Adolescenza: quando inizia e quando finisce

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Adolescenza: quando inizia e quando finisce
Psicologia
Adolescenza: quando inizia e quando finisce
Con appunti per una teoria fuzzy
di Gianluca Caputo
Un’immensa letteratura scientifica ha spesso tentato di recintare o classificare
l’adolescenza, senza mezzi termini e nei modi che ad essa si confà, come una fase della vita,
identificandone in modo preciso e puntuale dimensioni psichiche e sociali peculiari, che ne
possano permettere una distinzione rigorosa rispetto alle altre età.
I NTRODUZIONE
In ogni campo sia scientifico, sociale e psicologico, al fine di capire se sia possibile
una tracciatura di questo tipo o meno, e nel secondo caso quali siano i motivi, si
tratta di scegliere un assunto di base: se l’adolescenza sia qualcosa di oggettivo,
ovvero qualcosa di cui è possibile inferire delle conseguenze a-priori, da verificare in
seguito per via empirica e modificarle; oppure se l’adolescenza non vada vista
piuttosto come una “modalità particolare della psiche”, oltre che come parentesi
temporale databile, variabile da individuo a individuo.
Ogni distinzione tra infanzia, adolescenza, età adulta, terza e quarta età, se aiutano a
livello pragmatico e linguistico (oltreché storico), sono senz’altro di difficile
definizione e separazione se vogliamo rintracciare nelle età della vita i cosiddetti
continuum vitali.
Prima di arrivare a questo comunque è necessaria una definizione di massima del
termine che a noi qui interessa, “adolescenza”, il suo significato a livello psicologico e
sociologico (in termini di bisogni nei contesti in cui si sviluppa l’identità), infine
capire se è possibile preservare tali significati senza spezzare il ciclo continuo della
vita con una semplice teoria fuzzy in appendice.
D EFINIZIONE
Innanzitutto cosa significa adolescenza? Chi ne fa parte? Per rispondere a queste
domande ci rendiamo conto che siamo costretti ad intervenire mentalmente non
soltanto influenzati da una certa circostanza storica e culturale, ma attivando ognuno
particolari schemi cognitivi e valutativi. Ci rendiamo conto che non esiste, o che
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perlomeno non riconosciamo nessuna definizione universalmente riconosciuta.
L’oggetto adolescente di per sé non esiste, o comunque è talmente complesso che
perché si possa offrire alla nostra osservazione dobbiamo bloccarlo in uno schema,
ridurlo a qualcosa di facilmente quantificabile (esattamente come si fa con le leggi
fisica in natura). Una schematizzazione di questo tipo ovviamente ha il difetto, di
tutte le schematizzazioni, che se coglie alcuni aspetti, necessariamente ne lascia
fuori altri, oppure, se coglie degli esempi (stereotipando il concetto) non potrà
coglierli tutti.
Una risposta di tipo scientifico afferma che gli adolescenti sono membri della razza
umana che si trovano in una fase della vita di raggiunta pienezza della loro maturità:
perlomeno la loro maturità biologica in quanto capaci di riprodurre. Sicuramente
questo non è una fatto irrilevante in quanto lo sviluppo sessuale è qualcosa di
biologico che grande influenza gioca sullo sviluppo anche mentale che culturale.
Difatti gli adolescenti sono una categoria di persone che vivono in una certa società,
in una certa condizione storica, da cui sono condizionati (e alla quale si adattano).
Evoluzioni fisiche si intrecciano con le loro conseguenti interpretazioni culturali,
variabili in ogni luogo e in ogni tempo. Scopriamo infatti che spesso gli adolescenti
sono definiti come l’insieme delle immagini dell’adolescenza stessa che la cultura ha
cucito loro addosso.
Q UANDO INIZIA E QUANDO FINISCE
Il concetto di adolescenza si riferisce a un insieme di fenomeni che sono definiti da
fattori di ordine biologico, di ordine sociale e dagli uni e gli altri mediati da strumenti
culturali. Poiché la cultura non è dato fisso ma variabile in tempi e luoghi da qui,
come il nome stesso adolescens ricorda, l’elemento intrinseco della sua dimensione
evolutiva.
Con l’adolescenza ci riferiamo sicuramente a fenomeni che si collocano in una
prospettiva di mutamento e crescita. Ci riferiamo altresì ad una tappa della vita
abbastanza peculiare da poterla riconoscere tra l’infanzia e l’età adulta, ma sempre
lungo una linea di continuità tanto necessaria quanto utile per la sua comprensione e
collocazione.
Le teorie dell’adolescenza hanno invece spesso manifestato limiti derivanti da uno
schiacciamento in senso riduzionistico sull’uno o sull’altro dei due versanti.
Interessante appare dunque il recupero di alcuni classici come Piaget o Vigotsky, nei
quali la dimensione individuale e quella sociale sono presentate come
interdipendenti; in cui lo sviluppo è definito come processo di continua interazione
tra un soggetto attivamente impegnato a operare sulla realtà secondo propri schemi
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di adattamento, e un ambiente fisico e soprattutto sociale che contribuisce a definire
e trasformare tali schemi.
Due solo le aree intorno alle quali si sono divisi a lungo gli studi sull’adolescenza e
sono le aree delimitate da Coleman nel 1980: una psichica che legge l’adolescenza
come una dinamica interna, magari inconscia; l’altra sociale che vede il soggetto
adolescente come un vero e proprio prodotto delle convenzioni sociali. Si riconoscono
inoltre lavori a margine, di notevole importanza, come quello di Erikson (1950) che
collega lo sviluppo della personalità come fatto soggettivo ma impregnato di vita
sociale in un quadro culturale molto più ampio.
Al soggetto umano in quanto tale devono difatti essere attribuiti non solo schemi di
risposta innati e bisogni primari, ma anche fondamentali schemi di relazione col
mondo esterno e rudimentali strumenti per il loro soddisfacimento attraverso le
interazioni con individui della stessa specie. Ma come risolvere allora questo
dualismo che viene a crearsi? L’individuo è unico e irripetibile o è un prodotto
sociale? Se ne deriva un’ipotesi antropologica di notevole successo che vede nella
formazione dell’individuo, ovvero nella sua ricerca di una identità, una dialettica
continua tra i concetti di attaccamento e di controllo-competenza.
Questa dialettica, che può essere tradotta “tra natura e cultura” può e deve essere
riconsiderata nei termini di una dialettica tra modalità di adattamento di ordine
fisiologico, di ordine comportamentale e di ordine tecnologico (quelle che
introducono modificazioni stabili nell’ambiente).
Se il comportamento degli individui di un certo gruppo sociale può essere previsto in
linea di massima come tendenza statistica conoscendone l’organizzazione
istituzionale e i sistemi di norme e valori, quello del singolo potrà essere spiegato e
previsto solo conoscendone la sua particolare parabola di vita e la sua vicenda
vissuta. Si può quindi parlare di aspetti antropologici universali e variabili
socioculturali.
L’adolescenza viene così ad essere una “fase” in cui un individuo della specie umana
affronta i cambiamenti derivanti dall’acquisizione in corso della maturità riproduttiva,
nel quadro delle condizioni storico-culturali e del particolare ambiente di interazione
in cui essa a luogo. Ed è soprattuto a causa della rapidità del mutamento che la fase
adolescenziale si trova così in difficoltà a riconoscersi in equilibri che ogni volta si
modificano.
A differenza del bambino in periodi precedenti, l’adolescente inoltre dispone di un
orizzonte di riferimento più ampio, anche e soprattutto per suo aprirsi lungo l’asse
temporale verso un futuro più lontano e un passato che entrano ora nel sistema
dell’esperienza e della condotta. Il nucleo tematico dell’identità vista sopra, dunque,
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occupa un posto centrale nella definizione dell’adolescenza come momento di
sviluppo del sistema individuale.
A PPROCCIO DIACRONICO
L’approccio che vede l’adolescenza come fase trova una buona sintesi nel lavoro di
Coleman (1980), il quale definisce “l’adolescenza una fase complessa e
contraddittoria dello sviluppo”, una fase in cui si riconoscono nello stesso momento
comportamenti tra loro opposti, come conformismo e ribellione, progettualità e
passività, desiderio di autonomia e protezione. Questo perché l’adolescenza è una
fase di transizione in cui convivono gli atteggiamenti della fase precedente e si fanno
vivi quelli della fase successiva, spesso ambita, a volte rifiutata.
Nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza si assiste a tre morti psichiche e
simboliche: la morte della famiglia di origine (con tutta la sua autorità); la morte del
proprio corpo infantile (con lo sviluppo della sessualità); la morte dell’identità
bambina. Allo scoperto, nei nuovi rapporti con gli altri uomini, si corre ai ripari con il
meccanismo di identificazione che si attua in forme spesso molteplici.
L’uscita da questa fase dunque si compie con la fine della transizione, con la piena
maturità cognitiva e affettiva. Si tratta di vedere quanto in questa maturità hanno
influenzato condizioni sociali, economiche e culturali.
A PPROCCIO SINCRONICO
Diverso è il metodo di indagine seguito da approcci emergenti che si occupano di
studiare i cosiddetti continuum vitali, ovverosia quei processi “costanti”, ricorsivi,
che la psiche non può risolvere compiutamente perché facenti parte di una struttura
dinamica condizionata dai mutamenti del tempo. L’individuo sarebbe dotato di una
tale plasticità da poter esibire risorse imprevedibili di fronte alle circostanze e tali da
far uscire dalla latenza comportamenti che lo aiutano e lo inibiscono.
In questa prospettiva infanzia, adolescenza, età adulta e vecchiaia si dimostrerebbero
pure convenzioni: volte ad identificare fasi i cui contorni servirebbero al sistema
sociale per demarcare cronologicamente e raggruppare in categorie fittizie gli
individui.
U NA TEORIA FUZZY
Partendo dall’ultimo approccio che abbiamo visto, quello sincronico, possiamo
provare a delineare una teoria che abbracci le sue tesi ma le ponga sotto una luce
diversa, quella della logica linguistica.
La concezione di sé, la propria identità, nasce come rapporto tra noi e l’altro. Poiché
sia il nostro io e che l’altro-da-noi possono essere ri-conosciuti solo attraverso l’uso
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del linguaggio possiamo provare a definire questo rapporto. Siamo ovviamente nel
campo degli a-priori e delle convenzioni linguistiche per cui sono legittimato a
“etichettare” questo rapporto in modo diverso a seconda di come lo interpreto o lo
percepisco, con l’obbligo “morale”, ovviamente, di trovare successivamente delle
corrispondenze pratiche, o perlomeno delle utilità.
Definiamo quattro etichette, e le usiamo (anche in modo soggettivo, non interessa a
noi adesso raggiungere verità comprovabili scientificamente od oggettive) per
denominare i tipi di rapporto che posso esservi tra l’io e il mondo. Chiamiamo questo
rapporto, per comodità, conflitto.
La prima di queste etichette, infanzia, non riconosce il conflitto perché è assente. Il
nostro io è il mondo.
La seconda, adolescenza, descrive il momento in cui nasce il conflitto: l’io scopre il
mondo come qualcosa di altro-da-sé nel quale non c’è necessaria corrispondenza tra i
bisogni del primo e le risposte del secondo. Le contraddizioni insite nei
comportamenti dell’adolescente si possono leggere come una perdita dell’armonia tra
l’io e il mondo, perdita da una parte rimpianta e della quale si vorrebbe riappropriarci
(producendo comportamenti infantili), e dall’altra le reazioni alle difficoltà di questa
impresa.
La terza, età adulta, lungi dal descrivere una fase conclusa, parla del tentativo di
risolvere questo conflitto. Si accetta l’idea che la prima fase è persa e si lavora per
costruire un altro tipo di armonia, comunque basato sull’accettazione dell’io da parte
del mondo, quello di cui nella prima fase si ignorava l’esistenza.
La quarta, vecchiaia, è quella che descrive la fase in cui si subisce questo conflitto
senza nessuna speranza di ricucirlo. Io e mondo sono realtà troppo diverse (benché
una nell’altra) per essere compatibili.
Possiamo quindi a questo punto definire ogni fase come una variabile fuzzy, ovvero
con un valore continuo da 0 a 1 in base a quanto è più o meno rispettata la
definizione della fase in base al conflitto (siamo autorizzati dal fatto che tutte e
quattro le etichette hanno la stessa variabile indipendente). Avremo un grafico di
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questo tipo:
Una teoria fuzzy sostiene, non esistendo “barriere” nette per le quali si possano
riconoscere variabili linguistiche nette nel comportamento delle persone (e di come
queste risolvano il problema io-mondo) l’idea che tutte le fasi della vita si
compenetrano in diversi livelli. Se l’adolescenza è la reazione al conflitto tentando di
tornare indietro all’infanzia e l’età adulta il tentativo di risolverlo con nuove soluzioni
che tengano conto del nuovo stato di cose, niente impedisce che in qualsiasi
momento, sotteso e latente, possa venire fuori nuovamente il desiderio di
“annullare” questo conflitto con una regressione all’infanzia.
Una teoria di questo tipo non si preoccupa minimamente della realtà ontologica delle
cose, ma riconosce il fatto che essendo l’unico modo per riconoscere tale realtà è
come siamo in grado di definirla, ed essendo una definizione a-priori, ne risulta che
qualsiasi lettura che voglia darsi oggettiva e scientifica su temi così “sfumati” si
risolve con una teoria fuzzy che manipola valori continui esattamente come lo è la
vita che solo convenzionalmente si presta a periodizzazioni di tipo scientifico.
Bibliografia
Coleman J. La natura dell’adolescenza. Il mulino 1980
Crespi F. Teoria dell’agire sociale. Il mulino 1999
Erikson EH. Infanzia e società Armando 1966
Paolicchi P. Identità e società Pisa:Istituto di Sociologia 1971
Paolicchi P. Lo specchio rotto: ricerca sull’identità giovanile. In “Orientamenti pedagogici” Anno XXIX n.6
1982
Paolicchi P. L’adolescenza: costanti antropologiche e varianti socioculturali. In “Adolescenza – processi
maturativi neuroendocrini, psicologi e variabili sociali”. Pythagora Press. Milano
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