Atti del Convegno - Musei Civici di Pavia
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Atti del Convegno - Musei Civici di Pavia
Giornata di Studi “Toccare e non guardare” disabilità visive e accessibilità ai Beni Culturali. 23 aprile 2010, Castello Visconteo Pavia. Toccare e non guardare. Il progetto pavese FRANCESCA PORRECA. Pavia Musei. Sistema museale di Pavia, del suo Ateneo e della sua Certosa. FRANCESCA PORRECA: Buongiorno a tutti. Io in realtà ho un compito duplice, oggi vi accolgo come conservatore dei Musei Civici e quindi la cornice che ci ospita è quella del contesto museale in cui lavoro e naturalmente vi accolgo come rappresentante di quello che è il Sistema museale di Pavia, del suo Ateneo e della sua Certosa, Pavia Musei che ha dato l’impulso a questo progetto che oggi presentiamo che ha proprio nella ricchezza delle relazioni e degli interventi il punto di forza. Pavia Musei lavora sul tema dell’accessibilità ai Beni Culturali e in particolare su di un approccio multisensoriale all’arte e al contesto museale già da qualche anno. Oggi andremo a focalizzare la nostra attenzione sullo specifico di Toccare e non guardare cioè sul progetto che si sta sviluppando in questo momento, vedremo quali sono stati i punti di partenza anche per noi, cioè quello che è stato il nostro punto di riferimento, la nostra esperienza formativa che è stata fondamentale nel senso che non avremmo potuto approcciare questi temi se prima noi stessi in prima persona non avessimo fatto questo tipo di esperienza. Naturalmente le relazioni proficue con altri musei e con altre situazioni che sono diventate un modello per noi, chiaramente ogni progetto ha la sua specificità e andremo a vedere quella che sarà la specificità del nostro percorso. Un percorso che è aperto che abbiamo cominciato a settembre per quel che riguarda Toccare e non guardare e che stiamo portando avanti tutt’ora, vedendo nella giornata del 15 maggio, nella notte del 15 maggio, la prima presentazione dei materiali che sono stati prodotti e del percorso che scaturisce da questo progetto. Sia io che la dott.ssa Ferrari vi accompagneremo ad analizzare quello che stiamo portando avanti. Questo progetto nasce dalla collaborazione di Provincia di Pavia e Pavia Musei, due realtà che sono fortemente legate al territorio e il nostro obiettivo è quello della creazione di percorsi tattili che prevedono sculture e bassorilievi in terracotta, realizzati a partire dagli oggetti conservati nelle collezioni dei musei e dai monumenti della città. Alcuni delle emergenze della nostra città: in particolare quest’anno saranno il Castello Visconteo e San Michele che saranno oggetto di elaborazioni architettoniche che verranno realizzate dalla sezione geometri del Istituto Volta. Ecco importante è una premessa, una sorta di chiarimento su quelle che sono le tematiche e i concetti che oggi, nel corso degli interventi, verranno affrontati. Intanto accessibilità è un concetto che ha diverse sfaccettature ma che in particolare significa dare a ciascuno la possibilità di approcciare l’arte o comunque il contesto con cui va ad entrare in contatto nel modo a lui più utile e più vicino. Quindi significa dare possibilità molteplici a molteplici visitatori, solo in questo modo ciascuno potrà scegliere avrà modo di trovare ciò di cui ha bisogno. Attraverso questo modo di intendere l’accessibilità e l’accessibilità in particolare del Patrimonio culturale e museale, la disabilità può diventare una diversa abilità, nel senso che forniti gli strumenti giusti il disabile acquisisce la modalità corretta rapportata al suo modo di percepire la realtà. I relatori che parleranno dopo di me entreranno più nello specifico di quello che è la percezione tattile e di come in particolare i non vedenti e gli ipovedenti arrivano a percepire attraverso i sensi più acuiti. L’importante è ricordare che a parte la vista il tatto è l’unico senso che permette di cogliere la forma delle cose e dunque è per i non vedenti uno strumento primario di conoscenza. L’esplorazione tattile permette di cogliere una serie di dati degli oggetti che si vanno ad esplorare. Questi dati sono relativi a forma, dimensione a materia e sulla materia in particolare anche la temperatura e la consistenza dei materiali e la texture. Tutti questi dati concorrono a creare una rappresentazione mentale dell’oggetto che si sta toccando. In questo modo si analizzano i messaggi che attraverso il tatto si percepiscono e passa dal segno della percezione al significato che tutta questa serie di dati rappresenta. Va notato che la fruizione del soggetto è una fruizione creativa. L’esplorazione tattile da cui si parte va ad unirsi all’esperienza e all’emotività e tutto questo insieme di percezioni e sensazioni concorre a formulare l’immagine estetica che inevitabilmente è diversa per ciascuno. Importante è sottolineare che toccare è conoscere, conoscere è rappresentare e rappresentare è comunicare. Quindi attraverso l’esplorazione tattile, attraverso i laboratori tattili, dalla conoscenza si può arrivare alla comunicazione, rappresentazione e comunicazione. In questa direzione va l’impegno che stiamo portando avanti attraverso Pavia Musei. Non avremmo potuto fare questo percorso se non avessimo in prima persona fatto alcune esperienze e stretto dei rapporti con istituzioni che prima di noi si sono sperimentate su questa specifica tematica. Vicino a noi a Milano l’Istituto dei Ciechi offre in permanenza al pubblico l’esperienza di Dialogo nel Buio, un percorso fatto interamente al buio che conduce a sperimentare quella che è la vita reale della città, l’esperienza in un contesto naturalistico, oppure per esempio su una nave in un contesto marino. Quindi tutto quello che il non vedente normalmente sperimenta e percepisce in una serie di contesti differenti. Bologna è stato un riferimento molto particolare. Siamo veramente molto felici di poter avere la Dott.ssa Secchi oggi con noi perché è attraverso il bassorilievo prospettico e quindi la traduzione della pittura in bassorilievo si crea un’esperienza molto particolare di cui lei ci parlerà e che ha avuto riflessi e connessioni in tutto il mondo. Il Museo Omero di Ancona è un museo interamente fatto da sculture da oggetti da toccare. In parte sono riproduzioni e in parte sono originali. Un percorso che abbraccia la scultura , le maggiori espressioni della scultura di tutti i tempi, che rappresenta in modo egregio la storia dell’arte. E poi abbiamo fatto una serie di esperienze di sensibilizzazione che in particolare hanno visto lo scorso anno a settembre del 2009, un’esperienza che è stata molto arricchente che è stata il laboratorio di scultura al buio curato da Felice Tagliaferri. Che è uno scultore non vedente e che ci ha condotti proprio a toccare con mano quello che significa una conoscenza mediata dal tatto. Il laboratorio prevedeva la realizzazione del proprio autoritratto, al buio, da realizzare con la creta e quindi una sorta di riappropriazione di sé della propria individualità mediata dal volto, dalla fisionomia, da tradurre nella creata per persone che tra l’altro non avevano nessuna esperienza artistica di modellazione. È stata un’esperienza davvero molto bella e forse l’esperienza che poi ci ha convinti nell’opportunità di coinvolgere le scuole in un approccio di questo genere anche al materiale e quindi di sensibilizzare proprio a partire dall’atto creativo. Oggi mi piace condividere con voi il video che documenta questa esperienza, il video che riguarda il laboratorio con Felice Tagliaferri. Dura pochi minuti ma credo che sia utile per capire proprio quello che è stato questa esperienza e come ha potuto essere di riferimento per quello che stiamo adesso portando avanti Il laboratorio è stato realizzato all’interno del Castello Visconteo in una delle sale del percorso romanico rinascimentale, la sala della terrecotte, la sala detta della Colombina, una sala che ha uno spazio ampio e che quindi consentiva anche la presenza in particolare del laboratorio. Queste che vedete sono appunto le sculture realizzate da Felice Tagliaferri, uno scultore non vedente dall’età di tredici anni. Questo è l’ingresso del pubblico all’interno della sala. Il pubblico è bendato , quindi entra senza sapere come la sala sia esattamente disposta intorno a lui e dove si trovi. Felice è al centro di questa sorta di U su cui sono disposti i tavoli e ciascuno riceve la creata per lavorare. Il momento è particolare in questo caso perché si prendono i riferimenti del proprio volto, perché la prima cosa è capire la propria conformazione, la propria fisionomia e poi poterla riportare. Quindi prendere dei piccoli riferimenti e riportarli nel lavoro con la creta. All’inizio è una questione di coordinate, di punti di riferimento e poi piano piano la scultura viene modellata. Felice ci ha guidato passo a passo e ha verificato che ciascuno di noi facesse qualcosa di corretto. Ecco da qui primi punti di riferimento si va ad assemblare l’ovale del volto andando ad aggiungere materia laddove necessario. Controllando continuamente quelli che sono i punti di riferimento su se stessi e la creta che si va a modellare. È stata una mattinata intera di lavoro, poi senza vedere anche la percezione del tempo diventa astratta e quindi il tempo scorre in modo diverso. Da questo ovale cominciano a emergere quelli che sono i volumi e quindi piano piano si va a modellare, gli occhi, i capelli, tutti i dettagli che definiscono un volto. La maggior parte dei ritratti che sono stati realizzati li vedete in questa vetrina alla vostra destra così avete modo di vedere quelli che è stato il risultato. Anche questo sarà materiale che metteremo a disposizione per l’esplorazione tattile. questi sono stati i nostri punti di riferimento, la partenza che ci ha condotto poi a sviluppare il progetto Toccare e non guardare. Venendo nello specifico del progetto questi sono gli obiettivi. In prima battuta valorizzare la multisensorialità, cioè l’approccio plurisensoriale. Siamo abituati a vivere in un mondo in cui tutto passa attraverso la visione, la comunicazione generalmente passa attraverso messaggi visivi. Sarebbe importante recuperare una dimensione diversa, una dimensione in cui tutti i sensi concorrono a dare specificità al messaggio. Il secondo obiettivo è quello dell’integrazione perché l’esperienza culturale deve essere vissuta e deve portare ad un’esperienza sociale. È assolutamente fondamentale che ci sia integrazione intanto nel momento della creazione e della progettazione e poi fondamentale nel momento della fruizione. I generi e le destinazioni di questo genere di esperienze non è mai solo per i non vedenti, non è mai solo per i vendenti ma desidera proprio integrare i due gruppi, i due modi di fruizione per dare agli uni e agli altri un arricchimento. Questo porta ad un concetto di fruizione ampliata. Non ultimo la didattica dell’arte inclusiva. Una didattica dell’arte che prevede un momento attivo, non una semplice visione delle cose fatta in modo passivo ma una maniera di vedere, toccare, di sentire che possa essere differente. Ci sono alcune peculiarità legate al nostro progetto, intanto il coinvolgimento di collezioni museali eterogenee tra di loro, storico artistiche come possono essere quelle dei Musei Civici e in particolare la sezione romanica, delle collezioni scientifiche e naturalistiche perché le altre due istituzioni che in particolare sono coinvolte in questo progetto sono l’orto botanico di Pavia che avrà poi un percorso sulle foglie a contatto con gli alberi, col percorso esterno dell’orto botanico. Poi il museo di storia naturale dell’Università di Pavia. Quindi una serie di materiali diversi che però diventeranno fruibili attraverso strumenti comuni e attraverso un procedimento comune. Particolarmente singolare, la collaborazione con l’Istituto Superiore Volta, singolare e fondamentale perché il fatto che siano i ragazzi stessi a creare le sculture che si vanno poi a toccare permette di svolgere allo stesso tempo un’attività di sensibilizzazione per le classi sia di coinvolgerli in modo attivo anche nel processo della creazione. Il tutto naturalmente è stato seguito in modo costante da parte del personale dell’U.I.C. di Pavia che oggi non è presente ma che ci teniamo molto a ringraziare, in particolare il Dott. Stilla che ci ha veramente seguito passo passo, verificato le cose che i ragazzi andavano facendo e che ci ha guidato e ci guida in modo che quanto facciamo sia effettivamente fruibile a più livelli. Quello che andremo ad ottenere sono materiali diversi. Didascalie e schede descrittive in braille e a caratteri ingranditi per ipovedenti, dei file audio scaricabili dal sito di Pavia Musei e quindi una visita che può essere preventiva, preparata a monte e naturalmente la riproduzione delle opere di cui parlavamo e che vedremo in alcune fotografie che per la fragilità dei materiali, in originali non possono essere toccate e naturalmente poi ci saranno i rilievi architettonici dei monumenti che andranno, nel caso del castello ad accompagnare il restante insieme di materiali. Nel caso di San Michele andranno sul luogo stesso e quindi permetteranno una fruizione del monumento diversa. Lascio la parola a Eleonora Ferrari che nello specifico ha seguito le classi e che quindi potrà raccontarci ed esprimerci quella che è stata lì esperienza nel concreto. I materiali saranno presentati per la prima volta al pubblico in occasione della notte dei musei del 15 maggio ma attraverso qualche immagine potremo appressare ciò che è stato fatto. ELEONORA FERRARI: intanto buongiorno a tutti, io sono Eleonora e mi sono prevalentemente occupata della parte del lavoro svolto dai ragazzi. colgo subito l’occasione per ringraziare i due professori che sono presenti qui oggi il Prof. Santagostini per la parte del liceo artistico e il Prof. Peroni per la sezione geometri. Quindi l’importanza di questo progetto a nostro avviso sta proprio nell’averlo svolto con un istituto scolastico perché lo scopo non è solo quello di arrivare ad un risultato concreto, perché appunto dalle immagini potete vedere i risultati sono anche molto soddisfacenti, vedete queste sono alcune immagini che sono state realizzate dai ragazzi del liceo artistico. Appunto sono delle copie delle opere dei Musei Civici della sezione romanica, quindi vedete proprio il repertorio tipico dell’iconografia romanica ma appunto lo scopo non è solo quello di arrivare ad un risultato concreto quindi di permettere ai non vedenti di approcciare l’arte ma ha avuto anche un’altra finalità molto importante, quella di sensibilizzare i ragazzi delle scuole, quindi i ragazzi di quattordici quindici anni a una tematica così importante come quella della disabilità e nel nostro caso della disabilità sensoriale, del non vedere. Cosa abbiamo fatto coi ragazzi. innanzitutto ringrazio i professori che stanno seguendo da vicino il lavoro di questi ragazzi ed è grazie a loro che abbiamo questi risultati. Il nostro intervento è stato anche quello di entrare nelle scuole, di avvicinarci ai ragazzi con degli incontri proprio sintetici ma volti a parlare della percezione visiva, della percezione tattile, delle differenze e delle connessioni esistenti tra queste due tipologie di percezione. E poi questi incontri hanno voluto anche essere un modo per far conoscere a questi ragazzi anche le realtà principali che abbiamo sul territorio nazionale portando proprio degli esempi del museo Anteros di Bologna e del Museo Omero di Ancona. Quindi c’è stata questa L’educazione estetica in presenza di minorazione visiva LORETTA SECCHI Museo tattile di pittura antica e moderna Anteros dell’Istituto dei ciechi Francesco Cavazza parte più teorica e una parte invece più legata all’esperienza. Col gioco, attraverso la tecnica del gioco abbiamo chiesto ai ragazzi di assumere la posizione di statue per poter appunto fare delle esplorazioni tattili, per far sì che i ragazzi vedenti si calassero il più possibile in questa condizione e i risultati sono questi. Questo in modo sintetico chiudo per dare spazio ai nostri relatori però doveroso è l’accenno anche all’attività che da anni è svolta dalla Provincia di Pavia dall’Assessorato alla Solidarietà Sociale e Parità che da anni si occupa di integrazione scolastica di ragazzi non vedenti e ipovedenti. Quindi fondamentale è il ruolo svolto e i servizi che il centro preposto offre proprio perché sono servizi sia di consulenza per gli insegnanti che devono sostenere i ragazzi, quindi dei corsi di formazione ma si realizzano anche degli ausili tiflodidattici per lo sviluppo cognitivo di questi ragazzi. i ragazzi delle scuole primarie realizzano dei testi che poi il centro della Provincia sviluppa trascrivendoli in braille. Invece i ragazzi delle scuole superiori sono dotati di testi anche di storia dell’arte con le scritte in braille e le immagini a rilievo realizzate tramite diverse tecniche come il thermoform o il fornetto. Quindi esperienze molto importanti di cui bisogna tenere conto anche per questa esperienza che sta iniziando oggi ma che si vuole portare avanti anche nel tempo. quindi io ringrazio e cedo la parola ai prossimi relatori. ALESSANDRA VIOLA: segue l’intervento della Dott.ssa Loretta Secchi che è curatrice responsabile del Museo tattile di pittura antica e moderna Anteros presso l’Istituto dei ciechi Francesco Cavazza di Bologna LORETTA SECCHI: buongiorno a tutti. Desidero sinceramente ringraziarvi per questo invito. È un’opportunità importante e significativa per me essere qui e parlare certo del museo tattile dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza ma dire anche quanto è importante il progetto che state costruendo. Questa mattina ho avuto la possibilità di visitare l’istituto tecnico Volta e la sezione del liceo artistico che si sta occupando della realizzazione di alcune opere di età romanica con uno studio propedeutico potremmo dire al concetto di naturalismo, rappresentazione simbolica della realtà in un ottica decorativa e in un immagine dotata di valore estetico attraverso quella che è l’idea di geometrizzazione della forma. E ho notato che nel lavoro di questi allievi e degli insegnanti cha hanno curato questa attività c’è profondità, c’è una riflessione sui modi della visione e quindi anche sulla possibilità di riflettere sulla forma, sull’estensione di senso delle forme e quindi su tutto ciò che le forme comunicano in quella che è la costruzione di un pensiero simbolico. Nella pedagogia speciale delle arti spesso si affronta il tema della coscienza della forma. Quando pensiamo alla vita di una persona che vive in una condizione di minorazione sensoriale pensiamo subito ad una persona a cui manca un senso o a volte due e raramente pensiamo che nonostante ciò che comporta la minorazione la disabilità, ogni forma di creatività nasce come forma di compensazione di qualcosa che non c’è e in questo l’uomo è straordinario. La mente umana è straordinaria perché è in grado di riorganizzare la vita cognitiva, è in grado di compensare quella assenza. Quasi sempre la creatività nasce da un’assenza o da una tensione ce l’insegna l’estetica di tutti i tempi, la storia anche della teoria dell’arte. Allora la riflessione ci deve portare in un terreno non semplicistico e non demagogico. Se effettivamente la dimensione conoscitiva del tatto può essere definita una forma vicariante la vista ecco che il tatto non sostituirà la vista in maniera meccanica ma piuttosto riorganizzerà la vita cognitiva , la vita emotiva della persona vi cariando la funzione della vista parzialmente e in parte riorganizzando il sistema percettivo e cognitivo e intellettuale della persona. La cosa che più stupisce è che questa esperienza la possono fare anche le persone vedenti, perché sono infinite le forme di cecità psicologica che interessano la sfera potremmo dire della normovedenza. Quando l’istituto dei ciechi Francesco Cavazza di Bologna ha attivato nel ’99 ha inaugurato il Museo tattile, in realtà ha accolto un progetto che era nato all’interno di una scuola di scultura, una scuola di scultura di Bologna che collaborava dal ’94 con la cattedra di ottica fiso patologica dell’università, dell’ospedale Sant’Orsola e con l’U.I.C sezione di Bologna. il progetto all’interno della scuola di scultura mirava da una parte al recupero della dignità delle arti applicate e quindi della scultura applicata in quella che era stata la tradizione dello studio del bassorilievo prospettico di derivazione rinascimentale. E dall’altro lato per effetto di una fusione tra pratica e teoria si avvaleva di uno studio di teoria dell’arte volto ad un’applicazione didattica della teoria dell’arte di potremmo dire impianto, impostazione iconografico iconologica di origine anglosassone, alludo proprio al metodo warburghiano e panofskiano. Questo sodalizio tra intenti che miravano in un certo senso al recupero di qualcosa per un utilizzo delle risorse intellettuali culturali funzionali all’umano, è stato il punto di partenza del nostro progetto che voleva rendere accessibile la pittura alle persone non vedenti e ipovedenti. È importante anche dire che le persone non vedenti possono essere non vedenti congeniti, le persone non vedenti possono essere non vedenti acquisite o tardive e le persone che afferiscono all’ipovedenza presentano comportamenti visivi, residui visivi e anche patologie dell’occhio molto diverse con potremmo dire reazioni alla percezione tattile e anche ottica delle forme che possono avvalersi di un buon residuo visivo o meno, che possono avvalersi della possibilità di discriminare i colori o no e questo comporta alcune potremmo dire distinzioni. Necessita una riflessione, una prudenza nell’applicazione alla forma e soprattutto in quell’uso del colore che non sempre è concesso che non sempre è restituivo di una realtà associata appunto all’esperienza estetica dinanzi ad un’opera pittorica. Poiché la prima obiezione che si potrebbe fare a un progetto di traduzione della pittura ad uso delle persone con riduzione dell’acuità visiva e con minorazione visiva è quello dell’assenza del colore almeno per quanto concerne l’utilizzo che noi facciamo del bassorilievo prospettico in assenza di intervento cromatico pur avendo tentato in passato anche trattamenti cromatici. In realtà i tentativi di restituzione dei toni e dei valori cromatici della pittura medievale, rinascimentale, seicentesca e così via ci hanno indotto a non utilizzare il colore per tutti quelli che erano i problemi di percezione confusiva che spesso l’uso di colori che ne potevano essere sempre necessariamente contrastati determinavano. Poiché nella condizione dell’ipovedenza il contrasto può essere discriminato in alcuni casi ma finisce per essere un tradimento ulteriore rispetto all’opera originale. Laddove la traduzione dei valori di forma e di spazialità può essere invece meglio restituita in una modellazione plastica di un prototipo in creta che tenga conto dei piani di posa, di quei valori di forma e di quei valori prospettici non ultimo che costituiscono e compongono la comprensione della spazialità anche nella persona vedente e quindi anche nella persona non vedente se quella persona non vedente può esplorare il bassorilievo e decodificare quei valori di forma ma questo comporta uno studio approfondito, scientifico del rapporto che sussiste tra valori ottici e valori tattili. Uno studio approfondito che mira ad indagare la tattilità dell’occhio e l’otticità del tatto. Per coloro che si occupano di scultura Hildebrand, Adolfo Hidelbrand può essere un punto di riferimento. In realtà la teoria della tattilità dell’occhio nasce nella teoria di fine ‘800 ed è la possibilità per tutti di riflettere su che cosa sia la funzione scansionale, il comportamento di scansione che l’occhio attua nel momento in cui si appropria dei volumi. Ma è chiaro che la pittura come il bassorilievo prospettico di origine rinascimentale impone l’esame del punto di vista esterno al soggetto osservato ed è qui che inizia il processo potremmo dire di acquisizione della forme esperite nel rispetto della parzialità indotta dalla percezione ottica stessa che è celebrata nella pittura e che va comunicata alle persone non vedenti in modo non semplicistico e in modo quindi tecnico ma non per questo algido, non per questo estenuante e non per questo stressante. La traduzione plastica di un dipinto parte quindi dalla mutazione di un qualcosa che esisteva già. Il bassorilievo prospettico di origini rinascimentali inaugurato da Desideri di Settignano da Antonio Rossellino, nello stiacciato anche di Donatello. Il tentativo di importare nella scultura la scoperta della prospettiva come rappresentazione mentale della spazialità organizzata matematicamente. Ecco allora che la traduzione del dipinto in bassorilievo prospettico implicava all’interno di un istituto dei ciechi, riflettere però anche sulle funzioni della tiflodidattica e sull’esigenza di sposare le arti applicate, il recupero di un’artigianalità, a quella che è invece una dimensione pedagogica afferente alla tiflologia quindi a un discorso sui sistemi di comunicazione didattica ad uso delle persone non vedenti. Nel rispetto delle soglie tattili e nel rispetto di una valida qualità della percezione tattile volta a facilitare la ricostruzione mentale di quanto esplorato. Qui vedete un’opera, il duca Federico da Montefeltro, questa è un’opera di Piero della Francesca. La traduzione in bassorilievo prospettico, creta cotta, in terracotta quindi e l’intervento le frecce azzurre indicano i sottosquadri che sono in realtà, diventano linee guida che permettono la rotazione delle mani, quindi l’uso del taglio della mano oltre che del palmo e delle dita, nella motricità delle dita, per sviluppare un’esplorazione dinamica in grado di ricostruire il senso della volumetria tutto tondo pur contratta nella visione prospettica che è anche schiacciamento dei volumi che è già concettualizzazione. La creazione di un bassorilievo prospettico professionale richiede uno studio preliminare dell’opera d’arte che deve essere riprodotta in scala, quasi sempre in scala ridotta, ma non sempre, e deve tenere conto di non eccedere nelle dimensioni perché non avvenga una dispersione, una dispersività nella lettura. Ovviamente si parte da un lucido, le tracce vengono riportate su un piano, questa vedete è la Madonna del Ricamo di recente tradotta in bassorilievo, opera del ‘300 emiliano. La tracciatura del disegno avviene su un piano di creta fresco, si procede con la costruzione dei volumi per aggiunta, ovviamente nella costruzione dei volumi si elabora l’unità di misura di profondità che corrisponderà ad una relazione tra le parti dell’opera più aggettanti e quindi idealmente più vicine all’osservatore e quelle lontane dall’osservatore. La forma, in questo caso una Vergine di origine, questa è opera emiliana però l’iconografia è di origine bizantina, è una Vergine operosa col Bambin Gesù. Si costruirà la relazione spaziale tra i due soggetti e ovviamente si procederà nell’indagine, nell’analisi dei dettagli per la restituzione il più possibile fedele ma non dimentichiamoci che ogni traduzione è un tradimento e che mai come nella traduzione della pittura noi dobbiamo comprendere che la distanza tra traduzione e originale non è annullata ma solo ridotta. Questo principio, questa unità operativa che deve guidare ogni azione di chi opera nella trasposizione di valori ottici in valori tattili ci deve essere anche la consapevolezza del grado di tollerabilità della variabile e delle variante rispetto all’originale. Ci sono casi, come nel caso di questa Vergine, in cui ad occhio nudo non è possibile vedere ogni dettaglio per esempio della decorazione della veste e nemmeno il filo di seta che parte dalla cruna dell’ago e che anzi dal lembo di tessuto sale in quell’azione che la Vergine compie di sollevare l’ago per ricamare la tunica della passione da destinare al Cristo. Con un esame a raggi ultravioletti è stato possibile rilevare la tracciatura del disegno e da lì partire per una filologica del disegno della decorazione. In altro modo non sarebbe stato possibile introdurre gli elementi decorativi della veste se non con il rischio di inventare qualcosa che non si può e non si deve inventare. Quindi la traduzione in questo caso potremmo dire è stata un’integrazione anche per le persone vedenti, una sorta anche di ricostruzione del senso che aveva questa iconografia, essendo questa immagine della Vergine operosa della Madonna del ricamo di Vitale da Bologna per lungo tempo stata confusa con altre immagini devozionali che non tenevano conto però dell’identificazione del soggetto iconografico. Non vedendo il filo non si capiva cosa stesse facendo questa Vergine e anche la postura delle mani, elegantissima, nel modello francesizzante di Vitale era giudicata quasi in un ottica estetica priva di senso e non ricondotta alla funzione di un gesto. Il Prof. Marco Marchesini che realizza i bassorilievi al’interno di uno staff più ampio che prevede la presenza dello storico dell’arte, dello scultore e del tiflologo, dei test svolti da persone non vedenti esperte nell’elaborazione e nella verifica della qualità, della leggibilità di questi bassorilievi, realizza questi bassorilievi come dicevamo in materiale che può essere, le tecniche della modellazione sono quelle tradizionali, quindi la lavorazione della creta. Il prototipo è in creta poi da lì si ricava uno stampo in gomma siliconica all’interno di una camicia di contenimento di gesso, nel caso di quest’opera c’è stato un contro stampo in gesso nel quale sono stati ricavati i dettagli e quindi con minuzia e precisione le decorazioni della veste, poi la copia può essere in gesso alabastrino, apprezzabilissimo al tatto, oppure in gesso resinoso o in vetro resina. In vetro resina soprattutto per i musei perché la vetro resina permette una manutenzione meno impegnativa. Ma se riflettiamo su che cosa significhi vedere un’opera pittorica trasformata in valore plastico ecco che allora diventa fondamentale riflettere su quella scienza che è la scienza dell’esplorazione tattile. l’esplorazione tattile è come pensare un movimento. Non è soltanto un fatto meccanico per cui noi chiudiamo gli occhi come normovedenti, poniamo le mani su un rilievo su una forma e ci appropriamo di questa forma restituendo e ricostruendo la geometria, magari facendo sì che questa geometria regolare possa essere ricondotta ad una geometria regolare, non è solo questo. Pensare in movimento significa in qualche modo avere già nell’azione tattile una traiettoria, seguire movimenti, seguire potremmo dire percorsi selettivi che abbiano qualcosa di iconico, che mirino a ricostruire la forma. Ma per fare questo è importante individuare i punti di contatto tra percezione ottica e percezione tattile. Da qui il valore della guida, non perché la guida debba sempre sussistere. La guida è un invito a rispettare una modalità, è un invito ad accogliere un modello da imitare. Imitare un modello, ce lo insegnano i grandi maestri, non significa imitazione pedissequa ma piuttosto imitazione di una modalità e allora le mani che esplorano seguono in un certo senso percorsi selettivi dell’occhio tradotti in percorsi selettivi della mano. In modo che i percorsi della mano non siano clone dei percorsi selettivi dell’occhio ma siano piuttosto una meditazione sulla forma esattamente come quando con l’uso di una pila laser, io posso guidare i vostri occhi nel percepire per esempio il legame che esiste tra la Vergine e il Bambino in questa relazione di sguardi o nella rotazione dei volti. Seguire con gli occhi un puntino rosso determinato da un laser non significa essere prigionieri di una modalità ma piuttosto mettersi in ascolto di una modalità. Ecco allora che la presenza di una scheda didattica in cui il linguaggio sia usato nelle sue funzioni colmative, descrittive, evocative, studiato nella pulizia di una descrizione che prima di tutto deve garantire all’esplorazione tattile una qualità dell’esplorazione organizzata. Un’organizzazione dell’esplorazione, in un secondo momento una cognizione della forma, in un terzo momento un’estensione di senso di quanto si è esperito al tatto. Dovete sapere che la storia dell’arte ma soprattutto la teoria dell’arte della prima metà del ‘900, fra gli anni ’30 e gli anni ’40, nella qualità della teoria dell’arte di scuola anglosassone panofskiana elabora tra gli anni ’30 e gli anni ’40 un metodo. Il modello tripartito panofskiano è un modello che noi potremmo definire parente della semiotica e in un certo senso della psicologia cognitiva. Forse questi grandi maestri non lo sapevano ma nella loro forza del pensiero vi è anche questo la trasversalità dei saperi. Quando Erwin Panofsky, tra gli anni ’30 e gli anni ’40, negli Stati Uniti è costretto a sistematizzare il proprio pensiero attorno all’interpretazione dell’opera d’arte, muove da un livello di pura percezione, per passare ad un livello di identificazione del soggetto, per approdare ad un livello di estensione di senso del tema. In sostanza lui crea tre livelli non irrelati ma correlati e nemmeno propriamente sequenziali. Comunque parla di un livello preiconografico, livello iconografico e livello iconologico. E dice il livello pre iconografico è un livello, è una sorta di ilomorfismo cioè di percezione della materia in una forma. Per esempio io vedo un cavallo e un cavaliere e non dico subito che questo è San Giorgio, che questo è il destriero del Santo Giorgio, però vedo questo uomo che monta a cavallo e che sta quasi per essere disarcionato da un cavallo che rovescia l’incollatura e sembra appunto impennarsi. Ma la prima cosa che dico è cavallo, uomo, donna, drago, rupe, sfondo. L’enunciato è qualcosa di semplice, di ridotto potremmo dire ma se scopro che questa è un’immagine ageografica e quindi è la rappresentazione di un santo, San Giorgio, automaticamente sono costretto a comprendere il senso di questa rappresentazione, in quella che è una cultura dottrinale, allora scoprirò che la relazione cavaliere e drago è la relazione di conflitto, di opposizione che potrà anche risolversi in una conciliazione. Non solo quindi vedo il cavallo e il cavaliere ma vedo una parte della storia della cristianità. Se vado oltre posso vedere l’estensione di senso dell’immagine, quindi l’idea di un conflitto in atto e di una ciclicità potremmo dire di una rotazione in cui noi avvertiamo una sorta di relazione senza soluzione di continuità. Un’estensione di senso simbolica di quel soggetto, il diritto a un pensiero simbolico va garantito a tutti poiché la persona con minorazione sensoriale o con disabilità, non può essere consegnata al puro pensiero pragmatico. È questo che la pedagogia speciale delle arti deve considerare. Per questa ragione è importante riflettere sulle parentele che sussistono tra i percorsi che noi facciamo seguire alle persone vedenti per capire dal livello della forma il livello dell’estensione del contenuto. Una composizione complessa come questa in cui la prospettiva è empirica, ma non è una prospettiva naturalistica, non c’è verosimiglianza, le mani potranno seguire le linee di forza, le direttrici e riorganizzare il pensiero attorno all’espressività di questa composizione, accogliendo anche l’idea che qui si mette in scena una spazialità simbolica, non propriamente naturalistica. Allora il vero problema è intendersi sulla complessità della prospettiva che è forma simbolica che è concettualizzazione della tridimensionalità e che praticamente nella percezione tattile quotidiana di una persona non vedente congenita non esiste, non vi è esame delle esperienze prospettiche, non vi è possibilità d attraversare l’esperienza dell’aberrazione ottica, dell’illusionismo ottico generato da infinite possibilità prospettiche che il mondo delle arti visive offre. Importante però sarà intendersi sul significato della prospettiva, sulla sintassi, mettere in relazione parti, collegarle tra loro, stabilire relazioni, individuare un punto di vista e quindi un osservatore esterno che vede una porzione di realtà. In questo senso allora la prospettiva diventa qualcosa di più. Non è un esercizio di stile, non è un’estenuante sforzo cognitivo ma diventa una riflessione sulla spazialità e sulla compresenza di elementi, sulla convivenza degli elementi. Per fare questo è anche importante partire dalle proiezioni ortogonali, dalla visione dall’alto, zenitale, dalla visione frontale, dal prospetto e questo richiede una didattica della costruzione della forma e della sua proiezione ed è un lavoro astratto che dobbiamo seguire attraverso l’uso di materiale fisico, di sussidi didattici. Solidi, come vedete in questo caso. Questa è un’applicazione didattica con una persona che ha perduto la vista a dodici anni e che ha chiesto di sviluppare una conoscenza delle proiezioni ortogonali per meglio apprendere le modalità di visione prospettica, in scorcio prospettico, afferenti a diversi stili nella storia dell’arte a partire dal ‘300 per arrivare al ‘700. l’esperienza svolta in Giappone, ormai nel 2002, ma però protrattasi fino all’ottobre scorso, una collaborazione che ha dato frutti davvero significativi anche sul piano di una interazione di culture, è nata da un confronto tra l’istituto nazionale dell’educazione speciale del Giappone il MISE. Dopo un seminario di studi , è stato possibile avviare da parte dei ricercatori giapponesi per lo più pedagogisti ma vi erano anche teorici e storici dell’arte, uno studio delle varianti e dei modelli di percezioni tattili, guidati e autonomi. Poiché i ricercatori giapponesi volevano capire fino a che punto fosse effettivamente legittima la guida a contatto di una persona che orienta un’altra persona non vedente nella conoscenza di una composizione pittorica o comunque di una composizione. Giustamente quello che interessava loro era capire costanti e variabili, movimenti indotti e economie tattili che emergono dall’interno anche dopo pochi minuti di esperienza di esplorazione tattile. La cosa è stata utilissima per noi perché il livello, altamente anche tecnologico di questi studi, ci ha permesso di essere sottoposti ad uno sguardo clinico, critico ma scientifico. I risultati sono stati questi che ora vediamo. Con una ragazza, una tiflologa non vedente congenita, siamo partiti da una guida analitica a contatto, non avevo mai visto questa persona, lei non aveva mai toccato il bassorilievo che era esposto nella sala preposta a questa esperienza. Dalla lettura a contatto, mano su mano, siamo passate a una lettura semi contatto, fino ad una lettura a distanza, una guida a distanza solo verbale. All’inizio non sarebbe stato possibile perché senza fornire degli orientamenti delle organizzazioni, delle mani che per esempio dovevano recuperare il movimento serpentinato di Venere posta al centro della composizione, senza l’aiuto del movimento bimanuale che doveva far sentire lo spostamento dei venti, la sospensione di Zefiro e Clori e per esempio la posizione retrostante rispetto a Venere, il vento insufflato che spinge Venere a riva. La ninfa Ora che leva il mantello, senza un’organizzazione del movimento sarebbe stato difficile distinguere anche tra un prima e un dopo e quindi identificare la sequenza. Ma fornite alcune indicazioni, questa tiflologa ha cominciato a muovere le mani con una motricità delle dita sempre più sicura, pervenne proprio alla direzionalità delle dita volte a sentire tutte le rese fluttuanti anche irreali della postura di Venere al punto che un’altra persona non vedente congenita giapponese quindi pensate anche allo scarto culturale di fronte alla stessa Venere assumendo in una propriocezione la posizione del precario equilibrio di Venere ha intuito il senso di questa postura, accettando lo scarto logico, il fatto che poi che questa Venere fosse stata rappresentata da Botticelli come priva di peso specifico. Ecco il pensiero simbolico. Allora attraverso questa esperienza siamo pervenuti alla traduzione di alcune stampe giapponesi. La Grande onda di Hokusai, i giapponesi dicono il monte fuji visto dalla costa di Kanagawa, c’è un’assenza di interesse per la grande onda. Sono due modi diversi di intendere la percezione rispetto anche a ciò che noi riteniamo prioritario. L’incontro è stato importante con i giapponesi perché ci ha permesso di codificare i modelli di traduzione. Altra opera tradotta con la collaborazione giapponese: Okita. È un’opera di Hutamaro categoria bi ginga sempre sezione del mondo fluttuante. Qui il problema era la specularità. Un volto visto allo specchio e la presenza di uno specchio che dobbiamo simulare con il plexiglas ovviamente una superficie piatta che viene rimossa per permettere alla persona non vedente di leggere il doppio dentro allo specchio. L’analisi di alcuni dettagli, il concetto di peso specifico e di assenza come vedete viene fatto anche con simulazioni sulle mani. Per esempio le mani di questa persona sono le mani di una persona vedente. Questo è uno studioso responsabile della sezione didattica della National Gallery di Washington nella quale abbiamo collocato un’opera delle nostre proprio il Duca da Montefeltro. Ma l’esperienza che io ho fatto con alcune persone non vedenti giapponesi è sul concetto di forme, di forza è stata interessantissima perché lì veramente la costruzione dell’iconismo del gesto ci riportava a riflettere sulla teoria di Arnheim per cui il gesto ricostruisce il disegno, insito in un’opera , in una forma. Quindi l’iconismo del gesto è fondamentale anche per capire per esempio certe espressioni prospettiche estremamente esasperate. Il Compianto sul Cristo Morto del Mantegna è un esempio di prospettiva addomesticata se vogliamo, molti sono gli studi che dimostrano questo, che richiede alla guida e alla persona non vedente guidata che poi legge in una condizione di autonomia di scompattare idealmente la statura di quel Cristo che nella visione dai piedi viene visto in forte scorcio prospettico, contratto, scorciato e quindi assolutamente compattato. Allora le tecniche per esempio di movimento delle dita sul sudario implicano un tempo dell’esplorazione che restituisce il senso della forma e ne permette anche nella dilatazione temporale c’è anche la dilatazione del senso della forma. È anche vero però che l’esplorazione tattile non può essere affidata solo alla tattilità fine ma necessita di interventi cinestesici e propriocettivi acquisizione di posture, esperienza diretta sul proprio corpo delle contrazioni muscolari per imparare a rappresentare mentalmente quelle che sono le potenzialità del movimento, della percezione corporea interna e delle configurazioni che i nostri arti assumono nello spazio. Il caso di Alessandro, persona non vedente acquisita, è il caso di una persona che studia in questo caso il bassorilievo di Orfeo e Euridice, Orfeo dinnanzi a Plutone, questa è un’opera tratta da un affresco di palazzo Te. Assumendo la posizione di Euridice, di Caronte anche di Orfeo e che poi ritrova nell’esplorazione tattile gli stessi elementi. Un modo per intenderci per rafforzare il senso della forma il suo significato posturale appropriandosi fisicamente di quella stessa posizione e quindi rinforzando con l’azione cinestesica e propriocettiva quella che sarà la cognizione delle linee di contorno e i volumi che costruiscono quella stessa forma nell’opera pittorica tradotta in bassorilievo. Ecco Alessandro che assume la posizione di Caronte. La collaborazione con Palazzo Te finalizzata all’accessibilità delle sale di Palazzo Te ad uso delle persone con minorazione visiva ha richiesto la traduzione di nove scene in affresco. Qui vedete la realizzazione del cavallo Morel favorito, oppure per esempio Ariete e la costellazione della nave delfino. Qui vedete dei test di leggibilità condotti da una persona non vedente acquisita Ha richiesto anche di elaborare un linguaggio della traduzione volto a far sentire le variazioni stilistiche da una pittura di Giulio Romano afferente ai modelli pompeiani pur essendo manierista fino al vero e proprio manierismo come quello che possiamo ammirare nella Camera dei Giganti sempre ovviamente di scuola di Giulio Romano e allievi. La traduzione di questo crollo e di questa caduta dei giganti, come vedete le mani sono molto piccole davanti a questo bassorilievo perché il bassorilievo doveva restituire il gigantismo, ha imposto una riflessione sull’affastellarsi dei corpi e quindi su questo senso di saturazione che all’occhio è restituito nell’osservazione, che all’occhio viene dato, l’occhio riceve questo senso di saturazione e di crollo e così le mani, le dita devono ritrovare questi elementi che vanno però accompagnati da una descrizione, una descrizione progettata con un’audioguida che guida le persone all’esplorazione dei bassorilievi, ha tenuto conto di un livello di descrizione potremmo dire base e di un livello di descrizione di approfondimento con testi tratti dalle Metamorfosi di Ovidio che avevano come compito quello di rinforzare l’informazione poetica dell’esperienza estetica vissuta all’interno della dimora gonzaghesca. Questo invece è il plastico della camera dei giganti come potete vedere, funzionale a comprendere l’architettura ma anche la difformità e la complessità del disegno e degli affreschi che offrono una visione quasi virtuale. Uno degli ultimo progetti realizzati è la traduzione dell’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci, svolta su richiesta della Fondazione Città Italia in collaborazione con l’Istituto per i Ciechi di Milano. Questa traduzione, noi speriamo che venga esposta alla fine di maggio i primi di giugno, ha richiesto un lavoro molto complesso, addirittura sette mesi di lavorazione perché il problema era riuscire a restituire anche quelle parti che in realtà nell’opera leonardesca sono quasi illeggibili. Quindi l’integrazione doveva comunque tenere conto di un rigore filologico. La costruzione del bassorilievo è stata fatta in due parti e per offrire una maggiore accentuazione dei valori plastici e prospettici creati dalle direttrici che ci permettono di esplorare il luogo all’interno del quale si svolge l’ultima cena. Le tecniche di guida nell’esplorazione tattile possono essere tante ma soprattutto è importante ricordarsi che le persone non vedenti sono eccellenti guide. Nel momento in cui nasce una funzione inclusiva, una didattica inclusiva, anche la formazione degli operatori è inclusiva e giocata sull’integrazione ed ecco che una persona non vedente che abbia una buona conoscenza delle forme e del suo significato può guidare tranquillamente altre persone, vedenti e non vedenti. I laboratori di modellazione della creta sono altrettanto importanti per una verifica delle funzioni cognitive dell’esplorazione tattile ma anche per un’attivazione di stimoli che conducano all’ideazione. Dicevamo che la creazione di una forma è presa di coscienza della forma è restituzione del senso della forma. Ecco che quello che fanno gli allievi del liceo artistico possono farlo anche le persone non vedenti. In fondo il nostro museo è un piccolissimo spazio, fondamentalmente un laboratorio all’interno del quale noi cerchiamo di offrire alle persone non vedenti le possibilità di esplorazione di conoscenza dello stile, conoscenza delle categorie della rappresentazione che nel loro significato possano essere estese ad una cultura più ampia e alla possibilità di comunicazione di concetti spaziali, relazionali in realtà che coinvolgono altri aspetti della vita e dell’esistenza. In fondo un’esperienza anche introspettiva questa ma i laboratori hanno anche funzione cognitiva, di verifica cognitiva. Nel senso che noi osserviamo lo scarto che c’è tra l’immagine pensata e l’immagine creata. E in quel procedimento, nel trasferimento nel trasmettere le modalità di costruzione delle geometrie essenziali elaboriamo un sistema di comunicazione dei concetti spaziali. Lo stesso discorso può essere fatto per l’educazione estetica dei bambini ma non dimentichiamo l’esperienza con i bambini muove non tanto dalla copia di opere d’arte ma piuttosto dal dare forma al pensiero. Ed ecco il lavoro che svolgiamo nel laboratorio con i bambini ipovedenti e non vedenti. Abbiamo bambini di cinque anni non vedenti congeniti per i quali la creazione è ripresentazione. Si può dire che arrivare al cuore del significato delle azioni espressive significa forse arrivare al cuore, significa forse arrivare al significato più profondo dell’intelligere, un cuore intelligente è un cuore che sa percepire le emozioni ma le sa elaborare anche come esperienze di vita, come conoscenza a partire magari dalla tenera età e in modo anche inconscio come dev’essere. L’acquisizione dello schema corporeo muove dalla conoscenza del manichino. Per ragazzi con autismo in presenza di cecità congenita, ma attenzione l’autismo non è, i tratti autistici non vanno confusi con un vero e proprio autismo. Ma quando ci sono tratti autistici ecco che il contatto, la tattilità, l’educazione al contatto, l’educazione alla manipolazione divengono fondamentali forme funzionali anche a affrancare la persona da alcune stereotipie anche gestuali, autointrattenitive. Tutte le tavole propedeutiche al concetto di stile romanico, gotico servono in un certo senso a far intendere il concetto di proporzione e sproporzione, per capire meglio come l’arte sia trasfigurazione della realtà. Così di fronte al Kouros greco, al Bronzo di Riace per le persone non vedenti congenite anche di una certa età può essere importante l’incontro con la costruzione, con il recupero della coscienza e della sensibilità corporea. E infine tutta la didattica propedeutica è un passaggio dalla realtà alla rappresentazione, rapporto tra oggetto reale, oggetto reale in finzione. Quindi rappresentato a tutto tondo e poi proiettato su un piano. Le dieci dita, i giochini, gli animaletti che vengono calzati come guanti sulle dita, servono ad aiutare i bambini piccoli alla motricità, a rendere gioiosa anche l’esperienza di appropriazione della tattilità fine, della motricità nella tattilità. L’esperienza di esplorazione è fondamentale per i bambini anche normovedenti proprio per aiutarli ad ascoltare la forma e non solo a sviluppare un linguaggio in una forma più equilibrata. Le verifiche della cognizione, ricostruzione mentale dell’immagine quindi attraverso il laboratorio di modellazione della creta, possono essere anche aperte a persone con pluriminorazione ed è il caso della sordo cecità. Allora ci si deve avvalere della lingua dei segni resa tattile, la List. In questo caso vi sono due canali inibiti, quello dell’udito e quello della vista. ma la costruzione del linguaggio dei segni che già di per sé è iconico e imitativo di certi fenomeni di realtà, trova rispondenza dell’esplorazione del bassorilievo nella costruzione della copia. Toccare la scultura e l’architettura non è appannaggio del museo Anteros e invece afferisce al museo Omero di Ancona. Ho portato solo poche immagini. Il trasferimento alla Mole Vanvitelliana permetterà al Museo Omero di essere un vero e proprio manuale di storia dell’arte ad uso delle persone non vedenti. Volevo citarlo proprio perché mi sembra giusto spiegare l’importanza di questa istituzione unitamente a un museo che è sorto da poco, è un percorso tattile che è sorto all’interno dell’antiquarium arborense ad Oristano in Sardegna. Questo percorso è in realtà il risultato dell’elaborazione dei modelli didattici del museo Omero di Ancona e del nostro museo di Bologna. il risultato è un percorso eccellente. Anche qui il coinvolgimento dell’istituto d’arte di Oristano è stato prezioso. Come al museo Omero di Ancona come per la nostra esperienza bolognese, questo per dire che quando si coinvolgono forze vive e quindi anche quando la didattica viene orientata ad una funzione sociale essa in un certo senso approda a una funzione e non c’è cosa migliore per le arti che essere utile all’umano. ALESSANDRA VIOLA: adesso invitiamo a parlare la Dott.ssa Anna Targetti dell’ Associazione V.A.M.I. di Milano. Il V.A.M.I. è un’associazione dalla lunga storia se non erro nasce alla fine degli anni ’70 quindi ha una ricca esperienza che nasce dalla volontà di avvicinare tutti all’arte e ai musei. ANNA TARGETTI: mi chiamo Anna Targetti faccio parte del V.A.M.I. L’attivazione di feder V.A.M.I. è una federazione di associazioni di volontari per i musei percorsi guidati italiani e attualmente è attiva a Milano, a Varese e a Roma e a Milano tra tattilità e svolgiamo anche servizi per i non vedenti. Subito nell’’82 a Milano si è descrizione. costituito un gruppo di lavoro al fine di organizzare servizi ai musei per i ANNA portatori di handicap. La realizzazione di due questionari inchiesta, uno TARGETTI diretto ai direttori dei musei milanesi, l’altro all’associazione organismi di Associazione assistenza alle persone handicappate. Si è mostrata molto utile per la V.A.M.I. Milano possibilità di una programmazione di visite guidate per le diverse tipologie di handicap. In seguito a questa esperienza, lo studio approfondito di iniziative analoghe già realizzate da volontari all’estero, dal 1985 l’attività di questo gruppo di lavoro si è orientata verso lo studio e l’elaborazione di un programma specifico per i non vedenti al fine di aprire un mondo loro precluso quello dei musei, risvegliando anche in loro nuovi interessi ed offrendo in tal modo la possibilità di arricchire il loro bagaglio culturale grazie alla conoscenza delle opere d’arte per mezzo dell’esperienza tattile per un approccio alla scultura. Molti motivi hanno indicato il Museo del Duomo come il più indicato per avviare questa iniziativa. Perché, per la sua collocazione al centro di Milano, per l’assenza di barriere architettoniche, per l’omogeneità della tematica ma soprattutto per l’importanza della sua collezione costituita per la maggior parte da sculture in marmo datate dalla fine del XIV secolo a tutto il XX secolo provenienti dalla cattedrale, dove sono state sostituite da copie, e custodite al museo per motivi di restauro e conservazione. La calorosa adesione del direttore del museo l’architetto Brivio a questa iniziativa e la sua competenza in materia artistica e storica ha reso possibile la realizzazione del progetto di un approccio all’arte per i non vedenti attraverso le opere del Museo del Duomo con visite guidate alle sculture. Sottolineo questa adesione dell’architetto Brivio, allora non era molto facile proporre delle visite tattili alle opere dei musei. Come si è svolta la formazione per lo svolgimento delle visite tattili. Per giungere ad una metodologia per le visite tattili per non vedenti il lavoro del gruppo si è avvalso di una formazione specifica sotto la guida di una tiflologa e di una insegnante non vedente dell’istituto dei Ciechi di Milano per le cognizioni che noi non avevamo, per l’approfondimento di psicologia riguardanti i non vedenti, studio e verifica del linguaggio tridimensionale della scultura. Abbiam visto adesso dall’esposizione della dott.ssa Secchi l’importanza, la difficoltà di percepire bene, le tecniche di tattilità per accompagnare, guidare la mano del non vedente nella scoperta dell’opera. l’importanza della descrizione verbale che rende accessibile l’informazione visiva a persone non vedenti e ipovedenti. L’appropriata descrizione verbale accompagnata dall’esperienza tattile aiuta la persona non vedente a concepire le immagini mentali durevoli delle opere che non può vedere o che può vedere solo parzialmente. Infine abbiamo preso la corretta modalità per una visita tattile, attraverso un procedimento che si articola in quattro fasi progressive di una tipologia didattica. Una fase anticipatoria che consiste nell’esame tattile di una piantina in rilievo del museo, se non esiste descrizione del percorso museale, perché il non vedente concepisca dov’è, in che luogo è e che cosa lo circonda. Fase descrittiva, la descrizione di ogni sala espositiva con tutte le sue caratteristiche, storiche artistiche, culturali, le dimensioni, la percezione sonora importante per l’esplorazione dello spazio. Poi la fase più importante è la fase partecipativa che loro avevano chiamato inclusiva, cioè quando si rende protagonista il visitatore. Vale a dire l’esplorazione tattile delle singole opere del percorso, l’operatore didattico accompagna il visitatore di fronte all’opera fornisce informazioni essenziali tratte da schede didattiche e collabora all’indagine, guida le mani del non vedente nell’esplorazione della scultura, risponde alle sue domande e lascia al visitatore il tempo di impiegare il suo tempo nelle identificazioni delle posizioni, delle forme, dei particolari facilmente rilevabili. Una fase, l’ultima fase, evocativa. Al termine del percorso si rievocano le opere viste e si fa un’eventuale verifica del percorso svolto riesaminando la piantina del rilievo. Questo per aiutare ancora il ricordo delle visite svolte. Si è passata ad una fase pratica del progetto sotto la guida de direttore del museo, con la consulenza della tiflologa e dell’insegnante non vedente. Un sopralluogo al museo del Duomo al fine di selezionare quindici opere di scultura considerate particolarmente significative dal punto di vista artistico, e facilmente leggibili tattilmente grazie alle loro dimensioni. Si è vista l’importanza che non superino certe dimensioni, alla collocazione che non fossero in alto e al loro stato di conservazione anche. Le opere custodite al museo del Duomo sono tutte originali e quindi che fossero leggibili. Oltre alle statue è stato anche ritenuto interessante prendere in esame elementi architettonici, particolari del gotico, particolari dei pinnacoli poiché richiamano la forma della guglia. In seguito allo studio del materiale storico artistico, ambientale inerente al museo si è proceduto alla stesura di schede didattiche con date informazioni essenziali da fornire al visitatore relative alle opere da esplorare nel percorso tattile. quindi le indicazioni dell’autore, opera, provenienza, tecnica, materiale, dimensione e tematica, processo creativo. Le modalità della visita tattile al museo: accoglienza all’ingresso, presentazione dei volontari V.A.M.I. ai visitatori, cenni sul museo, assegnazione dell’accompagnatore, nelle visite varie c’è sempre una guida per ogni fruitore non vedente. La lettura della piantina a rilievo del museo. Arrivati alla lettura delle opere il visitatore viene accompagnato davanti all’opera, si fa la descrizione verbale dell’opera, seguendo le indicazioni delle schede didattiche, l’esame tattile, primo approccio: il visitatore lascia una mano sulla sommità della statua come punto di riferimento e con l’altra mano inizia l’esplorazione per rendersi conto delle dimensioni, del volume, della posa. Bisogna calcolare il tempo necessario perché si sviluppi quell’elemento di reciprocità propria del tatto tra la mano e l’oggetto toccato. Il visitatore è libero di impiegare il suo tempo nella scoperta della forma, dei particolari. L’operatore didattico collabora all’indagine, guidando soprattutto all’inizio e qui anche dipende dal grado di tattilità e di manualità del visitatore. Quindi o lo si accompagna sempre o si danno le indicazioni all’inizio. Quindi guida le mani nell’esplorazione, fornisce le informazioni essenziali, risponde alle eventuali domande ma permette al visitatore e lo stimola anche nello scoprire liberamente gli elementi e i particolari facilmente rilevabili dell’opera. la lettura tattile viene facilitata evidenziando i particolari iconografici che identificano il personaggio: San Pietro le chiavi. Si indugia nell’esplorazione del viso, particolarmente naso bocca, rughe che ne determinano l‘espressione. Si indugia anche sulla scoperta dei drappeggi che lasciano trapelare le linee del corpo, un ginocchio che sporge, una torsione del busto. A titolo di verifica si invita eventualmente il visitatore ad assumere la posa della statua, basandosi sul ricordo dell’esplorazione tattile. si usa un linguaggio semplice ed esatto che non crei confusione ma che aiuti a memorizzare quanto viene esaminato. Si cerca una tecnica verbale di stimolo per provocare domande, dando spazio verbale al visitatore senza interromperlo, usando una dizione chiara, equilibrata e con brevi interruzioni per agevolare l’apprendimento. Alle domande fatte evitare di rispondere con risposte elaborate e retoriche. Si procede poi al confronto e all’identificazione degli autori delle opere, dei differenti stili e delle epoche. È un museo ordinato in senso cronologico e quindi si cerca man mano il drappeggio com’è diverso da quello di prima, la posa com’è. È prevista una sosta a metà percorso in una sala dotata di poltroncine, prevista per una pausa di riposo e per l’esposizione di cenni storico-artistici che riguardano la costruzione del Duomo e i relativi seicento anni di storia della città, aneddoti e risposte ad eventuali domande. Durante la visita si osservano le reazioni dei visitatori, si indaga sulle sue conoscenza per adeguare la spiegazione. Le sculture attraverso il piacere tattile di notare alternanze di vuoti e pieni, di linee convesse, concave, spigoli, fregi, permettono conoscenze diverse ma non meno importanti di quelle riservate ai vedenti. Le statue del Duomo sono tutte opere originali, sapere che l’opera che si sta toccando è uscita direttamente dalle mani di un artista e magari di un artista famoso vissuto secoli fa trasmette un’emozione che va al di là del piacere tattile. circa i tempi dell’esplorazione tattile noi sappiamo che la percezione visiva coglie l’oggetto nella sua globalità permettendo un immediato riconoscimento e lo analizza in un secondo tempo. la percezione tattile dopo una prima esplorazione rapida dell’oggetto, lo analizza nei particolari ed ha bisogno del tempo per memorizzarli per costruire l’immagine. Al termine di una visita tattile al museo del Duomo, visitatori non evidenti hanno espresso il desiderio di una visita ad una pinacoteca. In seguito ad un incontro a Brera con il soprintendete nel febbraio ’96 è stato approvato il progetto di visite guidate per non vedenti alla Pinacoteca di Brera. Sono stati selezionati quattro capolavori del Rinascimento italiano per il percorso didattico: la Pala di Urbino di Piero della Francecsa, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, la Pietà di Giovanni Bellini e il Cristo Morto di Mantegna. Si è costituito un comitato scientifico di esperti italiani e stranieri ed è nato il progetto Pinacoteche per visitatori non vedenti. Il gruppo di lavoro con la consulenza tiflologia del Prof. Luca Bergamaschi, si è dedicato a questo progetto che ha come finalità la fruizione delle opere di pittura dei musei da parte dei visitatori non vedenti. Si tratta quindi di un percorso di arte figurativa. Le opere d’arte sono scelte secondo criteri di notorietà, evidenza del disegno, accessibilità, attrazione. La metodologia è finalizzata all’esperienza di un accesso agli stili, alle tematiche, contenuti, alla prospettiva, allo spazio ed alle dimensioni delle opere da parte dei fruitori non vedenti per mezzo di specifici strumenti didattici elaborati ed utilizzati dagli operatori V.A.M.I. per la minorazione visiva. si è pensato la pittura è bidimensionale, noi la trasmettiamo come elemento bidimensionale. Contrariamente alla metodologia della visita tattile dove un’immediata verifica tattile segue l’esposizione verbale e serve a rafforzare un’immagine mentale, la metodologia della visita alle opere d’arte visive si avvale della descrizione verbale come principale strumento didattico d’informazione visiva. per i fruitori non vedenti elemento essenziale per l’interpretazione di opere bidimensionali al fine di aiutare le persone non vedenti ad elaborare immagini mentali permanenti. La modalità della descrizione verbale è la seguente: linguaggio chiaro, efficace, sintetico. Informazione dettagli limitati a criteri di essenzialità. In seguito alla descrizione generale, descrizione dei dettagli specifici, iconografia, iconologia. Messa in evidenza del rapporto tra la totalità dell’opera e le sue parti. Una rigorosa obiettività per non influenzare il fruitore, una particolare attenzione a segnali di distrazione, se necessario si modificano i tempi e le modalità dell’informazione. Anche qui si provocano domande per eventuali chiarimenti. Il lessico per la descrizione della pittura: nella descrizione delle opere d’arte pittoriche alle persone non vedenti la specificità dei termini è importante, parole con un significato figurativo ambiguo possono venire equivocate e non avere il corretto significato interpretazione. La luce cade su un oggetto. La spiegazione di termini artistici che si riferiscono a fenomeni visivi che non offrono nessun punto di riferimento al non vedente, primo piano, sfondo prospettico, vanno chiariti. Per esempio la prospettiva: spiegare che la prospettiva è un modo di proiettare l’illusione del mondo tridimensionale su di una superficie bidimensionale. Si spiega che per rendere la dimensione spaziale tutte le linee parallele vanno a convergere in un punto unico posto all’orizzonte chiamato punto di fuga. Per aiutare la comprensione si possono fare analogie con il suono: allontanandosi dalla fonte sonora i suoni si indeboliscono e svaniscono. Allontanandosi dal primo piano gli oggetti rimpiccioliscono sino a svanire. Anche qui si ricorre alla ripetizione rappresentativa: il fruitore sarà facilitato nella conoscenza della collocazione, posizione, espressione delle figure del dipinto se ne assumerà la posizione. Ognuno è a conoscenza del proprio corpo quindi può ottenere risultati chiarificatori. I tempi: uso del tempo equilibrato, controllo della velocità dell’eloquio, uso di particolari misure del tempo. per l’informazione generale sull’opera d’arte, tempo abbastanza rapido. Per le descrizioni dettagliate, interpretazioni complesse, ci vuole il tempo necessario affinché vengano recepite più lentamente, il fruitore non vedente possa formarsi un’immagine mentale sulle indicazioni comunicate. Naturalmente gli operatori didattici metteranno a disposizione dei fruitori il tempo necessario per eventuali domande e chiarimenti. Non è secondaria la voce di chi descrive che deve avere un tono chiaro, calmo, vario. L’interesse di chi ascolta viene mantenuto anche variando la velocità dell’informazione. Il punto di arrivo della descrizione verbale è l’immagine mentale, ossia l’organizzazione e l’elaborazione delle informazioni che riceviamo visivamente per una presentazione verbale delle medesime. L’obiettivo è quello di creare un’immagine chiara e comprensiva per una persona non vedente. Le schede didattiche relative ai quattro dipinti del percorso di Brera, sono state espressamente elaborate secondo questo schema. Primo l’accesso per la conoscenza dell’opera, autore, titolo, data, tecnica di esecuzione. Queste informazioni di base forniscono ai visitatori non vedenti le stesse informazioni disponibili per i visitatori vedenti e collocano l’opera in un contesto storico e stabiliscono una base per molte informazioni seguenti. Seconda voce delle schede: la lettura dell’opera d’arte, contesto storico, politico- culturale, le tematiche, il soggetto, l’iconografia, la lettura delle immagini. Si passa poi alla interpretazione delle immagini, l’iconologia per una elaborazione dell’immagine mentale permanente, i personaggi, le espressioni, azioni. Infine il contesto architettonico, ambientale, spaziale, la prospettiva, lo stile. Al termine della descrizione verbale, segue l’esame tattile di diagrammi in rilievo relativi ad ogni dipinto espressamente elaborati che permettono al visitatore non vedente di verificare tattilmente quanto memorizzato nel corso dell’ascolto ed ha come scopo quello di mettere a fuoco posizioni, espressioni, movimento e azione dei personaggi, la collocazione degli oggetti, eventuali simmetrie, configurazione delle forme e degli elementi che determinano lo stile dell’opera d’arte e costituisce un valido aiuto per capire il problema della prospettiva. Io ho portato questi quaderni, tavole. Abbiam visto che l’uso del tatto non è un comportamento spontaneo si impara a toccare ad esplorare usando le due mani e tutte le dita per affinare la sensibilità per una buona interpretazione dei disegni in rilievo e per poter giungere alla fine ad una valutazione estetica. Ed infine il problema del colore, come già detto dalla dott.ssa Secchi, il cieco congenito non ha la possibilità di comprendere la descrizione di un colore, anche i riferimenti ad altri tipi di sensazioni analoghe non sono sufficienti. Colore caldo , colore chiaro ma il cieco non sa concretamente cosa vuol dire chiaro o bianco. Ma sa che esistono i colori e la pittura è fatta di colori, sa che esistono i rapporti tra i colori. Il mondo è a colori, quindi nella descrizione di un dipinto i colori vengono menzionati perché è un’informazione cognitiva che deve essere fornita al non vedente. Come per le visite tattili è prevista la presenza di un operatore V.A.M.I. per un visitatore non vedente. Il volontario accoglie il visitatore e lo aiuta nell’esame tattile della piantina del museo come per le visite tattili. Descrizione del museo, storia, contesto architettonico. Si accompagna poi il visitatore davanti al dipinto scelto dove sono già pronte delle poltroncine perché è lunga la descrizione verbale dell’opera e perché si ha la possibilità di tenere sulle ginocchia queste tavole in rilievo. Siccome la tematica è per i quattro dipinti uguali si fa una breve introduzione del Rinascimento che sarà poi utile per verificare degli elementi architettonici, gli abbigliamenti. Ascolto della descrizione verbale, esame dei diagrammi in rilievo. Dopo una lunga esperienza di questi servizi possiamo concludere che l’elemento base per la fruizione delle opere d’arte da parte dei non vedenti è il rapporto individuale di un volontario con un non vedente che è un rapporto che provoca e facilita la comunicazione e la spontaneità durante la visita Un altro “vedere”: Dialogo nel Buio. guidata. Non c’è lo stesso numero di tavole, dipende dall’opera. sempre la prima tavola rappresenta la visione del dipinto, vale a dire il dipinto come lo vede il vedente e poi si passa man mano alle tavole seguenti. Dove c’è la prospettiva la tavola che aiuta alla spiegazione della prospettiva. Questo è il dipinto del Cristo morto. Si incomincia a far vedere, perché importante, la forma del quadro e si danno le dimensioni. Questo è anche importante perché per esempio sono diversi, non è necessariamente tutto uguale. Lo sposalizio della Vergine è una tavola centinata. Questo è il Cristo morto come lo vediamo noi. Questa è un’esercitazione sulla base della prospettiva appunto rinascimentale e battiamo molto quando si parla del Rinascimento sulla prospettiva, delle nozioni della prospettiva e si aggiunge che questo è di più è una cosa, che è uno scorcio. Quindi si spiega anche che cos’è lo scorcio. Per cui la parola stessa scorcio viene da scorciato perché la figura viene scorciata quindi viene in un certo modo appiattita per cui non è reale la rappresentazione ma dai piedi che sono in primo piano non si va lontano ma tutto viene appiattito. E con questa tavola si enfatizza il mento che viene appiattito in questa posizione. In una posizione normale si vede il naso qui invece si vedono le narici perché il volto viene portato in su. Il drappeggio non è uniforme ma fa notare come nelle statue, il ginocchio. Naturalmente poi ci sono i fori delle mani, dei piedi che ci indicano com’è la posizione. Naturalmente è più accurata. Poi c’è un particolare del volto bellissimo del Cristo reclinato. La posizione del corpo è innaturale ma i lineamenti del volto malgrado il mento portato in su è bellissimo. Ed infine come sarebbe senza la prospettiva, cioè come si presenta un corpo sdraiato. Per cui prima hanno già avuto la descrizione della prospettiva, la spiegazione. Raffaello ha voluto rappresentare una scena all’aperto con dei personaggi in primo piano e il tempio lontano. In questa rappresentazione si spiega che i personaggi in primo piano sono alti come il tempio perché abbiam visto che allontanandosi le figure rimpiccioliscono. Qui i personaggi sono più alti del tempio vuol dire che il tempio è molto lontano e questo dà già un’idea. Quando poi si vede la tavola della prospettiva, il discorso è analogo al Cristo morto. Com’è in realtà la distanza e nella realtà quant’è distante il tempio. Questo è l’osservatore, questo è il cono visivo nostro, questa è la pavimentazione della tavola. Questi sono i personaggi, questi semini, questi puntini è la grandezza dei personaggi e questa è la grandezza del tempio, quindi come prima lo scorcio e poi la realtà e qui come nella realtà se non ci fosse la prospettiva sarebbe così. La prospettiva invece ce lo dà nell’altro modo e così lo stesso nella pala di Pieo della Francesca. Qui sembra che l’uovo sia sopra la Madonna e invece l’uovo è a diciotto metri. Questa cosa è possibile per il gioco della prospettiva e anche qui si va a vedere che se non ci fosse la prospettiva sarebbe così la situazione. ALESSANDRA VIOLA: grazie per aver condiviso l’interessantissima esperienza del V.A.M.I. adesso passiamo ad un’altra esperienza altrettanto interessante con il dott. Franco Lisi dell’Istituto Ciechi di Milano. Il dott. Lisi è il coordinatore di Dialogo nel Buio. Difficile riassumere in poche parole cos’è Dialogo nel Buio perché nasce da una mostra però poi le iniziative di Dialogo nel Buio si sono sommate e sono diverse, ma lascio al Dot. Lisi l’esposizione. FRANCO LISI: Buon pomeriggio, buona sera a tutti. Dialogo nel Buio è la volontà dell’Istituto dei Ciechi di Milano attraverso la sua dirigenza attraverso la sua direzione. Qui con me c’è l’avvocato Picheta che è il FRANCO LISI segretario generale dell’istituzione nonché responsabile amministrativo, Istituto dei Ciechi organizzativo, dirigente anche di Dialogo nel Buio. Attraverso le guide, i di Milano ciechi che operano insieme a tutto lo staff di Dialogo nel Buio, cercano di restituire alla cittò di Milano, all’opinione pubblica, a tutti voi quello che tutti voi ci date. Io penso che tutti noi vorremmo avere le competenze, le scientificità di Loretta, la passione della signora Targetti. Queste persone c’hanno dato tanto, queste persone nel tempo e nella storia dell’istituto dei ciechi di Milano. Io ho vissuto un’esperienza con il Cenacolo di Loretta e ho avuto modo di capire e non soltanto di riconoscere attraverso la sua didattica, le sue parole ma attraverso la sua passione, ho goduto in qualche modo di quello che può essere un’opera d’arte. Noi vogliamo attraverso l’esperienza di Dialogo nel Buio restituirvi questo. Ma come? Perché Dialogo nel Buio? Perché noi siamo qui rispetto al problema, al tema dell’accessibilità ai musei, siamo qui a parlarvi di Dialogo nel Buio. Che cosa c’azzecca. Io in questo intervento vi invito a focalizzare l’attenzione su due parole chiave che sono Dialogo e Buio. Ecco noi oggi quando parliamo di Dialogo nel Buio, se dovessimo dare una definizione di questa cosa, di questo evento, ecco dico subito che non è un museo. Voi non immaginate di andare a Dialogo nel Buio a conoscere una realtà, un patrimonio storico, architettonico, artistico, non è questo, non è un museo Dialogo nel Buio. Non è neppure una simulazione della cecità, non è venire a far finta di far qualcosa che voi non siete, di far finta di essere ciechi, non è questo l’invito. Oggi purtroppo si usa far finta di essere qualcosa che non si è o far finta di fare qualcosa che magari non abbiamo le competenze per fare qual qualcosa. È e qui le definizioni si sprecano, gli slogan sono tantissimi, però è una mostra che non mostra perché ovviamente qui entra in gioco l’elemento buio, non si vede con gli occhi, non si mostra guardandola, non si mostra da sé. È una mostra, è un percorso inteso come viaggio, come camminamento. È un itinerario che si fa, c’è un inizio e una fine. È un piccolo viaggio, è un messaggio sociale perché attraverso questa situazione, questo momento si possono trasferire tantissime cose, tantissimi messaggi, tantissime derivazione con tante sfaccettature. È un messaggio in qualche misura culturale. È una forma molto efficace di sensibilizzazione, quindi attraverso questa esperienza si ha la possibilità di capire, di comprendere tantissime cose. È un’esperienza sensoriale, mi vien da dire io ho imparato qui che per fortuna ci sono altre persone che la pensano come me che tolta la vista non rimane solo il cuore. Tolta la vista rimane anche il cuore perché ci sono i sentimenti, sicuramente col sentimento si dà a tutto un colore, una qualità, guai quindi se nella vita non ci fosse sentimento. Ma tolta la vista rimane una persona che ha studiato, che magari ha delle competenze che ha gli altri quattro sensi, che ha il tatto, che ha l’udito, che ha l’olfatto che ha il gusto. Soprattutto rimane una persona che è capace di pensare, quindi il buio non impedisce alle persone di pensare e questo è un qualcosa che dice quanto è importante l’elemento scientifico. Noi attraverso questa azione di sensibilizzazione vogliamo anche recuperare questo aspetto, la scientificità. È un luogo Dialogo nel Buio in cui si mettono in discussione le certezze, gli stereotipi, i pregiudizi. Ecco è un luogo in cui si incontrano delle persone, è un’esperienza umana. Allora Dialogo che avviene nel buio. Dialogo e buio, queste sono le due parole chiave. Dialogo perché, oggi abbiamo parlato di accessibilità soprattutto come fruire, come apprezzare un’opera d’arte. Voi sapete come il concetto di accessibilità allargandolo è un concetto molto vasto. Oggi è l’accessibilità all’arte è un po’ un top è un ragionamento che si può fare a livello d’elite. Ma noi abbiamo ancora dei problemi di accessibilità quando parliamo di orientamento di movimento, l’accessibilità alle nostre città, l’accessibilità all’informazione, l’accessibilità alla tecnologia. Come oggi utilizzare al meglio la tecnologia, l’accessibilità ai siti web. Oggi viviamo nella società dell’informazione, della globalizzazione, dell’immagine, la società in cui tutto è immediato, in cui tutto virtuale. Oggi voi sapete che nella comunicazione dialogica e non gli elementi visivi giocano il 55%, gli elementi facciali, la mimica, l’espressività facciale. Ecco poco spazio e sempre poco spazio è lasciato all’elemento verbale, all’elemento para verbale vale a dire la parola. Allora noi vogliamo ridare attraverso questa proposta che cosa? Tanti spunti, tante provocazioni, tanti elementi di riflessione perché voi, i nostri figli, i ragazzi di oggi, domani saranno esperti di storia dell’arte, saranno tanti Loretta Secchi, saranno tanti ingegneri, tanti architetti, tanti sviluppatori di siti web. Saranno speriamo validi politici. Allora le riflessioni, gli spunti che passano attraverso l’esperienza di questo tipo sono davvero tanti perché oggi bisogna capire, bisogna provare non a fare i ciechi ma a entrare in contatto con i ciechi perché nonostante i media, nonostante il fatto che oggi sappiamo tutto di tutti, ancora oggi ci rendiamo conto che sradicare uno stereotipo, un luogo comune, un pregiudizio è ancora qualcosa che a livello generale, di opinione pubblica è un’azione ch va fatta. Oggi ci rendiamo conto che ancora tante sono le persone che pensano che i ciechi non sappiano salire le scale, che i ciechi si sposano solo fra ciechi, che i ciechi addirittura non possano mai vivere da soli, che non riescono a gestire il proprio quotidiano, la propria autonomia personale. C’è ancora tanta strada da fare e noi pensiamo di dire alla gente, guardate che i ciechi possono studiare, oggi frequentano le scuole comuni, che possono grazie a tecnologie si aprono nuovi scenari, nuove professioni. Noi ci rendiamo conto con i 350 mila visitatori che in quattro anni hanno visitato Dialogo nel Buio, che ancora davvero siamo all’ A B C che davvero questo è un modo per poter dire e far capire che la vista è sì un condizionamento è un avere in meno qualcosa perché comunque essere ciechi significa non avere la vista quindi con tutto quello che si può immaginare come conseguenza, ma proprio grazie a questa consapevolezza, la conoscenza, la percezione di questo limite ecco che diventa anche un punto di forza, può diventare un punto di forza che a quel punto si lavora sullo sviluppo dell’intelligenza emotiva. Voi sapete che non è solamente il quoziente intellettivo ad essere parametro utile per misurare l’intelligenza ma sono tutte le altra abilità quindi la capacità di gestire le nostre emozioni, la capacità di porsi degli obiettivi, di sognare, nonostante quei momenti di frustrazione, di sconforto, di incertezza. Ecco è questa capacità che oggi fa la differenza. Allora noi vogliamo dire alle persone e le persone che vengono a trovarci se ne rendono conto, trasmettere questa forza questa energia, questa capacità di andare avanti nonostante tutto. Noi vogliamo trasferire questa nostra forza, questa nostra consapevolezza, cioè l’idea che essere ciechi significhi avere qualcosa in meno ma questo avere qualcosa in meno deve essere necessariamente compensato da questa forza d’animo, da questa intelligenza, da questa cultura, da questa voglia comunque di andare oltre il limite. Ecco dicevo prima che in questa società della comunicazione, in questa società di una cattiva comunicazione, in questa società del virtuale, bisogna anche recuperare la capacità, il significato dell’ascolto. Oggi voi sapete che si ascolta sempre meno proprio perché la vista gioca il 55% e questo non lo dico io ma è al conseguenza di studi scientifici. Ecco che nel buio bisogna necessariamente recuperare la capacità e il significato e la forza della parola e quindi parlare ma anche ascoltare ma non in maniera finta, in maniera attiva come dire empatica cioè entrare nell’altro cercare di farsi carico di quelle che sono le emozioni, le sensazioni dell’altro. Ecco insieme a questa prospettiva, a questi scenari, a queste sensazioni a questo tipo di relazione verbale voi metteteci insieme l’altro ingrediente. Perché il buio. Ecco immaginate di entrare in gruppo in una situazione di buio più profondo che non è il buio che voi avete normalmente a casa vostra quando spegnete la luce alla sera, il buio della sera. C’è sempre qualche led, qualche lampadina. È un buio totale. Qui si sprecano le nostre parole, nel trasferire le linee, diventa difficile trasferire quello che è l’impatto fisico che provate nel momento in cui entrate a un buio come Dialogo nel Buio. Ecco io su questo voglio sorvolare perché no ci sono sinonimi per dire che cosa succede, non è, io dico sempre questo che non vuole essere una sfida fisica perché abbiamo trovato anche dei visitatori che provano ad entrare nel buio e sostengono ma io comunque ci vedo. Tu chiudi gli occhi e devi lasciare andare la palpebre, stare sereno, tranquillo tanto stai al buio un’ora, cerca di dedicarti a quello che è il messaggio che in quel momento al guida che non vede. Ecco faccio soltanto questa parentesi, noi stiamo lavorando moltissimo sulla formazione del nostro personale. Pensate che è un’organizzazione questo Dialogo nel Buio che, improvvisamente incrementare un terzo il personale. È una macchina molto complessa, stiamo parlando di una macchina di settanta ottanta persone tra ciechi che fanno funzionare questa macchina, questo servizio perché noi lo consideriamo se volete dirompente rispetto ai servizi che per mission l’istituto svolge da quando è sorto cioè dal 1840. sono servizi quelli rivolti alla condizione della persona non vedente, attraverso l’orientamento, l’autonomia, lo studio e l’inserimento nel lavoro. Ecco questo invece è un servizio che il non vedente vuole ridare qualcosa alle persone da cui ha ricevuto prima. Ecco allora attraverso questa esperienza la persona viene catapultata in una dimensione non ordinaria alla quale non è abituata e improvvisamente è costretta a dover far riferimento intanto agli altri sensi, a se stesso, alle proprie forze ma questo non avviene subito perché tu improvvisamente perdi i riferimenti spazio temporali. Se prima questa esperienza l’approcci in gruppo, il viaggio non lo si fa in solitaria, lo si fa in gruppo di otto persone, ecco che tu ti avvicini alla porta del buio con altre persone che vedi in faccia, che conosci, che sono amici. Però varcata questa soglia a quel punto tu ti senti da solo, ti senti isolato, quasi non senti neanche più. Ti rendi conto, pensi di avere una crisi d’identità. Ecco però noi non vogliamo dare questa idea del buio come isolamento ma il buio come situazione attraverso la quale vai a recuperare un modo diverso di vedere o comunque di comunicare. Far capire che ci sono tanti modi ma non in alternativa, tanti modi che andrebbero integrati per comunicare meglio, per relazionarsi meglio, per conoscere meglio l’altro ma anche la realtà che ci circonda. Non è che dobbiamo dire tolta la vista andiamo a valorizzare gli altri sensi, voi avete la fortuna di vedere magari potreste fare un lavoro di valorizzazione e di recupero degli altri sensi. Ecco è un po’ questo lo spirito, l’approccio con cui noi vi invitiamo a vivere questa esperienza. Ecco che a quel punto ti rendi conto che, per lo spirito iniziale di sopravvivenza, in quel buio devi fare qualcosa. Cominci a capire che la guida ti sta dicendo delle cose. Ecco dicevo prima la guida persona non vedente ma non solo. La conditio sine qua non è che noi si sta lavorando su una selezione rigida delle guide che convolgiamo in Dialogo nel Buio attraverso le capacità relazionali, comunicative. Sono persone che hanno superato anche emotivamente il condizionamento di essere non vedenti. Abbiamo persone che da adulte hanno perso la vista dalla sera alla mattina. È un qualcosa di assurdo, di inimmaginabile eppure noi che siamo dirigenti dell’istituto siamo in contatto con tantissimi non vedenti che perdono la vista per patologie, per incidenti anche in modo improvviso, repentino ed è questo il primo scoglio da superare. Queste persone noi se hanno superato questo primo momento di disorientamento ecco sono la nostra testimonianza, il nostro esempio che da qualsiasi situazione si può venire fuori ma soprattutto si può ritornare a vivere la comunicazione. A vivere non in termini di sopravvivenza ma a vivere in termini di godimento di piacere e soprattutto anche in termini di risorse attive, di contributo rispetto all’arricchimento per la società. Essere cittadini, parte attiva della nostra condizione sociale. Ecco queste persone a quel punto possono avere dignità di costituire il nostro staff, di costituire parte anche delle nostre guide. Noi abbiamo tantissimi esempi di persone brillanti, serene che hanno superato questo scoglio. Allora l’incontro con il visitatore sprovveduto, che entra, che si trova in quei primi due minuti smarrito ecco che viene richiamato alla realtà. Ecco la curiosità la voglia di andare incontro alle cose, di andare incontro al mondo nonostante tutto, nonostante voi sappiate che state al buio per un’ora. Però in quel momento è come se aveste perso tutto il vostro patrimonio culturale che avevate prima. Ecco che siete richiamate alla realtà, tra virgolette alla luce da queste persone che vi spronano. Ecco che secondo dopo secondo recuperate anche la dimensione dell’altro. Vi rendete conto che come prima siete in una stanza con gli altri sette compagni di stanza, l’unica differenza è che siamo al buio. Io come li percepisco gli altri sette compagni di viaggio, sicuramente attraverso gli urti, ma soprattutto la via attraverso la dimensione uditiva, il parlarsi, il capire tu dove sei, soprattutto non siamo da soli, nonostante tutto riusciamo a parlarci, riusciamo a giocare a riconoscere non un’opera d’arte, un oggetto a vedere la sua ripresentazione, un oggetto famigliare, comune che voi avete vissuto, esperito magari soltanto giocando e guardando con la vista. quindi il vivere gli oggetti di un parco, di un mare, di una città, cose di tutti i giorni però viste in un altro modo. Quest’altro modo teoricamente è il modo dei ciechi. Ecco non pensate che quell’ora che voi passate al buio sia come il buio che noi viviamo, il toccare è come tocchiamo noi perché vi è stato detto che noi abbiamo un’abitudine, una scientificità nel toccare. Probabilmente non tutti i ciechi, però c’è un problema di requisiti di vissuto, di abitudine, di manualità prima ancora di arrivare a godere dell’opera d’arte, però c’è un approccio tattile all’oggetto. Sapete quante persone di voi che chiamate ad esplorare una banalissima cartina geografica in rilievo pensano di esplorare con le unghie. Quindi c’è questa necessità anche di andare a recuperare il significato del nostro corpo. Quante persone alla richiesta tocca con la mano destra la punta del piede sinistro, al di là della pancia, hanno un attimo di disorientamento. È una situazione questo buio che ti disorienta ecco che però anche qui si ha la possibilità di capire con il passare dei secondi e dei minuti che i sensi si possono sviluppare. Ecco questa è una grande forza, tutti i sensi hanno memoria. Ecco che a quel punto si comincia ad apprezzare, a riconoscere i suoni che ti arrivano dai diversi ambienti, a recuperare una certa tranquillità, serenità, capire tutto sommato che ci si può muovere e si possono anche disegnare delle traiettorie nello spazio e quindi prendere confidenza con lo spazio. Io mi rendo conto ad esempio che questa sala è una sala medio grande di sicuro molto alta. Me ne rendo conto perché entrando sentendo parlare ho dei riferimenti spaziali. So perfettamente di non essere in una stanza di tre per tre. So perfettamente d’altro canto di non essere all’aperto. Ecco questo tipo di percezione voi non l’avrete, perché vi sembrerà di essere magari in un parco infinito ma non è quello il punto. Il punto è capire che l’abitudine in una certa condizione, le potenzialità possono essere sviluppate, espresse. È chiaro che se si è nella condizione di non avere delle alternative ecco che quel tipo di rapporto, quel tipo di senso lo devi ovviamente raffinare. Ecco è questa un po’ l’ idea che passa con la nostra proposta. Tenete conto che su 350 mila visitatori il 70 80% sono ragazzi delle scuole. Il 70% sono i ragazzi che vanno dagli 8 ai 20 anni e questo sta a significare che si tratta di un messaggio educativo oltre che sociale e culturale. Un messaggio educativo perché noi vogliamo proporre, lo stiamo facendo in modo forse non generalizzato però vorremmo trovare un metodo e sistematizzarlo. Un incontro pre visita almeno con gli insegnanti per dare degli spunti su queste tematiche che possono essere sviluppate magari prima della visita o anche dopo rispetto al significato ad esempio della disabilità. Nel riconoscere nell’altro una risorsa rispetto a quello che nella storia nella letteratura è stato considerato l’elemento buio, i ciechi come eroi o come mentecatti. Il buio che ha sempre, si è sempre giocato su questi estremi. Quindi anche da questo punto di vista io credo che di materiale sicuramente ce n’è tanto e diventa un messaggio sicuramente educativo perché io direi che si recupera la capacità e la forza immaginativa, una forza e anche lo sviluppo della creatività oltre che dell’immaginazione. Nel buio riusciamo a riproporre quei laboratori anche di costruzione, oltre che di percezione prorpriocettiva, di costruzione anche attraverso la creta, attraverso il disegno con tavolette in rilievo in gomma di alcune situazioni. Diventa quindi davvero un momento di confronto, di coralità e i ragazzi recuperano una dimensione ai quali non sono abituati. Ecco da questo punto di vista, Dialogo nel Buio alle scuole è una risorsa che secondo me dovrebbe essere ancora ulteriormente valorizzata. Pensate che a oggi ci siamo rivolti a tutta la Regione Lombardia attraverso l’ufficio regionale scolastico, attraverso i provveditorati. Ecco tenete conto che un’altra esperienza che è coerente con i temi che avete affrontato oggi, che abbiamo proposto a Rimini in sede del meeting dell’amicizia, la fiera di Rimini quella che si fa tutti gli anni ad Agosto, quest’anno eravamo presenti con l’arte del tatto ed è stata un’esperienza molto bella. Abbiamo lavorato soprattutto sul senso del tatto, giocare a riconoscere le cose, pensate la difficoltà che oggi il ragazzo, l’adulto ha nel riconoscere semplicemente il riso dal sale, dalla sabbia, i piselli dai fagioli. Ecco cose banali ma vi dicono quanto poco rapporto abbiamo con le cose fino a evidenziare, a sottolineare quelli che sono gli elementi di un’opera d’arte che ad occhio nudo voi non apprezzate, non godete. Perché questo perché toccare un’opera d’arte al buio significa andare a scovare ad evidenziare degli elementi che magari ci sono ma che ad occhio nudo passate sopra, è chiaro che questo percorso è un percorso molto complicato, è un po’ una ricerca è un po’ una sfida. Me noi come ciechi abbiamo proposto nell’ambito di questa esperienza che abbiamo fatto a Rimini ma anche che abbiamo all’istituto dei ciechi a Milano, questo tipo di approccio cioè ridare a voi quello che voi date a noi cioè la capacità di apprezzare alcune situazioni ma in questo buio noi vogliamo provare attraverso le nostre risorse più valide naturalmente selezionate quella che può essere l’emozione di spremere di mettere sotto torchio il senso del tatto. Allora voi siete lì a toccare, in un primo momento un po’ impacciati poi sempre più curiosi, ecco l’elemento della curiosità e delle scoperta del capire addirittura come la postura di una figura e poi via via ad apprezzare anche degli elementi che prima con la luce non avete apprezzato. Ecco questo lavoro lo portiamo avanti con la collaborazione del Museo del Louvre ed è un’esperienza che proponiamo ovviamente, contestualmente a Dialogo nel Buio all’istituto dei ciechi di Milano. Dovete venire a vedere tutte le possibilità che uno può vivere in questo buio. Il buio può essere vissuto in modo diverso perché le attività che proponiamo consentono di declinare questa esperienza in modo diverso cioè da un momento di impatto iniziale, di smarrimento emotivo dove magari devi allontanare la paura, il timore, hai un po’ di ansia a uno stare bene al buio ma non tanto perché tu ci debba vivere al buio. C’è l’idea di fermarci un attimo di staccare da questi ritmi da questa comunicazione e riflettere. Proponiamo queste attività dove invitiamo le persone a venire e le lasciamo in pace non le sollecitiamo a vivere una cena, un momento al bar col piano bar, a cantare una canzone. Ci sono davvero tantissime situazioni che potete vedere sul sito e vi consentono di cogliere questo buio in maniera diversa. Allora che cos’è Dialogo nel Buio ma io direi, se dovessimo fare una sintesi di questa esperienza, io direi che è un cogliere con differenti strumenti, differenti modalità è possibile operare, muoversi, raggiungere degli obiettivi, lavorare, studiare, raggiungere diverse mete, mete anche comuni sicuramente prive dei colori ma non dei colori dell’esperienza non dei colori della conoscenza, non dei colori della vita. Ecco io credo che sia un po’ questo Dialogo nel Buio, l’opportunità di recuperare il significato della differenza perché noi crediamo che il modo più efficace, valorizzare, riconoscere una differenza per intraprendere la via dell’integrazione, la via dell’uguaglianza. Ecco io credo che voi alla fine venite a capire questo a capire, a riconoscere, a riscoprire voi stessi chi siete magari vi ritrovate, vi riscoprite in modo diverso, riscoprite in voi una persona che non sapevate di avere, un carattere della vostra personalità che non pensavate di avere e scoprire appunto l’altro in termini di persona come risorsa. Ecco a Dialogo nel Buio ma assieme a Dialogo nel Buio le proposte che stiamo facendo negli ultimi dieci vent’anni con l’istituto dei ciechi di Milano sono proposte di apertura. Prima nel collegio entravano i non vedenti per studiare, per istruirsi, per acculturarsi, per poi uscire e integrarsi, oggi apriamo l’istituto per sensibilizzare, per informare, per formare, tante sono le proposte di formazione aziendale ma anche per far conoscere anche questa che è una realtà oggi parte, punto certo, stabile e conosciutissimo della città di Milano. Diventa anche un punto di riferimento per percorsi culturali, per i turisti, nei percorsi guidati anche tra i musei della città. Ecco che è stato riconosciuto l’istituto come palazzo, come quadreria, come sculture, museo regionale. ALESSANDRA VIOLA: se c’è qualche domanda è benvenuta visto il sicuro interesse che hanno suscitato i nostri ospiti oggi. CHIARA VIOLA: a me interessava in particolare sottolineare questo. Quando si parla di accesso all’opera d’arte e naturalmente si parla di multisensorialità e secondo me questa è una cosa che tutti quanti dobbiamo riscoprire. Però mi permetto di fare un affondo non soltanto rispetto a quella che è la sensorialità tattile che oggi è stata proprio al centro degli interventi che sicuramente è assolutamente fondamentale, però anche di tutto il resto e di includere anche all’interno della plurisensorialità quella che a volte è omessa che è quella generale del corpo e della propriocezione e l’udito inteso non soltanto come aspetto legato all’ascolto dei suoni come normalmente siamo abituati a pensare ma anche sotto quegli aspetti a cui faceva riferimento Franco Lisi legati per esempio all’acustica dei luoghi. Questi aspetti propriocettivi e legati alle acustiche secondo me sono un elemento molto interessante e assolutamente poco conosciuto e sfruttato nel moment in cui ci si pone l’interrogativo o si vuole fare delle proposte per l’accesso ai luoghi, alla cultura, all’architettura, ai musei e così via perché è un modo di pensare e vivere prima di tutto in prima persona lo spazio che poi si può, anche quello, riproporre all’attenzione dei visitatori vedenti, non vedenti, ciascuno secondo le proprie possibilità e caratteristiche e credo sia anche uno dei punti su cui si potrebbe pensare proprio di costruire le logiche degli itinerari. Io sono stata più volte a Dialogo nel Buio e nell’entusiasmo dell’esperienza che questa è la prima cosa, ho un appunto che devo fare e che è inevitabile. Cioè è una riproposizione di realtà ma non è nello stesso tempo una realtà perché per esempio l’aspetto legato all’acustica viene molto sacrificato perché è una ricostruzione e a volte anche nella ricostruzione soprattutto nella prima esposizione di Dialogo c’è una costruzione un pochino “falsificata”. Mi ricorderò sempre le rocce da cui passava l’acqua di plastica e quindi in realtà uno non si ritrovava davvero. Beh è logico, si può migliorare ma non si può riproporre una seconda realtà intera. Però invece negli ambienti di vita, nei musei, nelle realtà architettoniche che si vanno a visitare per le loro caratteristiche architettoniche e spaziali ecco allora lì ì che ci può essere davvero lo spazio per inserire anche osservazioni su sé stessi per l’impatto che l’ambiente ha su di noi. Un’ultima cosa, altra da questo, è a volte quando si pensa di proporre degli itinerari tattili, si può avere la tentazione di costruire degli itinerari speciali. Ecco io temo questo. Ora che ci possano essere delle postazioni sparse nell’ambito della situazione museale o delle visite in particolare ricolte a questo penso possa essere una cosa naturale, però nello stesso tempo invece io vedrei come cosa davvero utile per l’integrazione ma anche utile per la comunicazione tra le persone e la comunicazione di nostre capacità relazionali e sensoriali che non abbiamo sempre l’occasione di vivere, l’occasione di focalizzare la nostra attenzione, la vedrei quindi rivolta a tutti.