Donne in migrazione
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Donne in migrazione
DONNE IN MIGRAZIONE Nonostante la letteratura sull’immigrazione nel passato sia stata reticente nel sottolineare l’importanza dell’immigrazione femminile, riducendola ad una mera appendice dei flussi maschili, le donne si sono rivelate spesso protagoniste anche nelle fasi iniziali della storia migratoria. Con il mantenimento di un "genere neutro" nell’approccio alle migrazioni, i diritti umani delle donne e i loro bisogni vengono ignorati e non vengono adeguatamente affrontati dalle politiche di inclusione. Possiamo chiederci se quest’amnesia verso le donne che lasciano il proprio paese non rischi di minimizzare il ruolo e il posto delle donne nelle migrazioni, nell’economia e nella società in generale. Questa invisibilità del femminile nei processi migratori non è ancora del tutto risolta. Anche gli studi sulle discriminazioni di cui sono vittime i migranti, soltanto raramente hanno tenuto conto della differenza di sesso. Di fatto, invece, assai spesso le donne immigrate subiscono una doppia discriminazione sia come donne sia come migranti. Le donne migranti fanno scelte indipendenti, prendono iniziative per le proprie famiglie o diventano spesso la principale fonte di sostentamento per la famiglia. Un approccio di genere alle politiche di immigrazione introduce un cambiamento nella visione delle donne immigrate come semplici mogli e figlie di immigrati uomini, al fine di comprendere e capire le esperienze uniche delle donne stesse. I paesi della sponda nord del Mediterraneo, tra cui l’Italia, sono infatti caratterizzati da una elevata ed evidente componente femminile nell'immigrazione, molto attiva nel mercato del lavoro, che riflette la natura della domanda di lavoro, espressione a sua volta della struttura economica e del sistema del welfare di questi paesi. Negli anni ’70 le donne sono state protagoniste dei primi flussi migratori verso il nostro Paese. Provenivano soprattutto dalle isole di Capo Verde, dal Corno d‘Africa, dalle Filippine, dall’America del Sud ed entravano in particolare come collaboratrici domestiche. Si pensi ad esempio alle donne del Corno d’Africa arrivate in Italia alla fine degli anni Sessanta, in generale si trattava di donne sole che emigravano per motivi sia politici che economici e i cui risparmi e rimesse hanno mantenuto intere famiglie nel paese di origine. Nel 2012, le donne rappresentano circa il 52% degli immigrati residenti nel nostro paese. Si tratta di un flusso composto da donne appartenenti a nazionalità, culture, lingue e religioni diverse e quindi anche con modelli migratori diversi il ché implica che qualunque generalizzazione che non tenga conto di questa complessità sarebbe del tutto superficiale. I dati dell’Istat al 1 gennaio 2011, rivelano come le donne provenienti da paesi non comunitari che hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro raggiungano il 47% del totale delle donne, mentre quelle che lo hanno avuto per ricongiungimento familiare sono il 46%. Fra gli altri motivi di soggiorno, il permesso per studio interessa il 2% delle soggiornanti, e altro 2% hanno la protezione internazionale. E’ importante sottolineare la funzione esercitata dalle donne immigrate di mediazione tra la famiglia e la società di accoglienza. Se gli uomini sono spesso il tramite con la realtà 1 di 4 aziendale, il compito delle donne non si esaurisce all’interno della famiglia o del posto di lavoro, le donne fungono da tramite con la società con la quale, a partire dalla scuola e dagli uffici pubblici, intrattengono più spesso i contatti. L’esperienza migratoria, porta con se momenti di cambiamento, rottura e riequilibro, e costringe le donne a ridefinire i sistemi culturali di riferimento oltre che la loro stessa identità femminile. L’immigrazione femminile si rivela, pertanto, caratterizzata da una complessità, versatilità e molteplicità di situazioni e strategie di inserimento che richiedono una maggiore sensibilizzazione e sostegno nei confronti delle sue protagoniste nonché analisi e riflessioni mirate anche riguardo agli effetti sull’intera società di accoglienza e sulle seconde generazioni. IL LAVORO Le donne immigrate rappresentano al primo trimestre del 2012 circa il 43% degli occupati non italiani e circa l’11% del totale delle donne occupate. Circa l’11% lavorano nell’industria, il 14% nell'ambito del commercio, gli alberghi e la ristorazione, circa il 2% sono impiegate nell’agricoltura e ben il 72% del totale delle donne occupate secondo l’Istat lo fanno nel settore dei servizi, soprattutto quelli alla persona. Crisi economica Negli ultimi anni la crisi economica ha fatto emergere in modo evidente il fenomeno delle donne immigrate che, da “casalinghe” sono diventate gioco-forza soggetti in cerca di occupazione. Allo stesso tempo, nei nuclei familiari dove entrambi lavoravano, in questo periodo il lavoro delle donne è quello che sta reggendo meglio l’impatto della crisi. Il lavoro delle donne sta permettendo, in caso di perdita del lavoro del marito, di non interrompere il progetto migratorio e sta allo stesso tempo salvaguardando l’unità familiare. Il lavoro di cura In Italia, così come avviene per altri paesi mediterranei, il lavoro domestico e di cura è una collocazione dalla quale per le donne è difficile uscire. Il destino di lavoratrici di cura o collaboratrici domestiche sembra condannare la stragrande maggioranza de donne immigrate, anche quelle presenti da molto tempo. I motivi di questa collocazione in larga misura segregante sono molteplici, ma il più importante – comune ad altri paesi della sponda nord del mediterraneo - riguarda la qualità della domanda di lavoro. Le immigrate soddisfano dei bisogni che in generale in altri paesi sono soddisfatti dal sistema di welfare. Il percorso migratorio comporta, dunque, notevoli effetti a livello di rapporti familiari; il distacco dalla famiglia di origine ed eventualmente da quella di formazione, che spesso richiede di ‘lasciare indietro’ marito e figli, determina una ristrutturazione dei legami parentali e familiari, con notevoli conseguenze psico-emotive. 2 di 4 Stanno emergendo, così, nuove figure di madri transnazionali, che mentre curano i figli di altre donne cercano di mantenere dei legami a distanza con i propri, rimasti nei Paesi di origine. WELFARE In Italia l’assenza di un sistema di welfare di qualità e la mancata redistribuzione delle responsabilità del lavoro domestico e di cura all'interno della coppia, ha portato con se che la maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro abbia causato un aumento della domanda nel settore domestico, che ha costituito un fattore di attrazione per le donne immigrate, che si sono trovate a inserirsi e spesso a restare bloccate in un settore lavorativo già in sé poco qualificato e scarsamente remunerato, oltre che socialmente poco riconosciuto. Rispetto ai servizi di welfare presenti nei paesi di immigrazione, le donne migranti si configurano inoltre come utenti, giocando anche in questo caso una parte tutt'altro che irrilevante. Tra gli immigrati sono proprio le donne a fare un uso maggiore dei servizi socio-sanitari presenti nel territorio. E' inoltre la loro presenza a determinare per gli immigrati l'instaurarsi di un rapporto più stretto e continuo con tali servizi. Questo ha significato, per i servizi e per coloro che vi operano, trovarsi di fronte ad una nuova tipologia di utenza, che esprime esigenze e problematiche in parte diverse rispetto agli utenti abituali. La presenza immigrata, delle donne in particolare, solleva tutta una serie di domande, che ad oggi non sembrano ancora aver trovato un'appropriata risposta, rispetto al funzionamento dei servizi e alle politiche che lo regolano. Un accento particolare va posto nel caso di Famiglie monoparentali. Le donne migranti venute da sole o rimaste da sole si trovano in una condizione di maggiore svantaggio e vulnerabilità rispetto a quelle autoctone giacché come queste, non possono contare con servizi pubblici di sostegno adeguati, ma non possono nemmeno contare con la presenza e l’aiuto della famiglia di origine. Tempi di lavoro tempi di vita. VIOLENZA E TRATTA Una questione di particolare importanza che non voglio tralasciare riguarda la violenza di genere. Le donne migranti e rifugiate sono soggette agli stessi tipi di violenza delle le donne non migranti. Tuttavia, la specificità delle loro posizioni, come i migranti ei rifugiate può in alcuni casi aumentare la loro vulnerabilità a certe forme di violenza, e può soprattutto limitare le forme di tutela e risarcimento a cui hanno accesso. Inoltre, le donne migranti e rifugiate possono essere più vulnerabili rispetto agli uomini migranti e rifugiati a causa delle disuguaglianze di genere all'interno del percorso migratorio, dai loro paesi di origine, a quelli di transito e a quelli di accoglienza. La vulnerabilità delle donne alla violenza è aggravata dalla legislazione e del quadro politico in atto sia a livello europeo che a livello nazionale. La limitazione di canali legali di ingresso e la mancanza di uno status giuridico sicuro nei paesi di arrivo sono chiare cause di vulnerabilità per le donne. Allo stesso modo, un mercato del lavoro e delle politiche per 3 di 4 l'occupazione che limitano le donne nel settore dei servizi domestici possono renderli vulnerabili agli abusi sul posto di lavoro. Nei casi, invece, di violenza coniugale, una donna può essere riluttante a denunciare il suo compagno violento nei casi in cui il suo permesso di soggiorno sia legato a quello del marito. In altri casi, la violenza coniugale non viene trattata seriamente dalle autorità nazionali, e viene spesso attribuita a differenze "culturali". L'Italia continua a essere uno dei paesi di transito e destinazione di donne vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale. Sul territorio infatti, risultano essere poche le strutture in grado di accogliere ed assistere vittime di tratta, che quando intercettate dalle forze dell'ordine rischiano di finire rinchiuse all'interno dei CIE. Per esempio: Nella struttura di Ponte Galeria si stima che un 80% delle donne detenute al suo interno siano vittime di tratta. La loro detenzione nei CIE è completamente impropria e mette a serio rischio l'accesso ai percorsi di protezione a cui hanno diritto, giacché spesso le vittime si trovano a subire una situazione di convivenza e di controllo da parte di persone responsabili o coinvolte nel loro sfruttamento. Una strategia integrale contro la tratta di esseri umani deve comprendere la prevenzione, la protezione e il sostegno delle vittime, ma anche, e soprattutto, l’azione penale contro i trafficanti di vite umane. UNA ALLEANZA NELLA DIVERSITÀ FRA DONNE ITALIANE E IMMIGRATE Le donne, italiane e immigrate, devono affermarsi e rendersi visibili in quanto reali promotrici e fautrici di una convivenza civile, a partire della costruzione di una vera società interculturale. Le donne solo già al centro delle pratiche di convivenza, dalle lavoratrici di cura, alle insegnanti, alla cura dei figli, alla capacità di costruire momenti di incontro nei quartieri e nelle loro comunità attraverso le tante associazioni femminili. Dobbiamo costruire un’alleanza nella diversità, tra donne, italiane e immigrate, attorno a obiettivi concreti e condivisi: la dignità del lavoro, un welfare inclusivo e di qualità, una scuola veramente interculturale, per una società migliore. 4 di 4