Germania Anno Zero “Carta” 9 giugno – 10 luglio 2006
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Germania Anno Zero “Carta” 9 giugno – 10 luglio 2006
Germania Anno Zero “Carta” 9 giugno – 10 luglio 2006 01 - Scansando le macerie.....................................................................................................2 1. Sotto i peggiori auspici ......................................................................................................2 2. Una Germania poco tedesca..............................................................................................3 3. Ascoltando le voci intercettate ..........................................................................................3 4. Noi siamo gli autarchici.....................................................................................................4 5. Il peso del pronostico .........................................................................................................4 6. Il crepuscolo di Zizou e del Gordo ...................................................................................5 7. La prima sfuriata rossa ......................................................................................................5 8. Scene di rivoluzione sessuale a Friburgo .........................................................................6 9. La Nazionale del glamour .................................................................................................6 10. Note sparse su Brasile, Spagna e Inghilterra..................................................................7 11. Una prevedibile carenza di sorprese ..............................................................................7 12. Sturm und drang ..............................................................................................................8 13. Ore 16.00, la resa dei conti ...............................................................................................8 14. La sfortuna di Lippi .........................................................................................................9 15. Silenzio, parla Valdano....................................................................................................9 16. Un altro pomeriggio schizofrenico ...............................................................................10 17. Un dubbio e una certezza ..............................................................................................10 18. Il risveglio di Zizou e del Gordo ...................................................................................11 19. Il deserto dei tartari........................................................................................................11 20. Nel segno della restaurazione .......................................................................................12 21. La più crudele delle sconfitte ........................................................................................12 02 - Le risorse dei nevrotici ................................................................................................13 22. Fatevi il vostro oroscopo................................................................................................14 23. Un mazzo di fiori alla signora Archundia....................................................................14 24. Sul carro dei vincitori.....................................................................................................15 25. Mancava solo Rui Costa.................................................................................................15 26. Naufraghi verso l’isola del tesoro .................................................................................16 27. Penultimo capitolo .........................................................................................................16 28. Dalla parte del torto .......................................................................................................17 03 - Tutto il mondiale in una canzone di Gaber..............................................................17 01 - Scansando le macerie 9 giugno 2006 È un film, quello di Rossellini, che fa male al cuore; vedere il tredicenne Edmund a spasso per Berlino, cercando cibo e riparo, dopo la caduta del Terzo Reich, è un’esperienza angosciante. Quel film mi è venuto in mente mentre cercavo un titolo per una rubrica sui campionati del mondo di calcio: perché le partite si giocheranno in Germania, e l’Italia calcistica vi arriva sull’onda di Moggiopoli, che ha azzerato ogni certezza, ogni autorità, ogni decenza. Fino al 9 luglio, troverete sul sito di Carta (www.carta.org) un breve commento sull’attualità, mischiando di proposito il pallone luccicante nella vetrina dei mondiali con il pallone infangato dalle truffe, cioè le ultime notizie sulle indagini giudiziarie. Sarà una lettura da schizofrenici, ma il tifoso è abituato a convivere con lo sdoppiamento della personalità. E siccome ogni rubrica che si rispetti deve fondarsi su qualche dichiarazione di principio, vi dirò che spero di festeggiare le sconfitte degli azzurri e confido nella loro rapida eliminazione. Ripongo molte speranze nel Ghana e, per la vittoria finale, scommetto su Francia e Spagna. Fra i tanti motivi della mia ostilità verso la spedizione guidata da Marcello Lippi, mi limito a sottolineare il principale: non vorrei che un successo della nazionale favorisse un colpo di spugna. Siamo nel pieno di uno scandalo epocale, e qualcuno accarezza l’illusione di chiuderlo a tarallucci e vino, magari approfittando delle strade invase da caroselli festanti. Di Luciano Moggi penso che sia stato troppo ingordo. Fino a un mese fa (quasi) tutti lo ammiravano, tutti lo temevano, tutti gli telefonavano. C’è una fisiologica quota di corruzione in ogni contesto economico, viene tollerata finché non mette a repentaglio la risorsa davvero inestimabile di ogni “affare”: la credibilità della merce. L’imperdonabile colpa di Moggi è aver troppo accelerato la trasformazione in fiction del calcio professionistico. Ma il suo “sistema” rappresenta l’essenza di una modernità che potrebbe rialzare la testa, passata la tempesta, con nuovi interpreti dalla faccia meno impresentabile. Nel prossimo mese si parlerà di “tridente” almeno quanto di “triade”, assisteremo al ping pong fra la scoperta di campioni finora sconosciuti e le eccezioni procedurali avanzate dagli avvocati, fra le polemiche sulle diverse interpretazioni arbitrali del “fallo tattico” e la sfilata di testimoni smemorati, fra i dubbi sulla solidità difensiva del Brasile e le sanzioni con cui punire i colpevoli di frode sportiva. Se la festa dei mondiali ci apparirà stridente, è perché il nostro calcio attraversa un autentico dopoguerra, e noi siamo come il povero Edmund, che cammina fra le macerie di una città devastata. Fango e macerie sono la scenografia di questo passaggio storico del calcio italiano. E traspare qualcosa di ripetitivo nella sorte delle classi dirigenti più odiose; quando cade una Bastiglia, in tanti accorrono per raccogliere qualche pietra e contribuire allo sfregio finale. 1. Sotto i peggiori auspici 9 giugno 2006 E con questo fanno diciotto. Per la diciottesima volta si giocano i campionati del mondo di calcio, di nuovo in Germania come nel 1974, quando vinse la Repubblica Federale Tedesca, battendo in finale l’Olanda di Crujff, Krol e Neeskens. La nazionale italiana rimediò una figuraccia, eliminata al primo turno da Argentina e Polonia, dopo aver faticato a battere Haiti e aver sopportato la celeberrima scena di Chinaglia che mandava a quel paese il povero Valcareggi. Chi crede che la statistica, almeno nel calcio, sia fatta apposta per essere smentita, dovrebbe puntare sulla vittoria del Brasile o dell’Argentina; otto dei nove mondiali finora disputati in Europa, sono stati conquistati da nazionali europee (tre volte Italia e Germania, una volta Inghilterra e Francia). Solo nel 1958 – si giocava in Svezia - fu il Brasile a imporsi. La spedizione italiana è partita sotto i peggiori auspici, gli ottimisti confidano nell’effetto “soli contro tutti” che, qualche volta, in passato ha prodotto risultati sorprendenti. Ma le qualità tecniche degli azzurri sono modeste, quelle morali non ne parliamo e anche se ogni dichiarazione è improntata alla serenità, all’amicizia, al dispiacere per l’infortunio del collega, è facile immaginare come l’accumulo di tensione nervosa possa esplodere in qualsiasi momento. Anche perché - come ha scritto Gianni Mura su Repubblica - “non dev’essere comodo vivere sotto lo stesso tetto tra giocatori che col sistema Moggi ci hanno guadagnato e altri che ci hanno rimesso”. 2. Una Germania poco tedesca 10 giugno 2006 Mancano 62 partite alla fine del mondiale: nella prima, come tutti avevano previsto, la Germania ha strapazzato il Costarica; nella seconda, la Polonia ha mostrato la decadenza del calcio dell’est europeo, quando non può disporre delle ricchezze dei nuovi Abramovich. Si è vista all’opera la Germania meno tedesca che io ricordi, scriteriata in difesa e spumeggiante in attacco, capace di segnare un paio di gol memorabili con un terzino (Lahm) e un mediano (Frings); una Germania divertente e scapigliata, che assomiglia al suo allenatore, l’indimenticabile Kataklinsmann, amatissimo dagli interisti nei primi anni Novanta. Non so cosa abbia insegnato Klinsmann ai suoi, ma sono certo che tutti gli altri 31 allenatori, rivedendo le immagini della partita inaugurale, inviteranno a tirare spesso da fuori area. Consigli per gli acquisti: l’ecuadoriano Tenorio e Wanchope, centravanti del Costarica dalle movenze felpate, all’incrocio fra Cruz e Suazo. Calciopoli non si ferma. Nel fine settimana, i magistrati proseguono gli interrogatori, consapevoli di trovarsi di fronte a un muro di gomma. A sentire il 99% degli indagati, andava tutto bene. Poi si scopre – è solo un dettaglio – che il sorteggio arbitrale sfuggiva a ogni legge probabilistica: a uno degli arbitri con la qualifica di "internazionale", Domenico Messina, dal novembre 2000 al febbraio 2005 - non è più capitato di arbitrare la Juventus. Quattro anni e quattro mesi di pura casualità, immagino. 3. Ascoltando le voci intercettate 11 giugno 2006 A chi dice che le intercettazioni pubblicate sui giornali non possono rendere l’idea dell’effettivo tono delle conversazioni telefoniche, distorcendone il senso, vorrei far rileggere cos’ha detto Gianluca Pagliuca dopo aver testimoniato davanti ai magistrati (intervista rilasciata a Massimo Vitali per QN del 7 giugno): “È terribile. Finché le intercettazioni le leggi sul giornale o le ascolti in televisione con le voci di fantasia, è un conto. Ma a sentirle dal vivo ti spaventi: a me è venuta la pelle d’oca. Quelle sono telefonate sporche: un magistrato, ascoltando quei nastri, non può usare la mano leggera”. Una delle qualità da riconoscere a chi conduce gli interrogatori è l’autocontrollo nervoso. Si trovano davanti a una sfilza di miliardari innocenti, superficiali, smemorati e giocherelloni, le cui autodifese ruotano intorno a due concetti invariabili: “non mi ero accorto di nulla” e “lo facevano tutti”? Nessuno pare rendersi conto che si tratta di concetti antitetici, che si elidono a vicenda. In terra tedesca, la seconda giornata è stata meno spettacolare della prima. Svezia inguardabile, Inghilterra mediocre quanto fortunata (ha il girone più facile e vince con un autogol), Argentina solida e piena di talento; hanno suscitato simpatia la resistenza difensiva dei caraibici e il tentativo di rimonta della Costa d’Avorio. Per i “consigli per gli acquisti”, mi limito a un solo nome, tutt’altro che inedito: Hernan Crespo. Difficile capire come mai Inter e Milan se lo siano fatti scappare. 4. Noi siamo gli autarchici 12 giugno 2006 In attesa dell’esordio degli azzurri, Borrelli e i suoi collaboratori chiudono la fase degli interrogatori: dal confronto fra due giornali ho tratto conclusioni diverse, per il primo sono stati ascoltati 47 testimoni, per il secondo 49. Che la matematica non sia più una scienza esatta, è noto da tempo; per fortuna ci sono i Mondiali ad allargare i nostri orizzonti scientifici. Leggendo che Totti indosserà uno speciale parastinchi al carbonio e titanio con tre strati di kevlar, mi è venuto da pensare agli artigli di adamantio di Wolverine (X-Men) e agli ingegneri che studiano l’aerodinamica delle coppe del reggiseno, per ottenere certe prestazioni da tabellone pubblicitario. Auguri a Totti, comunque, e anche al suo marcatore, che sperabilmente sarà informato del parastinchi e si concentrerà su polpacci e caviglie. La tentazione di tifare Ghana è fortissima, anche se ciò comporta la compagnia del direttore de La Padania, il quale, dopo aver sparso veleno sull’Inter tutta straniera, ora ha sparato in prima pagina la sua imprevedibile simpatia per i nostri avversari africani. Quegli irriconoscenti della Padania fanno finta di non sapere che la nazionale italiana è l’unica, insieme all’Arabia Saudita, che si presenta con una rosa tutta indigena: nessun emigrato in altri campionati, nessun forestiero di ritorno. C’è una sola spiegazione alla capriola terzomondista della Lega: che la simpatia per la squadra del Ghana sia condizionata al fatto che i ghanesi, comunque vada, se ne restino a casa propria. 5. Il peso del pronostico 13 giugno 2006 Alla quarta inquadratura di Alena Seredova, sulle tribune di Hannover, ho provato un certo fastidio (forse dovuto al fatto che non era nemmeno in bikini). Detto questo, e aggiunto – con voce sommessa – che gli africani, nel calcio, restano maestri dell’autolesionismo, so di non potermela cavare senza una buona dose di autocritica. Perché l’Italia ha vinto, qualche invasato ne ha approfittato per sfrecciare con le bandiere al vento, e lo scandalo che sta travolgendo il calcio italiano è stato accantonato per novanta minuti. Per cinquantaquattro minuti, si erano visti Pirlo e Totti ad alti livelli, e una squadra portata a costruire gioco. La sfortuna contro cui si era infranta la magnifica girata al volo di Toni è stata più che riequilibrata da due gol che oserei definire “fortunosi” e dall’arbitro che ha chiuso gli occhi su due mezzi rigori provocati dall’irruenza di De Rossi; Lippi ha vinto la sua scommessa su Iaquinta, e i dieci minuti offerti a Del Piero hanno tenuto a freno le polemiche. Stasera tocca al Brasile, grande favorito per tanti (non per me). Inviterei certi personaggi politici (due nomi: Casini e Rutelli) a prendere esempio da Ricardo Leite Kakà, che alla Chiesa non si limita a versare l’8 per mille, ma il 10 per cento dei suoi guadagni. Sono curioso di seguire le movenze languide di Ronaldo, che continuo a ritenere il più forte attaccante del mondo. Dopo il battibecco con il presidente Lula a proposito dei rispettivi amori per il cibo e per il vino, il peso di Ronaldo mi sembra più leggero da portare che il peso del pronostico. 6. Il crepuscolo di Zizou e del Gordo 14 giugno 2006 Nemmeno una Francia molle e rinunciataria potrà farmi cambiare idea su Zinedine Zidane. Spero ci siano altre sei partite con Zizou in campo, fino alla finale, seicentotrenta minuti o anche più, nella speranza che l’allenatore non lo sostituisca per nessun motivo e ci lasci ammirare fino in fondo delle ultime evoluzioni di questo “elefante con il cervello di una ballerina” (l’espressione è di Jorge Valdano). Compirà 34 anni il 23 giugno, Zidane, quando la Francia affronterà il Togo (la selezione africana presenta il maggior numero di calciatori che giocano in campionati esteri: 22 su 23). È stata una serata davvero mesta: dopo il crepuscolo di Zidane ho dovuto assistere a quello di Ronaldo, goffo e pesante, occhi da cane bastonato, all’interno di una mediocrissima prestazione dei verde-oro. L’allenatore Parreira scommette sul “quadrato magico” (Ronaldo, Adriano, Ronaldinho e Kakà): potrebbe funzionare, forse, nella frescura primaverile, non a trenta gradi, dopo una stagione in cui il quartetto avrà giocato più di 200 partite e beccato più di 2000 calcioni. E alle loro spalle mancano i Dunga e i Mauro Silva, quei frangiflutti su cui potevano contare nazionali brasiliane ben più equilibrate. A Ronaldo hanno affibbiato lo stesso soprannome (il Gordo) che fu, con ben altri meriti, di Osvaldo Soriano. Come per Zidane, continuo a sperare nel suo risveglio. Dalle nostre parti, invece, si discute del nervosismo di Del Piero e della proposta di amnistia avanzata dal deputato Paniz (Forza Italia), sul cui biglietto da visita sta scritto: Presidente dello Juventus Club di Montecitorio. 7. La prima sfuriata rossa 15 giugno 2006 Avendolo scritto due settimane fa sulle pagine del settimanale, che la Spagna (insieme alla Francia) è la mia favorita per la vittoria finale, il 4-0 rifilato ieri all’Ucraina dovrebbe lusingarmi. Invece, temo che le “furie rosse” abbiano esagerato; poteva bastare una vittoria di misura per vincere il girone, e l’esperienza insegna che nei campionati del mondo è meglio partire piano. Magari vincendo con un golletto all’ultimo minuto, come la Germania. Però – sull’altro piatto della bilancia – vincere così nettamente può consolidare l’autostima di un gruppo di giovani con scarsa esperienza internazionale. Punto sulla Spagna perché ha un lungo credito con la sorte, fatto di eliminazioni ai rigori e ai tempi supplementari, e per una congiunzione astrale favorevole. Nonostante la crisi dei “galacticos” di Madrid, entrambe le coppe europee di calcio sono finite in terra spagnola: l’Andalusia ha festeggiato il Siviglia, la Catalogna il Barcellona. E mai come in questo momento lo sport spagnolo sta cavalcando l’onda del successo, con una serie di personaggi giovani e sfrontati: da Rafael Nadal (tennis) a Pau Gasol (cestista NBA), da Daniel Pedrosa (moto) a Fernando Alonso (dominatore della Formula Uno). Era inevitabile che intorno a calciopoli fiorissero le barzellette; ne circola una camuffata da lancio di agenzia. “ANSA – Borrelli: Si trattava di un sistema assai ramificato, ma alcuni punti sono ormai chiari: la Juventus gestiva gli arbitri, il Milan i guardalinee, mentre l’Inter si occupava dei raccattapalle”. 8. Scene di rivoluzione sessuale a Friburgo 16 giugno 2006 Ci sono quattro commissari tecnici olandesi a questi campionati e hanno trovato lavoro in quattro continenti diversi: Gus Hiddink allena l’Australia, Leo Beenhakker guida Trinidad e Tobago, Dick Advocaat segue la Corea del Sud e l’unico profeta in patria è Marco Van Basten, inimitabile centravanti dalla carriera troppo breve. Da commissario tecnico, Van Basten ha stabilito di premiare la sua squadra con uno speciale giorno di riposo: oggi mogli e fidanzate dei 23 “orange” raggiungeranno Stoccarda per assistere a Olanda-Costa d’Avorio; poi, libera uscita per tutti a Friburgo. Signore e signorine olandesi saranno ospitate nell’hotel più lussuoso di Friburgo, e dopo la partita potranno trascorrere la serata con mariti e fidanzati. “Certo che posso fare sesso, sono liberi e ci sarà da divertirsi”, ha dichiarato Van Basten. Sulla stessa lunghezza d’onda il CT dell’Inghilterra, lo svedese Eriksson: “Il problema non è il sesso, il problema sono i bar e i club dove i ragazzi vanno a cercarlo”. Il problema è la Playstation – aggiungo io – rammentando il grave infortunio alla mano di uno dei nostri difensori più fotogenici. Se un riposo insufficiente può essere alla base di cattive prestazioni, va rivalutata la spiegazione della sconfitta dell’Ucraina, travolta 4-0 dalla Spagna: alcuni calciatori hanno detto di non aver dormito per colpa del gracidio delle rane. Nel pomeriggio si gioca la partita più interessante dell’intera prima fase: SerbiaMontenegro contro Argentina. Garanzia di spettacolo, agonismo e tanti cartellini gialli e rossi. 9. La Nazionale del glamour 17 giugno 2006 Non potendo competere con giornali e siti internet che offrono immagini di avvenenti signore e signorine, modelle o ex modelle, magari ex veline, con il pretesto di far eleggere la più bella moglie o la più bella fidanzata dei Mondiali, propongo ai lettori di identificare gli undici calciatori più sopravvalutati. Quelli la cui reputazione dipende più dal glamour che dalle effettive capacità. Il naturale capitano di questa squadra non può che essere David Beckham. Essendo un grande fans della tennista Maria Sharapova, l’ho sempre difesa dall’accusa di essere come la Kournikova – che non ha mai vinto niente di importante – ma da qualche tempo sono arrivato alla conclusione che la giovane russa non vincerà altri tornei del Grande Slam se non la smetterà di passare più tempo sulle passerelle che sui campi di allenamento. Non desta meraviglia la rapidità del turn over mediatico, con una nuova stellina seducente, la diciassettenne Nicole Vaidisova, che al Roland Garros ha rubato la scena alla diciannovenne Sharapova. Certi personaggi sportivi devono la loro fama alla capacità di produrre immagine molto più che ai successi effettivamente conseguiti. Penso che i vari Beckham, Ballack, Nesta e Cannavaro – mi fermo qui, nella speranza che i lettori si appassionino al gioco e mi segnalino altri nomi – abbiano avuto una carriera (e ingaggi) molto superiori alle effettive qualità. Scommetto che gli Stati Uniti saranno un ostacolo meno facile del Ghana, e consiglio al CT dell’Australia di non fidarsi dei giudizi sommari di certe “grandi firme”: aspetterei a dare per morto Ronaldo. 10. Note sparse su Brasile, Spagna e Inghilterra 19 giugno 2006 Mi è stato fatto notare che non è dell’Olanda il record degli allenatori presenti a questi campionati: in effetti, 4 olandesi sono meno di 5 brasiliani. Non conoscevo Guimaraes (Costarica) e Paqueta (Arabia Saudita), ma non avrei dovuto dimenticare Zico (Giappone) e Scolari (Portogallo), oltre a quel Carlos Alberto Parreira, di cui ammiro l’insistenza nello schierare Ronaldo più che la capacità di dare spettacolo. Stasera sono curioso di rivedere all’opera la Spagna. È una nuova generazione di talenti, che ha la sfacciataggine di relegare in panchina i vari Raul, Reyes e Joaquin. Una nuova generazione, ho letto da qualche parte, che sull’onda di Zapatero sembra concorrere all’obiettivo senza le tradizionali lacerazioni nazionalistiche (Castiglia vs. Catalogna, emarginazione dei baschi, eccetera). Faccio il tifo per loro, nel caso qualcuno l’abbia dimenticato. La nazionale inglese, invece, mi ha fin qui annoiato, e ciò è doppiamente grave perché la Premier League è senza dubbio il “campionato più bello del mondo”. È lì che gioca il maggior numero di calciatori presenti a questa vetrina mondiale. Erano 100 prima dell’inizio (seguono il campionato tedesco con 73, e quello italiano con 59), ma l’incontentabile Chelsea si è accaparrato pure Ballack e Shevcenko. E al numero progressivo 103 ecco Thomas Rosicky, trequartista ceko appena acquistato dall’Arsenal, nonché Nemico Pubblico Numero 1 dell’Italia, giovedì prossimo. 11. Una prevedibile carenza di sorprese 20 giugno 2006 Non so quale sia il giro di scommesse – lecite, per carità – intorno a questi campionati, ma mi sento di scommettere che i bookmakers saranno molto soddisfatti. Se il loro rischio d’impresa è legato all’aleatorietà dei risultati, dunque al verificarsi di qualche sensazionale imprevisto, non c’è dubbio che nelle prime 32 partite (sulle 64 in programma) di sorprese ce ne siano state ben poche. L’unica, a mio parere, sta nella vittoria del Ghana sulla Repubblica Ceka; poi, si possono considerare sorprendenti la vittoria dell’Ecuador sulla Polonia, oppure i pareggi imposti alla Francia da Svizzera e Corea, o da Trinidad alla Svezia. Mancano, finora, gli autentici colpi di scena, paragonabili alla vittoria del Senegal sui campioni uscenti della Francia (2002), oppure la Bulgaria che strapazza l’Argentina (1994), per non parlare del dentista coreano (1966) sulla strada degli azzurri. La prevedibilità mi sembra collegata al numero eccessivo delle squadre in gioco. Troppe, 32 squadre, come sono troppe le 20 che giocano nell’attuale Serie A. Lo squilibrio competitivo è talmente evidente, che alcune nazionali entrano in campo per difendere lo 0-0, poi per difendere la sconfitta con un gol di scarto, e persino con due. Mentre si avvicina l’Ora X, cioè Italia-Cekia, sono curioso di scoprire cosa prenderà il posto, mediaticamente parlando, dell’arrivo da Roma del parrucchiere personale di Totti, o della sciarpetta azzurra portafortuna sfoggiata dal ministro Melandri. E mi chiedo come reagiranno i telecronisti alle tante capriole che ci regalerà Nedved. 12. Sturm und drang 21 giugno 2006 Sottovalutiamola pure, questa Germania. Continuiamo a dire che è piena di piedi ruvidi, il solo Ballack suscitava gli appetiti delle nostre squadre più ricche, in porta gioca Lehmann, che il Milan scacciò a pedate, certi cognomi teutonici non sono fatti per vendere magliette (Mertesacker e Schweinsteiger) e anche i pochi che invitavano a considerare l’importanza del “fattore campo”, non si sono spinti al di là del luogo comune tautologico: la Germania, per definizione, è “solida”. La forza degli stereotipi. Questa Germania, invece, ha qualità poco tedesche e adesso tutti vorrebbero evitarla, nonostante non possa contare sulle generazioni di fenomeni del 1970-74 e 1990-94. C’è la spinta del pubblico, certo, ma ci sono anche terzini che sanno crossare, mediani che sanno rincorrere e attaccanti rapidi e intelligenti. Con uno come Klose, la Roma potrebbe puntare allo scudetto. Non ci si annoia, a vedere giocare la nazionale di Klinsmann, mentre si fa fatica a tenere gli occhi aperti davanti all’Inghilterra di Eriksson, che pure dispone di maggior talento. Trovo divertente che Pirlo e persino il compagno di squadra Zambrotta definiscano Nedved un tuffatore (cioè un simulatore, un truffatore della buona fede degli arbitri). La rottura del “patto di sangue” – come l’ha chiamato Franco Baldini – fra Juventus e Milan, ha anche queste piccole conseguenze. A chi volesse preparare la partita di domani in modo fazioso ai limiti dell’autocompiacimento, consiglio di dare un’occhiata a questo blog: http://www.nonstimonedved.tk/. 13. Ore 16.00, la resa dei conti 22 giugno 2006 Per andare avanti, basta anche un pareggio; con molta fortuna, ci si può qualificare pure con una sconfitta, se il Ghana non supera gli Stati Uniti. Al contrario, i ceki sono obbligati a vincere per essere sicuri di passare il turno. Sono rimasti senza attaccanti, ma possono vantare un precedente inquietante: agli Europei del 1996 rispedirono a casa la nazionale di Arrigo Sacchi. L’Italia sentirà terribilmente la mancanza di Daniele De Rossi. Mi dispiace che si sia rovinato con le sue stesse mani (anzi col gomito), ma non dimentico che è stato uno dei pochi – mentre altri fanno gli spiritosi, vedi Gattuso, o parlano d’altro - ad aver preso posizione sullo scandalo delle intercettazioni, rifiutando qualunque ipotesi di amnistia. E quanto Moggiopoli incomba sulla spedizione azzurra lo dimostrano l’annuncio di Lippi – che si farà comunque da parte, dopo i Mondiali - e la decisione di rimandare a stasera la comunicazione dei deferimenti per il processo sportivo. Tutto faceva pensare che i deferimenti dovessero scattare entro mercoledì, ho letto che la spiegazione ufficiale riferisce di una richiesta della Consob, per non turbare la Borsa, ma questo slittamento appare motivato piuttosto dal non voler “turbare” gli azzurri in vista di una partita dentro-o-fuori. Dei 23 elementi della rosa, 13 appartengono a squadre che potrebbero retrocedere. Ora è chiaro perché sia stata scelta Duisburg per il ritiro dell’Italia: perché il Duisburg gioca con una maglia a strisce bianche e nere (anzi blu scure), il suo simbolo è una zebra, e quest’anno è retrocesso in Serie B. 14. La sfortuna di Lippi 23 giugno 2006 Marcello Lippi lo sembra, ma non è un ragazzo fortunato. Gli hanno regalato il sogno di guidare la nazionale, e ieri ha evitato lo psicodramma, guadagnandosi altri quattro giorni in Germania. Lippi sembra fortunato perché fu il primo allenatore scelto dalla Triade e si dimostrò perfetto aziendalista, arrivando a vincere tre scudetti e una Champions anche grazie alle pratiche avveniristiche del dottor Agricola, quello dei 281 farmaci utilizzati per curare calciatori sani, quando l’abuso di farmaci non era ancora considerato doping. E su quelle vittorie lippiane grave una lunga ombra. Lippi sembra fortunato, perché ha incassato due anni di stipendio da Moratti nonostante abbia provocato all’Inter danni incalcolabili (dagli acquisti di Cirillo e Vampeta alla cessione di Baggio). È poi rientrato alla casa madre bianconera dove ha rivinto un paio di scudetti e riperso un paio di Champions, ma le intercettazioni hanno rilanciato i soliti sospetti, ed è umano che Lippi aspirasse a vincere qualcosa lontano da Moggi. La nazionale gli si è spalancata davanti come fu per Arrigo Sacchi: perché le società volevano toglierseli dai piedi. La supposta fortuna di Lippi sembra ave raggiunto l’apice ieri: come spiegare altrimenti una vittoria per 2-0 con due gol segnati da chi non doveva giocare? Il gol di Materazzi ha aperto un’autostrada verso le semifinali, ma Lippi vi arriva con il dubbio che la sfortuna stia per presentare il conto. Poteva contare su un solo fuoriclasse, doveva farlo giocare, aspettarlo pazientemente e sperare nel suo risveglio. Ma Totti non è Ronaldo: ecco la sfortuna di Lippi. 15. Silenzio, parla Valdano 24 giugno 2006 Fa così caldo, che mi limito a riportare pensieri di terza mano. Ricopio da Alberto Piccinini (il manifesto) che a sua volta riferiva frasi di Jorge Valdano, intervistato da un altro giornale (The Guardian). Attaccante nell'Argentina mondiale 1986, poi direttore sportivo del Real Madrid, Valdano è una delle persone più liriche e affascinanti del calcio mondiale. Sentite qui: “Abbiamo passato anni a dire che quando gli africani si sarebbero organizzati nessuno li avrebbe potuti fermare. Ed ecco l'immaginazione schiacciata da una montagna di muscoli, giocatori fisicamente pazzeschi, disciplinati ma alla fine mediocri”. Analizzando la prima parte di questi mondiali, Valdano aggiunge: “Il calcio è un'energia tremenda che muove il mondo, le emozioni, i registratori di cassa. Come possiamo sorprenderci del fatto che gli allenatori sono conservatori, i giocatori troppo obbedienti?”. Nel suo “Sogno di Futbolandia”, l’argentino spendeva parole di apprezzamento per Scirea, Maldini, Tardelli e Totti, ma era molto critico verso l’impostazione tattica dominante nel calcio italiano: “Un sistema che considero in sostanza traditore, e che ha il difetto imperdonabile di mutilare il calcio della sua parte più appassionante: il senso dell’avventura, l’orgoglio di battersi in ogni parte del campo, la liberazione dell’istinto. Mi risulta facile comprenderlo quando si tratta di una necessità, una risposta naturale dovuta all’inferiorità di mezzi, ma non riesco ad apprezzare tutto ciò quando nasce dall’abbondanza”. Di Pippo Inzaghi, Valdano ha scritto: “Ha bisogno di tre tocchi per controllare il pallone, non dribbla neanche una sedia, a volte è impreciso nel passaggio, segna un gol ogni settecento fuorigioco, ma nessuno è capace di resistere alla noia come lui. E quando dico nessuno, includo anche i tifosi”. 16. Un altro pomeriggio schizofrenico 26 giugno 2006 Proseguono i nostri esercizi di schizofrenia. Oltre a quelli prevedibili – tifare Italia nonostante lo scandalo o auspicare una catartica catastrofe? – il calendario dei campionati ne propone altri, con la perfidia di certe coincidenze. Italia-Cekia si è giocata nell’attesa dei deferimenti, rinviati di qualche ora per non fornire alibi all’eventuale eliminazione; e oggi pomeriggio, l’attesa parossistica per Italia-Australia andrà a sovrapporsi con quella per l’esito del referendum (nessun rinvio stavolta, nonostante la richiesta di bloccare lo scrutinio per 90 minuti, avanzata dai cantori della devolution). Non essendo una gara dei 1500 stile libero, né una partita di rugby e nemmeno di Coppa Davis, l’Italia parte favorita; ma Kewell e Cahill cercano visibilità e nuovi ingaggi, Grella e Bresciano conoscono il nostro campionato e la buona sorte che ha finora accarezzato gli azzurri potrebbe finire di colpo. Può capitare anche agli altri di fare gol al primo tiro in porta... Delle squadre allenate da Hiddink, si dice che sappiano come far giocare male chi le affronta, ma questo non dovrebbe preoccupare l’Italia, capacissima di giocare male senza aiuti esterni. Intanto, Guido Rossi ribadisce che non ci sarà nessuna sanatoria per i grandi colpevoli della truffa: “Vogliamo ripulire il calcio su ogni fronte, a costo di essere impopolari… È partita una inversione di tendenza radicale che porta al rispetto assoluto delle regole”. Sulla conclusione di calciopoli, più che il commissario Rossi sarà il governo Prodi a giocarsi la faccia. 17. Un dubbio e una certezza 27 giugno 2006 Mi sono svegliato di malumore. Forse dipende dal fatto che l’Italia di Lippi ha negato un regalo di nozze alla più famosa fra le australiane, l’amatissima Nicole Kidman. Oppure, dall’annuncio che il nuovo programma di Michele Santoro, il prossimo autunno sulle reti Rai, avrà per titolo “Anno Zero”, senza che questa rubrica possa pretendere un euro in diritti d’autore. In realtà, sono di cattivo umore perché il mio pronostico della vigilia – vittoria della Spagna, e in semifinale anche Argentina, Francia e Germania – è diventato molto più improbabile ora che le quattro favorite devono incrociarsi prematuramente. Un Ottavo di finale fra Spagna e Francia - e chi vince trova il Brasile - mi sembra profondamente ingiusto, così come il Quarto di finale che opporrà Germania e Argentina. Al contrario, Italia e Inghilterra procedono lungo una via diritta, larga, appena asfaltata. La fortuna degli azzurri è micidiale, ma mi scandalizza più l’Inghilterra, che ha disputato quattro partite noiosissime, lentissime, esasperanti; confido nel Portogallo di Scolari, per dare un taglio alle ambizioni di chi vive ancora di rendita per aver inventato il gioco del calcio. Dalla rocambolesca vittoria contro l’Australia ho ricavato una certezza e un dubbio. La prima è che Del Piero in nazionale è determinante quanto Recoba nell’Inter. Il secondo riguarda le prossime reazioni di Berlusconi: dopo due sconfitte (politiche e amministrative) se n’era uscito chiedendo la restituzione di due scudetti. Dopo la botta del referendum, non vorrei ne chiedesse un terzo. 18. Il risveglio di Zizou e del Gordo 28 giugno 2006 Andate a rileggere la puntata del 14 giugno. Scrivevo che “nemmeno una Francia molle e rinunciataria potrà farmi cambiare idea su Zinedine Zidane”; poi parlavo della prima partita di un Ronaldo “goffo e pesante, occhi da cane bastonato”; e concludevo, invocando il risveglio dei due più grandi calciatori dell’ultimo quarto di secolo. Il risveglio c’è stato. Ronaldo ha segnato tre gol, superando il record di Gerd Muller, 32 anni dopo; Zidane ha trascinato la Francia nei Quarti di finale, orchestrando la manovra e chiudendo con un gol di rara bellezza. Entrambi si sono aggrappati alle luci della ribalta, sorridenti, senza bisogno di rivincite; chi ha vinto tanto, chi tanto ha divertito, sa cosa significano altri cinque giorni sotto i riflettori. Brasile-Francia, sabato 1 luglio, rappresenterà comunque la fine di un viaggio: Ronaldo o Zidane giocheranno la loro ultima partita in un campionato del mondo, per Zizou sarebbe l’ultima in ogni senso. Ho ribadito la mia riconoscenza sulle pagine di Carta (numero 24): “i loro ultimi bagliori del crepuscolo sono oggetto di un’ingratitudine impressionante, li si rimprovera di non essere all’altezza del Mito e quasi ci si augura che si facciano da parte al più presto. Atteggiamento più «consumista» non riesco proprio a immaginarlo”. Scuserete l’euforia che mi spinge ad abusare delle autocitazioni, come se i miei pronostici fossero destinati a sciogliersi in una pura esattezza. Non va sempre così: la mia favorita per la vittoria finale – la Spagna, la squadra più bella vista fin qui - ieri sera ha finito la sua corsa. Davanti a Zidane. 19. Il deserto dei tartari 29 giugno 2006 Invecchiando, arrivo a credere che niente succeda per caso. Che non ci sia niente di davvero insensato. Che persino certe manifestazioni apparentemente autolesioniste, rispondano a una logica espansiva, siano forme stravaganti della voglia di sopravvivere. Sto parlando di Marcello Lippi, se non l’avete capito. Costruisce formazioni incomprensibili, cambia modulo ogni partita – dopo aver sproloquiato di “coerenza” e di “progetto” – litiga con tutti, a volte offende, nega l’evidenza, coltiva l’autocritica persino meno di Berlusconi… Non è la diagnosi di una persona colpita da insolazione, Lippi sta scientemente procedendo nel suo piano: moltiplicare i nemici, fingersi circondati da una massa di barbari odiosi, “fare gruppo” attraverso lezioni di vittimismo. Tatticamente parlando, Lippi è un allenatore come tanti altri, metodico e studioso, senza lampi di genio. Ma è sul piano psicologico che sta offrendo il meglio di sé. Si vedono gli effetti della lunga coesistenza con Moggi: non a caso, in Federcalcio si era lavorato per ricomporre la coppia in nazionale. Di Calciopoli, la lettura più insopportabile è: “Tutti colpevoli, nessun colpevole”. La medesima banalità viene applicata alle partite dei Mondiali: “L’Italia gioca male, ma nessuno gioca bene”; una stupidaggine utile a nascondere il fatto che gli azzurri rischiano di trovarsi in semifinale senza aver affrontato un solo avversario di medioalto livello. Ma non ditelo a Lippi. Non parlategli di fortuna. Altrimenti gli regalate il pretesto per raggiungere il massimo obiettivo di ogni allenatore che voglia mostrare solenne fastidio verso il mondo: il silenzio stampa. 20. Nel segno della restaurazione 30 giugno 2006 Niente Asia e niente Africa, Ucraina come unica sorpresa, nel salotto buono dei Quarti siedono sei europee e due sudamericane (le solite), Brasile, Germania e Inghilterra c’erano anche quattro anni fa, mentre 10 delle 32 squadre sono uscite di scena senza vittorie: Iran, Angola, Stati Uniti, Croazia, Giappone, Tunisia, Arabia Saudita hanno rimediato qualche pareggio, Costarica, Serbia-Montenegro e Togo solo sconfitte. Fra i portieri, resiste il record di imbattibilità di Walter Zenga, che non subì gol per 517 minuti nel corso di Italia Novanta (finché incrociò Caniggia). Fra i cannonieri, nelle ultime dieci edizioni, a parte Mario Kempes e Ronaldo, è sempre stato un europeo a segnare più gol, e nessuno ha mai rivinto questa speciale classifica. Volendo scommettere sull’eccezione alla regola, i nomi di Crespo e Ronaldo mi sembrano i più indicati. A proposito, ecco le quote per la vittoria finale diramate da una grande agenzia di scommesse: Brasile 3.70, Argentina 5.00, Germania 5.25, Italia 6.00, Inghilterra 7.00, Francia 11.00, Portogallo 15.00, Ucraina 40.00. Nelle ultime cinque edizioni, la finale ha visto di fronte una squadra europea e una sudamericana; bisogna risalire al 1982 (Spagna) per trovare uno scontro tutto europeo (Italia-Germania). Avendo fallito il pronostico sulla Spagna, provo a ipotizzare le semifinaliste: Italia, Portogallo e Brasile. Il nome della quarta non so farlo, ma ho la sensazione che chi vince oggi fra Germania e Argentina finirà per alzare la Coppa. 21. La più crudele delle sconfitte 1 luglio 2006 Solo il calcio sa esprimere una tale crudeltà. Solo nelle sue regole si può rintracciare il germe dell’ingiustizia, che oltretutto sembra accanirsi nei confronti degli stessi soggetti, anche quando meriterebbero un po’ di buona sorte. Comunque vada a finire, questi mondiali lasceranno un’ombra sul vincitore, con quattro semifinaliste – tutte, senza eccezioni – che hanno mostrato meno qualità tecniche ed agonistiche di una squadra che alle semifinali non c’è arrivata: l’Argentina. Ancora una volta ho sbagliato pronostico: la Germania ha rimontato e vinto ai calci di rigore, dopo aver visto il baratro, e dovendo più di un ringraziamento all’arbitro Lubos Michel, che a tre minuti dalla fine dei tempi regolamentari non ha voluto vedere un calcio di rigore, nell’area tedesca, molto più lampante di quello regalato all’Italia contro l’Australia. L’arbitro ha deciso di ammonire l’attaccante argentino per simulazione e la regia tedesca – dopo aver evitato di mostrare al ralenty un precedente fallo di mano in area – ha fatto finta di niente, anziché sommergere gli spettatori con i soliti replay da varie angolazioni. Secondo Leibniz, il mondo nel quale viviamo è il migliore dei mondi possibili: pensarla diversamente sarebbe un’empietà, perché Dio è un essere razionale che può desiderare solo il meglio. Da filosofo, anzi da filosofo tedesco, Leibniz avrebbe trovato più di una giustificazione all’arbitro Michel. All’incolpevole Argentina è toccata la parte di Candido, ha creduto di giocarsela alla pari, senza capire quanto significhi – economicamente e televisivamente parlando – una Germania in semifinale. 02 - Le risorse dei nevrotici 3 luglio 2006 Si giocasse solo al calcio, la nazionale italiana potrebbe essere valutata per quella che è: tecnicamente mediocre, fisicamente mediocre, discreta solo dal punto di vista tattico (da noi si gioca il campionato più complicato del mondo, tutti gli allenatori sanno come far giocare male gli avversari). Si giocasse solo al calcio, dunque, la sorte degli azzurri sarebbe prevedibile: un piazzamento fra il sesto e il decimo posto, con un po’ di fortuna l’arrivo ai Quarti di finale, con un po’ di sfortuna l’incrocio prematuro con il Brasile. Però, la spedizione italiana in Germania si è sovraccaricata di significati e di tensioni che con il calcio giocato avrebbero poco a che fare. Ogni ricorso alla logica diventa azzardato, si cammina sulle uova, consapevoli di aver a che fare con una massa di psicolabili e nevrotici, capaci di tutto. Cosa sarà successo giovedì 22 giugno nella partita fra Italia e Repubblica Ceka? È possibile che mentre state leggendo gli azzurri siano già fuori gioco, che la stampa e le televisioni si stiano accanendo contro i responsabili dell’ennesimo naufragio del calcio italiano, invocando pene esemplari nell’ormai prossimo processo per “calciopoli”. Oppure, che si stia aspettando l’Ottavo di finale contro il Brasile in un clima di entusiasmo e patriottica euforia, che farebbe minimizzare Moggi & Company. Ritengo più probabile la seconda ipotesi, certo la prima sarebbe molto più divertente. Viene da chiedersi chi - nella vecchia Federcalcio ora decapitata - abbia scelto Dolce e Gabbana per disegnare gli abiti “civili” della delegazione. Mi piace pensare che, conoscendo il loro stile, si sia cercata la massima aderenza con il momento storico: gli italiani, infatti, sono condannati a sprofondare in una giacca scura, con cravatta scura su camicia scura. Viene anche da chiedersi se questa formula dei mondiali sia la migliore possibile, e mi rispondo che non lo è affatto. Nella terza partita del primo turno arrivano troppe squadre demotivate (quelle già qualificate e quelle già eliminate) e trovo poco sportivo che qualcuno possa scegliersi l’avversario del turno successivo. Ma, soprattutto, 32 squadre sono troppe, come sono troppe 20 squadre nel campionato di Serie A: con una platea simile si allarga il divario fra ricchi e poveri, fra potenze storiche e squadre emergenti. Una sorpresa ogni tanto non basta a giustificare il baraccone costruito dalla Fifa di Blatter. E di fronte alla noia per gli incontri fra Svezia e Trinidad e Tobago, o fra Giappone e Croazia, quelli di Sky devono essersi chiesti se valeva la pena spendere tanto per ottenere l’esclusiva integrale di questi campionati. Infine, due parole su Ronaldo e Zidane. Pazienza, sollecitudine, amarezza e speranza sono i sentimenti che provo, vedendoli passeggiare per il campo, alla ricerca di un’ispirazione. Leggo e sento solo critiche ai limiti del sadismo: i loro ultimi bagliori del crepuscolo sono oggetto di un’ingratitudine impressionante, li si rimprovera di non essere all’altezza del Mito e quasi ci si augura che si facciano da parte al più presto. Atteggiamento più “consumista” non riesco proprio a immaginarlo. 22. Fatevi il vostro oroscopo 3 luglio 2006 Lo studio dei “precedenti” offre la stessa, appetitosa ambiguità degli oroscopi. Ognuno può leggervi ciò che vuole. Davanti all’accoppiamento con la Germania, ci sarà chi ricorda il 4-3 messicano e il 3-1 spagnolo, con l’entusiasmo di Sandro Pertini. E chi, invece, ricorderà che sia nel ’98 (in Francia) che nel 2002 (in Corea), gli azzurri hanno bruscamente interrotto la loro corsa contro i padroni di casa. E come valutare che il loro ultimo mondiale, i tedeschi l’hanno conquistato in Italia? Si inseguono coincidenze, si va per sensazioni. In me prevale quella per cui la Germania sembra predestinata alla finale: sarebbe l’ottava volta, nemmeno il Brasile è arrivato a tanto, e persino quattro anni fa i tedeschi riuscirono a raggiungere quella vetta, aggrappati alle parate di Oliver Kahn. Fra le prime quattro troviamo il Portogallo, non il Brasile. La linea di galleggiamento dei lusitani è stata minimalista, un golletto all’Angola, due all’Iran, vittoria risicata contro il Messico e poi il solito, estenuante palleggio per mandare fuori giri Olanda e Inghilterra. Gran parte del merito va a Felipe Scolari, e in Brasile ancora lo rimpiangono. Il suo successore, Parreira, ha scommesso sul "quadrato magico", poi l'ha accantonato, ha sacrificato la freschezza di Robinho alla luna storta di Adriano, ha insistito su due terzini spompati e non si è accorto che il serbatoio di Kakà e Ronaldinho, oltre la sessantesima partita stagionale, era ormai prosciugato. Invece, Zidane e Vieira, Makelele e Thuram, il serbatoio l’avevano riempito fino all’orlo, riposandosi negli ultimi sei mesi. 23. Un mazzo di fiori alla signora Archundia 4 luglio 2006 Non so se sia sposato, l’arbitro messicano Benito Archundia, avvocato quarantenne, ma se lo fosse, la Federcalcio dovrebbe investire un centinaio di euro e spedire oggi stesso alla moglie un magnifico mazzo di fiori. All’interno, può bastare un biglietto con su scritto: “Grazie”. Comunque vada stasera, la fortunosa parabola degli Azzurri ruota intorno a due decisioni errate del signor Archundia, due settimane fa a Lipsia; durante Francia-Corea del Sud, l’arbitro non ha convalidato un gol di Vieira, nonostante il pallone fosse entrato di mezzo metro, negando alla Francia il 2-0 della sicurezza. Pochi minuti dopo, la Corea ha trovato il modo di pareggiare, e ciò ha portato la Francia a non vincere il girone, al posto della Svizzera, innescando una reazione a catena di conseguenze favorevoli all’Italia. Se il gol di Vieira fosse stato convalidato, sono convinto che gli Azzurri sarebbero stati eliminati – dalla Francia, appunto – nei Quarti di finale. Il secondo fischio “fatale” di Archundia è sibilato a un paio di minuti dalla fine di Francia-Corea, quando ha ammonito Zidane per un futilissima spinta, provocandone la squalifica per la partita contro il Togo. Per la rabbia, temendo di aver concluso la carriera in un modo così stupido, Zidane ha preso a calci la porta dello spogliatoio (verrà conservata così, come una reliquia). Da quella rabbia, dalla voglia di lasciare un segno più significativo di una pedata sulla porta, è venuta la straordinaria accoppiata di partite dei Bleus, contro Spagna e Brasile. Ma questo, alla signora Archundia, non è necessario farlo sapere. 24. Sul carro dei vincitori 5 luglio 2006 E adesso cosa scrivo? Non posso cavarmela raccontando che ho dormito male, perché la notte di Bologna è stata attraversata da clacson e trombette. Né posso partire per la tangente, evocando Gino Bartali e quella tappa al Tour de France vinta in coincidenza con l’attentato a Togliatti. No, dopo aver scritto una quantità di critiche a Lippi e agli Azzurri, ritrovarseli in finale con larghe possibilità di diventare campioni del mondo, proprio nel giorno in cui il Procuratore della Federcalcio ha chiesto retrocessioni per i responsabili di Calciopoli, impone una dose di sana autocritica. Della sconcertante, onnipresente, variegata fortuna dell’Italia ho scritto spesso, e se conquisti la finale segnando al 119’ e al 120’, vuol dire che la buona stella continua a illuminare la tua strada. Ma la vittoria di ieri sera è assolutamente meritata, questa squadra sa far giocare male qualunque avversario, è straordinaria nel mandare in gol chiunque (dieci calciatori diversi), e ha evidenziato una stupefacente capacità di trasformare in forza – spirito di gruppo – il contesto sfavorevole in cui si è trovata a vivere. Non arriverò a dire che mi diverto, vedendo giocare gli Azzurri. Per oltre novanta minuti la partita di ieri sera è stata orribile, forse la più brutta semifinale che mi sia capitato di vedere: l’Italia ha fatto due tiri nello specchio nella porta, la Germania tre… Solo i tempi supplementari, nel loro svolgersi caotico e imprevedibile, pali e traverse, parate e sofferenze, hanno scacciato gli sbadigli. Non chiederò comunque di salire sul carro dei vincitori: non mi piace la compagnia e ci si sta già stretti. 25. Mancava solo Rui Costa 6 luglio 2006 Da anni, vedendo giocare il Portogallo e le squadre portoghesi, mi viene da pensare che la partita finirà 0-0 o ai calci di rigore; i lusitani palleggiano, tocchettano, palleggiano ancora, avvolgono l’avversario in una ragnatela soporifera, girano alla larga dall’area di rigore ed effettuano un numero di tiri in porta inconcepibile, se si considerano i minuti di “possesso palla”. La loro è una malattia incurabile, che si manifesta con la proliferazione endemica delle mezzali: nella nazionale di Scolari ne giocano almeno 5 per volta, e altrettante restano in panchina (non a caso Rui Costa ha pensato bene di togliere il disturbo). Al Portogallo poteva bastare una mossa politica – naturalizzare Inzaghi o Lucarelli, anziché Deco – per diventare campione del mondo. Alla Francia non è parso vero poter giocare sottoritmo, dopo gli sforzi profusi contro Spagna e Brasile. Tutto ruota intorno alla sapienza del trio Zidane-Vieira-Makelele, assegnando ai giovani incursori (Malouda e Ribery) il compito di ribaltare il fronte d’attacco; i due ragazzi eseguono il compitino, e finiscono stremati, immancabilmente sostituiti, anche perché spesso corrono a vuoto, non trovando la lunghezza d’onda della lingua di Zidane. Devo ammettere, mio malgrado, che la seconda semifinale rivaluta le ultime prestazioni degli Azzurri. Il mondiale volge al termine con l’ennesima partita finita 1-0, la grande maggioranza è stata decisa con un solo gol di scarto. Il simbolo di questi mondiali sparagnini, molto meno spettacolari di quanto vorrebbe lo svizzero Blatter, è proprio la Svizzera, con il suo poco inviabile record: essere eliminata senza aver mai subito gol. 26. Naufraghi verso l’isola del tesoro 7 luglio 2006 “Diventa rabbia la festa dei tifosi”, “Solo rubare, sapete solo rubare”: i giornali aprivano così, ai dei primi di giugno, quando la nazionale sbarcò a Duisburg, senza preoccuparsi di salutare i tifosi in attesa. Agli applausi e alle grida di gioia, fecero seguito fischi, urla e cori di insulti. Quand’è che è girato il vento? Quand’è che un gruppo di naufraghi si è trasformato in un manipolo di eroi? L’attimo fatale coincide con il rigore calciato da Totti al sesto minuto di recupero contro l’Australia. Sulle tribune, quel pomeriggio, c'era solo il presidente del Coni, Gianni Petrucci; contro l’Ucraina, è riapparso Guido Rossi, e per la semifinale contro la Germania è stata segnalata una folta pattuglia di politici. Prima avevano preferito non esporsi, non era affatto chiaro se abbinarsi alla Nazionale fosse un merito. Sappiamo dell’esultanza di Prodi accanto alla Merkel e della prossima presenza del presidente Napolitano; Emilio Fede ha consigliato a Berlusconi di esserci anche lui, domenica a Berlino. Francia e Italia sono due squadre vecchie, quelle con l’età media più alta fra le 32 che si sono presentate in Germania. Entrambe giocano con un solo attaccante, e sono più abili nell’annullare l’avversario, che nell’imporre il proprio gioco. Nessuna delle due – salvo certi lampi di Zidane e Totti – insegue la bellezza. Gli italiani rinnovano la tradizione di cinismo, contropiede e difese imperforabili. E i francesi, nel calcio, hanno cominciato a vincere solo dopo un terribile trauma. Nella semifinale di Spagna ‘82, la più bella Francia di sempre - con Tigana e Giresse, Trésor e Platini – si fece rimontare dal 3-1 nei tempi supplementari, venendo battuta ai rigori dalla Germania, poi travolta dall’Italia. 27. Penultimo capitolo 8 luglio 2006 Devo ammetterlo: vedere Cannavaro che alza la Coppa del Mondo, per poi trovarmelo su qualche francobollo, potrebbe procurarmi qualche disagio. Pur confermando la mia preferenza per la più multietnica delle nazionali (uno dei pochi bianchi è convertito all’Islam, l’allenatore è figlio di un anarchico catalano), non mi permetterò ulteriori critiche alla nazionale di Lippi, a cui devo riconoscere l’onestà di aver ammesso che calciopoli non ha procurato alcun danno, né un ambiente ostile. Anzi. Nessuno degli Azzurri ha segnato in almeno due partite; la sua doppietta, Toni, l’ha riservata all’Ucraina, e in gol sono andati, nell’ordine, Pirlo e Iaquinta, Gilardino, Materazzi e Inzaghi, Totti, Zambrotta, Grosso e Del Piero. Undici gol con dieci diversi realizzatori. Les Bleus sono stati più razionali: 3 gol di Henry, 2 di Vieira e Zidane, 1 di Ribery, 8 gol fatti, 2 subiti. Dunque, l’Italia ha più elementi che possono decidere una partita. Nell’equilibrio di una finale, una certa differenza di rendimento piega verso Buffon, rispetto a Barthez (purché non si arrivi ai calci di rigore): a Buffon mancano 65 minuti per battere il record di imbattibilità di Walter Zenga, stabilito nel corso di Italia ‘90. Un terzo punto favorevole all’Italia è stata la gestione delle sostituzioni: Lippi ha ruotato più uomini, distribuendo la fatica, e dalla panchina si sono alzati calciatori decisivi. Mi aspetto, anzi auspico una sorpresa tattica: De Rossi anziché Camoranesi; perché la Francia ha una superiorità atletica, e nel gioco di testa qualcuno dovrà occuparsi di Vieira. Dopo averne sbagliati tanti, ecco l’ultimo pronostico: si vince e si perde con due gol di scarto. A lunedì. 28. Dalla parte del torto 10 luglio 2006 Il vecchio slogan del “manifesto” mi viene in soccorso al termine di una notte quasi insonne, per i festeggiamenti altrui. Vincere un campionato del mondo all’ultimo respiro può giustificare certi cedimenti alla retorica, ma sarei ipocrita se adesso sostenessi pensieri opposti a quelli che stanno nelle prime 27 puntate di questa rubrica estemporanea. Almeno l’attacco l’avevo deciso per tempo. Potevo iniziare in uno di questi due modi: “Viva gli Azzurri, viva Lippi, viva l’Italia!”; oppure: “Meglio così”, e l’avrei preferito. Farò fatica a digerire l’orgia di patriottismo pronta a scatenarsi, l’esaltazione dei “vincenti”, l’inevitabile sussulto per ridurre le pene nel processo a calciopoli. Qualcuno si chiederà come sia possibile tifare contro il proprio paese e non vivere con orgoglio questo quarto titolo mondiale. Altri sarebbero pronti a criticare ogni cedimento al patriottismo, “ultimo rifugio delle canaglie”, secondo Samuel Johnson, letterato inglese del Settecento (ma la sua frase la conoscono tutti da quando Kubrick l’inserì in “Orizzonti di gloria”). Vi dirò che spesso mi accade di ritrovarmi in Giorgio Gaber: “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono”. Sulla reale consistenza della nostra nazionale, ognuno resterà della propria idea: la mia è che l’Italia fosse inferiore ad Argentina, Spagna, Francia e Brasile. Però ha vinto, e resterà solo questo. Lo spettacolo è stato scadente, ma il calcio si conferma straordinaria macchina di emozioni, lo sport meno sport che ci sia. Dove il destino – anche per chi preferisce non crederci – sa essere implacabile. 03 - Tutto il mondiale in una canzone di Gaber 10 luglio 2010 Vincere diventa molto più difficile quando si è obbligati a farlo. Perciò, la genialità tattica, in questi mondiali, non si è vista in campo, ma nella gestione dello spogliatoio. “Soli contro tutti” è stato il propellente psicologico di Lippi. “Sono alla fine della carriera” è stata la tecnica psicologica di Zidane e Thuram. Entrambe le scuole di pensiero si sono rivelate efficacissime nell’accumulare adrenalina e costruire gruppi vincenti. Con la scusa dell’importanza della posta in palio, abbiamo assistito a un 90% di partite mediocri e noiose, dallo scadentissimo livello spettacolare, con una media-gol deprimente (2,1 a partita, nonostante la presenza di 7-8 squadre improponibili, a questi livelli). Le statistiche sui tiri in porta sono ancor più illuminanti: nei primi 90 minuti della ormai mitica semifinale fra Italia e Germania, “partita intensa e vibrante”, ci sono stati 7 tiri (uno ogni 13 minuti), di cui 4 nello specchio della porta, senza alcuna parata degna di questo nome. Tante partite sono finite 1-0, tantissime si sono decise con un solo gol di scarto, il ricorso ai tempi supplementari e ai rigori è stato troppo frequente. Il simbolo di questi mondiali sparagnini, molto meno spettacolari di quanto vorrebbe lo svizzero Blatter, è proprio la Svizzera, con il suo poco inviabile record: essere eliminata senza aver mai subito un gol. Prima spiegazione: la paura di perdere. Poi, la paura dei cartellini: ammonizioni spesso comminate al primo fallo, espulsioni più frequenti del solito, un metro di misura arbitrale che ha suscitato qualche perplessità, ma che – va riconosciuto – non è stato orientato ai tradizionali “favori” verso la squadra di casa (eccezion fatta per il rigore negato all’Argentina). Soprattutto, è mancato il grande personaggio, il volto capace di sintetizzare questi campionati. Dovendo fare un nome, mi sento di proporre Gennaro Gattuso. Anche questo è un segno dei tempi. Non si sono visti nuovi fenomeni, anzi sono riemersi personaggi che sembravano fuori tempo massimo. Fra i giovani, mi sono piaciuti Essien (Ghana), Ribery (Francia), Mascherano, Rodriguez e Tevez (Argentina), Fabregas e Torres (Spagna), Lahm e Schweinsteiger (Germania), Barnetta (Svizzera). Fra i cannonieri, escono confermate due tendenze: il vincitore è l’ennesimo europeo (Klose) e a nessuno riesce di rivincere questa speciale classifica. Il record di Ronaldo mi ha fatto felice, ma va ridimensionato: 15 gol in 18 partite (in tre edizioni dei mondiali), non reggono il confronto con i 14 di Gerd Muller (in 12 partite, 2 tornei) e tantomeno con i 13 di Just Fontane (tutti realizzati nelle 6 partite del 1958). Rilette di seguito, le 28 impressioni quotidiane che ho riversato nella rubrica on-line (http://www.carta.org/campagne/) evidenziano due propensioni infantili, che mi hanno esposto a mal di stomaco e delusioni. La prima mi spinge ad azzardare pronostici (a qualche lettore non è parso vero farmi notare quelli sbagliati); la seconda mi spinge a identificare momenti fatali (il gol di Zidane alla Spagna, gli errori di Archundia in Francia-Corea, il rigore di Totti all’Australia, eccetera). Alla vigilia, il mio pronostico diceva Spagna, davanti alla Francia; ma le due squadre si sono scontrate negli Ottavi. Le altre due semifinaliste dovevano essere Germania e Argentina (a loro volta incrociatesi nei Quarti). Avevo escluso il Brasile, perché mi sembrava molle e narciso, e l’Inghilterra, perché il suo allenatore non mi ha mai convinto. Che fra le migliori quattro sia arrivato il Portogallo mi sembra dovuto all’abilità dei suoi palleggiatori e alla furbizia di Scolari; che ci sia arrivata l’Italia, mi ha irrimediabilmente confinato dalla parte del torto. Le squadre che più mi sono piaciute, nonostante evidenti limiti tecnici e tattici, sono Australia, Ghana e Messico. Sono stati campionati “nel segno della restaurazione” (rubrica del 29 giugno), con “una prevedibile carenza di sorprese” (20 giugno). Già nei Quarti, niente Asia e niente Africa, l’Ucraina come unica sorpresa, erano rimaste in corsa sei europee e due sudamericane, mentre 10 delle 32 squadre sono uscite di scena senza vittorie: Iran, Angola, Stati Uniti, Croazia, Giappone, Tunisia, Arabia Saudita hanno rimediato qualche pareggio, Costarica, Serbia-Montenegro e Togo solo sconfitte. Che la giustizia divina non si applichi ai mondiali di calcio, l’ho potuto sistematizzare grazie alla lettura di “Perda il migliore” (il libro di Franco Rossi sulla storia dei mondiali), ma l’avevo già capito nel 1978, quando l’Argentina vinse il torneo che aveva ospitato, e gli assassini della Junta golpista poterono festeggiare, calando il sipario sulla sorte dei desaparecidos. Che la giustizia divina sia perlomeno distratta, mi pare lo dimostri questa vittoria dell’Italia. Sulla reale consistenza della nostra nazionale, ognuno resterà della propria opinione: la mia è che gli Azzurri fossero inferiori ad Argentina, Francia, Spagna e Brasile. Ma il destino – chiamiamolo così - sa essere implacabile. E i segni del destino sono stati innumerevoli. Della fortuna degli Azzurri si è scritto e detto abbastanza. Rivendicandola, ogni tanto. Quasi a scusarsene, più raramente. Prima il sorteggio che ha formato i gironi, poi le assenze degli attaccanti nella Repubblica Ceka e nell’Australia, il rigore inesistente contro gli esterrefatti australiani, e ancora il gol dei subentrati Materazzi e Inzaghi, la serie di episodi favorevoli concentrati nella prima metà del secondo tempo contro l’Ucraina, il gol di Grosso al 119’ minuto contro la Germania. Fino ai calci di rigore nella notte di Berlino, dopo una partita in cui se c’era una squadra che meritava la vittoria, era la Francia. Vincere fa dimenticare tutto, ma andrebbe almeno riconosciuto che siamo stati trattati con i guanti, abbiamo giocato tre spezzoni di partita con l’uomo in più, e nell’unico caso con l’uomo in meno, l’arbitro ci ha lautamente ricompensato con un rigore incredibile; senza dimenticare la squalifica di Frings con la prova televisiva, il rigore negato a Malouda e l’espulsione di Zidane con un inedito caso di “moviola in campo”. A Lippi devo riconoscere il buon gusto di essersi smarcato dal vittimismo d’inizio torneo, quando si ipotizzavano complotti di Blatter e Beckenbauer. E aver conquistato il quarto titolo mondiale grazie ai Gattuso e ai Cannavaro, ai Grosso e ai Materazzi, è un merito inestimabile. Per gli Azzurri, il torneo si era aperto sotto i peggiori auspici. Si è chiuso ai rigori, autentica nemesi storica, portando al trionfo una nazionale che anziché venire travolta dallo scandalo, ha trovato in calciopoli un movente micidiale. Ora è giusto prendere atto di quanta poca sincerità sia sopportabile. È giusto fare i conti sulla scarsa profondità del proprio sentimento di appartenenza nazionale. Non so che farci, se in certi momenti mi ritrovo in Giorgio Gaber: “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono” http://archivio.carta.org/campagne/diritti/mondiali06/index.htm