ROMA – Via Rasella 23 marzo 1944 di Mario Biscotti

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ROMA – Via Rasella 23 marzo 1944 di Mario Biscotti
ROMA – Via Rasella 23 marzo
1944 di Mario Biscotti
La strage del 23 marzo 1944 in via Rasella a Roma e la rappresaglia
delle Fosse Ardeatine rappresentano uno dei capitoli più dolorosi
della guerra civile che, dopo l’8 settembre 1943, contrappose la
resistenza e le forze armate del Regno del Sud ai soldati della RSI
ed ai tedeschi.
E’ trascorso più di mezzo secolo da allora e molti
misteri sono ancora da chiarire. Uno dei personaggi della drammatica
vicenda fu il Colonnello del Genio, Medaglia d’Oro al V.M. alla memoria,
Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, nato a Roma il 26 maggio 1901,
trucidato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Capo del Fronte Militare
Clandestino, alle dirette dipendenze del Comando del Sud. Fungeva da
collegamento tra la resistenza e gli anglo-americani. Egli aveva diramato
l’ordine tassativo di non eseguire attentati dannosi nelle città poiché
consapevole che i tedeschi avrebbero reagito con delle rappresaglie,
legittimamente previste dal diritto penale militare di guerra. Fu tutto
vano. Quel maledetto 23 marzo 1944 i gappisti (gruppi di azione
patriottica), di matrice comunista stalinista, provocarono la morte di
trentatrè altoatesini, ed il ferimento di altri 56, tutti appartenenti al
Polizeiregiment Bozen. Fu il medico Rosario Bentivegna, di origine
siciliana, nato a Roma il 22 giugno 1922, morto a Roma il 2 aprile del
2012, decorato con medaglia d’Argento al V.M., ad accendere la miccia per
far esplodere la cassetta di ferro, imbottita di bulloni e diciotto chili
di tritolo, nascosta nel carretto della nettezza urbana. All’azione
partecipò, come “palo”, la futura moglie Carla Capponi, nata a Roma il 7
dicembre 1918 e morta a Zagarolo il 24 novembre 2000, altra persona
decorata con Medaglia d’Oro al V.M. ed il compagno Pasquale Balsamo. I
primi due deputati del P.C.I. nel dopoguerra.
I punti più inquietanti dell’azione sono tre.
Il primo riguarda la morte, sempre negata dai
partigiani, di un ragazzino di tredici anni. Il suo nome era Piero
Zuccheretti. La fotografia del suo corpo dilaniato dall’esplosione è
agghiacciante.
La morte di un adulto di 46 anni, ed altri cinque o
sei non si è mai saputo né il nome né le generalità
La prova della sua morte sta nel necrologio pubblicato
su
Il
Messaggero
del
giorno
successivo
all’attentato
e
nella
testimonianza oculare del tipografo Umberto Ferrante, rastrellato dai
tedeschi subito dopo l’attentato. Perché l’Associazione nazionale
partigiani d’Italia ha sempre negato questa morte?
Il secondo, invece, riguarda le vittime della
rappresaglia. Esse furono quasi totalmente prigionieri politici detenuti
dai tedeschi nel carcere romano di Regina Coeli, prevalentemente membri
del gruppo trozkista Bandiera Rossa, nemico giurato degli stalinisti e
altri esponenti anticomunisti della resistenza.
Erano avversari ideologici dei gappisti. Pertanto non è
per niente bizzarra l’idea di pensare che l’attentato di Via Rasella,
privo di alcun significato militare e in contrasto con gli ordini del
Colonnello Montezemolo, avvenne al fine di orientare la rappresaglia
tedesca contro avversari politici. I partigiani e la sinistra hanno
sempre sostenuto che l’attentato fu un atto legittimo di guerra e il
massacro degli oltre trecento civili, invece, una barbarie compiuta dalle
SS di Kappler. Questa tesi, però, è stata respinta dal Tribunale Militare
di Roma che il 20 luglio 1948 sentenziò che l’attentato fu un atto
illegittimo di guerra. Per questa ragione, quindi, gli autori sarebbero
dovuti essere processati. Tutto ciò, purtroppo, non è mai avvenuto. Altro
fattore poco chiaro è la cattura da parte della polizia tedesca del
Colonnello Montezemolo in Via Tasso, presso l’abitazione del Tenente
Filippo De Grenet, uno dei suoi principali collaboratori. I due Ufficiali
vennero torturati, ma non parlarono. Al Colonnello furono strappati ad
uno ad uno i denti; poi i carnefici passarono alle unghie dei piedi. Due
mesi durò il calvario, poi i due furono trucidati, con altre 333 persone,
alle Fosse Ardeatine. Il colonnello fu tradito da una personalità
importante,
rilevante
della
resistenza.
L’ultimo
interrogativo
angosciante riguarda il modo con cui furono uccise le oltre trecento
vittime delle Ardeatine. Il Prof. Attilio Ascarelli, di origine ebraica,
medico legale delle “Fosse Ardeatine”, nella sua relazione ha scritto che
il massacro per le modalità di esecuzione (colpo alla nuca degli ostaggi
fatti inginocchiare con le mani legate dietro la schiena, all’interno di
grotte, in una località segreta) è difforme dalle stragi compiute in
Italia dai nazisti.
Questa circostanza è molto simile ad un eccidio di
migliaia di Ufficiali polacchi avvenuta in Polonia durante la seconda
guerra mondiale. In principio la strage fu ascritta ai nazisti. Dopo,
però, un’approfondita inchiesta statunitense stabilì che gli autori
furono agenti della polizia segreta sovietica. Probabilmente sono
soltanto delle coincidenze che tuttavia pongono seri dubbi sull’intera
vicenda.
In verità con questa azione, ancora oggi additata come
modello di tecnica terroristica nei manuali militari, il PCI raggiungeva
senza colpo ferire due fondamentali obiettivi strategici. Si scavava in
primo luogo un incolmabile solco di odio tra la popolazione e gli
occupanti tedeschi che coinvolgeva fatalmente anche i fascisti, i quali
ebbero un ruolo del tutto secondario sia nell’attentato sia nella feroce
rappresaglia delle Ardeatine, in quanto loro alleati. In poche parole la
strage di Via Rasella rappresenta a tutti gli effetti l’inizio della
guerra civile, un ingrediente indispensabile della strategia comunista
volta a trasformare l’Italia in “Repubblica sovietica” al termine della
guerra. In secondo luogo l’attentato provoca l’inevitabile rappresaglia
nazista, nella quale si fece abilmente in modo che fossero sterminati la
classe dirigente e gli elementi di spicco della “resistenza” non
comunista. Nessun comunista (gappista) risulta essere stato passato per
le armi alle Ardeatine.
Mario BISCOTTI