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Gli errori dell'Fmi sulla zona euro - Davanti all'aggravarsi della crisi - Il Sole 24 ORE Pagina 1 di 2
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19 settembre 2011
Gli errori dell'Fmi sulla zona euro
di Kenneth Rogoff
Davanti all'aggravarsi della crisi dell'eurozona, il Fondo monetario internazionale potrebbe finalmente riconoscere la
necessità di rivedere il proprio approccio. L'appello del nuovo direttore generale, Christine Lagarde, che chiamava a
una ricapitalizzazione forzata del sistema bancario europeo è un buon inizio.
La reazione esasperata dei manager europei - le banche stanno bene, insistono, hanno solo bisogno di un supporto
di liquidità - dovrebbe rafforzare la determinazione del Fondo a preoccuparsi per l'Europa.
Finora il Fondo, in modo sincopato, ha supportato ogni iniziativa dell'Europa per salvare la sovra-indebitata periferia
della zona euro, consegnando più di 100 miliardi di dollari a Grecia, Portogallo e Irlanda. Sfortunatamente l'Fmi sta
rischiando non soltanto i soldi dei suoi membri ma, in definitiva, la sua stessa credibilità istituzionale.
Soltanto un anno fa, al meeting annuale dell'Fmi a Washington, i funzionari più esperti sostenevano che il panico
per la crisi del debito sovrano in Europa era una tempesta in un bicchier d'acqua. L'Fmi sosteneva che perfino le
dinamiche del debito della Grecia non fossero un problema serio, grazie alla crescita e alle riforme anticipate. Non
importa l'evidente falla nella logica del Fondo, che non tiene conto del fatto che Paesi come la Grecia e il Portogallo
affrontano politiche e rischi nel metterle in atto di gran lunga più simili a quelli dei mercati emergenti che a quelli
delle economie avanzate come la Germania e gli Stati Uniti.
Con il peggioramento della situazione, ci si sarebbe aspettato che l'Fmi correggesse il giudizio che aveva avuto fino
a quel momento sul funzionamento dei meccanismi di mercato e che adottasse un tono più cauto. Invece al
meeting di aprile 2011 uno dei manager ha dichiarato che il Fondo considera la fiaccata Spagna un Paese chiave
dell'eurozona come la Germania piuttosto che un Paese periferico come la Grecia, il Portogallo o l'Irlanda.
Evidentemente gli investitori avrebbero dovuto ritenere come per tutti i problemi pratici la Spagna debba essere
considerata identica alla Germania. La mia reazione sarcastica è stata: «Adesso il Fondo pensa che alcuni dei
Paesi fondamentali della zona euro corrono un rischio di default!».
Essendo stato capo economista del Fondo dal 2001 al 2003, so bene che l'Fmi deve riuscire a stare in equilibrio tra
conquistarsi la fiducia degli investitori e scuotere i decisori autocompiaciuti. Ma una cosa è essere cauti nel mezzo
di una crisi, un'altra è dire cose senza senso.
Il defunto economista della scuola di Chicago George Stigler avrebbe descritto il comportamento dell'Fmi in Europa
come una regulatory capture acuta. Detto in parole povere, l'Europa e gli Stati Uniti hanno troppo potere nell'Fmi e il
loro modo di pensare è dominante. Quello che i leader europei vogliono maggiormente dal Fondo sono prestiti facili
e un forte supporto retorico. Ma quello di cui l'Europa ha veramente bisogno sono le valutazioni oneste e la severità
che il Fondo ha tradizionalmente riservato agli altri suoi clienti, meno influenti da un punto di vista politico.
La miopia del Fondo nell'occuparsi dell'Europa finora è solo parzialmente dovuta al potere di voto europeo. È anche
dovuta a una mentalità del "noi" e "loro" che ha in modo analogo pervaso la ricerca nelle società di investimenti più
importanti di Wall Street. Analisti che hanno lavorato per tutta la loro carriera solamente sulle economie avanzate
hanno preso l'abitudine di scommettere che le cose vadano sempre bene, perché per un paio di decenni prima
della crisi le cose sono andate per lo più bene, molto bene.
Ecco perché, per esempio, così tante persone continuano a credere che una normale e veloce ripresa sia proprio
dietro l'angolo. Ma la crisi finanziaria avrebbe dovuto ricordare a tutti che la linea di demarcazione tra economie
avanzate e mercati emergenti non è un'evidente linea rossa.
Nel suo recente discorso a Jackson Hole il presidente della Fed, Ben Bernanke, si è energicamente lamentato che
la paralisi politica è forse diventata l'impedimento principale alla ripresa. Ma gli analisti abituati a lavorare con i
mercati emergenti sanno che questa paralisi è molto difficile da evitare dopo una crisi finanziaria.
Piuttosto che credere servilmente alle rassicurazioni dei politici, i ricercatori sui mercati emergenti hanno imparato a
rimanere cinici rispetto alle promesse ufficiali. Troppo spesso, tutto quello che può essere fatto in maniera sbagliata
viene fatto in maniera sbagliata. Questo scetticismo dovrebbe essere molto più presente nelle analisi delle
dinamiche del debito europeo fatte dall'Fmi, invece di arrivare a conclusioni tirate che dovrebbero riuscire a far
sembrare il debito sostenibile. Tutti quelli che guardano attentamente alle opzioni complesse che l'Europa ha per
tirarsi fuori dalla camicia di forza del debito dovrebbero capire che i vincoli politici saranno un grosso ostacolo, non
importa quale sarà la strada scelta dall'Europa.
Persino al di fuori dell'Europa, l'Fmi ha dato sempre troppo credito ai governi in carica, piuttosto che focalizzarsi
sugli interessi di lungo termine del Paese e della popolazione. Il Fondo non sta rendendo nessun favore alla
popolazione europea nel momento in cui non riesce a spingere aggressivamente per una soluzione più realistica,
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compresa una drammatica riduzione del debito per i Paesi periferici della zona euro e una ridefinizione delle
garanzie dei Paesi più importanti.
Ora che il Fondo ha riconosciuto apertamente la presenza di grossi buchi di capitale in molte banche europee,
dovrebbe iniziare a premere fortemente per un'ampia e credibile soluzione alla crisi del debito dell'eurozona, una
soluzione che comprenda una rottura parziale della zona euro o una fondamentale riforma "costituzionale". Il futuro
dell'Europa, per non dire il futuro dell'Fmi, dipende da questo.
Traduzione di Roberta Ziparo
© Project Syndicate, 2011
19 settembre 2011
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