I Catari e la guerra dei Castelli copia

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I Catari e la guerra dei Castelli copia
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I Catari e la guerra dei Castelli
In quell’estensione di territorio
francese chiuso a nord dai
contrafforti del Massiccio
Centrale ed a sud dai Pirenei,
dislocati qua e là sulla sommità
di vertiginosi speroni rocciosi,
appaiono i resti di straordinarie
fortezze di pietra.
Montségur, Peyre pertuse,
Quéribus, Puilaurens, Puivert e
Lastours sono le denominazioni
più note dei castelli abitati dai
Catari.
I Catari, detti anche Albigesi, tra il XII e il XIV secolo, dettero vita ad un
movimento spirituale di grande levatura che andò subito a contrastare con le
idee tradizionali della Chiesa di Roma.
In quel periodo storico si sentiva la richiesta di un sentimento religioso più
profondo e più vero che molto poco collimava
con quello professato dalla gerarchia
ecclesiastica romana. Il ritorno ideale ad una
Chiesa primitiva, purificata da tutte le
bassezze e le ricchezze in cui il clero era
erroneamente caduto, fu interpretato come un
grave movimento ereticale, subito da soffocare.
Con il termine “cataro”, dal greco “katharos”,
“puro”, si auto-definirono i primi seguaci di
una dottrina cristiana che si rivolgeva in
particolar modo ai ceti più indigenti,
predicando e mostrando un modo di vita
ascetica, fondato sulla povertà, l’umiltà e la
carità.
Il comportamento di questi “Buoni Uomini” e
“Buone Donne”, così venivano chiamati, era talmente esemplare, che lo
stesso Bernardo da Chiaravalle mostrò grande attenzione a quel movimento.
“Nessun sermone è più cristiano dei loro e la loro morale è pura”: così
affermava l’Abate cistercense guardando verso i Catari con giusto interesse.
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Essi professavano la dottrina
cristiana più autentica che non
riconosceva la mediazione di prelati
e clero e che prendeva alla lettera il
Vangelo di San Giovanni, traendo
da esso i fondamenti del loro sapere.
I Catari, pur credendo in un solo
Dio creatore, predicavano una
dottrina dualistica che si fondava
sull’eterno scontro di due forze
opposte: il Bene ed il Male, lo
Spirito e la materia.
Il Maligno era visto come colui che
irretiva lo spirito umano per
deviarlo dalle rette inclinazioni e farlo cadere sempre più nella tenebra. La
salvezza per i Catari consisteva nel liberarsi da un mondo corrotto ed egoista,
assimilabile all’Inferno, per accedere alla piena conoscenza del regno del
Bene.
La comunità dei fedeli si divideva in “credenti” ed in “perfetti”; al grado di
perfezione l’uomo e la donna arrivavano mediante il Battesimo o
“consolamentum”, rito d’Iniziazione mediante imposizione delle mani, che
simboleggiava l’entrata nella vita
religiosa e la discesa dello Spirito Santo.
Il lavoro, la preghiera e le predicazioni
furono le attività principali dei Catari
ed a queste partecipavano gli uomini e
le donne. Le “perfette” assumevano un
ruolo considerevole in quella comunità
e ad esse venivano affidate ragazze e
giovani donne per allevarle a quei sani
principi.
Questa nuova dottrina cominciò subito
a muoversi in parallelo a quella
ecclesiastica presente sul territorio,
portando in quegli anni un vero
scompiglio nel mondo cattolico.
All’inizio le istituzioni clericali sembrarono tollerare questa nuova visione
religiosa proposta dai Catari, cercando di contrastarla con predicazioni
propagandistiche contrarie a quei nuovi principi; poi quando ci si accorse
che quel movimento spirituale si stava diffondendo in vaste regioni della
Francia meridionale, come la Linguadoca e la Provenza, e che i dignitari di
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quei luoghi stavano aderendo a quelle
tematiche, si intervenne con una serie
di repressioni.
La Chiesa di Roma, dominatrice
incontrastata del proprio potere
temporale, vide in quei “Boni
Homines”, che vivevano tra la gente
dei villaggi rifiutando onori ed
osservando le regole della verità e della
castità, un vero e proprio pericolo, reso
ancor più evidente dalle adesioni che
provenivano già da alcune città del
nord Italia.
Così i Catari furono tacciati di “eresia” e nel 1017 il re di Francia Roberto il
Pio fu il primo sovrano a condannarli a morte; qualche anno dopo continuò
su questa linea anche l’imperatore Enrico III.
La repressione più terribile però cominciò nel 1198,
anno in cui salì al soglio pontificio Innocenzo III.
Egli dapprima affidò ad un suo legato di fiducia,
Raniero da Ponza, l’ordine di confisca dei beni
catari, la scomunica e l’esilio. Lo stesso ordine fu
affidato al domenicano Domenico di Guzmàn, che
operò ancor più duramente, fino ad arrivare al
1208, anno in cui iniziò la prima crociata che
assunse l’aspetto di un vero e proprio genocidio.
Da quel momento gli scontri divennero sempre più
terribili e culminarono nella strage di Béziers nella quale furono massacrati
più di ventimila Catari. In una Canzone albigese si ricorda, con crude parole,
che le armate dei cattolici corsero nella città “agitando spade affilate”
spogliando, depredando e facendo
scempio di uomini, donne e
bambini. Alla richiesta da parte
dei soldati di come fare a
riconoscere gli “eretici” dai
cattolici, si dice che il legato
p o n t i fi c i o A r n a u d A m a u r y
rispondesse con una frase terribile:
“Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i
suoi”.
Nonostante queste cruenti
repressioni, nelle città di Albi,
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Carcassonne e Tolosa si stava
consolidando la Chiesa catara,
mentre un considerevole
numero di castelli
cominciavano a sorgere sugli
speroni rocciosi di quelle
regioni.
Nell’agosto del 1209 i soldati
capeg giati da Simon de
Monfort, messosi a capo della
crociata organizzata dal papa,
attaccarono la cittadina ed il
castello di Carcassone e, a
pochi mesi di distanza, conquistarono Minerve, dove furono bruciati 140
Catari che non volevano ripudiare la loro fede.
A distanza di pochi anni caddero sotto la violenza di quegli interventi armati
anche i castelli di Termes e di Puivert ed il popolo chiamò quelle terribili
incursioni la “guerra dei castelli”, visto che erano stati presi di mira proprio
quei luoghi impervi dove i Catari avevano stabilito la loro dimora.
Nel 1215 anche Tolosa, unico fermo baluardo di difesa contro il dilagare
dell’egemonia papale, fu invasa dai Francesi ed a niente valse il valore
militare dalle armate di Raimondo VI, conte di Tolosa.
Nel 1233 papa Gregorio IX, mise in atto
un’istituzione religiosa ancora più
terribile, che sarà votata ad una tragica
notorietà per i crimini commessi:
l’Inquisizione. Questi tribunali furono
diretti da monaci domenicani la cui unica
missione era di scovare e giudicare gli
“eretici”.
Nel frattempo i castelli di Montségur,
Puilaurens, Peyrepertuse, Lastours e
Quéribus sembravano mantenere la loro
impenetrabilità.
Nel 1204 a Montségur i Catari, riuniti in
un sinodo, domandarono a Raymond de
Péreille, signore del luogo, di mettere a
difesa i resti di antiche fortificazioni già
presenti sulla collina che dominava la vallata sottostante, al fine che potessero
servire da rifugio a tanti religiosi.
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Su quel “pog”, così veniva
chiamato in occitano quel
saldo sperone roccioso alto
1207 metri, furono
innalzate solide muraglie
che, poste lì tra roccia e
cielo, andarono a coronare
la vetta vertiginosa quasi a
volerla preservare da ogni
intrusione.
I Catari, coscienti che la
loro dottrina sarebbe stata
tacciata di eresia e quindi
violentemente combattuta, avevano cercato di assicurarsi un “mont segur”,
un “monte sicuro” dove ripararsi, simbolo del “cuore” spirituale di tutta la
Chiesa catara ed imprendibile baluardo.
Quella vertiginosa vetta, che in tempi arcaici aveva visto la presenza di
rudimentali costruzioni legate ad un antico culto Solare, divenne così il
potente “monte-forte” e più di cinquecento persone vissero suddivise tra il
castello ed il piccolo villaggio costruito ai piedi di quei bastioni.
Di lì a pochi chilometri
si elevava anche il
castello di Peyrepertuse,
pazientemente costruito
su di una collina alta
800 metri, utilizzando
un colore di pietra non
ben distinguibile dal
m o n t e s t e s s o. U n o
stretto sentiero ombroso
portava a quella
sommità ed una piccola
porta introduceva al castello che si elevava su tre cinte murarie: la cinta bassa
che comprendeva il cortile e la piccola chiesa di Santa Maria, quella mediana
alla quale si accedeva attraverso il Dongione ed infine una ripida scala di
accesso conduceva agli estremi limiti di quella fortezza.
Tutt’oggi il sentiero che conduce al castello è percorribile ed arriva alla
sommità di quella possente struttura, dalla quale si può godere la vista
straordinaria della vallata sottostante e dell’aspro sperone su cui sorge ancora
il castello di Quéribus.
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Quéribus venne edificato
su di una for mazione
rocciosa alta 700 metri in
posizione strategica per
comunicare, tramite
specchi, con il castello di
Peyrepertuse ed al tempo
stesso sorvegliare il passo di
Grau de Maury.
Anche se poco è rimasto
dell’antica costruzione
c at a r a , q u e l re s t o d i
fortificazione cilindrica, massiccia, posta su di una collina impervia dalla
quale si scorge una vista straordinaria, ci dà l’idea di un castello “aereo”
eretto per vedere dall’alto ed essere più vicino al Cielo.
Anch’esso fu edificato su tre terrazzamenti, uno di
passaggio all’altro, fino ad arrivare al punto più elevato
che serviva di controllo al valico sottostante. All’interno
della prima cinta vi è l’ingresso al castello caratterizzato
da un alto pilastro centrale di stile gotico, che regge la
volta innervata da otto piccoli archi. Il taglio
architettonico di qualche finestra, muretti di pietra ed
impervi camminamenti, portano all’idea di antiche rovine
sospese nel vuoto, ricordo di un’epoca gloriosa passata,
ma ancor viva.
A pochi chilometri da Carcassonne, sulla sommità di un lungo crinale
roccioso, sorgono i quattro castelli di Lastours che danno il nome anche al
piccolo villaggio sottostante.
Su questa collina, che in
epoca preistorica aveva già
visto le sue antiche vestigia,
vennero edificate quattro
fortificazioni che, pur
facendo parte di un unico
insieme, erano state così
dislocate per seguire la
geografia del luogo.
Lastours, in occitano, è
“Las Tors” che significa
“ L e To r r i ” : q u a t t r o
baluardi invincibili ideati
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per dominare le valli dell’Orbeil e del Grésilhou e controllare la retrostante
Montagna Nera.
Quel luogo apparteneva, fin
dal 1067, ai signori di
Cabaret sostenitori del
movimento religioso cataro e
fedeli combattenti al fianco
di Raymond-Roger
Trencavel nella difesa di
Carcassonne.
Cabaret, Tour Regine, FleurEspine, Quertinheux, erano i
nomi dei quattro castelli. Il primo, Cabaret, costituiva il sistema difensivo
principale; gli altri tre riprendevano a grandi linee quella struttura e tutti
insieme, per diversi anni, rappresentarono il luogo di difesa sicura del popolo
cataro di quella regione.
Pierre-Roger de Cabaret resistette fin dal
1209 agli astuti attacchi sferrati da Simon de
Monfort, ma dopo un lungo assedio i presidi
di Lastours cedettero. Ci fu ancora un ultimo
tentativo di resistenza quando in quei luoghi
si insediò una nuova comunità catara, ma
nel 1229, quei valorosi vennero sopraffatti e
villaggio e castelli furono violentemente
distrutti e saccheggiati.
Il cerchio si stava sempre più
stringendo attorno a quegli ultimi
baluardi difensivi. Puivert,
Carcassonne, Minerve erano state
le prime fortificazioni a cedere alla
terribile offensiva; poi toccò a
Lastours, a Peyrepertuse, e di lì a
pochi anni anche a Quéribus.
Montségur fu il castello, che più
degli altri si distinse per la tenacia
contro gli attacchi nemici;
resistette per ben trentadue anni,
raccogliendo all’interno delle sue
mura tutti quei Catari che,
nonostante le terribili minacce,
perseveravano nella loro fede.
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Nel 1244 quella fortezza, che
sembrava inespugnabile, dopo
11 mesi di assedio continuo ed
il tradimento di alcuni paesani
che di notte fecero entrare i
soldati nemici, fu costretta ad
arrendersi.
Quando si seppe che quel
“monte forte” era capitolato,
dai villaggi limitrofi arrivarono
uomini e donne che
professavano quella stessa
religione per unirsi ai prigionieri
in un unico Ideale.
Il 16 marzo 1244, con ammirevole coraggio, quei Catari affrontarono il rogo
loro preparato alle pendici del monte che li
aveva fino ad allora preservati.
Alle falde del sentiero che conduce ai resti di
quel castello, vicino ad un grande prato verde,
sorge oggi una stele, con impressa una croce ed
una scritta che vuol perpetuare quel terribile
massacro: “Ai Catari, ai martiri del puro amore
cristiano, 16 marzo 1244”.
Tante leggende si sono intessute su questa triste
vicenda, ma alcune di queste sembrano degne
di credibilità.
Si dice che quei “Perfetti” incutessero grandi
timori nella Chiesa Romana, non tanto per
uno scontato contrasto di religione, quanto per
l’esistenza di un “tesoro” appartenuto alla
Chiesa catara, nascosto all’interno del Castello
di Montségur e misteriosamente messo in salvo
prima della sconfitta finale.
Che i Templari abbiano avuto dei rapporti con i
Catari sembra ampiamente confermato dalla fede
che li accomunava e dalle similari vicende storiche
vissute da entrambi gli ordini dal XII al XIV secolo;
addirittura sembra che i primi Templari
appartenessero al ramo cataro e che i due movimenti
religiosi si influenzassero vicendevolmente aiutandosi
fra loro.
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Fu Filippo IV detto il Bello a decidere, insieme alle
gerarchie ecclesiastiche, di distruggere l’Ordine
Templare per accaparrarsi i loro tesori; lo stesso
sterminio fu organizzato dalla Chiesa Romana per i
Catari, pur essendo uomini e donne miti, dediti
all’aiuto dei bisognosi ed alla preghiera.
Nel “Parzifal” di Wolfram von Eschembach, del 1200,
si parla di Montségur come il castello nel quale si
trovava nascosto il Graal, la Santa Coppa della quale
i Templari erano entrati in possesso combattendo in Terrasanta.
Nella “Queste du Graal” di Robert de Boron viene chiamato Montsalvat, il
monte misterioso considerato la “sede occulta” del Sacro Calice.
Il nome di quel mitico monte riporta all’idea di Montségur, la montagna
sicura, forte, che si ergeva come
un pinnacolo inaccessibile verso
il cielo.
Giungendo alle falde di quella
irta collina, percorrendo lo
stretto ed impervio sentiero che
tra un fitto di vegetazione e
viste mozza fiato arriva alla
piccola porta che introduce al
castello, si avverte forte l’idea
dell’inaccessibilità di quel
luogo.
La planimetria dei resti di quel castello è semplice: una porta d’entrata, mura
rinforzate che racchiudono un ampio cortile rettangolare, un dongione
massiccio ed i segni di una cisterna d’acqua così necessaria per resistere a
quei lunghi assedi.
Che Montségur sia un luogo speciale lo ricorda il fatto che ogni anno, al
solstizio d’inverno, il primo raggio di
sole tocca il castello e lo attraversa
per tutta la sua lunghezza,
ricordando la sue arcaiche vestigia
di antico Tempio del Sole.
Storie di coraggio e di ardimento si
intrecciano ancora con leggende e
antiche preghiere. Tra queste merita
di venir ricordata una preghiera del
XIII secolo, in occitano, che i Catari
erano soliti recitare:
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“Padre santo, Dio giusto degli spiriti buoni, tu che mai ti
sei ingannato, né hai mentito, né errato, né dubitato che
noi possiamo temere di morire al mondo estraneo a Dio giacché noi non siamo di questo mondo ed il mondo non
è per noi - concedici di conoscere ciò che tu conosci e di
amare ciò che tu ami...”.
L’ardimento ed una fede profonda erano le doti in cui i
Catari eccellevano e questi versi così solenni testimoniano l’alto Ideale per il
quale lottarono fino alla morte.
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