Un uomo e il suo mare. Trentacinque anni vissuti

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Un uomo e il suo mare. Trentacinque anni vissuti
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Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
di Mauro Melandri
a notizia è di quelle in grado di cambiare i colori di un
bellissimo sabato di inizio estate e mi è stata data da un
collega con una telefonata: “è morto Simone”. Non mi
servono altre parole per comprendere che Simone Bianchetti il solitario, il marinaio e il poeta, di cui tante volte ho raccontato le gesta e riportato le battute - se n’è andato in modo silenzioso, come se non volesse far parlare di se, cavalcando l’ultima onda, quella che non termina mai e dalla quale non si può
scendere.
E’ morto alle quattro di mattina, in quella che viene chiamata
“l’ora del lupo”: ovvero il momento in cui non è più notte, ma
non è nemmeno giorno e nella quale tante persone lasciano la
vita terrena.
Se n’è andato mentre dormiva all’interno di una barca di amici
ormeggiata nel porto di Savona, dopo una serata passata in
compagnia, colpito da un aneurisma cerebrale.
A nulla è servito l’immediato intervento della moglie Inbar che,
chiamando i soccorsi, ha cercato
di salvare la vita al marito.
I suoi amori
Se n’è andato così un uomo di (dall’alto al basso): Tiscali
trentacinque anni, uno sportivo, (2002/03), Town of
che, dopo aver vinto ogni sfida Cervia-Merit Cup (1996),
lanciatagli dal mare, ha perso l’u- Telecom Italia-TNT (1998)
nica partita che ogni essere uma- e Town of Cervia (1994)
no non può vincere. In tal senso si
è espresso Mauro Pelaschier: “Sono rimasto senza parole, specialmente se penso al fisico da leone
che aveva. L’unico pensiero che mi
viene in mente riguarda tutto lo
stress accumulato durante l’Around
Alone. Conoscevo Simone abbastanza bene e di lui posso dire che
era uno spirito libero che aveva bisogno di spazi immensi per ritrovarsi e vivere il mare”.
Bianchetti era indubbiamente uno
dei massimi interpreti dell’arte marinaresca, tanto da essere solito
affermare: “Quando mi chiedono
perché sono così appassionato di
vela, di regate in solitaria, ma soprattutto di mare mi viene da rispondere come Obelix: ci sono caduto dentro da piccolo”.
Marinaio ancor prima che L
Simone
Un uomo e il suo mare.
Trentacinque anni vissuti intensamente,
dal navigatore recentemente scomparso
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Articolo pubblicato sulla rivista SoloVela
SIMONE BIANCHETTI
Nasce a Cervia nel 1968.
La sua prima barca, “Penelope”, uno sloop lungo poco
più di sei metri.
Studia all’Istituto Professionale Navale di Cesenatico.
Nel 1984 acquista “Attax”, un tree quarter progettato
da Peter Norlin.
Successivamente acquista “Condor Nonsisamai”, un
Uldb di 50 piedi; poi prende parte a tutte le competizioni dentro e fuori l’Adriatico (la Rimini - Corfù - Rimini, la Rovigno - Pesaro - Rovigno, la 500 x due); si
misura sui più vari campi di regata: campionati Ior, mondiale
Maxi, Swan Cup, Copa del Rey,
Nioularge, Barcolana, Giro d’Italia.
Frequenta il Giorgio Cini, il collegio navale di Venezia, dove nasce
il suo interesse per la poesia.
Nello stesso periodo si arruola in Marina e viene assegnato alla Capitaneria di Porto Garibaldi; è decorato al
merito per aver salvato tre persone in mare.
Partecipa inoltre alle seguenti competizioni:
nel 1994 alla B.O.C. Challenge;
nel 1995 alla Mini Transat;
nel 1998 alla Route du Rhum;
nel 1999 alla Transat des Sables (su ruote nel Sahara);
nel 2000 e 2001 alla Vendée Globe; è il primo italiano
a portare a termine questa regata
in solitario senza scali e senza assistenza.
Infine nel 2002 e 2003 si classifica al terzo posto all’Around Alone.
Il 28 giugno 2003 muore a Savona, all’età di 35 anni.
Due momenti a bordo del suo
Tiscali (a sinistra).
Sul “triciclo” alla Transat des
Sables (a destra)
un velista, amava vivere il mare in ogni sua sfumatura, alla costante ricerca di quella che lui amava definire “l’unione”, il
momento in cui il suo spirito si fondeva con quello degli oceani. Era nato navigatore solitario e nelle sue parole si comprendono tutti i perché di questa vocazione: “Ogni regata in
solitario è una prova molto dura, ma l’inizio di ogni tappa non
è la fine della tranquillità, ma l’inizio di una nuova avventura.
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Non vedo altro modo di navigare e di vivere la mia vita: senza tregua e in modo estremo”. Viveva così: oltrepassando sempre i propri limiti per dimostrare a se stesso che tutto è possibile, affrontando le sfide più ardite, dove la sua stessa sopravvivenza era messa a repentaglio. Era il 1999 quando
“tradì” il mare per partecipare alla Transat des Sable, folle gara su carri a vela attraverso il deserto del Sahara. Dopo essere
stato sorpreso da una tempesta di sabbia con raffiche di vento ben oltre i cinquanta nodi, venne individuato e salvato grazie all’impiego dell’EPIRB, quando ormai si era pensato il peggio e quando un altro concorrente, il francese Philippe Poulet,
aveva già perso la vita.
Cino Ricci, che ne è stato uno dei maestri, lo ricorda così: “Simone era il prototipo del navigatore solitario. Amava moltissimo
l’elemento acqueo e anche quando si confrontava con gli avversari lo faceva con l’unico intento di vivere il mare”.
Durante le lunghe navigazioni era però sempre pronto a farsi due
chiacchiere al telefono satellitare e nelle sue parole si leggeva
sempre qualche riferimento alla sua Cervia. Ricordo che mentre si
trovava a poche miglia dalle coste brasiliane, durante l’ultima
Around Alone, ebbe a dirmi: “C’è talmente poco vento, talmente
tanta afa e talmente tanta gente che sembra di essere davanti a
Cervia il giorno di Ferragosto. Mancano solo le piattaforme”. Prima di chiudere la comunicazione mi chiedeva sempre che tempo
facesse dalle parti di casa sua, visto che lo chiamavo da Marina
di Ravenna.
Aveva appena terminato l’Around Alone, il giro del mondo a tappe, in terza posizione, festeggiando il suo trentacinquesimo compleanno sulla rotta che lo portava verso Capo Horn. Un’impresa
degna di questo termine, se si tiene conto che in otto mesi era
incappato in ben tre disalberamenti, l’ultimo dei quali lo aveva
sorpreso a sole trenta miglia dal traguardo dell’ultima tappa,
quando ormai si era conquistato il terzo gradino del podio. In
quella occasione la fortuna (era ora!) gli diede una mano, permettendogli di tagliare il traguardo, nonostante il pezzo di albero lungo quasi sei metri appeso a testa in giù.
Tanti progetti in mente, alcuni lontani nel futuro, altri vicini. Tra
questi l’idea di essere tra i protagonisti della prossima Vendèè
Globe: intorno al mondo, senza scalo, da solo. Venticinquemila
miglia senza assistenza esterna, partendo dal vecchio continente
e facendovi ritorno dopo aver girato attorno al Polo Sud: come
scalare tre o quattro ottomila Himalayani di seguito. Simone era
stato l’unico navigatore italiano (e il più giovane in assoluto) a
portare a termine l’impresa nell’edizione del 20002001, insieme alla sua barca di allora “Aquarelle.com”:
uno scafo assolutamente non competitivo, ma che
Bianchetti aveva utilizzato per fare esperienza. Questa
volta poteva essere diverso. Sapeva di poter contare su
un mezzo veloce che aveva appena finito di conoscere
e su uno sponsor dal grande spessore: Tiscali. La grande macchina organizzativa si stava per mettere in moto e la barca era in cantiere per riparare tutti i danni e
le piccole avarie che erano state solo rappezzate nel
breve intervallo tra una tappa e l’altra dell’ultima
Around Alone.
Dopo essersi diplomato al collegio navale Cini di Venezia e
aver prestato servizio come nocchiere della Marina Militare
prese parte, nel 1994, alla sua prima regata in solitario: la Boc
Challenge.
Prima di essere tra i protagonisti della Vendèè Globe e della
Around Alone aveva partecipato a una decina di regate transoceaniche per solitari. Competizioni come la Minitransat che lo
aveva portato dalla Francia alla Martinica, la Quebec-Saint Malò,
la Europe I Man Star del 1996 sulla rotta che unisce Inghilterra e
Stati Uniti - nella quale aveva chiuso al secondo posto - e la Route du Rhum. Sapeva i rischi cui andava incontro: “So che nel fare quello che faccio ci sono rischi altissimi. So che ogni volta che
lascio il porto potrei non mettere più piede a terra: ma è una mia
scelta. C’è chi entra in seminario e decide di diventare prete. Io,
seguendo una vocazione analoga e imponendomi la stessa disciplina, ho scelto questa strada”.
Ti bastava parlare con lui alcuni minuti per scoprirlo filosofo, seppur a modo suo, fatalista e poeta. Proprio la poesia era la sua altra grande passione. Dopo aver pubblicato, alcuni anni or sono,
la sua prima raccolta di versi intitolata “Poemetti furiosi di un navigatore”, aveva appena presentato un nuovo volume di poesie,
battezzato “L’enigma religioso dell’estuario” e si apprestava a lanciare “I colori dell’Oceano”, un’autobiografia con la quale ha desiderato renderci partecipi delle sue emozioni, vissute tra le onde
e i venti dei mari di tutto il mondo.
Ciao Simone, ovunque tu sia, ti auguriamo che la tua planata non
abbia mai fine.
TI RICORDI QUELLA VOLTA
Simone Bianchetti ha pubblicato la sua autobiografia - I Colori dell’Oceano - edita da Longanesi.
Tra le sue righe, a un certo punto Simone parla a
se stesso: “Guai a lamentarti, però, capitan Bianchetti. È quello che cercavi, no? Il tuo sogno, la
tua sfida, la tua missione. Il Vendèe Globe, il giro del mondo. Ti ricordi di quella volta, da bambino, sulla spiaggia di Cervia? Avevi cinque anni.
Scrutavi l’orizzonte di fronte a te e volevi che facesse altrettanto tuo fratello. «Guarda! Quello è il muro del cielo.
Prima o poi lo toccherò», gli dicevi.
Mio fratello non si è mai dimenticato
di quel giorno e di quel che dissi. Io
invece credo di comprendere soltanto
oggi, dopo ventisette anni, mentre sto
navigando verso la fine del mondo, il
significato di quella frase”.
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