Dal bianco, al rosso, al nero

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Dal bianco, al rosso, al nero
Dal bianco, al rosso, al nero.
Il teatro 'gastronomico' di Claudio Zanini
Il nero di seppia è uno dei piatti, quello principale e più
simbolicamente pregnante, che si avvicendano in questo romanzo, in
questo 'giallo gastronomico' di Claudio Zanini, interamente o quasi
ambientato in un ristorante di provincia, chiamato La Bella Cipro. La
scena, dal punto di vista narrativo, è dominata dalla figura di un
cameriere-cuoco silenzioso e riflessivo, esso stesso voce narrante nei
suoi diari diretti, esigente e perfezionista maestro della preparazione
culinaria e della presentazione dei piatti.
Dal punto di vista scenografico, invece, la scena è dominata da
Casablanca, un borioso e ricco personaggio, dalle oscure relazioni
politiche, con la costante tendenza a soggiogare il prossimo, a
subordinarlo alla sua personalità e alle proprie idee: idee reazionarie
e vagamente massoniche, elitarie e antidemocratiche, tra un
pessimismo antropologico alla Hobbes e nostalgie nietzschiane di
una classe al potere di qualità superiore.
Tra l'anglosassone cameriere e il tronfio Casablanca, pronto a
punzecchiarlo sulla qualità dei piatti ad ogni occasione, rotea una
giostra pittoresca e talvolta grottesca di clienti del ristorante: le due
anziane sorelle zitelle Marta e Olga, acide e affamate; la signorina
Wally, patetica cantante fallita; il maggiore Doro, appassionato di
battaglie con i soldatini; il triste e introverso signor Elisio,
commerciante di immagini sacre insieme al più ruspante cugino
Benito; un pallido e ambizioso praticante d'avvocatura, il vecchio
barone Colorno, lo squallido Lopez tirapiedi di Casablanca, e altre
figure più o meno di secondo piano. Un piccolo bestiario raccolto
nello spazio della sala da ristorante, attori loro malgrado di un teatro
di gruppo che si svolge ad ogni appuntamento, pranzo o cena.
La sala poi diviene meno grigia, soprattutto per il cameriere, quando
entra come un raggio di sole una figura femminile, la nipote del
sempre assente proprietario, Klara, bionda e delicata. Una luce che si
fa largo nella penombra, e allarga anche il cuore di chi la contempla.
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Ma il vero duello che serpeggia dalle prime pagine alle ultime di
questo gustoso e articolato racconto, è quello fra il cameriere e
Casablanca. Un duello dove, da una parte, vi sono la professionalità
del cameriere, i suoi silenzi più significativi che ossequiosi, la sua
maniacale tendenza alla colorata preparazione e presentazione delle
pietanze, la sua sensibilità acuta e permalosa, la sua dignità ferita
ogni qualvolta i piatti migliori gli vengono contestati; dall'altra la
tracotanza e l'impudenza di Casablanca, che non smette di provocare
il cameriere, di criticarne modalità di preparazione e di
presentazione, stile culinario, consigli, esperimenti gastronomici, e in
più mostra di detestarne i professionali silenzi, dietro cui intravede
segreti incompatibili con la neutrale figura di un cameriere. Per di
più non è solo la dignità professionale dell'impeccabile chef che
viene quotidianamente offesa, ma anche una sua passione per la
pittura che lo porta a uscire ogni tanto dal ruolo per parlare dei
quadri preferiti, le nature morte dell'arte fiamminga, dove cibi di
carne, pesce o verdura emergono con dettagliata precisione da un
sfondo buio e sembrano rifiorire dalla morte: come lo stesso
cameriere fa rifiorire il materiale grezzo di selvaggina o verdura in
capolavori di colore, di condimenti, di intingoli prelibati.
E mentre Casablanca impone in maniera sempre più intollerabile la
sua sete di dominio psicologico e ideologico sugli altri clienti,
plagiandone anche i più fragili e indifesi, il cameriere non può fare
che impegnarsi al massimo e sempre di più per realizzare le sue
squisitezze ed arginare le critiche del potente cliente. E qui il
narratore, sia in terza persona che nel monologo diaristico del
protagonista, ci immette in un universo di piatti, sapori, ricette,
descritte con una vena narrativa ricca e gustosa, essa stessa direi
saporita e piccante, avvincente e condita, oltre che di ingredienti
d'ogni tipo, anche di humour. Sono pagine che ricordano certi brani
di Gadda e che si distinguono, oltre che per la 'fiamminga'
precisione, anche per il fatto di mettere in luce una vera e proprio
percezione' del mondo nel cameriere: il quale sembra ritagliarsi un
universo tutto suo, netto e ordinato quanto articolato e barocco, dal
fondo oscuro di un caos ontologico ed esistenziale. Dietro la
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meticolosa preparazione dei piatti e la perfetta presentazione, trapela
anche una alchemica 'ricerca' (preparazione) e una 'offerta'
(presentazione) di senso. Ed è questo che poi rende ancora più
stridente il rapporto con Casablanca, che da una parte tende a un
ordine reazionario e ben diverso, dall'altro è mille miglia lontano,
anzi cinico e sprezzante, rispetto alla trasformazione gastronomica
del caos in quell'ordine estetico che il cameriere vuole realizzare. E
lo vuol realizzare con l'implicita coscienza, anch'essa ontologica ed
esistenziale, della precarietà della materia, dell'esistenza, e della
necessità di un ordine estetico, laddove Casablanca punta a un ordine
'etico', di tipo militare e gerarchico.
Dietro la passione culinaria dunque vi è nel cameriere questa ricerca
di ordine, di telos, e di senso estetico: e sono dunque due ordini di
pensiero, di percezione, di organizzazione dell'esperienza, quelli che
qui si scontrano, fino al drammatico finale. Direi anche due modi di
meticolosità: quella 'fiamminga' del cameriere artista della cucina, e
quella 'massonica' e autoritaria di Casablanca, la cui presenza
incomberà con un peso sempre maggiore sugli astanti, senza riuscire
ovviamente a prevalere su quella oasi di silenzio professionale, e non
solo, che il cameriere ha assicurato impassibilmente (ma con un
sedato tremore interno) a propria tutela.
Solo la violazione della serafica e limpida bellezza di Klara, la
donna-raggio di sole, da parte di un Casablanca ubriaco - dopo aver
monopolizzato una cena di compleanno in onore della ragazza-, potrà
rompere l'aplomb anglosassone del cameriere a portarlo a un gesto
estremo, alla ricomposizione di una giustizia quasi anch'essa
'estetica', oltre che ontologica e morale. E sarà quella una teatrale e
drammatica cena finale, organizzata dallo stesso cameriere tutta nel
segno del 'bianco' -per onorare la bianca Klara-: una cena poi seguita
dal rosso del sangue, e dunque anche da quel 'nero' di seppia che
dalle prime pagina ha simbolicamente costituito (in una inquietante
ambiguità di significati) una 'notturna' minaccia sulla 'chiarezza'
inseguita dal protagonista -e ora proprio dalla bionda Klara
rappresentata.
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Un romanzo dallo stile asciutto, penetrante e articolato, dunque, con
venature di humor, di dissonanza e sarcasmo. Ambientato in un
'catino' teatrale chiuso e claustrofobico. La sapienza culinaria serve
all'enigmatico cameriere per esprimere quella ricerca del senso, della
bellezza, dell'ordine anche microcosmico che, serrato nel suo guscio,
nella sua corazza professionale, non riuscirebbe altrimenti ad
esprimere. E anche un risotto al 'nero di seppia' , pur contestatogli dal
fanatico Casablanca, può servirgli per dare alla materia un senso e
portarla alla luce dall'insensatezza della notte, proprio come i pittori
fiamminghi della nature morte restituivano i loro materiali, fatti di
carni, di pesci, di frutta e verdura, ad una precisa e miracolosa luce,
fuori dello sfondo nero della tela.
Ma, come è noto, la seppia vomita il suo nero per difendersi,
contrattaccando. Lo farà anche il cameriere, quando la sua corazza
per un attimo si squarcerà, nel drammatico ma fatale finale del
romanzo.
Roberto Caracci
Nero di seppia, romanzo di Claudio Zanini, Edizione Bietti
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