PdR_Relazione parte II_approfondimento

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PdR_Relazione parte II_approfondimento
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Parte II
L’approfondimento sul nucleo di antica formazione
1.
Premessa
1.1.
Aspetti generali
Da decenni si trascina, nel panorama legislativo nazionale, il tema della tutela e salvaguardia dei centri
storici, forse per la mancanza in Italia di una legge mirata all’attenta valutazione dei nuclei d’antica
formazione forse per le difficoltà incontrate nel circoscrivere materialmente l’oggetto di tutela, forse per una
mancanza di definizione univoca di centro storico.
La molteplicità di interessi e valori che avvolgono il centro storico non solo in materia urbanistica ma anche
nel campo sociale, culturale, monumentale, artistico e storico, socio/ambientale, igienico/sanitario e, in taluni
casi, alla sicurezza e all’ordine pubblico, necessitano di approcci specifici che rendono assai difficoltoso un
governo organico dei centri storici non solo per quanto riguarda l’approccio della conservazione ma anche
quello della rivitalizzazione e rifunzionalizzazione del patrimonio edilizio per adattarlo alle nuove esigenze
tanto urbanistiche come economiche.
“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione” (c. 2 art. 9 della
Costituzione); tale principio attribuisce un elevato valore alla tutela di tali beni che, per molti anni, la
disciplina urbanistica ha considerato sotto il mero profilo vincolistico e impositivo, generalizzato e senza
considerare le differenti peculiarità che ogni città o paese manifesta, ma che già da qualche decennio (La
Carta di Gubbio è del 1970 dalla quale scaturisce una nuova attenzione per i centri storici) cerca di
recuperare quel ruolo di importante pilastro per il governo del territorio e dell’assetto urbano in genere.
Nel dibattito culturale e urbanistico degli anni 60 si determina la prima, vera, definizione di centro storico e
in particolare dalla Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico artistico e
del paesaggio1 che, dopo aver fatto emergere per la prima volta la nozione di “beni culturali ambientali”2,
definisce3 i centri storici urbani come “quelle strutture insediative urbane che costituiscono unità culturale o
la parte originaria e autentica di insediamenti, e testimoniano i caratteri di una viva cultura urbana […]”.
Una visione organica e non più legata all’apoditticità dei provvedimenti ex LL. 1089 e 1497/1939 al punto
che è la stessa commissione Franceschini a raccomandare ai piani regolatori di “avere riguardo ai centri
medesimi nella loro interezza” ma allo stesso tempo di garantire “loro ragioni di vita economica e sociale,
che consentano lo svolgimento di una vita associata non depressa” favorendo, in sostanza, un modello di
tutela fortemente attiva. Inoltre, il Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica del 1969, identifica il
centro storico come “nucleo di una città che costituisca per caratteristiche formali, tipologiche e
urbanistiche un complesso legato a particolari momenti storici. A volte il concetto di centro storico è esteso
all’intera città, quando esso rappresenta una testimonianza viva di altre epoche”; i centri storici inoltre
“possono essere unitari o frammentari, completamente o parzialmente frammentari, completamente o
parzialmente conservati nella loro originaria strutturazione; la loro delimitazione topografica […] dovrà
comprendere l’intera struttura urbana, quando si tratti di insediamenti in cui la struttura storica sia
prevalente, anche quando questa abbia subito nel tempo palesi deformazioni che hanno rotto la continuità
del territorio storico […] possono rientrare nella tutela dei centri storici anche costruzioni relativamente
recenti (sec. XIX) o addirittura moderne, se ritenute documenti decisivi e unici nella storia
dell’architettura”: nella definizione è importante l’ipotesi di estendere l’accezione di centro storico a tutto
l’organismo urbano, anticipando il concetto di “città storica” che sarà ufficialmente sancito nella Carta di
Washington per la salvaguardia delle città storiche, nel 1987.
S’assiste così in quel periodo all’evoluzione del concetto e alla diffusione di una sempre maggior
consapevolezza della complessità del problema.
Meglio conosciuta come “Commissione Franceschini”, dal nome del suo presidente.
Dichiarazione XXXIX.
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Nella dichiarazione XL.
1
2
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1.2.
Un abaco delle azioni mirate alle diverse tipologie del patrimonio esistente
Da una sommaria valutazione dei lavori relativi alla tutele e valorizzazione dei centri storici presenti in
letteratura, è possibile identificare una casistica di azioni quali:
I recuperi monumentali
In tutti i centri storici del campione, sia pure in modo diverso e con diversa intensità, si registrano interventi di recupero su
immobili di rilevante valore storico-artistico e ambientale, di proprietà pubblica o ecclesiastica, e nella più parte dei casi
vincolati. Gli interventi su tale parte del patrimonio s’identificano quindi come recuperi monumentali, e normalmente
consistono nel restauro o risanamento conservativo degli immobili. Di regola gli interventi avvengono sotto il controllo delle
Soprintendenze, mentre in altri casi queste ultime eseguono direttamente le operazioni sul patrimonio assumendosi l’intera
iniziativa politico-programmatica. In ogni modo, nella più parte dei casi sono i comuni che programmano recuperi
monumentali e intraprendono i passi necessari per la loro progettazione, approvazione ed esecuzione, nonché per il
finanziamento delle opere da eseguire.
In termini di rinascita e riqualificazione di piccoli e medi centri storici, molto dipende dalla destinazione cui viene
assoggettato il bene monumentale coinvolto dal restauro e recupero: conferma del precedente uso, inserimento di nuove
funzioni utili per la cittadinanza, inserimento di funzioni attrattrici di investimenti e di flussi esterni al borgo.
Nel caso di funzioni utili ai cittadini s’assiste al miglioramento della qualità della vita locale, dovuta a un innalzamento
dell’offerta di servizi, attività o simili; nel caso di funzioni attrattrici di flussi esterni, invece, occorre considerare gli impatti
generati sul sistema locale, della viabilità, della vivibilità degli spazi collettivi, considerando vantaggi e problemi
potenzialmente derivanti da interventi mirati a restituire vivibilità, attrattività e vivacità al tessuto. La selezione di attività,
manifestazioni o funzioni da riallocarsi nel centro storico deve però essere svolta rispetto all’effettiva dotazione di beni
materiali presente, nonché alla tradizione che caratterizza il contesto, traducibile poi in manifestazioni e iniziative culturali
per divulgare il luogo.
I recuperi non monumentali
In molti comuni sono stati effettuati interventi di recupero del tradizionale patrimonio edilizio riguardanti edifici diversi da
quelli prima richiamati, generalmente non vincolati e sovente di proprietà privata.
Anche in questi casi si concretizzano ricadute sulla qualità della vita dei cittadini e valorizzazione dei centri medi e piccoli,
tali interventi appaiono altrettanto (se non più) rilevanti di quelli pubblici “monumentali”. Nella più parte dei casi quelli che
si recuperano sono immobili residenziali; molti interventi mirano a coinvolgere spazi di rango minore (rustici, ex fienili,
magazzini e simili) per ottenere un migliore utilizzo di questi ultimi volumi, per esempio dentro le tipologie “a corte”:
fenomeno, questo, particolarmente diffuso che corrisponde al più generale intervento sul patrimonio esistente promosso e
sostenuto negli anni ‘80 e ‘90, volto a ridurre il degrado abitativo e ad aumentare le dimensioni degli alloggi tramite
accorpamenti, soprattutto nell’edilizia storica delle aree più densamente abitate.
Non mancano comunque casi di significativi recuperi pubblici, realizzati dai comuni in immobili fatiscenti, di proprietà o
acquistati apposta per realizzare abitazioni a edilizia agevolata e convenzionata, che hanno riscontrato particolare
applicazione ex L. 457/1978 con l’obiettivo d’agire da volano all’innesco di più diffusi interventi privati; i modi di
svolgimento dei recuperi sono sostanzialmente due: quella più frequente degli interventi singoli e quello basato sui piani di
recupero previsti dalla legge e previsti in vario modo nei diversi strumenti urbanistici comunali: gli impatti generati dai due
diversi modi differiscono sostanzialmente per attenzione e sensibilità verso l’ambiente storico d’intervento, con o senza
piano di recupero, e tale sensibilità varia in funzione non solo delle scelte del governo locale, ma anche rispetto alle attitudini
e propensioni comportamentali e culturali della cittadinanza, nelle quali si riflette il senso d’appartenenza.
Va comunque osservato come, nella più parte dei casi, siano state le microtrasformazioni edilizie a modificare con recuperi
correnti i caratteri originari dei nostri centri storici, piuttosto che i più radicali interventi di demolizione e ricostruzione
contemplati dai Piani di recupero; e, a proposito di recuperi abitativi di prime case nei centri storici, lo studio condotto
suggerisce una particolare attenzione ai loro risvolti sociali, oltre a quelli economici: negare l’accesso alle classi più deboli e
emarginate non è certo equo e opportuno, ma è anche vero che l’insediamento di fruitori, non in grado di garantire il
mantenimento fisico-funzionale degli immobili recuperati, porta ulteriori rischi di deperimento e degrado.
Il controllo della qualità edilizia
Considerando che lo “Studio per la valorizzazione dei centri storici e degli ambiti di interesse storico culturale e
ambientale” promosso da Regione Lombardia risale al 2005, alcuni riferimenti normativi risultano datati; vengono allora
esaminati i contenuti e tecniche adottate dai comuni per il controllo della qualità edilizia interna ai centri storici, rimandando
altrove l’analisi dei “Criteri e procedure per l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di tutela dei beni
paesaggistici in attuazione della Lr. 11 marzo 2005, n. 12”.
Nei recuperi “correnti” (tanto negli interventi singoli come in quelli ricadenti nei Piani di recupero), la esecuzione delle opere
è assoggettata al rispetto dei disposti derivanti dai regolamenti edilizi, col controllo degli Uffici tecnici locali; prescindendo
dai casi di vincoli espliciti, l’ottenimento di buoni risultati architettonici nei recuperi correnti sembra discendere soprattutto
dall’autocontrollo degli operatori che promuovono, propongono, progettano ed eseguono gli interventi, attribuibile a fattori
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socioculturali connaturati o a una sorta di “educazione forzata”, imposta in genere dalle Soprintendenze e/o Commissioni per
il paesaggio ed edilizie; in tale direzione, “indirizzando” anziché “prescrivendo” s’introducono modi e strumenti nuovi di
controllo edilizio, di natura diversa sia da quelli urbanistici dei piani a cui spesso si correlano, sia dallo stesso regolamento
edilizio; in alcuni casi, le analisi condotte per le zone A dei più recenti Piani hanno comportato la redazione di schede assai
accurate, redatte in genere edificio per edificio e che, in alcuni casi, non si sono limitate a descrivere gli immobili ma hanno
anche fornito indicazioni puntuali sulla possibilità di modificare lo stato di fatto rilevato; dunque, il meccanismo delle schede
normative d’edificio, esteso a tutti gli immobili dei centri storici, sembra il più idoneo ad assicurare la loro tutela “attiva”.
A concludere, s’osserva che – nella loro faticosa azione di controllo qualitativo – oltre a carenze tecniche delle proprie
strutture le amministrazioni locali denunciano alcuni ostacoli giuridici che limitano le azioni di tutela dei centri storici: sono
tre provvedimenti regionali particolarmente criticati rispetto ai risultati che la stessa Regione pur s’attende, e che sembrano
piuttosto contradditori in fatto di tutela e valorizzazione dei centri storici: la generalizzazione della Dia, che legittima molti di
quelli prima sanzionabili come abusi edilizi, le disposizioni in materia di sottotetti (con la corrispondente proliferazione di
abbaini non mimetizzabili), e quelle in materia d’antenne, diffusamente disseminate nel vecchio contesto cittadino.
I provvedimenti viabilistici
Tra le questioni che hanno a che fare con la vitalità dei centri storici e con la qualità della vita dei loro abitanti e fruitori,
riveste un ruolo rilevante l’accessibilità veicolare locale: fattore abbastanza recente rispetto alla configurazione assunta dai
centri storici nel tempo, sovente rappresenta elemento di disturbo degli spazi collettivi per la domanda di sosta e per il
difficile rapporto tra politiche di valorizzazione e fruizione dei nuclei. Oltre alla pedonalizzazione e alla riorganizzazione
della sosta, in alcuni dei casi lombardi si sono riscontrati interventi di sgravio del traffico d’attraversamento mediante la
realizzazione o il potenziamento di assi esterni al borgo storico, oltre alla più generale riqualificazione del contesto per
attrarre nuovi flussi finanziari e investimenti per la riqualificazione del tessuto e per il ripopolamento delle aree centrali che,
negli ultimi decenni, nei centri di medie e piccole dimensioni hanno ceduto popolazione a favore di forme abitative
periferiche più attraenti.
I provvedimenti ambientali
Un ultimo tema riguarda i provvedimenti assunti in materia ambientale: il caso più frequente, dopo quello dell’illuminazione
notturna dei monumenti più emblematici, riguarda la sistemazione e valorizzazione di strade e piazze, ripavimentate con
tecniche e materiali tradizionali e corredate con nuovi elementi di arredo urbano. Altro aspetto ambientale, significativo della
riqualificazione dell’immagine urbana, concerne la tutela del verde privato di pregio e il potenziamento di quello pubblico.
Sono dunque evidenti alcune questioni ancora aperte: il successo delle politiche di recupero esaminate
sembra dovuto solo in parte agli interventi di restauro dei monumenti, per lo più pubblici, mentre l’apporto
maggiore è da ascriversi agli interventi di effettivo riuso (conservativo o meno) del patrimonio recuperato,
indifferentemente dal tipo di immobile o dalla destinazione d’uso in essere. In tal senso i recuperi e i riusi più
efficaci appaiono quelli non-monumentali, dove s’interviene su edifici e spazi per lo più privati (vecchie case
e piccoli palazzi dotati di corti e giardini, spesso con caratteri architettonici e tipologici che portano a
considerarli edilizia tradizionale “di pregio”, e dunque meritevole di tutela e valorizzazione, con i
corrispondenti tessuti urbanistici altrettanto meritevoli d’attenzione).
L’esistenza di processi di recupero corrente, in particolare di tipo abitativo, può essere ritenuta un positivo
indicatore della vitalità interna a un centro storico perché conserva la presenza di una funzione tanto tipica
quanto essenziale, quale la residenza, e testimonia la volontà dei proprietari di investire risorse sul patrimonio
per riqualificarlo anche modificandone alcuni aspetti in modo da rendere più appetibile la residenza, in
locazione o vendita; al contempo gli interventi sul patrimonio agiscono, in quanto investimenti volti a
migliorare l’esistente, generando processi di riqualificazione del contesto, innescando processi rivalutativi, e
sovente incentivando nuove quote di popolazione a trasferirsi o a ritornare nei borghi storici.
Una delle questioni ancora aperte riguarda proprio la carenza, riscontrata in alcuni comuni di ridotte
dimensioni, di strumenti e supporti conoscitivi sulla cui base poter disciplinare il trattamento del patrimonio
storico. In quanto a strumenti, anche l’assenza di adeguate politiche e piani in materia di viabilità e sosta
risulta essere un problema per un gran numero di centri storici nel territorio lombardo: i provvedimenti più
frequenti sono di tipo amministrativo, e si riducono all’individuazione di sensi unici e all’imposizione di
divieti di sosta. Molti comuni intervengono con la pedonalizzazione di zone centrali, ma il problema si
dimostra risolto solo in parte in quanto occorrono piani per la sosta e potenziamenti del trasporto collettivo
così come delle reti per la mobilità lenta, interventi solo in alcuni casi interamente ed efficacemente avviati.
La gestione della mobilità risulta strettamente connessa alla scelta dell’amministrazione in materia di servizi,
soprattutto nei casi della loro rilocalizzazione fuori dai centri storici, in aree più accessibili: mantenere i
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servizi nel centro così come riallocarli all’esterno risulta scelta problematica, dipendente soprattutto dalle
condizioni in cui versa il nucleo storico, giacché la presenza di servizi e attività di tipo ricreativo e culturale è
sovente connessa alla peculiarità dei luoghi che, soprattutto nei centri storici, è fortemente presente e radicata
nell’immaginario collettivo dei residenti: mantenere alcune attività nel borgo acquisisce valore nell’ottica del
rilancio e della valorizzazione dei monumenti e del tessuto, e “nei riguardi delle esigenze prestazionali e
localizzative di tutto ciò, i centri storici costituiscono sempre risorse non irrilevanti, che per lo più non sono
disponibili per altre attività pure di forte richiamo con le quali è impossibile competere, come le tante
tipologie di vendita moderne, conformi a modelli insediativi e di stili di vita che sono esattamente l’opposto
di quelli tradizionali”4.
Analoga questione è quella della vitalità, garantita nei centri storici dalla presenza di vendita al dettaglio e di
piccoli laboratori artigiani: “circa le attività commerciali minute, che la loro crescita sia uno dei principali
fattori propulsivi della vitalizzazione dei centri storici è fuori discussione”5; considerando i casi riportati
nello studio della Regione Lombardia, si riscontra “l’avvento di nuove formule di commercializzazione quali
il franchising, il che ha permesso una larga diffusione della vendita di beni di pregio, cosa che ha indotto la
rete commerciale di molte località provinciali minori a riqualificarsi e talvolta ha consentito loro di
raggiungere una massa critica sufficiente per reggere la concorrenza delle forme distributive moderne,
giustificando gli investimenti fatti”6. A suo tempo, laddove è avvenuto, al rilancio hanno contribuito le
politiche di recupero edilizio e urbanistico così come le opere di arredo urbano e i provvedimenti di
limitazione del traffico veicolare, ma va rimarcato un problema di fondo che esiste da anni e che ancor oggi
crea difficoltà: la mancanza di una disciplina nazionale dei centri storici; malgrado il susseguirsi di leggi di
livello prima nazionale e poi regionale, l’argomento è stato solo sfiorato lasciando talvolta ampi margini di
discrezionalità che ne limitavano intrinsecamente l’efficacia.
1.3.
L’evoluzione normativa: dalla Lr.12/2005 smi, ai “Criteri e procedure per l’esercizio delle funzioni
amministrative in materia di tutela di beni paesaggistici”
La Regione, con i “Criteri e procedure per l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di tutela di
beni paesaggistici in attuazione della Lr. 11 marzo 2005, n. 12”, ha rivisto la disciplina aggiornando le
procedure autorizzative, articolando le competenze dei diversi soggetti istituzionali e sostituendo i precedenti
i Criteri approvati con Dgr. 25 luglio 1997, n. VI/30194 in attuazione della Lr. 9 giugno 1997, n. 18.
L’individuazione dei beni paesaggistici, in particolare le cosiddette “bellezze d’insieme” 7 , richiede una
lettura territoriale che colga tra gli elementi percepiti (“aspetto” dei “complessi” o fruizione visiva dai punti
panoramici) una trama di relazioni strutturata sulla base di un codice culturale che conferisce “valore estetico
e tradizionale” all’insieme in cui si “compongono” i caratteri fondamentali del concetto di paesaggio, ossia:
i) il contenuto percettivo, giacché il paesaggio è strettamente connesso al dato visuale, “l’aspetto” del
territorio; ii) la complessità dell’insieme, in quanto non è solo la pregevolezza intrinseca dei singoli
componenti a doversi considerare, come avviene per le bellezze individue, ma quel loro comporsi che
conferisce, agli oggetti percepiti, la “forma” riconoscibile e caratterizzante dei paesaggi; iii) il valore
estetico/culturale giacché, alla forma così individuata, s’attribuisce una significatività/capacità d’evocare i
“valori estetici e tradizionali” rappresentativi dell’identità culturale di una comunità; ne consegue che “il
fenomeno paesaggio si manifesta in funzione della relazione intercorrente fra il territorio e il soggetto che lo
percepisce (inteso non solo come individuo, ma, fondamentalmente, come comunità di soggetti) e che, in
relazione alle categorie culturali della società di appartenenza, ne valuta e ne apprezza le qualità
paesaggistiche ricevendone una gratificante sensazione”8.
4
Mioni e Pedrazzini, cit.
Mioni e Pedrazzini, cit.
6
Mioni e Pedrazzini, cit.
7
Nell’attuale scenario legislativo nazionale la tutela del paesaggio trova i suoi riferimenti fondamentali nel D.Lgs. 22 gennaio 2004,
n. 42 e, in ambito europeo, nella Convenzione del paesaggio sottoscritta dallo Stato italiano a Firenze il 20 ottobre 2000 (ratificata
con L. 9 gennaio 2006, n. 14 in G.U. 20 gennaio 2006, Supp. Ord. al n. 16.
8
Dgr. 15 marzo 2006, n 8/2121, Criteri e procedure per l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di tutela di beni
paesaggistici in attuazione della Legge regionale 11 marzo 2005, n. 12.
5
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L’attribuzione di competenze tra Regione ed enti locali ex art. 80 della Lr. 12/2005, nell’ottica mirata della
considerazione del patrimonio costruito di valore storico, conferisce ai Comuni (c. 1, art. 80) le funzioni
paesaggistiche per ogni tipo d’intervento (esclusi quelli di competenza regionale, provinciale e degli enti
gestori dei parchi, oltre agli interventi sulle opere idrauliche realizzate da altri enti)9; alla Regione sono
rimaste in via residuale le funzioni amministrative autorizzatorie e sanzionatorie relative alle “opere di
competenza dello Stato, degli enti ed aziende statali, nonché opere di competenza regionale, ad eccezione di
quelle relative agli interventi previsti dall’art. 27, c. 1, lett. a), b), c), d) della Lr. 12/2005, ivi compresi gli
ampliamenti, ma esclusa la demolizione totale e la ricostruzione, e delle linee elettriche a tensione non
superiore a quindicimila volt, che spettano ai comuni competenti per territorio”10.
Emerge altresì il percorso di valutazione paesaggistica dei progetti: la legge affida alle Commissioni per il
paesaggio, istituite presso gli Enti cui è attribuita la corrispondente competenza amministrativa, la
responsabilità di valutare la compatibilità paesaggistica degli interventi proposti: i) effettuando la lettura e
interpretazione del contesto paesistico; ii) individuare gli elementi di vulnerabilità e rischio; iii) valutare le
trasformazioni conseguenti alla realizzazione dell’intervento proposto e la sua compatibilità paesaggistica.
Un ulteriore argomento, affrontato dai “Criteri e procedure per l’esercizio delle funzioni amministrative in
materia di tutela di beni paesaggistici in attuazione della Lr. 11 marzo 2005, n. 12”, riguarda i modi di
conduzione dell’analisi del contesto paesaggistico, inizialmente censendo e poi classificando i suoi elementi
costitutivi: proprio in materia di sistema antropico derivano i principali spunti valutativi sui nuclei d’antica
formazione, attraverso il riconoscimento delle valenze storiche degli insediamenti e del rapporto tra forma
insediativa e paesaggio in base alla nozione di “tipo edilizio” come “configurazione planivolumetrica dei
manufatti edilizi con caratteri di permanenza e ripetitività nel tempo e nello spazio in un dato ambiente
antropico”, risultando da valutazioni “storico-critiche” (ricostruzione del processo di genesi e trasformazione
del contesto ambientale d’appartenenza) e “metrico-formali” (dimensioni e distribuzione degli spazi, volumi
ed elementi costruttivi).
Il progetto, di conseguenza, “sarà preliminarmente esaminato utilizzando alcuni parametri valutativi di
base: di ubicazione o di tracciato, adottando tra le alternative possibili quella di minore impatto con l’assetto
paesaggistico e ponendosi in rapporto di aderenza alle forme strutturali del paesaggio interessato, al fine di
contenere l’uso di manufatti di grande percepibilità ed estraneità col contesto; di misura e assonanza con le
caratteristiche morfologiche dei luoghi; occorre che gli interventi proposti si mostrino attenti a porsi in
composizione col contesto per scelte dimensionali dei volumi e per scelte delle caratteristiche costruttive e
tipologie dei manufatti, coerenti con i caratteri e i valori del contesto e della loro percezione visuale; di
scelta e trattamento di materiali e colori dei manufatti, nonché di selezione e disposizione delle essenze
vegetazionali per le sistemazioni esterne, anche ai fini di mitigazione dell’impatto visuale e di stabilire
continuità con le situazioni di immediato contesto alberato; di raccordo con le aree adiacenti, prevedendo
ripristini e compensazioni, particolarmente nelle opere di viabilità o che, comunque, richiedano consistenti
alterazioni del piano di campagna per scavi e riporti” 11.
9
Sono esclusi dalla competenza paesaggistica comunale gli interventi ricadenti nei territori compresi nei Parchi regionali, a meno che
tali interventi vengano realizzati in zone assoggettate, dai Ptc dei Parchi, all’esclusiva disciplina comunale (ad esempio quelle aree
che il Ptc classifica come zone di iniziativa comunale).
10
Dgr. 8/2121, cit.; rispetto alla lett. a) va ricordato che le eccezioni indicate (per le quali la competenza paesaggistica è comunale)
concernono opere riguardanti interventi edilizi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e ristrutturazione da eseguirsi su
edifici esistenti ex art. 27 Lr. 12/2005; a titolo esemplificativo, che nel caso di un intervento di ristrutturazione di un immobile
residenziale posto lungo l’alzaia di uno dei canali indicati nell’elenco e assoggettato a vincolo paesaggistico in base a uno specifico
atto amministrativo (ex art. 136 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) o a vincolo di legge (ex art. 142 del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n.
42), la competenza amministrativa paesaggistica è attribuita al comune territorialmente competente o al consorzio di gestione del
Parco nel caso in cui l’intervento riguardi un’area che il Ptc del Parco non assoggetta all’esclusiva competenza comunale, salvo
comunque il caso che tali opere abbiano una interferenza diretta con il manufatto idraulico (ad esempio un’opera nel sottosuolo che
interessi o interferisca con le sponde o la sezione idraulica del canale medesimo).
11
Dgr. 15 marzo 2006, n 8/2121, recante Criteri e procedure per l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di tutela di beni
paesaggistici in attuazione della Legge regionale 11 marzo 2005, n. 12. Gli allegati prodotti rispetto ai “criteri” sono così
sintetizzabili: A) “Schema di domanda per autorizzazione paesaggistica. Elaborati per la presentazione dei progetti”, contenente tra
l’altro un abaco esemplificativo degli atti ed elaborati minimi richiesti in rapporto ad alcuni tipi di trasformazione; B) “Schede degli
elementi costitutivi del paesaggio”, riassuntive di una sommaria definizione e di indicazioni sul carattere paesistico dell’elemento,
40
1.4.
Dagli stimoli e problemi aperti sui centri storici al metodo di analisi
L’esame fin qui effettuato sull’evoluzione normativa e su alcune esperienze significative ha permesso di
identificare alcuni blocchi logici, utili a strutturare un percorso valutativo in grado d’indagare e restituire la
complessa realtà costituita dai nuclei d’antica formazione; di conseguenza, più oltre se ne articolano i
contenuti per considerare come, nelle realtà urbanistiche indagate, insistano situazioni a cui ci si possa riferire
per fare avanzare la tecnica di classificazione dei centri storici, pur nel riferimento basilare della Lr. 12/2005
e smi che, al suo art. 10, c. 2, chiede al Piano delle regole, “entro gli ambiti del tessuto urbano consolidato”,
di individuare “i nuclei di antica formazione” e di identificare “i beni ambientali e storico-artisticomonumentali oggetto di tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) o per i quali si intende
formulare proposta motivata di vincolo. Il piano delle regole definisce altresì, con riferimento a quanto
stabilito dall’articolo 8, comma 1, lettera b), le caratteristiche fisico-morfologiche che connotano l’esistente,
da rispettare in caso di eventuali interventi integrativi o sostitutivi, nonché le modalità di intervento, anche
mediante pianificazione attuativa o permesso di costruire convenzionato, nel rispetto dell’impianto urbano
esistente, e i criteri di valorizzazione degli immobili vincolati”.
Per il tessuto e patrimonio così identificato, sono poi da identificare alcuni parametri da rispettarsi negli
interventi di nuova edificazione o sostituzione: a) caratteri tipologici, allineamenti, orientamenti e percorsi; b)
consistenza volumetrica o superfici lorde di pavimento esistenti e previste; c) rapporti di copertura esistenti e
previsti; d) altezze massime e minime; e) modi insediativi che consentano continuità di elementi di verde e
continuità del reticolo idrografico superficiale; f) destinazioni d’uso non ammissibili; g) interventi di
integrazione paesaggistica per ambiti compresi in zone soggette a vincolo paesaggistico ex D.Lgs. 42/2004;
h) requisiti qualitativi degli interventi previsti e mitigazione delle infrastrutture della viabilità con elementi
vegetali tipici locali; i) requisiti di efficienza energetica.
Dalle esperienze considerate emergono diversi nodi aperti, sui quali è il caso di soffermarsi per verificare la
bontà sia degli obiettivi assunti in sede amministrativa, sia dell’identificazione fisica dell’area studio, sia delle
variabili e indicatori di ricognizione e classificazione dei caratteri del contesto.
Un primo nodo è rappresentato dall’identificazione del nucleo antico su cui procedere: le esperienze
considerate hanno evidenziato il problema dell’esplicito limite del cosiddetto centro storico rimandando, in
diversi casi, alla sua identificazione attraverso elementi fisici che ne semplifichino il perimetro d’indagine
mentre, in altri casi, è stato il ricorso alle analisi preliminari che ha permesso d’apprezzare il reale portato del
tessuto di rilevanza storica, apprezzando la significatività culturale e morfologica di assetti insediativi
particolari e distinguibili dal resto del tessuto urbano. In ambedue le situazioni, è la lettura della cartografia
storica e, dunque, la stratificazione temporale che ha permesso di riconoscere tessuti omogenei e coevi, in
grado di essere quindi identificati come insediamenti antichi e di valore per la tradizione locale.
Trattare di nucleo storico implica l’individuazione di tutti gli immobili e aree caratterizzate da antica
formazione, e di dimensioni o rilevanza tali da non essere semplicemente catalogabili come manufatti di
pregio da tutelare; si pone l’opportunità/necessità di distinguere i borghi storici, spesso insediamenti di
maggiori dimensioni, dagli aggregati minori che possono risultare particolarmente numerosi e distanziati
nello spazio rurale.
sugli elementi di vulnerabilità e di rischio, e sulle categorie di trasformazione compatibili; si distinguono così gli elementi costitutivi
del paesaggio, ossia i) infrastrutture, viabilità e rete idrografica artificiale; ii) elementi del paesaggio agrario e strutture verdi; iii)
sistemi insediativi (Insediamenti di versanti e di terrazzo, Insediamenti di sommità, Insediamenti di fondovalle, Insediamenti
d’altura, Insediamenti rivieraschi, Insediamenti con case isolate, Insediamenti con case a schiera, Insediamenti con case a corte,
Borgo, villaggio); iv) tipi edilizi (Tipi a schiera, Tipi a corte, Tipi in linea, Tipi a torre, Edifici monofamiliari isolati, Tipi specialistici
e di uso pubblico, Edifici di archeologia industriale); v) materiali ed elementi costruttivi; C) “Modelli per provvedimenti
paesaggistici autorizzativi e sanzionatori)”; D) “Rapporto annuale sullo stato del paesaggio”, da redigersi considerando innanzitutto
i caratteri paesistici degli ambiti assoggettati a tutela, illustrando sinteticamente le valutazioni degli effetti indotti sul paesaggio dai
provvedimenti di autorizzazione rilasciati, da effettuarsi rispetto agli obiettivi di qualità paesaggistica indicati negli strumenti di
pianificazione territoriale; in allegato al rapporto vanno, divise per tipologia d’intervento, le schede riassuntive dei provvedimenti
paesaggistici.
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Lr. 12/2005: Individuare i nuclei di antica formazione
e i beni ambientali e storico/artistico/monumentali
Nuclei di antica
formazione
Beni oggetto
di tutela
Identificazione dei beni
ambientali, storici, artistici
e monumentali
Formulazione di
una motivata
proposta di vincolo
Identificazione
del nucleo
storico
SI
Il nucleo storico è
chiaramente definito
negli strumenti di
pianificazione vigenti
o previgenti?
NO
SI
Esistono immobili/beni di
pregio non vincolati?
Analisi del grado di stratificazione storica del tessuto;
identificazione di beni caratterizzati da valore ambientale o
storico/monumentale; analisi dei caratteri morfologici o di
pregio insiti nel patrimonio
NO
Analisi del tessuto
finalizzata a
individuare caratteri di
valore storico,
culturale e
paesaggistico
Il primo blocco logico è quindi relativo al “dove” operare in materia di nuclei d’antica formazione, quesito
che solleva il problema (ancora aperto nel dibattito scientifico) del cosa s’intenda per centro storico12;
Il tema del riuso è costantemente associato, negli interventi più recenti, a quello della mera conservazione
degli immobili di pregio e valore storico/tradizionale; per garantire, quindi, la continuità non solo temporale
ma anche stilistica e morfologica del tessuto, fondamentali sono gli interventi di “restauro urbanistico”.
Un secondo blocco è legato al motivo dell’interesse verso il tema dei nuclei d’antica formazione: la
riflessione fin qui emersa ha evidenziato la necessità d’intervenire sul centro storico per evitare fenomeni di
degrado del patrimonio fisico così come di degenerazione del tessuto socio-economico. Le aree dei centri
urbani, indipendentemente dalle loro dimensioni insediative, sono state assoggettate al calo generalizzato di
residenti a cui s’è molto spesso accompagnato il degrado del patrimonio fisico e strutturale; sulle cause del
fenomeno s’è assai riflettuto, addebitandolo all’influenza assunta dall’espansione edilizia e dal consumo di
suolo agricolo fuori dai centri abitati che, a colpi di piani attuativi, hanno progressivamente eroso spazi fino a
poco tempo prima rappresentativi del paesaggio agrario lombardo e nazionale, ponendo le basi per il
progressivo svuotamento di nuclei storici sempre più associati a memorie d’obsolescenza quando non di
insalubrità e di miseria. È il caso allora di riflettere sui caratteri delle dinamiche che, nel tempo, hanno
coinvolto i centri storici e due sono stati, sostanzialmente, i fenomeni alla base dei cambiamenti
socio/demografici fatti registrare: da un lato il fatto che tali centri siano stati il luogo di prima immigrazione,
il che ha fatto sì che la popolazione non disponesse di risorse materiali o culturali tali da preservare il
patrimonio costruito; dall’altro i processi di apprezzamento della rendita nelle aree centrali, che si sono poi
innescati, hanno espulso quei ceti meno abbienti. Da molti dei casi esaminati emerge come, oggi, il
La legislazione lombarda introduce al riguardo due questioni separate, riguardanti l’una l’identificazione del nucleo storico, l’altra
gli immobili e beni vincolati, con la possibilità – tramite il Piano delle regole – di avanzare motivate proposte per nuovi vincoli.
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sovraffollamento degli spazi centrali abbia lasciato posto a un sempre più marcato sottoutilizzo del
patrimonio edilizio, cui sovente s’è accompagnato un processo di degrado fisico del costruito.
Finalità degli interventi
sui nuclei di antica formazione
Condizioni attuali del
nucleo storico
I caratteri fisico/strutturali
dello spazio costruito
presentano evidenti
condizioni problematiche?
NO
Analisi del patrimonio
edilizio e degli spazi di
fruizione collettiva,
mirata a individuare
situazioni
problematiche e
indicatori di degrado
SI
SI
I caratteri socio/economici e
demografici del centro
presentano evidenti dinamiche
problematiche?
Preliminare
assunzione di obiettivi,
e linee d’indagine
Riscontro di situazioni
problematiche o
potenzialmente tali
Assunzione di obiettivi e
azioni di ripristino,
mitigazione e rilancio del
tessuto
NO
Analisi del tessuto, da
effettuarsi rispetto alla
distribuzione e struttura
della popolazione residente,
e alla configurazione di
servizi e attività
extraresidenziali
Ma può individuarsi un terzo blocco, quello della qualificata dotazione informativa
Rilievo fenomenologico
Rilievo gestaltico
Rilievo topologico
Lettura fisica del dato reale
Lettura concettuale mutuata
dall’esperienza
Lettura temporale e spaziale
delle relazioni tra gli oggetti
Individuazione dei caratteri distintivi
per ogni unità urbana
Le schede di rilevamento sono state utilizzate in numerose esperienze di pianificazione di centri storici,
rivelandosi un momento fondamentale per la raccolta d’informazioni e la costituzione della banca dati:
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Indagine della condizione
d’un nucleo di antica formazione
Assetti interni al centro storico
Il nucleo storico è stato già coinvolto da studi mirati in
seno agli strumenti di piano vigenti o previgenti?
SI
NO
Preliminare acquisizione degli esiti
delle analisi condotte
Identificazione degli ambiti tematici di
potenziale approfondimento, anche in
riferimento agli indirizzi di pianificazione a
scala locale e sovralocale
Assunzione di unità d’indagine per la
spazializzazione dei fenomeni indagati
Censimento della banca dati utilizzata
Ricognizione delle banche dati
disponibili, organizzazione della banca
dati generale, eventuali interventi di
ampliamento e completamento degli
strati di conoscenza a disposizione
(fattori fisico/morfologici,
socio/economici, demografici, etc.)
Caratterizzazione dei
fattori fisico/strutturali
Caratterizzazione delle
unità d’indagine rispetto
alle variabili ed indicatori
assunti
Assetti e dinamiche delle
attività extraresidenziali
Dinamiche e
caratterizzazione degli
aspetti socio/economici e
demografici
Configurazione del
sistema dei servizi e degli
spazi collettivi
Confronto tra gli esiti dell’indagine e le eventuali indicazioni emergenti da analisi pregresse
Un quarto argomento emerso riguarda l’identificazione di unità spaziali definite: nel caso lombardo, ciò è
indispensabile all’approfondimento dei parametri e variabili ex Lr. 12/2005, art. 10, c. 3.
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Spazializzazione dei fenomeni indagati
Individuazione di unità spaziali
d’indagine
Esistono unità d’indagine derivabili da studi pregressi ?
SI
NO
Stima del grado d’idoneità alla
spazializzazione delle variabili
esaminate
Verifica delle possibili unità d’indagine
utilizzabili, derivanti da documenti di
pianificazione
Particelle catastali
Unità immobiliari da afg
Altre unità
Stima del grado d’idoneità alla
spazializzazione delle variabili e
indicatori da considerarsi in
riferimento alla normativa vigente
Identificazione delle unità
utilizzabili per georeferenziare
i fenomeni indagati
Articolazione delle unità d’indagine a
diverse scale territoriali
Macroscala
Mesoscala
Microscala
SI
Il grado d’idoneità è tale da permettere
analisi, valutazioni e classificazioni rispetto
agli obiettivi d’indagine?
NO
SI
NO
Rielaborazione ed eventuale
disaggregazione/aggregazione delle unità
d’indagine preliminarmente assunte
Le nuove unità sono adatte alla
spazializzazione di tutte le variabili ed
indici relativi agli obiettivi d’indagine
assunti?
Dopo ulteriori analisi sul grado d’idoneità degli ambiti così identificati, potrà sembrare opportuno costruire
nuove unità d’indagine, più consone ai fenomeni riconosciuti; considerando come la più parte delle variabili
e indicatori esaminati sia orientata alla struttura fisica dell’edificio e alle sue relazioni coi fattori sociali,
demografici e economici dell’insediamento, sovente le unità d’indagine s’esauriscono nelle particelle
catastali o in quelle identificate da aerofotogrammetrico; per esemplificare si richiama il caso di Bologna,
dove le modalità operative d’intervento sono state previste per singole unità catastali13 o, in alternativa, per
più unità catastali, comparti e sub-comparti. Gli “oggetti d’intervento”, intendendo in questo senso le
aggregazioni di materiali costruttivi, diversamente composti e assemblati, che costituiscono i manufatti
edilizi assoggettati all’intervento; nell’ordine crescente, sono stati così formalizzati: (a) l’elemento costruttivo
(manufatto elementare dotato di una propria funzione strutturale o di servizio), (b) l’organismo costruttivo
(manufatto complesso, composto cioè di diversi elementi costruttivi, dotato di una propria funzione connessa
all’agibilità dell’edificio in relazione agli usi cui è destinato); (c) l’unità immobiliare (insieme organico di
tutti gli organismi costruttivi finalizzati a un uso specifico e differenziato); (d) il fabbricato (insieme di tutti
L’intervento per singoli edifici è consentito nei casi in cui il complesso architettonico interessato dall’intervento rientri nelle
categorie 1a e 1b (complessi soggetti a restauro con vincolo assoluto e con vincolo parziale); per le categorie 2a, 2b, 3a, l’intervento
singolo è consentito solo nei casi in cui gli edifici interessati si trovino fuori dai limiti che definiscono i comparti urbanistici previsti
dal piano.
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gli organismi costruttivi e/o di tutte le unità funzionali costituenti un organismo edilizio unitario e
morfologicamente compiuto); (e) il comparto (insieme di tutti i fabbricati e aree pubbliche e private
necessarie per la realizzazione di un intervento di ristrutturazione urbanistica unitario). Le unità così
individuate in via provvisoria, possono poi subire delle modifiche nei casi in cui si riscontrino incompatibilità
rispetto alla spazializzazione dei fenomeni. Un ulteriore approfondimento va effettuato rispetto al “come”
condurre le analisi sul patrimonio fisico e relazionale e sulla conformazione dei rapporti tra spazio e
popolazione (configurazione della rete di servizi e spazi collettivi, modalità connesse all’abitare, dinamiche e
assetti delle attività extraresidenziali); nello schema seguente si colloca la rappresentazione del passaggio
dalla conoscenza dei fenomeni all’individuazione dei modi d’intervento sullo spazio costruito e al
riconoscimento di particolari valori, disvalori e rischi dello spazio relazionale. Un ultimo riferimento è ai
possibili soggetti interessati da interventi sul patrimonio edilizio o, più in generale, sull’assetto del sistema
insediativo:
Specificazione degli interventi e delle linee strategiche
Declinazione delle modalità d’intervento e
delle linee d’azione nel nucleo storico
(a) Indicazioni derivanti dalla normativa in
materia di classificazione degli interventi
operabili sul patrimonio edilizio
(b) Strategie sostenute dall’amministrazione
rispetto a caratteri di valore, disvalore o
rischio insiti nel nucleo storico
Le analisi condotte permettono di ottenere
il portato conoscitivo necessario per
sviluppare i due punti (a) e (b)?
NO
Impostazione di ulteriori analisi
ed approfondimenti per
implementare la banca dati
SI
Individuazione di modalità d’intervento
rispetto allo spazio costruito
Spazializzazione di fenomeni/fattori
di valore/disvalore/rischio
nello spazio relazionale
Confronto degli esiti analitici prodotti con quanto rinvenuto dalla pianificazione
previgente e dagli studi/approfondimenti pregressi rispetto alla redazione del Piano
Precedente classificazione
dello spazio costruito
Dinamiche e fenomeni
caratterizzanti il nucleo storico
Analisi delle assonanze e delle discordanze, e conseguente assunzione
di decisioni per classificare il nucleo rispetto agli assetti
fisico/strutturali, socio/economici e demografici, ai servizi e spazi
collettivi, alle attività extraresidenziali
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Si considera, in ogni modo, come il ricorso ai Piani di recupero sia stato particolarmente diffuso in passato,
concretizzandosi nella quasi totalità dei casi considerati14; nello schema si riportano alcuni passaggi logici
costitutivi di un’ipotesi di percorso da compiersi in ambito lombardo, per intervenire nei nuclei di antica
formazione. Dopo aver considerato prima i modi di conduzione delle analisi, di articolazione delle unità
spaziali di riferimento e potenziale intervento, di classificazione degli interventi possibili, si considerano in
conclusione i termini dell’operatività effettuando una prima distinzione tra gli interventi sul costruito e le
politiche/strategie non direttamente implicanti modifiche degli assetti territoriali.
Declinazione dei soggetti e delle modalità
per operare nel centro storico
Sono da prevedere
interventi sul patrimonio costruito?
NO
SI
Analisi dei caratteri del patrimonio interessato
Configurazione del costruito
rispetto alle variabili
fisico/strutturali
precedentemente esaminate
Identificazione dell’estensione
dell’intervento e individuazione
degli spazi coinvolti e non
Riferimento a una delle
modalità d’intervento tra
quelle individuate in
normativa
Individuazione
dell’operatore più consono
all’intervento: pubblico,
privato, pubblico/privato
Utilizzo dello strumento o procedura
urbanistica necessari, per normativa, alla
conduzione degli interventi
Intervento nel centro
storico finalizzato alla
conservazione, alla
riqualificazione/ripristin
o, alla trasformazione
degli assetti attuali
Predisposizione e
consegna dei materiali
per l’ottenimento
dell’autorizzazione
paesaggistica
SI
Articolazione di politiche e
strategie volte alla
valorizzazione del contesto,
d’iniziativa pubblica o
concertata con operatori
privati
Per procedere con gli
interventi la normativa
prevede la concessione di
particolari autorizzazioni o la
presentazione di particolari
documenti
a corredo?
Confronto con la Dgr.
8/02121/2006, “Criteri e
procedure per l'esercizio delle
funzioni amministrative in
materia di tutela dei beni
paesaggistici” ex Lr. 12/2005
(ambito lombardo)
NO
In seno alla valorizzazione del patrimonio costruito, del tessuto di pregio, degli strati insediativi e stilistici e
dei beni vincolati per valore storico/monumentale, la gamma d’interventi possibili sulle costruzioni e sullo
spazio fisico pretende di considerare da un lato il carattere degli immobili rispetto agli indicatori analizzati,
dall’altro l’identificazione delle unità spaziali sulle quali è ammesso procedere.
14
Si consideri, a tale proposito, come nei decenni successivi alla ricostruzione postbellica molti interventi nei centri storici siano stati
d’iniziativa pubblica, riguardando molto spesso inserti di edilizia pubblica.