doveva sborsare anche qualche centinaio di euro in più come tassa per il rifiuto. E chi
non ce la faceva a pagare, veniva portato dagli amici usurai con il portafoglio pieno,
che piazzavano un euro di prestito a trenta per la restituzione. E quei centomila euro
al mese erano già in cassa dopo i primi dieci giorni. Nulla sfuggiva agli esattori del clan:
dai lavori pubblici o privati, alle aziende che facevano manutenzione stradale e nei
cimiteri, fino ai venditori ambulanti di frittelle e crocché che pagavano una tassa alla
camorra di cento euro a settimana. Persino i contrabbandieri di sigarette agli angoli
delle strade, erano costretti all’obolo tra i cinque e i dieci euro al giorno»; da “Il Mattino”, 21 gennaio 2015.
le estorsioni in campania
225
servizio è stato riconosciuto dalle vittime come reciprocazione risolutiva di una gamma sempre più ampia di diritti esibiti,
maggiore sarà la probabilità che – stante una bassa densità di
gruppi ovvero di un carattere oligopolistico se non monopolistico nella gestione delle attività sul territorio – la violenza non
costituisca il profilo forgiante l’estorsione con la conseguenza
che non vi sarà necessità di dedicarvi un numero maggiore di
“soldati”. Ma andiamo per gradi.
Nelle tabelle sottostanti innanzitutto abbiamo riportato
il risultato di due elaborazioni sviluppate per verificare prima
facie secondo il “principio dell’esclusione” l’attendibilità delle
ipotesi su discusse. La prima, sintetizzata nella tabella di seguito, rende ragione del calcolo della media dei tassi su centomila
abitanti per la coorte di età prescelta sul periodo 2010-2013 tra
il numero dei delitti denunciati per estorsione e il numero delle
persone denunciate e arrestate per lo stesso reato secondo la
ripartizione territoriale comunale e provinciale. La seconda,
invece, ricostruisce il rapporto tra le denunce di estorsione e
le persone denunciate per lo stesso reato sempre nel periodo
2010-2013 nelle diverse province campane.
Come si può notare nella prima tabella la provincia di Napoli
(che conta 92 comuni) fa registrare la media più alta (20,4) nel
tasso dei delitti denunciati ma quella più bassa nel rapporto
persone denunciate su delitti (1,25). Viceversa la provincia di
Caserta (che ne conta 104) fa registrare il tasso più elevato tra
le persone denunciate e arrestate (30,5) e un rapporto leggermente superiore tra queste e il tasso delle estorsioni denunciate
(1,57). Tra le province è Benevento (con il minor numero di
comuni costituenti la provincia) che pur con un tasso di delittuosità medio inferiore (11,3) e uno di persone denunciate pari
a 20,7, fa registrare un rapporto pari a 1,81 e che ad Avellino
scende a 1,71 e a Salerno a 1,30 (che raggruppa per la provincia
il numero maggiore di comuni). Poiché il risultato della deviazione standard ci indica un ammontare della dispersione presente nella distribuzione considerata sensibilmente superiore
al valore medio, possiamo derivare – considerati i risultati del
valore massimo (max nella tab.) registrati in tutte le province
226
giacomo di gennaro
e con scarti molti differenti – che questa elaborazione non è
indicativa delle considerazioni ipotetiche sviluppate e pertanto
nel rigettare l’ipotesi formulata è necessario ricorrere ad altro
esame approfondito con diversa elaborazione.
Tabella 8 - Reati estorsioni secondo le province (medie tassi popolazione 14-80 anni periodo 2010-2013) e deviazione standard reati e
persone
Obs
(comuni di
provincia)
Media
Dev.
stand.
Min
Max
Caserta
Reati
104
19,2
18,9
0
110,2
Persone
104
30,5
47,7
0
375,7
Benevento
Reati
78
11,3
19,5
0
108,2
Persone
78
20,7
33,9
0
154,4
Reati
92
20,4
13,8
0
90,2
Persone
92
25,9
20,9
0
123,2
Reati
119
14,1
24,0
0
201,2
Persone
199
24,8
51,8
0
416,7
Reati
158
10,2
14,5
0
76,6
Persone
158
13,4
21,1
0
121,1
Napoli
Avellino
Salerno
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
La successiva tabella, come indicato, restituisce i risultati dell’elaborazione denunce/denunciati e, come si vede, la media registrata nella provincia di Napoli è, sebbene leggermente, la più
alta: 1,00, rispetto alla omologa di Caserta (0,81), di Salerno
(0,76), di Avellino (0,74) e di Benevento (0,54) che risultata
la più bassa. Questi risultati apparentemente sembrerebbero
aiutarci a sostenere l’ipotesi formulata essendo la deviaziole estorsioni in campania
227
ne standard decisamente più bassa delle precedenti e quindi
rappresentativa di una dispersione meno forte nella distribuzione che analizziamo. Tuttavia, anch’essa non è attendibile in
maniera significativa dal momento che sia per il numero delle
osservazioni che riduce la considerazione dei comuni di ogni
provincia che per i gradi di dispersione risultanti superiori ai
valori medi l’asimmetria che ne proviene impedisce di acquisirla
a conferma dell’ipotesi operativa.
Tabella 9 - Rapporto reati di estorsione denunciati e persone denunciate/arrestate. Anni 2010-2013
Obs*
Rapporto
Dev.
stand.
Min
Max
78
0,8
0,5
0
3
37
0,5
0,4
0
1
84
1,0
0,5
0,3
4
61
0,7
0,5
0
2
70
0,8
0,4
0
2
Caserta
Reati/Persone
Benevento
Reati/Persone
Napoli
Reati/Persone
Avellino
Reati/Persone
Salerno
Reati/Persone
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
* La riduzione delle osservazioni (obs) dipende dal fatto che in alcuni comuni,
specie di piccole dimensioni, in uno o più anni del periodo indicato il rapporto
tra denunce e denunciati risulta indeterminato.
Si è reso necessario, allora, esperire una nuova strada ed abbiamo elaborato un indice che abbiamo chiamato di partecipazione
al reato basato sul rapporto tra persone denunciate o arrestate
e numero di reati dal momento che questo rapporto indica in
media quante persone sono necessarie per commettere un reato di estorsione. Successivamente è stato costruito l’indice
medio di partecipazione comparato tra i comuni capoluogo e
le proprie province, nonché tra le province.
228
giacomo di gennaro
L’indice è stato costruito considerando un periodo più
lungo (2007-2013) e acquisendo il dato annuale in modo da
consentire l’elaborazione delle medie e rendere la comparazione tra i rapporti (capoluogo e sua provincia; rapporto
tra province; province prive del dato del capoluogo) soddisfacente ai fini dell’accettazione/rifiuto della ipotesi. Rimandando all’appendice per l’esame distinto e progressivo delle
elaborazioni, di seguito diamo conto del risultato finale. La
tabella sottostante restituisce l’elaborazione e come si può
notare in primo luogo, i valori medi nelle città di Avellino e Benevento nel 2012 l’una e nel 2010 e 2013 l’altra subiscono una
impennata rispetto all’andamento dell’intera serie. La punta
apicale, inoltre, interessa più la provincia beneventana l’anno
precedente e meno la città tant’è che nel 2012 il valore della
provincia sale a 3,89. Segno di una pressione che si dirige più
verso la provincia che la città e che di conseguenza registra
una mobilitazione più sostenuta sia in termini di denunce
che di soggetti che vi si dedicano che è maggiore. Va anche
detto che i dati possono riflettere contemporaneamente un
aumento delle investigazioni e quindi una ascesa delle risultanze che si riverberano positivamente sui due fronti: quello
delle vittime che denunciano e quello degli autori del reato
che sono scoperte. Una riprova della dinamicità più dell’area
provinciale viene dal dato del 2012 della provincia che è scorporato dalla città di Benevento (5,60).
L’intera serie, invece, se osserviamo l’andamento dei valori nelle province di Caserta, Napoli e Salerno, si presenta
con variazioni molto più contenute quasi a delineare una
performance stabile sia sotto il profilo della temporalità che
della spazialità. Cosa vuol dire ciò e quali ulteriori elementi
possiamo ricavare?
le estorsioni in campania
229
2008
2009
2010
2011
2012
2013
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
2007
Avellino
Tabella 10 - Rapporto persone denunciate e arrestate per estorsione nel periodo 2007-2013 nei comuni capoluoghi e nelle province
campane
Comune
0,67
0,82
1,89
1,39
1,84
Provincia
1,45
1,28
1,90
1,48
1,31
Provincia 2*
1,71
1,55
1,90
1,54
1,24
Comune
1,40
1,78
1,08
1,48
1,62
Provincia
1,83
1,77
1,71
1,64
1,75
Provincia 2
1,92
1,77
1,79
1,75
1,78
Comune
1,08
1,25
0,89
1,49
1,23
Provincia
1,35
2,10
2,23
1,52
1,44
Provincia 2
1,42
2,63
2,29
1,53
1,45
Comune
1,20
3,71
0,92
1,94
0,87
Provincia
1,80
2,27
1,53
1,63
1,46
Provincia 2
1,88
1,93
1,58
1,44
1,53
Comune
0,77
0,58
0,92
1,59
2,97
Provincia
1,63
2,09
2,47
1,52
1,65
Provincia 2
1,87
2,62
2,58
1,49
1,42
Comune
2,54
1,75
1,30
1,58
1,50
Provincia
1,68
3,89
1,78
1,58
1,48
Provincia 2
1,45
5,60
1,81
1,58
1,47
Comune
0,73
2,50
0,85
1,82
1,96
Provincia
1,10
2,00
1,74
1,63
1,72
Provincia 2
1,19
1,92
1,81
1,51
1,68
Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd
* Provincia 2 indica il dato provinciale scorporato di quello comunale.
L’esame del grafico sottostante forse rende meglio l’idea. Si
nota che, nel caso della provincia di Napoli e Salerno il rapporto persone/reati è più elevato – anche se di poco – nel comune piuttosto che nel resto della provincia, questo andreb230
giacomo di gennaro
be in accordo con l’ipotesi che abbiamo sviluppato: ovvero,
una maggiore competizione tra clan cittadini obbliga i clan ad
orientare un maggior numero di persone alla realizzazione del
reato. Mentre a Napoli la media del rapporto è di 1,61 e nel resto della provincia scende a 1,55 depurato del valore cittadino
e a Salerno è 1,71 contro 1,51, l’evidenza opposta si riscontra
nelle restanti tre province, in particolare per Caserta dove il
dato comunale è sensibilmente più basso dell’omologo degli
altri capoluoghi. Ovvero, osservando la media dei rapporti e
la deviazione standard si riscontrano risultati molto più lineari
con una bassa dispersione nella distribuzione, e differenze tra
le medie delle province, tranne per Benevento, più contenute.
Grafico 10 - Confronto tra la media dei rapporti di persone/delitti.
Anni 2007-2013
Fonte: ns. elaborazione su dati sdi/ssd
Perché l’ipotesi a priori regga, è necessario ora affermare che
nella città di Caserta ci sia una minore frammentazione dei clan
di quanto non accada nel resto della provincia. In realtà l’effetto spiazzamento determinatosi all’indomani degli arresti di
Michele Zagaria (nel 2011) e Antonio Iovine nel 2010 (entrambi
all’apice del clan dei casalesi) sono ancora troppo vicini per
poter sostenere una forte parcellizzazione della federazione
le estorsioni in campania
231
dei casalesi. Infatti, tra le diverse organizzazioni di camorra
presenti nel territorio regionale campano, quello dei casalesi
da sempre si è performato con identità organizzative più vicine alla mafia che alla camorra napoletana. Ancora nelle due
relazioni Dia del 2013 e in quella del primo semestre del 2014
si sottolinea che gli assetti del crimine organizzato nell’intera
area casertana restano ancora influenzati dai legami di questi
con le famiglie Schiavone, Bidognetti, Iovine e Zagaria le cui
propaggini insediative arrivano, grazie agli investimenti realizzati, nelle regioni della Toscana, dell’Emilia-Romagna, del Lazio,
Umbria ed Abruzzo. La transizione che i clan un tempo federati
attorno alla struttura centrale del vecchio direttorio stanno
attraversando non impedisce, quindi, la continuità dei traffici
(stupefacenti e rifiuti), la cura degli investimenti realizzati nelle
regioni indicate e il consolidamento di relazioni intrecciate di
carattere strategico o alleanze finalizzate a particolari attività
illegali con altri sodalizi criminali campani o di altre parti del
Paese13. Nonostante, quindi, gli arresti e lo smantellamento
che l’efficace attività di contrasto ha prodotto negli ultimi anni
sradicando dal territorio capi, reggenti e fiancheggiatori, la fase
di rimodulazione e mimetizzazione non impedisce il prosieguo
delle attività estorsive che più in provincia che nella città di
Caserta risente del reclutamento di nuove leve e della forza
criminale dei gruppi non federati nel cartello dei casalesi14.
13. Nella relazione I semestre 2013 la Dia riporta gli esiti di una investigazione denominata “American Laundry” che ha svelato l’esistenza di rapporti tra esponenti del clan
Bidognetti e omologhi dei gruppi partenopei Misso e Lepre. In base all’emissione di
una O.C.C. il 14 febbraio 2013 sono state disposte dodici misure cautelari per il reato di
estorsione perpetrato tra il 2001 e il 2008 in danno ad una lavanderia industriale sita in
un comune della provincia di Napoli. L’indagine ha fatto emergere il caso di una doppia
estorsione dal momento che i proprietari versavano al clan napoletano tra gli otto e i
dodicimila Euro mensili «cui si aggiungevano somme al gruppo di Bidognetti»; cfr. dia,
Relazione, op. cit., I semestre 2013, pp. 134-35; Ibidem, II semestre 2013, pp. 108-09.
14. Nell’ultima relazione della Dia si legge: «si sta verificando una rimodulazione del
modus operandi, conseguenza dell’incisiva aggressione ai patrimoni illeciti, dell’edilizia ferma e delle numerose operazioni sul traffico illecito di rifiuti. Tali fattori hanno
indotto i gruppi locali a privilegiare attività quali il traffico e lo spaccio di stupefacenti,
sistema veloce e remunerativo per sopravvivere, gestito in concorso con trafficanti
di altri paesi (Albania, Macedonia, Turchia, Colombia), e con organizzazioni alleate
della vicina provincia di Napoli. Le estorsioni continuano a rappresentare un ambito
232
giacomo di gennaro
L’addensamento dei clan nelle città giocoforza produce un
effetto rialzo del numero delle persone che si dedicano all’estorsione. Questo si può notare a Napoli e Salerno ove gli scostamenti nel periodo trattato in ragione della differenza città/
provincia fanno registrare, sebbene con leggere diversità tra
esse, un rapporto persone/reati più alto. Interpretiamo, però, la
lieve differenza fra i due capoluoghi come dovuta maggiormente al fattore investigativo territoriale. Salerno e la sua provincia
a partire dalla fine del 2009 hanno visto intensificare l’attività
investigativa e il numero delle denunce per estorsione è cresciuto così come quello dei denunciati e arrestati.
L’aspetto più interessante è lo scostamento generale nel
rapporto tra il dato del singolo capoluogo e quello dell’area
provinciale depurato del dato cittadino. Mentre i comuni di
Salerno e Napoli fanno registrare un rapporto tra il numero
di persone denunciate/arrestate e delitti denunciati superiore
a quello riscontrato nel resto della provincia (1,71 e 1,51; 1,61 e
1,55), a Caserta, Benevento e Avellino è l’inverso: il valore medio
della provincia è più alto nel rapporto (graf.10). Soffermandoci
sui dati del capoluogo di regione, dunque, si evince che, assumendo che il reato è fortemente connotato a Napoli dal carattere organizzato dei clan, per effetto dell’elevata densità degli
stessi presenti nel territorio cittadino, il numero delle persone
sul numero dei delitti è più alto. Ovvero, vi è una necessità di
ricorrere a più persone modellando dall’inizio con una forte
impronta violenta la fase intimidatoria dell’espletamento del
reato. È come dire, nell’ottica di Dahrendorf, che ab initio essendovi necessità di dare immediata autorevolezza alla richiesta, il
tipo di “armi” prescelto non può che essere un atteggiamento
intimidatorio basato sulla minaccia o sulla violenza espressa,
modellando dall’inizio la postura, l’atteggiamento e la perentorietà della richiesta e delegando ad essa un numero più alto
di persone in modo da rendere credibile da subito l’evento.
dell’illecito di significativo interesse per i clan in quanto, oltre a procurare immediata
liquidità, sono funzionali per affermare la presenza del sodalizio sul territorio»; dia,
Relazione, I semestre 2014, op. cit., pp. 116-17.
le estorsioni in campania
233
Questa specificità deriverebbe proprio dall’elevata concorrenza
esistente sul mercato del racket e dalla durata non tanto lunga
del clan rispetto, invece, alle altre province ove la maggiore
stabilità dei gruppi criminali su un territorio o il minore turnover tra essi permetterebbe di destinare un numero inferiore di
persone per ogni evento estorsivo.
Uno studio più approfondito su una base consistente di
materiale giudiziario potrebbe permettere di verificare non
solo questa ipotesi sulle diverse province dell’intera regione,
ma verificare al contempo la differenza eventuale tra clan di
lunga durata (che hanno maturato una forte reputazione criminale) e clan di breve durata per verificare quanto sia attendibile
questa ipotesi non solo in rapporto alla diversità del territorio
ma del radicamento del gruppo criminale. Inoltre, clan che si
dedicano a più traffici e attività economiche e clan che dominano particolari settori economici illegali. Ciò permetterebbe
di capire oltretutto la dimensione dell’attività che realmente
verrebbe reciprocata in termini di protezione o altri benefici e
quella che, viceversa, ha un puro carattere di promessa, millantata come protezione-estorsione ma di fatto retta come pura
attività estrattiva.
4.3Incidenza e prevalenza delle estorsioni nelle singole
province
Un primo aspetto da cui partire riguarda la variazione tendenziale dei tassi di estorsione in Campania rispetto all’andamento
del tasso totale di delittuosità nazionale e alla variazione che
a livello locale (singole province) si registra nel periodo tra il
2010 e il 2012. Adoperando la Shift and Share Analysis, metodo di scomposizione settoriale – territoriale molto impiegato
nell’analisi economica, abbiamo scomposto in tre componenti
la variazione dei tassi della delittuosità: tendenziale (ovvero è
la variazione che ci si dovrebbe aspettare in base alla tendenza nazionale del tasso di delittuosità calcolato su tutti i reati);
strutturale (la variazione che si attende in base alla tendenza
234
giacomo di gennaro
nazionale del tasso di estorsione); locale (la differenza tra la
variazione tra il tasso di delittuosità estorsiva campano rispetto
alla variazione dello stesso tasso nazionale). La tabella sottostante riporta sinteticamente i risultati dell’elaborazione. Come
si può notare in Campania il tasso di delittuosità delle estorsioni
è aumentato di 0,47 tra il 2010 e 2012.
Tabella 11 - Componenti di scomposizione dei tassi di estorsione
Var. 2010-12
Tendenziale
Strutturale
Locale
Campania
0,47
1,18
0,10
-0,81
Avellino
4,03
0,74
-0,46
3,76
Benevento
-6,57
0,91
-0,57
-6,91
Caserta
-0,83
1,45
-0,91
-1,37
Napoli
-1,19
1,43
-0,89
-1,72
Salerno
6,55
0,87
-0,54
6,22
Napoli Comune
0,48
1,60
-3,02
1,89
Fonte: ns. elaborazione su dati SDI/SSD
Se i reati di estorsione in Campania fossero variati in proporzione al totale dei reati in Italia, avremmo dovuto osservare una
crescita ben maggiore, ovvero pari a 1,18. Ciò vuol dire che sul
totale della delittuosità l’estorsione ha una incidenza inferiore.
Se consideriamo la componente strutturale, il tasso atteso è
pari a 0,10: ciò delinea che a livello campano le estorsioni hanno
avuto, per il periodo in esame, un incremento maggiore rispetto
all’andamento nazionale. Infine, la componente locale è pari
a -0,81: ciò significa che l’attività estorsiva, rispetto all’intera
produzione delittuosa, nonostante le pressioni che abbiamo discusso anche in precedenza, subisce nel periodo una tendenza
negativa e quindi costituisce un reato che rispetto all’insieme
è tra i meno denunciati.
Se la riflessione la indirizziamo alle singole province e prendiamo come riferimento tendenziale i valori regionali, si evidenzia che la provincia di Salerno fa registrare una variazione pari a
6,55, di molto superiore a quella regionale (0,47): in Campania,
le estorsioni in campania
235
infatti, la componente tendenziale ci fornisce un valore atteso di 0,87 e quella strutturale di -0,54 delineando che il peso
locale delle estorsioni è molto più elevato che nelle restanti
province. Questa performance, anche se con lievi differenze, è
osservabile anche nella provincia di Avellino. Tendenza completamente opposta la osserviamo nella provincia di Benevento.
La variazione registrata nel periodo è pari a -6,57. Sulla base
dell’andamento della delittuosità in Campania ci saremmo dovuti attendere un aumento dello 0,91 e in base all’andamento
del reato a livello regionale ci saremmo dovuti attendere una
riduzione più contenuta pari a -0.57 che è molto più bassa di
quella osservata, mentre quella locale pari a -6,91 ci informa
che il reato rispetto al totale della delittuosità ha una incidenza
ancora più bassa.
Relativamente a Napoli e Caserta registriamo due variazioni negative (-1,19 e meno 0,83). Sulla base della componente tendenziale ci saremmo dovuti attendere un leggero
aumento (1,43 e 1,45) in tutte e due le aree. La componente
strutturale fa registrare una leggera differenza fra le due
province (-0,89 e -0,91) delineando che in quella napoletana
il calo è leggermente superiore a quello atteso, mentre nella
provincia casertana è leggermente inferiore. In entrambe le
province, inoltre, nella componente locale registriamo valori negativi (-1,72 e -1,37) il che ci dice che il peso del reato
estorsivo sull’insieme della delittuosità è inferiore rispetto
al quadro regionale.
Essendo l’analisi sperimentata basata su un periodo ristretto da un lato, non bisogna meravigliarsi se le province di
Salerno e Avellino fanno registrare valori positivi tendenziali
alti dal momento che le province sono oggetto di osservazioni estorsive più recenti. Dall’altro emerge che, essendo
quantitativamente limitato l’apporto fornito dal reato di
estorsione alla determinazione del tasso di delittuosità totale, la componente tendenziale poco influisce sulla variazione
dei tassi di estorsione osservati. Inoltre, dal rilievo dei dati
delle componenti strutturali e locali si può segnalare che le
variazioni sono determinate pesantemente dall’andamento
236
giacomo di gennaro
della componente locale. Ovvero, i fattori locali avrebbero
un peso maggiore rispetto a fattori di carattere più esogeno
coincidenti con la dimensione regionale. Ciò vale per i casi di
Avellino e Salerno relativamente all’aumento della variazione
triennale, la quale rispecchia quasi fedelmente il valore della
componente locale. Nel caso, invece, di Benevento, registriamo un andamento opposto in quanto vi è una riduzione del
tasso. Per cui i fattori locali la determinerebbero sebbene essa
è di poco inferiore. Le ipotesi più compatibili che possono formularsi a spiegazione dei fattori locali in queste tre province
sono: a) nel salernitano a partire dal 2009 si registra un forte
impulso nell’attività investigativa coordinata dalla procura salernitana. L’esito è stato un aumento delle denunce e dei casi
di estorsione scoperti; b) nel caso avellinese potrebbe essere
collegato sia ad un aumento delle investigazioni e quindi di
casi venuti allo scoperto che ad una contemporanea espansione della pressione estorsiva che ha trovato nelle vittime,
però, un terreno meno favorevole all’accoglienza; c) infine,
il beneventano costituisce il caso più anomalo, perché ad un
maggior dinamismo economico registrato negli ultimi tempi,
non corrisponderebbe – data la prossimità territoriale con i
casalesi – una crescita delle denunce. Tanto meno delle segnalazioni estorsive15. Infine, nei casi di Napoli e Caserta, che sono
le province nelle quali si registra il maggior numero di reati
15. Il clan storicamente più longevo operante nella città di Benevento e in alcuni
comuni limitrofi è quello degli Sperandeo nella cui orbita operano alcuni clan minori:
Spina, Nizza, Taddeo, Piscopo. Questo piccolo cartello si contrappone al clan Pagnozzi,
egemone nel comune di S. Agata dei Goti e zone limitrofe e gode dell’appoggio di
gruppi afferenti ai Casalesi. Nella zona di Montesarchio agiscono le famiglie IadanzaPannella, alleati con i Pagnozzi. Il comune di Foglianise e la zona del Taburno restano
sotto l’influenza del clan Lombardi, mentre nella Valle Telesina agisce il clan Esposito.
Questi assetti sono abbastanza consolidati per cui l’attività estorsiva, la gestione del
mercato della droga e l’attività usuraia si sviluppa con modalità tali che non generano
conflitto fra i clan, anzi alleanze strumentali vengono registrate anche fra i “classici”
contendenti (Sperandeo/Pagnozzi). I dati omicidiari, che costituiscono un indicatore
della tensione fra i gruppi, tra il 2010 e il 2013 non fanno registrare casi. Mentre un indicatore spia del moltiplicarsi dell’attività estorsiva (ed usuraia) proviene dall’aumento
degli atti intimidatori (incendi, danneggiamenti e questi seguiti da incendi) che nello
stesso periodo nell’intera provincia sono aumentati in media del 112%; cfr. dia, Relazioni
semestrali, anni 2010-2013, op. cit. Sempre computando i dati di fonte Dia nel periodo
le estorsioni in campania
237
di estorsione, la variazione osservata del tasso di estorsione
è maggiormente condizionata dalla componente strutturale,
ovvero gli andamenti locali sarebbero in linea con l’andamento del tasso di estorsione regionale. Questo è interpretabile
nei termini di un peso assoluto che le due province hanno sul
totale della delittuosità estorsiva regionale.
L’ipotesi che si può formulare è che un’applicazione di
questo metodo di scomposizione settoriale-territoriale su un
periodo più ampio e osservabile nell’immediato futuro, potrebbe suggerirci sia la variazione determinatasi nel passato
sia il grado di esposizione delle singole province al rischio di
incremento della delittuosità estorsiva in quanto ci permette
di “pesare” l’apporto differenziato dei diversi fattori endogeni
ed esogeni.
Veniamo, ora, all’analisi di un altro indicatore elaborato per
la comprensione dell’incidenza e della prevalenza nelle singole
province dell’attività estorsiva. In genere l’attività estorsiva è
praticata attraverso modalità di “aggancio” della vittima che,
sebbene fondate su un immediato linguaggio intimidatorio,
non necessariamente si esplica con l’azione violenta. L’intimidazione è strategicamente attuata con una “prassi” evolutiva
che tiene conto della reazione della vittima, della notorietà e
reputazione del clan e del contesto ambientale se è già sottoposto o meno ad attività estorsiva, della debolezza della vittima.
Il ricorso a danneggiamenti e atti ulteriori avviene in itinere
o al termine del processo selettivo e ovviamente tiene conto
dell’esito dell’aggancio.
Abbiamo incrociato, pertanto, il tasso di estorsioni calcolato su base provinciale con quello relativo ad una serie di reatispia che connotano la pressione intimidatoria esistente in un
determinato ambiente. In un certo senso la presenza di un elevato tasso di tali reati costituisce anche un indice che misura la
violenza dei clan di camorra rispetto ad altri macrofenomeni
criminali. Reati quali danneggiamenti (ex art. 635 c.p.), lesioni
indicato, emerge che sono stati registrati complessivamente 108 episodi di estorsione
nell’intera provincia beneventana.
238
giacomo di gennaro
dolose, incendi (ex art. 423 c.p.)16, danneggiamenti seguiti da
incendio (ex art. 424 c.p.), attentati, rapine, sono inquadrabili
sotto un profilo criminologico come vettori di ulteriori azioni
o attività illegali segnatamente finalizzate al raggiungimento
di un obiettivo. Si pensi, per esempio alle rapine. Queste, in
genere, sono costitutive (art. 628 c.p.) di una criminalità cosiddetta predatoria, ovvero della delinquenza comune, di bande
o gang criminali che si impossessano di cose, beni mobili altrui
con l’uso della violenza e/o della minaccia a persone17. Si può
sostenere che sia un reato molto indipendente, per ragioni
socio-demografiche, economiche, migratorie, dalla criminalità
organizzata e che, anzi, quest’ultima proprio perché interessata a offrire protezione scoraggi in un determinato territorio,
zona o quartiere la turbolenza che tale crimine produce. Oppure si può sostenere il contrario: che le rapine siano tollerate
dal crimine organizzato proprio per incentivare una domanda
di protezione e al tempo stesso selezionare, dall’interno dei
profili delinquenziali, quei soggetti più adatti a perseguire
una vera o propria carriera criminale, ben sapendo che sono
molti i giovani che aspirano a far parte di un clan. Secondo
una interpretazione della Dia, in Campania le reti criminali
16. Con la legge 21.11.2000, n. 353 Capo I del titolo VI del codice penale, il legislatore
ha introdotto l’art. 423-bis che prevede il reato di incendio boschivo, selve e foreste di
natura dolosa che spesso è perpetrato dalla criminalità organizzata per declassare una
zona verde e potervi successivamente realizzare una speculazione edilizia. Tra le novità
che riguardano il problema dei roghi di rifiuti vi è la legge 6/2014 che ha convertito il
D.L. 136/2013 e introdotto nel Codice dell’ambiente l’art. 256-bis che prevede il delitto
di combustione illecita di rifiuti.
17. L’art. 628 del c.p. comprende due figure criminose: una contempla la violenza
come mezzo per impadronirsi di qualcosa (“rapina propria”); l’altra la violenza per
difendere il possesso della cosa sottratta (“rapina impropria”). La sottrazione diretta
di un bene alla vittima definisce la rapina o il furto con strappo (cd. scippo); la consegna
sotto costrizione si avvicina al delitto affine dell’estorsione. Teorie diverse spiegano la
diffusione delle rapine, insistendo o sull’impersonalizzazione della vittima (nonpersonal
money) tipica del “professional robber”; o come esito di azioni giovanili (“opportunistic
robber”) perpetrate a danno di soggetti più deboli (street crime o mugging); o l’effetto
moltiplicatore dell’uso di sostanze stupefacenti (addict robber) e alcoliche (alcoholic
robber), o infine, quale risultato dell’incremento delle opportunità e disponibilità di
beni (Barbagli). Su questi aspetti, vedi s. ciappi, Le rapine, in M. Barbagli (a cura di),
Rapporto sulla criminalità in Italia, il Mulino, Bologna 2003, pp. 65 e ss.
le estorsioni in campania
239
altamente specializzate spesso generano «joint-ventures con
la criminalità comune. Tali intese, generalmente, si realizzano tra i vertici dei sodalizi camorristici ed elementi esterni,
ai quali viene corrisposta una quota degli utili che derivano
dalla commissione di un vasto spettro di delitti, tra i quali il
contrabbando di Tle, la ricettazione, lo spaccio di droghe e le
rapine. (…) In tale contesto, sia a Napoli, sia nell’hinterland,
è stato più volte acclarato che le bande di rapinatori entrano
in azione dopo aver ottenuto il consenso da parte dei clan di
zona che, abitualmente, forniscono la loro autorizzazione in
cambio di una quota degli utili, calcolato proporzionalmente
al ricavato della rapina stessa. Appare evidente, quindi, come i rapinatori, attraverso le specifiche condotte, vadano ad
alimentare il “Sistema camorristico”, nel quale aspirano ad
entrare a pieno titolo e del quale faranno parte solo dopo
essersi guadagnati la fiducia di un’organizzazione»18.
I dati sottostanti offrono l’opportunità di fare alcune considerazioni derivabili da questo rapporto. Come si vede abbiamo
calcolato il tasso estorsivo nelle province campane nel periodo
di riferimento della ricerca (2010-2013) e il tasso totale dei reati
spia.
18. Cfr. dia, Relazione del Ministro al Parlamento, op. cit., II sem. 2010, pp. 221-22.
240
giacomo di gennaro
le estorsioni in campania
241
25,4
25,1
15,0
Caserta
Napoli
Salerno
756,2
539,2
546,8
756,8
725,9
Tasso
reati
spia
2011
21,8
23,9
24,2
19,8
17,1
Tasso
estorsivo
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
12,8
15,9
Benevento
Tasso
estorsivo
Avellino
Province
2010
780,1
553,1
509,5
714,1
736,8
Tasso
reati
spia
23,1
23,6
24,4
7,8
17,7
Tasso
estorsivo
2012
791,0
562,9
567,3
687,2
720,2
Tasso
reati
spia
20,8
22,5
24,8
6,1
16,9
Tasso
estorsivo
2013
779,0
563,5
539,1
564,0
700,4
Tasso
reati
spia
Tabella 12 - Tasso reati di estorsione e tasso reati spia nelle province campane. Anni 2010-2013
20,2
23,8
24,7
12,4
16,1
Tasso
estorsivo
776,6
554,7
540,7
680,5
720,8
Tasso
reati
spia
Tasso medio
Se osserviamo direttamente i valori medi del periodo si noterà
che la provincia di Caserta e quella partenopea fanno registrare i valori più alti, rispettivamente 25,0 e 23,8 estorsioni ogni
100.000 abitanti, a fronte dell’area beneventana che riporta il
valore più basso (12,4) e quella salernitana che ci segnala il valore intermedio (20,0). Tuttavia, se osserviamo il tasso totale
medio dei reati spia la provincia di Caserta e quella di Napoli
riportano i valori più bassi (rispettivamente 540,7 e 554,7 atti
intimidatori ogni 100.000 abitanti), a fronte del salernitano
che fa registrare il valore più alto (776,6). Poiché la gamma
dei reati spia ascrivibili all’attività intimidatoria connessa alle estorsioni è generalmente circoscritta ai danneggiamenti,
agli incendi di beni di proprietà delle vittime (auto, mezzi ad
uso lavorativo, case, ecc.) e a danneggiamenti seguiti da incendio, abbiamo ristretto l’elaborazione a questi tre atti (e
reati). Come si vede dalla tabella sottostante ovviamente i
valori cambiano: è la provincia di Salerno che fa registrare il
valore medio dei reati spia più alto: 611,7 eventi intimidatori
per 100.000 abitanti. Seguono rispettivamente la provincia di
Avellino e Benevento (586,2 e 567,2) e poi quella casertana e
napoletana con i valori più bassi.
242
giacomo di gennaro
le estorsioni in campania
243
25,1
15,0
Napoli
Salerno
601,3
407,8
436,6
2011
21,8
23,9
24,2
19,8
17,1
Tasso
estorsivo
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
25,4
Caserta
638,0
584,9
12,8
15,9
Avellino
Tasso
estorsivo
Benevento
Province
Tasso
reati
spia
2010
621,0
417,2
408,8
611,9
605,5
Tasso
reati
spia
23,1
23,6
24,4
7,8
17,7
Tasso
estorsivo
2012
617,0
423,1
444,0
554,5
590,0
Tasso
reati
spia
20,8
22,5
24,8
6,1
16,9
Tasso
estorsivo
2013
607,3
424,4
422,1
464,3
564,3
Tasso
reati
spia
20,2
23,8
24,7
12,4
16,1
Tasso
estorsivo
611,7
418,1
427,9
567,2
586,2
Tasso
reati
spia
Tasso medio
Tabella 13 - Tasso reati di estorsione e tasso reati spia (sottratto del valore delle lesioni dolose) nelle province campane.
Anni 2010-2013
Si noterà che vi è un rapporto completamente rovesciato:
le province notoriamente più interessate da una maggiore
pressione estorsiva (Caserta e Napoli) fanno registrare una
minore presenza di eventi intimidatori. Quelle ove notoriamente, come abbiamo visto, sia i valori connessi alle denunce, agli autori e alle vittime risultano mediamente inferiori,
riportano, invece, eventi intimidatori maggiori. Tra l’altro,
sia nel caso di una elaborazione del tasso dei reati spia più
“allargata” che in quest’ultima ristretta si può notare che nel
periodo in esame tranne la provincia napoletana che mostra
una leggera tendenza al rialzo e quella beneventana la cui
performance è diametralmente opposta, in tutte le altre la
variazione dei valori medi ha un andamento ondulatorio la
cui rappresentazione è più sinusoidale. Confrontando, d’altra
parte, questi risultati con i valori assoluti registrati a livello
regionale ed elaborati dalla Dia, emerge che nello stesso periodo a livello regionale si è passati dai 6.148 danneggiamenti
del primo semestre 2010 ai 6.910 del primo del 2011 con un
incremento del 12,4%, per poi ridursi dell’1,3% nel successivo
primo 2012 fino a raggiungere i 6.130 eventi nel secondo semestre 2013 che riportano i valori quasi al dato di partenza.
La tabella sottostante rende conto delle segnalazioni SDI
inerenti i reati spia registrati in tutta la regione Campania.
Si noterà che il volume dei danneggiamenti non solo è il più
alto (52.199) per l’intero periodo con un tasso medio di segnalazioni nella regione pari a 111 atti ogni 100.000 abitanti,
ma i valori assoluti del II semestre 2013 ritornano quasi analoghi ai primi del 2010. L’incremento più sostenuto si registra
negli atti incendiari (57,3%) con un andamento fortemente
oscillante e i cui valori assoluti sarebbero più consistenti se
si sommassero gli incendi regolati dalla nuova normativa
del 423-bis. La violenza intimidatrice dei clan, in realtà, non
si esprime attraverso eventi eclatanti, come potrebbero essere gli attentati, piuttosto mediante danneggiamenti e/o
incendi di beni in possesso della vittima o di sua proprietà tali
da generare danni, paura, senso di insicurezza, proiezione
all’assoggettamento.
244
giacomo di gennaro
le estorsioni in campania
245
216
338
35
Danneggiamenti e
incendi ex art. 424
Incendi ex art. 423
Attentati
30
310*
292
6.893
38
513
326
6.910
14
1550
319
6.994
ii sem.
2011
i sem.
Fonte: ns. elaborazione su dati dia
* In tale periodo vengono segnalati anche 444 incendi boschivi.
6.148
ii sem.
2010
i sem.
Danneggiamenti ex
art. 635
Reati spia
48
686
344
6.846
i sem.
38
1146
382
6.368
ii sem.
2012
48
320
253
5.910
i sem.
22
531
288
6.130
ii sem.
2013
Tabella 14 - Segnalazioni atti di intimidazione registrati in Campania. Anni 2010-2013
-36,3
57,3
33,2
-0,2
Var.ne
34,1
674,2
302,5
6524,8
Media
4,65
91,9
41,2
889,2
Tasso
Una elaborazione più dettagliata localizzata solo sui capoluoghi
di provincia rende ancora di più l’idea dei diversi addensamenti
della pressione estorsiva e di quella intimidatrice. Infatti, riportando i dati delle cinque città campane emerge che i capoluoghi più interessati da una maggiore pressione intimidatrice
sono quelli che hanno una minore presenza di clan e una più
circoscritta storia criminale. Ovvero, si può segnalare l’avvio
di un processo di espansione da aree originarie di clan (per es.
i casalesi) verso altre province e il trasferimento di interessi
economici (per es. l’aggiudicazione di pubblici appalti) in tessuti
imprenditoriali e commerciali coincidenti con queste nuove
zone. La tabella sottostante ci offre elementi di riflessione su
questi aspetti.
246
giacomo di gennaro
le estorsioni in campania
247
13,6
Salerno
981,6
611,4
681,5
26,4
26,6
19,2
23,4
28,9
1.055,3
590,2
670,1
1.177,3
1.102,1
Tasso reati spia
2011
Tasso
estorsivo
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
18,5
29,9
Caserta
Napoli
1411,3
877,9
11,1
13,7
Avellino
Tasso reati spia
Benevento
Città
Tasso
estorsivo
2010
32,9
30,4
16,0
15,8
29,0
Tasso
estorsivo
925,6
561,5
704,2
997,3
920,7
Tasso reati spia
2012
25,8
28,8
21,0
4,0
24,4
Tasso
estorsivo
851,9
590,6
612,6
786,7
887,9
Tasso reati spia
2013
Tabella 15 - Tasso reati di estorsione e tasso reati spia nelle città campane. Anni 2010-2013
24,7
28,9
18,7
14,2
23,4
953,6
588,4
667,1
1.093,2
947,2
Tasso reati spia
Tasso medio
Tasso
estorsivo
Come si vede mentre Napoli mantiene il tasso medio estorsivo
più alto (28,9) tra i capoluoghi campani, mostra il più basso
tasso medio dei reati spia (588,4); viceversa sono Benevento
e Salerno a far registrare un tasso più elevato (rispettivamente
1093,2 e 953,6) di atti intimidatori, sebbene a Benevento si registri il tasso medio estorsivo più basso (14,2), mentre a Salerno
quello successivo al capoluogo regionale (24,6). Come si arguisce c’è un evidente contrasto tra un basso tasso estorsivo e un
alto indice di violenza intimidatoria che, per esempio in città
come Benevento, delinea l’affermazione di una strategia di assoggettamento in atto cui tendono in zone nuove clan dell’area
i cui assetti organizzativi sono stati ridefiniti da nuove alleanze
(per es. clan Pagnozzi in sinergia con il clan Saturnino-Bisesto)
e dalla formazione di nuovi sodalizi minori con i quali si sviluppano alleanze strumentali con clan provenienti dall’esterno.
Non è un caso che proprio il beneventano e il salernitano sono
aree oggetto di nuove attenzioni da un lato, di gruppi casertani
funzionalmente in relazione di interessi con il cartello federato
dei casalesi; dall’altro, dalla «formazione di stabili collegamenti
e collaborazioni con consorterie camorristiche della provincia
di Napoli, con una ripresa, inoltre, dell’egemonia a Salerno del
clan Panella-D’Agostino»19. Mentre, quindi, in quei capoluoghi
ove si è sedimentata una più consolidata storia estorsiva appare
quasi superfluo il ricorso ad atti intimidatori da parte dei diversi
clan, la strategia di convincimento risulta più violenta, invece,
in quelle città ove questa analoga storia risulta più recente o
addirittura da innervare. Non è un caso, infatti, che a Caserta, il
tasso estorsivo cittadino risulta pari a 18,7 estorsioni su 100.000
abitanti con un tasso totale di reati spia pari a 667,1. Tali valori
comparati con quelli della sua provincia denotano un accrescimento del tasso estorsivo (24,7) e una riduzione di quello intimidatorio (427,9). Quali ipotesi sono compatibili con questi dati?
Probabilmente, da un lato, può essere verosimile che a fronte di
una pressione estorsiva il silenzio delle vittime sia perseguito in
19. dia, Relazione semestrale al Parlamento, op. cit., I semestre 2014, p. 120 (corsivo
nostro).
248
giacomo di gennaro
misura maggiore rispetto alla ribellione che la denuncia delinea.
Ma questa ipotesi contrasterebbe con l’aumento delle denunce
registrate in provincia. È più verosimile, dall’altro, che il forte
carattere imprenditoriale del cartello dei casalesi – i cui clan sono impegnati, per es. il gruppo Zagaria, nella gestione di servizi
pubblici, di appalti, corruzione di rappresentanti delle istituzioni
anche in altre regioni ancorché nelle amministrazioni locali dei
comuni dell’area, nella grande distribuzione, nell’edilizia e nel
commercio – abbia spinto diversi clan a orientarsi verso tali
attività e gestione di traffici più redditizi (si pensi al traffico dei
rifiuti) piuttosto che permanere nell’attività estorsiva praticata
maggiormente in provincia ove le attività economiche restano
maggiormente assoggettate al radicamento in molti comuni
del gruppo Schiavone, della fazione Bidognetti, del sodalizio
facente capo ad Antonio Iovine, del clan Papa, Belforte, Piccolo. Ciò nonostante i colpi inferti alla federazione conseguenti
alla cattura non solo dei capi del direttorio ma all’incisiva aggressione dell’attività di contrasto praticata anche attraverso
il sequestro e la confisca dei patrimoni illecitamente acquisiti.
4.4Napoli: le estorsioni tra violenza e consenso
Come abbiamo visto dall’insieme dei dati fin qui e dalle considerazioni sull’origine dell’attività estorsiva, a Napoli le estorsioni sono
un male ben radicato, un’alterazione che ha inquinato il tessuto
sociale ed economico da lungo tempo. Dire che nel contesto
partenopeo si concentra il volume più elevato di attività estorsiva
sembra ormai un’affermazione che non contiene originalità. Non
c’è relazione di intelligence nostrana, di commissione di inchiesta,
di centro di ricerca che non sottolinei il carattere condizionante
che il fenomeno assume nell’area napoletana e i modi e le ragioni che ne hanno determinato le radici. Tuttavia per quanto
ascrivibile siano i fattori connessi ad una illegalità diffusa che in
realtà non è inferiore a quella di altri contesti e per quanto possa
esservi un iato o un conflitto tra norme legali e norme sociali al
punto che direttrici di azione individuale o collettiva collidono
le estorsioni in campania
249
con le aspettative delle norme giuridiche20, oppure per quanto
il radicamento dei clan di camorra abbia ingenerato una insicurezza collettiva al punto da spiegare l’adesione di molte vittime
al clima di assoggettamento creato nel tempo, apparirebbe del
tutto infondato sostenere che è solo grazie alla violenta capacità
regolatrice dei clan che si deve la significativa ragione dell’affondamento delle radici dell’attività estorsiva. In realtà ciò che è definito legale e illegale soffre di sfumature e gradazioni tali per cui
spesso prescrizioni giuridiche e sociali non solo non concordano
ma ciò che in una determinata situazione un comportamento per
uno è definito in termini assoluti e non negoziabili, per un altro
è oggetto di soggettiva interpretazione o giustificazione. È così
che quel carattere apparentemente univoco delle norme si scolorisce ed assume quella caratteristica che Gaymard ha definito
di “condizionalità”, ovvero variazioni che si presentano sul piano
fattuale, concreto e rendono possibili particolari comportamenti
in quanto giustificati, sebbene contrari alle norme legali, in nome
del contesto, delle pratiche diffuse, delle convenienze di turno21.
Ed è così che l’attività estorsiva non è più solo il risultato di una
imposizione, di una estrazione predatoria di risorse ma è capace
di trovare anche consenso in vittime che più che adattarsi alle
circostanze le trasformano in vantaggi personali. Sarebbe lunga
la casistica da riportare di imprenditori vicini a clan o espressione
di questi che si avvantaggiano dell’imposizione monopolistica
di servizi, beni, forniture i cui proventi vengono poi reinvestiti in
acquisizioni di immobili, in attività commerciali ed economiche
fuori dalla regione o in altre città della stessa22.
20. Le norme legali sono disposizioni di legge che dettano prescrizioni di comportamento che se disattese generano sanzioni; le norme sociali sono regole che nascono
dalla istituzionalizzazione di comportamenti che se ritenuti appropriati sono condivisi
da una collettività. Su questo, vedi C. Bicchieri, The Grammar of Society: the Nature and
Dynamics of Social Norms, Cambridge University Press, New York 2006.
21. Cfr. s. gaymard, The Theory of Conditionality: An Illustration of the Place of Norms
in the Field of Social Thinking, “Journal for the Theory of Social Behaviour”, vol. 44, 2,
2014, pp. 229-247.
22. Nell’ambito di una investigazione sul clan Moccia la Dia di Napoli ha accertato
una gestione monopolistica di servizi di onoranze funebri che ha prodotto il 14 febbraio 2014 un decreto di sequestro e confisca di beni emesso dal Tribunale di Napoli
e riconducibili ad un imprenditore legato al clan che avvantaggiandosi dell’azione
250
giacomo di gennaro
Abbiamo visto che a Napoli la pressione dei clan è elevata
al punto che lo spazio fisico, quartiere, zona, piazza, circoscrizione, municipalità condiviso da un nucleo familiare orientato
ad uno stile di vita illegale è molto circoscritto essendovi un
addensato numero di gruppi criminali, bande e clan dediti alle
attività illegali (39 affermati e circa una decina tra sottogruppi
e bande). Uno spazio sociale nel quale l’impronta non è solo al
maschile ma anche al femminile.
Napoli costituisce l’ambito nel quale per primo le donne
hanno assunto un ruolo visibile e significativo nell’ambito anche della storia criminale. Si è osservato che esiste anche nelle
del sodalizio ne condivideva i profitti reinvestendoli in Abruzzo. Spesso le estorsioni
vengono camuffate con l’offerta di forniture che in realtà sono maggiorate: è il caso
emergente, nell’ambito di una operazione dei carabinieri che ha portato all’arresto di
un esponente del gruppo Schiavone, dall’O.C.C. 126/2014 emessa il 6 marzo 2014 dal
Tribunale di Napoli nei confronti di sei indagati per estorsione che imponevano a commercianti nella provincia di Caserta l’acquisto di materiale di cancelleria e pubblicitario
a prezzi sensibilmente maggiorati rispetto a quelli di mercato. Un caso di sistematica
attività estorsiva realizzata con l’acquisizione di tangenti e combinata con un’azione
intimidatoria finalizzata a impadronirsi nelle aste di beni immobili, emerge nell’ambito
dell’”Operazione Fulcro” condotta in diverse città della penisola nelle quali esponenti
di spicco del clan Fabbrocino egemone nell’area vesuviana del napoletano ma con
legami con i Licciardi di Secondigliano, i c.d. “scissionisti” Amato-Pagano presenti in
alcuni comuni dell’hinterland, le famiglie Mazzarella di S. Giovanni a Teduccio e Russo
di Nola, sono stati colpiti da ordinanza di custodia cautelare emessa il 18 dicembre
2012 a seguito di una indagine svolta tra il 2008 e il 2011 dalla quale si è documentata
la relazione sistematica con una famiglia di imprenditori che nell’arco di un decennio
ha creato un impero economico attraverso investimenti anche all’estero e acquistando
aziende, apparati produttivi e società commerciali. «Fidati professionisti non estranei
alle logiche affaristico-criminali sono risultati impegnati nel garantire buoni rendimenti
di capitali loro affidati dal clan, commettendo evasione fiscale, emissione ed utilizzo
di fatture per operazioni inesistenti, truffe ai danni dello Stato, falsificazioni contabili,
bancarotta fraudolenta, esportazione illecita di capitali, strumentalizzazione di benefici
tributari quali il condono fiscale del 2002 ed erogazioni statali ottenute per investimenti
produttivi, sottratte alla loro destinazione legale». La poliedricità degli interessi del sodalizio estesi in varie regioni d’Italia con investimenti in aziende agricole, supermercati
alimentari, fabbriche tessili, negozi si reggeva, inoltre, su una sistematica richiesta di
tangenti su tutte le attività imprenditoriali, sugli appalti pubblici relativi alla raccolta di
rifiuti e sulla realizzazione di tratti della S.S. 268, in relazione ai quali venivano versate
dalle ditte aggiudicatrici tangenti tra il 3 e il 5% dell’importo dei lavori. Cfr. o.c.c. 776/12
emessa il 10 dicembre 2012 dal Gip del Tribunale di Napoli nell’ambito del proc. pen.
r.r. 20194/10 RGNR in ordine ai reati ex art. 416 bis, 629 c.p., 644 c.p., 12/quinqies L.
356/1992 aggravati dall’art. 7 D.L. 152/1991; nonché l’o.c.c.c. del 13.3.2012 n. 48015/08
RGNR, n. 12934/09 RGIP.
le estorsioni in campania
251
organizzazioni mafiose una questione di gender nel senso non
solo di donne vittime perché usate come merce di scambio
nelle strategie e alleanze “matrimoniali” fra clan, ma perché
da lungo tempo e nella camorra prima delle altre storiche organizzazioni criminali vi è stata, e oggi vi è in una misura più
forte e diversa, un’influenza esercitata dalle donne sul modo
in cui si produce e riproduce la devianza e la cultura criminale, la difesa del nucleo familiare, la riproduzione delle pratiche
sociali, culturali e religiose che modellano l’universo cognitivo
subculturale deviante dei clan23. Le donne non solo depositarie
di tradizione, silenzi, storie dei mariti, delle famiglie, dei legami
parentali, di impegni credibili, di cooperazione e condivisione
di informazioni su atti violenti. Le donne garanti della reputazione maschile, operatrici di commissioni per mariti, fidanzati,
amanti, destinatarie degli “stipendi” del familiare detenuto.
Ma le donne anche come fomentatrici e interpreti di omicidi,
vendette, esecuzioni. Insomma, le donne esercenti un potere
interno a diversi clan e famiglie di camorra quale esito di un’autonoma e progressiva crescita culturale, carismatica, criminale,
imprenditoriale, «in grado di gestire anche grossi traffici illeciti». Un esempio non esclusivo si può trarre dall’operazione
conclusa il 27 maggio 2009 nei confronti dell’organizzazione
dei Sarno e gruppi alleati, operanti nell’hinterland napoletano.
«Tra le sessantaquattro persone arrestate, infatti, ci furono dieci
donne che ricoprivano ruoli di vertice in seno ai sodalizi Arlistico, Terracciano e Orefice, attivi nei comuni di Pollena Trocchia,
23. La letteratura sociologica e antropologica sul ruolo femminile nelle organizzazioni
criminali è ormai ampia, per cui si indicano solo alcuni lavori dai quali sono poi possibili
nuovi approfondimenti. Cfr. r. siebert, Le donne, la mafia, Il Saggiatore, Milano 1994, e
id. (a cura di), Relazioni pericolose. Criminalità e sviluppo nel Mezzogiorno, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2000; g. fiandaca (a cura di), Donne e mafia. Il ruolo delle donne nelle
organizzazioni criminali, Università degli Studi di Palermo, Dipartimento di Scienze
Penalistiche e Criminologiche, Palermo 2003; o. ingrascì, Donne d’onore. Storie di
mafia al femminile, Mondadori, 2007; aa.vv., Donne di mafia, in «Meridiana», 67, 2010;
a. iaccarino, Dinamiche di genere nel fenomeno mafioso e camorristico, Aracne, Roma
2010; a. zaccaria, Donne di camorra, in g. gribaudi (a cura di), Traffici criminali, op. cit,
pp. 280-309; a. dino, Il ruolo delle donne all’interno delle organizzazioni criminali mafiose,
in a. civita e p. massaro (a cura di), Devianza e disuguaglianza di genere, FrancoAngeli,
Milano 2011.
252
giacomo di gennaro
Massa di Somma, Sant’Anastasia e San Sebastiano al Vesuvio»24.
Ruoli sempre più diversi che vanno dalla custodia delle armi alla
vigilanza esterna, dall’assistenza ai latitanti, all’acquisizione e
circolazione delle informazioni, dal ruolo di corrieri di stupefacenti, a quello di venditrici di droga, a regolatrici di estorsioni.
Ma veniamo ai dati.
Le estorsioni scoperte nella città sono state 234 nel 2010, nel
2011 scese a 208, risalite nel 2012 a 237 e nel 2013 registrate 224.
Si può dire che sostanzialmente il dato è stabile e che l’oscillazione dipenda dalla collaborazione delle vittime e dall’intensità
investigativa. Tuttavia, presupposto che, dato il carattere strutturale del fenomeno, quest’ultima non si riduce, è più fondato
attribuire alla ridotta determinazione delle vittime il calo delle
denunce. Qui, ovviamente si porrebbe la domanda: perché? Se
osserviamo i dati relativi alle persone denunciate e/o arrestate
emerge che si è passati dalle 454 del 2010 alle 330 del 2011, fino
a raggiungere le 374 del 2012 e le 407 del 2013, con un rapporto persone/reato che varia dall’1,94 del 2010 all’1,59 del 2011,
all’1,82 del 2013. Come si vede una crescita leggera nell’ultimo
anno nel rapporto tra autore del reato e atto estorsivo. Un
rapporto che, data l’alta densità dei clan nella città, conferma
la presenza di un numero maggiore di persone dedite alla consumazione dell’evento rispetto alla provincia in ragione proprio
della necessità di affermare un dominio territoriale, sebbene
limitato, altamente conteso.
Nell’intera provincia si è passati, invece, dalle 619 segnalazioni per estorsione del 2010 alle 589 del 2011, fino alle 583 del
2012 e 557 del 2013. La riduzione delle segnalazioni non necessariamente è un segnale della contrazione reale ma più verosimilmente della minore disponibilità delle vittime a denunciare e
collaborare con le forze di polizia e con la magistratura. In ogni
caso il valore medio della provincia è pari al 56,6% del totale regionale. Il rapporto tra persone denunciate e/o arrestate e reato
di estorsione passa da 1,63 del 2010 all’1,52 del 2011 all’1,63 del
2013. Ma se tale rapporto lo calcoliamo estraendo i valori della
24. Cfr. dia, Relazione del Ministro dell’Interno, I semestre 2009, op. cit. p. 137.
le estorsioni in campania
253
città partenopea, essi calano leggermente: 1,44 nel 2010, 1,58
nel 2012, 1,51 nel 2013, con una media che si attesta all’1,57 per
la provincia e 1,61 per la città. Sia il maggior carattere predatorio che l’alta densità dei clan spiegherebbero, a nostro avviso,
una maggiore presenza di autori dediti all’attività estorsiva.
Una presenza che si spiega peraltro con la elevata disponibilità,
specie nei quartieri più emarginati, di giovani gregari desiderosi
di mettersi in mostra ed entrare a far parte di specifici clan. La
possibilità di reclutare costantemente e disporre di una riserva
di manovalanza rende più facile il processo sostitutivo e riduce
l’esposizione dei capi.
Che oltretutto a Napoli sia datata la pratica estorsiva è emerso più volte, il che vuol dire che sia sulla dimensione spaziale
(ovvero quantità di spazio fisico condiviso da persone orientate
al crimine) che su quella temporale (ovvero il tempo che tali
persone trascorrono gli uni accanto agli altri) cadenzata dalla
circolazione delle conoscenze, dei valori subculturali devianti,
dei modelli di comportamento e definizioni della realtà, delle
pratiche sociali comuni, si sviluppa una condivisione prolungata
e spazialmente vicina di relazioni sociali che quando veicolate
strategicamente su precise attività illegali inevitabilmente si
capisce per quale ragione finiscono per imbrigliare un numero
elevato di vittime che, in questo caso, piuttosto che reagire,
finiscono per assuefarsi alla situazione. È forse questa la ragione che spiega perché a fronte del più alto numero medio di
denunce per estorsione (226) si registra il più basso rapporto
con i reati spia: 20,3. La radicata pratica dell’attività estorsiva
non necessita di fare un ricorso costante ad atti intimidatori
eclatanti, che oltretutto richiamerebbero l’attenzione degli investigatori, ma il suo grado di variazione della violenza è correlato ad una serie di fattori (reputazione del clan; ampiezza del
gruppo; radicamento temporale; tipologia di vittima; controllo
territoriale) che forniscono indicazioni sulle circostanze in cui la
violenza si presenta. A volte è sufficiente un avvertimento, un
“passaggio” presso il negozio, l’impresa o la “convocazione”
del responsabile per addivenire subito a miti consigli. Essendo
questa prassi, oltretutto, anche ricercata attraverso la “mes254
giacomo di gennaro
sa a posto” da parte di imprenditori e responsabili di attività
economiche, si crea un clima ambientale, una condizionalità
relazionale sociale che riduce il fatto estorsivo ad una categoria
di “regolarità ambientale”, di “costo collettivo ineludibile”. È
questo un limite espresso dalle stesse vittime le quali, inconsapevolmente, rafforzano la debolezza situazionale e ambientale nelle quali sono precipitate, la rendono più vulnerabile. La
violenza, quindi, non è esercitata, contrariamente a quanto
si è portati a credere, in forma cruenta sulla vittima, ma sui
rivali, sui nemici dell’altro clan, sui concorrenti che minano il
territorio, lo spazio fisico sul quale è stato costruito il dominio
e dal quale si drenano le risorse funzionali all’individuazione
di chi è “il sovrano” di turno. È, infatti, più la lotta fra i clan, le
faide continue, gli scontri e conflitti fra le diverse famiglie, la
rottura degli equilibri camorristici o la successione ai vertici di
una organizzazione a mietere più vittime. Una tensione che è
determinata dalla stessa elevata contiguità spaziale fra famiglie,
clan e gruppi criminali i quali proprio perché addensati su spazi
limitati accrescono la tensione per effetto della moltiplicazione
dei motivi che danno luogo a contrasti e conflitti. Non è un caso
che negli ultimi anni piuttosto che contrarsi è aumentata la parcellizzazione fra i clan proprio perché il numero delle famiglie
che cercano un predominio territoriale, sebbene limitato, si va
accrescendo.
L’ideologia della violenza che è sottesa alla vita aggregata
di un clan, ma non è la matrice centrale, è veicolata in forme e
modalità efficaci verso l’avversario (gregario o affiliato di altro
clan) o il reggente del clan nemico, ed è per questa ragione che
in alcuni momenti piazze, strade, locali diventano teatro dei
sanguinosi scontri. Mutuando il linguaggio interattivo che fa da
sfondo alla teoria della violenza micro-situazionale elaborata da
Collins sull’esistenza di diversi tipi di violenza, si potrebbe sostenere che questa assurge a forme così estreme, come l’omicidio,
perché risponde ad una precisa logica situazionale nella quale
specifiche strategie relazionali modellano un flusso di emozioni
(rabbia, eccitazione, aggressività), di paure (perdita del potere; del controllo di attività; minaccia) e di azioni che rendono
le estorsioni in campania
255
le persone attori (interpreti) di un confronto antagonista nel
quale le traiettorie della violenza circumnavigano quelle che
Collins ha chiamato «le barriere della tensione e della paura»
che si presentano ogni qualvolta una situazione di tensione si
trasforma in uno scontro25. Questa traiettoria violenta è oggi
oltretutto più esposta all’imprevedibilità perché sono molti i
killer di giovane età che senza un adeguato addestramento
strategico si prestano a compiere delitti al fine di esibire un’affidabilità propedeutica all’ingresso in più stabili e radicati clan.
4.5Caserta: il modello mafioso in Campania
Dire Caserta e la sua provincia significa, nel contesto del nostro
ragionamento, dire Casalesi, ovvero un modello organizzativo
criminale e affaristico vicino al modello mafioso incorporata in
un contesto sociale e i cui caratteri fondamentali immutati per
un lungo tempo sono: «la struttura piramidale dell’organizzazione con al vertice un capo da tutti riconosciuto, ed una sorta
di “cupola” che prendeva le principali decisioni strategiche da un
punto di vista criminale e la particolare propensione al controllo
di interi comparti economici e la collusione con la politica»26. Se,
infatti, la progressiva frantumazione caratterizza le interazioni
organizzativo-criminali dei fluidi clan metropolitani partenopei
per effetto delle costanti scissioni all’interno dei clan, rendendo,
per ciò stesso più difficile e complessa la strategia di contrasto, dal contenuto delle stesse propalazioni dei collaboratori di giustizia emerge un quadro conoscitivo della criminalità
casertana che è invece rappresentabile con una architettura
organizzativa più gerarchica, caratterizzata da un modello decisionale centralizzato, coesa in misura superiore rispetto ai
clan napoletani e con una struttura reticolare federata di tipo
25. r. collins, Violenza. Un’’analisi sociologica, Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, pp.
18-19 e 37 e ss.
26. Cfr. dna, Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale antimafia
e dalla Direzione nazionale antimafia nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità
organizzata di tipo mafioso, 1 luglio 2013-30 giugno 2014, Roma gennaio 2015, p. 113.
256
giacomo di gennaro
frattale, identificabile con la simbologia del cavolfiore o dell’immagine dell’uva, ancorata alle decisioni della “cupola” o del
“gruppo dirigente”. Per cui i capi-zona o referenti affiliati alle
diverse componenti o fazioni del cartello avevano competenze
territoriali specifiche e limitati gradi di autonomia, sufficienti
ad evitare frizioni interne, tant’è che da essi andavano rimessi
tutti i proventi delle attività illegali «mensilmente» alla cassa
comune dell’organizzazione per poi essere ripartiti «fra i vari
capi e capi-zona affinché pagassero gli stipendi agli affiliati che
da loro dipendevano direttamente»27.
Non c’è dubbio che l’arresto del ghota del cartello dei casalesi (Bidognetti, famiglia Schiavone, De Falco, De Simone,
Diana, Setola, La Torre, Caterino, Zagaria, Iovine) e l’esito nel
tempo delle interne fratture e scissioni può indulgere molti
all’entusiastica idea che il clan dei casalesi sia stato dopo oltre
venticinque anni talmente indebolito da potersi considerare
debellato28. E invece il capillare controllo dei territori, i radicati
complessi intrecci di interessi con esponenti dell’imprenditoria
27. Il riferimento al frattale appare più idoneo alla raffigurazione anche geometrica
del clan dei casalesi perché la proprietà riproduttiva dei gruppi sull’ampio territorio
casertano, e non solo, appare dotata di omotetia interna, ovvero la forma organizzata
si ripete allo stesso modo (autosimilarità o autosomiglianza) indipendentemente dalla
dilatazione o contrazione dei gruppi i quali conservano l’impronta originale. Un esempio
può derivarsi dal cavolfiore i cui peduncoli fiorali hanno dimensioni diverse ma simili
anche se la colorazione è varia e sono tutti ancorati; oppure l’immagine dell’uva i cui
numerosi acini sono aggrappati al graspo che dà vita al grappolo. Sulle modalità di
gestione delle risorse vedi, dna, Relazione annuale, 2015, op. cit., pp. 116-117.
28. Il primo indubbio grande colpo il cartello lo riceve in maniera definitiva con la
sentenza pronunciata il 15.09.2005 dalla 2° Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere che in oltre tremila pagine di motivazione (processo Spartacus I) e ricostruendo un quindicennio di storia criminale casertana (1982-1996), comminava pene
per un totale di circa 70 ergastoli e oltre 900 anni di detenzione. Il 19 giugno 2008 si è
concluso il processo d’appello svolto presso la I sezione della Corte d’Assise d’Appello
di Napoli la cui sentenza di secondo grado ha confermato sostanzialmente il quadro
accusatorio delineato dai magistrati di primo grado, condannando al carcere a vita
tutti i boss del clan dei casalesi. Il 15 gennaio 2010 la Cassazione ha confermato tutti
gli ergastoli e le diverse condanne respingendo tutti i ricorsi presentati dagli imputati
e chiudendo in maniera definitiva questo iter giudiziario. Sulla vicenda dei Casalesi
esistono ormai diverse pubblicazioni che ricostruiscono fatti con narrazioni fondate
sui materiali giudiziari indicati; comunque si possono vedere, m. anselmo e m. braucci,
Questa corte condanna. Spartacus, il processo al clan dei casalesi, L’ancora del Mediterraneo, Napoli 2008; r. capacchione, L’oro della camorra, Bur Rizzoli, Milano 2008.
le estorsioni in campania
257
regionale e della politica locale, il forte carattere imprenditoriale mantenuto nel tempo e garantito attraverso forme diverse di
reinvestimento dei profitti illeciti, l’abilità nel saper mimetizzare
ogni diretta presenza utilizzando la rete relazionale costituita
da professionisti, commercianti, imprenditori, persone affidabili e capaci, per infiltrarsi nelle amministrazioni locali, intercettare risorse pubbliche, alterare le competizioni elettorali,
acquisire beni aziendali, investire in nuove attività economiche,
tutto questo impedisce di approdare a note ottimistiche. Non
è un caso che nell’ultima relazione del Procuratore nazionale
antimafia si legge: «il clan casalese, se da un punto di vista militare, appare, attualmente, meno aggressivo e compatto di un
tempo, rimane tuttavia, da un punto di vista economico e della
sua struttura (capillarmente diffusa su di una intera – ed estesa
– provincia) come uno fra i sodalizi più stabili, radicati e potenti
della Campania»29. La ragione sostanziale di tale potere criminale, in questa fase di transizione, risiede nella forte connotazione economico-imprenditoriale del cartello impegnato sia
su attività più locali (estorsioni, usura, controllo degli appalti,
smaltimento illecito dei rifiuti, traffico di stupefacenti, gestione
delle scommesse clandestine) che su operazioni di riciclaggio
e investimento dei capitali illeciti realizzati sull’intero territorio
nazionale e all’estero grazie alla quale attrae spregiudicati imprenditori e broker finanziari che operano come fiancheggiatori, fiduciari, prestanome, intermediari cooperando in forme
diverse, nonché reclutando, con un carattere di successione
dinastica, nuove leve chiamate ad assumere ruoli e svolgere
funzioni strategiche30.
Sulla metamorfosi delle mafie e la ragnatela dei casalesi, vedi, r. cantone, I Gattopardi,
Mondadori, Milano 2010.
29. Cfr. dna, Relazione annuale, 2015, op. cit. p. 112.
30. Un esempio della modalità operativo-imprenditoriale viene dall’operazione della
Dia di Napoli e dei Carabinieri di Caserta, coordinata dalla Procura e DDA di Napoli, denominata “il Principe e la Ballerina” che portò all’arresto il 06/12/2011 di oltre cinquanta
tra personaggi del mondo bancario ed imprenditoriale operanti oltre che in Campania,
nel Lazio, in Toscana, nell’Emilia Romagna, in Lombardia e Veneto ed esponenti del
clan dei casalesi (in particolare le componenti di Schiavone e Bidognetti), ai quali si
aggiunse la richiesta di arresto per Nicola Cosentino (ex sottosegretario all’economia) e
258
giacomo di gennaro
L’attività estorsiva del cartello è ancora rilevante e si attua
sia sotto forma di richiesta di “pizzo” a imprenditori e commercianti31 che – in misura maggiore – con modalità di offerta
di servizi (macchine per movimento terra, calcestruzzo, mano
d’opera, slot machine, videopoker, ecc.) che a tappeto interessa i territori dell’agro-aversano e dell’alto casertano32. I profitti
derivanti dall’attività estorsiva costituiscono la base per pagare
gli stipendi ai numerosissimi affiliati detenuti e solo una parte
di essa viene riciclata in attività economiche legali. L’indebolimento di alcune fazioni (per es. la componente bidognettiana),
così come la riduzione dell’ala militare del gruppo di Setola e la
contrazione della componente Iovine, sta offrendo l’occasione
a molti affiliati di ridisegnare le proprie aggregazioni o a clan
egemoni in alcuni comuni (per es. i Belforte a Marcianise; i Venosa ad Aversa; il gruppo Fragnoli-Gagliardo-Boccolato sul litorale
l’estensione delle indagini a carico del Presidente della Provincia di Napoli Luigi Cesaro.
L’indagine chiusa nel 2012 (n. 2528/10/21) ruotava intorno alla costruzione di un centro
commerciale a Casal di Principe in cui le famiglie Russo-Schiavone, attraverso una rete di
imprenditori “presta-nome” intendevano reinvestire i loro capitali e con la compiacenza
di politici acquisire le autorizzazioni in cambio di assunzioni che si sarebbero tradotte
in voti (elezioni amministrative e provinciali nel 2007 e 2010). L’indagine ha prodotto
la condanna, in sede di rito abbreviato, di quasi tutti gli imputati, che rispondevano
di associazione mafiosa, reimpiego di capitali e 416 ter c.p. La ricostruzione dei fatti
ha dato conto, come scriveva il Gip nell’O.C.C., «di un’osmosi con effetti patologici
nei settori più rilevanti della vita sociale e politica della provincia casertana: quello
elettorale, quello economico e quello istituzionale». Si delinea in questa maniera come
la difesa e rappresentanza degli interessi del clan non avviene attraverso affiliati o
capi-zona, ma mediante collusi imprenditori e politici locali e non «che violando regole
urbanistiche e bancarie, si adoperavano, chi in cambio di voti e consenso, chi per soldi,
per il perseguimento delle finalità ultime dell’organizzazione».
31. Emblematica, per esempio, l’indagine coordinata dalla Procura e DDA di Napoli,
i carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Casal di Principe e della stazione
di San Cipriano d’Aversa che hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, con
la misura coercitiva del carcere, emessa dall’Ufficio del Gip presso il Tribunale di Napoli
che ha portato il 20/01/2014 all’arresto di alcuni esponenti del clan di Zagaria che tra
il 2004 e il 2012 si sono resi responsabili di attività estorsiva nei confronti di diversi
imprenditori della provincia di Caserta ai quali richiedevano in forma rateizzata il pizzo
per importi che variavano dai 2000 ai 20.000 euro sugli appalti pubblici e i lavori privati
eseguiti anche fuori provincia.
32. Nell’ambito dell’operazione “Rischiatutto” è stata emessa l’O.C.C. nr. 45702/12
RGNR, nr.12979/13 RGIP e nr. 351/13 O.C.C. del 31/05/13 del G.I.P. di Napoli nei confronti
di cinquantasei persone legate al clan Schiavone responsabili della gestione illegale di
alcune sale di scommesse e di una rete online.
le estorsioni in campania
259
domitio; La Torre a Mondragone) di costruire nuove alleanze
ed espansioni verso nuovi territori33. È questa ricomposizione
che appare più compatibile con le ragioni che sottendono al
diverso tasso estorsivo medio tra la città di Caserta, che nel
periodo 2010-2013 è più contenuto, rispetto a quello della provincia nella cui area, però, si registra un minore tasso di reati
spia e un rapporto medio più basso tra estorsioni e reati spia.
Questo potrebbe essere compatibile con l’ipotesi che l’esercizio
del controllo territoriale nei comuni della provincia è più forte
e minore è il ricorso alle intimidazioni violente o maggiore è il
consenso e l’adesione alla pratica estorsiva da parte delle vittime. E ciò avrebbe senso sempre se si parte dal presupposto
che intanto un potere criminale si edifica e funziona se ogni
forma di relazione ad essa funzionale si rende possibile nell’interazione con il contesto.
In ogni caso gli equilibri complessivi nella geografia dei clan
del territorio è ovvio che hanno risentito dell’azione investigativo-giudiziaria di questi ultimi anni e ne consegue una inevitabile
ricollocazione di vecchie e nuove famiglie.
La collaborazione di Antonio Iovine con la magistratura,
iniziata nel maggio del 2014 e ancora al vaglio degli inquirenti
per verificarne l’attendibilità, costituisce rispetto al territorio
casertano e non solo, il fatto più interessante per l’analisi della
dinamica criminale dell’area, dal momento che le sue dichiarazioni e i suoi riscontri permetteranno di ricostruire e fare luce
su quasi trent’anni di storia criminale regionale in considerazione del ruolo ricoperto, a partire dall’assalto alla tenuta dei
33. Il gruppo Belforte è stato oggetto di diverse indagini dalle quali sono emerse
radicate capacità organizzative dell’attività estorsiva. Nel corso di una investigazione
condotta congiuntamente dai carabinieri del comando provinciale, dalla squadra mobile e dalla GdF di Caserta è stato rinvenuto il 24 aprile del 2012 un libro contabile su
cui erano trascritte ben 350 imprese attive in diversi settori economici tra Caserta e
comuni limitrofi sottoposte alla pressione estorsiva dal sodalizio. L’O.C.C. n. 31215/07
RGNR e n. 53619/07 RGIP, emessa dal Gip del Tribunale di Napoli, ha ricostruito sulla
base di due anni circa di investigazioni, l’organigramma e le attività del gruppo al quale
sono stati sequestrati beni per 10 milioni di euro e nel quale hanno assunto un ruolo
determinante le mogli dei capiclan dirigendo l’organizzazione, impartendo ordini e
gestendo la cassa.
260
giacomo di gennaro
Nuvoletta di Vallesana, fino ai più recenti omicidi. Ma più ancora
saranno significative se contribuiranno in modo chiaro a illuminare ancora di più i sotterranei meccanismi, intrecci e relazioni
sui quali gli interessi tra imprese, ambienti criminali organizzati
e mondo della politica trovano unitaria soluzione e permettono
al potere criminale di radicarsi nei contesti.
4.6L’appetibilità dei nuovi territori: il caso del salernitano
La provincia salernitana si caratterizza nel territorio regionale
per il fatto di essere la superficie più estesa (4.918 kmq) e di
essere costituita dal più alto numero di comuni (158). I confini
a nord-ovest con la città metropolitana partenopea esibiscono due scenari contrapposti: da un lato, in molti comuni più
prossimi al capoluogo regionale, ove si staglia l’Agro NocerinoSarnese e la valle del Sarno, si rintracciano similari dinamiche
socio-economiche sostanziate da alta densità abitativa (la più
alta della provincia), alto addensamento di comuni conurbati
tra il capoluogo regionale e quello provinciale e presenza cospicua da lungo tempo di clan di camorra. Dall’altro, a questa
propaggine di comuni si contrappone con stridente combinazione di fattori socio-ecologici un altrettanto vicino territorio
alla città di Napoli che si sviluppa sulla costa con una morfologia
territoriale estremamente varia: la frastagliata, aspra ma unica per panorama Costiera Amalfitana (parte meridionale della
penisola sorrentina). Al discendere verso sud-est il territorio
salernitano si caratterizza per la presenza di una più vasta area
che si perde prima tra la piana del Sele e l’area archeologica
di Paestum e poi lungo le montuose e verdeggianti valli del
Cilento, Vallo di Diano, del Sele e Calore abitate da comunità
montane che sebbene di difficile accessibilità sono ricche di
storia le quali si alternano, lungo la costiera cilentana, ai più
popolati centri marini estesi lungo le ampie, piatte e sabbiose
spiagge che si prolungano fino al golfo di Policastro.
La vastità del territorio e la sua contemporanea varietà attraversata anche da eccellenze ambientali riconosciute
le estorsioni in campania
261
dall’Unesco quali Patrimonio dell’Umanità e da straordinari siti
archeologici e impreziosite testimonianze architettoniche e
storiche in diversi comuni, hanno reso la provincia di Salerno
una interessante area caratterizzata nell’ultimo decennio dallo
sviluppo dell’agroindustria, del terziario e del turismo. Gli investimenti per l’ammodernamento infrastrutturale, il recupero
dei centri storici, delle più significative tradizioni folkloriche
locali ed le esperienze più innovative di imprenditorialità nel
turismo, hanno reso più dinamiche le economie locali generando per non pochi aspetti convenienze di investimento in molte
realtà della provincia.
Ed è proprio questa dinamicità che attrae sia nuova imprenditorialità sia nuove dinamiche illegali che da un lato vedono
attivi, attorno a figure “storiche” della originaria criminalità
salernitana, giovani gang e bande che si proiettano nella scena
criminale per legittimarsi, sebbene in condizioni di subalternità alle più strutturate organizzazioni criminali napoletane, e
dall’altro, una «”migrazione” verso tale area di interessi economici e finanziari direttamente o indirettamente riconducibili ai
contesti più strutturati e pericolosi della camorra napoletana.
A questa strategia non appare estraneo l’apporto di soggetti
legati al mondo delle professioni. Si delinea, in buona sostanza,
il rischio di colonizzazione del tessuto economico da parte di
una imprenditoria direttamente o indirettamente riferibile alla
grande criminalità di importazione, di origine essenzialmente
napoletana»34.
Allo sviluppo, infatti, della zootecnia, dell’agricoltura e
dell’industria alimentare specie nella piana del Sele, si accompagna la crescita di nuovi settori e segmenti economici, di rischi
speculativi nell’edilizia e ciò delinea l’elevato rischio di penetrazione degli interessi criminali a seguito dell’incremento degli appalti pubblici. L’attività estorsiva, come abbiamo visto, presenta
dati assoluti che appaiono irrilevanti se considerati in ragione
sia degli elementi socio-economici indicati che se comparati con
quelli di altre province. Così come apparirebbero insignificanti
34. dna, Relazione annuale, op. cit., gennaio 2015, p. 129.
262
giacomo di gennaro
i 13 clan georeferenziati dalla Dia nella prima relazione semestrale del 2014, anche perché sostanzialmente concentrati tra
la città di Salerno, la Piana del Sele e l’Agro nocerino-sarnese. Il
recente scioglimento del comune di Battipaglia per infiltrazioni
camorristiche operate da gruppi dei casalesi sono un segnale
dell’appetibilità delle risorse pubbliche, dei rischi di infiltrazione
ingenerati dagli investimenti per i lavori dell’ammodernamento
dell’autostrada A3 e quelli afferenti alla realizzazione del “Campus” universitario di Fisciano.
D’altra parte, un aumento delle investigazioni dal 2009 agli
anni più recenti con relativa ascesa delle denunce mostrano come sia l’area provinciale di Salerno che la città siano interessate
da una crescita del fenomeno estorsivo: dal 2010 al 2013 il tasso
di estorsione provinciale passa dal 15,0 al 20,8 sulla popolazione
da noi determinata 14-80 anni, a fronte di quello cittadino che
risulta del 13,6 nel 2010 e del 25,8 nel 2013; con un tasso medio
che nella provincia si attesta al 19,4 e in città al 24,7. Salerno è
la città che fa registrare, dopo Napoli, il più alto volume di atti
intimidatori (4.594) e se consideriamo il dato provinciale esso
si accresce (6.996). Proprio la maggiore attività di infiltrazione
nelle nuove aree della provincia potrebbe spiegare il ricorso
a strategie di convincimento poste in essere da clan di altre
province interessati ad inserirsi negli appalti pubblici attraverso
imprese collegate con articolazioni criminali territoriali.
Inoltre, l’attenzione da parte dei gruppi locali al mercato
degli stupefacenti è fortemente cresciuta, facilitata da accordi
strategici con altri sodalizi criminali campani e alimentata dal
crescente flusso turistico che rende, le diverse località della
costa, luoghi ideali per soddisfare una domanda sempre più
sostenuta35. La disponibilità di ingenti liquidità consente la promozione di ulteriori attività (in primis l’usura), di traffici legati
35. Dall’analisi degli atti relativi all’o.c.c. emessa il 23/10/2013 dal Gip del Tribunale
di Salerno n. 3454/2010 RGNR n. 6812/2011 RGGIP, si ricostruisce un investigazione
sfociata con un provvedimento che ha interessato 42 persone ritenute affiliate ad una
organizzazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti operante tra Eboli
e la Valle dell’Irno condotta con il coinvolgimento di esponenti del clan GALLO di Torre
Annunziata (Napoli).
le estorsioni in campania
263
allo smaltimento dei rifiuti e, attraverso lo scambio corrotto,
l’intercettazione di enormi flussi di spesa pubblica connessi
alla riqualificazione urbana, portuale e costiera. È per le ragioni
indicate, pertanto, che un accentuarsi dell’attività investigativa
specialmente in quelle zone ove il radicamento e l’infiltrazione
non sono ancora sostenuti, può scoraggiare che economie locali siano plasmate dalla sociabilità dell’interazione criminale
mafiosa.
4.7Benevento e Avellino: altro che aree immuni!
In base all’ultimo aggiornamento dei dati della DNA e della
DIA emerge che la provincia di Avellino è abitata da quattro
importanti clan, ognuno dominante su una estesa ma limitata
zona: originario del comune di Quindici il clan Cava storicamente
contrapposto al gruppo dei Graziano. Il radicamento del primo
è datato e non poche volte è uscito vincente nelle contrapposizioni con il gruppo di Graziano36. La volontà di espansione
è permanente e attualmente le mire di diffusione territoriale
attraverso «l’azione di gruppi satelliti, quali il clan Giugliano e
Sangermano»37 si orientano verso il nolano. Il clan Pagnozzi e
quello Genovese sono più presenti, il primo nell’area del capoluogo irpino e la prossimità della corona dei comuni limitrofi, il
secondo nella Valle Caudina con operatività verso il casertano
e il beneventano. L’indebolimento investigativo-giudiziario ha
frantumato e disarticolato il clan dei Galdieri un tempo operante
nella città di Avellino, ma gli investigatori segnalano dei tentativi
di riorganizzazione della compagine. Questa la mappatura che
appare aggiornata della presenza dei clan in terra irpina.
In genere sia la provincia di Benevento che quella avellinese
sono risultate ai margini dei fenomeni di criminalità organizzata
36. Per un’analisi più specifica del clan Cava secondo la modellistica applicativa della
network analysis, si rimanda a a. scaglione, Reti mafiose. Cosa Nostra e Camorra: organizzazioni criminali a confronto, FrancoAngeli, Milano 2011, pp. 155-198.
37. dia, Relazione semestrale al Parlamento, I semestre 2014, op. cit., p. 125.
264
giacomo di gennaro
sebbene, dopo il terremoto del 1980 che ha colpito soprattutto
il cuore dell’Irpinia, l’enorme flusso di danaro pubblico connesso alla ricostruzione ha alimentato la voracità dei clan inseritisi
negli appalti pubblici, intercettando i servizi di base nel campo
dell’edilizia e gestendo, addirittura in prima persona attraverso
imprese create ad hoc, la costruzione di uffici e siti pubblici38.
Da tale periodo bande locali e clan più attrezzati, tra cooperazioni, alleanze e rotture con i più strutturati clan napoletani e
casertani, hanno acquisito competenze affermandosi sui propri
contesti locali e sviluppando in autonomia transazioni e relazioni economiche, traffici e attività illegali. L’attività estorsiva è
sostanzialmente cresciuta nel periodo in esame raggiungendo
valori molto alti in città piuttosto che in provincia. Il tasso estor38. Un minuto e venti secondi sono bastati per uccidere 2.735 persone e per ferirne
8.848. Dopo undici anni e i lavori di una Commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta da Oscar Luigi Scalfaro, il quadro di quello che successe dopo, fu più chiaro. Si
è parlato di Terremotopoli e di un buco nero dove sono finiti miliardi e miliardi di vecchie lire. Per la ricostruzione, per gli investimenti pubblici, gli aiuti alle imprese furono
stanziati oltre 60mila miliardi. Sul fronte della ricostruzione abitativa i 542 comuni della
Campania hanno ricevuto finanziamenti per 14mila miliardi di lire; 6459 mila quelli per
i 119 comuni dell’Irpinia, che registrarono la distruzione del patrimonio edilizio superiore all’80%; 1475 miliardi al Beneventano (78 comuni); 2095 alla provincia di Napoli
(86 comuni); 3567 a quella di Salerno (157 comuni). Ricostruzione che ha superato
l’80%. Ma, spesso, in un modo distorto. La Corte dei Conti lo disse chiaramente: costi
lievitati fino a 27 volte; il 48,52% dei progetti finanziati mai portati a termine; irregolari
gli interventi per le imprese. La criminalità organizzata ha fatto il resto, con le mani
sugli appalti. Scrisse la Commissione parlamentare antimafia nel ’93: «L’attività che si
è svolta intorno all’utilizzo del fondi stanziata è stata condizionata dalle organizzazioni
camorristiche». In Basilicata – sul territorio lucano il terremoto causò 140 morti – la
ricostruzione del patrimonio edilizio abitativo ha raggiunto l’80 per cento circa, con
la ‘’punta’’ del cento per cento a Balvano (Potenza), uno dei Comuni più colpiti dal
sisma (dove morirono 77 persone), e la consegna di tutte le abitazioni agli sfollati o
a chi aveva perso l’unica abitazione di proprietà. Secondo i dati forniti dalla Regione,
quindi, la ricostruzione è terminata per tutti quei lucani costretti a lasciare le loro case
per i danni del terremoto del 23 novembre 1980 (che causò anche circa 300 feriti e
oltre 40 mila senzatetto, su una popolazione inferiore ai 600 mila abitanti), e in un
terzo dei nove comuni dichiarati ‘’disastrati’’, dove le scosse resero inagibile il 60 per
cento del patrimonio abitativo; otto case su dieci sono state invece ricostruite nei
centri “gravemente danneggiati’”. Solo dopo trentadue anni, il 31 dicembre 2013 il
governo Monti con l’art. 49 della legge per lo Sviluppo decreterà la fine entro l’anno
successivo del Commissariato per la ricostruzione. Per una riflessione sulle politiche di
ricostruzione e l’attuazione degli interventi, si veda, svimez, Rapporto 1988 (e Rapporto
1989) sull’economia del Mezzogiorno, il Mulino, Bologna 1988 e 1989.
le estorsioni in campania
265
sivo per la provincia passa da 12,8 segnalazioni nel 2010 a 16,9
nel 2013 con una media per il periodo pari a 17,1 denunce ogni
100.000 abitanti sulla corte da noi definita. Ad Avellino l’andamento analizzato sulla base degli stessi riferimenti registra un
tasso che va dall’11,1 del 2010 al 24,4 del 2013, con una media
del 23,3. Tra tutti i valori delle province campane sono quelli
che presentano scarti nel periodo più sostenuti. Se passiamo
all’area beneventana, invece, il tasso estorsivo della provincia
si attesta al 15,9 nel 2010 per raggiungere il 6,1 nel 2013, con
una media provinciale pari al 12,4 (il più basso della regione).
La città di Benevento presenta iniziali valori alti (13,7), per poi
attestarsi al 4,0 nel 2013, con un tasso medio estorsivo che
per l’intero periodo raggiunge il 14,2 (leggermente superiore
rispetto all’area provinciale).
Se consideriamo i reati spia ad Avellino il tasso totale medio,
per il periodo 2010-2013, è pari a 947,2 per l’intero periodo, con
una punta superiore nel 2011 che raggiunge 1.102,1 atti intimidatori, a fronte di un tasso estorsivo pari al 28,9. Il confronto
con i valori dell’anno successivo (29,0 estorsioni e 920,7 reati
intimidatori denunciati) fanno propendere per una interpretazione di una contrazione della quota di atti intimidatori resasi
non necessaria a fronte di una quota di vittime che inizia ad
“accettare” l’evento estorsivo. In provincia il tasso totale medio dei reati spia si attesta a 720,8 atti intimidatori denunciati
e sempre nel 2011 si registra la punta più alta (736,8 e un tasso
estorsivo pari al 15,6). Per l’area di Benevento i valori relativi
all’analogo rapporto si presentano con un andamento più marcato tra città e provincia: nella città il tasso medio dei reati spia
raggiunge per il periodo in esame 1.093,0 atti intimidatori (il più
alto tra i capoluoghi di provincia della regione), con una punta
nel 2010 (di 1.411,3 eventi), mentre quello dell’area provinciale
fa registrare un tasso medio di eventi intimidatori pari a 680,5
e anche in questo caso la punta più alta è nel 2010 con 756,8
segnalazioni intimidatorie. Che l’area provinciale di Benevento
e la città abbiano subìto per il recente passato una maggiore
attenzione da parte della criminalità organizzata (preminenza
del clan Sperandeo) e le diverse e prospere attività economiche
266
giacomo di gennaro
siano attualmente nel mirino dei clan locali ma specialmente
casertani e avellinesi è confermato anche dalle recenti relazioni investigative. Il clan Sperandeo manifesta una struttura
organizzativa molto gerarchica, quasi di tipo mafioso, con una
pratica dell’attività estorsiva a “tappeto” in danno a imprenditori e commercianti e si avvale di contatti e cooperazioni strategiche con i confinanti gruppi dei casalesi e napoletani per
il rifornimento dell’attività di spaccio, costruendo sinergie di
compartecipazione alle attività illegali e ai traffici con i locali clan
Pagnozzi (originario di S. Martino Valle Caudina, della provincia
avellinese) operanti nel territorio di Montesarchio, Airola e zone
contigue, il clan Saturnino-Bisesto (di S.Agata dei Goti, nella
provincia di Benevento), il gruppo di bande che fanno capo
alle famiglie Iadanzara-Panella che operano su un più ampio
territorio che va dalle falde del monte Taburno ai comuni più
confinanti con l’area nolana della provincia di Napoli. Un territorio ricco di filiere agroturistiche, agroalimentari (la cd. Area
Gal del Taburno) e zootecnia, interessate alla valorizzazione di
prodotti tradizionali e tipici con l’implementazione di innovative
metodologie produttive sia a riguardo della lavorazione che del
prodotto. L’infiltrazione negli appalti pubblici, la pratica dell’attività usuraia e il ricatto estorsivo costituiscono le vie attraverso
le quali i clan tendono ad impadronirsi della dinamicità economica di molti imprenditori locali interagendo non forzatamente
attraverso parabole violenti ma favorendo liquidità nelle fasi
critiche dell’economia e compartecipando agli investimenti,
tramite presta nomi, e alle transazioni economiche.
le estorsioni in campania
267
5. La dinamica interna dei fenomeni
estorsivi in Campania: un focus sull’area di
competenza territoriale dei Tribunali
Andrea Procaccini
Premessa
In questo capitolo l’analisi della delittuosità estorsiva in Campania sarà illustrata avvalendosi di una classificazione territoriale
differente: non la classica suddivisione provinciale, ma l’area
territoriale di competenza dei singoli tribunali. La scelta di tale
configurazione spaziale risponde a una pluralità di motivazioni
di ordine conoscitivo e pratico. In primo luogo, l’aggregazione
delle denunce di estorsione per area di competenza dei tribunali
consente di poter stimare il carico di lavoro che, annualmente, va
a gravare su di questi e di soppesarlo in rapporto al totale complessivo delle informazioni di reato che ricade nella competenza
dei diversi tribunali. In seconda istanza, questa modalità di aggregazione dei dati risulta conveniente per individuare le dinamiche
del fenomeno, allorquando la comparazione dei dati avviene a un
livello di disaggregazione territoriale più circoscritta. A tal proposito, giova rimarcare che in questo tipo di suddivisione i comuni
sono raccolti in aggregati territoriali più ridotti, spazialmente più
contigui ed omogenei sia per il tessuto socio-economico, sia per il
livello di penetrazione delle organizzazioni criminali, a differenza
di quanto avviene quando le comparazioni avvengono all’interno
di raggruppamenti di carattere provinciale. Quanto appena scritto è maggiormente veritiero per le province di Caserta, Napoli
e Salerno nei cui territori ricade la competenza di più tribunali,
mentre nel caso delle province di Avellino e Benevento è minima
la differenza tra l’area dei comuni che rientrano nella competenza
territoriale dei tribunali, rispettivamente Avellino e Benevento,
e quella amministrativa delle province.
la dinamica interna dei fenomeni
269
Pertanto, nei primi paragrafi l’analisi e la comparazione dei
dati avverrà mantenendo come unità di analisi l’area di competenza territoriale dei tribunali, nei paragrafi finali, invece il
ragionamento verterà sulle dinamiche interne ai contesti esaminati, raffrontando i dati su base comunale.
5.1 La nuova geografia giudiziaria campana
La geografia giudiziaria campana è stata modificata con l’approvazione della riforma contenuta nella Legge n. 148 del 2011
e nei relativi decreti attuativi n. 155 e n. 156 del 2012. La riforma, pur mantenendo invariato l’assetto dei distretti di Corte
di appello (Napoli e Salerno), ha portato a una ridefinizione
degli assetti interni ai singoli distretti con la soppressione dei
Tribunali ordinari di Ariano Irpino, Sala Consilina e Sant’Angelo
dei Lombardi (fig. 1)1.
1. La ridefinizione campana ha comportato l’accorpamento di Ariano Irpino con il
Tribunale di Benevento, di Sant’Angelo dei Lombardi con Avellino e di Sala Consilina
con Lagonegro.
270
andrea procaccini
Figura 1 - Aree di competenza territoriale dei Tribunali campani
la dinamica interna dei fenomeni
271
Tale decisone è arrivata a conclusione dei lavori di un gruppo
di studio ministeriale. Il gruppo, al fine di individuare i tribunali
da sopprimere nell’intero territorio nazionale, ha preso come
riferimento, per una serie di parametri, i valori medi raggiunti
dai tribunali che hanno sede nei 103 capoluoghi di provincia
italiani. I parametri considerati riguardano: la popolazione media; le sopravvenienze totali medie; la dotazione organica di
magistrati e il carico di lavoro annuo. I tribunali che nel periodo
2006-2010 si sono trovati con un valore inferiore alle medie
elaborate sono stati considerati come passibili di soppressione2.
Osservando, adesso, la nuova configurazione territoriale
della Campania, possiamo appurare che la competenza sui comuni della provincia di Napoli è suddivisa tra quattro tribunali:
a. il Tribunale di Napoli ha la competenza su 17 comuni: ovviamente oltre che sul capoluogo, ha competenza sui comuni
delle isole di Capri, Ischia e Procida, sui più popolosi comuni
dell’area flegrea (Pozzuoli, Quarto) e sui comuni di Ercolano
e San Giorgio a Cremano;
b. il nuovo Tribunale di Napoli Nord3 raggruppa 38 comuni
dislocati tra l’area settentrionale della provincia di Napoli
(ad esempio Afragola, Marano, Giugliano, Frattamaggiore,
Villaricca) e i comuni collocati nella fascia limitrofa della provincia di Caserta (ad esempio Aversa, Lusciano, Gricignano
di Aversa, Casal di Principe, Villa Literno);
c. il Tribunale di Nola ha competenza su 34 comuni collocati
tra l’area interna del vesuviano e fra i comuni dell’area nolana che confinano con la provincia avellinese (ad esempio
2. Selezionati i tribunali che non rispettavano almeno uno dei parametri sopraindicati, si è aggiunto un ulteriore parametro concernente l’estensione territoriale media.
Al termine di tale lavoro è stata stabilita la soppressione di 31 Tribunali ordinari e delle
relative procure della repubblica. Sono stati “salvati” alcuni tribunali collocati in territori
dove è particolarmente marcata la presenza della criminalità organizzata (Caltagirone,
Cassino, Castrovillari, Lamezia Terme, Paola e Sciacca). Cfr. r. ippoliti, Efficienza tecnica
e geografia giudiziaria, in «Polis WorkingPapers», 217, novembre 2014.
3. Il Tribunale di Napoli Nord in parte è stato attivato sull’impronta del Tribunale
di Giugliano che fu istituito ma mai concretamente fatto partire e in altra parte ha assorbito il territorio che rientrava nella competenza della sezione distaccata di Aversa
(circondario del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere). Cfr.http://www.magistraturademocratica.it/mdem/specialeufficiinbilico.php?pag=CSM_circolare-3luglio.
272
andrea procaccini
Pomigliano d’Arco, San Giuseppe Vesuviano, San Gennaro
Vesuviano, Ottaviano, Palma Campania, Saviano e Volla);
d. il Tribunale di Torre Annunziata che riunisce 22 comuni
compresi nella fascia costiera della provincia napoletana
(da Torre del Greco ai comuni della penisola sorrentina) e
alcuni comuni interni (ad esempio Boscoreale, Boscotrecase e Gragnano).
I comuni della provincia di Caserta che non sono stati assegnati
al nuovo Tribunale di Napoli Nord restano nella competenza
del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, pertanto il suddetto
tribunale amministra la giustizia in 80 comuni del casertano. Invece, la competenza territoriale sull’estesa provincia di Salerno
è ora ripartita fra tre Tribunali:
a. il Tribunale di Salerno amministra la giustizia in 60 comuni
della provincia, dal capoluogo ai comuni della costiera amalfitana e ad alcuni grandi centri della provincia (ad esempio
Eboli, Battipaglia, Giffoni);
b. il Tribunale di Nocera Inferiore che ha competenza su 19
comuni dell’agro nocerino-sarnese (ad esempio Angri, Nocera Inferiore, Pagani, Sarno, Cava dei Tirreni);
c. il Tribunale di Vallo della Lucania su cui ricadono i comuni
che vanno dell’area cilentana fino ad arrivare ai confini con
la Basilicata4.
Infine, il Tribunale di Benevento ha competenza sui comuni
dell’intera provincia e sui comuni irpini del soppresso Tribunale di Ariano Irpino, mentre i restanti comuni della provincia di
Avellino ricadono tutti sul tribunale del capoluogo.
4. In fase di elaborazione dei dati abbiamo aggregato al Tribunale di Vallo della
Lucania anche i comuni che ricadevano nel soppresso Tribunale di Sala Consilina. Con
la riforma la competenza su tali comuni è passata al Tribunale lucano di Lagonegro in
Basilicata. Pertanto, questa aggregazione è stata effettuata per mantenere intatto il
parallelo con il dato complessivo provinciale.
la dinamica interna dei fenomeni
273
5.2 L’andamento del fenomeno estorsivo in Campania:
un’analisi sulla base dell’area di competenza dei
Tribunali
Sebbene l’utilizzo di una serie storica a cadenza annuale di un
fenomeno per un periodo limitato a soli quattro anni imponga al ricercatore una cautela nella presentazione dei risultati5,
in questo paragrafo sarà verificata e sperimentata la valenza
esplicativa dell’utilizzo di un’aggregazione territoriale giudiziaria per interpretare l’andamento e le dinamiche dei fenomeni
estorsivi in Campania.
Prima di analizzare l’andamento del fenomeno estorsivo
nei territori amministrati dai tribunali campani, è opportuno
dare uno sguardo al complessivo andamento della delittuosità
in Campania negli anni 2010-2013 (tab. 1).
Partendo dall’analisi delle denunce si osserva che queste
sono sensibilmente aumentate in quasi tutti i territori presi in
esame, nell’area del Tribunale di Napoli si ha un incremento
del 5,3%, passando dalle 71.885 del 2010 alle 74.987 del 2013.
Le variazioni più consistenti, comunque, si registrano a Nocera
Inferiore e Torre Annunziata, rispettivamente del 35,9% e del
22,5%, seguite da Vallo della Lucania e Napoli Nord con il 14,8%
e il 15,7%. In controtendenza vanno Benevento e Santa Maria
Capua Vetere, dove invece si assiste a un calo delle denunce,
rispettivamente del 9,6% e del 4,2%.
Ulteriori informazioni si possono ricavare dalla voce persone denunciate. Il numero delle persone denunciate di norma
tende ad essere sempre notevolmente inferiore al numero
complessivo delle denunce effettuate, la cui buona parte re5. Una cautela che ha ancora maggior rilievo nel momento in cui si presentano dati
relativi alla delittuosità e criminalità. Senza addentrarci nelle complesse disamine che
attengono all’uso, alle interpretazioni e alle generalizzazioni che si compiono con le
statistiche criminali, è sufficiente rimarcare che variazioni annue, anche vistose, di uno
o due reati possono dipendere da una molteplicità di fattori come: l’andamento di altri
reati, la propensione alla denuncia delle vittime, dalle attività delle forze investigative.
Cfr. m. maneri, Si fa presto a dire sicurezza. Analisi di un oggetto culturale, in «Etnografia
e Ricerca Sociale», n. 2, 2013, pp. 169-182.
274
andrea procaccini
sta contro ignoti6. Il numero di persone denunciate, tra il 2010
e il 2013, nell’area del Tribunale di Napoli subisce un lieve calo
del 7,2%, passando da 28.408 a 26.368. Un decremento ben più
consistente, di circa un terzo, si osserva a Nola, dove i soggetti
denunciati calano dai 9.088 del 2010 ai 6.042 del 2013, e a Santa
Maria Capua Vetere, dove sfiora il 10%. Nei territori degli altri
tribunali, invece, il numero dei denunciati aumenta, l’incremento più imponente si osserva, anche in questo caso, a Nocera
Inferiore (48,6%), seguita da Vallo Della Lucania (37%), Torre
Annunziata (26,4%) e Avellino (22,2%).
6. Ovviamente l’andamento del rapporto tra denunce contro autori noti e denunce
contro ignoti varia da reato a reato, ad esempio per un semplice furto è ricorrente che
il denunciante non abbia idea di chi possa aver commesso il reato e le autorità investigative non hanno le risorse umane e temporali da dedicare al caso, pertanto nella
maggioranza dei casi la denuncia rimane contro ignoti. Come si vedrà nel caso delle
estorsioni la dinamica è differente, tendenzialmente la vittima o le forze investigative
hanno un’idea di chi possa essere l’offender.
la dinamica interna dei fenomeni
275
276
andrea procaccini
5.417
3.718
71.185
32.890
16.771
19.506
21.601
11.579
9.266
5.570
Napoli
Napoli Nord
Nola
Salerno
Santa Maria C.V.
Torre Annunziata
Nocera Inferiore
Vallo Della Lucania
4.747
9.074
5.779
9.295
12.332
21.644
22.106
17.499
35.572
74.820
9.455
9.843
Reati
2011
3.713
4.620
5.940
10.014
7.826
6.817
11.830
27.416
6.036
4.743
Pers.
den.
6.164
11.541
13.138
21.045
2.628
18.009
38.643
72.680
8.958
9.490
Reati
2012
4.210
5.353
6.788
9.812
8.016
7.288
12.201
24.941
6.174
5.290
Pers.
den.
6.392
12.590
14.181
20.694
21.957
17.218
38.058
74.987
8.199
9.239
Reati
5.814
5.800
Pers.
den.
5.230
5.524
6.848
8.761
8.028
6.042
12.230
26.368
2013
14,8
35,9
22,5
-4,2
12,6
2,7
15,7
5,3
-9,6
4,4
Reati
37,0
48,6
26,4
-9,9
3,0
-33,5
8,8
-7,2
7,1
22,2
Per.
den.
Variazione storica
7. In questa e nelle successive tabelle con Avellino si intenderà Avellino e Sant’Angelo dei Lombardi, Benevento è da leggersi Benevento e Ariano
Irpino e infine Vallo della Lucania come Vallo della Lucania e Sala Consilina.
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
3.818
9.719
7.793
9.088
11.241
28.408
5.429
8.848
Pers.
den.
Benevento
Reati
2010
Avellino
Tribunale
Tabella 1 - Totale dei delitti denunciati e delle persone denunciate alle Forze di polizia in Campania per area di competenza territoriale dei Tribunali7. Anni 2010-2013
la dinamica interna dei fenomeni
277
321
180
99
60
117
75
57
17
Napoli
Napoli Nord
Nola
Salerno
Santa Maria C.V.
Torre Annunziata
Nocera Inferiore
Vallo Della Lucania
2010
19
103
108
150
55
135
223
551
87
61
Pers.
den.
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
36
46
Benevento
Reati
Avellino
Tribunale
21
73
72
119
100
103
183
276
54
50
Reati
2011
19
122
104
207
175
179
313
414
80
74
Pers.
den.
15
83
87
123
107
93
143
312
26
53
Reati
2012
17
138
143
165
132
132
283
454
74
86
Pers.
den.
20
65
78
117
87
75
170
285
21
50
Reati
2013
34
98
155
180
173
98
226
475
52
62
Pers.
den.
17,6
14,0
4,0
0,0
45,0
-24,2
-5,6
-11,2
-54,3
38,9
Reati
78,9
-4,9
43,5
20,0
214,5
-27,4
1,3
-13,8
-40,2
1,6
Per.
den.
Variazione storica
Tabella 2 - Totale dei delitti denunciati e delle persone denunciate alle forze di polizia per estorsione per area di competenza territoriale dei Tribunali della Campania. Anni 2010-2013
Il numero delle denunce per estorsione nel quadriennio
esaminato fa registrare, complessivamente, un leggero calo
(tab. 2). In particolar modo nel territorio del Tribunale di Napoli
il calo è di circa l’11%, poiché le segnalazioni passano dalle 321
del 2010 alle 285 del 2013. In termini percentuali decrementi
ancora più consistenti si osservano nel territorio di Benevento
(-54,3%) e Nola (-24,2%), invece nell’area di Napoli Nord si verifica
un calo più contenuto, pari al 5,6%. Il numero delle denunce per
estorsione aumenta nei territori dei restanti tribunali, specialmente nella provincia di Salerno. Nel Tribunale del capoluogo
l’aumento è del 45%, nell’area di Nocera Inferiore è del 14% e in
quella di Vallo Della Lucania è del 17,6%. È da rimarcare anche la
variazione del 38,9% che si osserva nel territorio del Tribunale
di Avellino, mentre più contenuto è l’incremento di Torre Annunziata (4%). Per quanto attiene il dato sulle persone denunciate per il reato di estorsione balza all’occhio l’incremento di
Salerno, dove in quattro anni si passa dai 55 del 2010 ai 173 del
2013, con una variazione del 214,5%. Variazioni positive, seppur
di portata più ridotta, si osservano anche a Vallo Della Lucania
(78,6%), Torre Annunziata (43,5%), Santa Maria Capua Vetere
(20%). Invece il totale dei denunciati diminuisce nei territori di
Benevento (-40,2%), Nola (-27,2%), Napoli (-13,8%) e Nocera Inferiore (-4,9%). In definitiva, da una prima analisi dei dati si può
constatare che: in diversi territori aumentano sia le denunce,
sia i soggetti denunciati (Avellino, Salerno, Santa Maria Capua
Vetere, Torre Annunziata, Vallo della Lucania); in altri, viceversa, si registra un calo di entrambe le voci (Benevento, Napoli
e Nola), mentre nei territori di Napoli Nord e Nocera Inferiore
l’andamento delle variabili esaminate è discordante.
278
andrea procaccini
Tabella 3 - Rapporto tra delitti denunciati e persone denunciate alle
Forze di polizia per estorsione per area di competenza territoriale
dei Tribunali della Campania. Anni 2010-2013
Tribunale
Avellino
2010
2011
2012
2013
Valore
medio
0,6
0,7
0,6
0,8
0,7
Benevento
0,5
0,7
0,4
0,4
0,5
Napoli
0,6
0,7
0,7
0,6
0,6
Napoli Nord
0,8
0,6
0,5
0,8
0,6
Nola
0,7
0,6
0,7
0,8
0,7
Salerno
1,1
0,6
0,8
0,5
0,7
Santa Maria C.V.
0,8
0,6
0,7
0,7
0,7
Torre Annunziata
0,7
0,7
0,6
0,5
0,6
Nocera Inferiore
0,6
0,6
0,6
0,7
0,6
Vallo Della Lucania
0,9
1,1
0,9
0,6
0,8
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Per meglio comprendere l’andamento e le dinamiche del fenomeno estorsivo è opportuno analizzare il rapporto tra il numero
delle denunce e il numero di soggetti denunciati8. Come era
preventivabile il numero dei denunciati è quasi sempre maggiore del numero delle denunce, prendendo i valori medi del
quadriennio (2010-2013) si osserva che i rapporti più bassi si
registrano a Benevento (0,5), Napoli (0,6), Napoli Nord (0,6),
Torre Annunziata (0,6) e Nocera Inferiore (0,6), ovvero in questi
territori lo scarto tra totale delle denunce e totale dei denunciati
è maggiore. In altri territori della regione, tale scarto assume
dimensioni più ridotte, oscillando tra lo 0,7 e lo 0,8 come nei
8. In letteratura è ormai riconosciuto che il reato di estorsione ha una natura associativa, pertanto si registra uno scarto numerico tra denunce e persone denunciate.
Cfr. g. di gennaro, Realtà e rappresentazione delle estorsioni in Campania. Un’analisi
del fenomeno alla luce delle trasformazioni della camorra e della percezione dei diversi
attori, in g. di gennaro, a. la spina (a cura di), I costi dell’illegalità. cit. Si consideri, però,
che le informazioni in nostro possesso (dati sdi/ssd e Istat) non contemplano solo le
estorsioni effettuate in una cornice associativa, ovvero aggravate dall’associazione
mafiosa (art. 7), ma anche le estorsioni semplici, la cui configurazione organizzativa è
molto più elementare.
la dinamica interna dei fenomeni
279
casi di Avellino, Nola, Santa Maria Capua Vetere, Salerno e Vallo
Della Lucania (tab. 3). A livello deduttivo si può avanzare l’ipotesi che nella prima serie di territori sia necessaria una quota
maggiore di persone per compiere una singola estorsione, oppure che i singoli estorsori compiono una quantità di estorsioni
maggiori. Per approfondire tale questione, è necessario analizzare il livello di penetrazione delle organizzazioni criminali
nei singoli territori.
Tabella 4 - Tasso di denunciati per estorsione ogni 100 soggetti denunciati per area di competenza territoriale dei Tribunali della Campania. Anni 2010-2013
Variazione
assoluta
2010
2011
2012
2013
Valore
medio
Avellino
1,3
1,6
1,6
1,1
1,4
-0,2
Benevento
1,6
1,3
1,2
0,9
1,2
-0,7
Tribunale
Napoli
1,9
1,5
1,8
1,8
1,7
-0,1
Napoli Nord
2,0
2,6
2,3
1,8
2,2
-0,2
Nola
1,5
2,6
1,8
1,6
1,9
0,1
Salerno
0,7
2,2
1,6
2,2
1,7
1,5
Santa Maria C.V.
1,5
2,1
1,7
2,1
1,9
0,6
Torre Annunziata
2,0
1,8
2,1
2,3
2
0,3
Nocera Inferiore
2,8
2,6
2,6
1,8
2,4
-1
Vallo Della Lucania
0,9
1,6
0,9
1,1
1,1
0,2
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Nella tabella 4 è stato elaborato il tasso di denunciati per estorsione ogni 100 denunciati per le differenti aree territoriali, la
quota di persone denunciate per estorsione sul totale si attesta tendenzialmente su valori bassi, non superando mai le due
unità. Nel territorio del Tribunale di Napoli la quota di denunciati per estorsione resta pressoché invariata, passando da un
valore di 1,9 del 2010 a uno di 1,8 del 2013. Gli scostamenti più
280
andrea procaccini
significativi si verificano nell’area di Salerno, dove il dato passa
dallo 0,7 del 2010 al 2,2 del 2013, e nell’area di Nocera Inferiore
dove, nel quadriennio in esame, il tasso cala dal 2,8 del 2010 a 1,8
del 2013. Ragionando sulle medie della serie storica si osserva
che i valori più alti non si raggiungono nel Tribunale di Napoli
ma nei Tribunali di: Nocera Inferiore (2,4), Napoli Nord (2,2)
e Torre Annunziata (2). I territori dei Tribunali di Nola e Santa
Maria Capua Vetere, allo stesso modo, hanno una media (1,9)
che è superiore a quella rilevata nel Tribunale del capoluogo
di regione. Su valori inferiori a quelli di Napoli si attestano solo
Avellino, Benevento e Vallo della Lucania.
5.3 Alcune evidenze sulla presenza delle organizzazioni
criminali e l’andamento del fenomeno estorsivo
La natura e la storia delle organizzazioni criminali in Campania
rende difficoltosa un’operazione di mappatura territoriale del
fenomeno che sia stabile nel tempo a differenza di quanto si
può fare, con minori difficoltà, con la mafia in Sicilia9. Per questi
motivi di seguito si prenderà in considerazione l’ultima relazione presentata al Parlamento10 dalla dia, che con i suoi report
monitora semestralmente la presenza dei clan nelle diverse
province campane, dando conto delle fluttuazioni, alleanze e
scomposizioni che caratterizzano il mondo criminale campano.
Dall’ultima rilevazione emerge che complessivamente sono
presenti 140 clan, così ripartiti: 97 nella provincia di Napoli (39
nel solo capoluogo); 22 nella provincia di Caserta; 13 nella provincia di Salerno; 4 nella provincia di Avellino e 4 nella provincia
di Benevento.
9. g. di gennaro, Estorsioni ed usura: l’impatto distorsivo delle attività illegali dei clan
di camorra sull’economia regionale campana, in «Rassegna Economica», n. 1, 2013, pp.
109 ss.
10. Le relazioni semestrali della dia al Parlamento sono consultabili on line a partire
da quelle prodotte nel 1998. Cfr. http://www1.interno.gov.it/dip_ps/dia/page/relazioni_semestrali.html.
la dinamica interna dei fenomeni
281
Tabella 5 - Presenza dei clan in Campania per area di suddivisione
dei Tribunali
Tribunale
Avellino
Clan
Tasso
Media
rapporto
Media
den.
4
1,2
0,7
1,4
Benevento
5
1,4
0,5
1,2
Napoli
46
3,4
0,6
1,7
Napoli Nord
27
2,8
0,6
2,2
Nola
24
4,4
0,7
1,9
Salerno
4
0,8
0,7
1,7
Santa Maria C.V.
15
2,4
0,7
1,9
Torre Annunziata
18
3,9
0,6
2,0
Nocera Inferiore
10
2,5
0,6
2,4
/
0,0
0,8
1,1
Vallo Della Lucania
Fonte: ns. elaborazione su dati dia e Istat
Nella tabella 5 le organizzazioni censite dalla dia sono state
ripartite per area di competenza territoriale dei singoli Tribunali
campani11, e come preventivato la maggiore concentrazione
di clan si riscontra tra i Tribunali della provincia di Napoli (46
a Napoli, 27 a Napoli Nord, 24 a Nola e 18 a Torre Annunziata).
Tra i comuni del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, invece,
sono attivi 15 clan e nell’area di competenza del Tribunale di
Nocera Inferiore sono stati censiti 10 clan. Una presenza meno
invasiva dei clan è rilevata nei territori di Benevento (5), Avellino
(4) e Salerno (4). Da queste prime indicazioni empiriche si può
intuire come la distribuzione dei clan sul territorio regionale
sia fortemente disomogenea, infatti le province di Napoli e
Caserta sono coperte a tappeto e solo alcuni comuni dell’alto
11. È stato conteggiato il numero dei clan che compiono attività illecite in un determinato territorio. Il totale delle organizzazioni per area di competenza territoriale dei
Tribunali risulta essere superiore al totale su base provinciale per un semplice motivo:
sovente un’organizzazione può operare in più comuni e tali comuni possono ricadere
nella competenza di Tribunali differenti. Ad esempio, il clan Amato-Pagano ha base nel
quartiere di Secondigliano della città di Napoli, ma estende la sua influenza ai comuni
di Arzano e Mugnano che fanno parte del Tribunale di Napoli Nord.
282
andrea procaccini
casertano e delle isole sembrano essere non toccati dal fenomeno. Viceversa nelle restanti province la presenza dei clan è
a macchia di leopardo e interessa solo un numero limitato di
comuni. Addirittura in larghi tratti della provincia meridionale
di Salerno non è rilevata alcuna presenza stabile di clan12.
Al fine di stimare la diffusione e il diverso livello di incidenza dei clan nei differenti territori è stato elaborato un tasso
di presenza ogni 100.000 abitanti. Il valore maggiore è stato
raggiunto dal territorio del Tribunale di Nola con 4,4 seguito
poi da: Torre Annunziata con 3,9; Napoli con 3,4; Napoli Nord
con 2,8; Nocera Inferiore con 2,5; Santa Maria Capua Vetere
con 2,4; Benevento con 1,4; Avellino con 1,2 e infine Salerno con
0,8. Relazionando il tasso di presenza dei clan con il rapporto
tra denunce e soggetti denunciati per estorsioni (media rapp.)
appena illustrato, non emerge una stringente correlazione tra
le variabili, però si può intravedere una tendenza comune per la
gran parte dei territori presi in esame. Infatti, se si eccettuano i
casi di Nola, dove una forte presenza di clan (4,4) si associa a un
rapporto tra denunce per estorsione e persone denunciate che
è pari a 0,7, e di Benevento, dove invece a un bassa presenza
di clan si accompagna a un rapporto pari a 0,5, i territori dove
è minore o assente la presenza dei clan (Vallo della Lucania,
Avellino, Santa Maria Capua Vetere) fanno registrare un rapporto che oscilla tra lo 0,7 e lo 0,8, mentre nei territori dove la
presenza dei clan è più marcata (Nocera Inferiore, Napoli Nord,
Napoli e Torre Annunziata) il rapporto si attesta sullo 0,6.
Confrontando l’andamento del tasso di presenza dei clan
con il tasso di denunciati per estorsione sul totale dei denunciati
(Media den.) si deduce che fino a una determinata soglia (il 2,4
di Santa Maria Capua Vetere), tendenzialmente i territori con i
valori inferiori di presenza dei clan tendono ad avere anche una
Media den. che è inferiore al valore di 2. Al contrario, laddove
il livello di presenza dei clan è maggiore tende ad aumentare
anche il valore della Media den., ma anche in questo caso la
12. Per una rappresentazione grafica su base provinciale si vedano le cartine presenti
nell’ultima Relazione della dia.
la dinamica interna dei fenomeni
283
corrispondenza non avviene in maniera lineare: ad esempio
Nola, pur con il livello di presenza delle organizzazioni criminali
più alto, ha una Media den. che è pari a 1,9.
Tabella 6 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per area di competenza dei Tribunali. Anni 2010-2013
2010
2011
2012
2013
Media
Variazione
assoluta
Avellino
21,8
26,4
30,8
22,1
25,3
0,3
Benevento
28,5
31
24,5
17,2
25,3
-11,3
Napoli
49,6
37,3
41
43
42,7
-6,6
Napoli Nord
29,4
41
36,9
29,2
34,1
-0,2
Nola
30,7
40,6
29,9
22,1
30,8
-8,6
Tribunale
Salerno
13,9
44
33,2
43,6
33,7
29,7
Santa Maria C.V.
32,6
40,1
32
34,9
34,9
2,3
Torre Annunziata
29,1
28
38,5
41,7
34,3
12,6
Nocera Inferiore
32,1
37,8
42,6
30,2
35,7
-1,9
Vallo Della Lucania
10,9
11
9,9
19,7
12,9
8,8
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
In questa sezione del lavoro, come per le altre sono stati elaborati i tassi di incidenza dei denunciati per estorsione ogni
100.000 abitanti, compresi nella fascia di età 14-80 anni, anche
per le aree territoriali di competenza dei tribunali della Campania. Nel periodo preso in esame, nel territorio di Napoli il tasso
cala di oltre 6 punti, passando dal 49,6 del 2010 al 43 del 2013.
Tuttavia verificando l’andamento annuo si nota che la diminuzione più brusca si registra nel 2011 e che dal 2012 il tasso ha
ripreso a salire. Nell’area di Napoli Nord, invece, la variazione
tra il 2010 e il 2013 è minima (-0,2), mentre l’andamento annuale è molto altalenante: il tasso nel 2011 impenna al 41 per poi
ridiscendere negli anni successivi, al 36,9 nel 2012 e al 29,2 nel
2013. Nel territorio di Nola la quota dei denunciati per estorsio284
andrea procaccini
ne scende di circa 8 punti tra il 2010 e il 2013, passando da 30,7
a 22,1, anche in questo caso si registra un aumento considerevole tra il 2010 e il 2011 (40,6), per poi osservare una tendenza
decrescente negli anni successivi. Un trend crescente, invece,
è osservabile tra i comuni del Tribunale di Torre Annunziata, il
cui tasso aumenta complessivamente di 12,6 punti, dal 29,1 del
2010 al 41,7 del 2013. Su valori simili si attesta il territorio di Salerno, nel quale si registra la variazione più robusta del tasso dei
denunciati che, nel giro di pochi anni, risulta più che triplicato,
dal 13,9 del 2010 al 43,6 del 2013. A Nocera Inferiore, invece, il
trend è crescente dal 2010 al 2012 (+10,5), per poi calare vistosamente nel 2013 quando si attesta sul valore di 35,7. Il territorio
di Santa Maria Capua Vetere fa registrare complessivamente
un leggero aumento del tasso dei denunciati nel quadriennio
(+2,3), aumento che era stato più consistente nei primi anni
della serie, toccando quota 40,1 nel 2011.
Dall’osservazione delle medie del tasso di incidenza dei denunciati per estorsione si ricava chiaramente che il territorio
di Napoli, con una media di 42,7, si colloca su valori che sono
superiori a quelli delle altre aree territoriali campane. Più ravvicinati sono le medie tra gli altri territori campani: Nocera Inferiore ha una media del 35,7; Santa Maria Capua raggiunge una
media 34,9 e su valori leggermente più bassi si trovano Torre
Annunziata (34,3) e Napoli Nord (34,1); Salerno fa registrare
una media di 33,7 e Nola sul 30,8 e infine su valori inferiori le
medie di Avellino e Benevento, entrambe con il 25,3, e Vallo
della Lucania con il 12,9.
la dinamica interna dei fenomeni
285
Figura 2 - Tasso medio di persone denunciate per estorsione, differenziato per area di competenza dei Tribunali campani. Anni 2010-2013
286
andrea procaccini
5.4Uno sguardo sui territori
Fino a questo punto, l’analisi comparativa del fenomeno estorsivo si è mantenuta a un livello di aggregazione dell’area di competenza territoriale dei tribunali. In questo paragrafo finale, invece,
i dati sono stati disaggregati a livello comunale, così da rilevare
gli andamenti e le tendenze che si riscontrano all’interno delle
singoli territori, facendo riferimento al tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 anni13.
5.4.1Tribunale di Napoli
Con l’eccezione dei piccoli comuni ischitani di Serrara Fontana e
Barano d’Ischia, tutti i comuni dell’area di competenza di questo
tribunale registrano la presenza di denunciati per estorsione in più
anni dell’arco temporale esaminato. A differenza di quanto avviene
in altri territori, l’andamento del fenomeno è abbastanza costante
negli anni, ma non raggiunge picchi elevati e non subisce forti oscillazioni negli anni, l’unica eccezione è rappresentata da Procida dove
solo nel 2010 si rileva un valore pari a 58,4 mentre negli altri anni
il fenomeno è assente o presente su valori nettamente inferiori.
Il comune di Napoli fa registrare una leggera diminuzione del
tasso dei denunciati, passando dal 57,9 del 2010 al 52,3 del 2013,
rimanendo comunque il comune con la media dei denunciati più
alta. Osservando i valori medi, i restanti comuni si attestano su valori decisamente inferiori e vanno incontro a oscillazioni contenute
nell’arco degli anni: a Portici il tasso ha un andamento discontinuo,
nel 2011 raggiunge il 50,5 e poi nei due anni seguenti discende fino
al 26,8; Pozzuoli parimenti fa registrare una tendenza discendente
da quota 45,7 nel 2010 a quota 25,6 nel 2012; a Ercolano il tasso dei
denunciati ha una variazione limitata negli anni, oscillando tra il 27,3
13. In base a una serie di considerazioni, al livello di aggregazione comunale si è preferito
adoperare esclusivamente i tassi di incidenza ogni 100.000 abitanti. Fondamentalmente,
si ritiene che l’andamento in valori assoluti risenta fisiologicamente della numerosità
differente delle popolazioni e quindi renderebbe poco indicativa una comparazione
tra comuni con una popolosità molto dissimile, non permetterebbe di cogliere alcune
peculiarità o picchi che possono riscontrarsi in comuni di dimensioni medio - piccole.
la dinamica interna dei fenomeni
287
e il 38,8; a Quarto e San Giorgio a Cremano il tasso dei denunciati
è regolare negli anni e non supera mai quota 30.
Nella città di Napoli la quota delle denunce è inferiore alla
quota dei denunciati per tutti gli anni della serie, con un rapporto medio che è pari allo 0,6. La medesima dinamica è osservabile solo nei comuni di Ercolano (eccetto il 2012) e Portici (eccetto
il 2010). Pozzuoli, invece, è l’unico comune ove si riscontra quasi
costantemente un totale di denunciati per estorsione inferiore
a quello delle denunce (eccetto il 2013), negli altri comuni non
si rileva una costanza negli anni nei rapporti tra il numero denunce e denunciati per estorsione. I rapporti medi più bassi si
osservano a Napoli e Portici, comuni in cui si riscontrano i tassi
di denunciati maggiori, a tal riguardo si può supporre che la
maggiore frammentazione e instabilità del mondo criminale
urbano comporti la necessità per le organizzazioni criminali di
coinvolgere più persone per la realizzazione di un singolo atto
estorsivo, a differenza di quanto accade nei centri della provincia dove gli equilibri criminali sono relativamente più stabili.
Tabella 7 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Napoli. Anni 2010-2013
2010
2011
2012
2013
Media
Media
rapporto
Napoli
57,9
42,2
48,0
52,3
50,1
0,6
Portici
24,0
50,5
42,0
26,8
35,8
0,7
Pozzuoli
45,7
25,8
36,4
25,6
33,4
1
Ercolano
27,3
38,8
27,7
34,8
32,2
0,8
Comuni
Lacco Ameno
26,3
26,2
0,0
51,7
26,0
0,5
Ischia
39,7
33,0
13,2
13,2
24,8
0,9
Bacoli
49,5
27,0
9,0
4,5
22,5
0,9
Quarto
16,0
19,1
28,4
18,7
20,5
0,9
San Giorgio a
Cremano
20,9
15,9
24,0
18,9
19,9
0,9
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
288
andrea procaccini
5.4.2Tribunale di Napoli Nord
Il nuovo Tribunale di Napoli Nord, come evidenziato precedentemente ha competenza sui comuni dell’area nord di Napoli
e su una fetta della provincia casertana. Nella gran parte dei
comuni la presenza di un tasso di persone denunciate per il reato di estorsione è rilevabile in più anni della serie storica, con
l’eccezione del solo comune di Calvizzano. In questo contesto
territoriale, il fenomeno si manifesta con caratteristiche differenti da quelle evidenziate nel paragrafo precedente, infatti in
molti comuni il tasso dei denunciati ha un andamento altalenante negli anni e, soprattutto raggiunge dei valori notevolmente
alti, specie tra quelli della provincia casertana. A tal proposito,
si possono rimarcare i comuni che hanno fatto rilevare i valori
più eclatanti del tasso di incidenza dei denunciati per estorsione: Villa Literno (215,5 nel 2010, 269,7 nel 2011 e 34,0 nel 2013);
Parete (204,7 nel 2010, 917 nel 2011, 224,6 nel 2012 e 156,3 nel
2013); San Marcellino (161,3 nel 2011 e 87,2 nel 2012); Carinaro
(36,0 nel 2011, 178,5 nel 2012 e 69,5 nel 2013); Casal di Principe
dove si evidenzia un trend crescente fino al 2012 (dal 43,0 al
157,9 per poi attestarsi sul 102,0 del 2013). Per questi motivi si
delinea una profonda discordanza tra l’area casertana e l’area
napoletana di questo contesto territoriale, tale discordanza è
resa nitidamente dalla graduatoria delle medie dei denunciati,
dove ritroviamo nelle prime posizioni esclusivamente comuni
della provincia casertana. Infatti, i comuni della periferia settentrionale napoletana fanno osservare dei valori decisamente
inferiori e più contigui a quelli della città di Napoli e degli altri
centri dell’area flegrea.
Il dato del rapporto tra denunce per estorsione e persone
denunciate in tale contesto territoriale si presenta come estremamente variegato, si va da un valore minimo di 0,1 osservato a
Casal di Principe, a un valore massimo di 1,5 di Afragola. Quindi,
prendendo in considerazione solo quei comuni che mantengono una connotazione univoca del rapporto negli anni esaminati, emerge che in alcuni casi (San Marcellino, Villa Literno,
Arzano, Qualiano, Parete, Grumo Nevano, Casal di Principe,
la dinamica interna dei fenomeni
289
Aversa, Giugliano in Campania) è sempre maggiore il numero
dei denunciati, in altri (Lusciano, Sant’Antimo, Melito di Napoli,
Cardito) invece si riscontra una prevalenza delle denunce nella
quasi totalità degli anni.
Tabella 8 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Napoli Nord.
Anni 2010-2013
2010
2011
2012
2013
Media
Media
rapporto
Parete
204,7
917,0
224,6
156,3
375,7
0,2
Villa Literno
215,5
269,7
80,4
34,0
149,9
0,4
San
Marcellino
61,8
161,3
109,3
87,2
104,9
0,5
Casal di
Principe
43,0
79,0
157,9
102,0
95,5
0,1
Casapesenna
38,3
113,4
37,7
168,3
89,4
0,7
Comuni
Carinaro
0,0
36,0
178,5
69,5
71,0
0,7
Frignano
43,4
100,3
56,5
13,9
53,5
0,6
TrentolaDucenta
21,8
95,7
49,8
28,1
48,9
0,9
Qualiano
10,0
25,3
105,9
25,0
41,6
0,4
Sant’Antimo
51,9
73,5
29,2
3,6
39,6
1,3
Grumo
Nevano
68,0
61,2
6,8
20,3
39,1
0,4
Caivano
50,8
40,4
40,2
20,2
37,9
1,1
Villa di
Briano
21,6
0,0
20,7
93,2
33,9
0,1
Casoria
37,5
32,8
31,3
28,2
32,5
1,0
Aversa
30,2
34,7
37,1
25,4
31,9
0,5
Giugliano in
Campania
20,1
17,4
59,1
30,8
31,8
0,6
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
290
andrea procaccini
5.4.3Tribunale di Nola
Il fenomeno estorsivo nel territorio nolano si presenta in maniera diffusa e pervade la stragrande maggioranza dei comuni,
facendo registrare, in taluni casi, variazioni notevoli tra un anno
e l’altro. Inoltre, il tasso d’incidenza dei denunciati per estorsione, in numerosi comuni, raggiunge valori ragguardevoli in
più anni della serie storica, valori che sono di molto superiori
a quelli registrati nel capoluogo di provincia. In ogni caso, nei
principali comuni si osserva un trend decrescente: Cercola (dal
154,7 del 2010 a 88,0 del 2013), San Paolo Belsito (dal 180,4 del
2011 al 34,6 del 2013); Tufino (dal 167,3 del 2011 al 66,3 del 2013);
Cimitile (dal 102,1 del 2011 al 34,0 del 2013); San Sebastiano al
Vesuvio (dal 92,8 del 2011 al 40,1 del 2013); Nola (da 86,1 del 2011
al 36,0 del 2013); Pomigliano d’Arco (dal 60,6 del 2011 al 18,2 del
2013). In altri comuni, specialmente se piccoli, il tasso raggiunge valori considerevoli solo in singoli anni della serie storica e
quindi si può supporre che ciò dipenda da episodi contingenti
(Liveri 143,7 nel 2012 e Cicciano 95,7 nel 2012).
In quest’ambito territoriale tendenzialmente l’ammontare
dei soggetti denunciati per estorsione è maggiore del totale
delle denunce, da un raffronto dettagliato si verifica che quanto
appena affermato è verificabile: a) in tutti gli anni della serie
storica nei casi di Acerra, Cercola, Marigliano, Nola, San Paolo
Belsito; b) in tre anni nei casi di Palma Campania, San Giuseppe
Vesuviano e Tufino. Al contrario, un numero maggiore di denunce è riscontrabile nei casi di: Cicciano (eccetto il 2012), San
Gennaro Vesuviano (eccetto il 2013) e San Sebastiano al Vesuvio
(eccetto il 2011) e Terzigno.
la dinamica interna dei fenomeni
291
Tabella 9 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Nola. Anni 2010-2013
Comuni
Cercola
2010
2011
2012
2013
Media
Media
rapporto
154,7
127,8
122,1
88,0
123,2
0,4
San Paolo Bel Sito
0,0
180,4
107,8
34,6
80,7
0,7
Tufino
0,0
167,3
66,5
66,3
75,0
0,3
Cimitile
85,2
102,1
68,8
34,0
72,5
0,5
Castello di Cisterna
0,0
67,8
99,9
65,5
58,3
0,5
San Sebastiano al
Vesuvio
52,8
92,8
26,7
40,1
53,1
1,2
Nola
43,1
86,1
46,6
36,0
53,0
0,6
San Vitaliano
102,8
61,4
0,0
39,4
50,9
0,6
Carbonara di Nola
56,1
54,5
54,9
0,0
41,4
0,5
San Giuseppe
Vesuviano
18,4
50,2
31,6
62,9
40,8
0,8
Saviano
119,9
23,8
0,0
7,9
37,9
0,7
Pomigliano d’Arco
24,2
60,6
42,3
18,2
36,3
0,9
Acerra
32,4
34,4
36,5
36,1
34,8
0,6
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
5.4.4Tribunale di Torre Annunziata
Nell’area territoriale del Tribunale di Torre Annunziata la presenza
del fenomeno estorsivo resta diffusa negli anni, ma, a differenza
degli altri contesti territoriali finora esaminati, aumenta il numero
dei comuni nei quali il reato è assente o lo si riscontra solo in un
anno isolato del quadriennio. Alcuni comuni, anche di notevoli
dimensioni, fanno registrare degli sbalzi considerevoli negli anni,
ad esempio osservando l’andamento annuale in quei comuni che
hanno fatto rilevare la media maggiore si evince che il tasso di
incidenza delle estorsioni: a Torre del Greco aumenta dal 51,6 del
2010 al 111,5 del 2013; a Pompei passa dal 24,9 del 2010 al 120,7 del
2012 per poi assottigliarsi al 33,9 nell’anno successivo; a Sorrento
si balza dal 14,9 del 2010 al 104,3 del 2012; a Poggiomarino, invece,
292
andrea procaccini
il tasso scende dal 79,2 del 2010 al 29,4 del 2013. In alcuni comuni,
invece, l’andamento del tasso di incidenza dei denunciati è simile
a quello osservato in altre aree della provincia napoletana, ovvero
si attesta su valori più bassi e gli scostamenti tra gli anni sono di
entità ridotta. A tal riguardo, si prenda in esame il caso di Torre
Annunziata dove il tasso, se si eccettua il 17,3 del 2011, oscilla in
maniera ridotta tra il 45,9 del 2010 e il 40,9 del 2012; lo stesso dicasi
per l’importante centro di Castellamare di Stabia, dove il valore del
tasso aumenta dal 19,0 del 2010 al 30,2 del 2013. Nella gran parte
dei casi non si rileva una tendenza univoca nel rapporto tra il totale
delle denunce per estorsione e il dato complessivo delle persone
denunciate. Una prevalenza della quota dei denunciati è possibile
rilevarla nei comuni di: Castellamare di Stabia, Massa Lubrense
(eccetto il 2013), Poggiomarino (eccetto il 2012), Sorrento (eccetto
il 2010), Torre Annunziata, Torre del Greco. Un rapporto di tipo
inverso tra denunce e denunciati si riscontra solo nei comuni di:
Boscoreale (eccetto il 2011), Meta e Gragnano.
Tabella 10 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla
popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Torre Annunziata. Anni 2010-2013
Comuni
2010
2011
2012
2013
Media
Media
rapporto
Torre del Greco
51,6
86,3
70,6
111,5
80,0
0,5
Pompei
24,0
9,6
120,7
33,9
47,1
1,7
Sorrento
14,9
14,9
104,3
52,2
46,6
0,7
Poggiomarino
79,2
36,2
11,9
29,4
39,2
0,7
Agerola
17,2
34,2
17,1
83,8
38,1
0,8
Torre Annunziata
45,9
17,3
40,3
43,2
36,7
0,4
Vico Equense
17,9
23,9
47,7
17,9
26,8
1,1
Massa Lubrense
53,8
17,9
35,4
0,0
26,8
0,4
Sant’Antonio Abate
39,4
6,5
26,0
32,3
26,1
0,7
Castellammare di Stabia
19,0
17,1
20,9
30,2
21,8
0,7
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
la dinamica interna dei fenomeni
293
5.4.5Tribunale Salerno
Nell’area del territorio del Tribunale di Salerno il fenomeno estorsivo mostra delle caratteristiche proprie che lo differenziano dalle
dinamiche riscontrate nei contesti precedentemente analizzati.
Dall’analisi dei dati aggregati, già nella prima parte del capitolo,
era apparso in maniera abbastanza evidente come il territorio di
Salerno negli ultimi anni abbia fatto registrate un aumento dell’incidenza dei reati estorsivi. Tale trend ascendente, però, non è
uniforme e omogeneo all’intero territorio, ma si concentra in una
quota ristretta di comuni, nei quali i valori considerati sono non
molto lontani da quelli osservati in ampie zone della provincia
napoletana. Come si può dedurre dall’analisi delle medie comunali, il tasso dei denunciati raggiunge valori rilevanti specialmente
nel capoluogo di provincia e in alcuni comuni limitrofi, in alcuni
casi è individuabile un andamento similare: si registra un balzo
considerevole tra il 2010 e il 2011, seguito da un assestamento
verso il basso nei due anni successivi, comunque su valori di riferimento superiori a quelli del 201014. Si veda ad esempio il caso
di Salerno, il tasso tra il 2010 e il 2011 passa da 11,8 a 78,3 per poi
consolidarsi al 50,7 del 2013; oppure l’esperienza di Eboli dove
tra il 2010 e il 2011 si verifica un aumento considerevole del tasso
dei denunciati, dal 48,3 al 124,4 che poi si va ad assottigliare fino
all’84,5 del 2013. Pur se su dimensioni più contenute la medesima
dinamica è osservabile anche nel comune di Battipaglia (dal 28,7
del 2010 al 50,1 del 2011, per poi arrivare al 45,3 del 2013) e nel
caso di Giffoni sei Casali (dall’assenza del fenomeno nel 2010, al
balzo in un solo anno al 71,7 per attestarsi infine al 23,9 del 2013).
In altre situazioni, invece, è possibile osservare un trend ascendente del fenomeno estorsivo per l’intero quadriennio preso in
esame: si consideri il caso di Pontecagnano - Faiano (dalla non
rilevazione del 2010 al 19,6 del 2010 per poi arrivare al 154,1 del
2013), o anche il comune di Olevano sul Tusciano dove nel giro di
soli 4 anni si passa da una quota di denunciati pari a zero al 125,4.
14. Dalla tabella sono stati espunti i comuni di Conca dei Marini e Sicignano degli
Alburni che hanno registrato un valore alto solo per un anno della serie storica.
294
andrea procaccini
Nel rapporto tra il dato complessivo delle denunce e il numero di persone denunciate, nei casi precedentemente menzionati, quasi ovunque si osservano dei valori che indicano una
leggera prevalenza delle persone denunciate sul numero delle
denunce, infatti il valore del rapporto è pari: a 0,9 ad Eboli; a
0,8 ad Olevano sul Tusciano; a 0,7 a Salerno e Battipaglia. Al
contrario, è minore nel caso di Pontecagnano - Faiano (0,4),
palesando una situazione in cui mediamente il numero dei soggetti coinvolti per ogni atto estorsivo è maggiore.
Tabella 11 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla
popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Salerno.
Anni 2010-2013
Comuni
Eboli
2010
2011
2012
2013
Media
Media
rapporto
48,3
124,4
76,5
88,8
84,5
0,9
Pontecagnano Faiano
0,0
19,6
63,1
154,1
59,2
0,4
Salerno
11,8
78,3
49,3
50,7
47,5
0,7
Olevano sul Tusciano
0,0
17,9
35,7
125,4
44,8
0,8
Battipaglia
28,7
50,1
26,3
45,3
37,6
0,7
Altavilla Silentina
0,0
52,5
17,5
69,7
34,9
0,6
Capaccio
5,7
33,2
5,5
92,0
34,1
0,8
Montecorvino Rovella
30,1
9,9
39,1
28,8
27,0
0,2
Campagna
30,8
15,4
53,7
0,0
25,0
0,9
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
5.4.6Tribunale di Nocera Inferiore
In questa area territoriale il fenomeno estorsivo è rilevato annualmente nella quasi totalità dei comuni, l’unica eccezione
è rappresentata dal comune di Calvanico che non raccoglie
denunce per alcun anno della serie storica. Da un’analisi del
dettaglio comunale risalta anche che numerosi sono i comuni che fanno registrare tassi annuali e tassi medi significativi.
la dinamica interna dei fenomeni
295
Prescindendo dal caso di Bracigliano, dove si osservano dei
forti scostamenti nell’andamento dei tassi annuali e il valore
del tasso medio è influenzato dal 298,9 del 2010, sono molteplici i comuni che per l’intera serie storica fanno registrare tassi
sempre considerevoli, pur in un quadro di scostamenti annuali.
Tuttavia, non è individuabile una tendenza condivisa del fenomeno, di carattere ascendente o discente, che sia estendibile
alle diverse realtà comunali. Ad esempio, Baronissi vede il suo
tasso di incidenza dei denunciati accrescersi notevolmente, passando dal 21,9 del 2010 al 116,3 dell’anno successivo, per poi raggiungere il 72,4 del 2013; allo stesso modo a Pagani si riscontra
una crescita del tasso nel primo anno (dal 75 al 100,7), seguita
da un calo vistoso che termina con il 14,4 del 2013; Sant’Egidio
di Monte Albino (128,2 del 2010); a Castel San Giorgio il valore
del tasso resta pressoché invariato tra il 2010 e il 2013 (dal 37 al
36), ma registra forti oscillazioni nelle annualità intermedie, ad
esempio con il 73,1 nel 2011. In altri comuni importanti di questo
territorio i tassi si attestano su valori inferiori, con un campo
di variazione più ridotto. A tal proposito, si consideri Nocera
Inferiore dove vi è un’oscillazione positiva nel quadriennio ma
su valori contenuti, dal 23,6 al 57,3 o per una variazione di segno
opposto, il caso di Sarno che raggiunge il massimo nel 2011 con
il 43,7 e nel 2013 cala al 27,7
Il rapporto tra il dato complessivo delle denunce e il totale
delle persone denunciate per il reato di estorsione vede una
prevalenza delle seconde delle seconde sulle prime in maniera
quasi omogenea a livello comunale. Questo aspetto è riscontrabile in più annualità della serie storica: superiore al numero
delle denunce nel caso dei comuni di: Angri, Baronissi (eccetto
il 2010); Castel san Giorgio (eccetto il 2010); Cava de Tirreni (eccetto il 2013); Mercato San Severino; Nocera Inferiore (eccetto
il 2012); Pagani (eccetto il 2013); Sarno.
296
andrea procaccini
Tabella 12 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Nola. Anni 2010-2013
Comuni
Bracigliano
2010
2011
2012
2013
Media
Media
rapporto
298,9
0,0
92,6
93,0
121,1
0,3
Baronissi
21,9
116,3
109,3
72,4
80,0
0,6
Pagani
75,7
100,7
85,9
14,4
69,2
0,6
Castel San Giorgio
37,0
73,2
73,1
36,0
54,8
0,8
San Marzano sul Sarno
12,4
73,4
72,6
60,1
54,6
0,7
Mercato San Severino
39,3
11,1
50,1
88,6
47,3
0,6
San Valentino Torio
0,0
24,0
94,6
34,9
38,4
0,8
Nocera Inferiore
23,6
31,4
36,3
57,3
37,1
0,8
Sarno
39,8
43,7
35,7
27,7
36,7
0,8
Sant’Egidio del Monte
Albino
128,2
14,2
0,0
0,0
35,6
0,3
Angri
27,3
26,8
22,8
45,5
30,6
0,6
Roccapiemonte
26,7
13,5
40,3
40,2
30,2
0,9
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
5.4.7Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
Nel territorio di Santa Maria Capua Vetere è osservabile una
presenza estesa del fenomeno estorsivo, infatti la schiera di
comuni nei quali non si annoverano notizie di reato è composta da piccoli centri collocati, perlopiù, nell’alto casertano, al
contempo è consistente il numero di comuni che riportano dei
tassi significativi per l’intero quadriennio analizzato, specie nelle aree maggiormente popolate e confinati con il territorio di
Napoli Nord. Così come avviene in altre aree di competenza
territoriale, nella maggioranza dei casi la persistenza del fenomeno si accompagna a una forte oscillazione dei tassi elaborati
e nel raggiungimento di picchi considerevoli. Laddove non si
riscontrano tali dinamiche, comunque gli atti estorsivi si connotano come un elemento regolare nelle risultanze investigative
e giudiziarie di quei comuni.
la dinamica interna dei fenomeni
297
In taluni comuni, come detto, il tasso dei denunciati ha raggiunto vette considerevoli, specie in alcune annualità: Castel
Volturno nel 2011 tocca quota 305,2 e si attesta a 161,5 nel 2013;
Falciano del Marsico nei primi anni varia tra il 32,6 e il 66,1 poi
nel 2013 balza al 262,5; a Cellole nel 2011 giunge a 109,7 per poi
ridiscendere al 62,6 nel 2013; Santa Maria Capua a Vetere nel
2011 raggiunge quota 108,4 e negli altri anni staziona tra il 34,3
e il 43,8; Santa Maria la Fossa (136,9 nel 2011 e 186,0 nel 2012);
Casagiove (42,3 nel 2010 e 103,1 nel 2013); Mondragone dove il
tasso nell’ultimo anno giunge a quota 144,3. In altri centri della
provincia il fenomeno estorsivo, pur non toccando picchi clamorosi, si presenta agli osservatori come costante negli anni, ad
esempio: Pignataro Maggiore dove il tasso dei denunciati oscilla
tra il 19,3 del 2011 e il 77,9 del 2013; Marcianise che raggiunge
il proprio valore massimo nel 2011 con il 52,6; San Marco Evangelista dove il dato tra il 2010 e il 2012 è pari a circa 40; Caserta,
infine, che registra un’oscillazione minima tra un minimo di 16,9
del 2010 e un massimo di 20,8 del 2013.
Tabella 13 - Tasso di incidenza dei denunciati per estorsione sulla
popolazione 14-80 per i principali comuni del Tribunale di Nola. Anni
2010-2013
Comuni
2010
2011
2012
2013
Media
Media
rapporto
Castel Volturno
192,8
305,2
167,8
161,5
206,8
0,5
Falciano del Massico
65,1
32,6
66,1
262,5
106,6
0,4
Santa Maria la Fossa
0,0
136,9
186,0
0,0
80,7
0,1
Cancello ed Arnone
69,8
91,3
0,0
135,5
74,2
0,2
Cellole
63,0
109,7
47,1
62,6
70,6
0,7
Mondragone
32,8
32,3
59,2
144,3
67,1
0,6
Vairano Patenora
0,0
203,3
0,0
55,2
64,6
0,1
Casagiove
42,3
34,2
69,2
103,1
62,2
0,9
Santa Maria Capua
Vetere
34,3
108,4
44,6
44,8
58,0
0,7
298
andrea procaccini
Comuni
2010
2011
2012
2013
Media
Media
rapporto
Caianello
0,0
0,0
135,2
68,1
50,8
0,3
Piana di Monte Verna
0,0
0,0
101,2
101,5
50,7
0,4
Pignataro Maggiore
38,4
19,3
77,9
38,9
43,7
0,6
Portico di Caserta
16,1
16,3
65,7
65,2
40,8
0,3
Recale
48,9
80,7
32,3
0,0
40,5
0,5
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
In sintesi
In questo capitolo le informazioni relative alla delittuosità estorsiva sono state elaborate adoperando il criterio di aggregazione
territoriale della competenza dei tribunali. La sperimentazione
di tale configurazione spaziale appare opportuna in quanto
permette una comparazione tra realtà territoriali meno estese e più omogenee rispetto a quelle provinciali e, in secondo
luogo, valorizza maggiormente i tassi e gli indicatori elaborati
a livello comunale.
Nel periodo storico preso in esame, complessivamente le
statistiche sul fenomeno estorsivo registrano una lieve diminuzione, calo però che si distribuisce diversamente all’interno
della regione. Sulla base del tasso di incidenza dei denunciati
si può dedurre che: nel Tribunale di Napoli il calo è di oltre 6
punti, passando dal 49,6 del 2010 al 43 del 2013; nel territorio
di Nola la diminuzione è più marcata, di circa 8 punti; nell’area
di Napoli Nord, invece, il valore del tasso rimane pressoché
invariato, diminuendo di appena lo 0,2; un trend crescente,
invece, è osservabile tra i comuni del Tribunale di Torre Annunziata, dove aumenta complessivamente di 12,6 punti, dal 29,1
del 2010 al 41,7 del 2013 e in maniera più evidente nel territorio
del Tribunale di Salerno che, nel giro di pochi anni, vede triplicare l’ammontare del tasso, dal 13,9 del 2010 al 43,6 del 2013.
Sulla scorta della rappresentazione cartografica del fenomeno
la dinamica interna dei fenomeni
299
si può giungere ad una serie di conclusioni: nel territorio del Tribunale di Napoli il fenomeno estorsivo ha ancora un’incidenza
maggiore rispetto a quella delle altre aree territoriali campane;
c’è una seconda area (Nocera Inferiore, Santa Maria Capua Vetere, Torre Annunziata, Nola, Salerno) che si pone al di sotto
di quella del capoluogo di regione e che fa registrare dei valori
contigui al suo interno, infine, l’area irpina e sannita che, pur
con eccezioni di singoli comuni, ottiene dei tassi di incidenza
nettamente inferiori.
L’andamento del fenomeno, però è diversificato all’interno
dei singoli contesti territoriali, in alcuni aumentano sia le denunce, sia le persone denunciate (Avellino, Salerno, Santa Maria
Capua Vetere, Torre Annunziata, Vallo della Lucania); in altri,
viceversa, si registra un calo di entrambe le voci (Benevento,
Napoli e Nola), nei territori di Napoli Nord e Nocera Inferiore,
invece, l’andamento delle variabili esaminate è discordante.
Viepiù, ci sono aree dove, sulla base della disaggregazione dei
dati a livello comunale, si può chiaramente sostenere che il
fenomeno sia esteso alla quasi totalità dei comuni, con delle
variazioni annue contenute, in altri territori, invece, l’incidenza del fenomeno è fortemente concentrata in alcuni centri, o
gruppi di comuni, il caso più eclatante è offerto da Salerno, e
le oscillazioni negli anni sono più vistose.
300
andrea procaccini
Conclusioni
È da decenni, ormai, che l’attenzione di molteplici economisti e
scienziati sociali è incentrata su una ridefinizione e costruzione
di traiettorie diverse dell’idea di sviluppo disancorato sempre
più dalla mera crescita economica e dal parziale e menzognero
prodotto interno lordo. Una visione dello sviluppo che non si
basa più su esclusivi parametri economici ma coniuga l’idea di
progresso con quella di benessere misurato attraverso idonei
strumenti che intercettino dimensioni fondamentali sociali come l’istruzione, la formazione, la salute, la sicurezza, il paesaggio e il patrimonio culturale, l’ambiente, la qualità dei servizi,
l’attenzione alla persona, l’equità, la reciprocità. Dimensioni,
insomma, che misurino il benessere di una società e delle persone attraverso elementi sostantivi capaci di dare conto non
solo della qualità della vita sociale e personale ma del modo in
cui essa sia sostenibile e possano espandersi le possibilità reali
che sia goduta da parte delle persone in modo pienamente
umano la vita1. Dentro questo dibattito internazionale s’inquadra da qualche anno in Italia il decollato progetto di misurare e
valutare il progresso della nostra società alla luce di indicatori
idonei a rilevare un “benessere equo e sostenibile”. Avviato su
circoscritta scala provinciale2, il progetto si è esteso a scala na-
1. Su questo vedi, a. k. sen, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano 2000.
2. istat, Bes delle province. Analisi e ricerche per la valutazione del benessere equo
e sostenibile delle province, Roma 2013; nonché, Istat-Cnel, Rapporto Urbes 2013. Il benessere equo e sostenibile nelle città, Roma 2013.
conclusioni
301
zionale3 migliorando nel tempo la rete dei comuni partecipanti
e includendo le città metropolitane4.
Tra le dodici dimensioni considerate per l’elaborazione e
rappresentazione di questo modo diverso di intendere lo sviluppo vi è la sicurezza, sia nel senso di percezione soggettiva
che di condizione oggettiva, in quanto presupposto cardine
del benessere individuale e delle collettività. Si legge, infatti,
«la sicurezza personale è un elemento fondativo del benessere
degli individui. Essere vittima di un crimine può comportare una
perdita economica, un danno fisico e/o un danno psicologico
dovuto al trauma subito. L’impatto più importante della criminalità sul benessere delle persone è il senso di vulnerabilità
che determina. La paura di essere vittima di atti criminali può
influenzare molto le proprie libertà personali, la propria qualità
della vita e lo sviluppo dei territori»5.
La sicurezza, quindi, è entrata a pieno diritto tra i fattori
che determinano lo sviluppo; come diritto soggettivo e come
risorsa strategica per la convivenza, per il benessere di una collettività, perché senza sicurezza non si può pensare e fare esperienza della libertà e non può esserci sviluppo, progettualità. È
una dimensione che precede ed è interconnessa alla giustizia,
all’economia e alla finanza. Ma la sicurezza non è una risorsa che
può essere garantita dall’esclusiva azione degli apparati dell’ordine pubblico, del controllo sociale, del territorio. Né può essere
circoscritta all’attività di prevenzione e contrasto operata dalle
forze dell’ordine. Se è vero che la sicurezza va esigita come riconoscimento di un diritto civile e sociale da parte di chiunque,
è pur vero che essa va integrata con l’esercizio dei doveri da
parte dello stesso cittadino assicurando la comunità (ancorché
se stesso) dal rischio di rendersi vulnerabili, specialmente in
quelle realtà ove lo strapotere delle organizzazioni criminali
spinge molti imprenditori, commercianti, professionisti, politici
3. istat-cnel, Rapporto Bes, Il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma 2013 e
2014.
4. istat-cnel, Raporto UrBes 2015. Il benessere equo e sostenibile nelle città, Roma
2015.
5. Rapporto Bes, 2014, op. cit. p. 153.
302
a utilizzare i servigi illegali offerti dalla criminalità piuttosto che
denunciarli. La sicurezza è un bene comune che viene alterato
e contraddetto nella misura in cui una quota di coloro che ne
godono piuttosto che partecipare al suo consolidamento ne
minano le basi con comportamenti di assuefazione o addirittura
assoggettamento all’azione criminale.
È questo il clima che ormai in tanti contesti del nostro Paese si va affermando: da un lato chi contribuisce all’insicurezza
oggettiva e dall’altro chi si batte perché sicurezza e legalità
siano ripristinate. Questa contrapposizione in alcune realtà è
più marcata perché resa più esplicita dai caratteri che il fenomeno criminale assume. In Campania e a Napoli che ne è l’area
centrale da anni si combatte una quotidiana lotta tra chi, consapevole che contrastare l’attività estorsiva significa sul nascere
contrastare le organizzazioni criminali, cerca di aprire finestre
di speranza e nuove vie per rendere visibile ciò che altrimenti
pare non esistere. In contrapposizione a chi, invece, non solo
cede alle lusinghe delle sirene del crimine organizzato ma si
accompagna a quanti ritenendo immutabile una condizione finiscono per rafforzarla mediante la propria fuga dalla responsabilità civica. Questa contrapposizione, d’altra parte, trova nelle
condizioni di larghi strati marginali e ampie fasce sociali escluse
dai più elementari diritti di cittadinanza un terreno fecondo per
sbilanciare l’asse verso quelle posizioni, pratiche sociali e quei
comportamenti più idonei ad accogliere le opportunità illegali,
conferendo a queste un riconoscimento e una legittimità che si
esplicita in un repertorio culturale e un’adesione simbolica che
sul registro della quotidianità si traduce da parte di molti giovani in una disponibilità a condividere percorsi illegali. Queste
traiettorie di vita sono utilizzate strumentalmente e selettivamente proprio dai clan per reclutare nuove leve. Ecco perché
preoccupa e desta allarme l’arretramento degli interventi di
welfare verso i minori e le famiglie disagiate, l’indebolimento
degli interventi educativi e di recupero scolastico e sociale di
tantissimi giovani che vivono nelle periferie e le cui aspettative
di felicità maturano solo dentro lo sviluppo di una subcultura
deviante e delinquenziale.
conclusioni
303
Può apparire inadeguata questa correlazione tra un fenomeno specifico (l’estorsione) e le diverse condizioni di degrado
ambientale e sociale entro le quali maturano i destini di tanti
minori le cui vite sono condizionate da un ambiente sociale
fragile al quale sembra impossibile sfuggire. In realtà, come
direbbe Goffman, l’«esposizione contaminante» all’agire del
crimine organizzato è fonte di rilevante preoccupazione perché
non è circoscritta a limitati nuclei familiari o spazi urbani, ma
imbriglia attraverso meccanismi riproduttivi diretti di socializzazione (le lusinghe del successo sociale mediante il crimine;
l’idea del facile guadagno; la legittimità dell’uso della violenza;
una distorta idea di rispetto sociale e senso di appartenenza
al gruppo; l’irrilevanza attribuita alle molteplici trasgressioni
occasionali; un’offerta rassicuratrice e mistificante di tutela alle
scelte individuali) interi segmenti di underclass. Questa esposizione contaminante tende a “normalizzare” le condotte devianti evolvendole, nel tempo, in direzione di un connotato
più delinquenziale e criminale. È ambivalente il rapporto tra
microdelinquenza e crimine organizzato adulto: da un lato,
entro una certa soglia, a livello territoriale i gruppi criminali
organizzati consentono la pratica illegale minorile, la tollerano
e in non pochi casi la favoriscono (sebbene limitatamente alle
aree esterne al quartiere e per particolari tipi di reato). Oltre
una certa soglia, pena lo “sgarro” le attività minorili sono considerate un elemento di disturbo per lo svolgimento dei traffici
ben più lucrativi poiché richiamano l’attenzione e l’attivismo
delle forze di polizia.
Ma la contrapposizione tra chi contribuisce all’insicurezza
oggettiva e chi si batte perché sicurezza e legalità siano ripristinate è ancora più minacciosa perché lo sviluppo degli affari
criminali ha contaminato la middle class, anzi ha esteso e ricevuto presso segmenti professionali della classe borghese,
politici, amministratori e funzionari pubblici, un accreditamento
sociale diretto e indiretto grazie all’offerta di servizi e occasioni
di guadagno. È questo un punto nodale che dovrebbe ancor di
più destare allarme e preoccupazione sociale e che se ristretto
allo specifico dell’attività estorsiva rende visibile le ragioni della
304
particolare attenzione che il fenomeno dovrebbe meritare dal
momento che la sua estensione nel produrre effetti deleteri sui
tessuti sociali ed economici, sulla sicurezza e libertà dei territori
impedisce di ridurre a condizioni marginali il peso e l’influenza
del crimine organizzato.
Il processo di differenziazione dell’attività estorsiva che
come si è compreso da mera pratica estrattiva sempre più si
configura come attività illegale con contenuti “imprenditoriali”
maschera – con l’offerta e l’imposizione di beni, servizi, personale, o la combinazione spesso dell’uso di servizi, attrezzature,
beni della vittima, o l’acquisizione di merci non pagate o scoraggiando la partecipazione ad una gara, ad un appalto di concorrenti – il suo carattere violento. Queste modalità, oltretutto, si
prestano in misura maggiore ad intercettare negli interstizi operativi il consenso e l’utilità da parte della vittima. Ecco perché la
cooperazione tra queste e gli apparati della magistratura e delle
forze dell’ordine è difficile. E si spiega anche perché è interesse
dei clan evitare di “stressare” la vittima. L’affermazione dell’estorsione a carattere più predatorio e violento è figlia ancora di
quei gruppi criminali che o hanno la necessità di impossessarsi
del territorio o abitano uno spazio urbano densamente alloggiato da altri clan o cosche. Quei gruppi che sono consolidati,
che agiscono in regime di monopolio o oligopolio vantando
una forte reputazione criminale hanno cambiato strategia sia
perché il controllo del territorio permette ad essi lo sviluppo di
altri traffici ben più remunerativi, sia perché hanno l’interesse
a dispiegare un’aurea di tranquillità, ordine e redistribuzione
di vantaggi idonea a legittimare lo status quo.
Ed ecco perché la paura è spesso un alibi che nasconde
o condizioni considerate “accettabili” dalle vittime e quindi
non favoriscono le denunce, o vissute come generatrici di veri
e propri vantaggi (come nel caso degli smaltimenti dei rifiuti
aziendali e talora tossici realizzati dalle imprese sia del Nord
che della regione).
Va maturando, allora, nel Paese un paradosso: da un lato,
vi è una maggiore consapevolezza espressa da studiosi, giornalisti, vittime del movimento antiracket, magistrati, esponenti
conclusioni
305
delle forze dell’ordine, degli organismi di rappresentanza del
mondo economico e politico, di spezzoni della società civile
circa la maggiore espansione, articolazione, trasformazione
e dannosità del fenomeno criminale organizzato. Questa consapevolezza sta attraversando l’opinione pubblica rendendola
ogni giorno più sensibile e cosciente dei rischi che corriamo.
Ed effetto di questa maggiore cognizione è la produzione di
un fronte unico, di un movimento d’opinione non frantumato
che con azioni più efficaci e una comunicazione non stucchevole esprime interesse a generare innanzitutto coesione sul
fronte dell’antiracket, alimentare una più costante e incisiva
mobilitazione collettiva idonea a originare una nuova cultura
della legalità e della cittadinanza responsabile, della sicurezza
partecipata. Insomma, una più potente azione partecipata di
contrasto al crimine organizzato innanzitutto ancorata ad una
effettiva strategia di demolizione del muro di silenzio e dei luoghi comuni che impediscono di uscire allo scoperto. Dall’altro,
però, la mimetizzazione effettuata da molte organizzazioni
criminali, la scelta di operare nelle forme più latenti e profonde che animano l’economia e la finanza, di agire colonizzando
le amministrazioni locali, intercettando le risorse pubbliche e
reclutando anche se con modalità d’azione esterne al core del
network criminale personale strategicamente inserito nel sistema economico, politico, finanziario, commerciale e persino
della giustizia, rende più difficile e complessa l’identificazione
del profilo criminale.
Vi è il rischio, quindi, che la forte invisibilità e il marcato mascheramento che l’attività estorsiva va assumendo nel Paese
declassi l’atto nella percezione collettiva al rango di semplice
evento illegale, se non addirittura di fatto immorale, piuttosto
che criminale e comunque violento, abbassando inevitabilmente la reazione sociale. Non è un caso che la strategia intimidatoria fondata su atti eclatanti contro le vittime riottose tende
a ridursi. In Campania, come abbiamo visto, osservare i reati
“spia” rende ragione delle dimensioni dell’attività estorsiva fino
a un certo punto. Tranne Napoli, infatti, che vede incrementare quasi del 5% il volume degli atti intimidatori denunciati nel
306
periodo 2010-2013 (la cui media nel periodo è pari al 48% del
totale regionale) e Salerno del 3%, le altre tre province o fanno
registrare percentuali stabili o in decremento lungo lo stesso
periodo, tanto che l’incremento medio per il periodo nella regione è di appena l’1%. E si badi bene che stiamo parlando di
un tasso medio di vittimizzazione calcolato sulla popolazione
(14-80 anni) per il periodo 2010-2013 che nell’intera regione è
pari al 19,1.
Occorrerà spostare l’attenzione, ancorché ai reati “spia”
alle attività economiche “spia” (come i compro oro; i centri
scommesse; alcune tipologie commerciali della ristorazione).
L’elevata disponibilità di ingenti e immediate risorse economiche, infatti, pone quelle organizzazioni criminali che si evolvono
in holding dedite al riciclaggio e all’investimento dei lauti guadagni provenienti dalle attività illegali territoriali nella condizione
di costruire efficaci reti nazionali (e transnazionali) basate proprio sul contributo professionale di quelle competenze diverse
(bancarie, commerciali, finanziarie, politiche, imprenditoriali,
giuridiche) idonee a contaminare i mercati legali e le economie
e attività finanziarie. In molte realtà del Paese la penetrazione
nei mercati legali non avviene attraverso strategie intimidatorie
(la violenza è nel retroscena) ma mediante una lenta, oculata, selettiva ed efficace azione di avvicinamento alla “preda”
(aziende, imprenditori, banche, finanziarie, commercianti,
distributori) funzionale all’utilizzo diversificato rispetto agli
obiettivi dell’organizzazione: utilizzare il network aziendale
nazionale ed estero per riciclare danaro o entrare nei mercati
esteri; sostenere economicamente l’imprenditore per poi impadronirsi dell’impresa; compartecipare all’attività di impresa
per investimenti finanziari; utilizzare le finanziarie come nodi
di riciclaggio; acquisire le attività commerciali per entrare nei
mercati locali e riciclare danaro. È questa, in sintesi, la colonizzazione illegale dell’economia: curvare i mercati della produzione
e quelli della finanza agli interessi delle organizzazioni criminali.
La capitalizzazione delle liquidità avviene attraverso un diversificato modo di investire e riciclare le risorse provenienti
dai traffici e dalle attività illegali che investe il mercato e vede,
conclusioni
307
al contempo, la sfera pubblica dell’azione amministrativa come
ulteriore terreno di caccia. Enti locali, Asl, ospedali, partecipate pubbliche, società miste, consorzi, strutture sociosanitarie
sono tutti ambiti dai quali diparte la spesa e l’offerta di servizi
pubblici, gare, appalti, concessioni e costituiscono per i clan più
organizzati e radicati sui territori opportunità per intercettare
risorse pubbliche infiltrandosi con modalità mimetiche, silenziose e talvolta forzate.
Infatti, nella relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali approvata nel febbraio scorso6, si mette
in risalto il carattere “plurioffensivo” e la natura “polimorfica”
del fenomeno, dovuti alla eterogeneità delle motivazioni e della
modalità attuativa dell’intimidazione. Quest’ultima, oltretutto,
tende a manifestarsi oltre le forme tradizionali connesse ad
atti più o meno violenti per affermarsi, specie se è inscenata
da organizzazioni criminali, proprio attraverso strategie di condizionamento più latenti, intese a conseguire finalità illecite
mediante il controllo dei flussi di spesa pubblica ripartita nei
vari settori e riguardante gli appalti di servizi e forniture, i lavori pubblici, la realizzazione delle opere infrastrutturali locali,
la gestione del territorio. Pur essendo un fenomeno territorialmente diffuso a livello nazionale non c’è uniformità, anzi
l’articolazione delle situazioni di contesto rende il fenomeno
intimidatorio composto tra i poli dell’esercizio diretto e arbitrario delle proprie ragioni figlio della sistematica volontaria esclusione del ricorso alla legge e il manifesto esercizio arrogante
della sovranità territoriale da parte del crimine organizzato di
stampo mafioso.
Nella relazione si rimarca la maggiore incidenza del fenomeno nelle realtà locali del Mezzogiorno (61,7% tra il 2013 e il
primo quadrimestre del 2014: di cui il 34,2% nel Sud e il 27,5%
nelle Isole)7 e tra le motivazioni sottese ai diversi episodi registrati si richiamano le condizioni di degrado e di malessere
6.
7.
308
Cfr. Senato della Repubblica, XVII Legislatura, doc. XXII-bis, n. 1
Ibidem, p. 42.
sociale (di cui per es. le proteste per il diritto alla casa; le tensioni legate all’abusivismo edilizio, alle demolizioni di immobili
già abitati o destinati ad attività produttive; quelle collegate
ai lavori socialmente utili, o alle scelte di sostegno al reddito),
così come non circoscritti episodi risultano a carico e in pregiudizio di amministratori la cui matrice ricade al di fuori della
carica istituzionale e del profilo pubblico espresso. Tuttavia,
si sottolinea che la parte più significativa è determinata e riferita al crimine organizzato e alle diverse forme perseguite
per infiltrarsi nel tessuto amministrativo e attraverso esso in
quello economico alterando le regole del mercato e della stessa
vita politica e istituzionale. Il meccanismo che ha reso e rende
possibile questa pervasiva, capillare e subdola penetrazione
istituzionale si fonda sull’esercizio del controllo della rete delle
relazioni sociali, economiche e istituzionali e sulla capacità di
intercettare le tensioni sociali, alimentarle strumentalmente e
proporre soluzioni perniciose idonee solo a consolidare il circuito perverso del profitto illegale. Non è un caso che il potere
regolativo attribuito ai Comuni sull’attività e gestione urbanistica del territorio e sull’edilizia, la gestione dei servizi connessi
alla raccolta e smaltimento dei rifiuti, l’ambito estrattivo con la
connessa gestione delle cave costituiscono settori sui quali si
avverte in forte misura l’influenza esercitata dalla criminalità
organizzata la cui azione si dispiega alimentando l’espansione
edilizia abusiva, realizzando l’attività di escavazione abusiva,
infiltrando la complessa filiera che governa la materia dei rifiuti,
alterando l’attribuzione degli appalti attraverso la proposizione
di ribassi consistenti, di affidamenti in subappalto, o di prassi
corruttele, o elusive degli obblighi normativi o procedurali8.
Una variegata azione facilitata spesso dall’inerzia degli amministratori locali, dalla fallacia e incapacità di governare i territori locali, o dall’assenza di ogni minimo controllo e vigilanza
8. È il caso degli appalti c.d. “sotto soglia” (previsti per impegni di spesa tra i 40 mila
e gli 80 mila euro) per i quali le amministrazioni comunali possono decidere in modo
ampiamente discrezionale ricorrendo a elenchi di imprese “di fiducia”, e degli appalti
“sopra soglia” per i quali molti comuni ricorrono all’espediente di frammentare i servizi
o i lavori da assegnare in modo da poter ricorrere all’affidamento diretto dell’appalto.
conclusioni
309
sulle attività, fino addirittura all’acquiescenza o alla compromissione. È esattamente questo lo sfondo che si coglie nelle
affermazioni, in audizione, del procuratore della Repubblica
presso il tribunale di Napoli: «quasi tutti gli scioglimenti dei
consigli comunali delle amministrazioni locali si verificano per
un giro d’affari legato agli appalti o all’espansione edilizia (…)
interi quartieri sono stati costruiti dalla criminalità organizzata
senza alcun permesso di costruire e senza alcun intervento
locale (producendo) una enorme lottizzazione abusiva»9.
Una spirale, quindi, che alimentata dalla cementificazione abusiva nutre il controllo del mercato e della filiera edilizia,
dell’attività estrattiva abusiva e della trasformazione delle cave
in discariche da parte dei gruppi criminali organizzati che, oltretutto, per legittimarsi sostengono anche le proteste contro
le demolizioni di immobili abusivi, sottoponendo, nel frattempo le imprese in edilizia ad ogni forma di estorsione. Non è
difficile la riconoscibilità del connubio di interessi criminali e
imprenditoriali in un segmento di attività economiche ove ormai da decenni la camorra che fa capo ai casalesi ha imposto
il proprio dominio trasformando il pizzo in una più redditizia
attività di forniture e servizi a clan e imprese compiacenti. Si
capisce allora perché, per esempio, la provincia di Caserta, è
stata interessata da una imponente crescita del parco edilizio
che tra il 1991 e il 2000 si estende del 400% a fronte di una
popolazione residente lievitata tra il 1971 e il 2001 appena del
25,8%. Simili interconnessioni finiscono per rafforzare i poteri
di controllo, intermediazione e gestione delle attività economiche riconnesse all’ampia attività delle amministrazioni locali
costituendo un terreno ideale per i clan locali su cui sviluppare
pratiche corruttive, attività estorsive, forme sottili e invisibili di
condizionamento. È una spirale che non è necessariamente una
sorta di indicatore di vulnerabilità all’ingresso del fenomeno
estorsivo, ma certamente ne predetermina la sua espansione.
Da qui l’obbligo della vigilanza, della denuncia, del controllo da
parte di amministratori, pubblici ufficiali e incaricati di pubblico
9.
310
Cfr. Senato della Repubblica, op. cit., p. 114.
servizio. Un obbligo che deriva innanzitutto dalla necessità di
alimentare il capitale civile nei contesti locali e rafforzare la rete
di fiducia tra le diverse componenti istituzionali per arginare e
contrastare gli interessi della criminalità organizzata.
Non è certo sufficiente, ma occorre insistere. Insistere nel
motivare chiunque si trovi di fronte a tentativi di soggezione o
condizionamento a denunciare. La strada dell’incentivazione
alla denuncia prende diverse traiettorie: nel settembre 2014,
ad esempio, la giunta comunale di Napoli ha adottato un provvedimento amministrativo che tende a compattare istituzioni, categorie economiche, cittadinanza, associazionismo. Una
norma che prevede per tre anni l’esenzione del pagamento di
tutti i tributi e le tasse comunali da parte di chiunque denunci
una condizione di esposizione ascrivibile ai reati di estorsione o usura verificatisi sul territorio comunale10. È evidente che
il senso dell’iniziativa è duplice: sostenere come istituzione
amministrativa locale la scelta della denuncia (orientamento
praticato ormai da diversi comuni), erodere la ritrosia delle vittime a rendere pubblica una condizione di sudditanza, paura o
disagio economico originato da scelte sbagliate e al contempo
lanciare un segnale in direzione del dialogo istituzionale, della
mobilitazione e della sinergia fra i diversi soggetti che contrastano questi reati. È presto per dire se sarà un atto idoneo a
frantumare il muro del silenzio, tuttavia occorre fare breccia
nell’assuefazione delle vittime.
L’analisi che si è sviluppata nelle pagine precedenti ha posto in risalto quanto siano diverse le posizioni delle vittime,
quanto l’estorsione sia modulata sulla base del profilo della
vittima e come le posizioni non siano riconducibili all’esclusivo
paradigma dell’imposizione mafiosa tant’è che la pluralità di
contiguità (da quella “soggiacente” a quella “compiacente”)
alla criminalità organizzata campana lascia spazio a situazioni
10. Il testo prevede che l’esenzione per tre anni è attribuita al denunciante «dal momento in cui viene emessa una sentenza di condanna in primo grado nei confronti dei
denunciati, riconosciuti responsabili dei reati per cui siano stati chiamati in giudizio anche
sulla base della denuncia effettuata e della testimonianza resa in sede processuale dal
soggetto che avanzi al Comune la richiesta di esenzione».
conclusioni
311
di interrelazione con il tessuto economico e sociale tali da rendere ancora più complicato il già articolato dibattito dottrinario
sulla discussa ammissibilità del concorso esterno. D’altra parte
il profilo variegato della vittima è in qualche misura speculare
a quello del suo carnefice. Tant’è che è apparso chiaro quanto
modalità attuative dell’estorsione, tipologia di relazione che si
stabilisce tra estorto ed estorsore, funzione e tipo di estorsione
siano connesse e dipendano dalla configurazione e struttura
organizzativa dei gruppi campani, dal contesto di azione e dai
legami forti o deboli interni alle reti di relazioni che sottostanno
alla trama su cui si regge l’impianto degli interessi e dell’operatività dei clan campani.
Alcune rilevanze empiriche sulla differenziazione territoriale del fenomeno estorsivo in Campania hanno dato conto di
quanto esso sia cambiato, di come si stia diffondendo anche
in territori un tempo considerati immuni e come il superiore
carattere imprenditoriale mascherando il profondo motivo violento dell’imposizione risponda, seppure in contesti diversi,
alla primaria esigenza di coniugare rendimento economico e
controllo territoriale.
Le politiche di contrasto al racket, allora, dovranno tenere
conto di queste trasformazioni e considerare la stagione che ha
visto l’affermazione delle leggi 44 e 512 nel 1999 come propedeutica alla ricerca di nuovi strumenti giuridici capaci di aumentare la partecipazione responsabile dei cittadini all’attuazione
di una più efficace sicurezza che se non coniuga in un nuovo
senso la prevenzione – il cui atto originario è la denuncia inteso
come evento partecipativo responsabile alla costruzione della
sicurezza – e il contrasto, mediante lo strumento associativo, la
costituzione di parte civile nei processi, la sottrazione e confisca
dei beni accumulati da parte di tutti i sodali che costituiscono e
integrano la rete criminale, vi è il reale rischio di vanificare ogni
sforzo investigativo e ogni azione da parte della magistratura
inquirente. Da qui, allora, l’esigenza di riformare la normativa
in direzione di una maggiore premialità per chi assume in senso
più responsabile il significato della cittadinanza partecipativa
civile e un sanzionamento negativo più duro per quanti invece
312
trovano nelle forme di assuefazione e assoggettamento un
modo per ritagliarsi vantaggi di qualsiasi tipo.
Il territorio regionale campano presenta ancora ingenti
risorse (culturali, ambientali, umane, naturali, sociali) idonee
a generare itinerari di sviluppo sostenibile e migliorare le
condizioni che oggi appaiono ancora molto fragili sul piano
sociale ed economico. Tuttavia, per capitalizzare tali risorse
è condizione necessaria edificare sicurezza e legalità senza le
quali permarrà nella regione l’apicale rischio, rispetto ad altre
parti del Paese, che le attività economiche, le amministrazioni
locali e le persone restino in una strutturale condizione di
incertezza ambientale marcata fortemente dall’influenza e
presenza del crimine organizzato i cui effetti innalzeranno
ulteriormente i costi sociali.
conclusioni
313
Allegato metodologico
debora amelia elce
Al fine di delineare un quadro complessivo del fenomeno estorsivo in Campania, dopo un’approfondita ricognizione della
letteratura scientifica esistente, si è passati all’analisi dell’andamento della delittuosità estorsiva, a livello nazionale, macroripartizionale, regionale, provinciale e comunale campano. L’analisi quantitativa del fenomeno estorsivo è avvenuta mediante
la raccolta, prima, e l’elaborazione, poi, dei dati statistici relativi:
–– ai collaboratori di giustizia, a livello nazionale e regionale,
per il periodo 1995-2013, fonte Ministero dell’Interno - Dipartimento di Pubblica Sicurezza;
–– ai delitti di estorsione denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria, a livello nazionale e regionale, per il periodo 1998-20131, a livello provinciale e comunale campano,
per il periodo 2007-2013, fonte Istat - sdi/ssd;
–– alle persone denunciate dalle forze di polizia all’autorità
giudiziaria, a livello nazionale e regionale per il periodo
1998-2013, e a livello provinciale e comunale campano per
il periodo 2007-2013, fonte Istat - sdi/ssd;
–– agli autori2 e alle vittime di delitto, a livello nazionale e regionale per il periodo 2007-2011, a livello provinciale campano
per il periodo 2007-2013, fonte Istat - sdi/ssd;
1. Risulta necessario, a tal proposito, precisare che i dati sulla delittuosità in Italia
sono stati raccolti, sino al 2003, utilizzando il mod. cartaceo 165, mentre, è stato solo a
partire dal 2004 che sono stati trasmessi nella banca dati sdi (Sistema d’Indagine) attiva
presso il ced interforze, il che rende le due serie di dati non direttamente comparabili,
in quanto occorre tenere presente che: a) lo sdi viene alimentato da tutte le forze di
Polizia e dagli Uffici di P.G., compresa la Polizia penitenziaria, la Direzione Investigativa
Antimafia, il Corpo forestale dello Stato, le Capitanerie di porto e, indirettamente, i corpi
di polizia locali, mentre il modello 165 era compilato solo da Polizia di Stato, Arma dei
Carabinieri e Guardia di Finanza; b) esistono rilevanti differenze relative alle categorie
e sottocategorie di reato considerate, che solo parzialmente coincidono; c) se il mod.
165 era consolidato mensilmente, lo SDI consente agli operatori di aggiornare i dati
inseriti fino alla fase di consolidamento.
2. Si è ritenuto opportuno procedere nell’elaborazione dei dati tenendo distinti: a)
i dati relativi alle caratteristiche degli autori segnalati per il delitto di estorsione; b) dai
dati relativi alle persone denunciate/arrestate dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria per il delitto di estorsione, in quanto i dati sulle caratteristiche socio demografiche
degli autori possono non coincidere con il dato sulle segnalazioni a causa della diversa
tempistica di estrazione dagli archivi delle Forze di Polizia.
316
debora amelia elce
–– alla popolazione residente al 1° gennaio, di età compresa tra i
14 e gli 80 anni3, a livello nazionale e regionale, per il periodo
1998-2013, su scala provinciale e comunale (per la regione
Campania), per il periodo 2007-2013, fonte Istat.
I dati esaminati sono stati elaborati al fine di consentire uno
studio statico e dinamico del fenomeno criminale estorsivo.
L’obiettivo che l’équipe ha inteso perseguire è stata la stima
dell’andamento e della distribuzione del numero di delitti denunciati, delle persone denunciate/arrestate, degli autori e delle
vittime di reati estorsivi. In tal modo, è stato possibile evidenziare le trasformazioni che hanno interessato il fenomeno estorsivo in Italia e che sono tutt’ora in corso, nonché le differenze
esistenti tra le macro-ripartizioni territoriali, tra le regioni, e, in
particolare, per la regione Campania, tra le province campane
e i capoluoghi di provincia in riferimento alle dinamiche legate
ai delitti di estorsione.
Per questo motivo, in primo luogo si è proceduto per i delitti, le persone denunciate e arrestate, per gli autori e per le
vittime, al calcolo:
a. delle medie mobili, su intervalli di tre anni;
b. delle variazioni percentuali annue e storiche4;
c. dei rapporti di composizione:
3. La popolazione definita di riferimento appartiene alla coorte 14-80, poiché si
ritiene che per il reato in oggetto le ali che precedono e superano quest’ampia coorte
restano poco significative e rappresentative di eventuali profili di vittime, nonché, di
autori. Tale coorte sul totale della popolazione a livello nazionale rappresenta, inoltre,
per l’intero arco di tempo considerato, in media, più dell’80% dell’intera popolazione.
x x
4. Nel caso specifico della variazione storica (Variazione 1x0 0 % ) si è inteso considerare
con x1 il valore registrato nell’ultimo anno della serie considerata, e con x0 il valore a
un momento iniziale.
allegato metodologico
317
Rapporto di composizione 1 =
N. eventi A per macro-ripartizione (al tempo t1 )
%
N. eventi A a livello nazionale (al tempo t1 )
Rapporto di composizione 2 =
N. eventi A per regione (al tempo t1 )
%
N. eventi A a livello nazionale (al tempo t1 )
Rapporto di composizione 3 =
N. eventi A per provincia (al tempo t1 )
%
N. eventi A a livello regionale (al tempo t1 )
Successivamente, sono stati elaborati tassi specifici di criminalità
estorsiva, tassi medi e variazioni storiche dei tassi considerando:
–– il numero di delitti denunciati, le persone denunciate, le
vittime e gli autori, a livello nazionale, macro-ripartizionale,
regionale, provinciale e comunale campano;
–– la popolazione specifica d’interesse:
Tasso di criminalità estorsiva=
N. eventi (al t empo t1 )
*10 5
Popolazione 14-80 anni (al tempo t 1 )
Infine, per comprendere le diverse dinamiche che rientrano
nella delittuosità estorsiva, sono stati elaborati rapporti di derivazione, in relazione al numero di persone denunciate e al
numero di vittime di estorsione sui delitti denunciati:
Rapporto di derivazione 1 =
N. persone denunciate/arrestate
Delitti denunciati
Rapporto di derivazione 2 =
N. vittime di delitto
Delitti denunc iati
318
debora amelia elce
Sezione A
Livello macro-ripartizionale
320
debora amelia elce
1999
726
411
589
1.255
724
3.705
1998
628
390
597
1.204
715
3.534
680
376
524
1.244
618
3.442
2000
671
407
655
1.415
601
3.749
2001
708
434
676
1.231
579
3.628
2002
863
443
611
1.302
532
3.751
2003
1.120
636
867
2.039
751
5.413
2004
1.112
658
834
2.189
766
5.559
2005
1.110
582
740
2.264
704
5.400
2006
1.359
752
980
2.509
945
6.545
2007
1.408
872
1.133
2.402
831
6.646
2008
1.365
771
966
2.278
809
6.189
2009
1999
%
15,6
5,4
-1,3
4,2
1,3
4,8
1998
%
-
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
Macroripartizioni
%
-6,3
-8,5
-11,0
-0,9
-14,6
-7,1
2000
%
-1,3
8,2
25,0
13,7
-2,8
8,9
2001
%
5,5
6,6
3,2
-13,0
-3,7
-3,2
2002
%
21,9
2,1
-9,6
5,8
-8,1
3,4
2003
%
29,8
43,6
41,9
56,6
41,2
44,3
2004
%
-0,7
3,5
-3,8
7,4
2,0
2,7
2005
%
-0,2
-11,6
-11,3
3,4
-8,1
-2,9
2006
%
22,4
29,2
32,4
10,8
34,2
21,2
2007
%
3,6
16,0
15,6
-4,3
-12,1
1,5
2008
VM
979
561
764
1.778
715
4.797
%
-3,1
-11,6
-14,7
-5,2
-2,6
-6,9
2009
Tabella A2 - Delitti di estorsione denunciati, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 1998-2009
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat
Macroripartizioni
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
VS
%
117,4
97,7
61,8
89,2
13,1
75,1
11.750
6.732
9.172
21.332
8.575
57.561
Totale
Tabella A1 - Delitti di estorsione denunciati, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 1998-2009
allegato metodologico
321
1999
5,8
4,7
6,4
11,1
13,4
7,8
1998
5,0
4,4
6,5
10,7
13,3
7,5
5,4
4,2
5,7
11,0
11,4
7,3
2000
5,3
4,6
7,1
12,5
11,1
7,9
2001
5,6
4,9
7,4
10,9
10,7
7,7
2002
6,9
5,0
6,7
11,5
9,9
7,9
2003
8,8
7,1
9,4
18,0
13,9
11,4
2004
8,7
7,3
9,0
19,2
14,1
11,6
2005
8,7
6,4
8,0
19,9
13,0
11,3
2006
10,7
8,2
10,6
22,1
17,4
13,7
2007
11,0
9,5
12,1
21,1
15,3
13,8
2008
10,6
8,3
10,3
20,0
14,9
12,8
2009
7,4
6,0
8,1
15,0
13,0
9,7
TM
1999
%
19,6
11,1
15,9
33,9
19,5
100
1998
%
17,8
11,0
16,9
34,1
20,2
100
%
19,8
10,9
15,2
36,1
18,0
100
2000
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
Macroripartizioni
%
17,9
10,9
17,5
37,7
16,0
100
2001
%
19,5
12,0
18,6
33,9
16,0
100
2002
%
23,0
11,8
16,3
34,7
14,2
100
2003
%
20,7
11,7
16,0
37,7
13,9
100
2004
%
20,0
11,8
15,0
39,4
13,8
100
2005
%
20,6
10,8
13,7
41,9
13,0
100
2006
%
20,8
11,5
15,0
38,3
14,4
100
2007
%
21,2
13,1
17,0
36,1
12,5
100
2008
%
22,1
12,5
15,6
36,8
13,1
100
2009
Tabella A4 - Delitti di estorsione denunciati, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 1998-2009
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat
Macroripartizioni
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
RCM
%
20,2
11,6
16,0
36,7
15,2
100
112,8
87,9
57,3
87,2
11,8
70,9
V S%
Tabella A3 - Delitti di estorsione denunciati, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso
medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 1998-2009
322
debora amelia elce
2008
1.649
978
1.301
3.701
1.245
8.874
2007
1.402
809
1.127
3.686
1.245
8.269
1.521
955
1.179
3.340
1.146
8.141
2009
1.543
833
1.301
3.392
1.182
8.251
2010
1.677
809
1.526
3.692
1.161
8.865
2011
2008
%
17,6
20,9
15,4
0,4
0,0
7,3
2007
%
-
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
Macroripartizioni
%
-7,8
-2,4
-9,4
-9,8
-8,0
-8,3
2009
%
1,4
-12,8
10,3
1,6
3,1
1,4
2010
VM
1.558
877
1.287
3.562
1.196
8.480
%
8,7
-2,9
17,3
8,8
-1,8
7,4
2011
Tabella A6 - Autori di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2011
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Macroripartizioni
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
Tabella A5 - Autori di estorsione, valore assoluto e medio, totale del periodo (Totale). Anni 2007-2011
VS
%
19,6
0,0
35,4
0,2
-6,7
7,2
7.792
4.384
6.434
17.811
5.979
42.400
Totale
allegato metodologico
323
2008
12,9
10,6
13,9
32,5
22,9
18,4
2007
11,0
8,9
12,2
32,4
23,0
17,3
11,8
10,3
12,5
29,3
21,0
16,8
2009
12,0
9,0
13,8
29,7
21,7
17,0
2010
13,0
8,7
16,1
32,4
21,3
18,3
2011
12,1
9,5
13,7
31,3
22,0
17,6
TM
15,1
100
Sud
Isole
Totale Italia
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
41,7
44,6
Centro
100
14,0
11,0
14,7
9,8
13,6
Nord est
18,6
%
%
17,0
2008
2007
Nord ovest
Macroripartizioni
100
14,1
41,0
14,5
11,7
18,7
%
2009
100
14,3
41,1
15,8
10,1
18,7
%
2010
100
13,1
41,6
17,2
9,1
18,9
%
2011
Tabella A8 - Autori di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2011
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Macroripartizioni
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
100
14,1
42,1
15,1
10,3
18,4
%
RCM
18,5
-1,8
32,5
-0,2
-7,3
5,9
V S%
Tabella A7 - Autori di estorsione, tasso di estorsione popolazione 14-80 per 100.000 ab, tasso medio (TM), variazione
storica percentuale (VS%). Anni 2007-2011
324
debora amelia elce
2008
1.468
886
1.152
2.345
860
6.711
2007
1.396
814
1.019
2.532
938
6.699
1.348
788
964
2.303
792
6.195
2009
1.320
654
983
1.984
699
5.640
2010
1.356
650
1.133
2.228
662
6.029
2011
1.378
758
1.050
2.278
790
6.255
VM
-
-
-
-
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
-
Nord est
0,2
-8,3
-7,4
13,1
8,8
5,2
%
%
-
2008
2007
Nord ovest
Macro
ripartizioni
-7,7
-7,9
-1,8
-16,3
-11,1
-8,2
%
2009
-9,0
-11,7
-13,9
2,0
-17,0
-2,1
%
2010
6,9
-5,3
12,3
15,3
-0,6
2,7
%
2011
Tabella A10 - Vittime di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2011
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Macro
ripartizioni
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
Tabella A9 - Vittime di estorsione, valore assoluto e medio (VM) totale del periodo (Totale). Anni 2007-2011
-10,0
-29,4
-12,0
11,2
-20,1
-2,9
VS
%
6.888
3.792
5.251
11.392
3.951
31.274
Totale
allegato metodologico
325
11,0
8,9
11,0
22,3
17,3
14,0
11,5
9,6
12,3
20,6
15,8
13,9
2008
10,5
8,5
10,2
20,2
14,5
12,8
2009
10,3
7,1
10,4
17,4
12,8
11,6
2010
10,5
7,0
12,0
19,5
12,1
12,4
2011
TM
10,7
8,2
11,2
19,9
14,4
12,9
2008
%
21,9
13,2
17,2
34,9
12,8
100
2007
%
20,8
12,2
15,2
37,8
14,0
100
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
Macro ripartizioni
%
21,8
12,7
15,6
37,2
12,8
100
2009
%
23,4
11,6
17,4
35,2
12,4
100
2010
%
22,5
10,8
18,8
37,0
11,0
100
2011
Tabella A12 - Vittime di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2011
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
2007
Macro ripartizioni
Nord ovest
Nord est
Centro
Sud
Isole
Totale Italia
RCM
%
22,1
12,1
16,8
36,4
12,6
100
V S%
-3,8
-21,6
8,8
-12,3
-29,8
-11,1
Tabella A11 - Vittime di estorsione, tasso di estorsione popolazione 14-80 per 100.000 ab, tasso medio (TM), variazione
storica percentuale (VS%). Anni 2007-2011
Sezione B
Livello regionale
allegato metodologico
327
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010
VM Totale
274
262 286
275
307
312
392
374
352 449 434
416 409 349 4.542
7
2
3
4
5
4
5
11
4
9
9
9
3
6
75
259 369
331
316
333 468 608 642 653
771
813
805 797
551
7.165
66
47
32
21
28
26
44
52
40
51
66
38
50
43
561
131
138
110
121
156
143
240
232
231
301
330
273
273
206 2.679
35
66
42
52
52
66
66
57
61
74
53
65
63
58
752
88
93
60
76
63
79
115
93
101
128
152
135
154
103
1.337
158
160
192
213
198
208 286
317
250
326
423
395 290 263
3.416
143
148
162
168
212
205
272
303 246
315
308
315
317
240
3.114
17
51
27
43
30
42
74
55
58
55
75
66
65
51
658
63
71
70
72
73
81
111
102
87
139
165
138
123
100
1.295
374
319
265
372
361
283
410
374 349 349 585 447
517
385 5.005
55
73
60
85
66
94
126
155
128
140
156
148
163
111
1.449
12
21
25
23
27
24
38
36
29
42
22
35
27
28
361
475 480
511
476
517
565 905 955 1.101 1.227 1.200 1.098 1.021 810 10.531
378 390 374
533
332
330
622
635
571
667 618 638 565
512
6.653
45
44
51
35
34
32
40
56
41
56
62
80
51
48
627
239
247
223
263
255
257
305
352
393 374
343
279
311
295
3.841
591
599
517
526 493 458 629 669 585
811
697 689 650 609 7.914
124
125
101
75
86
74
123
98
119
134
134
120
143
112
1.456
3.534 3.705 3.442 3.749 3.628 3.751 5.411 5.568 5.399 6.418 6.645 6.189 5.992 4.879 63.431
1998
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
* La somma dei delitti, delle persone, degli autori e delle vittime, distinti per regioni può non coincidere con il totale Italia a causa
della mancata precisazione, per alcuni delitti, del luogo ove sono stati commessi
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni*
Regioni
Tabella B1 - Delitti di estorsione denunciati, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 1998-2010
328
debora amelia elce
1998/
2000
274,0
4,0
319,7
48,3
126,3
47,7
80,3
170,0
151,0
31,7
68,0
319,3
62,7
19,3
488,7
380,7
46,7
236,3
569,0
116,7
3.560,3
1999/
2001
274,3
3,0
338,7
33,3
123,0
53,3
76,3
188,3
159,3
40,3
71,0
318,7
72,7
23,0
489,0
432,3
43,3
244,3
547,3
100,3
3.632,0
2000/
2002
289,3
4,0
326,7
27,0
129,0
48,7
66,3
201,0
180,7
33,3
71,7
332,7
70,3
25,0
501,3
413,0
40,0
247,0
512,0
87,3
3.606,3
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2001/
2003
298,0
4,3
372,3
25,0
140,0
56,7
72,7
206,3
195,0
38,3
75,3
338,7
81,7
24,7
519,3
398,3
33,7
258,3
492,3
78,3
3.709,3
2002/
2004
337,0
4,7
469,7
32,7
179,7
61,3
85,7
230,7
229,7
48,7
88,3
351,3
95,3
29,7
662,3
428,0
35,3
272,3
526,7
94,3
4.263,3
2003/
2005
359,3
6,7
572,7
40,7
205,0
63,0
95,7
270,3
260,0
57,0
98,0
355,7
125,0
32,7
808,3
529,0
42,7
304,7
585,3
98,3
4.910,0
2004/
2006
372,7
6,7
634,3
45,3
234,3
61,3
103,0
284,3
273,7
62,3
100,0
377,7
136,3
34,3
987,0
609,3
45,7
350,0
627,7
113,3
5.459,3
2005/
2007
391,7
8,0
688,7
47,7
254,7
64,0
107,3
297,7
288,0
56,0
109,3
357,3
141,0
35,7
1.094,3
624,3
51,0
373,0
688,3
117,0
5.795,0
2006/
2008
411,7
7,3
745,7
52,3
287,3
62,7
127,0
333,0
289,7
62,7
130,3
427,7
141,3
31,0
1.176,0
618,7
53,0
370,0
697,7
129,0
6.154,0
Tabella B2 - Delitti di estorsione denunciati, medie mobili, intervallo di 3 anni. Anni 1998-2010
2007/
2009
433,0
9,0
796,3
51,7
301,3
64,0
138,3
381,3
312,7
65,3
147,3
460,3
148,0
33,0
1.175,0
641,0
66,0
332,0
732,3
129,3
433,0
2008/
2010
419,7
7,0
805,0
51,3
292,0
60,3
147,0
369,3
313,3
68,7
142,0
516,3
155,7
28,0
1.106,3
607,0
64,3
311,0
678,7
132,3
419,7
allegato metodologico
329
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
EmiliaRomagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Regioni
1999
%
-4,4
-71,4
42,5
-28,8
5,3
88,6
5,7
1,3
3,5
200,0
12,7
-14,7
32,7
75,0
1,1
3,2
1998
%
-
-
-
9,5
-47,1
-1,4
-16,9
-17,8
19,0
6,5
-4,1
20,0
%
9,2
50,0
-10,3
-31,9
-20,3
-36,4
-35,5
2000
3,7
59,3
2,9
40,4
41,7
-8,0
-6,8
42,5
10,9
%
-3,8
33,3
-4,5
-34,4
10,0
23,8
26,7
2001
26,2
-30,2
1,4
-3,0
-22,4
17,4
8,6
-37,7
-7,0
%
11,6
25,0
5,4
33,3
28,9
0,0
-17,1
2002
-3,3
40,0
11,0
-21,6
42,4
-11,1
9,3
-0,6
5,1
%
1,6
-20,0
40,5
-7,1
-8,3
26,9
25,4
2003
32,7
76,2
37,0
44,9
34,0
58,3
60,2
88,5
37,5
%
25,6
25,0
29,9
69,2
67,8
0,0
45,6
2004
11,4
-25,7
-8,1
-8,8
23,0
-5,3
5,5
2,1
10,8
%
-4,6
120,0
5,6
18,2
-3,3
-13,6
-19,1
2005
-18,8
5,5
-14,7
-6,7
-17,4
-19,4
15,3
-10,1
-21,1
%
-5,9
-63,6
1,7
-23,1
-0,4
7,0
8,6
2006
28,0
-5,2
59,8
0,0
9,4
44,8
11,4
16,8
30,4
%
27,6
125,0
18,1
27,5
30,3
21,3
26,7
2007
-2,2
36,4
18,7
67,6
11,4
-47,6
-2,2
-7,3
29,8
%
-3,3
0,0
5,4
29,4
9,6
-28,4
18,8
2008
2,3
-12,0
-16,4
-23,6
-5,1
59,1
-8,5
3,2
-6,6
%
-4,1
0,0
-1,0
-42,4
-17,3
22,6
-11,2
2009
Tabella B3 - Delitti di estorsione denunciati, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 1998-2010
0,6
-1,5
-10,9
15,7
10,1
-22,9
-7,0
-11,4
-26,6
%
-1,7
-66,7
-1,0
31,6
0,0
-3,1
14,1
2010
121,7
282,4
95,2
38,2
196,4
125,0
114,9
49,5
83,5
VS
%
49,3
-57,1
207,7
-24,2
108,4
80,0
75,0
330
debora amelia elce
1999
%
-2,2
3,3
1,4
0,8
4,8
1998
%
-
%
15,9
-9,7
-13,7
-19,2
-7,1
2000
%
-31,4
17,9
1,7
-25,7
8,9
2001
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
%
-2,9
-3,0
-6,3
14,7
-3,2
2002
%
-5,9
0,8
-7,1
-14,0
3,4
2003
%
25,0
18,7
37,3
66,2
44,3
2004
%
40,0
15,4
6,4
-20,3
2,9
2005
%
-26,8
11,6
-12,6
21,4
-3,0
2006
%
36,6
-4,8
38,6
12,6
18,9
2007
%
10,7
-8,3
-14,1
0,0
3,5
2008
%
29,0
-18,7
-1,1
-10,4
-6,9
2009
%
-36,3
11,5
-5,7
19,2
-3,2
2010
VS
%
13,3
30,1
10,0
15,3
69,6
allegato metodologico
331
2000
8,0
3,0
4,4
4,2
2,9
4,2
4,5
5,7
5,5
3,9
5,7
6,2
5,7
9,4
11,1
11,4
10,3
13,6
12,8
7,4
7,3
1999
7,3
2,0
4,9
6,2
3,7
6,6
6,9
4,8
5,0
7,4
5,9
7,4
7,0
7,9
10,5
11,9
8,9
15,0
14,9
9,1
7,8
5,7
6,4
5,7
6,2
5,9
8,7
8,1
8,7
10,4
16,2
7,1
16,0
13,1
5,5
7,9
5,2
3,2
2,7
2001
7,7
4,0
4,2
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Regioni
1998
Piemonte
7,6
Valle d’Aosta
7,0
Lombardia
3,4
Trentino-Alto
8,8
Adige
Veneto
3,5
Friuli-Venezia
3,5
Giulia
Liguria
6,5
Emilia-Romagna 4,8
Toscana
4,9
Umbria
2,5
Marche
5,2
Lazio
8,7
Abruzzo
5,3
Molise
4,5
Campania
10,4
Puglia
11,5
Basilicata
9,1
Calabria
14,5
Sicilia
14,7
Sardegna
9,1
Totale regioni
7,5
4,8
5,9
7,2
4,3
6,0
8,4
6,3
10,2
11,3
10,1
6,9
15,6
12,3
6,3
7,7
5,2
4,1
3,7
2002
8,6
5,0
4,4
6,0
6,2
7,0
6,1
6,7
6,6
9,0
9,1
12,3
10,1
6,5
15,8
11,4
5,4
7,9
6,6
3,8
3,4
2003
8,8
4,0
6,1
8,7
8,4
9,2
10,6
9,1
9,5
12,0
14,4
19,7
18,9
8,2
18,6
15,6
8,9
11,4
6,6
6,2
5,7
2004
11,0
4,9
7,9
7,1
9,3
10,2
7,8
8,3
8,6
14,6
13,7
20,6
19,3
11,5
21,5
16,5
7,1
11,6
5,7
6,0
6,6
2005
10,5
2,9
8,3
7,7
7,3
8,3
8,2
7,1
8,0
12,1
11,0
23,7
17,3
8,4
24,2
14,5
8,6
11,3
6,1
5,9
5,1
2006
9,9
3,9
8,4
9,8
9,5
10,7
7,8
11,3
10,8
13,2
16,1
26,5
20,2
11,6
23,2
20,1
9,7
13,4
7,4
7,7
6,4
2007
12,6
10,7
9,9
11,7
12,2
10,4
10,6
13,3
13,2
14,6
8,4
25,8
18,7
12,9
21,2
17,2
9,7
13,8
5,3
8,4
8,2
2008
12,1
8,7
10,4
10,4
11,3
10,6
9,2
11,0
10,0
13,8
13,4
23,6
19,3
16,7
17,3
17,0
8,7
12,8
6,5
6,9
4,7
2009
11,6
8,7
10,3
11,9
8,3
10,6
9,1
9,8
11,5
15,2
10,4
21,9
17,1
10,7
19,3
16,0
10,4
12,4
6,3
6,9
6,1
2010
11,4
2,9
10,1
7,5
7,4
7,8
6,7
7,7
8,7
9,9
10,1
16,3
15,0
9,6
17,8
14,9
8,0
9,9
5,7
5,0
5,2
TM
9,6
5,0
6,6
84,5
73,8
118,7
266,5
88,2
32,7
186,7
130,4
110,0
47,9
16,7
32,8
8,4
14,4
65,3
79,1
96,9
-30,4
V S%
49,0
-58,7
194,7
Tabella B4 - Delitti di estorsione denunciati, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso
medio (TM), variazione storica percentuale(VS%). Anni 1998-2010
332
debora amelia elce
1998
%
7,8
0,2
7,3
1,9
3,7
1,0
2,5
4,5
4,0
0,5
1,8
10,6
1,6
0,3
13,4
10,7
1,3
6,8
16,7
3,5
100
1999 2000
%
%
7,1
8,3
0,1
0,1
10,0 9,6
1,3
0,9
3,7
3,2
1,8
1,2
2,5
1,7
4,3
5,6
4,0
4,7
1,4
0,8
1,9
2,0
8,6
7,7
2,0
1,7
0,6
0,7
13,0 14,8
10,5 10,9
1,2
1,5
6,7
6,5
16,2 15,0
3,4
2,9
100 100
2001
%
7,3
0,1
8,4
0,6
3,2
1,4
2,0
5,7
4,5
1,1
1,9
9,9
2,3
0,6
12,7
14,2
0,9
7,0
14,0
2,0
100
Fonte: ns. elaborazione su dati Istat e sdi/ssd
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2002
%
8,5
0,1
9,2
0,8
4,3
1,4
1,7
5,5
5,8
0,8
2,0
10,0
1,8
0,7
14,3
9,2
0,9
7,0
13,6
2,4
100
2003
%
8,3
0,1
12,5
0,7
3,8
1,8
2,1
5,5
5,5
1,1
2,2
7,5
2,5
0,6
15,1
8,8
0,9
6,9
12,2
2,0
100
2004
%
7,2
0,1
11,2
0,8
4,4
1,2
2,1
5,3
5,0
1,4
2,1
7,6
2,3
0,7
16,7
11,5
0,7
5,6
11,6
2,3
100
2005
%
6,7
0,2
11,5
0,9
4,2
1,0
1,7
5,7
5,4
1,0
1,8
6,7
2,8
0,6
17,2
11,4
1,0
6,3
12,0
1,8
100
2006
%
6,5
0,1
12,1
0,7
4,3
1,1
1,9
4,6
4,6
1,1
1,6
6,5
2,4
0,5
20,4
10,6
0,8
7,3
10,8
2,2
100
2007
%
7,0
0,1
12,0
0,8
4,7
1,2
2,0
5,1
4,9
0,9
2,2
5,4
2,2
0,7
19,1
10,4
0,9
5,8
12,6
2,1
100
2008
%
6,5
0,1
12,2
1,0
5,0
0,8
2,3
6,4
4,6
1,1
2,5
8,8
2,3
0,3
18,1
9,3
0,9
5,2
10,5
2,0
100
2009
%
6,7
0,1
13,0
0,6
4,4
1,1
2,2
6,4
5,1
1,1
2,2
7,2
2,4
0,6
17,7
10,3
1,3
4,5
11,1
1,9
100
2010
%
6,8
0,1
13,3
0,8
4,6
1,1
2,6
4,8
5,3
1,1
2,1
8,6
2,7
0,5
17,0
9,4
0,9
5,2
10,8
2,4
100
Tabella B5 - Delitti di estorsione denunciati, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 1998-2010
RCM
%
7,3
0,1
10,8
0,9
4,1
1,2
2,1
5,3
4,9
1,0
2,0
8,0
2,2
0,6
15,9
10,5
1,0
6,2
12,7
2,3
100
allegato metodologico
333
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Regioni
1998
332
7
325
66
138
39
110
174
214
22
77
395
72
28
578
482
1999
331
2
427
55
170
53
121
163
200
46
91
388
84
27
581
449
2000
298
7
367
34
137
46
68
219
203
42
78
334
90
30
667
468
2001
302
3
374
33
151
64
78
228
273
77
80
469
109
33
618
767
2002
375
6
396
34
192
65
86
278
307
26
83
436
107
52
672
456
Anni
2003
340
5
548
35
199
100
115
265
268
50
114
327
121
29
938
431
2004
495
3
799
54
380
92
150
333
410
129
159
628
158
48
1.672
899
2005
493
8
782
60
308
89
168
385
464
88
185
560
213
54
2.051
912
2006
449
31
755
54
270
82
142
326
377
68
150
501
240
52
1.974
852
2007
503
10
802
56
334
92
153
358
446
69
178
476
183
79
1.849
895
2008
584
7
942
99
370
80
186
475
408
84
204
716
280
37
2.012
795
409
8
592
53
241
73
125
291
325
64
127
475
151
43
1.237
673
VM
4.502
89
6.517
580
2.649
802
1.377
3.204
3.570
701
1.399
5.230
1.657
469
13.612
7.406
Totale
Tabella B6 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo
(Totale). Anni 1998-2008
334
debora amelia elce
1998
81
242
669
112
4.163
1999
96
307
592
188
4.371
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2000
73
308
850
98
4.417
2001
42
412
580
68
4.761
2002
52
269
547
85
4.524
Anni
2003
45
208
544
70
4.752
2004
66
569
1.191
140
8.375
2005
100
530
1.219
124
8.793
2006
65
651
904
145
8.088
2007
92
545
1.094
112
8.326
2008
94
537
1.129
155
9.194
Totale
73
806
416
4.578
847
9.319
118
1.297
6.342 69.764
VM
allegato metodologico
335
1999/2001
310
4
389
41
153
54
89
203
225
55
83
397
94
30
622
561
70
342
674
118
4.516
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
Regioni
1998/2000
Piemonte
320
Valle d’Aosta
5
Lombardia
373
Trentino-A. A.
52
Veneto
148
Friuli-V. G.
46
Liguria
100
Emilia-Romagna
185
Toscana
206
Umbria
37
Marche
82
Lazio
372
Abruzzo
82
Molise
28
Campania
609
Puglia
466
Basilicata
83
Calabria
286
Sicilia
704
Sardegna
133
Totale regioni
4.317
2000/2002
325
5
379
34
160
58
77
242
261
48
80
413
102
38
652
564
56
330
659
84
4.567
2001/2003
339
5
439
34
181
76
93
257
283
51
92
411
112
38
743
551
46
296
557
74
4.679
2002/2004 2003/2005 2004/2006 2005/2007 2006/2008
403
443
247
482
476
5
5
396
16
21
581
710
417
780
779
41
50
188
57
55
257
296
204
304
302
86
94
121
88
87
117
144
251
154
148
292
328
383
356
342
328
381
256
429
412
68
89
130
75
69
119
153
364
171
164
464
505
383
512
489
129
164
128
212
212
43
44
975
62
66
1.094
1.554
1.393
1.958
1.912
595
747
482
886
874
54
70
330
86
79
349
436
844
575
598
761
985
621
1072
999
98
111
136
127
129
5.884
7.307
8.419
8.402
8.207
Tabella B7 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, medie mobili, intervallo di 3 anni. Anni 1998-2008
336
debora amelia elce
1998
%
-
1999
%
-0,3
-71,4
31,4
-16,7
23,2
35,9
10,0
-6,3
-6,5
109,1
18,2
-1,8
16,7
-3,6
0,5
-6,8
18,5
26,9
-11,5
67,9
5,0
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2000
%
-10,0
250,0
-14,1
-38,2
-19,4
-13,2
-43,8
34,4
1,5
-8,7
-14,3
-13,9
7,1
11,1
14,8
4,2
-24,0
0,3
43,6
-47,9
1,1
2001
%
1,3
-57,1
1,9
-2,9
10,2
39,1
14,7
4,1
34,5
83,3
2,6
40,4
21,1
10,0
-7,3
63,9
-42,5
33,8
-31,8
-30,6
7,8
2002
%
24,2
100,0
5,9
3,0
27,2
1,6
10,3
21,9
12,5
-66,2
3,8
-7,0
-1,8
57,6
8,7
-40,5
23,8
-34,7
-5,7
25,0
-5,0
2003
%
-9,3
-16,7
38,4
2,9
3,6
53,8
33,7
-4,7
-12,7
92,3
37,3
-25,0
13,1
-44,2
39,6
-5,5
-13,5
-22,7
-0,5
-17,6
5,0
2004
%
45,6
-40,0
45,8
54,3
91,0
-8,0
30,4
25,7
53,0
158,0
39,5
92,0
30,6
65,5
78,3
108,6
46,7
173,6
118,9
21,4
-11,6
2005
%
-0,4
166,7
-2,1
11,1
-18,9
-3,3
12,0
15,6
13,2
-31,8
16,4
-10,8
34,8
12,5
22,7
1,4
51,5
-6,9
2,4
-18,8
0,4
2006
%
-8,9
287,5
-3,5
-10,0
-12,3
-7,9
-15,5
-15,3
-18,8
-22,7
-18,9
-10,5
12,7
-3,7
-3,8
-6,6
-35,0
22,8
-25,8
10,1
-8,9
2007
%
12,0
-67,7
6,2
3,7
23,7
12,2
7,7
9,8
18,3
1,5
18,7
-5,0
-23,8
51,9
-6,3
5,0
41,5
-16,3
21,0
-10,5
7,9
2008
%
16,1
-30,0
17,5
76,8
10,8
-13,0
21,6
32,7
-8,5
21,7
14,6
50,4
53,0
-53,2
8,8
-11,2
2,2
-1,5
3,2
32,4
11,1
VS
%
75,9
0,0
189,9
50,0
168,1
105,1
69,1
173,0
90,7
281,8
164,9
81,3
288,9
32,1
248,1
64,9
16,0
121,9
68,8
38,4
120,9
Tabella B8 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 1998-2008
allegato metodologico
337
1998
9,3
7,0
4,3
8,8
3,7
3,9
8,1
5,2
7,3
3,2
6,4
9,2
6,9
10,5
12,7
14,7
16,5
14,7
16,7
8,2
8,8
1999
9,2
2,0
5,6
7,3
4,5
5,3
8,9
4,9
6,8
6,7
7,5
9,0
8,1
10,2
12,7
13,7
19,5
18,7
14,7
13,7
9,2
2000
8,3
7,0
4,8
4,5
3,6
4,6
5,1
6,6
6,9
6,1
6,4
7,8
8,6
11,3
14,6
14,2
14,8
18,7
21,1
7,1
9,3
Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
Regioni
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
2001
8,5
3,0
4,9
4,3
4,0
6,4
5,8
6,8
9,2
11,1
6,5
10,9
10,4
12,4
13,5
23,3
8,5
25,1
14,4
5,0
10,0
2002
10,5
6,0
5,2
4,4
5,1
6,5
6,5
8,3
10,4
3,8
6,9
10,2
10,2
19,7
14,7
13,9
10,6
16,5
13,6
6,2
9,6
2003
9,6
5,0
7,2
4,5
5,2
10,0
8,7
7,9
9,1
7,2
9,4
7,6
11,6
11,0
20,4
13,1
9,2
12,7
13,5
5,1
10,0
2004
13,9
3,0
10,4
7,0
9,9
9,2
11,4
9,8
13,9
18,4
13,0
14,6
15,0
18,2
36,2
27,3
13,5
34,8
29,5
10,2
17,6
2005
13,8
7,8
10,1
7,7
8,0
8,9
12,8
11,3
15,7
12,5
15,0
12,9
20,1
20,5
44,2
27,7
20,5
32,5
30,2
9,0
18,4
2006
12,6
30,1
9,7
6,8
7,0
8,2
10,9
9,5
12,7
9,7
12,2
11,5
22,6
19,8
42,5
25,8
13,4
40,1
22,4
10,5
16,9
2007
14,1
9,7
10,3
7,0
8,6
9,2
11,8
10,4
15,1
9,8
14,4
10,9
17,3
30,2
39,8
27,1
19,0
33,8
27,1
8,1
17,4
2008
16,3
6,8
12,1
12,3
9,4
8,0
14,3
13,7
13,7
11,8
16,4
16,2
26,2
14,1
43,2
24,0
19,5
33,1
27,8
11,2
19,1
TM
11,2
6,0
7,2
6,4
5,9
7,0
9,0
8,2
10,5
8,1
9,7
10,7
13,0
15,2
23,3
19,5
14,4
23,8
20,0
8,2
12,7
V S%
75,6
-3,7
179,5
39,9
154,9
104,3
77,4
161,8
89,0
269,5
157,0
76,5
277,7
34,1
240,8
63,3
18,4
125,4
66,9
37,0
116,3
Tabella B9 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, tasso di estorsione popolazione 14-80 per 100.000
ab, tasso medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 1998-2008
338
debora amelia elce
1998
%
8,0
0,2
7,8
1,6
3,3
0,9
2,6
4,2
5,1
0,5
1,8
9,5
1,7
0,7
13,9
11,6
1,9
5,8
16,1
2,7
100
1999
%
7,6
0,0
9,8
1,3
3,9
1,2
2,8
3,7
4,6
1,1
2,1
8,9
1,9
0,6
13,3
10,3
2,2
7,0
13,5
4,3
100
Fonte: ns. elaborazione dati SDI/SSD.
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2000
%
6,7
0,2
8,3
0,8
3,1
1,0
1,5
5,0
4,6
1,0
1,8
7,6
2,0
0,7
15,1
10,6
1,7
7,0
19,2
2,2
100
2001
%
6,3
0,1
7,9
0,7
3,2
1,3
1,6
4,8
5,7
1,6
1,7
9,9
2,3
0,7
13,0
16,1
0,9
8,7
12,2
1,4
100
2002
%
8,3
0,1
8,8
0,8
4,2
1,4
1,9
6,1
6,8
0,6
1,8
9,6
2,4
1,1
14,9
10,1
1,1
5,9
12,1
1,9
100
2003
%
7,2
0,1
11,5
0,7
4,2
2,1
2,4
5,6
5,6
1,1
2,4
6,9
2,5
0,6
19,7
9,1
0,9
4,4
11,4
1,5
100
2004
%
5,9
0,0
9,5
0,6
4,5
1,1
1,8
4,0
4,9
1,5
1,9
7,5
1,9
0,6
20,0
10,7
0,8
6,8
14,2
1,7
100
2005
%
5,6
0,1
8,9
0,7
3,5
1,0
1,9
4,4
5,3
1,0
2,1
6,4
2,4
0,6
23,3
10,4
1,1
6,0
13,9
1,4
100
2006
%
5,6
0,4
9,3
0,7
3,3
1,0
1,8
4,0
4,7
0,8
1,9
6,2
3,0
0,6
24,4
10,5
0,8
8,0
11,2
1,8
100
2007
%
6,0
0,1
9,6
0,7
4,0
1,1
1,8
4,3
5,4
0,8
2,1
5,7
2,2
0,9
22,2
10,7
1,1
6,5
13,1
1,3
100
2008
%
6,4
0,1
10,2
1,1
4,0
0,9
2,0
5,2
4,4
0,9
2,2
7,8
3,0
0,4
21,9
8,6
1,0
5,8
12,3
1,7
100
RCM
%
6,6
0,1
9,2
0,8
3,7
1,2
2,0
4,6
5,2
0,9
2,0
7,7
2,3
0,7
17,8
10,7
1,2
6,5
13,4
1,9
100
Tabella B10 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM).
Anni 1998-2008
allegato metodologico
339
1998
P/D
1,21
1,00
1,25
1,00
1,05
1,11
1,25
1,10
1,50
1,29
1,22
1,06
1,31
2,33
1,22
1,28
1,80
1,01
1,13
0,90
1,18
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
1999
P/D
1,26
1,00
1,16
1,17
1,23
0,80
1,30
1,02
1,35
0,90
1,28
1,22
1,15
1,29
1,21
1,15
2,18
1,24
0,99
1,50
1,18
2000
P/D
1,04
2,33
1,11
1,06
1,25
1,10
1,13
1,14
1,25
1,56
1,11
1,26
1,50
1,20
1,31
1,25
1,43
1,38
1,64
0,97
1,28
2001
P/D
1,10
0,75
1,18
1,57
1,25
1,23
1,03
1,07
1,63
1,79
1,11
1,26
1,28
1,43
1,30
1,44
1,20
1,57
1,10
0,91
1,27
2002
P/D
1,22
1,20
1,19
1,21
1,23
1,25
1,37
1,40
1,45
0,87
1,14
1,21
1,62
1,93
1,30
1,37
1,53
1,05
1,11
0,99
1,25
2003
P/D
1,09
1,25
1,17
1,35
1,39
1,52
1,46
1,27
1,31
1,19
1,41
1,16
1,29
1,21
1,66
1,31
1,41
0,81
1,19
0,95
1,27
2004
P/D
1,26
0,60
1,31
1,23
1,58
1,39
1,30
1,16
1,51
1,74
1,43
1,53
1,25
1,26
1,85
1,45
1,65
1,87
1,89
1,14
1,55
2005
P/D
1,32
0,73
1,22
1,15
1,33
1,56
1,81
1,21
1,53
1,60
1,81
1,50
1,37
1,50
2,15
1,44
1,79
1,51
1,82
1,27
1,58
2006
P/D
1,28
7,75
1,16
1,35
1,17
1,34
1,41
1,30
1,53
1,17
1,72
1,44
1,88
1,79
1,79
1,49
1,59
1,66
1,55
1,22
1,50
2007
P/D
1,12
1,11
1,04
1,10
1,11
1,24
1,20
1,10
1,42
1,25
1,28
1,36
1,31
1,88
1,51
1,34
1,64
1,46
1,35
0,84
1,30
2008
P/D
1,35
0,78
1,16
1,50
1,12
1,51
1,22
1,12
1,32
1,12
1,24
1,22
1,79
1,68
1,68
1,29
1,52
1,57
1,62
1,16
1,38
1,20
1,68
1,18
1,24
1,25
1,28
1,32
1,17
1,44
1,32
1,34
1,29
1,43
1,59
1,54
1,35
1,61
1,37
1,40
1,08
1,34
RDM
Tabella B11 - Persone denunciate (P)/delitti di estorsione(D), rapporto di derivazione annuo e medio (RDM). Anni 1998-2008
340
debora amelia elce
2007
470
10
775
52
317
89
147
351
422
68
165
472
176
74
1.921
889
88
538
1.126
109
8.259
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Regioni
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
2008
546
7
917
92
357
81
179
448
383
83
192
643
258
38
2.031
778
79
517
1.094
149
8.872
2009
449
10
923
72
366
56
139
461
395
78
162
544
202
32
1.803
748
111
444
1.017
128
8.140
2010
475
4
905
64
318
80
159
371
456
61
206
578
212
53
1.669
828
83
547
1.056
125
8.250
2011
520
12
952
44
319
85
193
361
477
107
222
720
225
63
1.885
946
91
482
1.046
106
8.856
VM
492
9
894
65
335
78
163
398
427
79
189
591
215
52
1.862
838
90
506
1.068
123
8.475
Tabella B12 - Autori di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2007-2011
Totale
2.460
43
4.472
324
1.677
391
817
1.992
2.133
397
947
2.957
1.073
260
9.309
4.189
452
2.528
5.339
617
42.377
allegato metodologico
341
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2007
%
-
2008
%
16,2
-30,0
18,3
76,9
12,6
-9,0
21,8
27,6
-9,2
22,1
16,4
36,2
46,6
-48,6
5,7
-12,5
-10,2
-3,9
-2,8
36,7
7,4
2009
%
-17,8
42,9
0,7
-21,7
2,5
-30,9
-22,3
2,9
3,1
-6,0
-15,6
-15,4
-21,7
-15,8
-11,2
-3,9
40,5
-14,1
-7,0
-14,1
-8,3
2010
%
5,8
-60,0
-2,0
-11,1
-13,1
42,9
14,4
-19,5
15,4
-21,8
27,2
6,3
5,0
65,6
-7,4
10,7
-25,2
23,2
3,8
-2,3
1,4
2011
%
9,5
200,0
5,2
-31,3
0,3
6,3
21,4
-2,7
4,6
75,4
7,8
24,6
6,1
18,9
12,9
14,3
9,6
-11,9
-0,9
-15,2
7,3
Tabella B13 - Autori di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2011
VS
%
10,6
20,0
22,8
-15,4
0,6
-4,5
31,3
2,8
13,0
57,4
34,5
52,5
27,8
-14,9
-1,9
6,4
3,4
-10,4
-7,1
-2,8
7,2
342
debora amelia elce
9,7
10,0
6,5
8,1
8,9
11,3
10,2
14,3
9,7
13,4
10,8
16,6
28,3
41,4
26,9
18,2
33,3
27,9
7,9
17,2
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
13,2
2007
Piemonte
Regioni
6,8
11,7
11,5
9,1
8,1
13,8
13,0
12,9
11,7
15,4
14,6
24,1
14,5
43,6
23,5
16,4
31,9
27,0
10,8
18,4
15,2
2008
9,6
11,8
8,9
9,3
5,6
10,7
13,2
13,2
10,9
12,9
12,2
18,8
12,3
38,7
22,6
23,1
27,5
25,0
9,3
16,8
12,5
2009
3,9
11,5
7,8
8,0
8,0
12,3
10,6
15,3
8,5
16,5
12,9
19,8
20,4
35,8
25,0
17,4
33,9
26,0
9,1
17,0
13,2
2010
11,6
12,1
5,4
8,1
8,5
15,0
10,3
16,0
14,9
17,8
16,0
21,0
24,4
40,3
28,5
19,1
30,0
25,7
7,7
18,3
14,5
2011
7,8
11,4
7,8
8,5
7,7
12,5
11,4
14,3
10,9
15,1
13,2
19,9
19,1
39,9
25,2
18,7
31,2
26,3
8,9
17,5
TM
13,7
19,8
21,0
-18,1
-0,9
-4,6
32,9
0,5
11,7
54,2
32,7
48,0
26,4
-13,7
-2,6
5,9
5,0
-10,1
-7,9
-2,6
6,0
V S%
10,0
Tabella B14 - Autori di estorsione, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM),
variazione storica percentuale (VS%). Anni 2007-2011
allegato metodologico
343
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2007
%
5,7
0,1
9,4
0,6
3,8
1,1
1,8
4,2
5,1
0,8
2,0
5,7
2,1
0,9
23,3
10,8
1,1
6,5
13,6
1,3
8.259
2008
%
6,2
0,1
10,3
1,0
4,0
0,9
2,0
5,0
4,3
0,9
2,2
7,2
2,9
0,4
22,9
8,8
0,9
5,8
12,3
1,7
8.872
2009
%
5,5
0,1
11,3
0,9
4,5
0,7
1,7
5,7
4,9
1,0
2,0
6,7
2,5
0,4
22,1
9,2
1,4
5,5
12,5
1,6
8.140
2010
%
5,8
0,0
11,0
0,8
3,9
1,0
1,9
4,5
5,5
0,7
2,5
7,0
2,6
0,6
20,2
10,0
1,0
6,6
12,8
1,5
8.250
2011
%
5,9
0,1
10,7
0,5
3,6
1,0
2,2
4,1
5,4
1,2
2,5
8,1
2,5
0,7
21,3
10,7
1,0
5,4
11,8
1,2
8.856
Tabella B15 - Autori di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2011
RCM
%
5,8
10,5
0,7
3,9
0,9
1,9
4,7
5,0
0,9
2,2
6,9
2,5
0,6
21,9
9,9
1,1
5,9
12,6
1,4
8.475
344
debora amelia elce
2007
470
10
783
82
310
79
133
343
335
63
141
480
135
45
1.202
703
55
392
791
136
6.699
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Regioni
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
2008
435
8
863
66
329
51
162
440
327
72
172
581
162
27
1.122
624
80
330
711
141
6.711
2009
411
10
790
41
280
61
137
406
323
66
137
438
143
34
1.115
663
77
271
667
126
6.195
2010
409
2
758
51
263
63
151
277
318
55
121
489
157
26
944
542
47
268
558
137
5.640
2011
361
5
858
42
245
72
132
291
336
72
125
600
161
49
1.007
625
72
314
555
98
6.029
VM
417
7
810
56
285
65
143
351
328
66
139
518
152
36
1.031
631
66
315
656
128
6.255
Totale
2.086
35
4.052
282
1.427
326
715
1.757
1.639
328
696
2.588
758
181
7.218
3.157
331
1.575
3.282
638
31.274
Tabella B16 - Vittime di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2007-2011
allegato metodologico
345
2007
%
-
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2008
%
-7,4
-20,0
10,2
-19,5
6,1
-35,4
21,8
28,3
-2,4
14,3
22,0
21,0
20,0
-40,0
-6,7
-11,2
45,5
-15,8
-10,1
3,7
0,2
2009
%
-5,5
25,0
-8,5
-37,9
-14,9
19,6
-15,4
-7,7
-1,2
-8,3
-20,3
-24,6
-11,7
25,9
-0,6
6,3
-3,8
-17,9
-6,2
-10,6
-7,7
2010
%
-0,5
-80,0
-4,1
24,4
-6,1
3,3
10,2
-31,8
-1,5
-16,7
-11,7
11,6
9,8
-23,5
-15,3
-18,3
-39,0
-1,1
-16,3
8,7
-9,0
2011
%
-11,7
150,0
13,2
-17,6
-6,8
14,3
-12,6
5,1
5,7
30,9
3,3
22,7
2,5
88,5
6,7
15,3
53,2
17,2
-0,5
-28,5
6,9
Tabella B17 - Vittime di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2011
VS
%
-23,2
-50,0
9,6
-48,8
-21,0
-8,9
-0,8
-15,2
0,3
14,3
-11,3
25,0
19,3
8,9
-16,2
-11,1
30,9
-19,9
-29,8
-27,9
-10,0
346
debora amelia elce
2007
13,2
9,7
10,1
10,3
8,0
7,9
10,2
10,0
11,3
9,0
11,4
11,0
12,7
17,2
25,9
21,3
11,4
24,3
19,6
9,9
14,0
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Regioni
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
2008
12,1
7,7
11,0
8,2
8,4
5,1
12,5
12,7
11,0
10,1
13,8
13,1
15,2
10,3
24,1
18,9
16,6
20,4
17,5
10,2
13,9
2009
11,4
9,6
10,1
5,1
7,1
6,1
10,6
11,6
10,8
9,2
10,9
9,8
13,3
13,0
23,9
20,0
16,0
16,8
16,4
9,1
12,8
2010
11,4
1,9
9,6
6,3
6,7
6,3
11,7
7,9
10,6
7,7
9,7
10,9
14,6
10,0
20,2
16,4
9,8
16,6
13,7
9,9
11,6
2011
10,1
4,8
10,9
5,1
6,2
7,2
10,3
8,3
11,2
10,0
10,0
13,3
15,0
19,0
21,5
18,8
15,1
19,5
13,6
7,1
12,4
TM
11,6
5,8
10,3
6,7
7,2
6,4
11,0
9,9
11,0
9,2
11,1
11,6
14,1
13,5
23,0
19,0
13,5
19,3
16,0
9,2
12,9
V S%
-23,6
-50,1
7,9
-50,4
-22,2
-9,0
0,5
-17,1
-0,9
12,0
-12,5
21,3
17,9
10,4
-16,8
-11,5
33,0
-19,6
-30,4
-27,8
-11,0
Tabella B18 - Vittime di estorsione, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio(TM),
variazione storica percentuale (VS%). Anni 2007-2011
allegato metodologico
347
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2007
%
7,0
0,1
11,7
1,2
4,6
1,2
2,0
5,1
5,0
0,9
2,1
7,2
2,0
0,7
18,0
10,5
0,8
5,9
11,8
2,0
100
2008
%
6,5
0,1
12,9
1,0
4,9
0,8
2,4
6,6
4,9
1,1
2,6
8,7
2,4
0,4
16,7
9,3
1,2
4,9
10,6
2,1
100
2009
%
6,6
0,2
12,8
0,7
4,5
1,0
2,2
6,6
5,2
1,1
2,2
7,1
2,3
0,5
18,0
10,7
1,2
4,4
10,8
2,0
100
2010
%
7,3
0,0
13,4
0,9
4,7
1,1
2,7
4,9
5,6
1,0
2,1
8,7
2,8
0,5
16,7
9,6
0,8
4,8
9,9
2,4
100
2011
%
6,0
0,1
14,3
0,7
4,1
1,2
2,2
4,8
5,6
1,2
2,1
10,0
2,7
0,8
16,7
10,4
1,2
5,2
9,2
1,6
100
Tabella B19 - Vittime di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2011
RCM
%
6,7
13,0
0,9
4,6
1,0
2,3
5,5
5,3
1,1
2,3
8,3
2,4
0,6
17,2
10,1
1,0
5,0
10,4
2,0
100
348
debora amelia elce
Fonte: ns. elaborazione dati Istat
Piemonte
Valle d’Aosta
Lombardia
Trentino-A. A.
Veneto
Friuli-V. G.
Liguria
Emilia-Romagna
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Totale regioni
Regioni
2007
V/D
1,05
1,11
1,02
1,61
1,03
1,07
1,04
1,05
1,06
1,15
1,01
1,38
0,96
1,07
0,98
1,05
0,98
1,05
0,98
1,01
1,05
2008
V/D
1,00
0,89
1,04
1,00
1,00
0,96
1,07
1,02
1,06
0,96
1,04
0,99
1,04
1,23
0,94
1,01
1,29
0,96
1,02
1,05
1,00
2009
V/D
0,99
1,11
0,98
1,08
1,03
0,94
1,01
1,03
1,03
1,00
0,99
0,98
0,97
0,97
1,02
1,04
0,96
0,97
0,97
1,05
0,99
2010
V/D
1,00
0,67
0,95
1,02
0,96
1,00
0,98
0,96
1,00
0,85
0,98
0,95
0,96
0,96
0,92
0,96
0,92
0,86
0,86
0,96
1,00
2011
V/D
1,03
0,83
0,98
0,98
0,97
1,26
1,03
0,99
1,03
0,95
0,94
0,96
1,02
1,20
0,94
1,02
1,01
1,17
0,90
1,03
1,03
1,01
0,91
0,99
1,12
1,00
1,04
1,03
1,01
1,04
0,98
0,99
1,04
0,99
1,08
0,96
1,02
1,02
1,00
0,94
1,02
1,01
RDM
Tabella B20 - Vittime di delitto (V)/delitti denunciati (D), rapporto di derivazione annuo e medio (RDM). Anni 2007-2011
allegato metodologico
349
381
428
363
371
400
402
391
386
401
313
290
250
237
239
266
284
303
279
295
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
2012
2013
36,2
35,3
35,3
34,8
36,4
36,2
35,4
35,2
35,8
32,3
32,5
31,6
30,0
28,7
28,5
27,7
27,7
26,3
25,8
%
192
226
179
209
222
238
237
242
253
259
254
245
260
294
366
426
452
456
501
Camorra
18,3
18,6
17,4
19,6
20,2
21,4
21,5
22,0
22,6
26,8
28,4
31,0
32,9
35,3
39,2
41,5
41,4
43,1
43,8
%
133
159
164
159
156
145
149
157
155
124
119
99
101
101
104
114
123
126
136
‘Ndrangheta
12,6
13,1
16,0
14,9
14,2
13,1
13,5
14,3
13,9
12,8
13,3
12,5
12,8
12,1
11,1
11,1
11,3
11,9
11,9
%
Sacra
Corona
Unita
85
100
93
95
82
89
91
96
100
94
87
82
83
95
95
100
106
102
112
Fonte: ns. elaborazione, Ministero dell’Interno. Relazione sulle speciali misure di protezione
Cosa
Nostra
Anno
8,1
8,2
9,0
8,9
7,5
8,0
8,2
8,7
8,9
9,7
9,7
10,4
10,5
11,4
10,2
9,7
9,7
9,6
9,8
%
261
301
229
233
240
236
236
217
210
178
143
114
110
104
102
103
109
96
100
Altre
org.
24,8
24,8
22,3
21,8
21,8
21,3
21,4
19,8
18,8
18,4
16,0
14,4
13,9
12,5
10,9
10,0
10,0
9,1
8,7
%
Tabella B21 - Aree criminali di provenienza dei collaboratori di giustizia. Anni 1995 - 2013 (al 31 dicembre)
1.052
1.214
1.028
1.067
1.100
1.110
1.104
1.098
1.119
968
893
790
791
833
933
1.027
1.093
1.059
1.144
Totale
Sezione C
Livello provinciale Campano
allegato metodologico
351
73
46
253
689
166
1.227
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province*
58
44
232
698
168
1.200
2008
68
31
204
629
163
1.095
2009
45
37
184
619
134
1.019
2010
60
46
177
589
195
1.067
2011
62
18
179
583
206
1.048
2012
59
14
183
557
186
999
2013
VM
61
34
202
623
174
1.094
425
236
1.412
4.364
1.218
7.655
Totale
2008
%
-20,5
-4,3
-8,3
1,3
1,2
-2,2
2007
%
-
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
Province
%
17,2
-29,5
-12,1
-9,9
-3,0
-8,8
2009
%
-33,8
19,4
-9,8
-1,6
-17,8
-6,9
2010
%
33,3
24,3
-3,8
-4,8
45,5
4,7
2011
%
3,3
-60,9
1,1
-1,0
5,6
-1,8
2012
%
-4,8
-22,2
2,2
-4,5
-9,7
-4,7
2013
Tabella C2 - Delitti di estorsione denunciati, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2013
VS
%
-19,2
-69,6
-27,7
-19,2
12,0
-18,6
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
* La somma dei delitti, delle persone, degli autori e delle vittime, distinti per provincia (Totale province) può non coincidere con il
totale della regione, a causa della mancata precisazione, per alcuni delitti, della provincia ove sono stati commessi.
2007
Province
Tabella C1 - Delitti di estorsione denunciati, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2007-2013
352
debora amelia elce
32,4
28,3
35,6
28,0
18,8
26,4
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
16,4
19,7
23,5
18,3
25,6
28,3
13,3
19,2
2009
21,8
15,0
25,1
25,4
15,9
12,8
2010
22,8
21,8
23,9
24,2
19,8
17,1
2011
22,4
23,1
23,6
24,4
7,8
17,7
2012
21,3
20,8
22,5
24,8
6,1
16,9
2013
2008
%
4,8
3,7
19,3
58,2
14,0
100
2007
%
5,9
3,7
20,6
56,2
13,5
100
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
Province
%
6,2
2,8
18,6
57,4
14,9
100
2009
%
4,4
3,6
18,1
60,7
13,2
100
2010
%
5,6
4,3
16,6
55,2
18,3
100
2011
%
5,9
1,7
17,1
55,6
19,7
100
2012
%
5,9
1,4
18,3
55,8
18,6
100
2013
Tabella C4 - Delitti di estorsione denunciati, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2013
Fonte: ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
25,8
18,9
18,8
20,7
2008
Benevento
2007
Avellino
Province
-18,5
RCM
%
5,6
3,0
18,4
57,0
16,0
100
-19,3
11,0
-19,5
-30,2
-69,2
V S%
Tabella C3 - Delitti di estorsione denunciati, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio
(TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 2007-2013
allegato metodologico
353
81
84
282
1.009
195
1.651
2010
98
96
437
896
321
1.848
2011
104
70
319
921
304
1.718
2012
65
28
319
909
320
1.641
2013
VM
87
70
339
934
285
1.715
348
278
1.357
3.735
1.140
6.858
Totale
2011
%
21,0
14,3
55,0
-11,2
64,6
11,9
2010
%
-
Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
Province
%
6,1
-27,1
-27,0
2,8
-5,3
-7,0
2012
%
-37,5
-60,0
0,0
-1,3
5,3
-4,5
2013
VS
%
-19,8
-66,7
13,1
-9,9
64,1
-0,6
Tabella C6 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2010-2013
Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
Province
Tabella C5 - Persone denunciate/arrestate per delitti di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo
(Totale). Anni 2010-2013
354
debora amelia elce
23,0
36,0
38,9
40,9
21,9
35,4
2010
27,9
41,3
59,8
36,3
35,9
39,5
2011
29,7
30,3
43,5
37,3
34,1
36,7
2012
18,6
12,1
43,3
36,8
35,8
35,0
2013
TM
24,4
27,2
45,7
37,8
31,3
36,6
105
58
456
986
210
1.815
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd
2007
Province
106
75
383
1.136
284
1.984
2008
88
65
424
932
234
1.743
2009
74
78
267
974
191
1.584
2010
81
90
394
856
308
1.729
2011
98
68
293
896
295
1.650
2012
62
26
293
881
311
1.573
2013
VM
88
66
359
952
262
1.725
Tabella C8 - Autori di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2010-2013
Fonte: Ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
Province
614
460
2.510
6.661
1.833
12.078
Totale
V S%
-19,1
-66,4
11,3
-10,0
63,5
-1,1
Tabella C7 - Persone denunciate per delitto di estorsione, tasso di estorsione popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso
medio (TM), variazione storica percentuale (VS%). Anni 2010-2013
allegato metodologico
355
2008
%
1,0
29,3
-16,0
15,2
35,2
9,3
2007
%
-
%
-17,0
-13,3
10,7
-18,0
-17,6
-12,1
2009
%
-15,9
20,0
-37,0
4,5
-18,4
-9,1
2010
%
9,5
15,4
47,6
-12,1
61,3
9,2
2011
%
21,0
-24,4
-25,6
4,7
-4,2
-4,6
2012
%
-36,7
-61,8
0,0
-1,7
5,4
-4,7
2013
VS
%
-41,0
-55,2
-35,7
-10,6
48,1
-13,3
64,1
40,1
23,7
Caserta
Napoli
Salerno
42,6
31,9
46,1
53,5
32,1
30,0
2008
Fonte: Ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
39,1
24,8
Benevento
Totale province
29,7
2007
Avellino
Province
37,4
26,2
37,9
58,8
27,8
24,9
2009
33,9
21,4
39,5
36,8
33,5
21,0
2010
37,0
34,5
34,7
53,9
38,7
23,0
2011
35,3
33,0
36,3
39,9
29,4
28,0
2012
33,6
34,8
35,7
39,7
11,3
17,7
2013
36,9
28,9
38,4
48,5
26,6
TM
24,5
-14,0
46,8
-11,0
-38,0
-54,6
V S%
-40,4
Tabella C10 - Autori di estorsione, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM),
variazione storica percentuale (VS%). Anni 2010-2013
Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
Province
Tabella C9 - Autori di estorsione, variazione percentuale annua e variazione storica (VS). Anni 2010-2013
356
debora amelia elce
2008
%
5,3
3,8
19,3
57,3
14,3
100
2007
%
5,8
3,2
25,1
54,3
11,6
100
%
5,0
3,7
24,3
53,5
13,4
100
2009
%
4,7
4,9
16,9
61,5
12,1
100
2010
%
4,7
5,2
22,8
49,5
17,8
100
2011
%
5,9
4,1
17,8
54,3
17,9
100
2012
%
3,9
1,7
18,6
56,0
19,8
100
2013
155
1.135
Salerno
Totale province
Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd
228
620
Napoli
65
Benevento
Caserta
67
2007
Avellino
Province
1.069
154
619
185
47
64
2008
1.032
166
596
182
25
63
2009
872
125
534
145
31
37
2010
926
168
536
134
41
47
2011
925
180
520
149
17
59
2012
847
166
482
136
14
49
2013
972
159
558
166
34
55
VM
RCM
%
5,0
3,6
20,5
55,1
15,0
100
6.806
1.114
3.907
1.159
240
386
Totale
Tabella C12 - Vittime di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2007-2013
Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
Province
Tabella C11 - Autori di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2010-2013
allegato metodologico
357
2008
%
-4,5
-27,7
-18,9
-0,2
-0,6
-5,8
2007
%
-
%
-1,6
-46,8
-1,6
-3,7
7,8
-3,5
2009
%
-41,3
24,0
-20,3
-10,4
-24,7
-15,5
2010
%
27,0
32,3
-7,6
0,4
34,4
6,2
2011
%
25,5
-58,5
11,2
-3,0
7,1
-0,1
2012
%
-16,9
-17,6
-8,7
-7,3
-7,8
-8,4
2013
VS
%
-26,9
-78,5
-40,4
-22,3
7,1
-25,4
17,5
Salerno
23,0
17,3
25,1
25,8
20,1
18,1
2008
Fonte: Ns. elaborazione dati Istat e sdi/ssd
24,4
25,2
Napoli
Totale province
27,8
32,0
Benevento
Caserta
19,0
2007
Avellino
Province
22,1
18,6
24,2
25,2
10,7
17,8
2009
18,7
14,0
21,7
20,0
13,3
10,5
2010
19,8
18,8
21,7
18,3
17,6
13,4
2011
19,8
20,2
21,1
20,3
7,3
16,9
2012
18,1
18,6
19,5
18,4
6,1
14,0
2013
20,7
17,8
22,5
22,4
13,0
Tm
15,4
-26,0
6,1
-22,6
-42,5
-78,2
V S%
-26,2
Tabella C14 - Vittime di estorsione, tasso annuo di estorsione su popolazione 14-80 per 100.000 ab., tasso medio (TM),
variazione storica percentuale. Anni 2007-2013
Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd
Avellino
Benevento
Caserta
Napoli
Salerno
Totale province
Province
Tabella C13 - Vittime di estorsione, variazione percentuale annua e storica (VS). Anni 2007-2013
358
debora amelia elce
13,7
100
Salerno
Totale province
100
14,4
57,9
17,3
4,4
6,0
100
16,1
57,8
17,6
2,4
6,1
%
2009
100
14,3
61,2
16,6
3,6
4,2
%
2010
100
18,1
57,9
14,5
4,4
5,1
%
2011
100
19,5
56,2
16,1
1,8
6,4
%
2012
100
19,6
56,9
16,1
1,7
5,8
%
2013
100
16,4
57,5
16,8
3,1
5,6
%
RCM
0,89
0,90
0,93
Napoli
Salerno
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
0,80
0,90
Caserta
1,10
1,41
0,92
1,07
0,92
V/D
V/D
Benevento
2008
2007
Avellino
Province
1,02
0,95
0,89
0,81
0,93
V/D
2009
0,93
0,86
0,79
0,84
0,82
V/D
2010
0,86
0,91
0,76
0,89
0,78
V/D
2011
0,87
0,89
0,83
0,94
0,95
V/D
2012
0,89
0,87
0,74
1,00
0,83
V/D
2013
0,92
0,90
0,81
0,98
0,90
RDM
Tabella C16 - Vittime di delitto (V)/delitti denunciati (D), rapporto di derivazione annuo e medio (RDM) Anni 2007-2013
Fonte: Ns. elaborazione dati sdi/ssd
20,1
54,6
Napoli
5,7
Caserta
5,9
%
%
Benevento
2008
2007
Avellino
Province
Tabella C15 - Vittime di estorsione, rapporto di composizione annuo e medio (RCM). Anni 2007-2013
Sezione D
Livello comunale e rielaborazione province
360
debora amelia elce
17
29
234
418
147
Benevento
Napoli
Salerno
55
Avellino
Caserta
19
139
415
206
35
48
29
283
271
Napoli
Salerno
9
26
19
Caserta
Benevento
10
2008
150
374
195
19
55
13
255
9
12
13
2009
119
385
172
30
40
15
234
12
7
5
2010
166
381
165
34
47
29
208
12
12
13
2011
170
346
169
10
49
36
237
10
8
13
2012
158
333
170
12
48
28
224
13
2
11
2013
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
* Con il termine “Province1” s’intende il valore del dato provinciale privo del valore del comune capoluogo.
Province1*
Comuni
18
Avellino
2007
150
379
187
24
49
24
245
14
10
12
VM
1.049
2.652
1.311
169
342
169
1.712
101
67
83
Totale
Tabella D1 - Delitti di estorsione denunciati, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale). Anni 2010-2013
allegato metodologico
361
14
35
94
45
Avellino
Benevento
726
642
182
Salerno
218
574
447
50
78
16
381
8
15
14
2010
182
555
271
58
75
13
454
11
26
6
2011
235
566
426
89
88
86
330
11
7
10
2012
250
547
306
56
71
54
374
13
14
33
2013
265
502
308
23
57
55
407
11
5
8
VM
Fonte: ns. elaborazione dati sdi/ssd
* Con il termine “Province1” s’intende il valore del dato provinciale privo del valore del comune capoluogo.
247
368
445
62
92
47
420
377
Napoli
Salerno
16
28
36
Caserta
Benevento
14
2009
Province1* Caserta
Napoli
Comuni
12
2008
Avellino
2007
226
587
367
55
79
44
392
17
14
14
Totale
1.397
3.470
2.126
338
461
306
2.743
118
97
97
Tabella D2 - Persone denunciate per delitto di estorsione, valore assoluto e medio (VM), totale del periodo (Totale).
Anni 2010-2013
Allegato cartografico
carlo de luca
Figura 1 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anno 2010
allegato cartografico
363
Figura 2 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anno 2011
364
carlo de luca
Figura 3 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anno 2012
allegato cartografico
365
Figura 4 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Regione Campania, anno 2013
366
carlo de luca
Figura 5 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Avellino, anno 2010
allegato cartografico
367
Figura 6 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Benevento, anno 2010
368
carlo de luca
Figura 7 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Caserta, anno 2010
allegato cartografico
369
Figura 8 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Napoli, anno 2010
370
carlo de luca
Figura 9 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Salerno, anno 2010
allegato cartografico
371
Figura 10 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Avellino, anno 2011
372
carlo de luca
Figura 11 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Benevento, anno 2011
allegato cartografico
373
Figura 12 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Caserta, anno 2011
374
carlo de luca
Figura 13 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Napoli, anno 2011
allegato cartografico
375
Figura 14 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Salerno, anno 2011
376
carlo de luca
Figura 15 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Avellino, anno 2012
allegato cartografico
377
Figura 16 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Benevento, anno 2012
378
carlo de luca
Figura 17 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Caserta, anno 2012
allegato cartografico
379
Figura 18 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Napoli, anno 2012
380
carlo de luca
Figura 19 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Salerno, anno 2012
allegato cartografico
381
Figura 20 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Avellino, anno 2013
382
carlo de luca
Figura 21 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti di
età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Benevento, anno 2013
allegato cartografico
383
Figura 22 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Caserta, anno 2013
384
carlo de luca
Figura 23 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Napoli, anno 2013
allegato cartografico
385
Figura 24 - Denunciati per il reato di estorsione su 100.000 abitanti
di età compresa tra i 14 e gli 80 anni. Provincia di Salerno, anno 2013
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carlo de luca
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Gli autori
giacomo di gennaro, PhD è docente di Sociologia e Progettazione e Gestione delle Politiche Sociali presso il Dipartimento
di Scienze Politiche dell’Università di Napoli, Federico II. È direttore dal 2010 del primo Master in “Criminologia e Diritto
penale. Analisi criminale e politiche per la sicurezza urbana”
istituito nell’accademia federiciana ove insegna Sociologia delle
organizzazioni criminali. Si è occupato di processi culturali e di
sviluppo economico e ha orientato i suoi più recenti studi ai temi
del welfare penale, della sicurezza urbana, devianza minorile e
criminalità organizzata. Ha all’attivo numerose pubblicazioni,
tra cui le più recenti si ricordano, insieme a D. Pizzuti, Dire camorra oggi (2009); con A. La Spina (2010), I costi dell’illegalità.
Camorra ed estorsioni in Campania; Estorsioni ed usura: l’impatto
distorsivo delle attività illegali dei clan di camorra sull’economia
regionale campana (2013). È di prossima pubblicazione (2015) il
numero monografico di “Global Crime” curato con A. La Spina,
The Costs of Illegality: a Research Program.
carlo de luca, dottore di ricerca presso l’Università del Sannio,
è consulente esperto in Sistemi Informativi Territoriali. Per il
Lupt è responsabile della struttura “G.I.S. Factory” e docente
dal 2009 dei corsi di Progettazione e implementazione sistemi
Gis. Attualmente funzionario tecnico scientifico di supporto
alla ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Federico II di Napoli.
maria di pascale, è laureata magistrale in Servizio sociale e
Politiche sociali e ricercatrice junior presso la cattedra di Sociogli autori
407
logia del Dipartimento di Scienze Politiche. Ha pubblicato «La
sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato:
l’esperienza del distretto di Napoli tra esiti, evoluzioni e involuzioni» (2015).
debora amelia elce, laureata in Servizio Sociale, è ricercatrice junior presso la cattedra di Sociologia del Dipartimento di
Scienze Politiche. Ha collaborato all’indagine “I costi del sistema penale minorile in Campania: il caso della sospensione del
processo con messa alla prova”, nonché alla ricerca per conto
della FAI (Federazione Antiracket Italiana) sul fenomeno dell’usura in Campania.
andrea procaccini, PhD presso l’Università Federico II di Napoli
in Sociologia e Ricerca sociale. Ha pubblicato numerosi articoli
sui temi delle politiche sociali e del welfare penale, tra i quali si
segnala «Le trasformazioni del welfare italiano nell’area penale:
uno studio di caso sulle revoche dell’affidamento in prova al servizio sociale» (2008).
408
Indice
Prefazione di Franco Roberti7
Introduzione di Giacomo Di Gennaro13
Parte prima
1. Come spiegare origine, sviluppo
e decadenzadel fenomeno estorsivo
31
Giacomo Di Gennaro
Premessa31
1.1 L’attività estorsiva: una forma illegale di primaria
accumulazione37
1.2 Da dove partire per spiegare l’origine
e lo sviluppo dell’attività estorsiva47
1.3 L’attività estorsiva nelle acquisizioni teoriche
ed empiriche degli economisti60
2. Una regolazione sociale violenta
83
Giacomo Di Gennaro
2.1 Caratteri e modalità del fenomeno estorsivo
nella camorra tradizionale e contemporanea83
2.1.1 Il profilo dell’estorsione della camorra storica
85
2.1.2 Il superamento della camorra storica
e il ruolo dell’unità di base: i clan familiari
nella modernizzazione della Campania
97
2.1.3 La sfera criminale: differenziazione
e modificazione dell’attività estorsiva
106
2.2 La dimensione quantitativa del fenomeno:
tentativi di stime115
2.3 Poco più di un decennio di estorsioni140
3. Tendenze estorsive: l’andamento del fenomeno
nel quadriennio 2010-2013
163
Maria Di Pascale
Premessa163
3.1 Il volume della delittuosità estorsiva denunciata
in Italia: un confronto tra macro-aree165
3.2 Le trasformazioni del fenomeno estorsivo
nelle regioni italiane173
Parte seconda
4. Le estorsioni in Campania: una interpretazione
della dinamica nelle diverse province
187
Giacomo Di Gennaro
Premessa187
4.1 L’andamento della delittuosità estorsiva in Campania188
4.2Effetti diversi della densità dei clan206
4.3Incidenza e prevalenza delle estorsioni
nelle singole province234
4.4Napoli: le estorsioni tra violenza e consenso249
4.5Caserta: il modello mafioso in Campania256
4.6L’appetibilità dei nuovi territori:
il caso del salernitano261
4.7Benevento e Avellino: altro che aree immuni!264
5. La dinamica interna dei fenomeniestorsivi
in Campania: un focus sull’area di competenza
territoriale dei Tribunali
269
Andrea Procaccini
Premessa269
5.1 La nuova geografia giudiziaria campana270
5.2 L’andamento del fenomeno estorsivo
in Campania: un’analisi sulla base dell’area
di competenza dei Tribunali274
5.3 Alcune evidenze sulla presenza
delle organizzazioni criminali e l’andamento
del fenomeno estorsivo281
5.4Uno sguardo sui territori287
5.4.1 Tribunale di Napoli
287
5.4.2 Tribunale di Napoli Nord
289
5.4.3Tribunale di Nola
291
5.4.4Tribunale di Torre Annunziata
292
5.4.5Tribunale Salerno
294
5.4.6Tribunale di Nocera Inferiore
295
5.4.7 Tribunale di Santa Maria Capua Vetere
297
In sintesi299
Conclusioni
301
Allegato metodologico
debora amelia elce
315
Allegato cartografico
carlo de luca
362
Bibliografia
387
Gli autori
407
Collana Arcipelago
diretta da Tano Grasso
1. Mai più soli. Le vittime d’estorsione e d’usura nel procedimento penale,
a cura di Tano Grasso
2. Enzo Ciconte, Tra convenienza e sottomissione. Estorsioni in Calabria
3. Le estorsioni in Campania. Il controllo dello spazio sociale tra violenza e
consenso, a cura di Giacomo Di Gennaro
Stampato in Italia
nel mese di luglio 2015
da Rubbettino print per conto di Rubbettino Editore srl
88049 Soveria Mannelli (Catanzaro)
www.rubbettinoprint.it
Con contributi di: Giacomo Di Gennaro • Franco Roberti • Maria Di Pascale
Andrea Procaccini • Carlo De Luca • Amelia Debora Elce
VOLUME DISTRIBUITO
GRATUITAMENTE
3
ARCIPELAGO
mafie • economia • impresa
LE ESTORSIONI IN CAMPANIA
volume pubblicato nell’ambito del pon sicurezza per lo sviluppo
- obiettivo convergenza 2007-2013 - obiettivo operativo 2.4
3
GIACOMO DI GENNARO (A CURA DI)
La ricerca sul fenomeno estorsivo in Campania è la prima a interessare
l’intera area regionale. Basata su fonti statistiche e giudiziarie descrive
i principali caratteri del fenomeno e le ragioni del suo differenziato
modo di affermarsi in contesti locali diversi della regione. Il volume
costituisce una nuova tappa di analisi dell’attività estorsiva che fa
capo ai clan di camorra per entrare in profondità sulle ragioni che
ne determinano la persistenza, lo sviluppo e la sua trasformazione,
approdando a considerazioni che riguardano il ruolo delle vittime
e delle istituzioni sociali e civili. La valutazione che emerge sulla
diffusione del fenomeno implica la consapevolezza che se si ostacola
questa primaria forma di accumulazione illegale che permette di
esercitare il dominio in uno spazio sociale, si contrasta sul nascere non
solo una modalità acquisitiva violenta di risorse economiche basilare
per lo sviluppo di ulteriori attività e traffici criminali, ma si restituisce
alle comunità locali quel diritto alla sicurezza che è condizione
fondamentale e imprescindibile per l’esercizio della libertà economica
e degli ulteriori diritti civili e sociali.
LE ESTORSIONI
IN CAMPANIA
IL CONTROLLO
DELLO SPAZIO SOCIALE
TRA VIOLENZA E CONSENSO
a cura di
Giacomo Di Gennaro
prefazione di
Franco Roberti