Il gioco dell`oca del sistema spagnolo A Parigi un

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Il gioco dell`oca del sistema spagnolo A Parigi un
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CONSIGLIERI
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Piergiorgio Weiss
A Parigi un accordo a due facce
Sergio Castellari
I migranti
di Riace
ISTITUTO NAZIONALE DI
GEOFISICA E VULCANOLOGIA
I
l 12 dicembre, nell’ambito della XXI Sessione della
Conferenza delle Parti (Cop21) della Convenzione
Quadro dell’ONU sul clima, i 196 Paesi presenti alla
Conferenza hanno approvato il documento finale,
denominato “Accordo di Parigi”. Questo accordo è
stato il risultato di diversi anni di negoziazione, già
iniziati alla Cop17 di Durban nel dicembre 2011. È mia opinione, tuttavia, che l’accordo presenti però due diverse facce, che cercherò di spiegare brevemente.
La prima faccia è molto positiva
Dopo vari anni di negoziazioni si è raggiunto un accordo universale, che coinvolge tutti i Paesi, quelli sviluppati e quelli in
via di sviluppo. È, dunque, un accordo di importanza storica, perché supera lo schema del Protocollo di Kyoto, che prevedeva obiettivi di riduzione delle emissioni di gas solo per i
Paesi sviluppati. Ad oggi i Paesi che hanno presentato i loro
contributi volontari di riduzione delle emissioni di gas serra sono 189 e sono responsabili del 95% delle emissioni globali. È importante sottolineare che questi contributi volontari dovranno diventare più ambiziosi: i Paesi sono chiamati a migliorarli ogni 5 anni. Nell’accordo di Parigi è stato introdotto un obiettivo globale molto ambizioso (articolo 2): ridurre le emissioni globali di gas serra per “mantenere l’incremento della temperatura media globale ben sotto
i 2°C rispetto ai livelli preindustriali e sforzarsi per limitare
questo incremento a 1,5°C, riconoscendo che ciò ridurrebbe significativamente i rischi e gli impatti del cambiamento
climatico”. Dall’inizio del XIX secolo, l’umanità ha iniziato
ad usare combustibili fossili come il carbone, poi il petrolio
e il gas. L’uso di questi combustibili fossili ha provocato un
significativo aumento delle emissioni di gas serra in atmosfera, che, insieme alla deforestazione, hanno aumentato la
concentrazione atmosferica di questi gas serra. Queste alte
concentrazioni atmosferiche sono considerate dalla comunità scientifica le maggiori responsabili del riscaldamento
globale in atto negli ultimi 50 anni.
Nell’articolo 4 dell’accordo vengono delineate le modalità con cui raggiungere l’obiettivo globale del contenimento della crescita della temperatura: i Paesi devono garantire un massimo di emissioni di gas serra quanto prima, sebbene i Paesi in via di sviluppo possano disporre più tempo,
però, infine, tutti i Paesi devono attuare “rapide riduzioni in
accordo con le migliori conoscenze scientifiche disponibili”. È importante tenere conto della conoscenza scientifica,
perché significa fare affidamento ai rapporti del Comitato
Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (Ipcc), che è il
principale riferimento scientifico. È importante anche porre l’accento sulla “rapidità” di queste azioni di riduzioni delle
emissioni di gas climalteranti: la temperatura media globale è già cresciuta di circa 1°C rispetto ai livelli preindustriali,
quindi lo spazio di manovra per contenere la crescita entro
2°C risulta ridotto. L’obiettivo dei 2°C è emerso dagli studi della comunità scientifica mediante l’uso di modelli climatici
per stimare gli impatti dei cambiamenti climatici tenendo
conto di diversi tipi di riscaldamento globale: superare questa soglia dei 2°C potrà causare enormi costi di adattamento degli impatti in molti settori; inoltre, alcuni saranno inevitabili e impossibili da gestire in maniera efficace, perché
avranno superato le soglie di “capacità adattiva” dei sistemi naturali ed umani; altri impatti, infine, potranno essere irreversibili o mantenersi per secoli, come, ad esempio, la
fusione dei ghiacciai della Groenlandia con tremendi effetti sull’innalzamento del livello medio dei mari. Nel suddetto accordo la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici vengono parimenti considerati ed affrontati. Infatti, anche se verranno ridotte le emissioni di gas climalteranti e la deforesta-
Il commento
A secco. L’ispezione al lago Poopo, in Bolivia, che è
ormai quasi completamente asciutto. Foto: Epa
Gli impegni presi,
se attuati, comunque
faranno aumentare
la temperatura globale
zione (attuando misure e politiche di mitigazione), dovranno essere affrontati in varie aree del nostro pianeta gli inevitabili impatti dei cambiamenti climatici: alcuni sono già in
corso e altri sono potenzialmente prospettabili in un futuro
prossimo. È necessario, dunque, pianificare ed attuare misure e politiche per ridurre il rischio di questi impatti; in altri
termini, occorre prepararsi all’adattamento. Nell’accordo di
Parigi si introducono obblighi di reporting delle emissioni
di gas serra, delle misure e politiche di mitigazione per tutti
i Paesi; tali rapporti nazionali saranno sottoposti a revisione mediante procedure comuni per tutti i Paesi per verificare il vero stato di attuazione degli impegni assunti. Mi preme, inoltre, ricordare che l’accordo di Parigi è il primo accordo multilaterale climatico che, nel suo preambolo, richiama espressamente e riconosce l’importanza di alcuni diritti civili quali l’equità intergenerazionale, la giustizia climatica ed il diritto alla salute: un piccolo passo avanti, sebbene ci si limiti ad un richiamo nell’introduzione, senza alcun
riferimento alle modalità da seguire per la loro attuazione.
L’operatività dell’accordo è subordinata alla sottoscrizione
dello stesso da parte di almeno 55 Paesi, che sono responsabili del 55% del totale delle emissioni globali di gas climalteranti. Infine, il raggiunto consenso, conseguito a Parigi,
sul testo dell’accordo ha mandato e continuerà a mandare
un importante e forte segnale al settore pubblico (e dunque
ai decisori politici) ed al settore privato (ovvero a chi investe
in energia, trasporti, produzione alimentare, turismo ecc.):
la transizione verso un’economia globale a zero emissioni
di carbonio ha oramai ricevuto lo “start” formale dell’ONU
e non potrà in alcun modo essere bloccata, a rischio di una
pessima figura davanti gli elettori e i consumatori.
La seconda faccia è meno positiva.
Gli impegni attuali presi dai 189 Paesi, che hanno presentato contributi volontari, se attuati, porteranno molto probabilmente a un aumento della temperatura media globale di
circa 3°C rispetto al livello preindustriale (almeno così precisa la comunità scientifica climatica), quindi ben al di sopra
dell’obiettivo globale dell’accordo. Inoltre, l’obiettivo globale è espresso in maniera generica e non in funzione di reali riduzioni di emissioni globali di gas climalteranti, come
segnalato nell’ultimo rapporto del Comitato Ipcc pubblicato nel 2014: al fine di raggiungere l’obiettivo dei 2°C è necessario attuare almeno una riduzione entro il 2050 delle emissioni globali del 40-70% rispetto al 2010 e poi arrivare a zero
emissioni alla fine di questo secolo. Il testo dell’accordo (articolo 4) spiega, invece, che per raggiungere l’obiettivo è necessario ridurre le emissioni globali prima possibile, senza specificare di quanto, al fine di garantire un bilancio tra emissioni di carbonio e rimozioni di carbonio. Non sono specificate, però, le modalità necessarie ad assicurare le rimozioni
di carbonio, dando, quindi, per presupposto sia l’afforestazione, sia le tecnologie di geoingegneria (tecnologie ancora
non operative e ricche di incognite). Infine, i punti più critici di questo accordo sono la natura “legalmente vincolante”
ed il suo sistema di “compliance” (la conformità alle regole
prestabilite). La parte “legalmente vincolante” dell’accordo è rappresentata dalla procedura trasparente che i Paesi
dovranno adottare nel presentare e nel compilare i rapporti
sui loro contributi volontari. L’articolo 15 dell’accordo introduce il concetto di un sistema di “compliance”, che però deve
essere non sanzionatorio e deve tenere conto delle specificità dei diversi Paesi nell’attuazione dei loro impegni. Inoltre,
questo sistema sarà oggetto di successiva elaborazione nei
prossimi anni da parte di un comitato specifico con inizio
dalla prima sessione dell’accordo, quindi nel 2020. Credo,
dunque, sia molto ottimistico qualificare tale accordo come
un accordo legalmente vincolante con un sistema di “compliance” ancora tutto da definire, che sarà oggetto di ulteriori negoziazioni, sicuramente non facili, nei prossimi anni.
Conclusioni
Dall’accordo potrebbero però scaturire una serie di “followup” particolarmente interessanti. L’Ue potrebbe aumentare
il proprio obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra
(40% rispetto al livello del 1990), ora presente nel pacchetto clima/energia 2030. La Cina potrebbe seguire l’esempio e
rendere più sostenibile il nuovo Piano Quinquennale 20162020 prima dell’approvazione nel marzo 2016; persino gli
Usa potrebbero garantire un maggiore impegno dopo l’accordo di Parigi, nonostante la recente apertura, dopo circa
40 anni, da parte del Congresso alle esportazioni di petrolio
nazionale. In conclusione, questo è l’accordo che i Paesi hanno potuto e voluto concludere a Parigi: un risultato storico,
ma che ci si augura possa essere migliorato in molte sue parti
nei prossimi anni prima della sua entrata in vigore nel 2020.
Il gioco dell’oca del sistema spagnolo
Salvatore Vassallo
Elisabetta Gualmini
ra già chiaro che l’ondata d’inquietudine e
malcontento che si aggira per l’Europa si sarebbe
fatta sentire con forza anche in Spagna. Ed anche
che lì, con maggiore probabilità, gli effetti sulla
stabilità dei governi sarebbero stati difficili da riassorbire.
Nonostante che in Spagna l’onda non abbia preso le
forme di movimenti xenofobi, viscerali, ossessivamente
nazionalisti, ideologicamente estremi. O forse proprio per
questo. Al successo di Podemos e Ciudadanos contribuisce
non solo la presenza di leader giovani e carismatici,
uno hippy e uno yuppi, ma anche il tratto rassicurante.
La sfida ai partiti tradizionali è venuta da forze non
abbastanza radicali da poter essere messe nell’angolo degli
antisistema, non abbastanza moderate da poter facilmente
venire a patti coi protagonisti del bipartitismo “quasi
perfetto” che, dopo la breve fase della transizione (197781), retta da instabili aggregazioni al centro, e la lunga
fase del predominio socialista con i governi Gonzalez, è
sembrato potesse stabilmente convivere con un sistema
proporzionale. Le tre ordinate alternanze tra Aznar (1993),
Zapatero (2004), Rajoy (2011) sembravano dimostrarlo.
Ora, invece, siamo alla perfetta paralisi. Il sistema
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Simone Torrini
Guido Stefanelli
Vladimiro Frulletti
E
DIRET TORE OPER ATI VO
elettorale spagnolo penalizza i partiti con un elettorato
nazionale che prendono meno del 10% dei voti e trasferisce
i relativi seggi ai partiti maggiori e a quelli regionalisti
(che hanno voti concentrati in poche circoscrizioni). Non
premia e non garantisce la maggioranza al partito che
arriva primo, né spinge a formare coalizioni. Con solo due
partiti, chi arrivava primo poteva facilmente costituire
il governo con la norma costituzionale che consente al
Premier di entrare in carica anche solo con la maggioranza
relativa dei deputati favorevoli contro quelli esplicitamente
contrari. E grazie alla quasi totale indifferenza, tra Psoe e
Pp, dei regionalisti. A prima vista, il bipartitismo avrebbe
potuto essere sostituito da un assetto bipolare: PpCiudadanos a destra, Psoe-Podemos a sinistra. Coi partiti
tradizionali a rappresentare l’elettorato più anziano, gli
arrembanti anti-establishment i più giovani. Ma c’è più di
una complicazione. Primo, il perfetto pareggio. Tutti e due
i «poli» hanno ottenuto esattamente la stessa quota di voti
(42,6%) e un numero di seggi quasi identico (163 a 159, tra
45 e 46%), al punto che se questo fosse lo schema di gioco,
a decidere chi va al governo non sarebbero gli elettori ma i
6 deputati del Partito nazionalista basco o i 9 della sinistra
indipendentista catalana.
Secondo, e soprattutto, l’incompatibilità delle strategie
politico-elettorali dei partiti astrattamente più vicini.
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Ciudadanos, dopo aver fatto del ricambio delle classe
dirigente la sua bandiera, non può andare oltre una
astensione tecnica che consenta l’entrata in carica di
un monocolore Pp. Il Psoe naturalmente oggi non può
arrivare nemmeno a questo, se non vuole perdere altri voti.
Potrebbe andare in sella solo mettendosi definitivamente
al rimorchio di una maggioranza a trazione Podemos
con dentro anche i nazionalisti catalani. Purtroppo (o per
fortuna), nel Psoe gli anticorpi verso questa ipotesi sono
robusti. Se non bastassero, ci sarebbe la maggioranza del
Senato saldamente in mano al Pp a rendere impossibile
qualsiasi compromesso basato sulla promessa di una
modifica costituzionale. Per quanto possa apparire meno
ovvio, un’esile possibilità di uscire dallo stallo ci sarebbe
stata se i numeri parlamentari fossero stati favorevoli a
un accordo tra Psoe e Ciudadanos, come è successo in
Andalusia. Ma il Psoe ha perso troppo verso Podemos e
Ciudadanos ha preso troppo poco al Pp. Quindi a oggi
lo scenario più prevedibile è il gioco dell’oca. A gennaio
Rajoy viene bocciato dall’opposizione congiunta di Psoe
e Podemos. Di seguito fallisce o si arena l’avventurosa
coalizione evocata da Iglesias. E si torna quindi a
Rajoy, che nel frattempo è rimasto in carica, pronto a
gestire il ritorno alle urne. E di nuovo al via, sperando
che il prossimo giro della ruota sia più fortunato.
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Gianni
Pittella
I
n Calabria c’è un Comune che meriterebbe
la medaglia d’oro della solidarietà.
«Riace l’altra Europa», non c’è dubbio.
Quella spesso fuori dai riflettori, che
accoglie, che integra i migranti. Quella che non
si volta dall’altra parte rispetto a chi chiede aiuto
ma fa della mobilità un fattore di crescita dei
popoli del mondo. Nel piccolo comune dell’area
jonica reggina, popolato da circa 1800 residenti,
gli abitanti di origine straniera sono centinaia.
400, forse anche di più. Sono stato a visitarlo per
la seconda volta in pochi anni per dire grazie
ad un sindaco e ad un popolo meravigliosi che
hanno scommesso sulla accoglienza, non solo
come dovere e simbolo di umanità e civiltà,
ma anche come volano di crescita sociale ed
economica. Ragazzi, ragazze, madri, bambini
provenienti da oltre venti Paesi dell’Africa e del
Medioriente che, dal 2004, trovano a Riace un
luogo sicuro e accogliente dove vivere, lavorare
e costruire la speranza. Uomini e donne,
dunque, che per una parte del mondo sono
“scarti umani” di un sistema che non ammette
valori. L’esperienza iniziò nel 2004: alcune
centinaia di profughi si arenarono con un veliero
sulle spiagge della costa jonica. “A quel punto
– mi ha spiegato il sindaco Mimmo Lucano abbiamo messo in atto un’idea controversa.
Ovvero riaprire le case degli emigrati lontani da
questa terra. Le abbiamo aperte e le abbiamo
date a quelle persone in difficoltà. Perché noi
vogliamo un’Europa libera dal pregiudizio e
dai muri”. Il progetto di accoglienza, a Riace,
sta garantendo la sopravvivenza di un borgo
destinato all’abbandono. Nel giro di dieci
anni, a fronte di un calo demografico diffuso
nel reggino calabrese, nel piccolo centro
dell’alta locride la popolazione è cresciuta
di oltre cento unità. “35 euro al giorno per i
migranti – ha sottolineato Lucano – servono
per il sostegno alla persona, per la gestione
dei servizi e, come fatto qui, per la crescita
di tutta la comunità: 70 posti di lavoro sono
stati creati negli anni a Riace. Io queste cose
vorrei mostrarle a Salvini, che parla tanto ma
sa poco poco”. Riace è famoso per la raccolta
differenziata porta a porta, fatta con l’ausilio
di 18 Asini. E Riace è, soprattutto, modello di
rinascita: con l’arrivo degli immigrati sono stati
riaperte attività artigianali, un caseificio, un
laboratorio per la tessitura, e uno per
la produzione di cioccolata. Ma anche un
frantoio. È stata stampata una moneta locale
solidale. Tutto quello che chiedono oggi i
ragazzi di Riace è un campo da calcio dove
poter giocare e divertirsi. Lo vuole anche
il sindaco Lucano, che vorrebbe venisse
finanziata anche la legge Riace n.18 del 2009
dalla Regione Calabria. “Questo modello si basa
su un’economia solidale, sui valori di sostegno
reciproco della civiltà contadina, e con poco
abbiamo fatto tanto”, é stato spiegato ancora. Da
anni c’è un via vai di ricercatori, e fotoreporter
stranieri, che continuano a spingersi fino alla
punta dello stivale, attratti da questa storia.
A livello internazionale gli sono stati tributati
onori di ogni genere. Dal terzo posto come
miglior sindaco del mondo, ottenuto nel 2010
con la motivazione di essere un “Gandhi dei
nostri tempi”, alla dichiarazione del regista Wim
Wenders (che ha girato il film documentario
su Riace), secondo cui “la vera utopia non
è il crollo del muro di Berlino, ma quello
che è stato fatto a Riace”. Riace non è il solo
esempio di comunità italiana che ha accolto,
assistito,integrato, valorizzato. Perciò alcune
incursioni brussellesi ignoranti dello sforzo
ammirevole ed eccellente svolto dall’Italia in
questi anni non ci sono piaciute e meritano di
essere rispedite al mittente. Il Governo italiano,
il suo premier Matteo Renzi e i cittadini italiani,
la stragrande maggioranza, non hanno smarrito
i valori di solidarietà e di generosità che sono il
cemento della civiltà. Il nostro impegno europeo
è strenuamente rivolto a difendere questi valori
dall’impatto di nazionalismo ed egoismo, dalla
propaganda della destra xenofoba e razzista
che vorrebbe condurci nell’abisso dell’odio e
nel labirinto della paura. La propaganda non
si vince con la timidezza e la codardia, ma con
la verità e i fatti. I fatti dimostrano, con buona
pace di Salvini e Le Pen, di Farage e di Orban,
che la costruzione di una società multietnica
e multireligiosa non solo è possibile, ma
assolutamente utile. Basta non perdere se stessi.
Iscrizione al numero 243 del Registro Nazionale della Stampa del Tribunale di Roma.
Iscrizione come giornale murale nel registro del tribunale di Roma n. 4555.
Certificato ADS numero 7862 del 09/02/2015
La tiratura del
21.12.2015
è stata di 58.604
l’Unità
Martedì, 22 Dicembre 2015
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