Alimenti halal e khosher. Le fonti normative
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Alimenti halal e khosher. Le fonti normative
Ingredienti Alimenti halal e kosher Le fonti normative Le prescrizioni alimentari nelle religioni islamica ed ebraica di Sandro Censi Avvocato 56 Nell’Islamismo e nell’Ebraismo sono i principi religiosi che stabiliscono, da un lato, quali sono le materie prime e gli alimenti e le bevande vietati e, dall’altro, nel caso di quelli permessi, quando devono essere consumati e come devono essere trattati. Una panoramica delle norme islamiche ed ebraiche in materia alimentare e delle fonti da cui derivano N ell’ambito delle certificazioni, ed in particolare di quelle dell’agroalimentare, stanno assumendo sempre maggior rilievo le cosiddette certificazioni a base religiosa. Tale nome, come è facile intuire, deriva dal fatto che sono certificazioni che si basano su regole imposte da una determinata religione ai propri fedeli. Le prescrizioni per il fedele riguardano, ad esem- pio, il divieto di consumare determinati alimenti o bevande. Tale divieto può essere sia perpetuo che limitato a determinati periodi dell’anno. Possono esservi anche prescrizioni che, al contrario, impongano l’obbligo di consumare specifici alimenti o bevande specie in determinati periodi o festività. Le regole imposte sono, dunque, principi religiosi che stabiliscono, da un lato, quali sono le materie prime, gli alimenti e le bevande vietati e dall’altro, nel caso di quelli permessi, quando devono essere consumati e come devono essere trattati. Per permettere al fedele di adempiere correttamente a tali obblighi vengono dunque effettuati dei controlli di tutta la filiera produttiva alimentare partendo dalla creazione e produzione, passando per l’impacchettamento, l’etichettatura e la distribuzione, fino ad arrivare al momento finale del consumo. Nel presente lavoro si esamineranno, in maniera sintetica, le norme islamiche ed ebraiche in materia alimentare e le fonti da cui derivano. Halal e Haram: lecito e illecito secondo la religione islamica Volendo analizzare le regole alimentari islamiche, va innanzitutto premessa la quasi totale Anno XVIII - 6 - Luglio/Agosto 2016 Ingredienti simbiosi tra regole giuridiche e regole religiose tipica dell’Islam. In ambito islamico infatti le regole religiose alimentari hanno la stessa matrice, derivano dalle stesse fonti, di quelle giuridiche. Ciò che è reato è anche peccato e ciò che è permesso religiosamente lo è anche giuridicamente. Punto di partenza per un esame delle norme religiose, ma come si è detto anche giuridiche, dell’Islam è la Shari‘a. Il termine Shari‘a può essere tradotto come “via diritta” che, in un contesto terreno, porta all’abbeveratoio, all’acqua ma, metaforicamente, porta a Dio. A rivelare la Shari’a è stato direttamente Allah (Dio) per mezzo del Profeta Muhammad. Ecco perché chi la viola, non solo commette un illecito, ma anche peccato. Il legislatore, dunque, non è l’uomo o un consesso di uomini, ma direttamente Allah. Le fonti (o radici secondo la terminologia mussulmana) del diritto islamico sono: • • • • il Corano la Sunna l’Iğmā‘ o consenso il Qiyās o analogia Il Corano e la Sunna (del Profeta Muhammad) sono direttamente ricollegate alla rivelazione divina. L’Iğmā‘ o consenso della comunità e il Qiyās o ragionamento analogico, invece, lo sono indirettamente. Il Corano, la più importante delle fonti, contiene l’insieme delle rivelazioni che Muḥammad ricevette in lingua araba da Dio, attraverso l’Arcangelo Gabriele. Esso è composto di 114 capitoli o sure, di diversa lunghezza; ogni sura è poi divisa in ayah, cioè segni (di Dio) o versetti. La Sunna è invece una raccolta dei comportamenti del Profeta Muḥammad. Più esattamente in essa sono raccolti i suoi detti, le sue azioni ed anche i suoi silenzi (intesi questi ultimi come taciti assensi nel caso in cui non vi sia stata una espressa disapprovazione). Per quanto riguarda l’Igma’, la sua legittimazione come fonte deriva da un detto attribuito a Muḥammad “La mia Comunità non si troverà mai d’accordo su un errore”. Da qui il concetto della infallibilità del parere unanime della collettività musulmana. Naturalmente non si tratta del consenso dell’intera comunità mondiale (che ad oggi ammonta ad oltre un miliardo e mezzo di fedeli), ma solo di quella dei dotti dei sapienti. L’ultima fonte è il Qiyàs, termine arabo che può essere tradotto come comparazione di una cosa con un’altra. In ambito giuridico indica la deduzione per analogia. In sostanza si ricorre ad esso quando della soluzione di un problema non vi sia traccia nel Corano o nella Sunna. In tal caso si cerca di individuare quel versetto del Corano in cui si espone una questione analoga, simile a quella apparentemente senza soluzione e si applica tale soluzione al caso analogo. Si dovrà cercare di desumere o per meglio dire estrarre (instinbāṭ) quanto si trova disposto in casi simili. Nel caso in cui non si riesca ad effettuare il ragionamento analogico utilizzando una singola legge allora il giurista esaminerà l’insieme della legge dando al caso proposto la soluzione più adatta secondo lo spirito generale della legge (analogia iuris). Nell’ambito della Shari’a, che raccoglie tutte le fonti citate, gli atti umani sono distinti in: 57 • • • • atto obbligatorio (farḍ o wāğib); atto proibito (harām, mahzār); atto lecito (halal); atto consigliato, raccomandato (mandụb, mu stahabb); • atto sconsigliato, riprovevole, disapprovato (makrūh); • atto libero (ğā’iz, mubāh). Per quanto concerne le norme alimentari, il riferimento è fatto in particolare a due di queste tipologie e più esattamente agli atti, e dunque ai prodotti, halal (leciti, permessi) e agli atti, e dunque ai prodotti, haram (proibiti, vietati). Il principio è quello per cui ogni cosa è lecita e permessa a meno che non sia stata espressamente vietata da Allah. Nella religione islamica, ogni alimento è lecito e permesso, a meno che non sia stato espressamente vietato da Allah Anno XVIII - 6 - Luglio/Agosto 2016 Ingredienti Il Codex Alimentarius 58 Dopo aver esaminato quelle che sono le fonti “classiche” del diritto islamico, appare utile esaminare una ulteriore fonte di riferimento, anche se non normativa, e cioè il Codex Alimentarius. La Codex Alimentarius Commission è una commissione intergovernativa, composta da 185 Paesi più la Comunità europea, istituita nel 1963 dalla Fao e dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). Tale commissione ha adottato, nella sua ventiduesima sessione del 1997 (CAC/GL 24-1997), il testo denominato The Codex General Guidelines for the Use of the Term “Halal”. La Commissione ricorda innanzitutto che possono sussistere differenze non fondamentali tra le varie scuole sia nell’opinione e nell’interpretazione della norma islamica in materia di animali leciti o non leciti sia relativamente alle modalità di macellazione. Essa fornisce poi una definizione di alimenti halal, stabilendo che “hal l” significa cibo permesso ai sensi della Legge islamica e indica una serie di condizioni che esso deve rispettare per essere definito in tal modo. La Codex Alimentarius Commission ha evidenziato che possono sussistere differenze non fondamentali tra le varie scuole sia nell’opinione e nell’interpretazione della norma islamica in materia di animali leciti o non leciti sia relativamente alle modalità di macellazione Nel testo vengono anche elencati quali alimenti e bevande sono considerati non leciti secondo la giurisprudenza islamica, quali sono le modalità di macellazione nonché quelle relative allo stoccaggio, trasporto ed etichettatura. Kosher e Taref: puro e impuro secondo la religione ebraica Forti analogie, con quanto detto relativamente alla religione islamica, esistono per la religione ebraica. Anche relativamente a quest’ultima, le fonti della religione, in cui possiamo rinvenire le prescrizioni in materia alimentare, corrispondono a quelle del diritto. Come nell’Islamismo, anche nell’Ebraismo le fonti della religione in cui possiamo rinvenire le prescrizioni in materia alimentare corrispondono a quelle del diritto Il testo fondamentale del diritto (e della religione) ebraica è il Sefer Torà (Libro della Legge). Questo termine indica il Pentateuco, cioè l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. La Torà si “materializza” in un rotolo manoscritto, il Sefer Torà appunto, contenuto nello “armadio sacro” (’aron ha-qodesh), posto, all’interno della Sinagoga, sulla parete rivolta verso Gerusalemme. Tale rotolo deve essere rigorosamente manoscritto (non può essere un testo a stampa) e non vocalizzato. Si è volutamente utilizzato il termine materializzazione poiché una ulteriore distinzione che può essere fatta è quella tra Torà scritta e Torà orale. Sostanzialmente la Torà orale viene identificata nella interpretazione di quella scritta. Nell’ebraismo la componente scritta e quella orale formano due facce complementari di un’unica rivelazione. Proprio nelle Scritture è ricordato “Ti darò due tavole di pietra, la torà [insegnamento] e la mizwà [precetto]” (Esodo 24,12); e, secondo l’interpretazione, la torà si riferisce alla Torà scritta, la mizwà si riferisce alla Torà orale. Oltre che dalla Torà, la Bibbia ebraica è costituita da altre due parti, chiamate rispettivamente Neviim (Profeti) e Ketuvim (Scritti). Nell’insieme delle sue tre parti, la Bibbia ebraica è solitamente denominata Tanakh, parola formata dalle ini- Anno XVIII - 6 - Luglio/Agosto 2016 Ingredienti ziali di Torà, Neviim e Ketuvim. Nella religione ebraica sono prescritti una elevata quantità di precetti, così da stabilire un modo di vita proprio del popolo ebraico. La maggior parte di questi precetti classifica il puro e l’impuro. Tali definizioni non coincidono necessariamente con quelle di buono e cattivo o di bene e male. Tra questi precetti, oltre a quelli riguardanti il diritto, i riti, le feste eccetera ve ne sono molti connessi anche all’alimentazione. Il cibo puro, dunque adatto al consumo, viene oggi chiamato “kosher”, aggettivo che significa, appunto, “adatto”, “adeguato”. A volte, tale termine può essere indicato anche come “kasher” (ad esempio in Francia ove si utilizza il termine cacher). Entrambi i termini sono corretti e si riferiscono allo stesso significato. La differenza è data solo dalla pronuncia, nel primo caso sefardita e nel secondo ashenazita. Il sostantivo che ne deriva è “kosherut”. Tale termine, il cui significato può essere tradotto con “adeguamento”, viene utilizzato per indicare l’insieme delle regole alimentari ebraiche. Il termine kosher indica dunque l’idoneità del cibo a essere consumato o la conformità della sua preparazione a determinate regole alimentari definite kosherut. Al contrario, il cibo non-kosher è qualificato tarèf e cioè non adatto o improprio e in quanto tale proibito, quindi inconsumabile da parte degli ebrei. In origine, relativamente ai cibi, si utilizzavano gli aggettivi puro e impuro mentre il termine “kosher” era riferito dapprima ai concetti e, successivamente, anche agli oggetti del culto e alle persone coinvolte nelle materie religiose a vari livelli. Oggi, invece, il termine “kosher” si utilizza per i cibi, e il sostantivo “kosherut” indica l’insieme delle leggi, regole e usanze che si applicano ai cibi che l’ebraismo autorizza. vande secondo le indicazioni halal e kosher. L’unica produzione legislativa in materia è costituita dal regolamento (CE) 1099/2009 del 24 settembre 2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento, che è entrata in vigore il 1° gennaio 2013, sostituendo il decreto legislativo del 1° settembre 1998 n. 333 (che era stato emanato in attuazione della direttiva 93/119/CE del Consiglio). Per quanto riguarda la legislazione italiana, ma altrettanto dicasi per quella europea, non esistono al momento “regole” relativamente alla produzione e certificazione di alimenti e bevande secondo le indicazioni halal e kosher Tale normativa, che regola, come dice il titolo, la protezione degli animali durante l’abbattimento e che prescrive per tale attività il previo stordimento, dispone una importante eccezione al suo articolo 4, comma 4. In tale disposizione consente, infatti, in caso di macellazioni secondo il rito religioso, di non operare il preventivo stordimento (per approfondimenti, leggi l’articolo alle pp. 64-70). La normativa italiana sulla macellazione rituale Per quanto riguarda la legislazione italiana (ma altrettanto dicasi per quella europea), non esistono al momento “regole” relativamente alla produzione (e certificazione) di alimenti e be- Un modello di trappola rotante, utilizzata nella macellazione rituale. Anno XVIII - 6 - Luglio/Agosto 2016 59