Flaviano - CTM Cagliari

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Flaviano - CTM Cagliari
Autore: Cristiano Niedojadko
Titolo : Flaviano
Il primo Maggio gli autobus traboccavano di gente. Erano come omelettes ripiene di
mozzarella, messe al microonde e sul punto di esplodere. Doveva tornare a casa coi
fantasmi dell’esame di diritto civile che si avvicinava. Il giorno si era svegliato pigro
fino al midollo, e l’estate, che gli aveva comandato quella perfida indolenza, pareva
davvero alle porte.
Dopo aver dato uno sguardo al cammino di Sant’Efisio nella sua lunga processione,
erano andati a casa del Ciccione e avevano bevuto birra, chiacchierato del più e del
meno e giocato con la playstation.
Poi la sua coscienza gli aveva ricordato che gli anni passavano e il giorno della
laurea era ancora lontano e quindi, con riluttanza, aveva salutato gli amici e si era
incamminato verso la fermata del pullman.
Dopo un’attesa indefinita, impiegata a ripercorrere mentalmente i capitoli che gli
restavano da fare, distratto solamente dallo sfilare di altri autobus stracolmi,
finalmente aveva visto spuntare dalla svolta la sagoma arancione del suo. “Che
colon!”,aveva pensato, “ce n’è due uno appresso all’altro”. Con ansia tuttavia
aveva constatato che il primo dei due, pieno come un uovo, manco si fermava.
Sudò freddo un istante, temendo che anche l’altro facesse lo stesso. Il secondo bus
invece rallentò. Era quasi vuoto. Si fermò e aprì le porte. “Oh, bello, tutto per me”,
sospirò, felice come un bambino.
Tirò fuori il biglietto dalla tasca e lo buttò dentro l’obliteratrice. Controllò che il
biglietto fosse convalidato e si sedette nei primi posti.
Guardò fuori dal finestrino, più per abitudine che per curiosità. Mentre l’autobus
procedeva lento per le vie intasate dal traffico, indugiò sui balconi grigi che
dondolavano sulla sua testa e sulle cime degli alberi che si aprivano per lasciarlo
passare. Se non fosse stato per la preoccupazione per quel cavolo di esame, avrebbe
voluto che quel viaggio durasse tutto il giorno. Anche se non amava il traffico e la
confusione, quel brulichio di gente e quell’aria mite, nella quale aleggiava un
pungente profumo di mare, gli spalancavano le prospettive di una lunga e calda
estate.
Poi il suo sguardo si spostò verso il fondo del pullman. Nei sedili posteriori vide un
tizio con la testa china e una veste bianca lunga. Un marocchino per compagno di
viaggio. Stava quasi certamente dormendo visto che era fermo più di una statua di
gesso. Doveva avere avuto una pessima giornata per essersi ridotto a dormire di
schianto, in quella maniera, completamente immune ai sobbalzi delle ruote
sull’asfalto gibboso.
Distolse lo sguardo, convinto di disturbare, e si concentrò nuovamente su quanto gli
rimaneva da studiare.
Il libro dalla copertina blu notte era capace di levargli il sonno: aveva la sensazione
che fosse scritto in modo orripilante e più volte si era chiesto in base a quale
prodigioso criterio il docente l’avesse scelto come libro di testo. Poi quelle
digressioni sui Sassoni… boh? Quando il filo logico dell’esposizione viene sconvolto
dalla presenza di aspetti marginali o del tutto estranei al fulcro della narrazione…
Che senso ha un libro che divaga ossessivamente sulla preistoria del diritto? Il
passato che prepotentemente scalza d’importanza e invade il presente…
Si voltò verso il marocchino. Era sveglio e aveva una pessima cera. E le orbite degli
occhi erano bianche? Diavolo, era in trance o cosa?
Non aveva preventivato di viaggiare su un autobus con un morto, il primo di Maggio.
Lo guardò attentamente: non era un marocchino, sembrava più un mediorientale e
quella che indossava aveva tutta l’aria di essere una sorta di toga romana. Per un
attimo smarrì il senso della realtà ed ebbe paura. Poi si ricordò che per la sagra di
Sant’Efisio la città era piena di figuranti e magari quello che stava osservando era
uno di quelli. Per quanto rammentava Sant’Efisio era stato un soldato martirizzato
dai romani perché aveva abiurato il paganesimo e aveva abbracciato la fede
cristiana, facendo imbestialire il suo paganissimo imperatore e comandante.
Dentro fino al collo in quelle elucubrazioni, fu riscosso dal mormorio del tizio che
ora lo fissava dritto per dritto, battendosi il petto con la mano destra: “Flavianus,
Flavianus… Ubi sum, oh Domine Tartaris?”
“Che cosa?”, rispose a denti stretti, sentendo un fastidioso rigurgito nello stomaco.
“Che cavolo dici, amico?”
Poi il tizio misterioso si alzò di scatto e, vedendo aperte le portiere dell’autobus, si
buttò fuori in mezzo al traffico, sparendo fra le macchine in corsa.
La fermata ondeggiava di gente in attesa. Scese rapido sulle tracce del fuggitivo.
Percorse a passo svelto le vie del centro, chiedendosi se per caso dal Ciccione non
avesse bevuto troppa birra. Il tizio con la toga non si vedeva. Se ne fece una ragione,
sghignazzando per quella strana pulsione di correre dietro a un imbecille incrociato
su un autobus. Fece la strada fino a casa fischiettando Message in a bottle. Suonò al
citofono ma nessuno dei colleghi che condividevano l’appartamento con lui gli aprì il
portone. Usò le sue chiavi, fece le scale di corsa e suonò alla porta. Ancora niente.
“Che rompi, questi qui se la passano a poltrire più di me… saranno in giro a far
casino, ‘ste infide bertucce”, inveì seccato mentre armeggiava con la serratura.
Entrò in casa e accese la luce. Incupito, arrivò in camera sua, buttò il portafogli sul
letto e si accorse che il pc era acceso. Poi si lamentavano pure che arrivavano
bollette salate, gli idioti. Si avvicinò allo schermo lcd e vide che la videata era aperta
su una pagina che riportava la storia di Sant’Efisio. Incuriosito da quella strana
coincidenza si mise a leggere l’agiografia del santo, patrono della città. Quando
lesse che il carnefice di Efisio era di Damasco e si chiamava Flaviano, si staccò
dallo schermo come se fosse rimasto folgorato. Ebbe bisogno di far luce nella stanza.
Spinse l’interruttore. Sul comodino, sotto i suoi occhi, sant’Efisio gli sorrideva
sornione, immortalato su una locandina della sagra del primo Maggio.