In mente devi sempre avere Itaca. La tua meta è arrivare

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In mente devi sempre avere Itaca. La tua meta è arrivare
“In mente devi sempre avere Itaca.
La tua meta è arrivare fino a là.
Però non affrettare troppo il viaggio.
È meglio che per anni si prolunghi,
è meglio attraccare all'isola da vecchi
ricchi di quanto guadagnato per la strada
non aspettandosi da Itaca ricchezze.
È stata Itaca a offrirti questo viaggio.
Senza di lei non saresti mai partito.
E più nulla le è rimasto da donarti.
E se la trovi povera, non ti ha ingannato Itaca.
Con tutta l'esperienza e la saggezza che hai raccolto
che cosa rappresentino le Itache lo sai.”
(da Itaca, Costantinos Kavafis, trad. Massimiliano Damaggio)
Vinicio Capossela
Musica e poesia - parte 4
di Catia Manna
La seconda parte dell’album Marinai, Profeti e Balene (2011) è quasi interamente
dedicata all’Odissea. Personaggi e temi (l’amore, il viaggio, l’attesa, la conoscenza)
rivivono in una luce degna della loro poesia.
La Lancia del Pelide
http://youtu.be/DtMz__d9J5A
La lancia del Pelide Achille, l’eroe capace di deviare il corso dei fiumi, è la metafora
dell’amore a senso unico: per il bene o per il male, decide. Uccide o fa risorgere “come
quella fenice” dalle fiamme. Il linguaggio è epico, anche qui, in fondo, tra recitato e cantato
come doveva essere nella sua veste originaria (“La lancia del Pelide infuria in battaglia,
infiniti lutti adduce al suo tocco”).
Le Pleiadi
http://youtu.be/58C4urtUmms
Sotto lo sguardo delle Pleiadi “brillanti ai naviganti”, le sette stelle figlie di Atlante e
dell’oceanide Pleione, Odisseo e Penelope guardano al mare come alla distanza che li
separa. I loro pensieri si parlano sospesi tra nostalgia e futuro incerto.
“Tramontate son le Pleiadi
Notte alta
Io dormo da sola
L’attesa
È un inganno l’attesa
Ma, preferisco l’attesa
È più dolce che non vederti tornare
Nell’attesa mi conosci così bene
Ma poi non riconoscerò te”
L’amore congelato è dolce, decenni di attesa preferibili alla sua fine e forse al suo arrivo.
“L’attesa, è un inganno l’attesa
Ma preferisce l’attesa
Lei non mi crederà, perché ama la sua nostalgia
Nell’attesa mi consoci così bene
Ma poi non riconoscerò te”
Entrambi devono decidere che cosa sia meglio, ognuno per sé, cercando nell’intimità che
si nasconde all’altro.
“Ma io non ti dico tutto, con te consigliati in cuore
E da te stesso scegli la via”
Aedo
http://youtu.be/aOGAhBAgq7A
Gli aedi, nell’Odissea, sono Demodoco e Femio. Il primo canta alla corte dei Feaci, dove
Odisseo trova ospitalità subito dopo aver lasciato, per volere degli dei, l’isola della ninfa
Calipso; Femio si trova ad Itaca e alla reggia di Odisseo ha assecondato i Proci in
assenza del re dell’isola. Durante la strage dei pretendenti da parte dell’eroe greco e del
figlio Telemaco, l’aedo chiede di essere risparmiato, non avendo potuto egli fare
diversamente. Nel brano Aedo Vinicio Capossela fa riferimento ad entrambi, a Demodoco
nella prima parte e a Femio nella seconda; delinea poeticamente le ragioni della
considerazione sociale di cui godevano i cantori nella Grecia antica fino ad arrivare, più in
generale, all’essenza della poesia.
“L’aedo venne
E gettò l’incanto
Per la sala ombrosa
Del suo canto
La beltà seduce
La verità convince
Da quel che attinge, da quello che finge
Il vero dal falso più non si distingue
…
Canta la storia
Come ci fosse stato
Come se avesse visto
Prima di essere nato”
In Odissea I, 325-326 Femio racconta ai nobili itacesi il ritorno degli eroi greci reduci dalla
guerra troiana. L’aedo inizia il suo canto e nella sala scende il silenzio del loro incanto:
“Per essi il cantore famoso cantava: e in silenzio
quelli sedevano, intenti”
La considerazione che si aveva di lui gli derivava dal fatto di essere considerato ispirato
dalle Muse, a conoscenza del divino che gli aveva tolto di vedersi sulla terra, ma di avere,
ricordando il passato, la parola per tutti. In Odissea VIII, 487-491 Odisseo si rivolge così a
Demodoco:
“Demodoco, io ti lodo al di sopra di tutti i mortali:
o ti ha istruito la Musa, figlia di Zeus, o Apollo.
Canti la sorte degli Achei in modo perfetto,
quanto fecero gli Achei e patirono, e quanto soffrirono:
come uno che era presente o che ha sentito da un altro.”
Ispirato, poteva dunque raccontare ogni vita come fosse stata la sua. Vinicio Capossela
indica la strada della poesia a chi, senza essere prescelto dagli dei, vorrebbe parlare a
tutti gli uomini, far scendere il silenzio quando mancano persino i luoghi.
“Soffrilo e poi impara
Imparalo a cantare
Pathos Mathos”
Sentire e imparare. Imparare a cantare. I versi che ispirano.
“L’aedo incanta
E mentre tesse il testo
In sala sorse il pianto”
Ospitato, nel suo peregrinare, alla reggia del re dei Feaci Alcinoo, dopo aver sedotto con
le parole la giovane figlia di questo, Nausicaa, Odisseo partecipa ad un banchetto, senza
aver ancora svelato la sua identità. L’aedo racconta proprio di lui, di quel cavallo che rese
celebre il suo ingegno, così l’eroe non può fare a meno di piangere: la fatica, così bella da
sembrare un dono per gli dei, era stata la rivincita alla sua sofferenza e a quella di tutto un
popolo.
“Queste imprese il cantore famoso cantava, e si struggeva
Odisseo: il pianto gli bagnava le guance sotto le palpebre”
(Odissea VIII, 521-522)
L’aedo incanta e in sala sorge il pianto. “Il verso versa (rovescia) e toglie alla morte chi
viene cantato”.
La seconda parte dell’Odissea si svolge alla reggia di Itaca. Nella sala centrale, Odisseo,
con l’aiuto del figlio Telemaco, fa strage di Proci. Risparmia però l’aedo Femio che, in sua
assenza, aveva cantato per gli usurpatori:
“Ti supplico, Odisseo, abbi rispetto e pietà per me:
avrai poi rimorso, se uccidi me
aedo, che canto agli dei ed agli uomini.
Da me ho imparato, il dio m’ispirò ogni sorta
di canto nell’animo”
(Odissea XXII, 344-348)
“Un re tradito
Che ritrovò il ritorno
Nascosto di stracci
Portò la strage in sala
L’aedo disse
Nel silenzio di morte
A chi lo giudicava
O re potente come ho cantato loro
Ora canterò te
E disse quello
Che tu viva per sempre
E dentro il tuo canto
Io viva con te”
(Aedo, Vinicio Capossela)
La poesia, per Vinicio Capossela, non può essere scalfita. La sua forza è vivere nascosta:
“Gli Dei soltanto
Ci filano sventure
Per dare gloria al canto
E il canto dice nascosto nel tempo
Con voce di pietra:
Siamo due coste di rupe
Aspettiamo un terremoto
Per unirci di nuovo
In un solo canto”
Questi ultimi versi appartengono al cretese Psarantonis, compositore, cantante e
suonatore di lyra. In passato ha collaborato con il cantautore irpino.
Dimmi Tiresia
http://youtu.be/WL8mA4wzorY
Tiresia, colui che ebbe in dono la preveggenza per aver violato tutti i piaceri. Fu uomo e
poi donna, dopo aver interrotto, con un bastone, il connubio di due serpenti. Zeus ed Era,
nel loro eterno litigio, lo consultarono per sapere quale fosse il genere umano a provare
più piacere. La moglie di Zeus non fu contenta del primato assegnatole da Tiresia e lo
condannò alla cecità. Zeus volle rimediare donandogli il dono di vedere in anticipo su tutti.
(Ovidio, Metamorfosi III, 319-338)
Nel corpo mortale tale prerogativa divenne immortale. Anche negli Inferi (Odissea XI)
Tiresia è un indovino. Odisseo, su consiglio di Circe, lo consulta per conoscere il proprio
destino. Al confine tra la vita e la morte dovrà compiere sacrifici e con il sangue evocare le
anime dei morti.
“Dimmi Tiresia
Dal regno dove mai nessuno si è recato
Versami il sangue
Scavami un botro
Un buco per sbirciare tra il mio destino e il Fato
Bevi il mio sangue
Che porti alla memoria la coscienza di chi ero e
Sono stato”
Secondo la concezione greca arcaica, il destino degli uomini era stabilito dagli dei. Il Fato
era superiore ad esso, incontrollabile anche per le divinità stesse. Nella canzone Dimmi
Tiresia, Odisseo chiede quale sarà il suo destino e il sangue versato è il suo.
“Ma è meglio sapere o non sapere
Aver la conoscenza
Sapere o non sapere
Quello che poi mi sporcherà
…
Sapere o non sapere
Se la donna mia mi aspetta se è fedele
Sapere o non sapere
…
E non poter più credere
Sapere e poi dovere
Portare fino in fondo il compito”
Credere è spontaneo e sapere ce lo toglie. A conoscere ci comportiamo di conseguenza.
“È duro profetare
La conoscenza è distanza che separa
La fatica di conoscere
È più grande fatica di essere creduti?
Dimmi Tiresia
Tu che dimentichi e ricordi e poi dimentichi
E così purifichi
…
Togli la sete
Conoscilo e poi scordalo
La conoscenza è niente senza fede”
Questi versi sono dedicati ad ogni Tiresia. A quegli occhi che vedono meglio se c’è una
distanza. Che conoscono e poi scordano, credono soltanto.
Il veggente fa la sua profezia. Odisseo tornerà ad Itaca, ma riprenderà in seguito il mare
“fino a gente che non batte il dorso del mare, che non conosce cibi conditi col sale”.
Conoscerà ancora. Morirà vecchio.
Nostos
http://youtu.be/kZaGaQQTpwk
Vinicio Capossela fa parlare qui l’Ulisse dantesco (Inferno, XXVI, 94-142), l’eroe avvolto
dalle fiamme per essere stato, insieme al suo amico Diomede, la mente fraudolenta che
consigliò il cavallo di Troia. È il racconto del “folle volo” oltre le colonne dell’umana
conoscenza, deprecabile secondo la concezione cristiana, seducente per tutti. Capossela
parafrasa da quando Ulisse non sente nient’altro che la sua sete.
“Né pietà di padre, né tenerezza di figlio, né amore
di moglie
Ma misi me per l’alto mare aperto
Oltre il recinto della ragione
Oltre le colonne che reggono il cielo
Fino alle isole fortunate, purgatorio del paradiso”
Ulisse e i compagni arrivano a vedere, in Dante, il monte del purgatorio in cima al quale si
trovava il paradiso terrestre. Le Isole Fortunate (o dei Beati) sono menzionate invece in
numerosi autori greci e latini ad indicare i luoghi di abbondanza in cui vivevano
serenamente gli eroi per volere degli dei. L’eroe va verso le “terre retro al sol e sanza
gente”. Il motivo è giustificato:
“Fatti non foste a viver come bruti
Ma per seguir virtute e canoscenza
Considerate la vostra semenza”
Non ci sono ripensamenti. “Ali al folle volo!”. Vinicio Capossela torna al tema della sua
vita. E se decidessimo di tornare, dopo esserci avventurati per le strade del nostro istinto?
A quella Itaca che ci ha dato il viaggio (la citazione è di Kavafis), i remi con cui siamo
partiti, un po’ per noia, un po’ per desiderio di conoscenza.
“La troveremmo vuota di gente e piena di sonno
Itaca ci ha dato il viaggio, Itaca ci ha dato il viaggio,
L’hai avuta dentro, ma non ci troverai nessuno”
(4-continua)