Alimenti halal e khosher. Le fonti normative

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Alimenti halal e khosher. Le fonti normative
Ingredienti
Alimenti
halal e kosher
Le fonti normative
Le prescrizioni alimentari nelle religioni islamica ed ebraica
di Sandro Censi
Avvocato
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Nell’Islamismo e
nell’Ebraismo sono i principi
religiosi che stabiliscono,
da un lato, quali sono
le materie prime e gli
alimenti e le bevande
vietati e, dall’altro, nel caso
di quelli permessi, quando
devono essere consumati
e come devono essere
trattati.
Una panoramica delle norme
islamiche ed ebraiche
in materia alimentare
e delle fonti da cui derivano
N
ell’ambito delle certificazioni, ed in particolare di quelle dell’agroalimentare, stanno assumendo sempre maggior rilievo le
cosiddette certificazioni a base religiosa. Tale nome, come è facile intuire, deriva dal fatto che sono certificazioni che si basano su regole imposte
da una determinata religione ai propri fedeli.
Le prescrizioni per il fedele riguardano, ad esem-
pio, il divieto di consumare determinati alimenti
o bevande. Tale divieto può essere sia perpetuo
che limitato a determinati periodi dell’anno. Possono esservi anche prescrizioni che, al contrario,
impongano l’obbligo di consumare specifici alimenti o bevande specie in determinati periodi o
festività.
Le regole imposte sono, dunque, principi religiosi che stabiliscono, da un lato, quali sono le materie prime, gli alimenti e le bevande vietati e
dall’altro, nel caso di quelli permessi, quando devono essere consumati e come devono essere
trattati.
Per permettere al fedele di adempiere correttamente a tali obblighi vengono dunque effettuati
dei controlli di tutta la filiera produttiva alimentare partendo dalla creazione e produzione, passando per l’impacchettamento, l’etichettatura e
la distribuzione, fino ad arrivare al momento finale del consumo.
Nel presente lavoro si esamineranno, in maniera
sintetica, le norme islamiche ed ebraiche in materia alimentare e le fonti da cui derivano.
Halal e Haram: lecito e illecito
secondo la religione islamica
Volendo analizzare le regole alimentari islamiche, va innanzitutto premessa la quasi totale
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simbiosi tra regole giuridiche e regole religiose
tipica dell’Islam. In ambito islamico infatti le regole religiose alimentari hanno la stessa matrice, derivano dalle stesse fonti, di quelle giuridiche. Ciò che è reato è anche peccato e ciò che
è permesso religiosamente lo è anche giuridicamente.
Punto di partenza per un esame delle norme
religiose, ma come si è detto anche giuridiche,
dell’Islam è la Shari‘a. Il termine Shari‘a può essere tradotto come “via diritta” che, in un contesto terreno, porta all’abbeveratoio, all’acqua
ma, metaforicamente, porta a Dio. A rivelare la
Shari’a è stato direttamente Allah (Dio) per
mezzo del Profeta Muhammad. Ecco perché chi
la viola, non solo commette un illecito, ma anche peccato. Il legislatore, dunque, non è l’uomo o un consesso di uomini, ma direttamente
Allah.
Le fonti (o radici secondo la terminologia mussulmana) del diritto islamico sono:
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•
•
•
il Corano
la Sunna
l’Iğmā‘ o consenso
il Qiyās o analogia
Il Corano e la Sunna (del Profeta Muhammad)
sono direttamente ricollegate alla rivelazione
divina. L’Iğmā‘ o consenso della comunità e il
Qiyās o ragionamento analogico, invece, lo sono indirettamente.
Il Corano, la più importante delle fonti, contiene l’insieme delle rivelazioni che Muḥammad
ricevette in lingua araba da Dio, attraverso l’Arcangelo Gabriele. Esso è composto di 114 capitoli o sure, di diversa lunghezza; ogni sura è poi
divisa in ayah, cioè segni (di Dio) o versetti.
La Sunna è invece una raccolta dei comportamenti del Profeta Muḥammad. Più esattamente in essa sono raccolti i suoi detti, le sue azioni
ed anche i suoi silenzi (intesi questi ultimi come
taciti assensi nel caso in cui non vi sia stata una
espressa disapprovazione).
Per quanto riguarda l’Igma’, la sua legittimazione come fonte deriva da un detto attribuito a
Muḥammad “La mia Comunità non si troverà
mai d’accordo su un errore”. Da qui il concetto
della infallibilità del parere unanime della collettività musulmana. Naturalmente non si tratta
del consenso dell’intera comunità mondiale
(che ad oggi ammonta ad oltre un miliardo e
mezzo di fedeli), ma solo di quella dei dotti dei
sapienti.
L’ultima fonte è il Qiyàs, termine arabo che può
essere tradotto come comparazione di una cosa con un’altra. In ambito giuridico indica la deduzione per analogia. In sostanza si ricorre ad
esso quando della soluzione di un problema
non vi sia traccia nel Corano o nella Sunna. In
tal caso si cerca di individuare quel versetto del
Corano in cui si espone una questione analoga,
simile a quella apparentemente senza soluzione e si applica tale soluzione al caso analogo. Si
dovrà cercare di desumere o per meglio dire
estrarre (instinbāṭ) quanto si trova disposto in
casi simili. Nel caso in cui non si riesca ad effettuare il ragionamento analogico utilizzando
una singola legge allora il giurista esaminerà
l’insieme della legge dando al caso proposto la
soluzione più adatta secondo lo spirito generale della legge (analogia iuris).
Nell’ambito della Shari’a, che raccoglie tutte le
fonti citate, gli atti umani sono distinti in:
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•
•
•
•
atto obbligatorio (farḍ o wāğib);
atto proibito (harām, mahzār);
atto lecito (halal);
atto consigliato, raccomandato (mandụb, mu
stahabb);
• atto sconsigliato, riprovevole, disapprovato
(makrūh);
• atto libero (ğā’iz, mubāh).
Per quanto concerne le norme alimentari, il riferimento è fatto in particolare a due di queste
tipologie e più esattamente agli atti, e dunque
ai prodotti, halal (leciti, permessi) e agli atti, e
dunque ai prodotti, haram (proibiti, vietati). Il
principio è quello per cui ogni cosa è lecita e
permessa a meno che non sia stata espressamente vietata da Allah.
Nella religione islamica,
ogni alimento è lecito
e permesso, a meno che
non sia stato espressamente
vietato da Allah
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Il Codex Alimentarius
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Dopo aver esaminato quelle che sono le fonti
“classiche” del diritto islamico, appare utile
esaminare una ulteriore fonte di riferimento,
anche se non normativa, e cioè il Codex Alimentarius.
La Codex Alimentarius Commission è una
commissione intergovernativa, composta da
185 Paesi più la Comunità europea, istituita
nel 1963 dalla Fao e dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms).
Tale commissione ha adottato, nella sua ventiduesima sessione del 1997 (CAC/GL 24-1997),
il testo denominato The Codex General Guidelines for the Use of the Term “Halal”.
La Commissione ricorda innanzitutto che possono sussistere differenze non fondamentali
tra le varie scuole sia nell’opinione e nell’interpretazione della norma islamica in materia di
animali leciti o non leciti sia relativamente alle
modalità di macellazione. Essa fornisce poi
una definizione di alimenti halal, stabilendo
che “hal l” significa cibo permesso ai sensi
della Legge islamica e indica una serie di condizioni che esso deve rispettare per essere definito in tal modo.
La Codex Alimentarius
Commission ha evidenziato
che possono sussistere
differenze non fondamentali
tra le varie scuole sia
nell’opinione e
nell’interpretazione della
norma islamica in materia di
animali leciti o non leciti sia
relativamente alle modalità
di macellazione
Nel testo vengono anche elencati quali alimenti e bevande sono considerati non leciti
secondo la giurisprudenza islamica, quali sono
le modalità di macellazione nonché quelle relative allo stoccaggio, trasporto ed etichettatura.
Kosher e Taref: puro e impuro
secondo la religione ebraica
Forti analogie, con quanto detto relativamente
alla religione islamica, esistono per la religione
ebraica. Anche relativamente a quest’ultima, le
fonti della religione, in cui possiamo rinvenire le
prescrizioni in materia alimentare, corrispondono a quelle del diritto.
Come nell’Islamismo,
anche nell’Ebraismo le fonti
della religione in cui possiamo
rinvenire le prescrizioni
in materia alimentare
corrispondono a quelle
del diritto
Il testo fondamentale del diritto (e della religione) ebraica è il Sefer Torà (Libro della Legge).
Questo termine indica il Pentateuco, cioè l’insieme dei primi cinque libri della Bibbia: Genesi,
Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio.
La Torà si “materializza” in un rotolo manoscritto, il Sefer Torà appunto, contenuto nello “armadio sacro” (’aron ha-qodesh), posto, all’interno della Sinagoga, sulla parete rivolta verso
Gerusalemme. Tale rotolo deve essere rigorosamente manoscritto (non può essere un testo a
stampa) e non vocalizzato. Si è volutamente utilizzato il termine materializzazione poiché una
ulteriore distinzione che può essere fatta è quella tra Torà scritta e Torà orale. Sostanzialmente
la Torà orale viene identificata nella interpretazione di quella scritta. Nell’ebraismo la componente scritta e quella orale formano due facce
complementari di un’unica rivelazione. Proprio
nelle Scritture è ricordato “Ti darò due tavole di
pietra, la torà [insegnamento] e la mizwà [precetto]” (Esodo 24,12); e, secondo l’interpretazione, la torà si riferisce alla Torà scritta, la mizwà si riferisce alla Torà orale.
Oltre che dalla Torà, la Bibbia ebraica è costituita da altre due parti, chiamate rispettivamente
Neviim (Profeti) e Ketuvim (Scritti). Nell’insieme
delle sue tre parti, la Bibbia ebraica è solitamente denominata Tanakh, parola formata dalle ini-
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ziali di Torà, Neviim e Ketuvim.
Nella religione ebraica sono prescritti una elevata quantità di precetti, così da stabilire un modo
di vita proprio del popolo ebraico. La maggior
parte di questi precetti classifica il puro e l’impuro. Tali definizioni non coincidono necessariamente con quelle di buono e cattivo o di bene e male. Tra questi precetti, oltre a quelli riguardanti il diritto, i riti, le feste eccetera ve ne
sono molti connessi anche all’alimentazione.
Il cibo puro, dunque adatto al consumo, viene
oggi chiamato “kosher”, aggettivo che significa, appunto, “adatto”, “adeguato”. A volte,
tale termine può essere indicato anche come
“kasher” (ad esempio in Francia ove si utilizza il
termine cacher). Entrambi i termini sono corretti
e si riferiscono allo stesso significato. La differenza è data solo dalla pronuncia, nel primo caso sefardita e nel secondo ashenazita.
Il sostantivo che ne deriva è “kosherut”. Tale
termine, il cui significato può essere tradotto
con “adeguamento”, viene utilizzato per indicare l’insieme delle regole alimentari ebraiche. Il
termine kosher indica dunque l’idoneità del cibo a essere consumato o la conformità della sua
preparazione a determinate regole alimentari
definite kosherut.
Al contrario, il cibo non-kosher è qualificato tarèf e cioè non adatto o improprio e in quanto
tale proibito, quindi inconsumabile da parte degli ebrei.
In origine, relativamente ai cibi, si utilizzavano
gli aggettivi puro e impuro mentre il termine
“kosher” era riferito dapprima ai concetti e,
successivamente, anche agli oggetti del culto e
alle persone coinvolte nelle materie religiose a
vari livelli.
Oggi, invece, il termine “kosher” si utilizza per i
cibi, e il sostantivo “kosherut” indica l’insieme
delle leggi, regole e usanze che si applicano ai
cibi che l’ebraismo autorizza.
vande secondo le indicazioni halal e kosher.
L’unica produzione legislativa in materia è costituita dal regolamento (CE) 1099/2009 del 24
settembre 2009 relativo alla protezione degli
animali durante l’abbattimento, che è entrata in
vigore il 1° gennaio 2013, sostituendo il decreto
legislativo del 1° settembre 1998 n. 333 (che
era stato emanato in attuazione della direttiva
93/119/CE del Consiglio).
Per quanto riguarda la
legislazione italiana, ma
altrettanto dicasi per quella
europea, non esistono al
momento “regole”
relativamente alla produzione
e certificazione di alimenti e
bevande secondo le indicazioni
halal e kosher
Tale normativa, che regola, come dice il titolo,
la protezione degli animali durante l’abbattimento e che prescrive per tale attività il previo
stordimento, dispone una importante eccezione al suo articolo 4, comma 4. In tale disposizione consente, infatti, in caso di macellazioni
secondo il rito religioso, di non operare il preventivo stordimento (per approfondimenti,
leggi l’articolo alle pp. 64-70).
La normativa italiana
sulla macellazione rituale
Per quanto riguarda la legislazione italiana (ma
altrettanto dicasi per quella europea), non esistono al momento “regole” relativamente alla
produzione (e certificazione) di alimenti e be-
Un modello di trappola rotante, utilizzata nella
macellazione rituale.
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