1 GLI OBBLIGHI DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETA‟ PER

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1 GLI OBBLIGHI DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETA‟ PER
GLI OBBLIGHI DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETA‟ PER AZIONI
TRA VECCHIE E NUOVE CLAUSOLE GENERALI
di
Maurizio Irrera
1.
Premessa.
Correttezza dell‟amministrazione sociale e adeguatezza degli assetti
organizzativi, amministrativi e contabili paiono costituire due delle più
rilevanti clausole generali del moderno diritto societario1.
Al
momento,
peraltro,
sembrano
godere
di
un
diverso
“apprezzamento”. La prima, quella concernente il dovere di corretta
amministrazione, pare tuttora – almeno da una parte della dottrina – trascurata
e, talora, avversata; la seconda, ovvero l‟adeguatezza degli assetti appare,
invece, come si vedrà, decisamente sopravvalutata, a discapito di riflessioni,
ancora carenti, in ordine al concreto contenuto degli assetti. L‟intestazione di
questi ultimi, viceversa, ha già visto sul tappeto numerose e talvolta
contraddittorie prese di posizione2.
1
Conf., sul punto, di recente, G. MERUZZI, L’informativa endo-societaria nella
società per azioni, in Contr. e impr., 2010, p. 737 ss. ed ivi a p. 757.
2
L‟argomento più controverso – in tema di ruoli – è quello concernente la cura
degli assetti (assegnata – come è noto – agli organi delegati, mentre il consiglio di
amministrazione è chiamato a valutare ed il collegio sindacale a vigilare sull‟adeguatezza dei
medesimi), in presenza di una delega circoscritta agli organi delegati o, addirittura, in totale
assenza di delega; sul punto la posizione preferibile mi era sembrata quella (cfr. – se vuoi – le
argomentazioni esposte nel mio, Profili di corporate governance delle società per azioni tra
responsabilità, controlli e bilancio, Milano, 2009, p. 26 ss.) di assegnare la cura degli assetti
agli organi delegati (anche in caso di delega parziale) o alla direzione generale (in assenza di
delega) sulla base della circostanza che la predisposizione (cura) degli assetti presuppone un
“approccio” operativo che non può che competere ai soggetti chiamati a governare day by day
l‟attività aziendale, soprattutto se si accoglie l‟opinione – che propugno – secondo cui il
consiglio di amministrazione si caratterizza soprattutto per compiti di direzione strategica e di
supervisione dell‟attività d‟impresa (cfr., di recente sul punto, M. R EBOA, Il monitoring board
e gli amministratori indipendenti, in Giur. comm., 2010, I, p. 657 ss.) che mi paiono
incompatibili con un‟attività operativa quale quella della creazione degli assetti, rispetto alla
quale il consiglio di amministrazione può – viceversa – con tutta evidenza fornire direttive,
oltre che – a posteriori – svolgere la dovuta attività di valutazione.
1
All‟indomani della riforma del diritto societario mi era parso3 di poter
affermare che il catalogo degli obblighi degli amministratori si fosse
consistentemente ampliato, almeno quello riguardante gli obblighi di carattere
generale: tra questi, il dovere di agire in modo informato, in base all‟ultimo
comma dell‟art. 2381 c.c., e quello di riservatezza, sancito dall‟ultimo comma
dell‟art. 2391 c.c., mentre il divieto di agire in conflitto di interessi era stato
sostituito da nuovi obblighi, ossia di comunicazione, astensione e
motivazione.
A tali dati normativi occorreva aggiungerne un altro, collocato in un
diverso contesto, ma che – senza ombra di dubbio – riguardava anche l‟organo
amministrativo: ossia l‟art. 2403 c.c. in tema di compiti del collegio sindacale,
là dove si stabiliva che i sindaci dovessero vigilare, oltre che sull‟osservanza
della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione;
certamente la vigilanza competeva all‟organo di controllo, ma l‟obbligo di
improntare l‟attività a principi, appunto, di corretta amministrazione non
poteva che riguardare coloro che fossero stati chiamati a gestire l‟attività
sociale, ossia gli amministratori.
Osservavo, ancora, come i principi di corretta amministrazione
trovassero una loro specifica, esplicita e significativa declinazione negli
obblighi concernenti la creazione di adeguati assetti organizzativi,
amministrativi e contabili4.
Sottolineavo, da ultimo, come il rispetto di criteri di corretta
amministrazione potesse opportunamente rappresentare il contenuto della
3
Cfr. il mio, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali,
Milano, 2005, passim.
4
A mio avviso la creazione e la “manutenzione” di assetti adeguati presuppone
che gli stessi contengano la disciplina dei flussi informativi endo-societari: conf., sul punto,
G. MERUZZI, op. cit., pp. 756-757; cfr., infra, par. 4.
2
prestazione (principale) richiesta ai gestori dell‟impresa, consentendo al
principio della diligenza di ritornare nel suo alveo naturale ossia di strumento
di misurazione del grado di adempimento di un obbligo.
2.
Il dovere di corretta amministrazione.
La centralità, nel
sistema complessivo degli
obblighi
degli
amministratori, del dovere di corretta amministrazione e della sua
declinazione (ovvero gli assetti) registra certamente consistenti voci
favorevoli5.
Si è affermato, ad esempio, di recente, che “la riforma del diritto
societario ha elevato i principi di corretta amministrazione a clausola generale
di comportamento degli amministratori”6; non si tratta di una “mera
esplicitazione di compiti già implicitamente e indiscutibilmente ricompresi
nella funzione amministrativa o come meccanica traslazione di prassi
consolidate”7,
aziendali
quanto,
al
contrario,
di
una
“innovativa
regolamentazione del ruolo dei gestori”8.
La riforma, insomma, assegna ai principi di corretta amministrazione il
ruolo di clausola generale “per eccellenza”, alla quale gli amministratori
5
Cfr., tra i primi in dottrina a prendere posizione al riguardo, A. T OFFOLETTO,
Amministrazione e controlli, in AA. VV., Diritto delle società [Manuale Breve], 4° ed.,
Milano, 2008, pp. 214-215; ASSOCIAZIONE PREITE, Il diritto delle società, a cura di G.
Olivieri, G. Presti, F. Vella, Bologna, 2° ed., 2006, p. 181; adde: P. SFAMENI, Responsabilità
da reato e nuovo diritto azionario: appunti in tema di doveri degli amministratori ed
organismo di vigilanza, in Riv. soc., 2007, p. 154 ss. ed ivi a p. 158.
6
Cfr. N. ABRIANI - P. MONTALENTI, L’amministrazione: vicende del rapporto,
poteri, deleghe e invalidità delle deliberazioni, in N. ABRIANI - S. AMBROSINI - O. CAGNASSO
– P. MONTALENTI, Le società per azioni, in Tratt. di dir. comm., diretto da G. Cottino, Padova,
4, 2010, p. 615; adde: I. KUTUFÀ, Adeguatezza degli assetti e responsabilità in
Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber amicorum Antonio Piras, Torino,
2010, p. 707 ss. ed ivi a p. 712.
7
Cfr. P. MONTALENTI, Gli obblighi di vigilanza nel quadro dei principi generali
sulla responsabilità degli amministratori di società per azioni, in Il nuovo diritto delle
società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 2,
Assemblea – Amministrazione, Torino, 2006, p. 835 ss. ed ivi a p. 832.
8
ID., op. loc. ult. cit.
3
debbono improntare la loro attività; si è dinanzi a criteri idonei a descrivere e
tipizzare il contenuto della relativa prestazione; l‟osservanza delle regole,
anche tecniche e non esclusivamente giuridiche, in cui si sostanzia la
correttezza, diviene allora il punto di riferimento fondamentale in rapporto a
cui valutare l‟operato e, quindi, la responsabilità dell‟organo amministrativo.
Rispetto a tali conclusioni è possibile registrare alcune posizioni
dissonanti che si attestano su tre diversi versanti.
In primis, vi è una parte della dottrina che sul tema non prende
posizione, come se la riforma non avesse inciso in alcun modo sui temi in
esame; vi è, infatti, chi, tutt‟oggi, sostiene che i doveri degli amministratori
possono distinguersi in generici (gestire diligentemente l‟impresa perseguendo
l‟interesse sociale) e specifici (p.e. tenere la contabilità, provvedere a
iscrizioni e depositi di legge, ecc.)9; altri, nel medesimo solco, continuano ad
attribuire alla diligenza il compito di rappresentare il contenuto di una
prestazione10. Vi è, invece, dottrina che, pur senza prendere posizione in
ordine al rapporto tra principi di corretta amministrazione e criteri di
diligenza,
riconosce
come
quest‟ultimo
riguardi
il
“come”
dell‟adempimento11.
Un secondo filone critico è rappresentato da quella dottrina che,
viceversa, affrontando de visu il tema, ritiene che “i „principi di corretta
amministrazione‟ siano sostanzialmente un‟ipostatizzazione della categoria
9
Cfr. A. DE NICOLA, Sub art. 2392 c.c., in Amministratori, a cura di F. Ghezzi, in
Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi e M.
Notari, Milano, 2005, p. 550.
10
Così G. DE CRESCIENZO, Gli amministratori nel sistema tradizionale, in
AA.VV. Le nuove s.p.a., opera diretta da O. Cagnasso e L. Panzani, I, Bologna, 2010, p. 723
ss. ed ivi a p. 827.
11
Cfr. A. GAMBINO – D. SANTOSUOSSO, Società di capitali, II, 2° ed., in
Fondamenti di diritto commerciale, a cura di A. Gambino, Torino, 2007, p. 132.
4
civilistica della diligenza professionale richiesta dall‟art. 2392 c.c. e quindi
non siano in grado, in quanto tali, di fornire apporti significativi”12 ai temi che
concernenti gli obblighi degli amministratori. Si sarebbe, in altri termini,
trasformata “arbitrariamente un‟entità fittizia e accidentale come una parola,
un concetto [ovvero il principio della corretta amministrazione], in una vera e
propria sostanza”13.
Con riguardo agli autori che paiono trascurare la novità rappresentata
dal richiamo ai principi di corretta amministrazione avevo rilevato –
accodandomi ad un‟acuta e compianta dottrina14 – come vi siano, non solo
nella fisiologia umana, ma anche in ambito “sociale”, quale l‟ordinamento
giuridico, processi di metabolizzazione, ossia la necessità – in senso
ovviamente figurato – di “digerire” le novità. L‟accennato processo di
metabolizzazione sembra riguardare proprio il ruolo centrale che l‟obbligo di
corretta amministrazione va via via assumendo e il contemporaneo
ridimensionamento o, più esattamente, la ricollocazione dell‟obbligo di
diligenza, quale semplice criterio di verifica dell‟adempimento della
prestazione dovuta e non più quale fattore integrativo della condotta degli
amministratori.
In altri termini, appare fisiologico che la novità costituita dall‟obbligo
di corretta amministrazione, collocata – come è noto – in un ambito
12
Cfr. G.M. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione degli amministratori nella
governance della società per azioni, Milano, 2005, p. 309, il quale, peraltro, sembra
circoscrivere il ragionamento ai doveri di informazione; pare aderire al rilievo P. A BBADESSA,
Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in Il nuovo diritto delle
società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, 2,
Assemblea – Amministrazione, Torino, 2006, p. 489 ss. ed ivi a pp. 493-494, nota 4; la
posizione di Zamperetti è giudicata non condivisibile da G. M ERUZZI, op. cit., pp. 764, nota
71.
13
E‟ questa la definizione che lo Zingarelli offre di “ipostatizzazione”.
14
Il riferimento è allo stimolante saggio di V. BUONOCORE, Adeguatezza,
precauzione, gestione e responsabilità: chiose sull’art. 2391, commi terzo e quinto, del codice
civile, in Giur. comm., 2006, I, p. 5 ss. ed ivi a p. 8; l‟autore utilizza il richiamo al processo di
metabolizzazione con riguardo alla clausola generale dell‟adeguatezza degli assetti
organizzativi, amministrativi e contabili previsti dagli artt. 2381 e 2403 c.c.
5
parallelo15, e non in quello proprio concernente gli amministratori, possa aver
favorito una “presa di coscienza” meno rapida.
Quanto alla critica concernente la pretesa ipostatizzazione della
categoria della corretta amministrazione avevo già replicato16, osservando che
il richiamo alla corretta amministrazione ha, invece, un suo proprio ed
autonomo contenuto precettivo ricavabile attraverso modelli di condotta già
consolidati dall‟esperienza; a standards ricavabili dalla prassi e da altre
scienze, quali l‟economia aziendale.
In merito al rapporto tra il dovere di corretta amministrazione e
l‟obbligo di diligenza occorre spendere qualche ulteriore riflessione. Prima
della riforma, a fronte di una palese carenza di esplicitazione degli obblighi
generali degli amministratori, la giurisprudenza17 era costretta ad interpretare
la diligenza in modo diverso nelle obbligazioni degli amministratori
caratterizzate da un contenuto specifico rispetto al dovere generico di gestire
la società – appunto – con diligenza: nella prima fattispecie la diligenza
costituiva la misura dell‟impegno richiesto agli amministratori ed essi
andavano esenti da responsabilità solo se – come stabiliva (e stabilisce) l‟art.
1218 c.c. – l‟inadempimento derivava da impossibilità della prestazione per
causa non imputabile18; nella seconda, viceversa, non essendo la
responsabilità legata alla violazione di un obbligo specifico, bensì di uno
generico, “l‟agire diligente è compenetrato nel contenuto della prestazione
dell‟amministratore e, pertanto, la diligente attività del debitore per realizzare
15
Ovvero l‟art. 2403 c.c. in tema di doveri del collegio sindacale.
Cfr. il mio, Profili di corporate governance, cit., passim.
17
Si veda per tutte Cass., 23 marzo 2004, n. 5718, in Società, 2004, 1517, con nota
di A. FUSI, Valutazione della responsabilità dell’amministratore.
18
Sul tema v., per tutti, G. COTTINO, L’impossibilità sopravvenuta della
prestazione e la responsabilità del debitore, Milano, 1955, passim.
16
6
l‟interesse del creditore esclude direttamente l‟inadempimento”19: in altri
termini, l‟aver agito con diligenza da parte dell‟amministratore escludeva la
sussistenza dell‟inadempimento e faceva venir meno lo stesso presupposto del
giudizio di responsabilità sancito dall‟art. 1218 c.c. ossia l‟inesattezza della
prestazione.
Il ruolo che la diligenza giocava nel determinare la responsabilità degli
amministratori, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale,
confermato dalla pronuncia a cui – poco sopra – si è fatto espresso
riferimento, era dunque duplice20: una nozione double face di diligenza, che
sembrava già allora in netto contrasto con le conclusioni della migliore
dottrina civilistica21. Appaiono condivisibili, a tale proposito, le opinioni di
coloro
che
attribuiscono
alla
diligenza
unicamente
un
ruolo
di
commisurazione dell‟adempimento, di criterio di condotta che presuppone
come “stabilita l‟estensione precisa di ciò che il debitore è tenuto a fare”22,
tale da rimanere cioè estranea al contenuto dell‟obbligazione, a differenza dei
principi di correttezza e di buona fede che – invece – valgono ad integrare il
contenuto della prestazione, anche oltre a quanto è stato espressamente
previsto dalle parti o dalla legge23.
La difficoltà degli interpreti di attribuire – in tema di responsabilità
degli amministratori – al criterio della diligenza un significato univoco
19
Così Cass., 23 marzo 2004, n. 5718, cit., in motivazione; conf. I D., 28 aprile
1997, n. 3652, in Società, 1997, 1389.
20
Conf., per tutti, M. DELLACASA, Dalla diligenza alla perizia come parametri
per sindacare l’attività di gestione degli amministratori, in Contr. e impr., 1999, p. 209 ss. ed
ivi a p. 216 ss.
21
Per un sintetico, ma esaustivo panorama sul tema cfr. G. D‟AMICO, voce
“Negligenza”, in Digesto, Disc. Priv., Sez. civ., XII, Torino, 1995, p. 24 ss. il quale riesamina
– tra l‟altro – le posizioni assunte da Luigi Mengoni, da Stefano Rodotà e da Ugo Natoli.
22
Così S. RODOTÀ, voce “Diligenza (diritto civile)”, in Enc. dir., XII, Milano,
1964, p. 539 ss. ed ivi a p. 542.
23
V., per tutti, S. RODOTÀ, op. cit., p. 539 ss.; G. VISINTINI, Inadempimento e mora
del debitore, in Il codice civile. Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1987, p. 225
ss.; A. DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in Comm. del cod. civ., a cura di A. Scialoja e
G. Branca, Bologna-Roma, 1988, p. 452 ss.
7
derivava probabilmente dalla “povertà” del dato normativo del codice civile
del 1942, in ordine al contenuto generale dell‟obbligo di amministrazione,
aldilà dei doveri specifici previsti in varie e numerose norme sia del codice,
sia di leggi speciali24.
In assenza di una chiara indicazione circa i caratteri, che l‟attività di
amministrazione doveva rivestire, la dottrina e la giurisprudenza si erano, in
altri termini, “aggrappati” al criterio della diligenza, attribuendo ad essa un
significato “variabile”.
La riforma del diritto societario sembra – come si è visto – offrire un
contributo decisivo alla soluzione di tali questioni. Il legislatore, infatti,
sancisce – indirettamente25 – ma in modo assolutamente espresso e chiaro –
quale sia l‟obbligo per eccellenza degli amministratori: rispettare i principi di
corretta amministrazione. Ciò consente alla diligenza di tornare ad essere quel
che è: ossia un criterio di valutazione dell‟operato del debitore (nella specie:
gli amministratori) nell‟adempimento delle prestazioni a cui è tenuto. In altre
parole, come un‟attenta dottrina ha da subito colto, “il nuovo sistema, se
correttamente interpretato, potrà essere in grado di ristabilire il principio (…)
secondo cui la diligenza non può mai costituire oggetto di un obbligo o peggio
il contenuto della prestazione dedotta nell‟obbligazione, bensì soltanto il
modo di adempiere esattamente all‟obbligazione”26.
24
Sul punto v., per tutti, F. BONELLI, La responsabilità degli amministratori di
società per azioni, Milano, 1992, p. 4.
25
Ossia attraverso l‟art. 2403 c.c. che detta i doveri del collegio sindacale; secondo
G. CAVALLI, Sub art. 149 Tuf, Testo Unico della Finanza, commentario diretto da G. F.
Campobasso, II, Emittenti, Torino, 2002, p. 1241, l‟art. 149 Tuf (che costituisce l‟antecedente
dell‟art. 2403 c.c.) “finisce per riflettere i suoi effetti anche sulla sfera dei doveri imposti (…)
agli stessi amministratori”.
26
Così F. VASSALLI L’art. 2392 novellato e la valutazione della diligenza degli
amministratori, in Profili e problemi dell’amministrazione nella riforma delle società, a cura
di G. Scognamiglio, Milano, 2003, p. 23 ss. ed ivi a p. 31.
8
Recenti studi27 paiono confermare le conclusioni raggiunte; nel primo
di essi si osserva come la diligenza sia stata spesso utilizzata in modo
improprio, ossia come dovere generico degli amministratori, con la
conseguenza “di costruire un‟obbligazione in cui la prestazione che ne
costituisce l‟oggetto si esaurisce nella diligenza, quindi, in una regola di
condotta e non già (…) in un dover fare o non fare qualche cosa”28. La
correttezza, invece, è uno strumento idoneo per determinare concretamente il
contenuto del rapporto obbligatorio e la sua estensione.
Il nesso sistematico tra dovere di corretta amministrazione e criterio di
diligenza – che ho cercato di rappresentare – è giudicato condivisibile anche
da un secondo recente contributo: “rispetto tanto al dovere a contenuto
generico di corretta amministrazione, quanto ai numerosi e variabili doveri a
contenuto specifico che da esso scaturiscono, la diligenza costituisce il criterio
di imputazione delle responsabilità alla cui stregua valutare la condotta tenuta
dai
membri
dell‟organo amministrativo e le modalità di
relativo
adempimento”29.
Un terzo filone critico muove dall‟osservazione secondo cui il dovere
di corretta amministrazione e, in particolare, la sua esplicitazione legislativa
concernente gli assetti adeguati doveva considerarsi un dovere “già implicito
(…) nella funzione di amministrare una società: sotto questo profilo, quindi,
[la riforma] non dice nulla di nuovo”30. Tale posizione, seppur espressa da
27
Cfr. A. ZANARDO, Delega di funzioni e diligenza degli amministratori nelle
società per azioni, Padova, 2010, p. 40 ss.; G. MERUZZI, L’informativa, cit., p. 764.
28
Così A. ZANARDO, op. cit., p. 41.
29
Così G. MERUZZI, op. loc. ult. cit.
30
Così G. E. COLOMBO, Amministrazione e controllo in Il nuovo ordinamento
delle società. Lezioni sulla riforma e modelli statutari, Milano, 2003, p. 175 ss. ed ivi a p.
177; contra: V. BUONOCORE, Adeguatezza, cit; p. 7 che sottolinea come il tema
9
un‟autorevole dottrina, anch‟essa compianta, non mi pare persuasiva; avevo,
infatti, sottolineato31 come la nostra dottrina giuridica fosse ben consapevole,
già sul volgere degli anni ‟50 del secolo scorso32, del ruolo e dell‟importanza
degli aspetti organizzativi nella gestione delle imprese e dei loro riflessi sugli
obblighi
dell‟organo
amministrativo.
La
stessa
giurisprudenza,
in
un‟interessante pronuncia risalente a quaranta anni fa, sottolineava come gli
amministratori di una società per azioni avessero il primario dovere di
pretendere che la gestione di questa fosse, anzitutto, tenuta in maniera da
rendere possibile il controllo sotto il profilo contabile ed amministrativo. Il
dovere degli amministratori di conoscere in modo continuativo l‟entità del
patrimonio amministrato, per il tramite di una specifica organizzazione
dell‟impresa, potrebbe dunque costituire una sorta di antecedente storicoculturale dell‟odierno obbligo di costruire assetti adeguati33.
Ma da ciò a ritenere che la previsione dell‟obbligo di corretta
amministrazione e quello da esso scaturente, concernente gli assetti, fosse già
da considerarsi presente nel nostro ordinamento il passo mi pare troppo lungo;
un‟importante dottrina, ancora negli anni novanta del secolo scorso, riteneva –
in rapporto alla tempestiva rilevazione di perdite significative ai sensi dell‟art.
2446 c.c. - come fosse “praticamente impossibile avere ogni giorno un quadro
completo della situazione patrimoniale della società, dal quale risulti l‟esatto
ammontare delle perdite. Non si può quindi, nel corso dell‟esercizio,
pretendere troppo dagli amministratori”34. Altra dottrina – a conforto
dell‟adeguatezza degli assetti è un tema “pressoché ignoto alla problematica giuridica ante
riforma”.
31
Cfr., Assetti, cit., p. 15 ss.
32
Cfr. L. MENGONI, Recenti mutamenti nella struttura e nella gerarchia
dell’impresa, in Riv. soc., 1958, p. 689 ss.
33
Cfr. Cass., 5 aprile 1971, n. 970, in Dir. fall., 1972, II, 73; tale pronuncia è
ripresa da G. MERUZZI, op. cit., p. 760, nota 60.
34
Così F. BONELLI, La responsabilità degli amministratori, cit., p. 12, nota 14.
10
dell‟identica tesi – rilevava come “ci sono non di rado delle perdite difficili da
individuare, perché dipendono da dispersioni che non si avvertono facilmente,
da inefficienze dell‟organizzazione, da disavventure di varia natura, di cui si
può apprezzare la portata soltanto quando se ne sommano le conseguenze”35.
Oggi, il tema, invece, grazie all‟obbligo di assetti contabili adeguati
trova soluzione: gli amministratori debbono procurarsi informazioni
periodiche molto più aggiornate e tempestive sulla situazione patrimoniale,
economica e finanziaria della società amministrata e, quindi, intervenire –
attraverso la convocazione dell‟assemblea – repentinamente.
Nessuno nega, ovviamente, che il richiamo a principi di corretta
amministrazione abbia un illustre antecedente nell‟art. 149 Tuf36, così come la
previsione di assetti/strutture organizzative interne, oltre alla citata norma,
abbia radici più profonde ovvero numerosi ordinamenti settoriali, norme di
carattere comunitario37 e principi di autodisciplina sul piano internazionale38.
Tutto ciò non esclude, peraltro, la novità – piuttosto consistente rappresentata dall‟”estensione” di tali principi alla generalità delle società per
azioni di diritto comune.
3.
Il contenuto del dovere di corretta amministrazione.
Si è già osservato, e costituisce un esplicito dato normativo, come
l‟obbligo di corretta amministrazione trovi negli assetti adeguati la sua
35
Così G. FRÈ, Società per azioni, 5° ed., in Comm. del cod. civ., a cura di A.
Scialoja e G, Branca, Bologna-Roma, 1982, p. 828; adde: Trib. Milano, 1 luglio 1976, in
Giur. comm., 1977, II, 880.
36
Per un parallelo tra l‟art. 149 Tuf e l‟art. 2403 c.c. cfr. il mio, Assetti, cit., p. 69
ss.
37
In argomento, per un quadro aggiornato della normativa secondaria concernente
i settori bancario, assicurativo e degli intermediari finanziari cfr. G. M ERUZZI, op. cit., pp.
739-740, nota 6; M DE MARI, Adeguatezza degli assetti societari e profili di responsabilità
degli organi sociali, in NDS – Il Nuovo Diritto delle Società, 2009, n. 3, p. 51 ss ed ivi a p. 61
ss.
38
Il riferimento è al cosiddetto CoSo Report: cfr il mio, Assetti, cit., p. 178 ss.
11
principale esplicitazione. Non credo, peraltro, ci si possa fermare a tale
rilievo: occorre approfondire l‟argomento, nel tentativo di individuare – con
maggiore precisione – l‟area relativa; sul punto mi pare illuminante
l‟affermazione secondo cui “il dovere di corretta amministrazione è
diversamente configurabile se posto in correlazione: a) agli atti di
organizzazione della società (cfr. art. 2381 c.c.); b) alla gestione dell‟impresa
in corso d‟esercizio, e cioè allo svolgimento delle attività programmate
nell‟oggetto sociale per conseguire un incremento della redditività e del valore
dell‟impresa; c) alla (mera) conservazione del patrimonio sociale, allorquando
si sia verificata una causa di scioglimento (cfr. art. 2486 c.c.)”39.
Soprattutto mi pare abbia particolare pregio – sempre rispetto ai principi di
corretta amministrazione – la distinzione tra atti di organizzazione interna, da
un lato, e gestione dell‟impresa (o della sua liquidazione), dall‟altro.
L‟obbligo di assetti adeguati segnala, a mio avviso, soprattutto, il
consistente rilievo che, sul piano giuridico, hanno i profili concernenti
l‟organizzazione interna della società; con un‟espressione condivisibile si è
scritto di governance interna, con riguardo alle modalità organizzative del
sistema di amministrazione e controllo, in contrapposizione ad una
governance esterna concernente la struttura proprietaria, il mercato del
controllo, il ruolo del debito e del capitale40.
L‟obbligo di corretta amministrazione incide, in modo determinante,
peraltro, anche con riguardo al profilo dinamico della gestione sociale e,
dunque, rispetto all‟attività d‟impresa; un ambito strategico in cui la corretta
39
Così ASSOCIAZIONE PREITE, Il diritto delle società, cit., p. 181.
Cfr. G. MERUZZI, op. cit., pp. 738-739 che a sua volta richiama lo studio di A.
NACIRI, Internal and External Aspects of Corporate Govenrance, Routledge, 2009, passim,
nonché – sul piano economico – le riflessioni di E. BARUCCI, Mercato dei capitali e corporate
governance in Italia, Roma, 2006, p. 45. ss. e p. 65 ss.
40
12
amministrazione gioca un ruolo di primo piano è quello delle scelte
discrezionali dell‟impresa; in tale contesto potranno considerarsi insindacabili
le opzioni di gestione (con l‟applicazione della cosiddetta Business Judgement
Rule) quando le medesime rispondono “ai generali criteri di razionalità
economica posti dalla scienza aziendale” e siano “congruenti e compatibili
con le risorse ed il patrimonio di cui la società dispone”41. Più nel dettaglio,
occorre che gli amministratori, rispetto al compimento di operazioni di
gestione, abbiano acquisito adeguate informazioni, posto in essere le
necessarie cautele ed operato le opportune verifiche di carattere preventivo; è
necessario accertare – e si tratta di profili concernenti sempre la corretta
amministrazione – che le operazioni non siano manifestamente imprudenti o
azzardate e che le iniziative più rilevanti siano assistite da strumenti di
pianificazione economica e finanziaria (i cosiddetti business plans); occorre,
infine, che i processi decisionali, nei suoi elementi costitutivi, siano
rispettati42.
I principi di corretta amministrazione, dunque, applicati alle scelte di
gestione, consentono di offrire una soluzione equilibrata con riguardo al tema
dell‟insindacabilità delle scelte di gestione, senza necessità di “disturbare” il
41
Così la Norma 3.3. delle recenti Norme di comportamento del collegio
sindacale, emanate dal CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DEGLI
ESPERTI CONTABILI in data 15 dicembre 2010; anche gli allora Nuovi principi di
comportamento del collegio sindacale nelle società quotate/e controllate di quotate, emanate
dall‟allora CONSIGLIO NAZIONALE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI E DAL CONSIGLIO
NAZIONALE DEI RAGIONIERI COMMERCIALISTI E PERITI COMMERCIALI nel 2001 facevano
espresso riferimento ai criteri di razionalità economica.
42
Cfr. ancora la citata Norma 3.3 secondo cui “con riguardo alle operazioni
maggiormente significative è necessario, altresì, che il collegio verifichi che le scelte siano
assunte sulla scorta delle migliori informazioni disponibili e, nel caso la società sia
adeguatamente strutturata, sulla base di appropriati piani economici, patrimoniali e finanziari.
In tale ambito assumono particolare importanza gli strumenti di pianificazione e controllo e
soprattutto il riscontro di coerenza dei piani aziendali di medio-lungo periodo e quelli di breve
periodo, nonché la rendicontazione infrannuale”.
13
criterio della diligenza che, ancora dopo la riforma, viene viceversa,
invocato43.
Occorre soffermarsi su un ultimo profilo. Nel tentativo di inquadrare il
dovere di corretta amministrazione in un ambito più ampio, mi era parso
esatto collocarlo all‟interno della regola generale “correttezza-buona fede”,
sancita dagli artt. 1175 e 1375 c.c.44. Sul punto, invece, vi è chi ha osservato
che “l‟uso dello stesso vocabolo sottende, in realtà, due nozioni giuridiche ben
diverse tra di loro”45.
La critica non mi pare condivisibile; essa sembra assegnare ai principi di
corretta amministrazione un rilievo tecnico-formale ed al principio di
correttezza-buona fede un significato sostanziale-morale.
Ritengo, invece, che nell‟unitaria nozione di corretta amministrazione
possano rientrare entrambi i profili. La clausola generale della correttezzabuona fede riguarda – come si è già osservato – modelli di condotta già
consolidati nell‟esperienza, standards sociali, regole tecniche desumibili dai
cosiddetti husages honnêtes du commerce.
È un principio che, con riguardo ai parametri dell‟amministrare
correttamente l‟impresa, ha molte sfaccettature che – a loro volta – richiamano
altre clausole generali: l‟adeguatezza per quanto concerne l‟organizzazione
43
Cfr. F. BONELLI, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma, Milano, 2004, p.
186.
44
Cfr. il mio Assetti, cit., p. 60 ss.
Così G. MERUZZI, L’informativa, cit., p. 765 secondo cui “affermare che gli
amministratori sono tenuti, nel loro agire, a rispettare le regole di correttezza vuol dire
imporre loro condotte e scelte gestionali non solo formalmente rispettose del dato normativo,
ma anche coerenti con l‟interesse sociale e, più in generale, con l‟interesse perseguito da tutti
coloro che alla società partecipano. Affermare invece che gli amministratori devono rispettare
i principi di corretta amministrazione significa porre a loro carico una serie di doveri relativi
alle modalità di organizzazione e di svolgimento dell‟attività d‟impresa, ovvero il dovere di
approntare un‟organizzazione societaria e di agire secondo criteri coerenti con regole e prassi
operative che, in un dato momento, corrispondono alle migliori pratiche riconosciute in
relazione alla dimensione aziendale, all‟articolazione dell‟impresa, al tipo di attività svolta ed
al contesto economico e sociale in cui essa opera, nonché coerenti con gli obiettivi prefissati e
con l‟interesse alla continuità ed al mantenimento nel lungo periodo dei valori aziendali”.
45
14
interna, ovvero gli assetti; la razionalità economica (ovvero la ragionevolezza)
in relazione alle scelte di gestione e più in generale un comportamento anche
sostanzialmente coerente con gli interessi – laddove protetti – di tutti gli
stakeholders.
Vale la pena di osservare – per concludere – che il richiamo alla
correttezza trova, come è noto, un‟importante traduzione legislativa in materia
di bilancio, attraverso la clausola generale dell‟obbligo di rappresentazione
veritiera e corretta della situazione patrimoniale, economica e finanziaria
della società, ma che non si può certo sostenere che con esso si intenda
riferirsi ad un mero rispetto della tecnica di bilancio, dovendosi ritenere
incluso nel principio il rispetto “sostanziale” del medesimo46.
4.
Gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e la loro
adeguatezza.
Mentre la centralità dell‟obbligo di corretta amministrazione, soprattutto
con riguardo ai confini con il criterio della diligenza e l‟obbligo di correttezzabuona fede, tarda ad affermarsi pienamente, la previsione dell‟adeguatezza
degli assetti ha attratto come una calamita la dottrina che ha profuso
nell‟esame di tale principio grandi energie47.
Tale circostanza appare piuttosto stridente, se confrontata con il quasi
totale silenzio dei giuristi in ordine al contenuto concreto degli assetti.
46
L‟art. 2423, 4° comma, c.c. va proprio in tale direzione, legittima do – proprio
per consentire il rispetto sostanziale del principio della rappresentazione veritiera e corretta –
anche la disapplicazione di una o più disposizioni normative.
47
Il pensiero corre soprattutto al saggio di V. B UONOCORE, Adeguatezza, cit. ed ai
numerosi studi che ad esso fanno richiamo; da ultimo, cfr. I. K UTUFÀ, Adeguatezza, cit.
15
Come è noto, il dato normativo concernente gli assetti è sufficientemente
ricco con riguardo all‟intestazione degli stessi48, mentre è totalmente muto con
riferimento ai suoi contenuti: ciò si spiega – a mio parere – con la rituale
ritrosia del legislatore a dare immediatamente spazio – sul piano giuridico –
ad acquisizioni derivanti dalle scienze economico-aziendali; è già capitato in
passato che il legislatore apparisse prudente, quasi restio a recepire
diffusamente istituti di derivazione tecnica. L‟evoluzione della disciplina
concernente il bilancio appare paradigmatica in proposito; il codice di
commercio del 1882 dedicava alle funzioni ed al contenuto del bilancio una
sola disposizione (l‟art. 176) ed anche tale norma si limitava ad assegnare al
bilancio la funzione di “dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti e
le perdite sofferte”, ed a richiedere la distinta indicazione, nel bilancio, del
“capitale sociale realmente esistente” e della “somma dei versamenti effettuati
e di quelli in ritardo”. È solo con il codice civile del 1942 e soprattutto con
l‟attuazione della IV direttiva comunitaria avvenuta nel 1991, che il bilancio
ha assunto – sul piano dei contenuti, indicati direttamente ed espressamente
dal legislatore – un ampio rilievo.
È comprensibile – derivando la materia da acquisizioni consolidate delle
scienze economico-aziendali – che per il giurista la formula “assetti
organizzativi, amministrativi e contabili” possa essere priva di una propria
capacità di rappresentazione, ciò peraltro non legittima – come mi pare stia
accadendo – che le riflessioni in ambito gius-commercialistico riguardino il
principio dell‟adeguatezza degli assetti e non – in primo luogo – gli assetti.
Mi pare – se mi è consentito – si tratti di una forma di strabismo; è come
discettare sulla clausola generale della chiarezza in assenza delle norme che
48
V., supra, nota 2.
16
disciplinano la struttura ed il contenuto del bilancio o discorrere di verità e
correttezza senza le norme che fissano i criteri di valutazione delle diverse
poste di bilancio.
In altri termini, ritengo prioritario interrogarsi sul contenuto degli
assetti, anche se ciò possa apparire un‟invasione di campo (quello
dell‟economia aziendale) che – se così è – reputo necessaria, in
considerazione del rilievo – oggi – giuridico assunto dagli assetti.
È ineccepibile che gli assetti debbano essere adeguati, ma mi domando
come si possa stabilire se lo siano o no se prima non si possiede un‟idonea
conoscenza di come essi siano in concreto costituiti.
In tale direzione – seppur nell‟ambito di un paper - credo si debba
prendere le mosse dal più recente contributo in materia ovvero dalle Norme di
comportamento del collegio sindacale49.
In primo luogo, secondo tale documento50, per assetto organizzativo,
“si intende il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire
che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato ad un
appropriato livello di competenza e responsabilità”. Più nel dettaglio, occorre
considerare i seguenti elementi:
“- separazione e contrapposizione di responsabilità nei compiti e nelle
funzioni;
- chiara definizione delle deleghe o dei poteri di ciascuna funzione;
- verifica costante da parte di ogni responsabile sul lavoro svolto dai
collaboratori”.
49
Cit., supra, nota 41.
Le citazioni che seguono sono tratte dal detto documento (più in particolare
dalle Norme 3.4 e 3.6; l‟ampiezza delle citazioni mi pare necessaria ai fini di una migliore
comprensione del contenuto – in concreto - degli assetti, seppure nella visuale degli obblighi
di vigilanza sui medesimi da parte del collegio sindacale).
50
17
Ancora, in modo più analitico, l‟assetto organizzativo deve possedere
(pur sempre in relazione alle dimensioni della società, alla natura ed alle
modalità di perseguimento dell‟oggetto sociale) i seguenti requisiti:
“- redazione di un organigramma aziendale con chiara identificazione delle
funzioni, dei compiti e delle responsabilità;
- esercizio dell‟attività decisionale e direttiva della società da parte dei
soggetti ai quali sono attribuiti i relativi poteri;
- esistenza di procedure che assicurino la presenza di personale con adeguata
competenza a svolgere le funzioni assegnate;
- presenza di direttive e di procedure aziendali, loro aggiornamento e effettiva
diffusione”.
Infine, si sottolinea la necessità di coerenza tra la struttura decisionale
aziendale e le deleghe depositate presso il registro imprese.
Secondo le Norme di comportamento del collegio sindacale “il sistema
amministrativo-contabile può definirsi come l‟insieme delle direttive, delle
procedure e delle prassi operative dirette a garantire la completezza, la
correttezza e la tempestività di una informativa societaria attendibile ed in
accordo con i principi contabili adottati dell‟impresa”.
Gli assetti amministrativi e contabili debbono consentire:
“- la
completa,
tempestiva ed
attendibile
rilevazione
contabile
e
rappresentazione dei fatti di gestione;
- la produzione di informazioni valide ed utili per le scelte di gestione e la
salvaguardia del patrimonio aziendale;
- la produzione di dati attendibili per la formazione del bilancio d‟esercizio”.
Impiegando la terminologia economico-aziendale, si può ritenere che
l‟output degli assetti amministrativi e contabili sia la completezza e
18
correttezza dei dati economico-finanziari. Si tratta, in altre parole, “di
associare i fatti economici maggiormente rilevanti secondo la loro rischiosità
complessiva con i processi gestionali che li alimentano, rilevandone le
responsabilità gestionali, le direttive, le procedure e le prassi operative di
governo delle attività e gli strumenti (anche informatici) di gestione dei rischi
di errore ad esse associati”.
Le Norme di comportamento del collegio sindacale forniscono – come
si è visto – al giurista un quadro di contenuti estremamente ricco. Mi pare, in
proposito, si possa ragionevolmente sostenere che il primo ed indefettibile
elemento
costitutivo
degli
assetti
sia
rappresentato
da
un
chiaro
“Organigramma aziendale” da cui emergano ruoli e funzioni dei vari soggetti.
Si tratta – comunemente – di una rappresentazione grafica a forma piramidale
che vede al vertice il consiglio di amministrazione e via via – discendendo –
gli organi delegati, la direzione generale, le diverse direzioni o aree; la
suddivisione più comune è quella tra area amministrativa, area produttiva ed
area commerciale. Tra i vari soggetti è opportuno individuare l‟esistenza di
legami sia funzionali (rappresentati graficamente – per consuetudine – con
una linea tratteggiata), sia gerarchici (con linea continua).
All‟”Organigramma aziendale”, rappresentato graficamente, occorre
accludere un documento che, comunemente, si definisce “Compiti e
Responsabilità” nel quale sono descritti – appunto – le principali aree di
competenza delle varie funzioni aziendali; il documento – tradizionalmente
denominato mansionario o più (modernamente) funzionigramma – è chiamato
ad esporre, in modo quanto più possibile analitico, le competenze di ciascuna
area funzionale, individuando all‟interno di ognuna di esse il soggetto
19
responsabile e l‟eventuale ulteriore articolazione. La descrizione dei compiti e
delle linee di responsabilità è quanto mai opportuna perché consente di
individuare eventuali carenze funzionali o, al contrario, inefficienti
sovrapposizioni.
Vi è, infine, sotto questo profilo, un terzo documento, di regola
denominato “Deleghe e Poteri”, nel quale vengono precisate – appunto – le
eventuali attribuzioni di poteri esterni alle diverse funzioni: si deve trattare di
un documento coerente con le deleghe e le procure depositate presso il
registro delle imprese, idoneo a rappresentare in modo chiaro quali siano i
soggetti che hanno la cosiddetta firma sociale e quale sia l‟ambito di
estensione della firma medesima.
“Organigramma aziendale”, “Compiti e Responsabilità”, “Deleghe e
Poteri” sono tre documenti che (aldilà della variabile complessità dei
medesimi, in diretta correlazione con la natura e la dimensione della società)
rappresentano – a mio avviso – il minimum di assetto organizzativo.
Vi sono poi – sempre nell‟ambito dell‟assetto organizzativo – le
procedure; si è già sottolineato come la predisposizione di “assetti” significhi
– in buona sostanza ed in generale – una procedimentalizzazione
dell‟organizzazione
aziendale51;
procedimentalizzazione
dell‟attività
d‟impresa che sembra costituire – come altrove sottolineavo52 – il filo
conduttore di tutta la più recente legislazione d‟impresa53.
51
Cfr. B. LIBONATI, L’impresa, cit., p. 264.
Cfr. il mio Assetti, cit., p. 76.
53
Interventi in settori dell‟ordinamento tra di loro molto diversi sono accomunati
da tale prospettiva: le disposizioni in tema di sicurezza sui luoghi di lavoro (d. lgs. 9 aprile
2008, n. 81); l‟apparato legislativo sulla privacy (d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196), con
l‟obbligo di predisporre un documento programmatico sulla sicurezza e, soprattutto, le norme
concernenti la responsabilità delle persone giuridiche (d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231) sono la
migliore riprova di un filo conduttore che ruota intorno, appunto, alla creazione di una
struttura organizzativa aziendale idonea a consentire il corretto svolgimento dell‟attività
52
20
Più in concreto, attraverso le singole procedure si regolamentano nel
dettaglio le diverse fasi dell‟attività d‟impresa; anche la complessità e la
numerosità dei vari processi è strettamente correlata alla natura ad alle
dimensioni dell‟impresa. Vi possono essere realtà nelle quali (intendo
riferirmi a piccole/medie imprese) non vi sono processi formalizzati o i
medesimi riguardano solo alcuni profili; ad es., le procedure che disciplinano
il ciclo dei pagamenti (detto anche ciclo passivo) e quello riguardante le
vendite (il cosiddetto ciclo attivo).
Al crescere dell‟impresa corrisponde un parallelo e necessario
incremento delle procedure; vi possono (e vi debbono) essere processi che
descrivono tutte le singole fasi e sotto-fasi dell‟attività. Ad es., è possibile
“imbattersi” in processi relativi agli investimenti ed ai disinvestimenti,
processi concernenti la creazione del prodotto; processi di carico e scarico del
magazzino; processi sugli affidamenti di incarichi esterni; processi sul
recupero del credito; processi aventi ad oggetto i profili assicurativi; etc.
Se è vero che le procedure, da un lato, possono ingessare l‟attività
d‟impresa; dall‟altro, rappresentano un‟ottima “garanzia” di efficienza e di
coerenza con le linee generali descritte nell‟”Organigramma aziendale” e
negli altri due documenti di cui si è scritto. In altri termini, le procedure
consentono di stabilire chi fa chi e che cosa, a partire proprio da ogni singolo
processo aziendale. Ovviamente, la procedimentalizzazione consente, poi, di
effettuare controlli di “allineamento” e di regolarità più efficienti.
Con riguardo all‟assetto amministrativo e contabile il focus è costituito
dal possesso di strumenti idonei a consentire una corretta, completa,
d‟impresa (conf. M. RABITTI, Rischio organizzativo e responsabilità degli amministratori,
Milano, 2004, p. 38).
21
tempestiva e – soprattutto – attendibile rilevazione dei fatti contabili; in
concreto, ciò significa avere la disponibilità di strumenti informatici efficienti
(i cosiddetti programmi di contabilità), gestiti da personale competente ed
affidabile. Occorre, altresì, che i software relativi, sul piano consuntivo,
permettano sia la riclassificazione dei dati contabili, sia l‟analisi del bilancio
per indici, sia – ancora – una rendicontazione dei risultati (seppur provvisori)
su base – perlomeno – mensile. Con riguardo al profilo “preventivo”, è
necessario – invece – che i sistemi contabili siano in grado di elaborare
budget e previsioni, con riferimento sia all‟ordinaria attività d‟impresa, sia ai
possibili esiti di investimenti consistenti. Non debbono, da ultimo, essere
trascurati gli aspetti finanziari ovvero la capacità per l‟impresa di possedere
idonei flussi monetari al fine di sostenere e garantire la continuità aziendale.
Anche gli assetti amministrativi e contabili debbono essere
proporzionati alle dimensioni ed alla natura dell‟impresa; il pensiero – con
riguardo al secondo dei parametri indicati - corre ad attività economiche
caratterizzate da grandi appalti o commesse: in tal caso gli assetti dovranno
necessariamente essere in grado di accompagnare – con idonei centri di costo
– l‟evolversi della commessa, al fine di intervenire tempestivamente in casi di
anomalia. Occorre, in altre parole, che i sistemi contabili, adeguatamente e
prontamente alimentati, forniscano, con tempestività, elementi di giudizio in
ordine alla sussistenza ed alla permanenza di margini di profitto della
commessa o dell‟appalto, al fine di evitare che sgradite “sorprese” emergano
soltanto al termine di un‟attività magari pluriennale.
Nella concreta disamina del contenuto degli assetti occorre stabilire se
gli stessi presuppongono necessariamente o no (come ritengo preferibile) la
22
creazione di un sistema di controllo interno. Il serrato confronto tra l‟art. 149
Tuf e gli artt. 2381 e 2403 c.c., altrove svolto54, mette in risalto come l‟unica
differenza di qualche rilievo tra le due disposizioni riguarda proprio il sistema
di controllo interno che la disciplina speciale richiede espressamente, mentre
sul punto la norma comune tace. La scelta legislativa appare condivisibile55;
come si è osservato, “qualsiasi impresa, ha, quant‟anche in dimensioni ridotte,
o addirittura minimali, una sua struttura organizzativa e un sistema contabile;
ma ciò non implica affatto che essa sia dotata di un sistema di controllo
interno, ossia di un sistema di procedure dirette a verificare l‟efficienza e
l‟adeguatezza della struttura organizzativa e contabile”56. In altri termini, “la
predisposizione di un sistema di controllo interno sembra richiedere un
impegno in termini di risorse umane e procedure che può non essere
compatibile con le strutture delle piccole imprese”57.
Occorre, peraltro, accordarsi su cosa si intenda per “sistema di
controllo interno”; in esso, a mio avviso, non possono essere ricomprese le
procedure aziendali che regolamentano le diverse fasi dell‟attività d‟impresa:
le stesse sono, infatti, riconducibili all‟assetto organizzativo58. Il sistema di
controllo interno, viceversa, presuppone, da una lato, la presenza di almeno
una specifica funzione aziendale (l’internal auditing) e, dall‟altro, la
costruzione di un complesso impianto di identificazione, misurazione,
54
Cfr. il mio, Assetti, cit., p. 69 ss.
Contra: V. COLANTUONI, Sub art. 2403 c.c., in La riforma delle società, a cura
di M. Sandulli e V. Santoro, I, Torino, 2003, p. 549, anche se poi l‟autrice, più avanti,
riconosce che “l‟assenza di ogni riferimento al controllo interno nella norma all‟attenzione
deve imputarsi (…) alla composita realtà imprenditoriale cui la riforma societaria di rivolge”
(p. 550).
56
Così P. MONTALENTI, La società quotata, in Tratt. di dir. comm., diretto da G.
Cottino, IV, 2, Padova, 2004, p. 247.
57
Così S. PROVIDENTI (- L. NAZZICONE), Società per azioni. Amministrazione e
controlli, in La riforma del diritto societario, a cura di G. Lo Cascio, 5, Milano, 2004, pp. 274
– 275; adde: Circolare Assonime, 14 aprile 2005, n. 18, p. 28.
58
Cfr., in tal senso, le Norme di comportamento del collegio sindacale, cit. che –
espressamente – ricomprendono le direttive e le procedure aziendali all‟interno dell‟assetto
organizzativo.
55
23
gestione e monitoraggio dei principali rischi aziendali. Si tratta di un sistema
la cui presenza deve reputarsi soltanto eventuale59, ovvero necessario soltanto
per le imprese di maggiore dimensione o sottoposte alla vigilanza delle
Autorità indipendenti (Banca d‟Italia, Consob e Isvap) che ne hanno fatto
specifica richiesta o ne hanno suggerito l‟istituzione60.
Sul piano del concreto contenuto degli assetti resta da sottolineare
come gli stessi debbano essere accompagnati dalla previsione di idonei flussi
informativi sia tra gli organi sociali, sia tra gli stessi e le varie funzioni
aziendali. L‟informativa endo-societaria – rispetto agli assetti – ha la funzione
di lubrificare gli ingranaggi costituiti dagli organi sociali e dalle funzioni
aziendali; occorre – in altre parole – prestare attenzione all‟interazione ed al
coordinamento delle varie aree.
In tale contesto vengono ipotizzate diverse tipologie di flussi: la prima,
di carattere conoscitiva-informativa, comporta un flusso di informazioni da
59
Conf. la Norma 3.5. delle Norme di comportamento del collegio sindacale, cit.
L‟approfondimento di tali profili esula dagli scopi del presente paper; sembra
sufficiente, in proposito, segnalare che con il Regolamento congiunto Banca d‟Italia e Consob
del 29 ottobre 2007 in tema di organizzazioni e procedure degli intermediari che prestano
servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio si suggerisce, addirittura,
l‟istituzione di tre funzioni aziendali di controllo: una funzione di compliance (ovvero di
controllo di conformità alle norme); un‟altra di risk management (ossia di gestione del rischio
di impresa) ed un‟ultima di revisione interna (internal audit), funzione già prevista per le
società quotate dal Tuf. Con riguardo ai compiti specifici attribuiti a ciascuna delle tre
funzioni, è previsto che il risk management: collabori alla definizione del sistema di gestione
del rischio dell‟impresa e presieda al funzionamento del sistema stesso e ne assicuri il
rispetto; verifichi, infine, l‟adeguatezza e l‟efficacia delle misure prese per rimediare alle
eventuali carenze del sistema. L‟internal audit (o revisione interna) è tenuto – come si è già
visto, in termini generali – ad adottare, applicare e mantenere un piano di audit per l‟esame e
la valutazione dell‟adeguatezza e dell‟efficacia dei sistemi, dei processi, delle procedure e dei
meccanismi di controllo, nonché a formulare raccomandazioni basate sui lavori realizzati.
Alla funzione di compliance è, invece, assegnato il compito di controllare e valutare – su base
regolare – l‟adeguatezza e l‟efficacia delle procedure interne (adottate per la corretta e
trasparente prestazione dei servizi, per la percezione e corresponsione di incentivi, per il
controllo di conformità alle norme, per il trattamento dei reclami e per le operazioni personali
da cui possono sorgere conflitti di interesse) e delle misure adottate per rimediare ad eventuali
carenze; la funzione di compliance fornisce anche consulenza e assistenza ai soggetti
incaricati dei servizi di investimento al fine di garantire – appunto – la compliance.
60
24
una funzione/organo all‟altro ed il suo reciproco; può trattarsi di flussi di
carattere sistematico (con periodicità definita) o sporadico (in rapporto alle
esigenze); la seconda, di carattere conoscitiva-partecipativa, prevede la
partecipazione di una funzione/organo ad incontri con una o più altre
funzioni/organi, al fine di essere posta a conoscenza delle materie trattate o di
fornire il proprio contributo nell‟approfondimento dei temi posti all‟ordine del
giorno; la terza, concernente l‟attuazione di direttive, si realizza quando una
funzione/organo ha la possibilità di avvalersi dell‟apporto di altre
nell‟espletamento dei propri fini istituzionali; la quarta, cosiddetta di
assurance, si ha quando una funzione/organo indipendente fornisce ad un'altra
indicazioni sul conseguimento di alcuni degli obiettivi aziendali di governo
prestabiliti, rientranti nelle finalità di quest‟ultima; la quinta, di carattere
consultiva, si ha quando una funzione/organo esprime pareri preventivi su
diversi argomenti.
L‟articolazione, in concreto, dei flussi informativi è nuovamente in
stretto rapporto alle dimensioni (piuttosto che alla natura) dell‟impresa.
25