Codifica e inquadramento professionale del
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Codifica e inquadramento professionale del
PROGETTO TRANSNAZIONALE MULTI-ATTORE Codifica e inquadramento professionale del facilitatore (prima bozza di lavoro) OBIETTIVI DEL PROGETTO: 1. PREMESSE E PRIMI TRATTI DELLA FIGURA 2. CONOSCENZE E COMPETENZE NECESSARIE 3. FACILITAZIONE, TIPOLOGIE DI DESTINATARI 4. PROFILI PROFESSIONALI DEL FACILITATORE 5. PERCORSO FORMATIVO 6. SISTEMA DI CERTIFICAZIONE 1. PREMESSE E PRIMI TRATTI DELLA FIGURA 1.1. Il facilitatore è un “consulente di processo” con alta competenza relazionale e un’alta qualità di azione contestuale (sa adattarsi e sintonizzarsi molto rapidamente agli ambienti diversi), fattori strategici mirati all’accompagnamento delle organizzazioni verso gli obiettivi progettati e i risultati attesi. Il facilitatore sovrintende ai fattori sociali e organizzativi, emotivi e di apprendimento durante riunioni e aule, tavoli e colloqui di aiuto. Egli è in grado di promuovere un clima vitale, garantendo forme di inclusione costruttiva e la valorizzazione delle negatività, la sua azione è orientata alla crescita dei potenziali dei singoli all’interno degli obiettivi del gruppo. 1.2. Egli può essere un consulente esterno (professional) o anche interno all’organizzazione (trainer). 1.3. Il facilitatore nasce dentro la famiglia professionale della formazione. Ad essa apporta metodologie di incontro tra teoria e pratica. Il facilitatore è infatti un po’ formatore e un po’ gestore ed è la figura che può garantire una più spiccata trasferibilità tra l’aula teorica e il lavoro concreto. 1.4. Nel gruppo delle figure professionali di sostegno comportamentale alla persona (counselor, mediatore, coach, tutor), la sua core competence è data dalla facilitazione del tavolo di riunione, nelle sue derivazioni (piccolo gruppo, rete intergruppo, tavolo di progettazione multi-attore, forum pubblico). 1.5. I settori a cui il facilitatore guarda in particolare sono: a) organizzazioni (profit, pubbliche, non profit); b) sociale (scuola, sanità, servizi alla persona); c) partecipazione (processi inclusivi di natura urbanistico-territoriale secondo i piani integrati della UE). 1 1.6. Le competenze: sono distribuite su quattro aree di contenuto: a) catalizzatore (area organizzazione); b) mediatore (area comunicazione); c) agente di aiuto (area aiuto); d) motivatore (area apprendimento). 2. CONOSCENZE E COMPETENZE NECESSARIE Le competenze del facilitatore hanno come repertori sottostanti rispettivamente: a) le competenze trasversali (Isfol, 1994); b) le life skill (Unesco); c) il capitale sociale condiviso: fiducia, riconoscimento reciproco, condivisione identitaria (Rullani, 2004); d) il dialogismo1 (Bachtin, 1981); e) il capitale intellettuale (o intangibile) fondato su relazioni, persone, organizzazione (D’Egidio, 2004); f) il benessere organizzativo2. (Avallone et al 2003-2005) Esiste un filo diretto che lega questi repertori al quadro di competenze del facilitatore, codificato in un Modello (De Sario, 2005) e in un Repertorio operativo e tecnico (De Sario, 2006). Il facilitatore e la facilitazione si propongono come tecnologie relazionali applicate, per una maggiore e migliore trasferibilità nella pratica di metodi e tecniche, non limitandosi dunque alla mera codifica ed elaborazione teoriche. Questo aspetto, sintetizzabile nello slogan “teoria-nella-pratica” ne stabilisce esso stesso il tipo di andamento per il futuro: la ricerca teorica delle competenze è interconnessa con l’azione, anzi in molti casi si potrà stabilire che una nuova capacità facilitatrice scaturisca dal lavoro diretto nella situazione problematica, nel processo inverso di “pratica-nella-teoria”. La facilitazione del tavolo segue due azioni fondamentali: ; presidia i contenuti in posizione di presenza-neutra; ; regola i turni di parola agendo da regista interazionale. Il facilitatore promuove simultaneamente le due azioni: sulla prima assume nel gruppo una posizione di sfondo, nella seconda il suo ruolo è di assoluta evidenza e centralità. 2.1. COSTITUENTI DELLE CONOSCENZE Abbiamo sempre pensato al facilitatore come una figura non solo votata a far stare bene le persone, bensì ad agevolare contenuti operativi. Nelle organizzazioni la sostanza (i risultati) è ovviamente scelta prioritaria e determina l’architettura su cui poggia lo stesso ambiente sociale (le persone). Un facilitatore quindi, non può non guardare ai fattori tecnici, ai saperi fondati sui numeri, alle diagnosi che definiscono, strutturano. Siamo tuttavia dell’avviso che a queste stesse soglie di performance si arrivi più stentatamente, se il gruppo non si orienta anche all’ambiente sociale, relazionale. A ragione dunque, la letteratura di riferimento denomina il gruppo, la riunione, l’organizzazione quali sistemi socio-tecnici. Il Modello del faclitatore, nei suoi assi chiave, pone proprio una doppia e compresente attenzione: il compito, questo orientamento si manifesta attraverso facilitazioni dei membri sul loro agire tecnico-pratico, di programmazione dell’attività, di coordinamento, di sintesi, di presa di decisione. Siamo nelle azioni “centrate sul lavoro” (job-centered), che danno enfasi agli obiettivi e all’agevolazione pratica del fare; 1 La partecipazione fra parlante e destinatario nell’elaborare congiuntamente i significati attraverso un processo di apertura di senso, in Anolli L. (2004). 2 E’ articolato in 14 items che fissano le dimensioni della cosiddetta salute organizzativa: comfort dell’ambiente di lavoro; chiarezza obiettivi organizzativi; valorizzazione delle competenze; ascolto attivo; disponibilità delle informazioni; gestione della conflittualità; sicurezza e prevenzione infortuni; relazioni interpersonali collaborative; scorrevolezza operativa; fattori di stress tollerabili; equità organizzativa; tollerabilità dei compiti; senso di utilità sociale; apertura all’innovazione. 2 la relazione, questo secondo orientamento è costruito intorno alla considerazione dei bisogni delle persone, alla motivazione, alla collaborazione, alla ricompensa del lavoro ben fatto, a favorire la partecipazione e l’espressione di suggerimenti. Qui la modalità è tipicamente “centrata sulla persona” (employee-centered), con un forte supporto ai collaboratori e alla facilitazione delle interazioni. Fig. 1 – Geometria degli assi I due orientamenti, come esposti in fig. 1, sono entrambi importanti e le esperienze ci dicono che gradualmente si possono rendere compatibili, curando con buona alternanza ora la produttività, ora le persone, e viceversa. Il modello si conforma a due dimensioni, esso si struttura su due assi prendendo spunto dagli studi sulla leadership il cui fondamento teorico risale a Bales e Slater e ai loro lavori di ricerca (Brown, 1990). Qui furono presentate due tra le funzioni fondamentali del comportamento di un leader: l’orientamento al compito (task specialist) e l’orientamento alle relazioni (socio-emotional specialist). Sul modello a due dimensioni, che vede il leader impegnato sia sull’esecuzione del compito, funzionamento, che sul mantenimento delle relazioni, manutenzione, si trovano anche le ricerche di molti autori di epoca successiva (Scabini, 1982; Franta, Salonia, 1981; Brown, 1990; Trentini, 1997; Quaglino, Casagrande, 2003). I due assi, compito e relazione, aprono quindi la struttura del “modello del facilitatore”, in qualità di prima strutturazione su cui, come vediamo ora, si poggiano le “aree di contenuto” fig. 2. Orientamento al compito Centratura sul lavoro Comportamento di realizzazione Pianificare, organizzare Soluzione problemi e decisioni Catalizzare gli apprendimenti Lavoro in rete e intergruppi Orientamento alla relazione Centratura sulla persona Comportamento di sostegno Mediare conflitti, coinvolgere, conciliare Aiuto, incoraggiamento, cura del clima Accogliere vissuti e motivazioni Sviluppo della partecipazione attiva Fig. 2 – Funzioni dei due assi 3 2.2. QUADRO DELLE COMPETENZE Dagli assi di conoscenza (compito e relazione) emergono le quattro aree di competenza del modello, rispettivamente distribuite in senso incrociato, le due coppie vanno a formare una “X”: organizzazione-apprendimento e comunicazione-aiuto, come è ben illustrato nella fig. 3: compito: “1-area Organizzazione” e “4-area Apprendimento”; relazione: “2-area Comunicazione” e “3-area Aiuto”. Fig. 3 – Dagli “assi” alle “aree di competenza” Le quattro aree di competenza possono essere intese come i quattro passi di una possibile riunione (strutturare, comunicare, aiutare, apprendere), ma anche come quattro settori di competenze a cui accedere in una consulenza più ampia (fig. 4). CONOSCENZE COMPETENZE CAPACITÀ Saper fare Saper comunicare Organizzazione Comunicazione Catalizzatore Mediatore Saper essere Saper sapere Aiuto Agente d’aiuto Motivatore Apprendimento Fig. 4 – Corrispondenze del “modello del facilitatore” 2.2.1. AREA DEL CATALIZZATORE Area di competenza/1: Organizzazione Competenze: all’azione, al contesto, alle risorse Capacità standard del facilitatore: ; struttura, precisa, delimita; ; “guardiano” di regole e obiettivi comuni, di spazi e di tempi; ; cura il passaggio da problema a soluzione. 2.2.2. AREA DEL MEDIATORE 4 Area di competenza/2: Comunicazione Competenze: ai linguaggi, alle differenze, alla negozialità Capacità standard del facilitatore: ; coordina i flussi di emissione, ascolto, feedback, negoziazione; ; regola il tono degli interventi; ; governa il conflitto e promuove accordi. 2.2.3. AREA DELL’AGENTE DI AIUTO Area di competenza/3: Aiuto Competenze: alle emozioni, alla relazione, all’aiuto Capacità standard del facilitatore: ; incoraggia l’esplorazione, stimola climi costruttivi; ; accoglie il disagio e la negatività aiutando il gruppo a saper sostare; ; protegge il singolo e il gruppo. 2.2.4. AREA DEL MOTIVATORE Area di contenuto/4: Apprendimento Competenze: ai saperi, all’apprendimento, alle forme reticolari Capacità standard del facilitatore: ; stimola nuovi apprendimenti; ; attiva nuove connessioni tecniche e relazionali; ; presidia gli obiettivi e l’avanzamento dei risultati. 3. FACILITAZIONE, TIPOLOGIE DI DESTINATARI 3.1. ORGANIZZAZIONI (profit, pubbliche, non profit) Il facilitatore è una figura di estrema importanza nei contesti organizzativi sempre più rivolti all’humanistic management, alla conoscenza come risorsa, al capitale intellettuale da dischiudere. Come? Il facilitatore è centrato sul nuovo paradigma duale, ovvero nella compresenza simultanea di negativo e positivo, cognitivo e affettivo, compito e relazione, individuo e gruppo, azione e riflessione, apertura e chiusura. È questo pendolarismo epistemologico (e agentivo) che gli permette innanzitutto di andare al committente con un baricentro doppio e dinamico, quello stesso che in una riunione gli dà intuizioni e metodi perché “possa guidare” il gruppo e al tempo stesso “farsi guidare”. Il facilitatore è quindi un consulente di processo, tipologicamente maieuta e non-direttivo (comunque non fisso), che si astiene dal portare proprie dottrine (tipicità della consulenza top-down), preferendo altresì inserirsi nella dottrina del cliente (consulenza facilitativa di tipo bottom up). 3.1.1. LA RIUNIONE FACILITATA La riunione è il luogo e lo strumento di lavoro per eccellenza, che ha come oggetto gli argomenti più diversi; le riunioni sono la cerniera tra la persona, il gruppo e l’organizzazione; la riunione rappresenta il contenitore tecnico e sociale, dove si evidenziano i destini professionali e organizzativi; dove si esplicitano le dinamiche di gruppo, in cui agiscono i linguaggi delle differenze. La facilitazione è direttamente presso la riunione operativa, che presenta in particolare contenuti contrapposti e conflittuali, barriere relazionali, comportamenti cognitivi ed emotivi disfunzionali, significati appiattiti e demotivanti. In altre parole, presso riunioni che non 5 funzionano, lunghe e dispersive, poco partecipate, che presentano frequenti scontri e incomprensioni, dove il clima è impregnato di delusione e passività. Tipi di riunione: riunione di informazione, riunione di decisione, riunione di negoziazione, riunione learning (creatività e apprendimenti), riunione di project management, riunione di motivazione e aiuto, riunione per l’empowerment, per il benessere organizzativo, focus group, briefing. 3.1.2. L’AULA ATTIVA Acquisire life skill o accedere a dimensioni di benessere è stato finora appannaggio di management illuminati (sporadici) e di formatori. Crediamo che la figura del facilitatore possa far sentire più ricca e completa la formazione per la semplice ragione che i nuovi apprendimenti possono avvenire non solo in aula, ma forse ancor di più nella riunione di lavoro, nel piccolo gruppo; che i nuovi saperi possono viaggiare per via cognitiva ma a tratti, di più per via emotiva, e che infine occorrono irrinunciabilmente modelli di aiuto reciproco. Questi fattori danno identità e ruolo al facilitatore e alla facilitazione di un’aula attiva, fondata sull’Apprendimento attivo centrato sull’esperienza, i fatti, la persona; un’aulapalestra di nuovi saperi e comportamenti, verso la tanto teorizzata learning organization, per la tanto desiderata action learning. Una figura che tende ad affiancarsi agli attori, a scendere nel vivo del teatro delle vicende (sul campo), nella più decisiva concretezza. In fatto di culture organizzative, è certo che il facilitatore tenda a corroborare quella definita da Quinn (19883) come la cultura di orientamento al supporto: i dipendenti sono incoraggiati a esprimere le loro idee circa il lavoro e i sentimenti che provano gli uni verso gli altri; le decisioni vengono prese nell’ambito di contatti informali; l’impegno del singolo dipendente è enfatizzato. Due ultimi elementi: uno si chiama formazione oltre l’aula, in cui è pensabile annoverare anche il facilitatore. Da una parte egli estende la propensione ad apprendimenti fuori dall’aula (nella riunione, nel colloquio, nella rete informale), dall’altra, in controtendenza, si riaffida alle mura aziendali per un procedimento di tipo indoor, ridando un valore arricchito all’aula stessa, secondo i principi della partecipazione attiva: vicino a fatti, luoghi e persone. 3.1.3. COLLOQUIO DI RISORSE I dipendenti, i collaboratori necessitano di sostegno e aiuto sul versante del ruolo e della persona; ci sono organizzazioni che avviano programmi di cambiamento della cultura organizzativa facendo leva sul coaching e sul counseling, ovvero facilitare persona e gruppo in vista di: a) stimolare nuove forme di protagonismo; b) curare le dinamiche relazionali con una prevalenza di tipo emotivo; c) valutare le competenze in funzione di eventuali progressioni di carriera; 3.1.4. MEDIAZIONE DEL CONFLITTO La facilitazione del conflitto in una coppia lavorativa, in una coppia di coordinatori, tra funzioni e dipartimenti intraorganizzazione contrapposti e antagonisti. 3.1.5. FORMAZIONE DI FACILITATORI 3 In Avallone F., Farnese M. L. (2005), Culture organizzative, Guerini. 6 Diffondere la figura del facilitatore e la funzione della facilitazione tramite corsi base e introduttivi, che possano sistematizzare all’interno dell’organizzazione e in autonomia i metodi e le tecniche efficaci. 3.1.6. CONSULENZA DI PROCESSO E’ un tipo di consulenza per le organizzazioni che ha lo scopo di aiutare il cliente a percepire, capire e agire sugli eventi che si verificano nel suo ambiente interno ed esterno e tentare di correggere la situazione secondo la definizione del cliente stesso. La consulenza di processo è sia mirata alle criticità specifiche che alla pianificazione e introduzione di sistemi di facilitazione permanenti; è composta da quattro set di azioni: 1) lavoro di gruppo (tipo action learning) a cavallo tra il piano organizzativo e il piano formativo; 2) formazione alla facilitazione e alle competenze sociali; 3) facilitazione diretta di riunioni difficili, introduzione delle tecniche della “riunione facilitata” e sviluppo di un sistema di riunioni efficaci; 4) service counseling, accompagnamento individuale e sviluppo della persona. 3.2. SOCIALE (scuola, sanità, servizi alla persona) 3.2.1. IL CIRCOLO DI AIUTO Si tratta di un gruppo ristretto composto da membri che condividono condizioni ed esperienze particolarmente impegnative e stressanti e che richiedono, quindi, momenti di aiuto e sostegno. Il circolo di aiuto è rivolto a tutte le figure del sociale e della sanità, della scuola, del volontariato, che richiedono forme di riorganizzazione comportamentale, ancor di più emotiva, di sostegno e difesa dallo stress, crescita personale e auto-realizzazione; inoltre, a gruppi di persone con problemi gravi, a persone che sono in momenti di difficoltà; Nel circolo di aiuto il facilitatore svolge in particolare la funzione di agente di aiuto e mediatore. Tipi di circolo di aiuto: training di gruppo (formazione e facilitazione), gruppo di supervisione (sostegno sulle aree di crisi individuale e di gruppo e attivazione di nuove abilità), laboratorio training (consente ai partecipanti di evidenziare comportamenti e criticità, facendo emergere tensioni, aspirazioni, fraintendimenti e volontà), circolo di studio (modello pedagogico nato in Svezia, comprende un piccolo gruppo di adulti che si ritrova periodicamente per effettuare insieme un percorso di autoformazione per un cittadino attivo e competente). 3.2.2. COLLOQUIO DI RISORSE Come sopra. 3.3. PARTECIPAZIONE (processi inclusivi di progettazione territoriale) L’altro fattore di indispensabilità si chiama reti sociali. La scuola, il management, i servizi, l’ambiente non fanno che preconizzare reti tra pari, peer education, interventi partecipati, confluenza delle risorse, consorzi territoriali e vocazionali che sono chiamati a ridare protagonismo agli attori coinvolti. Forse si ridurrà lo spazio per le figure di esperti (erogatori estranei e dall’alto di ricette tecniche) ma qui è certo che occorre riportare a centralità le “autorisorse” di studenti, cittadini, lavoratori, amministratori. Quelle reti potranno progredire se riusciranno a divenire laboratori di nuovi modi di affrontare problemi e ambiti dal forte commitment, un incrocio di affidamento e affidabilità tra persone e organizzazioni. Tutta questa complessità, tipica di una società globale, richiede un capitalismo comunicativo (Rullani, 2004) meno fondato sul comando e più centrato 7 sull’interazione. In tale prospettiva diventano indispensabili i facilitatori: agenti animatori (in-carne-e-ossa) e materiali agevolatori (strumenti e tecnologie). 3.3.1. TAVOLO MULTI-ATTORE Ha le stesse caratteristiche della riunione, la differenza significativa è data dalla tipologia dei partecipanti, che qui sono tutti rappresentanti di organizzazioni e associazioni differenti (con interessi e culture a volte contrapposte); in questa forma di incontro scattano infatti i meccanismi di “discriminazione” outgroup e di “favoritismo” ingroup, così ben studiata dalla psicologia sociale. Il tavolo multi-attore, come forma di incontro tra portatori di interesse di diversa provenienza, si presenta nelle molte occasioni di concertazione sociale, di sperimentazione di politiche innovative, di reti di imprese nei distretti produttivi, di reti miste privato-pubbliche nel comparto socio-sanitario: qui il facilitatore non è utile bensì indispensabile, per garantire lo svolgersi dell’interazione (e il controllo del pregiudizio). Tipi di tavoli multi-attore: riunione di rete partecipativo-territoriale, riunione di rete sociale (community care), riunione di rete di imprese (distretti), reti di filiera, riunione interistituzionale e di co-produzione di politiche pubbliche (conferenze dei servizi, accordi di programma), riunione intersettore nella stessa azienda, riunione per progetti integrati: agende 21, progetti europei (Leader, Equal, Interreg), politiche dei tempi e degli orari, politiche di sviluppo locale (patti territoriali, progetti integrati territoriali), piani di zona nelle politiche sociali, interventi urbani (contratti di quartiere, Pru, Prusst, Urban), politiche per la sicurezza. 3.3.2. FORUM PARTECIPATO Il forum partecipato è una forma di riunione allargata che pone molti problemi nello scambio e nel coinvolgimento dei partecipanti, sia per l’alto numero di attori presenti che per il carattere dell’interazione che è forzatamente indiretto (non è possibile come nel piccolo gruppo lo scambio diretto faccia-a-faccia). I forum solitamente sono indetti per durate medio lunghe (da sei mesi ad alcuni anni), hanno caratteristiche simili al tavolo multi-attore di rete intergruppo, nei quale diversi enti e organizzazioni si incontrano con due possibili scopi: a) sviluppare forme di progettazione partecipata su programmi che coinvolgono il territorio; b) dare risposte congiunte a fenomeni di emergenza sociale. Tipi di forum: convention (incontri pubblici caratterizzati nell’immagine e nella coreografia), open space technology (il metodo per discutere e formarsi in uno spazio aperto), conversazioni pubbliche (tra le pratiche di democrazia consultiva), assemblea deliberativa (strumento nel campo del sondaggio della pubblica opinione). 3.3.3. WORKSHOP ATTIVO Evento caratterizzato da momenti di “vision” e forte interazione fra i partecipanti, orientato alla progettazione partecipata. 4. PROFILI PROFESSIONALI DEL FACILITATORE Il facilitatore è sostanzialmente un consulente esterno all’organizzazione; egli viene consultato sia per la formazione di facilitatori (e alla comunicazione efficace) sia alla facilitazione diretta sul campo di riunioni, alla mediazione di conflitti, alla motivazione e alla rigenerazione di climi negativi, al gruppo che apprende. Le funzioni del modello sono erogate nella loro totalità (esse stesse compongono il core professionale) per un expertise avanzato. Questa figura è denominata facilitatore professional. 8 Il facilitatore può essere tuttavia concepito anche come agente interno, ovvero può trovare esercizio in un soggetto interno all’organizzazione, in chi riveste ruoli di vertice, responsabilità e leadership medio-alta (dirigente, direttore dipartimentale, responsabile di settore) e in chi presenta un core professionale tenico (ingegnere, medico, informatico, ecc.). Qui le funzioni del modello sono complete e in forma di expertise base visto che la componente di facilitazione ne rappresenta un fattore secondario e complementare. Questa figura è denominata trainer-facilitatore. 4.1. IL FACILITATORE PROFESSIONAL Il primo profilo è stato denominato facilitatore professional. La stessa denominazione richiama al compito principale di consulenza specialistica alla facilitazione del gruppo, che si pone nell’ambito delle abilità manageriali, di comunicazione efficace, di relazione di aiuto, a supporto dei processi di apprendimento sia in contesti critici e conflittuali sia in quelli di tipo dispersivo e demotivato. Il suo core è dato dalla promozione di: - SOS-facilitazione: pronto intervento in azienda, direttamente presso una riunione negativa o bloccata. - Facilitazione interna: formazione e facilitazione nello stile della consulenza di processo in azienda. - Facilitazione pubblica: accompagnare reti di attori sociali alle forme di inclusione e partecipazione. 4.1.1 CONTESTO ORGANIZZATIVO Per questa figura è possibile prevedere diverse collocazioni nei diversi contesti d’intervento: l’azienda, la pubblica amministrazione, il terzo settore, la scuola, i processi socio-territoriali, la formazione. Può trovare collocazione pertanto presso: le organizzazioni, soprattutto per consulenze di processo, con azioni orientate alla persona (coaching e counseling service), alla relazione (gestione conflitti e mediazione), al gruppo (facilitazione riunioni, fare squadra), alla formazione (di facilitatori, oltre che comunicazione, leadership, negoziazione, emozioni); il sociale, in relazione ai suoi mille contesti, dal socio-sanitario alla scuola, dal non profit all’orientamento, con possibili azioni mirate alla formazione, al coordinamento organizzativo e al supporto emotivo e supervisione; la partecipazione, riferito ai modelli partecipati (agenda 21, piani strategici, contratti di quartiere, piani di zona) per la costruzione di forum civici, di tavoli tematici, per accompagnare amministrazioni, imprese e cittadini nei processi decisionali inclusivi. 4.1.2. FUNZIONI E COMPITI PRINCIPALI Se le funzioni principali sono la facilitazione sul campo, la facilitazione interna all’azienda e pubblica nei contesti di rete, l’insieme di compiti tecnico-specialistici che definiscono tale figura sono da ricercarsi nella comunicazione efficace e partecipata, nella consulenza alla persona e alle “emozioni al lavoro” di area socio-affettiva, alla gestione costruttiva del conflitto, alle modalità di apprendimento organizzativo, comunità di pratiche, a metodologie centrate sull’esperienza. Il contesto consulenziale saliente è la riunione, il lavoro di gruppo, il tavolo multi-attore, il forum partecipato, il workshop attivo, il focus group; senza dimenticare il colloquio faccia-a-faccia nelle sue versioni di counseling e coaching. 4.1.3. COMPETENZE PRINCIPALI Le competenze del professional sono prevalentemente attribuibili alle quattro aree di contenuto del modello da noi identificato, nella versione avanzata. 9 Competenze di area organizzativo-manageriale: competenze organizzative con orientamento al compito; competenze al problem solving e al decision-making; competenze di lettura e analisi dei bisogni; competenze a progettare interventi e percorsi consulenziali; competenze a progettare interventi per le risorse umane all’interno di contesti lavorativi in forma mediata fra bisogni dei lavoratori e richieste dell’organizzazione. Competenze socio-comunicative: competenze sulle dinamiche individuali e di gruppo; competenza di alto livello sulla comunicazione/interazione e sul processo comunicativo e metacomunicativo, per poter leggere oltre il contenuto; competenza ai sistemi di inclusione e partecipazione, di leadership diffusa, di empowerment; competenza alla comunicazione di derivazione analogica, alla metodologia attiva per la mobilizzazione dei fattori di contesto; competenza a stabilire relazioni con i soggetti organizzativi; competenza a interagire in un’ottica di networking, scambiando e facilitando messaggi e transazioni nella dimensione intergruppo e interassociativa; competenza a gestire conflitti, a negoziare, a integrare i coinvolgimenti emotivi. Competenze di area psicosociale: competenza a leggere e trattare la complessità culturale e soggettiva di singoli e gruppi; competenza ad ascoltare e a comunicare con singoli e gruppi; competenza a sostare nel disagio e nell’incertezza (capacità negativa); competenza a gestire una relazione interpersonale di aiuto; competenza a gestire una relazione d’aiuto nel gruppo. Competenze all’apprendimento: gestione di processi di apprendimento individuale e di gruppo; competenza a coordinare, costruire e gestire reti sociali; competenza a coordinare gruppi di apprendimento sul campo; sviluppo di formazioni mirate tecniche ed esperienziali; traduzione dei saperi da cognitivo-astratto a operativo-concreto. 4.2. IL TRAINER FACILITATORE (agire una leadership facilitatrice) Il secondo profilo è quello del trainer-facilitatore, un soggetto dell’organizzazione che, per vocazione o funzione, completa le proprie competenze tecniche di produzione con un buon repertorio di competenza sociale facilitatrice Lo stesso termine trainer richiama compiti di addestramento e allenamento, la sua radice etimologica evoca il trainare, tirare, stimolare e spingere. È’ il profilo riguardante figure di coordinamento e direzione, che svolgono già da loro, attività di pianificazione, programmazione e progettazione. Qui il quadro della facilitazione va a integrare le già affermate competenze tecniche riferibili a figure professionali di vertice; ci riferiamo a direttori di unità operative, manager, dirigenti, capi reparto, insegnanti, medici, ingegneri. Questi ruoli possono divenire figure professionali maggiormente compiute, grazie al ponte che può coniugare in maniera competente la funzione di trainer (colui che presidia il sapere tecnico) e quella di facilitatore (lo stesso soggetto che è in grado di presidiare il sapere sociale). 10 Le competenze corrispondono all’intero modello, in versione base e cioè alla facilitazione del gruppo, alla divulgazione delle abilità manageriali, di comunicazione efficace, ad un primo livello di capacità di aiuto e a supporto dei processi di apprendimento. 4.2.1. CONTESTO ORGANIZZATIVO Questa figura è già dirigente o quadro nelle organizzazioni di appartenenza: azienda, pubblica amministrazione, terzo settore, scuola, processi socio-territoriali, formazione. Può giocare una funzione importante presso: le organizzazioni, orientate al cambiamento (dai processi centrati sul prodotto ai processi centrati su relazioni e apprendimento); i programmi di empowerment; le organizzazioni interessate alla diffusione del benessere organizzativo, all’apprendimento costante (coaching-oriented), alla leadership trasformazionale. Comunque per quelle organizzazioni che intendono aumentare il sapere interno e gestire programmi che elevino il protagonismo dei lavoratori; il sociale, per coordinare programmi stabili e permanenti in ambito socio-sanitario, scuola, non profit, orientamento, con possibili risposte competenti ai bisogni di animazione, coordinamento e supervisione. 4.2.2. FUNZIONI E COMPITI PRINCIPALI Se le funzioni principali sono la facilitazione del gruppo, le abilità manageriali, la comunicazione efficace, l’aiuto e l’apprendimento, le pratiche professionali che definiscono tale figura sono da ricercarsi nella comunicazione efficace, nella gestione costruttiva del conflitto, nelle modalità di apprendimento organizzativo. Le situazioni da facilitare restano la riunione, il lavoro di gruppo, il colloquio faccia-a-faccia nelle sue tipologie direttiva e partecipativa. Competenze principali Le competenze del trainer sono attribuibili alle quattro aree di contenuto del modello da noi identificato, nella versione base (indicativamente il trenta per cento circa del bagaglio di un professional). Competenze di area organizzativo-manageriale: competenze organizzative con orientamento al compito; competenze al problem solving e al decision-making; competenze di lettura e analisi dei bisogni; competenze a progettare interventi per le risorse umane in sede intra-organizzativa. Competenze socio-comunicative: competenze sulle dinamiche individuali e di gruppo; competenza ai sistemi di inclusione e partecipazione, di leadership diffusa, di empowerment; competenza alla comunicazione di derivazione analogica, alla metodologia attiva per la mobilizzazione dei fattori di contesto; competenza a interagire in un’ottica di networking, scambiando e facilitando messaggi e transazioni nella dimensione intergruppo e interassociativa; competenza a gestire conflitti e a negoziare. Competenze di area psicosociale: competenza a leggere e trattare la complessità culturale e soggettiva; competenza ad ascoltare e a comunicare con singoli e gruppi; 11 competenza a sostare nel disagio e nell’incertezza; competenza a gestire una relazione interpersonale di aiuto. Competenze all’apprendimento: competenza a gestire i processi di apprendimento; competenza alla traduzione dei saperi. TIPOLOGIA COMPETENZA “CORE” SETTING COLLOCAZIONE Professional Trainer Abilità manageriali Partecipazione Relazione d’aiuto Apprendimenti Riunione Forum Progettazione Colloquio Consulente esterno Abilità manageriali Partecipazione Aiuto e apprendimenti Riunione Colloquio Leader interno Expertise avanzato Expertise base Fig. 5 – Profili professionali del facilitatore Fonte: De Sario (2005). 5. PERCORSO FORMATIVO TIPOLOGIA CREDITI FORMAT SEDE Professional Diploma Facilitatore Diploma Counselor Corso professionale 450 ore Roma Incontri mensili Trainer Attestato e crediti formativi Introduttivo, 30 ore Base/1, 50 ore Base/2, 80 ore In house Moduli Fig. 6 – Format sulla formazione dei profili Fonte: De Sario (2005). 6. SISTEMA DI CERTIFICAZIONE PINO DE SARIO, maggio 2007 [email protected] 12