appello - Sinistra Lavoro
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appello - Sinistra Lavoro
sInIstra lavoro settImanale anno II - numero 21 - 13 maggio 2015 www.sinistralavoro.it - [email protected] una sinistra all’altezza Matteo renzi va avanti coMe un treno. negli ultiMi giorni la caMera ha approvato l’italicuM, una legge elettorale studiata per portare il paese direttaMente verso il presidenzialisMo senza passare dal via, ovvero senza passare per la costituzione. la riforMa della scuola è già pronta e coMpleterà il processo, già avviato dalla gelMini per l’università, di aziendalizzazione della scuola pubblica. di Francesco D’Agresta e Danilo Borrelli nel contempo il mondo del lavoro continua a subire tutti i contraccolpi della crisi economica senza segnali di ripresa, sale il tasso di disoccupazione ed in particolar modo di quella giovanile, mettendo a nudo l’inconsistenza del Jobact, provvedimento utile solo all’ennesima precarizzazione dei rapporti di lavoro. tutto ciò non è avvenuto in modo indolore per il partito democratico. lo sciopero generale della scuola ha registrato una straordinaria partecipazione e nelle piazze della protesta ad essere messi all’indice sono stati proprio il premier ed il partito democra- tico. la stessa segretaria generale della cgil dichiara che oggi non voterebbe più per il pd. Ma è durante l’approvazione, a colpi di fiducia, dell’italicum che si è consumata la frattura politica: ampi pezzi di pd si sono opposti alla legge elettorale, ma renzi è andato avanti, appunto, come un treno. il presidente del consiglio ha potuto contare su una maggioranza parlamentare, ormai stabile, che prescinde dal suo partito. una maggioranza parlamentare che è il cuore di quell’idea di partito della nazione non ancora nato, ma già all’opera. per pippo civati l’italicum ha rappresentato un punto di non ritorno, «la goccia che ha fatto traboccare il vaso» come ha di- 1 chiarato lo stesso. l’opposizione di sinistra a questo governo sta maturando da tempo e l’uscita di civati ha ovviamente un forte valore simbolico, è la rottura di un tabù, il segnale che in molti auspicavamo: il prevalere delle politica, quella di sinistra, sull’appartenenza di partito, un segnale importante che dà forza ad un percorso già in atto, la costruzione di una nuova forza politica di sinistra. la forza politica di sinistra di cui tutti da tempo sentono l’esigenza, diversa dal partito democratico, ma diversa anche dalla rissosità e dall’inefficacia dei partiti che abbiamo conosciuto fin ora e nei quali abbiamo militato. un progetto che si può concretizzare a condizione che non ci siano nuove ammucchiate elettorali o alleanze federative tra sconfitti in cerca di una ricollocazione. con il percorso di human factor si è messo in campo un luogo politico reale di ricostruzione e di rinnovamento, ribadito da sel in questi giorni con la disponibilità ad andare oltre se stessa. intorno a queste premesse sta nascendo una nuova sfida politica alla quale contribuirà anche civati e alla quale tutti noi, che abbiamo nelle settimane scorse accettato la sfida lanciataci da sel, siamo chiamati. per costruire a partire da lì una nuova sinistra del lavoro e dei diritti, di massa, popolare, di governo. Questo percorso, già in atto, si sta rafforzando di giorno in giorno, insieme ai tanti compagni e compagne che hanno deciso di gettarsi anima e corpo verso il futuro. italia/politica ciccio cirigilano* italicuM, spartiacQue per la sinistra l’approvazione – in un’aula parlaMentare seMivuota – dell’italicuM, e la volontà di andare avanti con la controriforMa della scuola ha riMescolato il Quadro politico. per la priMa volta, dall’inizio della legislatura, il partito di Maggioranza relativa che forMalMente chiaMiaMo pd, Ma che è già un’altra cosa, Mostra apertaMente delle crepe che solo le alchiMie lessicali potranno far finta di sanare. Questo è quello che leggo nel definitivo abbandono di pippo civati, la cui fuoriuscita annunciata dal gruppo, di là delle facili battute di quante e quanti ironizzano sottovalutandone la portata, rappresenta quanto sia diventata oramai impossibile la permanenza in quel luogo da parte di chi ha in mente una politica fortemente ancorata ai temi del lavoro, della sua difesa, della sua centralità… del suo riconoscimento costituzionale, per dirla con le parole di pietro ingrao che, proprio rivolgendosi alle lavoratrici e ai lavoratori, usava definirli costituenti. non sappiamo se, quella che si annuncia come una fuoriuscita solitaria, nelle prossime settimane farà registrare altre fuoriuscite. di certo è che un argine che si è rotto: in modo doloroso, come sempre lo è lo strappo con un partito e con una comunità che si è contribuito a far nascere. ecco perché questa è una fase in cui il rispetto deve avere il sopravvento. è da mesi che discutiamo della nascita di un nuovo soggetto a sinistra di quel che rimane, culturalmente, del partito democratico. e abbiamo cominciato a farlo con maggiore prefigurazione a Milano, grazie ad un atto di grande sensibilità e altruismo politico di sinistra ecologia libertà che, attraverso human factor, ha inteso mettersi a disposizione dell’intera sinistra italiana; è continuato a roma con la grande partecipazione alla manifestazione organizzata della fiom per lanciare la coalizione sociale. l’arrivo di pippo civati è un ulteriore tassello sulla strada della costruzione di quell’alternativa che, come ci siamo detti, non vuole ri- nunciare alla costruzione di una sinistra ampia, maggioritaria, con vocazione al governo e pronta a dare battaglia in tutti i luoghi a sua disposizione contro lo scempio che si sta facendo del lavoro, della costituzione, dello stato sociale. l’approvazione dell’italicum, in questo quadro, segna un vero e proprio spartiacque, perché se dal punto di vista delle politiche sociali già il Jobs act aveva segnato un definitivo allontanamento dalle ragioni del lavoro e dei suoi protagonisti, arrivando a superare a destra anche le politiche antisociali dei governi berlusconiani succedutisi nell’arco di un ventennio, con l’approvazione della legge elettorale e con l’annunciata controriforma della costituzione si vuole cambiare il carattere stesso della democrazia così come l’avevamo conosciuta a partire dal secondo dopoguerra. ecco forse il perché della sofferta decisione odierna di civati e di quante e quanti vorranno seguirlo. la consapevolezza che il leviatano è oramai fuoriuscito dalle acque che lo avevano faticosamente tenuto sommerso per chiudere definitivamente la partita del modello sociale fin qui sopravvissuto. ora però bisogna correre. non si può rimandare oltre, perché abbiamo una sola chances per provare a limitare in parte i danni che saranno provocati dalla nuova legge elettorale. inutile farsi illusioni: come ha scritto Massimo villone, vi sono alcuni danni irreparabili. Ma ancora qualche atto possiamo contribuire a scriverlo in occasione della controriforma costituzionale, soprattutto se le alcune delle alchimie lessicali che hanno fatto sì che il pd di renzi arrivasse all’oggi si trasformeranno in atti concreti nei passaggi parlamentari. per quel tempo abbiamo bisogno che un nuovo soggetto che segni e sogni l’alternativa sia in stato avanzato di cantierizzazione. se non sapremo cogliere l’esiguità del tempo a disposizione porteremo sulle nostre spalle una responsabilità di carattere epocale. *Sinistra Lavoro di Basilicata 2 italia/politica intervista a luciano gallino* “in Questi anni un gioco al ribasso” il sociologo luciano gallino spiega coMe e perché il nostro paese ha scelto sul teMa “la via bassa”: abbassare salari e diritti invece di rilanciare investiMenti e forMazione. colpa di una sinistra che non c’è. e anche di una cultura cattolica orMai disattenta ai valori del lavoro. non lo dice chiaramente, ma se dovesse scegliere una parola che riassuma la “temperatura” del lavoro in questo scorcio di italia, luciano gallino, sociologo e decano degli studiosi del tema nel nostro paese, sceglierebbe la parola dumping, ribasso. perché, come dice lui, i governi italiani degli ultimi 20 anni su questo terreno “hanno scelto la via bassa” per aggirare gli ostacoli senza affrontarli. “la via bassa delle relazioni industriali, dell’erosione dei diritti, degli scarsissimi investimenti su formazione professionale. lo sa qual è percentuale di diplomati del nostro paese? e’ il 23%, la metà degli altri paesi europei. abbiamo tolto la spina alla scuola. e invece di costruire un patrimonio di competenze e capacità - e dunque di domanda e di potere di acquisto - si è scelto il contrario. e ora paghiamo”. Da noi cosa è accaduto? che si è andati avanti su quella strada. il Jobs act sembra una scopiazzatura di quell’era lì. Minori garanzie, dunque maggiore lavoro. una cosa fuori dal tempo, ormai smentita da fior di studi che dicono l’opposto: è dagli alti salari e dagli elevati investimenti in formazione che si allarga la domanda di lavoro nei paesi evoluti. noi invece vogliamo competere con la cina ma sui costi. ridicolo, c’è una differenza che è ancora di 1 a 10 su una singola ora di lavoro. appunto, abbiamo scelto la via bassa. A parte la crisi del sindacato, di cui si parla da anni, sembra che anche in Parlamento il lavoro abbia poca rappresentanza politica. e’ vero, e per due motivi. e’ finita l’era della sinistra di derivazione marxista, che su quello fondava gran parte della sua identità. cosa ci sia stato e ci sia oggi di sinistra in quel partito che da pds, poi ds, oggi è diventato il pd io francamente non so. direi poco o nulla. una forza politica che lascia tutto il campo al cosiddetto libero mercato e teorizza che i salari devono adeguarsi all’offerta per conto mio con quella cultura lì ha tagliato i ponti. Da dove è iniziata questa “slavina del lavoro”? vedo una data chiave: il 1997. l’anno in cui si è introdotto il “lavoro in affitto” e si sono moltiplicate le forme contrattuali dei cosiddetti lavori atipici. e’ stato quello scorcio di fine anni ’90 a sfondare il muro delle garanzie. Ma eravamo vittima dell’ocse, che nei suoi rapporti teorizzava un nesso preciso tra rigidità della protezione legale del lavoro (i vincoli al licenziamento) e disoccupazione. in sostanza, diceva, basta rendere più facile licenziare per aumentare i tassi di occupazione, per creare nuovi posti. un errore madornale. che dieci anni dopo è stato ammesso dagli stessi capi economisti dell’ocse. Ma noi invece … E il secondo motivo? e’ venuta meno quella cultura cattolica attenta al lavoro che negli anni 60 e 70 ha costruito, dal centro, molta legislazione di garanzie lungimiranti, ha dato voce a diritti, ha rappresentato un blocco sociale, sindacale, politico di innovazione. era un’area che aggregava associazionismo come le acli, pezzi di poltica (la cosiddetta sinistra dc) e di sindacato (la cisl degli anni 70). e’ stato un patrimonio prezioso. che oggi non esiste più. e si sente. da www.famigliacristiana.org 3 italia/grecia enrico grazzini* la Moneta parallela in grecia e Quella coMpleMentare in italia sarà l’eMissione di una nuova Moneta parallela l’ultiMa arMa di tsipras per evitare di abbandonare l’euro? anche in italia alcuni econoMisti e intellettuali, tra i Quali luciano gallino, propongono una Moneta coMpleMentare all’euro per uscire dalla crisi. che effetto possono avere Queste Monete alternative? in grecia nel cuore dell’europa si sta giocando una “sporca guerra” tra creditori ricchi del nord e debitori poveri del sud. Questa guerra mette a nudo l’europa reale di fronte alle panglossiane illusioni europeistiche. e l’esito di questa guerra segnerà irreversibilmente il futuro di questa europa reale sempre più divisa. La moneta parallela in Grecia secondo il financial times e la reuters la possibilità che il governo greco emetta una moneta parallela all’euro ed eventualmente dichiari default (fallimento) è sempre più concreta. infatti le trattative con le cosiddette istituzioni (la ex troika, cioè ue, bce,fMi) non danno risultati positivi e si avvicina il momento in cui lo stato greco non avrà più fondi per fare fronte ai suoi impegni. la liquidità scarseggia, la ue non paga i 7,2 miliardi che aveva promesso al precedente governo greco, la bce taglia i fondi in euro e il governo greco non sa come pagare pensioni e stipendi ai dipendenti pubblici. da qui le voci crescenti sulla possibilità che il governo socialista di syriza decida di emettere una sorta di moneta alternativa per pagare gli stipendi, pur continuando a rimanere nell’euro. la moneta parallela, secondo ufficiose fonti governative greche, darebbe luogo a un credito dei cittadini verso lo stato greco. gli assegnatari, in primis pensionati e dipendenti pubblici, potrebbero utilizzarlo anche per pagare le tasse o per scontarlo in banca ricevendo una somma in euro, ma inferiore al valore nominale del titolo. il vantaggio della nuova moneta fiscale consiste nel fatto che lo stato in questo modo potrebbe pagare i dipendenti pubblici e risparmierebbe euro preziosi per ripagare i creditori esteri, cioè fMi, bce e europruppo. lo svantaggio consiste invece nel fatto che lavoratori pubblici e pensionati ovviamente non sarebbero troppo contenti di essere pagati con una moneta nazionale soggetta a forte svalutazione. la fuga di capitali continuerebbe. 4 non a caso, secondo voci ufficiose, la manovra si accompagnerebbe alla nazionalizzazione delle banche e e al possibile default della grecia. la minaccia di emettere moneta parallela potrebbe essere una forma di pressione del governo greco per riuscire finalmente a conquistare concessioni sostanziali sul debito pubblico da parte della ex troika. in effetti la moneta parallela greca si configurerebbe come una scommessa azzardata del governo per fare default, ottenere allora finalmente la ristrutturazione dei debiti, ma senza possibilmente farsi cacciare dall’eurozona, e senza portarne (giustamente) la responsabilità di fronte agli elettori e alla comunità internazionale. infatti tutti sanno che la grecia non è e non sarà mai in grado di ripagare il debito pubblico pari al 175% del pil, almeno senza una drastica ristrutturazione/taglio del debito. il problema è quindi: come ottenere il taglio del debito, senza uscire dall’euro? la moneta parallela potrebbe forse funzionare in questo senso: potrebbe essere un nuovo temporaneo mezzo di pagamento – peraltro a rischio di fortissima svalutazione – sostitutivo degli euro (che in grecia non ci sono più) senza però uscire formalmente dall’euro. chi infatti si addosserà la responsabilità politica dell’eventuale uscita dall’euro della grecia? tsipras non vuole uscire perché sa che sarebbe un disastro e che in qualche modo non rispetterebbe il suo mandato e le sue promesse. ammesso che il governo greco abbia effettivamente un piano al- italia/grecia Moneta parallela e complementare ternativo, questo potrebbe essere probabilmente quello dichiarare fallimento senza però uscire dall’euro. sarà allora l’eurozona, che sbatterà fuori dall’euro la grecia? La moneta complementare in Italia abbastanza analogo – anche se inserito in un contesto assai meno drammatico, perché in italia non c’è attualmente difficoltà a ripagare i debiti in euro – è il progetto promosso in italia da alcuni economisti ed intellettuali, tra cui chi scrive. per aumentare la domanda, strozzata dalla deflazione imposta da bruxelles e berlino, e quindi per fare crescere l’economia, l’appello firmato da gallino prevede che lo stato emetta a titolo gratuito certificati di credito fiscale per un importo pari in tre anni a 200 miliardi di euro. a differenza che in grecia – e questa è una differenza sostanziale – ovviamente tutti gli stipendi verrebbero pagati in euro, e i ccf, in quanto titoli negoziabili e convertibili in euro, sarebbero quindi aggiuntivi alla moneta unica, e non sostitutivi. i ccf sono titoli statali che danno luogo a uno sconto fiscale alla pari, ma solo due anni dopo la loro emissione. sono perfettamente legali secondo i trattati e i regolamenti europei. Quindi, come in grecia, i ccf permetterebbero di creare liquidità e nuova moneta circolante senza abbandonare l’euro. i 200 miliardi in ccf verrebbero assegnati gratuitamente ai lavoratori in proporzione inversa al reddito, e alle aziende in proporzione al numero di occupati. chi ha bisogno subito di euro da spendere – ovvero la parte più povera della società e del’economia – venderebbe subito i suoi ccf applicando uno sconto. gli acquirenti sarebbero invece tutti quei soggetti in buona salute finanziaria disposti a pagare in euro i ccf scontati per avere il 100% di riduzione fiscale alla loro scadenza. gran parte dei ccf verrebbe tramutata in euro e spesa (una parte verrebbe invece risparmiata) o, da parte delle aziende, investita: così la moneta – costantemente negata dalle banche italiane, che hanno già accumulato circa 350 miliardi di sofferenze per crediti non pagati – ricomincerebbe a circolare nell’economia. a differenza del Qe della bce, che alimenta soprattutto il circuito finanziario, l’emissione di ccf servirebbe all’economia reale. le famiglie potrebbero fare ripartire i consumi e le aziende ritornerebbero a lavorare e ad assumere. grazie al moltiplicatore sul reddito, il pil aumenterebbe subito di parecchi punti e i conseguenti ricavi fiscali coprirebbero il deficit pubblico che altrimenti si creerebbe con i ccf. inoltre alle aziende verrebbero concessi gratuitamente ccf in funzione del numero degli occupati in modo da ridurre il cuneo fiscale. così le imprese diventerebbero più competitive e si potrebbe mantenere il saldo attivo della bilancia commerciale con l’estero. grazie alla crescita del pil aumenterebbe l’occupazione e diventerebbe finalmente sostenibile il peso del debito pubblico. la proposta elaborata da gallino, biagio bossone, Marco cattaneo, stefano sylos labini, dal sottoscritto e da altri economisti** (vedi monetafiscale.it), farebbe ripartire l’economia, verrebbe accolta con grande entusiasmo sia dai lavoratori che dagli imprenditori, e rispetterebbe perfettamente i trattati europei: infatti i ccf, essendo titoli fiscali, non romperebbero il monopolio della bce sulla moneta unica, e, come pretende la ue, non aumenterebbero il debito pubblico. insomma, non sarebbe necessario spaccare l’euro per rilanciare l’economia. sul piano politico è chiaro che l’unione europea e la bce non farebbero salti di gioia di fronte al fatto che venga emesso un titolo che in pratica aggira il monopolio della bce e diventa moneta nazionale contro i diktat della ue e di berlino. anche le banche, che pure avrebbero molto da guadagnare dalla ripresa dell’economia, potrebbero essere contrarie all’emissione di una sorta di nuova moneta statale concorrente con quella bancaria. tuttavia la moneta fiscale, in italia come in grecia e negli altri paesi del sud europa, è forse l’unica via concreta di uscita dalla crisi. e’ ora che la sinistra e le forze di opposizione se ne accorgano e abbraccino il progetto. * da economiaepolitica.it * Attualmente i promotori dell’appello sono, oltre quelli citati, i docenti: Maria Luisa Bianco, Massimo Costa, Stefano Lucarelli, Guido Ortona, Tonino Perna. 5 europa/grecia luigi vinci viva varoufakis! infuria l’attenzione Mediatica, con scarne eccezioni, Mi pare solo dal lato del Manifesto, sul tratto naïf dell’abbigliaMento del Ministro greco varoufakis alle riunioni europee per il “salvataggio” della grecia: in Quanto prova provata, se ce n’era bisogno, del suo “coMportaMento dilettantesco” in Queste riunioni. da una parte la totalità dei ministri economici degli altri paesi, giacca, cravatta e toni di grigio ministeriale, a segnalare sobrietà, scientificità, conti precisi, desiderio di venire incontro ai greci ma su basi serie; dall’altro un simpatico ma ormai noioso comiziante che insensatamente insiste a difendere la popolazione greca dall’ennesimo assalto alla baionetta euro-germanico orientato, per il bene di essa, ovviamente, a farla definitivamente fuori. riescono a capirsi, mi sono chiesto in tutto il periodo che ci separa dalla vittoria elettorale di syriza, varoufakis e gli altri ministri economici europei? perché la questione è molto semplice, ma al tempo stesso si tratta di un confronto tra posizioni e linguaggi inconciliabili, dove magari alcune parole sono le stesse, ma significano cose completamente diverse. come, per esempio, le parole “ripresa dell’economia”. significa anche ripresa dell’occupazione e del benessere sociale, oppure, concretamente, il contrario? varoufakis dice: non possiamo più spremere la popolazione greca, che è allo stremo, cioè non possiamo continuare a tagliare pensioni e servizi sociali, licenziare gli impiegati pubblici che li realizzano, lasciar correre i salari in un mercato del lavoro privo di regole perché così continuano a cadere, né possiamo continuare ad alienare ad acquirenti esteri il patrimonio nazionale, i suoi porti, le sue poche industrie, le sue isole. le vostre tabelle dicono da anni che operando su questa linea l’economia riprenderà: non ha fatto invece che precipitare. la ripresa economica della grecia può solo passare per un miglioramento delle condizioni di vita popolari. le risorse finanziarie per realizzarla vanno perciò reperite nella grande ricchezza dei grandi evasori fiscali e combattendo la corruzione degli apparati amministrativi. non siamo in grado di presentare al riguardo conti precisi, perché si tratta di avviare una lotta. consentiteci un po’ di fiato, si tratta di quattro soldi, un infinitesimo di quel che continuate a dare a quelle banche che speculando hanno portato la crisi usa in europa. siamo stati mandati al governo con questo programma, che significa anche difesa della nostra dignità di popolo. gli altri ministri hanno le loro tabelline esattissime al centesimo, che spiegano come uccidendo i pensionati greci e i bambini greci con patologie gravi e continuando a immiserire operai, impiegati, piccolo lavoro autonomo, la grecia andrà meglio. non è il caso di dire molto di più: i loro discorsi li conosciamo, ci vengono esposti tutti i giorni da entusiasti operatori della grande stampa e della televisione, sono i medesimi che hanno giustificato la “riforma” Monti-fornero delle pensioni, la distruzione definitiva dello statuto dei lavoratori, la prosecuzione alla grande del precariato arricchita da nuovi nomi in inglese. Qualche considerazione. Questa discussione che sembra tra sordi è indicativa di un disastro europeo assoluto, più precisamente del fatto che mentre gli altri grandi sistemi non europei, statali e superstatali, tendono a crescere, con tutta la fatica e tutti i contrasti e i drammi che si vuole, l’europa si è infilata in un tunnel senza uscita e dichiara che questa è la strada giusta. poniamoci la questione del come e del perché da tre lati. il primo consiste nel quesito di che fine abbia fatto quell’illumini- 6 smo cui la civiltà europea formalmente si richiama, cioè quel grande passaggio dal dominio della superstizione, in genere in abito religioso e portata dalle gerarche religiose, su tutto, dalla politica alle scienze, dall’organizzazione sociale alla sessualità e alla famiglia, ecc., verso, invece, il dominio del ragionamento critico su base concreta, l’autonomia della cultura, della ricerca scientifica, della politica, dei governi. le dottrine liberiste, nel complesso delle loro varianti contemporanee, hanno fatto cilecca ovunque. oggi tocca all’europa, ma nei decenni trascorsi è toccata ai paesi della periferia capitalistica, producendo in africa centinaia di milioni di morti (solo in bambini una media di 10 milioni all’anno) per fame, guerre etniche, ecc. Quelle dottrine vantano che le economie, dopo aver fatto i “compiti” ovvero i “sacrifici”, si riprendono: ma è sempre successo così nella storia, infatti il problema non è questo, è come fare riprendere le economie, primo, alla svelta, secondo, senza massacri dove la gente è più povera e tracolli delle condizioni di vita dove la gente è meno povera. immanuel kant scrisse come il razionalismo medievale (l’analogo delle tabelline liberiste di oggi), poiché tramite la pura attività logica mentale è in grado di “dimostrare” tutto e il contrario di tutto, non ha nulla di scientifico, non è in grado di recare alcun contributo alla conoscenza: mentre la ricerca scientifica effettiva, praticata osservando la realtà e intervenendovi sperimentalmente, era l’unica via dell’incremento del sapere e della risposta valida ai problemi. karl popper argomenterà quasi due secoli dopo come una teoria che si pretenda scientifica dinanzi al fallimento empirico o sperimentale di una qualsiasi sua tesi è obbligata a ricostruirsi a fondo, pena la sua retrocessione dal rango di teoria scientifica a quello di superstizione. si noterà che ho citato, anche per autodifesa, due grandi studiosi borghesi, non Marx e lenin. siamo oggi dominati in europa (lo sono la politica, le università, i media) dai portatori fanatici, incapaci anche di un momento di ripensamento, di un apparato di superstizioni ben confezionato. il secondo lato della questione porta al quesito del perché mai una tale caduta verticale in una superstizione bigotta di nuovo tipo coinvolga i grandi apparati di potere politici e culturali. non sono certo composti, pur con le necessarie eccezioni, da imbecilli; tutt’altro, si tratta in genere di persone molto intelligenti e molto colte. che siano economicamente competenti, è però un altro par di maniche: ciò che “sanno” sono le tabelline preparate da tecnici formati nelle università liberiste occidentali del tipo bocconi, stando ai quali se la realtà dice una cosa diversa dalle tabelline è la realtà a essere sbagliata. l’economista vero del consesso dei ministri economici europei è varoufakis. la mia risposta al quesito, molto in sintesi, è questa: il liberismo, imposto al mondo in due tornate dalle presidenze statunitensi reagan (anni ottanta) e clinton (anni novanta) fu un tentativo di venire fuori da una situazione imballata del capitalismo mondiale, di caduta cioè dei profitti; e il mezzo consistette nel consenso alla grande finanza di operare liberamente a livello planetario, sia sul terreno dell’espansione dell’area e delle forme di investimento che sul terreno della speculazione, cioè attraverso la produzione autonoma, in forma di titoli di ogni tipo, di denaro di fatto. ciò ha portato alla ripresa dell’economia mondiale, ma anche a continue cadute critiche, di cui quella del 2007-2008 è risultata devastante. parimenti ha portato a una redistribuzione della ricchezza mondiale violentemente asimmetrica, tutta a grande vantaggio dei vertici economici e delle loro partnership politiche e culturali e tutta a grande svantag- gio delle classi popolari, cioè delle maggioranze sociali. in breve, la crisi fu solo spostata in avanti nel tempo da reagan e clinton, e si è presentata a un certo momento in forma particolarmente aggravata soprattutto in quell’occidente che aveva inventato, o praticato da subito e in maniera assoluta, le politiche liberiste. c’è un grande motore planetario, giova sottolineare, la grande finanza speculativa, che succhia quotidianamente enormi volumi di ricchezza dalle tasche delle maggioranze sociali, cioè della ricchezza che queste maggioranze creano agendo nell’economia “reale”: all’incirca cioè volumi pari a qualcosa come metà del pil mondiale. ecco quel che spiega come mai crescita tecnologica e anche crescita produttiva non producono più benefici sociali, come era invece un tempo, pur attraverso le lotte di classe popolari. veniamo ai grandi apparati di potere politici e culturali. essi sono protagonisti fanatici delle politiche liberiste per ragioni molto semplici. cito James galbraith, da repubblica: si tratta, riguardo al grosso dei ministri economici europei, di “politici preoccupati del loro destino personale in patria, per lo più esponenti della destra estrema in coalizioni di centro-destra, oppure terrorizzati che a casa loro accada qualcosa di simile all’ascesa di syriza”. Mi permetto di aggiungere, grazie anche alla copertura che mi viene da galbraith, come si tratti di figure pronte, alla fine dei loro mandati, a passare alla gestione di grandi amministrazioni pubbliche oppure a entrare nei consigli di amministrazioni di grandi banche o di grandi multinazionali. insomma il loro “terrore” è anche di trovarsi esclusi dall’area dei padroni del mondo, di quelli che, crisi sì crisi no, continuano ad accumulare miliardi e potere. il terzo lato della questione l’ho già avviato ma voglio esplicitarlo. lo scontro tra varoufakis e i ministri economici degli altri governi europei esprime sul terreno della politica economica, lo scontro politico di classe avviato segnatamente in europa dai livelli alti borghesi-capitalistici e dai loro rappresentanti politici, culturali, ecc. in europa i movimenti dei lavoratori hanno realizzato, con grandi 7 sforzi e grandi sacrifici e scontando feroci repressioni, nell’arco di quasi un secolo e mezzo, immense conquiste di civiltà: diritti sociali in forma universalistica e il passaggio, da dittature reazionarie o da sistemi parlamentari nei quali potevano votare solo i maschi ricchi, a democrazie, cioè a realtà statali partecipate da tutta la popolazione. profittando di ciò che è avvenuto nell’economia mondiale dagli anni ottanta in avanti i vertici economici capitalistici e i loro associati politici e culturali hanno intrapreso una controffensiva antisociale distruttiva. l’unione europea ne è stata lo strumento politico principale, e la cosa continua. la crisi del 2007-2008 è stata l’occasione per accelerare il ritmo e incrementare gli obiettivi della controffensiva. ho posto la domanda, all’inizio, se varoufakis e i suoi colleghi europei si capiscono. certo che sì. solo che stanno politicamente ai lati opposti della frattura sociale. credo, in ultimo, che l’intenzione di varoufakis (e del governo greco nella sua interezza) sia primariamente di prendere tempo, usando la forza obiettiva del prezzo che i poteri europei politici ed economici pagherebbero per un ipotetico default ovvero per una dichiarazione di insolvenza della grecia nei confronti dei creditori, oggi soprattutto gli altri stati europei, più qualcosa soprattutto nelle banche tedesche. i governanti greci inoltre stanno usando sagacemente la carta di possibili sviluppi dei loro rapporti economici e politici con russia e cina. l’obiettivo degli altri governi europei è palesemente, a sua volta, di ottenere dalla grecia anche solo una dichiarazione ridotta di accettazione delle misure di bilancio peggiori che essa rifiuta, quelle cioè riguardanti pensioni, pubblico impiego e alienazioni (“privatizzazioni”) del patrimonio pubblico: se hanno paura di una crisi della tenuta in molti paesi dei governi liberisti, hanno paura pure degli effetti finanziari e sulla ripresina economica del default greco, così come di uno sgangheramento dei rapporti di forza politico-militari in europa. sono tra l’incudine e il martello. sbaglierò, ma è la grecia la parte più forte dello scontro politico APPELLO Legge di iniziativa popolare: Norme per la tutela e le pari opportunità della minoranza storico-linguistica dei Rom e dei Sinti Rom e Sinti sono la più grande minoranza europea – oltre 12 milioni distribuiti in tutti i Paesi -; non hanno una terra di riferimento, neppure l’India delle lontane origini, non hanno, come altre minoranze, rivendicazioni territoriali, quindi non hanno mai fatto guerre per rivendicare una patria, non hanno sedi di rappresentanza, sono cittadini del luogo nel quale vivono. Rappresentano quindi il perfetto popolo europeo, ma ciononostante sono il popolo più discriminato d’Europa. In Italia sin dal 1400 Rom e Sinti sono la minoranza storico-linguistica più svantaggiata e più stigmatizzata nonostante gli obblighi internazionali e comunitari dell’Italia e gli interventi di numerose organizzazioni internazionali, tra cui il Consiglio d’Europa, l’OSCE e l’Unione europea. In Italia Rom e Sinti sono circa 150.000, oltre metà cittadini italiani, ma ciononostante continuiamo ad essere considerati fondamentalmente come “estranei” e “nomadi”. Il “nomadismo” moderno è piuttosto rappresentato dall’essere ancora un popolo che vive ai “confini”, non solo fisici, nel tentativo di costruire dei rapporti di pacifica convivenza e di mantenimento della propria identità, che consiste anche in una concezione di vita, che si può anche definire uno stato dell’anima, un modo di vedere il mondo, lo spazio e il tempo che non si possono omologare. Anche per questa “irriducibilità” all’omologazione, le amministrazioni pubbliche non hanno mai fatto una politica che non fosse quella del contenimento e della marginalizzazione delegandone la gestione al privato sociale. Eppure la partecipazione di rom e sinti alla vita collettiva con il proprio contributo umano e culturale è fondamentale per superare l’esclusione, la marginalizzazione di un popolo che ha attraversato secoli di discriminazione fino allo sterminio razziale e che non deve rimanere confinato nei ghetti fisici e spirituali, nei quali troppo spesso viene relegato destinandolo all’assistenza e non alla propria responsabilità. La proposta di legge di iniziativa popolare “NORME PER LA TUTELA E LE PARI OPPORTUNITA’ DELLA MINORANZA STORICOLINGUISTICA DEI ROM E DEI SINTI “ presentata da 14 cittadini italiani in rappresentanza di 47 associazioni rom e sinte il 15 maggio 2014 presso la Corte di Cassazione vuole realizzare gli articoli 3 e 6 della Costituzione che prevedono la pari dignità sociale e l’eguaglianza davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di etnia, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali; la tutela di tutte le minoranze storico-linguistiche con apposite norme; contrastare discriminazione e pregiudizio nei confronti della minoranza rom e sinta che sono causa della scarsa integrazione nella società e soprattutto della marginalizzazione sociale ed economica anche per i loro mancato riconoscimento istituzionale come minoranza. Il disegno di legge di iniziativa popolare si articola in diversi punti: 1. la specifica tutela del patrimonio linguistico-culturale della minoranza rom e sinta, con istituti analoghi a quelli previsti dalla legge n. 482/1999 per tutte le altre minoranze (diritto allo studio e all’insegnamento della lingua, diffusione della cultura e delle tradizioni storico-letterarie e musicali); 2. l’incentivo e la tutela delle associazioni composte da Rom e Sinti, conforme alla libertà di associazione prevista dall’articolo 18 della Costituzione per favorire la partecipazione attiva e propositiva alla vita sociale, culturale e politica del Paese; 3. il diritto di vivere nella condizione liberamente scelta di sedentarietà o di itineranza, di abitare in alloggi secondo una pluralità di scelte secondo le norme della Convenzione-quadro per la tutela delle minoranze nazionali di Strasburgo dell’1 febbraio 1995, le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, dell’OCSE e della Commissione europea e la Strategia nazionale d'inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti; 4. norme che sanzionino le discriminazioni fondate sull'appartenenza ad una minoranza linguistica in attuazione del principio costituzionale di eguaglianza senza distinzione di lingua e di etnia. Chi condivide questo appello condivide la convinzione che il riconoscimento della minoranza rom e sinta, della sua storia, della sua cultura, insomma della sua identità consente di accogliere rom e sinti nella comunità più generale insieme con tutte le altre identità che costituiscono il nostro patrimonio nazionale. Promotori della proposta di legge di iniziativa popolare: Dijana Pavlovic, Davide Casadio, Saska Jovanovic, Ernesto Grandini, Manuel Solani, Cen Rinaldi, Yose Bianchi, Giorgio Bezzecchi, Concetta Sarachella, Donatella Ascari, Massimo Lucchesi, Carlo Berini, Paolo Cagna Ninchi, Alessandro Valentino Prime Adesioni: Alma Adzovic (mediatrice), Osmani Bairan (AIZO), Rita Bernardini (segretaria nazionale Radicali Italiani), Antun Blazevic (Associazione TheaterRom), Paolo Bonetti (Università Bicocca di Milano), Luca Bravi (storico), Marco Brazzoduro (Associazione Cittadinanza e Minoranze), Alberto Buttaglieri (SOS razzismo), Giuseppe Casucci (Dipartimento immigrazione UIL), Roland Ciulin (giornalista), Giuseppe Civati (parlamentare), Furio Colombo (giornalista), Kurosh Danesh (Dipartimento immigrazione CGIL), Chiara Daniele (ricercatrice), Giancarlo De Cataldo (scrittore), Michele Di Rocco (campione europeo pesi leggeri), Roberto Escobar (Università Statale Milano), Paolo Ferrero (segretario Partito della Rifondazione comunista), Eleonora Forenza (europarlamentare), Mercedes Frias (Associazione Prendiamo la parola), Dori Ghezzi (Fondazione Fabrizio De André), Alfonso Gianni (Fondazione Cercare Ancora), Graziano Halilovic (Associazione Roma onlus), Laura Halilovic (regista), Selly Kane (Dipartimento immigrazione CGIL), Curzio Maltese (europarlamentare), Luigi Manconi (presidente Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani), Filippo Miraglia (ARCI), Moni Ovadia (autore-attore), Francesco Palermo (parlamentare), Marco Pannella (Presidente del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito), David Parenzo (giornalista), Loris Panzeri (GRT), Pino Petruzzelli (autore-attore), Marco Revelli (storico e sociologo), Paolo Rossi (autore-attore), Giuseppe Sangiorgi (Istituto Luigi Sturzo), Angela Scalzo (Dipartimento immigrazione UIL), Pietro Soldini (CGIL nazionale), Giovanna Sorbelli (Associazione EU Donna), Barbara Spinelli (europarlamentare), Santino Spinelli (docente, musicista), Gennaro Spinelli (Associazione FutuRom), Carlo Stassolla (Associazione 21 luglio), Voijslav Stojanovic (AssociazioneNonsolorom), Vladimiro Torre (Associazione Them Romanò), Antonio Tosi (Politecnico di Milano), Elena Valdini (Fondazione Fabrizio De André), Tommaso Vitale (Direttore scientifico Master “Governing the Large Metropolis” Sciences Po, Parigi), Alex Zanotelli (missionario comboniano). Per adesioni: [email protected] Comitato promotore legge di iniziativa popolare Norme per la tutela e le pari opportunità della minoranza storico-linguistica dei Rom e dei Sinti Iniziativa annunciata nella Gazzetta Ufficiale del 16 maggio 2014 n. 112 [email protected] – [email protected] 8