L. Buber - estratti da io e tu

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L. Buber - estratti da io e tu
PARTE PRIMA
Il mondo ha per l'uomo due volti, secondo il suo duplice atteggiamento.
L'atteggiamento dell'uomo è duplice per la duplicità delle parole
fondamentali che egli dice.
Le parole fondamentali non sono singole, ma coppie di parole.
Una di queste parole fondamentali è la coppia io-tu.
L'altra parola fondamentale è la coppia io-esso; dove, al posto
dell'esso, si possono anche sostituire le parole lui o lei, senza che la
parola fondamentale cambi.
E così anche l'io dell'uomo è duplice.
Perché l'io della parola fondamentale io-tu è diverso da quello
della parola fondamentale io-esso.
*
Le parole fondamentali non attestano qualcosa che esista al di fuori
di esse, ma, una volta dette, fondano un'entità.
Le parole fondamentali sono dette insieme all'essere.
Quando si dice tu, si dice insieme l'io della coppia io-tu.
Quando si dice esso, si dice insieme l'io della coppia io-esso.
La parola fondamentale io-tu si può dire solo con l'intero essere.
La parola fondamentale io-esso non può mai essere detta con l'intero
essere.
*
Non c'è alcun io in sé, ma solo l'io della parola fondamentale io-tu, e
l'io della parola fondamentale io-esso.
Quando l'uomo dice io intende uno dei due. Quando dice io, è
presente l'io che egli intende. Anche se dice tu o esso, è presente l'io
dell'una o dell'altra parola fondamentale.
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PARTE PRIMA
Essere io e dire io sono la stessa cosa. Dire io e dire una delle parole
fondamentali sono la stessa cosa.
Chi dice una parola fondamentale entra nella parola e la abita.
*
La vita dell'essere umano non consiste soltanto nell'ambito dei verbi
transitivi. Non consiste soltanto in attività che hanno un qualcosa per
oggetto. Percepisco qualcosa. Provo qualcosa. Mi rappresento
qualcosa. Voglio qualcosa. Sento qualcosa. Penso qualcosa. La vita
dell'essere umano non consiste solo in questo e in cose del genere.
Tutto questo e cose di questo genere insieme, fondano il regno
dell'esso.
Ma il regno del tu ha altro fondamento.
*
Chi dice tu non ha alcun qualcosa per oggetto. Poiché dove è
qualcosa, è un altro qualcosa; ogni esso confina con un altro esso;
l'esso è tale, solo in quanto confina con un altro. Ma dove si dice tu,
non c'è alcun qualcosa. Il tu non confina.
Chi dice tu non ha alcun qualcosa, non ha nulla. Ma sta nella
relazione
*
Si dice che l'uomo fa esperienza 1 del suo mondo. Che cosa vuol dire?
L'uomo percorre la superficie delle cose e ne fa esperienza. Ne trae
un sapere sul modo in cui sono fatte, un'esperienza. Fa esperienza di
ciò che concerne le cose.
Ma non solo le esperienze portano il mondo all'uomo. Perché gli
portano soltanto un mondo che consiste di esso e sempre ancora di
esso, di lui e di lui e di lei e di lei e ancora di esso. Faccio esperienza
di qualcosa.
1« Fare esperienza » (erfahreri). Emerge qui la svalutazione dell'Erfhahrung, cioè
dell'esperienza oggettivante, che Buber, partecipe di un atteggiamento diffuso nel clima
filosofico del tempo, compie a favore dell'esperienza in quanto evento esistenziale
(Erlebnis, erleben), in cui il soggetto non si pone di fronte alla realtà come oggetto
(Gegenstand), ma entra nell'evento e vi partecipa con tutto il proprio essere.
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MARTIN BUBER, IO E TU
E non cambia nulla se, per seguire la caduca separazione tra esperienze « esterne » e « interne », che deriva dal desiderio della specie
umana di ottundere il mistero della morte, si aggiungono le une alle
altre. Cose interiori e cose esteriori, cose tra cose2!
Faccio esperienza di qualcosa.
E non cambia nulla se, con quella tracotante sapienza, che riconosce nelle cose un aspetto nascosto, riservato agli iniziati, e ne
giocherella con la chiave, si aggiungono alle esperienze « palesi »
quelle « segrete ». O segreto senza mistero, o ammucchiarsi delle
informazioni! Esso, esso, esso!
Colui che fa esperienza non ha parte al mondo. L'esperienza è « in
lui », e non tra lui e il mondo.
Il mondo non ha parte all'esperienza. Si lascia esperire, ma questo
non lo riguarda, perché non vi contribuisce per nulla, e non gliene
viene nulla.
*
» Il mondo come esperienza appartiene alla parola fondamentale ioesso. La parola fondamentale io-tu fonda il mondo della relazione.
*
Sono tre le sfere in cui si instaura il mondo della relazione *.
La prima è la vita con la natura. Qui la relazione oscilla nel buio, al
di sotto della parola. Le creature reagiscono di fronte a noi, ma non
hanno la possibilità di giungere fino a noi, e il nostro dir-tu a loro è
fissato alla soglia della parola.
2 Si annuncia qui un tema importante della filosofia di Buber, che verrà sviluppato
nel seguito dell'opera e altrove. Il rapporto io-esso, cioè l'esperienza oggettivante,
infrange l'unità del mondo per l'uomo e quindi dell'uomo stesso. 11 mondo si divide in
realtà interna all'io (spirito) e realtà esterna (vita). Queste due sfere entrano in conflitto
e la cultura contemporanea cerca di ricostituire l'unità riducendo la vita allo spirito
(spiritualismo) o lo spirito alla vita (materialismo): in entrambi i casi essa fallisce,
poiché l'unica soluzione autentica consiste nel ridare spazio alla relazione (io-tu), che
realizza l'unità originaria, evitando quel dualismo. Un'immagine suggestiva di questa
dualità del mondo dell'esso e della possibilità del suo superamento è data da Buber
nella Parte seconda di quest'opera (cfr. pp. 109s).
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PARTE PRIMA
La seconda è la vita con gli uomini. Qui la relazione è manifesta, in
forma di parola. Possiamo dare e ricevere il tu.
La terza è la vita con le essenze spirituali. Qui la relazione è avvolta
nelle nubi, ma capace di manifestarsi, muta, ma creatrice di parola.
Non usiamo alcun tu e tuttavia ci sentiamo chiamati, rispondiamo —
costruendo, pensando, agendo: diciamo con il nostro essere la parola
fondamentale, senza poter dire tu con le labbra.
Ma come possiamo rapportare al mondo della parola fondamentale
ciò che è al di fuori della parola3?
Jn ogni sfera, attraverso ogni cosa che ci si fa presente, lanciamo
uno sguardo al margine del Tu eterno, in ognuna ve ne cogliamo un
soffio, in ogni tu ci appelliamo al Tu eterno, in ogni sfera secondo il
suo modo.
*
Osservo un albero.
Posso recepirlo come un'immagine: pilastro immobile nel fulgore
accecante della luce, o verde acceso attraversato dalla mitezza
dell'azzurrino fondo argentato. Posso percepirlo come movimento:
fluire della venatura sul nucleo saldo e anelante, succhiare delle radici,
respirare delle foglie, scambio infinito con la terra e con l'aria — e lo
stesso crescere oscuro.
Posso classificarlo in una specie e osservarlo come un esemplare, a
seconda di com'è fatto e di come vive.
Posso lasciare da parte la sua particolarità e il modo in cui è fatto,
al punto da riconoscerlo solo come un'espressione della legge — di
quelle leggi per cui una continua opposizione di forze continuamente
si ricompone, o di quelle leggi per cui gli elementi materiali si
uniscono e si separano.
Posso dannarlo e immortalarlo nel numero, nella pura relazione
numerica.
Con tutto ciò l'albero rimane per me un oggetto, un oggetto nello
spazio e nel tempo, con il suo modo e le sue caratteristiche.
3II fatto che la « parola fondamentale » io-tu possa avvenire anche al di fuori
dell'ambito della parola parlata, cioè del linguaggio, al di sotto di esso nella relazione
con la natura, al di sopra di esso nella relazione con le essenze spirituali, non è una
contraddizione. La « parola », per Buber, è una realtà ontologica, identica, nella sua
autenticità, alla relazione, di cui il linguaggio è solo un'espressione fenomenica,
certamente importante, ma di per sé non essenziale.
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MARTIN BUBER, IO E TU
Tuttavia, per volere e per grazia insieme, può anche accadere che,
osservando l'albero, io venga coinvolto nella relazione con lui, e
allora l'albero non è più un esso. La forza dell'esclusività mi ha
afferrato.
Per questo non è necessario che io rinunci a uno qualsiasi dei miei
modi di osservazione. Non c'è nulla che dovrei trascurare di vedere,
per vedere, e nessun sapere che dovrei dimenticare. Anzi, è tutto lì
insieme, immagine e movimento, specie ed esemplare, legge e
numero, inscindibilmente unito.
Tutto ciò che appartiene all'albero è lì insieme, la sua forma e la sua
meccanica, i suoi colori e la sua chimica, il suo discorrere con gli
elementi e il suo discorrere con gli astri, e tutto in una totalità.
L'albero non è un'impressione, non è un gioco della, miaimmaginazione, non è uno stato d'animo, ma è un corpo vivo davanti a me e
ha a che fare con me, come io con lui, solo in un modo diverso.
Non si cerchi di svigorire il significato della relazione: relazione è
reciprocità4.
L'albero allora avrebbe una coscienza, simile alla nostra? Non la
esperisco. Ma volete di nuovo dividere l'indivisibile, perché vi sembra
che vi sia riuscito dividerlo in voi stessi? Non incontro nessun'anima dell'albero e nessuna driade, ma l'albero stesso.
*
Se sto di fronte a un uomo come di fronte al mio tu, se gli rivolgo la
parola fondamentale io-tu, egli non è una cosa tra le cose e non è fatto
di cose.
Non è un lui o una lei, limitato da altri lui e lei, punto circoscritto
dallo spazio e dal tempo nella rete del mondo; e neanche un modo di
essere, sperimentabile, descrivibile, fascio leggero di qualità definite.
Ma, senza prossimità e senza divisioni, egli è tu e riempie la volta del
4 « Relazione è "reciprocità" (Gegenseitigkeit). » Con ciò Buber intende sottolineare
che la relazione non solo non è riduzione dell'altro all'oggetto, ma non è nemmeno
riduzione dell'altro all'io. Scrive Emmanuel Lévinas, commentando Buber: « Il rapporto
tra io e tu consiste in questo, che l'io si pone di fronte a un qualcosa di esterno, cioè a un
ente che è radicalmente altro e lo conferma come tale. Questa conferma dell'alterità non
consiste nel fatto che ci si fa un'idea dell'alterità. L'avere un'idea di qualcosa è il vero
essere dell'io-esso. Non si tratta di pensare un altro, e nemmeno di pensarlo come altro,
ma invece di volgersi verso di lui, per dire a lui tu » (Emmanuel Lévinas, Martin Buber
und die Erkenntnistheorie, in Aa.Vv., Martin Buber, a cura di P. A. Schilpp e M.
Friedman [Nota bibl. 4,
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cielo. Non come se non ci fosse nient'altro che lui: ma tutto il resto
vive nella sua luce.
Come la melodia non è un insieme di suoni, il verso non è un'insieme di parole e la statua non è un insieme di linee — occorre strappare e lacerare per arrivare dall'unità alla molteplicità —, così è per
l'uomo, al quale dico tu. Posso considerare separatamente il colore dei
suoi capelli, il tono del suo discorso, la gradazione della sua bontà:
devo sempre di nuovo farlo; ma già egli non è più tu.
Come la preghiera non è nel tempo, ma il tempo nella preghie1963], p. 123). D'altra parte Buber, oltre a considerare casi particolari in cui la mu tualità
della relazione è o deve essere limitata, come il caso della relazione pedagogica, di
quella psicoterapeutica o di quella pastorale (cfr. infra,, pp. 153ss), puntualizza che «
reciprocità » non significa « reversibilità » (Umkehrbarkeif), cioè che la risposta del tu
all'appello dell'io non è semplicemente un'eco della parola dell'io, che rimbalza sul tu,
né l'io deve il suo posto nella relazione al suo partner. La relazione di risposta del tu è
una nuova relazione, corrispondente alla prima: « È dunque sbagliato dire che l'incontro
è reversibile. Il mio tu non è identico all'io dell'altro e il suo tu non è identico al mio io »
(M. Buber, Antwort, in Aa. Vv., Martin Buber, a cura di P. A. Schilpp e M. Friedman,
cit., p. 596). La risposta del tu è una nuova relazione: senza questa originarietà e novità
della risposta non vi sarebbe autentico dialogo né autentica « responsabilità » di chi
risponde, quindi nemmeno autentica relazione. Inoltre l'autonomia della risposta
garantisce anche l'autonomo valore della chiamata. Ciò è di importanza fondamentale,
soprattutto nella relazione di Dio con l'uomo, poiché garantisce che, anche in assenza
della risposta umana, l'appello di Dio è autentica relazione e resta perciò sempre aperto
alla possibilità della conversione dell'uomo e della sua risposta. Questo è un aspet to
rilevante dell'analisi buberiana della crisi dell'uomo e della via per uscire da essa, come
egli la configura, per esempio, in L'eclissi di Dio (Nota bibl. 3).
ra, il sacrificio non è in uno spazio, ma lo spazio nel sacrificio — chi
rovescia il rapporto sospende la realtà —, così non trovo in un tempo e
in uno spazio qualsiasi l'uomo a cui dico tu. Posso collocarlo nello
spazio e nel tempo, anzi devo sempre farlo, ma sarà solo un lui o una
lei, un esso, non più il mio tu5.
Fintanto che il cielo del tu è disteso sopra di me, gli argani della
causalità si accucciano ai miei piedi, e diminuisce il vortice della
fatalità.
5È già evidente qui l'intenzione di Buber di superare la discriminazione tra sa cro e
profano, ritrovando le stesse strutture di significato nei momenti della sacra lità come in
quelli della quotidianità profana e ponendo così le condizioni per una realizzazione del
sacro nel profano. Questo è certamente uno dei temi più importanti che Buber ha
appreso dal chassidismo.
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MARTIN BUBER, IO E TU
Io non sperimento l'uomo a cui dico tu. Ma, nella santa parola
fondamentale, sono nella relazione con lui. Appena me ne allontano,
lo sperimento di nuovo. Esperienza è lontananza del tu.
Ci può essere relazione anche se l'uomo, a cui dico tu, non lo
percepisce nella sua esperienza. Perché il tu è più di quanto l'esso
sappia. Il tu fa di più, e gli succede di più di quanto l'esso sappia.
Qui non sopravviene alcun inganno: qui è la culla della vita reale.
*
Che la forma avanzi di fronte a un uomo e, per mezzo suo, voglia
diventare opera, questa è l'eterna origine dell'arte 6. Nessuna creazione
dell'anima, ma apparizione che le si pone di fronte e pretende da lei
forza operativa. Si arriva a un'azione essenziale dell'uomo: se l'uomo
la compie, se con il suo essere dice la parola fondamentale alla forma
che gli appare, allora la forza operativa prorompe; l'opera nasce.
L'azione comporta un sacrificio e un rischio. Il sacrificio: la possibilità infinita, che è immolata sull'altare della forma; tutto ciò che la
prospettiva portava con sé, ancora come un gioco, deve esser
cancellato, niente di questo può intromettersi nell'opera; così esige
l'esclusività di ciò che sta di fronte. Il rischio: solo con l'intero essere
si può dire la parola fondamentale; chi le si affida non può trattenere
nulla di sé; e l'opera non tollera, come l'albero o l'uomo, che io ritorni
nella distensione del mondo dell'esso, ma comanda: se non la servo
correttamente, va in pezzi, oppure manda in pezzi me.
Non posso esperire e non posso descrivere la forma che avanza di
fronte a me; posso solo realizzarla. E tuttavia, radiosa nello splendore
del suo starmi di fronte, la vedo più chiara di ogni chiarezza del
mondo esperito. Non come una cosa tra le cose « interne », non come
una costruzione dell' « immaginazione », ma come ciò che è presente.
Misurata sull'oggettività, la forma non è affatto « qui »; ma che cosa
c'è di più presente di lei? E la relazione in cui sto con lei è reale:
opera su di me come io su di lei.
Fare è creare, inventare è trovare. Il dar forma è scoperta. Realizzando, scopro. Conduco la forma al di là — nel mondo dell'esso.
L'opera compiuta è cosa tra le cose, come una somma esperibile e
6L'arte è dunque, per Buber, uno degli ambiti principali (anche se non l'unico) della
relazione con le « essenze spirituali », cioè con le idee, i valori e le forme.
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PARTE PRIMA
descrivibile di qualità. Ma, di volta in volta, può presentarsi, all'osservatore che la accolga, come un corpo vivo.
*
« Ma allora che cosa si sperimenta del tu? »
« Proprio nulla. Perché non si sperimenta. »
« Che cosa si sa allora del tu? »
« Semplicemente tutto. Poiché di lui non si conosce più il particolare. »
*
Il tu mi incontra per grazia — non si trova nella ricerca. Ma è
un'azione del mio essere, una mia azione essenziale, che io gli rivolga
la parola fondamentale.
Il tu mi incontra. Ma io entro con lui nella relazione immediata.
Così la relazione è al tempo stesso essere scelti e scegliere, patire e
;gire. Allo stesso modo un agire dell'intero essere deve divenire simile
al patire, quando si sospende ogni agire particolare e insieme a esso
ogni sensazione attiva che si fondi solo nei limiti di quell'agire 7.
Solo con l'intero essere si può dire la parola fondamentale io- tu.
L'unificazione e la fusione con l'intero essere non può mai avvenire
attraverso di me, né mai senza di me. Divento io nel tu; diventando io,
dico tu.
Ogni vita reale è incontro.
*
La relazione al tu è immediata. Tra l'io e il tu non vi è alcuna
conoscenza concettuale, alcuna precomprensione, alcuna fantasia; e
persino la memoria si trasforma, poiché precipita dalla particolarità
nella totalità. Tra l'io e il tu non vi è alcun fine, alcun desiderio, alcuna
anticipazione; e persino l'anelito si trasforma, poiché precipita dal
sogno nell'apparizione. Ogni mezzo è impedimento.
L'incontro avviene solo dove è caduto ogni mezzo.
7 II « non agire » (Nichttun) come culmine dell'« agire » (Tun) è un tema che Buber
ritrova nel taoismo (cfr., per esempio, Die Lehre vom Tao, in Werke I [Noto bibl. 2],
pp. 1046s) e considera come un'importante sapienza dell'uomo orientale, anche se poi
egli svolge questo tema in modo originale, ispirandosi alla tradizione biblica e
chassidica.
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MARTIN BUBER, IO E TU
*
Dinanzi all'immediatezza della relazione tutto ciò che è mediato
diventa irrilevante. Come è irrilevante che il mio tu sia già l'esso di
altri io (« oggetto di un'esperienza comune ») o che — proprio per
effetto della mia azione essenziale — possa diventare tu per altri io.
Ché il vero confine, certamente sospeso e oscillante, non passa tra
l'esperienza e la non esperienza, né tra il dato e il non dato, e neppure
tra il mondo dell'essere e il mondo dei valori, ma atiraversa ogni
territorio fra il tu e l'esso: tra ciò che è presenza e ciò che è oggetto 8.
*
Il presente, non quello puntuale, che indica solo il termine via via
fissato nel pensiero del tempo « trascorso », l'apparenza di uno
scorrere che è stato fermato, ma il presente reale e compiuto, si dà
soltanto nella misura in cui si dà presenzialità, incontro, relazione.
Solo attraverso il farsi presenza del tu, il presente nasce.
8 Qui l'opposizione tra io-tu e io-esso è espressa mediante la differenza e l'assonanza
tra le parole tedesche Gegenwart (presente) e Gegenstand (oggetto), che la traduzione
italiana non è in grado di conservare.
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PARTE PRIMA
L'io della parola fondamentale io-esso, l'io cioè di fronte a cui non
si fa presenza viva un tu, ma che è attorniato da una molteplicità di «
contenuti », ha solo passato, non presente. In altre parole: fintanto che
l'uomo si contenta delle cose che esperisce e usa, vive nel passato, e il
suo attimo è senza Presenza. Non ha null'al- tro che oggetti; ma gli
oggetti hanno il loro essere nell'essere stati.
Il presente non è l'effimero che scivola via, ma ciò che si fa presente
e permane. L'oggetto non è durata, ma pausa, fermata, interruzione,
autoirrigidimento, sottrazione, è mancanza di relazione, mancanza di
Presenza.
Ciò che è essenziale è vissuto nel presente, ciò che è oggettuale è
vissuto nel passato.
*
Questa fondamentale duplicità non si può neanche aggirare appellandosi a un « mondo delle idee », come a un terzo elemento al di
là della contraddizione. Poiché non parlo di null'altro se non dell'uomo
reale, di te e di me, della nostra vita e del nostro mondo, non di un io
in sé, non di un essere in sé. Ma il limite proprio degli uomini reali
attraversa anche il mondo delle idee.
Certamente qualcuno che, nel mondo delle cose, si accontenta di
esperirlo e di utilizzarlo, si è costruito una struttura o una sovrastruttura di idee in cui trova rifugio e conforto all'irruzione del nulla.
Abbandona sulla soglia la veste della sgradevole quotidianità, si
avvolge in candidi lini e prova sollievo alla vista dell'essere primo
originario e del dover essere, a cui la sua vita non partecipa in alcun
modo; può anche darsi che annunziarlo lo faccia sentir bene.
Ma l'umanità dell'esso che questi immagina, postula e propaganda,
non ha nulla a che fare con quell'umanità vitale a cui un uomo rivolge
un autentico tu. La più nobile finzione è un feticcio, il più sublime
sentimento del fittizio è una depravazione. Le idee troneggiano così
poco sulle nostre teste quanto poco vi dimorano; vagano tra noi e a noi
si avvicinano. Meritevole di compassione è colui che lascia non detta
la parola fondamentale, ma infelice colui che, al contrario, la interpella
con un concetto o con una formula, come se fossero il suo nome! 9.
*
9 C'è qui un'espressione della costante polemica di Buber con ogni forma di
idealismo, non solo del passato, ma anche a lui contemporanea, come dimostra,
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MARTIN BUBER, IO E TU
In uno dei tre esempi di cui abbiamo parlato viene in luce che la
relazione immediata comporta un operare su ciò che ci sta di fronte:
l'azione essenziale dell'arte determina il processo all'interno del quale
la forma diventa opera. Ciò che sta di fronte all'io si compie attraverso
l'incontro, per mezzo suo entra nel mondo delle cose, destinato a
continuare a operare all'infinito, infinitamente esso, ma anche per
diventare all'infinito nuovamente tu, dispensatore di felicità e di
fervore. Ciò che sta di fronte « si incarna »: il suo corpo emerge dai
flutti del presente senza spazio e senza tempo alla riva dell'esistenza.
11 significato dell'operare non è altrettanto manifesto nella relazione
con il tu umano. L'atto essenziale, che in questo caso fonda
l'immediatezza, viene comunemente compreso sentimentalmente e
quindi frainteso. Dei sentimenti accompagnano il fatto metafisico e
metapsichico dell'amore, ma non lo determinano; e i sentimenti che lo
accompagnano possono essere di natura molto diversa. Il sentimento
di Gesù verso l'indemoniato è diverso dal sentimento verso il suo
discepolo prediletto; ma l'amore è uno solo. I sentimenti si « hanno »;
l'amore accade. I sentimenti dimorano nell'uomo; ma l'uomo dimora
nel suo amore. Questa è la realtà, non una metafora: l'amore non
coinvolge l'io, come se per l'amore il tu non fosse che il « contenuto »,
l'oggetto; l'amore è tra l'io e il tu n. Chi non sa questo, chi non lo sa
con tutto il suo essere, non conosce l'amore, anche se crede di
attribuirgli i sentimenti che vive, che prova, di cui gode e che
manifesta. L'amore è un operare mondano. Per chi sta nell'amore e in
esso guarda, gli uomini si liberano dal groviglio dell'ingranaggio; i
buoni e i cattivi, i savi e i folli, i belli e i brutti, l'uno dopo l'altro
diventano per lui reali, diventano un tu, cioè un essere liberato, fuori
dal comune, unico ed esistente di fronte a lui. In modo meraviglioso
sorge, di volta
per esempio, la sua nota polemica con Hermann Cohen (1842-1918) sul carattere ideale
o personale di Dio (cfr. L'eclissi di Dio, tr. it. [Nola bibl. 3, 1961], pp. 53ss).
12 L'amore, per Buber, ha una realtà e un significato ontologici, e l'aspetto sentimentale e psicologico non è che secondario e concomitante. « Amore » è sinonimo di
« relazione » e di « parola ». Per questo poco sopra, parafrasando le affermazioni
precedenti: « Chi dice una parola fondamentale entra nella parola e la abita »; « Chi
dice tu [...] sta nella relazione » (supra, p. 60), ha precisato: « I sentimenti dimorano
nell'uomo; ma l'uomo dimora nel suo amore »; e qui aggiunge: « l'amore è tra l'io e il tu
».
in volta, l'esclusività — e così l'uomo può operare, aiutare, guarire,
educare, sollevare, redimere. L'amore è responsabilità di un io verso
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PARTE PRIMA
un tu. Qui sta l'eguaglianza — che non può consistere in un
sentimento di alcun genere — di tutti coloro che amano, dal più
piccolo al più grande, dal felice che si sente al sicuro, perché la sua
vita trova compimento in quella della persona amata, a colui che,
inchiodato tutta la vita alla croce del mondo, può e osa l'inaudito:
amare gli uomini.
Avvolto nel mistero rimane il significato dell'operare nel terzo
esempio, quello della creatura e del suo modo di guardare. Credi alla
semplice magia della vita, al servizio nell'universo, e ti si schiuderà il
significato di quell'attesa, di quello sguardo, di quel « tendere il capo »
della creatura! Ogni parola sarebbe mistificatrice; ma guarda, gli
esseri vivono intorno a te, e a qualsiasi di essi tu
ti accosti, giungi sempre all'essere.
*
Relazione è reciprocità. Il mio tu opera su di me, come io opero su
di lui. I nostri allievi ci formano, le nostre opere ci costruiscono. Il «
malvagio » diventa rivelatore, se toccato dalla santa parola
fondamentale. Come veniamo educati dai bambini, dagli animali!
Imperscrutabilmente inclusi, viviamo nella fluente reciprocità dell'universo.
*
« Tu parli dell'amore, come se fosse l'unica relazione esistente tra
gli uomini; ma puoi sceglierlo giustificatamente anche solo come
esempio, dal momento che esiste l'odio? »
« Fintanto che l'amore è "cieco", cioè fino a quando non vede un
intero essere, non è ancora veramente sotto la parola fondamentale
della relazione. L'odio è cieco per natura; si può odiare soltanto un
aspetto di un essere. Chi vede un intero essere e si trova costretto a
rifiutarlo, non si trova più nel dominio dell'odio, ma in quello della
limitatezza umana incapace di dir-tu. Che all'uomo capiti di non poter
dire all'essere umano che gli sta di fronte la parola fondamentale —
che comporta sempre l'affermazione dell'essere che è appellato —, che
gli capiti di dover rifiutare l'altro o se stesso, è la barriera presso cui
l'entrare-in-relazione riconosce la sua relatività; barriera superata non
appena la relatività sia riconosciuta.
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MARTIN BUBER, IO E TU
E tuttavia colui che odia con immediatezza è più vicino alla relazione di colui che è senza amore e senza odio. »
♦
1
Nel fatto che ogni tu nel nostro mondo debba diventare un esso, sta
la sublime malinconia della nostra sorte. Per quanto il tu fosse
presente in modo esclusivo nella relazione immediata, appena essa ha
smesso di operare, o è stata interrotta da un mezzo, il tu diventa
oggetto tra gli oggetti, forse un oggetto rilevante, e tuttavia sempre
uno di essi, determinato e limitato. All'atto pratico, rendere reale in un
modo significa sottrarre realtà in un altro. Una visione autentica ha
breve durata; l'essere naturale, che proprio ora mi si era dischiuso nel
mistero della reciprocità, è di nuovo diventato descrivibile,
scomponibile, classificabile, il punto d'intersezione di svariati ambiti
di leggi. E l'amore stesso non può abbarbicarsi alla relazione
immediata; l'amore permane, ma nello scambio di attualità e latenza.
L'uomo, che appena adesso era ancora unico e incondizionato, non
utilizzabile, solo presente, non sperimentabile, solo palpabile, ora è di
nuovo diventato un lui o una lei, una somma di qualità, un quantum
figurabile. Adesso posso di nuovo considerare separatamente il colore
dei suoi capelli, il tono del suo discorso, la gradazione della sua
bontà; ma fintanto che posso farlo, non è più, e non è ancora di nuovo,
il mio tu.
Ogni tu nel mondo è destinato per natura a diventare cosa, o a
ritornare sempre di nuovo nella « cosalità ». Nel linguaggio degli
oggetti si direbbe: ogni cosa nel mondo, prima o dopo il suo divenir
cosa, può apparire a un io come il suo tu. Ma il linguaggio degli
oggetti carpisce solo ciò che spunta della vita reale.
L'esso è la crisalide, il tu la farfalla. Il fatto è che non sempre si
danno le condizioni che sostituiscano nettamente l'una all'altra;
spesso, con profonda duplicità, vi è piuttosto un incoerente confuso
accadere.
Con il termine « relazione » (Beziehung) Buber indica esclusivamente il rapporto
io-tu, non il rapporto io-esso.
4
Questo schema ricorre più volte nell'opera di Buber. Solo in II problema dell'uomo, (tr. it. [Nota bibl. 3, 1983], pp. 93ss) esso appare modificato, poiché, al posto
della relazione con le « essenze spirituali », vi compare la relazione con « il mistero
dell'essere », cioè con Dio stesso. Tuttavia questa variante è problematica, e del resto
anche in scritti successivi, come nella Postfazione a Io e tu (cfr. infra, pp. 319ss), Buber
ribadisce lo schema originario.