QUADERNI di DIRITTO ECCLESIALE

Transcript

QUADERNI di DIRITTO ECCLESIALE
QUADERNI di
DIRITTO
ECCLESIALE
claudia Ambroggi - [email protected]
2
Anno XXVIII - APRILE 2015
Matrimonio e questioni
bioetiche
Snellimento della prassi canonica in ordine alla
dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale?/5 - I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza - I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
claudia Ambroggi - [email protected]
QUADERNI
DI DIRITTO
ECCLESIALE
SOMMARIO
129 Editoriale
132 Sommari / Abstracts
135 Transessualismo e diritto matrimoniale
di Paolo Bianchi
164 Fecondazione assistita eterologa e matrimonio
canonico
di Alessandro Giraudo
180 Maternità surrogata: profili canonistici
matrimoniali
di Adolfo Zambon
191 Risposte al questionario per il Sinodo
Snellimento della prassi canonica
in ordine alla dichiarazione di nullità
del vincolo matrimoniale?/5
di Massimo Mingardi
Corso residenziale di diritto canonico applicato.
La curia diocesana: diritto e prassi. IV anno
198 La cronaca e le relazioni
a cura di Gianluca Marchetti
202 I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
di Adolfo Zambon
230 I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
di Francesco Grazian
247 Libri ricevuti
PERIODICO
TRIMESTRALE
ANNO XXVIII
N. 2 - APRILE 2015
DIREZIONE E REDAZIONE
S.E.R. Card. F. Coccopalmerio,
S.E.R. Mons. C. Redaelli, C. Azzimonti,
P. Bianchi, E. Bolchi, G. Brugnotto,
M. Calvi, R. Coronelli, F. Franchetto,
A. Giraudo, F. Grazian, G. Marchetti,
F. Marini, A. Migliavacca,
M. Mingardi, E. Miragoli,
G.P. Montini, M. Mosconi,
P. Pavanello, A. Perlasca, A. Rava,
S. Recchi, M. Rivella, D. Salvatori,
G. Sarzi Sartori, G. Trevisan, B. Uggè,
T. Vanzetto, M. Visioli, A. Zambon,
E. Zanetti
SEGRETERIA DI REDAZIONE
Massimo Mingardi
Via Riva di Reno, 57
40122 Bologna
E-mail: [email protected]
PROPRIETÀ
Àncora S.r.l.
Via G.B. Niccolini, 8 - 20154 Milano
AMMINISTRAZIONE
Àncora Editrice
Via G.B. Niccolini, 8 - 20154 Milano
Tel. 02.345608.1 - Fax 02.345608.66
E-mail: [email protected]
STAMPA
Àncora Arti Grafiche
Via B. Crespi, 30 - 20159 Milano
DIRETTORE RESPONSABILE
G. Zini
Autorizzazione del Tribunale di
Milano n. 752 del 13.11.1987
Periodico associato all’USPI
ISSN 1124-1179
Imprimatur: Milano, 26-02-2015, Angelo Mascheroni, ordinario diocesano
claudia Ambroggi - [email protected]
Editoriale
Quaderni
di diritto ecclesiale
28 (2015) 129-131
«In questo contesto la Chiesa avverte la necessità di dire una parola di verità
e di speranza. Occorre muovere dalla convinzione che l’uomo viene da Dio
e che, pertanto, una riflessione capace di riproporre le grandi domande sul
significato dell’essere uomini, possa trovare un terreno fertile nelle attese
più profonde dell’umanità. I grandi valori del matrimonio e della famiglia
cristiana corrispondono alla ricerca che attraversa l’esistenza umana anche
in un tempo segnato dall’individualismo e dall’edonismo. Occorre accogliere
le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della
Chiesa anche in chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni
più disparate. Il messaggio cristiano ha sempre in sé la realtà e la dinamica
della misericordia e della verità, che in Cristo convergono»1.
Così la Relatio dell’Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi dello scorso mese di ottobre metteva in luce come proprio il contesto contemporaneo ponga nuove sfide alla Chiesa nel suo servizio
alla verità e alla misericordia. In tale contesto, almeno nelle società
occidentali, le frontiere che le biotecnologie aprono, consentendo profonde trasformazioni del corpo umano e nuove modalità di manipolazione fin dal concepimento di una nuova vita, vengono ormai sentite
non più come terre lontane e irraggiungibili, ma come i luoghi in cui
si possono portare a compimento anche desideri e bisogni ritenuti in
passato come irrealizzabili.
Evidentemente la sfida muove prima di tutto in ambito etico,
dove si tende a riconoscere non semplicemente come buono ciò che
è possibile, ma a renderlo esigibile e quindi a configurare nuovi diritti. In molti contesti sociali si tende così ad annunciare e realizzare
una serie di diritti che sono proprio conseguenza della possibilità di
superare i limiti che la natura umana poneva e che le biotecnologie
sembrano spostare sempre un po’ più al di là di ciò che si riteneva
impossibile.
È quanto si registra per la configurazione dei diritti riproduttivi e
per una diffusa mentalità che vede nel figlio un diritto e non un dono,
1
Relatio Synodi, III Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi, 18 ottobre 2014, n. 11.
claudia Ambroggi - [email protected]
130
Editoriale
così da richiedere e voler vedere riconosciuto il diritto di accedere a
qualsiasi tecnica medica che consenta di compiere ciò che si ritiene
dovuto. In modo simile si configura la richiesta di veder riconosciuti
diritti che si acquisiscono con la mutazione del proprio sesso, tra cui,
non ultimo, l’accesso al matrimonio.
Dietro alle singole situazioni ci sono spesso profonde sofferenze,
che in alcun modo sono da giudicare per non perdere di vista il totale
rispetto di ogni persona e ancor di più dei drammi interiori o di coppia
che possono aver segnato il cammino e le scelte di ciascuno. Ciononostante, la riflessione ecclesiale non può esimersi dal richiamare
e riaffermare i valori che sono posti in gioco, riconoscendo che essi
sono per il bene della persona: si tratta di doni preziosi che ci sono
affidati perché su di essi si possano fondare e realizzare le scelte fondamentali della vita.
Anche il diritto canonico, in diversi ambiti della propria riflessione, è sollecitato dalle sfide che le nuove frontiere delle biotecnologie,
e le conseguenti posizioni etiche, suscitano e solleveranno con sempre maggiore forza nei nuovi contesti culturali della nostra epoca.
La scelta nella redazione del fascicolo è stata di concentrare lo
studio su alcune questioni bioetiche in rapporto al matrimonio canonico, così da approfondire le conseguenze sulla capacità e abilità
alle nozze e sull’accertamento in ordine alla validità del consenso,
lasciando sullo sfondo, come sempre, i risvolti che ne derivano per
la preparazione e l’ammissione alle nozze, senza in alcun modo voler
esprimere giudizi o condanne sulle persone e sulle situazioni.
La parte monografica prende avvio in un primo articolo riprendendo in modo compiuto la questione, oggi ancor più complessa e
delicata, della condizione transessuale. Il tema viene delineato nel
confronto tra principi dell’antropologia cristiana e riflessioni biomediche e psicocliniche, e declinato nella valutazione della capacità
matrimoniale di chi si accosti alla scelta coniugale prima o dopo aver
compiuto l’intervento di sex reassignment surgery (Bianchi).
In un secondo e terzo articolo si accostano invece due approfondimenti legati al tema della fecondazione assistita, che in passato
la Rivista aveva già affrontato in una fase di prima diffusione di tali
tecniche biomediche. Si è scelto, quindi, di ritornare sul tema e di concentrare la riflessione su due fattispecie che maggiormente possono
presentare i tratti di tecniche oggi non più considerate straordinarie,
ma che pongono gravi interrogativi in ordine alla consistenza del consenso matrimoniale. Sia per quanto attiene alla fecondazione assistita
claudia Ambroggi - [email protected]
Editoriale
131
eterologa (Giraudo), che per la maternità surrogata (Zambon), alla
chiara posizione dell’insegnamento del Magistero, che ritiene tali
modalità inaccettabili perché separano totalmente la procreazione
dagli atti coniugali ed introducono una profonda ferità all’unicità della
coppia, la riflessione degli Autori si concentra su come si debbano
sempre tenere in conto l’effettiva volontà dei nubendi, ma soprattutto
le modalità e i tempi in cui abbia preso corpo la decisione di vedere
riconosciuto e compiuto il desiderio di un figlio con tali tecniche moralmente illecite. Ugualmente delicate sono le conseguenze in ordine
ai legami genetici e sociali che la fecondazione assistita eterologa e
la maternità surrogata fanno sorgere, con la possibilità di veder riconosciuti e delineati nuovi impedimenti matrimoniali tra il nascituro e
le diverse figure “genitoriali” a cui egli si trova legato, individuando
una possibile consanguineità “legale” e un eventuale specifico impedimento ex gestatione.
In tutte e tre le tematiche affrontate, la riflessione vuole offrire
un contributo di chiarezza rispetto alla verità dei principi bioetici e
di ricerca di una misericordia verso le persone e le coppie che, senza
mai poter cancellare tale verità, sappia bensì coniugarla nella convergenza che si compie in Cristo, così da non smarrire il significato
profondo della nostra umanità creata.
La seconda parte del fascicolo vede la prosecuzione dei contributi connessi ai Sinodi dei vescovi sulla famiglia, in questo fascicolo
con un testo a cura di Mingardi, e la pubblicazione di alcune relazioni
tenute ai corsi di diritto canonico applicato organizzati dalla redazione della Rivista.
claudia Ambroggi - [email protected]
QUADERNI
DI DIRITTO
ECCLESIALE
Sommari / Abstracts
ANNO XXVIII
N. 2 - APRILE 2015
P. BIANCHI, Transessualismo e diritto matrimoniale canonico,
pp. 135-163
Dopo alcune premesse volte a precisare il taglio dell’articolo e ad evitare malcomprensioni dello stesso, nonché dopo aver presentato alcune
informazioni di carattere soprattutto clinico, ci si concentra sulla tematica dell’ammissione al matrimonio della persona classificabile come
transessuale. Fatto un cenno al diritto italiano in merito, si sviluppa la
considerazione della disciplina canonica, distinguendo la condizione
del soggetto prima e dopo la cosiddetta operazione di riattribuzione del
sesso. Prima di tracciare alcune sintetiche conclusioni, si fa pure cenno
ad alcuni precedenti sul tema allo studio contenuti in sentenze della Rota
Romana.
After few premises that serve to specify the typology of the article and avoid its
misinterpretation, that is, after having presented some data which is specifically
clinical, the article focuses on the theme of admission for marriage of a person who
is classifiable as transsexual. Subsequent to a short reference to Italian Law on
the topic, the article develops canonical considerations, distinguishing between the
condition of the person before and after the so called operation for gender reassignment. Before synthetically outlining several conclusions, the article refers also to
some precedent cases on the theme under study, all featuring in judgements of the
Roman Rota.
A. GIRAUDO, Fecondazione assistita eterologa e matrimonio
canonico, pp. 164-179
La riflessione prende le mosse dalle considerazioni etiche sulla fecondazione eterologa, confrontando le posizioni che ne giustificano la liceità in
nome del diritto assoluto alla paternità/maternità con gli insegnamenti
del Magistero cattolico, che invece evidenzia come si tratti di tecniche
che ledono in profondità i beni del matrimonio. Alla luce di tali conside-
claudia Ambroggi - [email protected]
Sommari / Abstracts
133
razioni si affrontano le conseguenze che la riserva positiva o la semplice
previsione di una fecondazione eterologa possono produrre in ordine alla
validità del consenso coniugale. Si accostano infine i temi degli impedimenti matrimoniali e della filiazione legittima nel caso di figli generati
con l’apporto del patrimonio genetico di figure terze rispetto coniugi.
The reflection departs from ethical considerations regarding donor insemination,
by confronting the positions that justify its legitimacy, in the name of the absolute
right for fatherhood/motherhood, against those of the teachings of the Catholic
Magisterium, which on the other hand emphasize how these are techniques which
profoundly harm the goods of marriage. In light of such considerations, the resulting
consequences are examined, of when a positive reservation or the simple forecasting
of a donor insemination occur, and what they yield on the validity of the matrimonial consent. The themes of marriage impediments and legitimate sonship are
considered in the case where children are generated through the assistance of third
party genetic patrimony with respect to the couple.
A. ZAMBON, Maternità surrogata: profili canonistici
matrimoniali, pp. 180-190
La maternità surrogata interroga la riflessione canonistica, mettendo in
luce la necessità di conoscere anzitutto le possibilità offerte dallo sviluppo scientifico e bioetico e dalla rete di comunicazione che caratterizza la
società attuale. In particolare, il contributo presenta le conseguenze della
maternità surrogata in ordine all’emissione di un valido consenso, specie
sotto il profilo della simulazione e del dolo. Inoltre, presenta la possibilità
di un nuovo impedimento, che sorge non dalla consanguineità o dall’adozione, bensì dalla gestazione, valutandone l’opportunità.
Surrogate motherhood interrogates canonical reflection, by emphasizing the need
to know, mainly, which possibilities are offered by scientific and bioethics developments and from a network of communication that characterizes today’s society.
Particularly, this contribution presents the consequences of surrogate motherhood
with respect to the exchange of a valid consent, especially in consideration of a
possibility of simulation or deceit. Besides, it presents the possibility of a new impediment, which crops up not from consanguinity or adoption, but from surrogacy,
and considers any such eventual opportunity of it.
claudia Ambroggi - [email protected]
134
Sommari / Abstracts
A. ZAMBON, I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza,
pp. 202-229
Il contributo si sofferma su tre nozioni-base, ossia quelle di bene ecclesiastico, di amministrazione e di vigilanza. Considerata la natura del corso,
presso cui è stato presentato a modo di relazione, si intendono fornire
alcuni elementi basilari attorno a questi tre concetti, senza entrare in
fattispecie dettagliate, che saranno oggetto della riflessione successiva.
Inoltre, l’attenzione è focalizzata soprattutto sulle realtà della diocesi e
della parrocchia, oltre a quelle di altri enti sottoposti alla vigilanza del
vescovo diocesano.
The contribution dwells on three key concepts, that is, ecclesiastical good, administration and vigilance. Considered the nature of the course, during which the topic
was presented in the form of a conference, it intends to offer some basic elements on
these three concepts, without entering in detailed facts, that shall be object of a subsequent reflection. Furthermore, attention is focussed on the reality of the dioceses and
parishes, besides other entities which fall under the vigilance of the diocesan bishop.
F. GRAZIAN, I beni ecclesiastici: soggetti e procedure,
pp. 230-246
L’articolo intende presentare e approfondire il concreto funzionamento,
all’interno di una curia, di alcune procedure riguardanti i beni temporali,
procedure che di solito coincidono con la richiesta di autorizzazione per
il compimento di un atto di amministrazione che oltrepassa l’ordinaria
amministrazione. Si cerca dunque di evidenziare soprattutto l’aspetto
dinamico, cioè i passaggi da compiere, nel rapporto tra i vari uffici e
tra le loro competenze, affinché una procedura (una pratica) giunga a
compimento.
The article intends to present and deepen the correct functioning, within the curia,
of some procedures regarding temporal goods, which procedures usually coincide
with the authorization request to fulfil an act of administration that goes beyond
ordinary administration. The article, therefore, attempts to highlight the dynamic
aspect, that is the necessary passages to be fulfilled, in the relationship between
the various offices and their peculiar competences, so that a procedure (a praxis) is
accomplished.
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo
e diritto matrimoniale canonico
Quaderni
di diritto ecclesiale
28 (2015) 135-163
di Paolo Bianchi
Premesse
L’affrontare tematiche connesse al campo di quelli che oggi vengono chiamati bioetica o biodiritto – per indicare in modo sintetico le
problematiche etiche e giuridiche che le possibilità offerte dalla ricerca scientifica e sperimentale fanno sorgere, secondo modalità inedite
sino a poco tempo addietro – comporta di toccare anche il tema del
cosiddetto transessualismo, ossia della condizione transessuale, precisamente nei suoi risvolti con l’ordinamento matrimoniale canonico1.
Per facilitarne la successiva citazione, ma anche per offrire lo spunto per il reperimento di ulteriore
bibliografia, si segnalano di seguito i lavori tenuti in maggiore considerazione nel presente studio: C.
ATZORI, Il binario indifferente. Uomo e donna o GLBTQ?, Milano 2010; P.G. BIANCHI, Incapacitas assumendi obligationes essentiales matrimonii. Analisi della giurisprudenza rotale, particolarmente degli
anni 1970-1982, Milano 1992; G. DELLA TORRE , Homosexualidad, in Diccionario General de Derecho
Canónico [= DGDC], IV, Pamplona 2013, pp. 340-346; M.P. FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale.
2. Il transessualismo, in A A .VV., Dalla parte della vita. Itinerari di bioetica. II, a cura di E. Larghero
- G. Zeppegno, Cantalupa (TO) 2008, pp. 475-403; M.P. FAGGIONI, I disturbi dell’identità di genere, in
I DEM, Sessualità matrimonio famiglia, Bologna 2010, pp. 331-357; M.P. FAGGIONI, Il transessualismo.
Questioni antropologiche, etiche e canonistiche, in «Antonianum» 75 (2000) pp. 277-310; J.A. F UENTES ,
Desviaciones de la sexualidad. Parafilias y transexualismo en las causas de nulidad matrimonial canónica, in «Ius Canonicum» 53 (2013) pp. 655-690; A. F UMAGALLI, Genere e generazione. Rivendicazioni e
implicazioni dell’odierna cultura sessuale, in «La Rivista del Clero Italiano» 95 (2014) pp. 133-147; J.J.
GARCÍA FAÍLDE , Trastornos psíquicos y nulidad del matrimonio, Salamanca 1999, pp. 403-411 e 413-415;
G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo. Analisi medico-giuridica e giurisprudenza canonica,
Roma 1998; W. H EYER , Paper genders. Il mito del cambiamento di sesso, Milano, 2013: il libro, alle
pagine 123-167, riporta in appendice l’articolo di R.P. F ITZGIBBONS - P.M. S UT TON - D. O’L EARY, La
psicopatologia della chirurgia di “riattribuzione del sesso”. Valutazione dal punto di vista medico, psicologico ed etico, contributo del 2009 scritto da un medico psichiatra, da uno psicologo e da una scrittrice
(originale: The Psychopathology of “Sex Reassignment” Surgery Assessing Its Medical, Psychological, and
Ethical Appropriateness, in «The National Catholic Bioethics Quarterly» Spring 2009, pp. 97-125); M.
I MPER ATORI, Sfide filosofico-teologiche del corpo sessuato, in «La civiltà cattolica» 165 (2014) II, 236-248;
U. NAVARRETE , Transexualismus et ordo canonicus, in «Periodica de re canonica» 86 (1997) 101-124; J.
O TADUY, Transexualidad, in DGDC, VII, pp. 641-645; R. P ICARDI, Desviación sexual, in DGDC, III, pp.
267-274; E. T EJERO, ¿Imposibilidad de cumplir o incapacidad de asumir las obligaciones esenciales del
matrimonio?, Pamplona 2005, pp. 1034-1037; G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria nelle cause matrimoniali canoniche, Città del Vaticano 2006, pp. 218-221 e 235-243.
1
claudia Ambroggi - [email protected]
136
Paolo Bianchi
Per impostare in modo corretto tale discorso e per evitare per
quanto possibile equivoci, occorre porre in chiaro alcune premesse.
Le riflessioni che si intendono sviluppare non intendono esprimere alcuna condanna, disprezzo o disistima per le persone che vivono la condizione transessuale. Di esse si rispettano la libertà, nella
misura in cui tale condizione corrisponde a una loro scelta; nonché la
sofferenza, laddove tali persone, proprio a causa della loro condizione,
soffrano soggettivamente o vengano sottoposte a ingiuste discriminazioni, sfruttamenti, umiliazioni, irrisioni o violenze. Peraltro, per
quanto la dimensione sessuale o, forse meglio, la sua natura sessuata
sia importante per una persona 2, non occorre mai dimenticare che il
valore della persona la trascende: in quanto essere umano la persona
gode di una nativa dignità che deve essere riconosciuta e promossa 3.
In una prospettiva cristiana, poi, la persona – qualsiasi sia la sua condizione, più o meno facile, più o meno problematica – va riconosciuta
come creata e amata dal Signore, chiamata a santificarsi nel corso
dell’esistenza, per mezzo del bene che le è possibile fare ma anche
per mezzo delle croci che ne caratterizzano l’esperienza biografica,
in vista della comunione definitiva col Signore. Questa sottolineatura appare decisiva perché, pur senza sottovalutare l’importanza
della dimensione sessuale (e degli eventuali aspetti problematici che
possono essere connessi ad essa), evita che tali problematiche esauriscano la considerazione (da parte di altri) e l’attenzione (da parte
di se stessa) della persona, aprendole invece a orizzonti più ampi e
comunque positivi.
Le presenti riflessioni intendono dunque solo studiare, dal punto di vista del diritto canonico, la questione se e in che misura una
condizione transessuale possa incidere sulla validità del matrimonio:
sia quanto alla integrità (soggettiva e oggettiva) della volontà che è la
causa efficiente del patto matrimoniale (cf can. 1057 § 2); sia sotto il
profilo della idoneità di persone transessuali al consorzio di vita matrimoniale così come inteso dall’ordinamento canonico (cf can. 1055
§ 1). Non vengono prese invece in esame altre problematiche pure
importanti sotto un profilo canonico, quali l’ammissione all’ordine
2
G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., pp. 14-20 offre delle riflessioni sul rapporto
fra sessualità e persona: la sessualità è nella linea dell’essere, non dell’avere, concerne la persona sia
nella sua unitotalità sia nella sua dimensione interpersonale, relazionale.
3
M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., p. 309 conclude il suo primo studio sull’argomento significativamente intitolando l’ultimo paragrafo: «Il transessuale è una persona»; scelta che trova una
esatta corrispondenza in M.P. FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale, cit., p. 400 e in M.P. FAGGIONI,
I disturbi dell’identità di genere, cit., p. 356.
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
137
sacro, oppure la possibilità di ingresso in un istituto di vita consacrata
o in una società di vita apostolica4.
Collocandosi la presente riflessione in un orizzonte giuridico,
occorre inoltre ribadire che – come ogni altro ordinamento giuridico
– anche quello canonico possiede per così dire una propria identità:
ossia esso ha dei fondamenti come si suol dire metagiuridici, che
fanno cioè riferimento a un patrimonio ideale, filosofico (e nel caso
anche religioso), che veicola una precisa visione antropologica. Non
c’è dubbio che, in questa visione, le tematiche della relazione interpersonale, dell’affettività, dell’esercizio della sessualità, della procreazione abbiano un loro rilievo; e la loro trattazione giuridica non potrà che
essere profondamente guidata da tali premesse ideali5. La neutralità
del diritto è un mero mito6 ; mentre l’illusione di poterlo ridurre a pura
procedura (presupponendo cioè che l’opera di qualsiasi legislatore
possa prescindere da un determinato sistema di valori) significa di
fatto consegnarlo alla prevalenza ideologica della maggioranza del
momento o della fase storica.
La tematica cui dedichiamo attenzione in questo contributo
è resa oggi più complessa dal fatto che una condizione che solo fino a tre o quattro decenni fa era considerata pacificamente solo di
carattere clinico, appare oggi passibile di una rilettura fortemente
caratterizzata dalla cosiddetta cultura del gender, che propone una
decostruzione del concetto di genere (maschile e femminile) ma alla
fin fine di quello stesso di sesso, affidandolo alla libera e mutevole
determinazione dell’individuo, senza che tale determinazione possa
Per un primo inquadramento circa queste problematiche cf U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit.,
pp. 117-124; J. O TADUY, Transexualidad, cit., pp. 644-645; M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit.,
pp. 304-309; M.P. FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale, cit., pp. 394-399; M.P. FAGGIONI, I disturbi
dell’identità di genere, cit., pp. 351-355.
5
Una sintesi del pensiero della Chiesa cattolica sul significato della sessualità (pp. 659-662), anche
con specifico riferimento alla questione del transessualismo e alla ideologia del gender che ne offre
una sua particolare lettura (pp. 675-678), si può trovare in J.A. F UENTES , Desviaciones de la sexualidad…, cit.; circa la pervasività di tale corrente ideologica, si può per esempio vedere C. DELSOL ,
Contro il gender, “nuovo catechismo francese”, articolo apparso su Le Monde venerdì 31 gennaio 2014,
riportato da Il foglio del 1° febbraio 2014, p. 1: sintesi in «Iustitia» 67 (2014) 73. Sulle implicazioni
della cultura del gender vedi anche J.I. BAÑARES , Matrimonio, género y cultura, in «Ius Canonicum»
48 (2008) 415-431.
6
Come è un mito la pretesa neutralità della scienza, che dipende dai presupposti antropologici che guidano sia le domande di chi ricerca sia l’interpretazione dei dati e che non può pretendere di imporre
le proprie precomprensioni ideologiche nascondendole appunto sotto la pretesa della scientificità. Su
tale ingenua visione e sul corretto rapporto fra fede e scienza sia Benedetto XVI sia Papa Francesco
hanno offerto delle importati riflessioni. Basti qui indicare i nn. 242-243 della Esortazione apostolica
di Papa Francesco Evangelii gaudium. Sulla pretesa neutralità delle scelte legislative cf il contributo
del giudice costituzionale M. CARTABIA , Avventure giuridiche della differenza sessuale, in «Iustitia» 64
(2011) 285-306.
4
claudia Ambroggi - [email protected]
138
Paolo Bianchi
essere comparata con alcun criterio di oggettività o sottoposta ad
alcun giudizio di valore7.
Quanto infine alla concreta operatività dell’ordinamento canonico – per quanto questo si proponga come globalmente vincolante
per tutti i cattolici latini (cf can. 11) e orientali (cf can. 1490 CCEO)
e, anzi, anche per tutte le persone umane laddove però esso sia puramente dichiarativo del cosiddetto diritto divino: naturale, in quanto
desunto dalla riflessione sulla struttura ontologica della realtà, e
positivo, in quanto desunto da ciò che si ritiene conosciuto per rivelazione – nessuno de facto può essere oggi coattivamente obbligato a
sottomettervisi. Tuttavia, non si potrà nemmeno pretendere che chi
voglia porre atti riconosciuti da tale ordinamento (che quindi implicitamente riconosce, al quale dà in qualche modo importanza) non
debba anche accettare la determinazione degli elementi essenziali
degli istituti giuridici da quello effettuata. Così è anche per l’istituto
matrimoniale e, di conseguenza, per i requisiti essenziali ai fini della
validità del patto nuziale che dà vita a quel consorzio di tutta la vita
ordinato al bene dei coniugi e della prole che è l’essenza del matrimonium in facto esse, del matrimonio stato o rapporto, che dir si voglia.
Per una sintetica presentazione della cultura del gender e della sue implicazioni, cf A. F UMAGALLI,
Genere e generazione…, cit.: questo Autore, nella parte conclusiva del suo studio, mette chiaramente
in luce l’antropologia dualistica sulla quale si fonda la cultura del gender (pp. 146-147). Tali premesse
antropologiche dualiste sono in modo ancora più ampio illustrate in M. I MPER ATORI, Sfide filosoficoteologiche…, cit., il quale risale al dualismo antropologico cartesiano (ma ultimamente platonico), in
forza del quale, diversamente che nella tarda antichità che ne coltivava un concetto antropologicamente più completo e significativo, «all’alba della modernità la nozione di natura finisce invece per
regredire ben al di qua della stessa sintesi classica, in quanto la natura, concepita ormai solo come
materia inerte, viene sistematicamente opposta alla cultura e alla libertà umane» (p. 239). Tale separazione radicale fra natura e cultura finisce per avere un peso notevole sotto il profilo filosofico (e
teologico): «Ed è proprio il peso di tale dualismo ad aver lungamente impedito all’uomo moderno di
porsi la domanda circa la concreta incidenza della sua corporeità umana nella comprensione che egli
ha di sé e del mondo nel quale vive corporalmente situato e condizionato. E quando l’essere sessuato
dell’uomo e della donna cominciano finalmente a essere presi in considerazione dal pensiero occidentale, il peso della tradizione dualista porta quasi automaticamente a trasferire la distinzione sessuale
sul terreno di una natura corporea già pensata in se stessa come antropologicamente insignificante,
perché dominio ormai del solo approccio scientifico» […dove tali discipline appaiono] «pesantemente
condizionate dal presupposto dualista dell’inincidenza filosofica della corporeità umana» (p. 240). Ed
è proprio sulla base di questo indiscusso (e, invece, da discutersi) presupposto della radicale insignificanza del dato corporeo di cui l’essere umano è costituito che può reggersi, fino alle conseguenze
più estreme, la proposta della cultura del gender. Il dualismo che sta alla base della teoria del gender è
evidenziato anche da C. ATZORI, Il binario indifferente…, cit., pp. 67-68; come al dualismo di fondo di
alcune concezioni attuali della sessualità accenna G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…,
cit., p. 16. Al dualismo che sottende a molte concezioni antropologiche attuali dedica attenzione anche M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., pp. 291-292, il quale parla di «un’antropologia schizoide»
dove si approda «a un sostanziale rifiuto del sesso come realtà data, fissa e stabilizzata, a favore del
genere inteso come struttura flessibile» (p. 291, corsivi dell’Autore); analoghe considerazioni in M.P.
FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale, cit., pp. 383-384 e in M.P. FAGGIONI, I disturbi dell’identità di
genere, cit., pp. 339-340.
7
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
139
Alcune nozioni circa il fenomeno allo studio
Senza alcuna presunzione di esaurire un argomento così complesso, dal punto di vista scientifico ma non solo, appare opportuno
chiarire alcune nozioni elementari alla base del discorso che si intende sviluppare.
La questione della stessa identità sessuale del soggetto umano è
una problematica dibattuta sia in campo filosofico che scientifico, due
campi, peraltro e come già accennato, non rigidamente impermeabili
l’uno rispetto all’altro. In alcuni casi si sottolineano di più gli aspetti
biologici, corporei, comunque oggettivi; in altri casi si tendono a privilegiare maggiormente gli aspetti psicologici e financo sociali. La
visione antropologica cristiana8 si pone in una posizione di equilibrio,
nel senso che, pur riconoscendo le due dimensioni, non concepisce la
possibilità di una loro radicale separazione: in particolare, non ritiene
possibile che quella psicologica e sociale possa prescindere dal riconoscimento del dato corporeo. Questo è appunto un dato, una condizione nella quale la singola persona si trova e che non può plasmare
per così dire ex novo sulla base di una propria scelta9.
Quando si parla di elementi corporei della sessualità umana, è
usuale distinguerli in tre livelli10 : a) il cosiddetto sesso genetico, dato
dalla dotazione cromosomica del soggetto, dove una precisa coppia di
cromosomi ne stabilisce l’identità sessuale; b) il sesso gonadico, dato
dalla presenza dei testicoli nel maschio e delle ovaie nella femmina
(che producono i rispettivi gameti ed ormoni sessuali), nonché dai
cosiddetti organi genitali interni, come i dotti deferenti nel maschio,
le tube e l’utero nella donna; c) il sesso fenotipico o genitale, che è
Da questo punto di vista, il riferimento fondamentale resta l’istruzione Persona humana, emanata
dalla Congregazione per la dottrina della fede, in data 21 dicembre 1975 (in A AS 68 [1976] pp. 7796). Si vedano anche le già richiamate annotazioni di J.A. F UENTES , Desviaciones de la sexualidad…,
cit., pp. 659-662, quelle di U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., pp. 102-103 e quelle di J. O TADUY,
Transexualidad, cit., p. 642. Di estremo interesse appare il libro del medico infettivologo dottoressa
C. ATZORI, Il binario indifferente..., cit., per esempio pp. 9.41.47.98-99 che mostra come la strutturale
armonia fra le due dimensioni e l’originario (ontologico) dimorfismo sessuale sono coerenti con
le osservazioni scientifiche e le crescenti conoscenze in merito, per esempio in campo genetico e
neurologico.
9
Cf in questo senso U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., pp. 101-102 e J. O TADUY, Transexualidad,
cit., p. 642. A conclusioni analoghe giunge anche M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., pp. 292294, che mette in luce l’irriducibilità della sessualità umana alla sola dimensione corporea così come
a quella solamente psicologica; osservazioni riprese in M.P. FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale,
cit., pp. 384-385 e in M.P. FAGGIONI, I disturbi dell’identità di genere, cit., pp. 340-341.
10
Cf per esempio J.J. GARCÍA FAÍLDE , Trastornos psíquicos…, cit., pp. 403-404 e J. O TADUY, Transexualidad, cit., p. 641. M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., pp. 278-279 presenta un’articolazione più
complessa: 1) sesso genetico; 2) sesso gonadico; 3) sesso ormonale; 4) sesso gonoforico (genitale
interno o duttale); 5) sesso fenotipico (genitale esterno); 6) sesso somatico (corporeo o morfologico).
8
claudia Ambroggi - [email protected]
140
Paolo Bianchi
quello caratterizzato dalla presenza dei genitali esterni e dallo sviluppo, che diviene maggiormente evidente con il progredire dell’età,
dei cosiddetti caratteri sessuali secondari. Gli elementi psicologici e
sociali sono invece quelli che, sempre col crescere dell’età e delle possibilità di comprensione del soggetto, fanno prendere consapevolezza
alla persona della propria identità sessuale11, assumendo anche quei
comportamenti che le diverse culture attribuiscono ad essa12.
Il transessualismo (denominato anche disturbo dell’identità di
genere) è un caso di disarmonia fra gli elementi corporei e psicosociali che costituiscono l’identità sessuale della persona: propriamente fra la totalità dei dati corporei e quello psicologico. Infatti, la
condizione transessuale propriamente intesa è quella di un soggetto
la cui identità sessuale è certa da un punto di vista genetico, gonadico
e fenotipico, ma che avverte da un punto di vista psicologico la lacerante convinzione di appartenere al sesso opposto. Spesso le persone
che vivono tale condizione si sentono come costrette in un corpo
sbagliato, non corrispondente alle proprie convinzioni psicologiche13 e
sperimentano il desiderio di sottoporlo ad una trasformazione. Oltre a
convenire su questa descrizione, uno psichiatra molto noto in ambito
canonistico offre pure un quadro clinico più completo del soggetto
transessuale, che ruoterebbe attorno alle seguenti caratteristiche:
a) irriducibile convinzione di appartenere al sesso opposto a quello
fenotipico; b) idealizzazione dei caratteri del sesso cui si sente di
appartenere e disprezzo per quelli opposti; c) rifiuto del corpo, soprattutto concentrato sugli organi genitali; d) struggente desiderio di modificazione del proprio corpo, con possibilità che tale intensa esigenza
possa sfociare nel suicidio o in episodi di automutilazione; e) una
sorta di narcisismo alla rovescia, consistente nell’occultare i caratteri
Cf J.J. GARCÍA FAÍLDE , Trastornos psíquicos…, cit., p. 405, che chiama tale consapevolezza psicologica
identità di genere.
12
Ciò che usualmente viene chiamato ruolo sessuale: cf per esempio J.J. GARCÍA FAÍLDE , Trastornos
psíquicos…, cit., p. 405. M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., pp. 279-283 mostra come nello sviluppo della identità di genere (tema su cui riprende, non senza alcune dovute precisazioni, le teorie di
Money, un Autore che come si vedrà mostra non pochi aspetti problematici) interagiscano in maniera
ineliminabile due fattori fondamenti: quello biologico e quello culturale-educativo. Cf anche M.P.
FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale, cit., p. 377.
13
Convengono con questa descrizione del transessualismo propriamente detto J.J. GARCÍA FAÍLDE ,
Trastornos psíquicos…, cit., p. 406; P.G. BIANCHI, Incapacitas assumendi…, cit., p. 202; E. T EJERO,
¿Imposibilidad de cumplir…, cit., p. 1034; U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., pp. 105-106; J. O TA DUY, Transexualidad, cit., pp. 641 e 642; G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., pp.
59-61, che lo distingue dalla semplice disforia di genere: ossia dalla sofferenza per la propria identità
sessuale, ma senza la convinzione di appartenere a quella opposta e il desiderio di conformarsi ad
essa. Stessa distinzione dalla disforia e stessa descrizione del transessualismo in M.P. FAGGIONI, Il
transessualismo…, cit., pp. 284-285.
11
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
141
sessuali sgraditi e nell’esaltare quelli che si avvertono coerenti con
la propria convinzione interiore; f) atteggiamento tendenzialmente
ostile verso la società, oggi attenuato dalla maggiore tolleranza verso
tale fenomeno14.
Se questa è la descrizione del transessualismo, appare subito
chiaro che si debbano porre delle precise distinzioni da altre situazioni sia psicologiche sia fisiche.
Fra le prime, ossia quelle psicologiche, occorre segnalare come
la condizione transessuale non vada confusa con la omosessualità15
o con il travestitismo16, per quanto anche il soggetto transessuale
possa avere comportamenti omosessuali o di travestimento. Infatti,
per sé, il soggetto omosessuale non mette in discussione la propria
identità sessuale, né avverte una frattura fra la dimensione corporea
e la dimensione psicologica della propria sessualità: solo avverte
attrazione erotica verso persone del proprio stesso sesso. Così, il travestirsi con abiti del sesso opposto non necessariamente è indicativo
di una condizione transessuale, anche se tale comportamento potrà
essere ricercato dal transessuale nello sforzo di far coincidere la propria apparenza esterna con quanto avverte interiormente; infatti, il
travestimento potrebbe anche essere solo un espediente funzionale
a raggiungere una maggiore eccitazione sessuale, da consumare poi
in rapporti o eterosessuali oppure omosessuali, ma senza appunto
mettere in discussione la propria identità sessuale17. Anche se la te14
Cf G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., pp. 236-237 e, in senso conforme, G. GIUSTINIANO, Il
fenomeno del transessualismo…, cit., pp. 72-74; cf anche J. O TADUY, Transexualidad, cit., p. 642.
15
Per un primo orientamento, anche da un punto di vista canonico, e per bibliografia, cf G. DELLA
TORRE , Homosexualidad, cit., pp. 340-346. Sottolineano la differenza fra omosessualità e transessualismo U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., pp. 110-111; J. O TADUY, Transexualidad, cit., p. 643; M.P.
FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., p. 284; M.P. FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale, cit., p. 378;
M.P. FAGGIONI, I disturbi dell’identità di genere, cit., p. 333. Riferimenti sull’omosessualità, soprattutto
in relazione alla sua genesi, dove agirebbero soprattutto fattori psichici e culturali, in G. GIUSTINIANO,
Il fenomeno del transessualismo…, cit., pp. 51-55 e 75-80, dove il confronto fra omosessualità e transessualità è esteso, nel medesimo svolgimento di pensiero, anche al travestitismo.
16
Per il travestitismo, da un punto di vista clinico, cf G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., pp.
218-221 e M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., p. 284; da un punto di vista anche canonico, si
vedano invece J.J. GARCÍA FAÍLDE , Trastornos psíquicos…, cit., pp. 413-415; P.G. BIANCHI, Incapacitas
assumendi…, cit., pp. 200-202; J.A. F UENTES , Desviaciones de la sexualidad…, cit., pp. 669-670; U.
NAVARRETE , Transexualismus…, cit., pp. 111-112; J. O TADUY, Transexualidad, cit., p. 643. Secondo
R.P. F ITZGIBBONS - P.M. S UT TON - D. O’L EARY, La psicopatologia…, cit., pp. 139-144, una categoria per
certi aspetti vicina al travestitismo orientato al cambio di genere è quella dei cosiddetti transessuali
autoginefili, che concerne solamente individui maschi sostanzialmente innamorati dell’immagine di
se stessi come donne. G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., pp. 55-59 descrive il
travestitismo (appoggiandosi soprattutto agli studi di Benjamin) come un fenomeno difficilmente riducibile a una sola modalità e che può coprire in realtà una condizione transessuale, laddove presenti
la convinzione di appartenere al sesso opposto al proprio e la tensione a volerlo modificare.
17
Evidenzia le citate differenze anche G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., p. 237, pur non
senza segnalare la possibilità che esistano delle forme intermedie, nel senso che sarebbe un «reper-
claudia Ambroggi - [email protected]
142
Paolo Bianchi
matica del transessualismo ha ricevuto negli ultimissimi decenni una
rilettura fortemente ideologizzata nel senso che subito si dirà, occorre
pure distinguere quel fenomeno dal recente concetto di transgender
o queer (che sta per strano, sregolato, bizzarro, eccentrico, curioso,
non chiaro anche con uno specifico riferimento al tema della sessualità): quest’ultimo indica un movimento culturale e politico che rifiuta
per sé ogni qualificazione clinica e pretende che l’identità sessuale
sia determinata essenzialmente dalla scelta (anche transitoria) del
soggetto. Ogni identità sessuale è negata al di là del desiderio del
soggetto, che si fa pretesa legale e politica18.
Fra le disarmonie che concernono invece la dimensione corporea della sessualità si collocano i possibili diversi stati della cosiddetta
intersessualità. Essi possono derivare da disarmonie di vario tipo a
livello di sessualità genetica, gonadica o fenotipica. Fra essi possono
esservi disgenesie gonadiche, che presentano compromissioni a carico delle gonadi ma uno sviluppo dei genitali interni ed esterni ad
esse coerenti: tale situazione si verifica per esempio nella sindrome
di Klinefelter, dove la radice della disarmonia risale allo stesso livello
genetico. Vi sono poi situazioni chiamate di pseudoermafroditismo,
dove vi è uno sviluppo dei genitali esterni non corrispondente alla
condizione genetica e gonadica, che sono invece univoche e fra loro
coerenti. Infine vi sono casi di vero e proprio ermafroditismo, dove si
ha la compresenza di gonadi sia maschili sia femminili e un’ambiguità
anche a livello dei genitali esterni, che può addirittura condurre a una
erronea attribuzione di sesso alla nascita19. La profonda diversità che
to frequente una sorta di progressione dal feticismo al transessualismo attraverso il travestitismo e
l’omosessualità femminiloide (o viriloide nelle donne)».
18
Cf C. ATZORI, Il binario indifferente…, cit., pp. 63-72, dove si espongono i contenuti e i riferimenti
culturali di questo movimento. A p. 72 la sintesi dell’Autrice: «In estrema sintesi, nella teoria gender
(GLBT-Q [Gay, Lesbian, Bisexual, Transexual/Transgender, Queer]) un “io” desiderante astratto,
giocando sulla decostruzione dell’unitarietà della persona “reale”, e cioè frammentandone psichismo,
biologia, linguaggio, ruoli, pretende di “definire” (contraddicendo internamente il suo stesso punto
di vista secondo cui niente può essere definito) il proprio spazio prescindendo dalla significanza del
BIOLOGICO, che oggettivamente lo struttura (e precede il suo pensiero)». Per L. PALAZZANI, Identità
di genere come problema biogiuridico, in «Iustitia» 56 (2011) 157-173, fra essenzialismo e relativismo
decostruzionista occorre recuperare la ricerca di un senso e di una finalità che sono intrinseci alla
natura, favorendo un “divenire nell’essere” che non nega il dato di partenza della dualità e dell’opposizione sessuale, che è principio di identità della persona. DSM 5 dà la seguente definizione: «Transgender si riferisce all’ampio spettro di individui che si identificano in modo transitorio o persistente con
un genere diverso da quello assegnato alla nascita» (p. 528 dell’edizione italiana).
19
In merito alle condizioni di intersessualità sul piano corporeo, cf G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., p. 238, con particolare riferimento alle note 107 e 108 e W. H EYER , Paper genders…, cit., p.
26; da un punto di vista canonico, cf U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., pp. 108-110 e J. O TADUY,
Transexualidad, cit., pp. 642-643. Anche R.P. F ITZGIBBONS - P.M. S UT TON - D. O’L EARY, La psicopatologia…, cit., p. 127 distinguono chiaramente gli interventi correttivi di stati intersessuali dalla
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
143
sussiste fra la condizione transessuale e le diverse forme della cosiddetta intersessualità giustifica anche il diverso approccio terapeutico
e il giudizio che se ne può dare anche sotto un profilo etico, con specifico riferimento alle terapie di carattere chirurgico. Infatti appare
del tutto legittimo intervenire per ridurre chirurgicamente situazioni
di ambiguità anatomica in condizioni di intersessualità: o nel senso
di correggere eventuali difformità fenotipiche in dissonanza con il
dato cromosomico e gonadico; o, nei casi di vero ermafroditismo, per
armonizzare il più possibile gli elementi dissonanti della sessualità
corporea. Si tratta, come detto, di interventi di carattere correttivo e
che non possono essere equiparati ai pretesi cambi di sesso dei quali
si dirà più sotto a proposito del transessualismo.
Quanto a quest’ultimo, si deve ulteriormente dire che non vi
è una spiegazione eziologica univoca del fenomeno, anche a livello
scientifico20. A spiegazioni che privilegiano cause biologiche se ne
alternano altre che ipotizzano fattori psicologici o sociali: è del tutto
verosimile che alla base delle diverse ipotesi possano giocare anche
le opzioni culturali dei singoli propugnatori delle stesse, in una tematica dove il confine fra ciò che è scientifico e ciò che è ideologico
appare oggi alquanto assottigliato. Che la genesi del transessualismo
rimanga tuttora incerta viene ammesso dai clinici, come il già citato
Zuanazzi, sia sul fronte biologico che su quello psicologico21, per quanto lo stesso Autore ne tenti una interessante lettura fenomenologica,
dove viene in evidenza «una frattura fra l’io e il corpo, tendendo il Leib
ad assumere il carattere del Körper»22, ossia del corpo vissuto nella
sua oggettività ed estraneità rispetto al soggetto che vive in esso; una
cosiddetta chirurgia di riattribuzione del sesso, così come M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit.,
p. 284. La distinzione fra stati intersessuali e transessualismo è segnalata anche in M.P. FAGGIONI, I
disturbi della sfera sessuale, cit., p. 378 e in M.P. FAGGIONI, I disturbi dell’identità di genere, cit., p. 333.
20
Vi si accenna in J.J. GARCÍA FAÍLDE , Trastornos psíquicos…, cit., p. 408, che sembra accettare un
ruolo maggiore per i fattori psicosociali e un ruolo invece solo predisponente per quelli biologici; cf
anche P.G. BIANCHI, Incapacitas assumendi…, cit., p. 202 e C. ATZORI, Il binario indifferente…, cit.,
pp. 30-32, che esclude un problema primariamente biologico e si orienta piuttosto nel senso di una
multifattorialità; in questo senso, alle pp. 42-43 mette in luce una certa predisposizione a seguito di
fattori familiari, ma senza determinismi nel senso di una pretesa immodificabilità, dal momento che
alcuni Autori «hanno mostrato come i disordini dell’identità di genere tendono a perdere d’intensità
con il fiorire della pubertà, se non vengono rafforzati dai genitori o da altre persone» (p. 72). Nel senso
di una non confermata base genetica dei fenomeni allo studio, cf anche W. H EYER , Paper genders…, cit.,
p. 112 e R.P. F ITZGIBBONS - P.M. S UT TON - D. O’L EARY, La psicopatologia…, cit., p. 132. G. GIUSTINIANO,
Il fenomeno del transessualismo…, cit., pp. 62-71, dopo aver escluso cause genetiche o comunque organiche del transessualismo, presenta diverse ipotesi con i conseguenti approcci di tipo terapeutico.
21
Cf G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., pp. 240-241. Segnala l’incertezza nelle spiegazioni
eziologiche anche M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., p. 286; così come in M.P. FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale, cit., p. 380 e M.P. FAGGIONI, I disturbi dell’identità di genere, cit., pp. 335-336.
22
Ibid., p. 239.
claudia Ambroggi - [email protected]
144
Paolo Bianchi
lettura che giunge a inquadrare il fenomeno transessuale, da un punto
di vista psichiatrico, fra le idee prevalenti nell’ambito di un disturbo
della identità di genere.
Mentre più difficile risulta indicare con precisione dati epidemiologici23, appare dalla letteratura che l’epoca di insorgenza delle
manifestazioni di transessualismo sia varia, potendo risalire ai primi
periodi delle vita cosciente del soggetto, fino a verificarsi – almeno in
maniera acuta e del tutto manifesta, sfociando nel cosiddetto coming
out – in età assai adulta, talvolta anche a valle di esperienze importanti come il matrimonio e la generazione24.
Anche i gradi di intensità con i quali il fenomeno si manifesta
possono variare. Si può ipotizzare che sul grado di intensità dello
stesso possano influire la presenza di altri disturbi, per esempio di
carattere psicologico25 ; le condizioni di vita, più o meno favorevoli;
l’accompagnamento educativo, che può aiutare a orientare le tensioni
interiori a sublimarsi in percorsi di positivo impegno culturale, lavorativo o sociale.
Sotto il profilo terapeutico – prescindiamo qui dalla questione
se il transessualismo sia da considerare in sé una patologia o se alla
terapia si giunga solo in quanto egodistonico, ossia fonte di sofferenza per il soggetto26 – si conoscono nella sostanza due approcci, non
necessariamente alternativi. Il primo è quello psicologico, o meglio
psicoterapico, che può aiutare il soggetto a vivere la sua difficile con23
J.J. GARCÍA FAÍLDE , Trastornos psíquicos…, cit., p. 406 segnala solo che il fenomeno del transessualismo sarebbe molto più diffuso in soggetti maschi. G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., p. 235
considera il transessualismo come un fenomeno raro, più diffuso nei maschi con una proporzione
di cinque contro uno rispetto alle femmine. Dati più precisi in M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…,
cit., pp. 285-286, in M.P. FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale, cit., pp. 379-380 e in M.P. FAGGIONI,
I disturbi dell’identità di genere, cit., pp. 334-335. Cf anche DSM 5, pp. 531-532 (edizione italiana).
24
Cf G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., p. 237.
25
Una, come si dice, comorbilità in senso psichiatrico è segnalata per esempio da J.J. GARCÍA FAÍLDE ,
Trastornos psíquicos…, cit., p. 407.
26
Diversamente dalla edizione precedente DSM IV TR ha abbandonato la terminologia di transessualismo, inserendo però la fattispecie nei disturbi di identità sessuale (302.85). DSM 5, se da un
lato colloca il travestitismo (302.3) fra i disturbi parafilici, (pp. 816-819 dell’edizione italiana), né fra
questi né fra le disfunzioni sessuali (pp. 493-525 dell’edizione italiana) effettua una trattazione del
transessualismo, ma vi dedica un capitolo autonomo intitolato Disforia di genere (pp. 527-537 della
edizione italiana), non entrando nella problematica filosofica e culturale del “genere” ma precisando
che il Manuale «si concentra sulla disforia come problema clinico e non sull’identità in sé» (p. 528).
IDC 10 continua invece a utilizzare, quale categoria diagnostica, il termine transessualismo (F64.0),
collocandolo fra i disturbi dell’identità sessuale (cf pp. 207-208 dell’edizione italiana). Segnala
correnti ideologiche volte ad estromettere tale condizione (come per esempio è già avvenuto per
l’omosessualità) dall’ambito della patologia, anche psichica, J.A. F UENTES , Desviaciones de la sexualidad…, cit., p. 674, nota 42, commentando efficacemente che la scomparsa della categoria diagnostica
non porterà comunque alla scomparsa della realtà che essa indica. Segnalano pure la tendenza alla
depatologizzazione nella nosografia ufficiale C. ATZORI, Il binario indifferente…, cit., pp. 83-84 e W.
H EYER , Paper genders…, cit., pp. 112-113.
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
145
dizione, soprattutto se praticato per tempo e con costanza. Il secondo
approccio terapeutico è quello della cosiddetta sex reassignment surgery o riassegnazione (altrimenti detta riattribuzione) chirurgica del
sesso – accompagnata da trattamenti ormonali – che è invece molto
più dibattuto in campo anche solo clinico, sia sotto il profilo della liceità deontologica dell’intervento e dei criteri di ammissione allo stesso,
sia sotto il profilo della sua idoneità ad essere effettivamente risolutivo
della tensione interna vissuta dal soggetto27.
Quello che deve essere però chiaro – e oggi ciò è ammesso
anche da una parte di coloro che pure lo praticano28 – è che un tale
intervento non realizza un effettivo cambio di sesso nella persona che
lo subisce. La persona si sottopone anzi a una gravissima mutilazione
della propria integrità corporea e alla costruzione artificiale di un’apparenza dei soli genitali esterni del sesso cui sente di appartenere;
costruzione che interessa quindi il solo sesso fenotipico e che si pone
invece in contrasto con quello genetico e gonadico. Descrivere, in
conclusione, tale tipo di intervento come un reale cambio di sesso non
appare corretto da un punto di vista anche solo strettamente scientifico: «Si parla impropriamente di cambiamento di sesso. In realtà
la chirurgia non si rivolge all’essenza del fenomeno, che ha luogo a
livello psichico: cambia solo alcune apparenze corporee e ovviamente
non cambia il sesso, fondato sul patrimonio genetico. Non sempre
la riuscita dell’intervento è felice e talvolta, dopo la trasformazione,
sono sorti atteggiamenti rivendicativi e veri e propri sviluppi paranoici (mentre prima dell’intervento erano presenti atteggiamenti di
persecuzione)»29. Così un altro Autore osserva: «Il risultato della cura
Tale problematicità è segnalata da P.G. BIANCHI, Incapacitas assumendi…, cit., p. 204 e in nota 245
a p. 292, dove si dà la documentazione dell’affermazione. J.J. GARCÍA FAÍLDE , Trastornos psíquicos…,
cit., p. 408 si esprime in modo piuttosto sfavorevole sulla prognosi. Che il successo della modificazione chirurgica del sesso fenotipico presenti «letture non univoche» viene segnalato anche da M.P.
FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., p. 289.
28
Il professor Aldo Felici, primario dell’unità operativa di chirurgia plastica dell’Ospedale San Camillo di Roma e responsabile del servizio per l’adeguamento fra identità fisica e identità psichica, ha
dichiarato in una intervista di aver praticato più di 500 interventi su transessuali maschi e femmine.
Pur essendo un propugnatore di tale approccio terapeutico, dichiara molto limpidamente: «Chi decide
di operarsi si fa massacrare […] noi mutiliamo gravemente queste persone e asportiamo degli organi
vitali […] Questi interventi non sono la soluzione del problema. Ma allo stato attuale sono l’unico
modo per attutirlo e il mio obiettivo è il benessere del paziente». L’intervista è apparsa nel giornale
City di mercoledì 6 maggio 2009, p.13. Osservazioni critiche a una tale impostazione nella prefazione
di Italo Carta a W. H EYER , Paper genders…, cit., pp. 10 e 11, nonché in R.P. F ITZGIBBONS - P.M. S UT TON
- D. O’L EARY, La psicopatologia…, cit., pp. 123 ss., in quanto tutto l’articolo è dedicato alla valutazione
clinica ma anche etica di tale prassi chirurgica.
29
G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., p. 241. U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., p. 107
pure sottolinea che l’operazione non comporta una vera e ontologica mutazione della sessualità del
soggetto. Così anche J. O TADUY, Transexualidad, cit., p. 642 efficacemente segnala che si tratta di un
27
claudia Ambroggi - [email protected]
146
Paolo Bianchi
ormonale e della chirurgia demolitiva-ricostruttiva non è una nuova
sessualità ma un falso sessuale»30.
Peraltro, un argomento che nella pubblicistica viene lasciato per
così dire piuttosto in secondo piano è quello relativo alla condizione di
detti soggetti dopo l’operazione chirurgica. Potrebbe essere interessante conoscere più dettagliatamente quali siano le effettive ricadute
dell’intervento sulla vita delle persone interessate, ossia se vi sia un
effettivo guadagno quanto al loro equilibrio personale e quanto alla
dimensione relazionale. Un notizia interessante in merito deriva dal
libro di Chiara Atzori, che segnala come sia stato chiuso il dipartimento per le pratiche di riattribuzione del sesso, aperto presso la prestigiosa John Hopkins University negli Stati Uniti e dove furono attivi
Harry Benjamin e John Money, due dei due “pionieri” di tale terapia 31.
Di estremo interesse il fatto che questa Autrice riporta un articolo dello psichiatra che attuò tale chiusura e che formula un giudizio assai
critico sugli esiti reali di dette terapie32. Un dato che appare alquanto
significativo è la maggiore frequenza di suicidi o tentativi di suicidio
in persone che hanno subito l’intervento di cosiddetta riattribuzione
del sesso, rispetto alla popolazione di confronto33.
riadattamento solo morfologico e non invece fisiologico del sesso del soggetto sottoposto all’intervento. W. H EYER , Paper genders…, cit., p. 26 – si noti bene, anche sulla base di una propria vicenda
personale (cf pp.103-107) – afferma in modo molto netto: «L’assurdità di quanto ci viene chiesto, cioè
credere che un chirurgo con un bisturi possa cambiare il genere di qualcuno, è la più grande truffa
medica della nostra vita».
30
G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., p. 21: alle pp. 20-24, anche con indicazioni
bibliografiche, si offrono ulteriori considerazione etiche in merito a questo tipo di approccio terapeutico, completate poi alle pp. 82-84.
31
Cf C. ATZORI, Il binario indifferente…, cit., pp. 56-58.
32
Cf C. ATZORI, Il binario indifferente…, cit., pp. 115-127. Queste – riportate alle pp. 126-127 – le parole
conclusive del dottor Paul McHugh, in un suo articolo apparso nel novembre 2004: «Sono stato testimone di una gran quantità di danni provocati dal cambiamento di sesso. I bambini trasformati in femmine provavano angoscia e tristezza quando avvertivano le loro inclinazioni naturali. I loro genitori
solitamente vivevano con sensi di colpa per la loro decisione, giudicando se stessi con il senno di poi e
a volte vergognandosi della fabbricazione, sia chirurgica che sociale, che avevano imposto ai loro figli.
Per quanto riguarda gli adulti che venivano da noi dichiarando di avere scoperto la loro “vera” identità
sessuale e di aver sentito parlare dell’operazione per cambiare sesso, noi psichiatri siamo stati distolti
dallo studiare le cause e la natura dei loro problemi mentali preparandoli per l’operazione e per una vita nell’altro sesso. Abbiamo sprecato risorse tecniche e scientifiche e danneggiato la nostra credibilità
professionale collaborando con la pazzia invece che cercare di studiarla, curarla e infine prevenirla».
33
Tutto il volume di W. H EYER , Paper genders…, cit., è dedicato a mostrare l’inefficacia dell’approccio
(solo) chirurgico al problema del transessualismo, come si può osservare dall’alto tasso di suicidi
fra coloro che si sono sottoposti all’intervento, dal pentimento per quanto fatto, dalla scomparsa
dall’attenzione clinica dei soggetti passivi dell’operazione: cf pp. 19, 27-30 (dove si riferisce il famoso
caso dei gemelli Reimer), 30-32, 37-38, 95-97, 117-120. Uno studio svedese conferma il dato relativo
a suicidi e tentativi di suicidio. In tale studio sono state prese in considerazione 324 persone che si
sono sottoposte in Svezia al detto intervento chirurgico (191 per passare da maschio a femmina e
133 da femmina a maschio) nel periodo compreso fra il 1973 e il 2003. Queste le conclusioni degli
Autori, che traduco dall’Abstract di p. 1: «Le persone con transessualismo, dopo la riattribuzione del
sesso, hanno un rischio considerabilmente maggiore, rispetto alla popolazione generale, di mortalità,
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
147
Cenni sulla situazione nel diritto italiano
La legge 14 aprile 1982, n. 164 consente il trattamento (ormonale
e chirurgico) volto ad allineare l’aspetto esterno – il sesso fenotipico –
alle convinzioni interiori del soggetto, con la conseguente possibilità
di rettifica dello stato civile ai sensi dell’articolo 454 c.c., nonché l’esercizio di prerogative connesse a tale nuovo stato, quali il contrarre
matrimonio o la stessa genitorialità.
Tale legge prevede un duplice passaggio: in primo luogo quello
della autorizzazione al trattamento medico-chirurgico necessario
all’adeguamento dei caratteri sessuali esterni (articolo 3), autorizzazione che viene concessa mediante sentenza del tribunale della
residenza del richiedente (articolo 2). Il secondo passaggio è quello
della autorizzazione alla rettifica dell’attribuzione di sesso, rilasciata
sempre con sentenza dallo stesso tribunale (cf lo stesso articolo 2).
Da notare che se la sentenza che autorizza la rettifica dell’attribuzione di sesso non ha effetti retroattivi, tuttavia essa provoca
lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili di un matrimonio
(rispettivamente civile o religioso trascritto agli effetti civili) celebrato in precedenza dal richiedente (cf articolo 4). Nelle due fasi della
procedura che si sono sommariamente descritte partecipa il Pubblico
ministero e il ricorso dell’attore va notificato (se vi sono) al coniuge
e ai figli (cf articolo 2).
Tale legge è stata criticata da più punti di vista. Le critiche che la
vorrebbero ancora più concessiva si appuntano soprattutto su questi
due aspetti: la necessità di approfondimenti clinici previsti all’articolo
2, mentre si vorrebbe bastevole la cosiddetta autodiagnosi; il fatto che
il cambiamento del nome e del genere anche negli atti civili venga consentito solo dopo l’operazione chirurgica di adeguamento del sesso
comportamento suicidario e morbidità psichiatrica. I nostri risultati indicano che la riattribuzione
del sesso, per quanto possa alleviare la disforia di genere, può non essere sufficiente nel trattamento
del transessualismo e deve suggerire una validata cura psichiatrica e somatica per questo gruppo di
pazienti dopo la riattribuzione del sesso» (C. DHEJNE - P. L ICHTENSTEIN - M. BOMAN - A.L.V. JOHANSSON N. L ÅNGSTROM - M. L ANDÉN, Long-Term Follow-Up of Transsexual Persons Undergoing Sex Reassignment
Surgery: Cohort Study in Sweden, in www.plosone.org, febbraio 2011, volume 6, issue 2, e16885, pp.
1-8). Si vedano anche i dati esposti in M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., pp. 289-290 che portano
a concludere «che la correzione chirurgica non è la panacea per i disagi dei transessuali, anche se in
molti casi di vero transessualismo può determinare un miglioramento della situazione psicologica e
permettere un più soddisfacente inserimento sociale» (p. 290); concetti che vengono ribaditi in M.P.
FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale, cit., pp. 382-383, segnalando (come anche nel precedente
contributo) che i dati relativi al periodo successivo all’intervento danno adito a letture non univoche.
Da ultimo, appare utile richiamare anche quanto si legge in DSM 5: «Dopo la riassegnazione del genere, l’adattamento può variare e può persistere il rischio di suicidio» (p. 531 dell’edizione italiana).
claudia Ambroggi - [email protected]
148
Paolo Bianchi
fenotipico. A questo proposito vi sono (state) delle proposte di legge34
che hanno suggerito la cosiddetta “piccola soluzione”: ossia la possibilità di essere autorizzati (anche solo temporaneamente) al cambio
del nome, senza l’intervento chirurgico che resterebbe la cosiddetta
“grande soluzione”.
Personalmente, con tutto il rispetto per il Legislatore dello Stato
italiano35, ci sentiamo di condividere maggiormente il commento critico del professor Zuanazzi, che mette conto di riportare per intero:
«A mio parere, il Legislatore dimentica il fatto fondamentale che l’uomo e
la donna non sono tali perché possiedono particolari organi genitali, ma
possiedono particolari organi genitali perché sono già ontologicamente
maschio e femmina. Ogni cellula dell’uomo è maschile, ogni cellula della
donna è femminile. L’intervento medico e chirurgico sul corpo di un uomo
fabbrica davvero un corpo di donna, provvisto della specifica sensibilità
femminile? E quello sul corpo di una donna fabbrica davvero un corpo di
uomo, provvisto della specifica sensibilità maschile? Il trattamento, quando
tutto va bene, è solo un palliativo che, in alcuni casi, permette al soggetto di
soffrire di meno, non un atto propriamente terapeutico, risolutivo. Non sottovaluto certo il vissuto dell’individuo rispetto alla propria identità sessuale
e al proprio corpo, specie quando tale vissuto si accompagna con un disagio
psichico così grande da tradursi talvolta in comportamenti autolesivi, ma un
cambiamento di sesso non è realizzabile. Gli interventi medici e chirurgici
trasformano, togliendo organi sani, un corpo normale in un artefatto che non
è più, nonostante le ardite manipolazioni, né maschile né femminile, bensì
un corpo neutro, a cui è tolta la capacità di generare e che soltanto con mezzi
artificiali può compiere la copula»36.
La persona transessuale e il matrimonio canonico
La valutazione della capacità matrimoniale di una persona transessuale dipende anzitutto ed essenzialmente dalla natura del matrimonio, così come compresa dall’ordinamento canonico. Un ordinamento che si pone in una prospettiva realista, non puramente
positivista: ossia nel quale il diritto non è solo derivato dalla analisi
tecnica delle norme di legge, ma precede la stessa legge, dovendo essere identificato nelle relazioni di giustizia iscritte nella realtà stessa 37.
Proposta di legge n. 2939 del 1° luglio 2002 di Titti De Simone et alii.
Rilievi critici sulla legge 164 del 1982, con indicazioni bibliografiche, anche in G. GIUSTINIANO, Il
fenomeno del transessualismo…, cit., pp. 9-11.
36
G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., p. 243, corsivi dell’Autore.
37
Si veda, per esempio, l’articolo di E BAUR A , La realtà disciplinata quale criterio interpretativo giuridico della legge, in «Ius Ecclesiae» 25 (2012) 705-717: è il commento alla allocuzione di Benedetto
XVI alla Rota Romana del 21 gennaio 2012. Sostiene una visione “realistica” del diritto, legata alla
34
35
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
149
Quando si parla di matrimonio, in un contesto canonico, tale
parola indica invero due realtà. La prima è il patto nuziale, ovvero il
momento costitutivo della condizione coniugale, che usualmente viene denominato come matrimonium in fieri: matrimonio nel suo venire
in essere. Di tale aspetto trattano il can. 1055 § 1, che lo definisce
appunto come patto; il can. 1055 § 2, che lo denomina anche contratto;
e il can. 1057, che dichiara il principio consensualistico, centrale in
tutto il sistema matrimoniale canonico: il matrimonio cioè nasce dal
consenso delle parti, atto libero di donazione reciproca, che esplica la
sua piena efficacia laddove intercorre fra persone giuridicamente abili
(non cioè interessate da impedimenti) e laddove viene prestato nelle
forme previste. La seconda realtà evocata dalla parola matrimonio è
quella del consorzio di vita, ossia del matrimonio stato o rapporto,
che nella consuetudine canonistica viene denominato matrimonium
in facto esse: esso viene descritto, nella sua essenza e nelle sue finalità
istituzionali, nel can. 1055 § 1.
Queste due realtà, per quanto logicamente distinguibili, sono
strettamente connesse fra loro: anzi si potrebbe dire che il matrimonio in fieri è del tutto funzionale alla creazione del matrimonio in facto
esse ed esaurisce ogni sua funzione giuridica e sociale nel darvi validamente vita. Per questo, nel momento genetico del matrimonio, devono
esistere tutti i presupposti idonei a realizzare quella specifica relazione fra le persone che possa essere considerata veramente coniugale.
Ora, secondo la visione antropologica che trova la sua espressione giuridica nell’ordinamento, la donazione di sé che dà vita alla
relazione propriamente coniugale è quella della propria mascolinità e
femminilità: è tale formalità che rende propriamente coniugale questo tipo di donazione interpersonale e matrimoniale la relazione che
ne deriva. Per questo, la legge canonica esplicita che il patto coniugale
avviene (e può avvenire) solo fra un vir e una mulier (cf il can. 1057 §
2) e che il consorzio di tutta la vita cui essi danno origine si stabilisce
(e non può che stabilirsi) fra un vir e una mulier (cf il can. 1055 § 1).
In modo assai chiaro si afferma che la eterosessualità, ossia la reale
diversità sessuale fra i nubendi, appartiene non già solo all’ordine
della abilità personale e nemmeno a quello della capacità soggettiva
per contrarre, bensì al piano ancora anteriore (da un punto di vista
ontologico ed assiologico) di un presupposto per la stessa esistendimensione giuridica iscritta nella realtà, superando la tentazione del positivismo, che in qualche
modo la stessa codificazione avrebbe introdotto nel diritto della Chiesa.
claudia Ambroggi - [email protected]
150
Paolo Bianchi
za di una relazione giuridica coniugale38. I prescritti legali appena
richiamati non sono dunque disposizioni puramente positive, che il
Legislatore potrebbe mutare per modificate esigenze storiche o per
pressioni di carattere culturale e sociale, ma sono la mera esplicitazione, nei suoi risvolti giuridici (cioè del giusto in sé dichiarato nella
legge), di una concezione dell’uomo che appartiene al patrimonio
dottrinale stabile della Chiesa 39, la quale ha il dovere di testimoniarlo,
soprattutto quando esso viene messo in discussione; quando – come
si esprime un Autore spagnolo rifacendosi a una suggestione di Goya,
grande pittore di quella tradizione culturale40 – il sonno della ragione
genera mostri, avendo perso il contatto con la realtà, con gli elementi
di verità, e quindi anche di giustizia, che in essa ha immesso il Logos
creatore, lo Spirito creatore41.
La valutazione della capacità matrimoniale della persona transessuale dipende anche da due ulteriori variabili relative al soggetto,
Cf J. O TADUY, Transexualidad, cit., p. 643.
Lo ribadisce, al n. 224, il Compendio della dottrina sociale della Chiesa: «Di fronte alle teorie che
considerano l’identità di genere soltanto come prodotto culturale e sociale derivante dall’interazione tra
la comunità e l’individuo, prescindendo dall’identità sessuale personale e senza alcun riferimento al vero
significato della sessualità, la Chiesa non si stancherà di ribadire il proprio insegnamento: “Spetta a
ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. La differenza e la complementarità fisiche, morali e spirituali sono orientate al bene del matrimonio e allo sviluppo della vita
familiare. L’armonia della coppia e della società dipende in parte dal modo in cui si vivono tra i sessi
la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto”. È questa una prospettiva che fa considerare doverosa la conformazione del diritto positivo alla legge naturale, secondo la quale l’identità
sessuale è indisponibile, perché è la condizione oggettiva per formare una coppia nel matrimonio».
40
Cf J.A. F UENTES , Desviaciones de la sexualidad…, cit., p. 676.
41
Nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2008, nel contesto della esplicitazione di alcune
implicazioni della pneumatologia, della teologia cioè dello Spirito Santo, Benedetto XVI ha toccato i
risvolti dottrinali del tema di cui ci occupiamo in questo articolo: «Poiché la fede nel Creatore è una
parte essenziale del Credo cristiano, la Chiesa non può e non deve limitarsi a trasmettere ai suoi fedeli
soltanto il messaggio della salvezza. Essa ha una responsabilità per il creato e deve far valere questa
responsabilità anche in pubblico. E facendolo deve difendere non solo la terra, l’acqua e l’aria come
doni della creazione appartenenti a tutti. Deve proteggere anche l’uomo contro la distruzione di se
stesso. È necessario che ci sia qualcosa come una ecologia dell’uomo, intesa nel senso giusto. Non
è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell’essere umano come uomo e donna e
chiede che quest’ordine della creazione venga rispettato. Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore
e dell’ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un’autodistruzione dell’uomo e
quindi una distruzione dell’opera stessa di Dio. Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine
“gender”, si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell’uomo dal creato e dal Creatore. L’uomo
vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo
modo vive contro la verità, vive contro lo Spirito creatore. Le foreste tropicali meritano, sì, la nostra
protezione, ma non la merita meno l’uomo come creatura, nella quale è iscritto un messaggio che non
significa contraddizione della nostra libertà, ma la sua condizione. Grandi teologi della Scolastica
hanno qualificato il matrimonio, cioè il legame per tutta la vita tra uomo e donna, come sacramento
della creazione, che lo stesso Creatore ha istituito e che Cristo – senza modificare il messaggio della
creazione – ha poi accolto nella storia della sua alleanza con gli uomini. Fa parte dell’annuncio che
la Chiesa deve recare la testimonianza in favore dello Spirito creatore presente nella natura nel suo
insieme e in special modo nella natura dell’uomo, creato ad immagine di Dio» (in A AS 101 [2009]
pp. 53-54).
38
39
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
151
ossia: a) in primo luogo, in relazione a se il matrimonio venga contratto prima o dopo l’intervento di sex reassignment surgery; b) in secondo
luogo, in relazione al grado di gravità della condizione soggettiva,
questione però che assume rilievo solo nel caso che la celebrazione
delle nozze avvenga prima del detto intervento.
Dalla considerazione congiunta di tutti i criteri sin qui esposti
– quello dottrinale circa la natura del matrimonio e i due soggettivi
appena richiamati – discende la possibilità di formulare le seguenti
considerazioni.
a) Prima dell’intervento di riassegnazione chirurgica del sesso
Per quanto concerne la capacità al matrimonio del transessuale
prima dell’operazione42, per esprimerci in modo sintetico, si deve ritenere che laddove la gravità della sua situazione faccia ragionevolmente prevedere uno sviluppo verso il cosiddetto coming out o comunque
lasci presagire gravi difficoltà nel gestire il proprio ruolo di coniuge o
di genitore non vada concessa l’ammissione alle nozze e, se celebrate,
l’azione per farne riconoscere l’invalidità possa essere proposta per il
can. 1095, 3°, ossia per l’incapacità di assumere obblighi matrimoniali
essenziali; o anche per il can. 1095, 2°, ossia per la grave alterazione
del giudizio pratico avuta nel contrarre le nozze.
Infatti, il soggetto implicato in una grave condizione transessuale non potrebbe (anche prima dell’operazione) fare un vero dono
coniugale di sé, ossia della propria mascolinità o femminilità che in
realtà non riconosce e non accetta, che avverte come sbagliata e frustrante. Per l’intima dissociazione che avverte dentro di sé sarebbe
arduo per tale persona vivere un consorzio eterosessuale di vita, con
un coniuge che in realtà avverte come appartenente al proprio stesso
sesso o, meglio, a quello cui egli sente di appartenere.
Nello studio pubblicato nel 1992 raccoglievo attorno a tre nuclei
l’incapacità matrimoniale del transessuale (prima dell’operazione)43 :
a) quello della disponibilità sessuale perpetua, soprattutto in presenza di una forte tensione verso l’operazione di sex reassignment; b)
quello della attitudine a vivere in modo umano la relazione intima con
Ho trattato questo aspetto della questione in P.G. BIANCHI, Incapacitas assumendi…, cit., pp. 203207, commentando lavori, là presentati, di Graham e Perico, l’unica decisione rotale in materia di
transessualismo, ossia la coram Pinto 14 aprile 1975 e i commenti ad essa fatti da Gil de la Heras,
Weber, Aznar Gil, Graham, per la cui esposizione rimando a quel testo.
43
Cf P.G. BIANCHI, Incapacitas assumendi…, cit., pp. 206-207.
42
claudia Ambroggi - [email protected]
152
Paolo Bianchi
l’altra parte, laddove essa non fosse vissuta che in modalità puramente
strumentali rispetto alla proprie fantasie; c) quello della educazione
della prole, che potrebbe essere compromessa dalla manifestazione
della propria tensione interiore, per esempio giungendo a un coming
out quanto alle modalità di abbigliamento e di comportamento, se non
addirittura al passo irreversibile dell’intervento chirurgico. In tali
termini, il soggetto risulterebbe incapace al matrimonio ai sensi del
can. 1095, 3°44, laddove gli obblighi impossibili da assumersi sarebbero da riferirsi soprattutto alla ordinazione naturale del matrimonio al
bene dei coniugi e della prole. Come accennato, tuttavia, la capacità
del soggetto potrebbe essere messa in discussione sotto il profilo del
difetto grave di discrezione di giudizio di cui al can. 1095, 2°, particolarmente laddove il matrimonio fosse stato contratto nella consapevolezza della propria transessualità, ma sottovalutandola o illudendosi
che la scelta matrimoniale ne potesse produrre il superamento.
In modo analogo si orienta un prestigioso canonista spagnolo e
già Decano della Rota spagnola. Egli vede il soggetto transessuale,
prima della operazione: a) incapace per il difetto di discrezione di giudizio, domandandosi: «chi appartiene a un sesso e detesta di appartenere a questo sesso e ossessivamente desidera appartenere all’altro
sesso, come può essere in condizione di deliberare circa ciò che
comporta il dono esclusivo e per sempre a questo sesso in una unione
eterosessuale come la unione matrimoniale? e, se non è in condizione
di effettuare questa deliberazione, come può autodeterminarsi liberamente per impegnarsi nei confronti di questo altro sesso e accettare
questo altro sesso?»45 ; b) incapace pure ad assumere gli obblighi
del matrimonio, proponendo i seguenti quesiti: «chi appartiene a un
sesso e detesta di appartenere a questo sesso e ossessivamente desidera appartenere all’altro sesso, come può essere capace di assolvere
i compiti essenziali e caratteristici del suo proprio sesso? come può
rendersi possibile la piena comunione interpersonale eterosessuale
propria del matrimonio?»46 ; c) ma anche come potenzialmente affetto
da impotenza copulativa: infatti, pur potendo magari porre un atto
sessuale con il proprio coniuge, non lo potrebbe attuare humano modo, se «non vede il partner nella realizzazione dell’atto più che come
uno strumento delle sue fantasie di invertito sessuale»47.
In senso conforme, cf G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., p. 136.
J.J. GARCÍA FAÍLDE , Trastornos psíquicos…, cit., p. 410 (traduzioni, anche in seguito, del sottoscritto).
46
L. cit.
47
L. cit.
44
45
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
153
Un altro canonista spagnolo, Eloy Tejero, secondo la impostazione propria che lo caratterizza, attrae l’incapacità matrimoniale
del soggetto transessuale nel difetto di consenso in senso proprio,
sostenendo che tale persona non possiederebbe un impulso interiore
efficace che lo possa spingere verso l’unione matrimoniale, caratterizzata dalla differenziazione sessuale48, al punto di non poter far proprio
il matrimonio come progetto personale di vita.
Un grande maestro della canonistica del secolo XX si mostra molto prudente in merito alla capacità matrimoniale del soggetto transessuale prima dell’operazione, affermando l’insussistenza di un criterio
certo e universale in merito e orientando alla valutazione prudenziale
in ogni singolo caso49. Secondo una analoga linea di prudenza si orienta anche Otaduy nel valutare la capacità matrimoniale del transessuale
prima dell’intervento di sex reassignment surgery, anche se – avvicinandosi in questo alla posizione di Tejero – ipotizza che la confusione che
caratterizza un tale soggetto in merito ai temi della mascolinità e della
femminilità lo possa influenzare negativamente quanto alla capacità di
intendere e di volere la vera natura del matrimonio50.
Prudente è anche la valutazione di Faggioni, che ritiene «molto
probabile» l’invalidità del matrimonio celebrato dal transessuale prima dell’operazione, puntando soprattutto sull’interiore conflitto presente nel soggetto e nella sua verosimile ricaduta sul dono reciproco
dell’uomo e della donna e sulla sua irrevocabilità51.
b) Dopo l’intervento di riassegnazione chirurgica del sesso
Per quanto concerne la capacità al matrimonio del transessuale
dopo l’operazione52, la valutazione dal punto di vista canonico appare
in un certo senso più agevole. La persona che si trova in quelle condizioni non può essere ammessa alle nozze e – laddove esse siano
celebrate – ne va in ogni caso riconosciuta l’invalidità per mancanza
E. T EJERO, ¿Imposibilidad de cumplir…, cit., pp. 1034 e 1036.
Cf U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., pp. 116-117.
50
Cf J. O TADUY, Transexualidad, cit., p. 644.
51
Cf M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., p. 301. Cf anche M.P. FAGGIONI, I disturbi della sfera
sessuale, cit., pp. 391-392 e M.P. FAGGIONI, I disturbi dell’identità di genere, cit., pp. 347-348.
52
Ho trattato questo aspetto della questione in P.G. BIANCHI, Incapacitas assumendi…, cit., pp. 207208, in sostanziale adesione alle tesi proposte da Graham e invece in chiaro dissenso da Ritty, per
i motivi indicati in quel testo: in buona sostanza, tale Autore sosterrebbe che l’ammissione di un
transessuale al matrimonio, dopo l’operazione, esalterebbe la visione relazionale del matrimonio
stesso, superando una troppo sottolineata orientazione alla procreazione (nel caso, evidentemente impossibile). Condivide il giudizio critico sulla posizione di Ritty J. O TADUY, Transexualidad, cit., p. 643.
48
49
claudia Ambroggi - [email protected]
154
Paolo Bianchi
di un presupposto essenziale ex cann. 1055 § 1 e 1057 § 2, i quali ribadiscono che il matrimonio non può che avvenire che fra un vir e una
mulier. In tal caso, infatti, ci si troverebbe di fronte a due persone che
per l’ordinamento canonico appartengono allo stesso sesso, che non
viene in alcun modo modificato dall’intervento chirurgico53.
García Faílde conviene su tale conclusione, affermando che,
poiché l’operazione chirurgica e i trattamenti ormonali non cambiano
la struttura cromosomica e gonadica e, quindi, la identità ontologica
del sesso, fra le persone eventualmente interessate si darebbe quella
che chiama «mancanza di vero matrimonio». Nello stesso passo del
suo lavoro il prestigioso Autore sostiene che il transessuale a valle
dell’operazione di sex reassignment surgery sarebbe pure incapace per
grave difetto di discrezione di giudizio e per incapacità di assumere
gli obblighi del matrimonio54. Per quanto, in astratto, tali affermazioni
siano anche condivisibili, appare che esse siano in realtà superate da
quella che fa riferimento alla mancanza di una vera differenziazione
sessuale fra i due soggetti, che risulta del tutto assorbente e prevalente su ogni altra.
A una considerazione ampia dei possibili motivi di invalidità matrimoniale – ossia comprensiva di impotenza copulativa, ma anche di
difetti o vizi del consenso – invita Fuentes55, pure tenendo conto della
distinzione essenziale fra il prima e il dopo l’eventuale operazione
chirurgica. In particolare, si ritiene che un vero transessualismo si
opponga al disegno di amore fra un uomo e una donna, alla possibilità
di realizzare una vera donazione coniugale di sé.
Sul tema della incapacità psichica, pur accennando ad altri possibili motivi di nullità, si orienta pure Zuanazzi56 : egli ritiene che il
soggetto transessuale, prima dell’operazione, presentando una personalità disturbata dal dissidio fra sesso psichico e sesso morfologico,
53
Per quanto l’ordinamento canonico positivo non utilizzi questo termine di carattere tecnico – definendo un atto giuridico nullo piuttosto come irritus o invalidus – si potrebbe nel caso ipotizzare di
trovarci di fronte a un atto addirittura inesistente, almeno sotto un profilo prettamente giuridico. Si
vedano le precisazioni di E. BAUR A , Parte generale del diritto canonico. Diritto e sistema normativo,
Roma 2013, pp. 108-109, dove, per spiegare il concetto di inesistenza giuridica di un atto, si risale a una
contingenza storica pertinente al nostro tema: «La categoria dell’inesistenza degli atti fu introdotta
dalla dottrina francese, per venire incontro alle conseguenze che l’applicazione rigida del principio
pas de nullité sans texte poteva portare. Infatti, una volta promulgato il Codice napoleonico sorse la
questione di come valutare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ipotesi non prevista, né sancita con la nullità, dal Codice civile francese; non potendo qualificarsi di nullo, si concluse che esso
era inesistente» (p. 109).
54
Cf J.J. GARCÍA FAÍLDE , Trastornos psíquicos…, cit., pp. 410-411.
55
Cf J.A. F UENTES , Desviaciones de la sexualidad…, cit., pp. 679-681.
56
Cf G. ZUANAZZI, Psicologia e psichiatria…, cit., pp. 241-243.
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
155
nonché tendendo ad acquisire un comportamento contrario al sesso
morfologico, non sarebbe in grado di stabilire una reale reciprocità
sessuale con il coniuge. Per quanto concerne poi il soggetto dopo l’operazione, il clinico indugia sul tema dell’impotenza copulativa, giungendo però poi ad evidenziare la non reale differenza di sesso fra i due
soggetti che volessero contrarre matrimonio, essendosi però uno dei
due sottoposto a un intervento di sex reassignment surgery. Per quanto
possano apparire alquanto crude, mette conto riferire alcune sue parole – per sé spese in tema di impotenza del soggetto che si vorrebbe
trasformato da uomo in donna, ma che appaiono avere un significato
più generale – che illustrano la fallacia della pretesa trasformazione.
Facendo un confronto con interventi ricostruttivi su donne affette da
atresia vaginale, Zuanazzi afferma: «Ma si può porre un’equivalenza
tra la ricostruzione di una vagina nel caso di atresia e la trasformazione
richiesta dal transessualismo? Si deve osservare che nel primo caso si
attua davvero la correzione di un apparato genitale alterato che in tale
modo riacquista la propria funzione; nel secondo, invece, si procede ad
una sostituzione artificiosa dopo aver tolto l’organo naturale sano. Per
assicurare un’intimità sessuale non è sufficiente una cavità qualsiasi,
anche se posta tra vescica e retto e capace di ricevere il membro virile.
La vagina ha il suo significato funzionale non solo perché è fatta in un
determinato modo e posta in un preciso luogo […]»57.
Un’argomentazione analoga presenta anche Faggioni che insiste
molto nella mancanza di quella che chiama qualitas heterosexualis della persona che si è sottoposta all’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso, mettendo anche in luce come la vigente codificazione
canonica abbia sottolineato proprio la caratteristica della eterosessualità come un prerequisito essenziale in relazione al matrimonio.
Giustamente questo approccio viene considerato assorbente rispetto
a qualsiasi altro nella valutazione della abilità al matrimonio di una
persona in dette condizioni58.
57
Ibid., p. 242. In chiara assonanza, cf U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., pp. 106 e 115; nonché G.
GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., pp. 23-24.
58
M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., pp. 297-300, una trattazione che viene riesposta in M.P.
FAGGIONI, I disturbi della sfera sessuale, cit., pp. 388-391 e in M.P. FAGGIONI, I disturbi dell’identità di
genere, cit., pp. 344-347. Da notare che questo Autore affaccia – in tutti i contributi citati (di seguito
citiamo dal primo, perché i tre testi sono nella sostanza corrispondenti) – anche un’ulteriore ipotesi,
che trova in considerazioni del passato più o meno recente degli echi per così dire prodromici: ossia se
l’avvenuto intervento chirurgico (pur non mutando ontologicamente la natura maschile o femminile
di un soggetto) non debba comportare lo scioglimento del matrimonio eventualmente già contratto
(ivi, pp. 301-304). Tuttavia, anche alla luce delle attuali conoscenze, la questione rimane aperta, non
potendosi affermare che il soggetto, dopo l’operazione, abbia mutato sesso: «Forse è più prossimo
claudia Ambroggi - [email protected]
156
Paolo Bianchi
Navarrete ritiene che, a seguito della operazione, il transessuale
non potrebbe essere ammesso alle nozze59 per i motivi che renderebbero invalido il suo matrimonio. Quanto a questi, ne individua tre: 1)
la mancanza di equilibrio psichico necessaria al consenso, dimostrata
dal fatto stesso di essersi sottoposto all’intervento; 2) la mancanza di
una reale differenza sessuale fra i soggetti contraenti; 3) l’impotenza
copulativa, essendo i loro organi genitali esterni, costruiti artificialmente, non idonei a una vera unione coniugale60. Si è già espressa l’opinione che la seconda di tali ragioni sia quella in assoluto prevalente
e maggiormente cogente.
Analoga considerazione può essere fatta per la posizione di
Giustiniano, che vede due ragioni di impossibilità al matrimonio per
il transessuale sottopostosi all’intervento di riattribuzione del sesso,
ossia: 1) il fatto che «manca nella relazione interpersonale il connotato della eterosessualità», e 2) il fatto che «il mutamento di sesso priva
il soggetto della capacità copulativa così come è richiesta dal diritto
matrimoniale canonico»61.
Anche Otaduy, rifacendosi ad Autori come Navarrate, Pompedda
e Graham, considera invalido il matrimonio contratto da un transessuale dopo l’operazione per una serie di motivi: 1) l’impotenza copulativa; 2) l’assenza di una vera, non solo fittizia, diversità sessuale fra
i coniugi; 3) l’incapacità di assumere gli obblighi del matrimonio a
causa della anomalia dimostrata dal fatto stesso dell’operazione subita; 4) le possibili fattispecie normative di errore semplice o doloso62.
Resta da aggiungere che, come pur fugacemente segnalato
esponendo le posizioni di alcuni Autori, il matrimonio di una persona
transessuale potrebbe proporre, da un punto di vista canonico, la sussistenza di altri capi di nullità matrimoniale. Ciò è certamente vero;
tuttavia sembra opportuno precisare che nelle ipotesi maggiormente
considerate sin qui (soprattutto quelle della incapacità psichica e della
radicale mancanza di diversità sessuale dopo l’operazione) la nullità
discende per così dire direttamente dalla condizione del soggetto,
al vero dire che il transessuale operato continua ad essere l’uomo o la donna di prima, benché affetti
[sic] da un grave disturbo psichico e con un corpo mostruosamente mutilato» (p. 304).
59
Cf U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., pp. 112-113.
60
Cf ibid., pp. 114-116.
61
G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., p. 123; a p. 126, riprendendo la prima motivazione della incapacità matrimoniale del transessuale, l’Autore precisa che la sua condizione «esclude il
carattere eterosessuale dell’amore coniugale», mentre sul tema dell’impotenza torna alle pp. 129-136.
Il tema è ripreso a p. 147.
62
Cf J. O TADUY, Transexualidad, cit., pp. 643-644.
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
157
per profili che immediatamente si oppongono alla donazione e alla
relazione coniugale; in altri casi invece, la condizione transessuale rappresenterebbe soltanto una condizione di fatto che potrebbe
integrare uno degli elementi costitutivi di altre fattispecie legali di
nullità matrimoniale. Così, per esempio, nel caso che una tendenza
transessuale consolidata venisse nascosta all’altra parte, ciò rappresenterebbe una qualità oggetto di induzione dolosa in errore ai sensi
del can. 1098. Qualora oggetto del dolo omissivo fosse invece l’avventa trasformazione fisica a seguito dell’operazione63, se pure e senza
dubbio il caso potrebbe rientrare nell’ambito dello stesso vizio del
consenso, si ritiene tuttavia che si presenterebbe come assorbente la
radicale mancanza di differenza sessuale fra i due soggetti. Così, la
consapevolezza di una tendenza transessuale potrebbe stare alla base
anche di un difetto volontario del consenso, quale una esclusione della
prole o della indissolubilità, per esempio riservandosi il soggetto di
perseguire la propria tensione al cambio sia di morfologia sessuale
fenotipica sia di stile di vita. Ma, come si pensa appaia chiaro, in
questi casi la condizione transessuale del soggetto resta al semplice
livello di una qualità personale o di una circostanza motiva dell’atto di
volontà, senza esplicare una diretta, immediata, efficacia in relazione
alla tematica matrimoniale.
La giurisprudenza rotale
Per quanto concerne la giurisprudenza vi sono decisioni che si
occupano soprattutto del fenomeno del travestitismo64. L’unica sentenza rotale che si sia occupata anche sotto il profilo del fatto del caso di
un transessuale65 resta la coram Pinto 14 aprile 197566. In tale decisione i fenomeni del travestitismo e del transessualismo sono visti come
G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., pp. 159-160 critica in questo senso l’articolo 5
della legge italiana n. 164 del 18 aprile 1982, il quale prevede che «Le attestazioni di stato civile riferite
a persona della quale sia stata giudizialmente rettificata l’attribuzione di sesso sono rilasciate con la
sola indicazione di nuovo sesso e nome», una protezione che potrebbe indurre una dinamica di slealtà
nel processo di formazione della volontà matrimoniale dell’altra persona coinvolta nella relazione.
64
Precisamente le coram DAVINO, 6 giugno 1972, in RRDec. LXIV, pp. 340-345; la coram DI F ELICE , 8
aprile 1978, in «Il diritto ecclesiastico» 89/II (1978) 18-24 e, più recentemente, la coram GIANNECCHI NI , 21 febbraio 1995, in RRDec. LXXXVII, pp. 156-164 nonché la coram MONIER , 21 giugno 1996, in
RRDec. LXXXVIII, pp. 486-493.
65
Salvi difetti nella ricerca del sottoscritto nei volumi pubblicati delle decisioni rotali e nella rivista
«Quaderni dello Studio Rotale». G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., pp. 104-111
considera solo le decisioni coram P INTO 14 aprile 1975 e coram DI F ELICE 8 aprile 1978, la quale ultima,
come indicato, si occupa per sé del travestitismo.
66
Cf coram P INTO, 14 aprile 1975, in RRDec. LXVII, pp. 228-237.
63
claudia Ambroggi - [email protected]
158
Paolo Bianchi
diversi, anche se collocati su di una scala di continuità, potendo essere considerati «sindromi d’una stessa condizione psicopatologica di
fondo, cioè di disorientamento e di incertezza di ruolo relativamente
al sesso e al genere»67. La gravità di tali fenomeni viene commisurata
sulla base della scala di orientamento sessuale di Benjamin, i cui due
gradi superiori (il V e il VI) sono caratterizzati da una viva tensione
alla cosiddetta operazione di conversione, tensione manifestata in
modo concreto fino a estremi parossistici quali tentativi di suicidio
e automutilazione68. La capacità al matrimonio di tali soggetti viene
rapportata a quella di garantire l’oggetto formale essenziale del patto
nuziale, per cui «per quanto concerne il matrimonio, poiché si tratta
di un contratto il cui oggetto formale essenziale consiste nel diritto
agli atti per sé idonei alla generazione della prole, l’abilità a contrarlo
dipende dalla potenza rispetto alla copula carnale perfetta»69. Tuttavia
– per i transessuali che si collocano negli ultimi due gradi della scala
di orientamento sessuale sopra ricordata – può anche verificarsi non
tanto un difetto del consenso come atto psicologico, ma una situazione per cui «risulta chiaro che il matrimonio dei transessuali, anche
nei casi nei quali siano capaci di una copula coniugale perfetta, è
invalido laddove risulti provato che al tempo della celebrazione delle
nozze fossero incapaci di trasmettere ed accettare il diritto sul corpo
in perpetuo»70. In altre parole, l’incapacità di tali soggetti sarebbe quella di garantire specificamente la perpetuità del diritto che costituisce
l’oggetto formale del consenso. Tale prospettazione, senza dubbio
ancora valida oggi, deve tener conto di alcune puntualizzazioni desumibili anche dal testo normativo ora vigente soprattutto in relazione:
all’humano modo (cf can. 1061 § 1) secondo cui la relazione sessuale
va vissuta; alla possibilità di orientamento del matrimonio ad bonum
coniugum (cf can. 1055 § 1), anche attraverso una sessualità vissuta in
modo non gravemente pericoloso e immorale; alle esigenze minimali
Coram P INTO, 14 aprile 1975, cit., p. 230, n. 5.
Cf ibid., p. 231, n. 6. Al di là del valore descrittivo della scala proposta, studi più recenti mettono in
discussione la visione antropologica e la qualità etica di tale Autore: cf W. H EYER , Paper genders…,
cit., pp. 21-23, come anche quelle di Alfred Kinsey (pp. 19-21) e John Money (pp. 23-32), paladini della
cosiddetta rivoluzione sessuale e personalmente sostenitori della pedofilia.
69
Traduzione del sottoscritto del seguente testo originale: «matrimonium quod spectat, cum agatur
de contractu cuius obiectum formale essentiale est ius ad actus per se aptos ad prolis generationem,
habilitas ad ipsum contrahendum pendet a potentia ad copulam carnalem perfectam» (ibid., p. 232,
n. 7).
70
Ecco il testo, sopra proposto in nostra traduzione: «patet matrimonium transexualium, etiam in
casibus in quibus copulae coniugalis perfectae capaces sunt, irritum esse ubi comprobetur tempore
celebrationis nuptiarum incapaces fuisse tradendi et acceptandi ius in corpus in perpetuum» (ibid.,
p. 234, n. 8).
67
68
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
159
della prole (cf cann. 1055 § 1 e 1136). In questa linea, possono essere
proposte alcune considerazioni che il sottoscritto prospettava già
alcuni anni addietro e che si sono già più sopra sintetizzate71.
Peraltro, si deve considerare – secondo un ragionamento che
potrebbe essere definito a fortiori quanto allo schema argomentativo
– che le sentenze più recenti in tema di travestitismo appaiono piuttosto proclivi a ritenere il soggetto psichicamente incapace al matrimonio72. Tale proclività a riconoscere l’incapacità anche per le situazioni
soggettive relative ai gradi più bassi della scala di valutazione di
Benjamin, fa desumere un orientamento giurisprudenziale favorevole
a un analogo giudizio per i gradi più alti della scala, secondo quella
conclusione per altro già assunta da Pinto nella sentenza del 1975 ex
professo dedicata al transessualismo.
Conclusioni
Le conclusioni che, dal punto di vista del diritto matrimoniale
canonico, possiamo trarre dal nostro studio sono le seguenti:
1) la persona transessuale, dopo l’operazione di sex reassignment
surgery è incapace al matrimonio per la radicale mancanza di diversità
sessuale rispetto alla persona che vorrebbe sposare. Non va quindi
ammessa alle nozze e, laddove esse siano state ugualmente celebrate
successivamente all’operazione, il patto nuziale va dichiarato invalido,
Questo comunque il testo cui facciamo riferimento: «(d)ovendo delineare delle conclusioni circa
i possibili capitoli di incapacità al compimento degli obblighi essenziali del matrimonio da parte del
transessuale prima della operazione per la trasformazione dei genitali esterni, pensiamo di poterli
indicare come segue: a) incapacità alla disponibilità sessuale perpetua (lo ius in corpus in perpetuum
di Pinto), nel caso di una viva e operativa tensione (già al momento del consenso) al sex reassignment,
nel qual caso verrebbe appunto meno l’elemento della perpetuità di tale disponibilità; b) incapacità a
vivere in “modo umano” la relazione sessuale con l’altra parte, sulla base del criterio già più sopra indicato (la capacità alla relazione oggettuale) e con la pure ricordata cautela di una possibile sovrapposizione di questa ipotesi con quella della incapacità propriamente consensuale; c) incapacità al ruolo
genitoriale proprio del sesso di appartenenza [...]. Si potrebbe [...] ipotizzare la pratica impossibilità
di evitare un danno educativo alla prole, attraverso il proprio comportamento divenuto manifesto o
attraverso il disturbo derivante dalla tensione, magari a un certo punto attuata, al sex reassignment»
(P.G. BIANCHI, Incapacitas assumendi..., cit., pp. 206-207).
72
La coram GIANNECCHINI del 21 febbraio 1995 si mostra propensa a ritenere il travestitismo «un vero
e grave disturbo o anomalia» («veram ac gravem perturbationem vel anomaliam») e che esso «devia
e stravolge il consenso dal suo oggetto» («immutat et avertit consensum a suo obiecto»: cit., p. 159,
n. 5); la coram MONIER del 21 giugno 1996 considera che «un altro indizio circa la personalità dell’uomo va visto nel travestitismo, con carenza di senso morale» («alterum signum viri personalitatis in
transvestitismo videtur, cum sensus moralis carentia»: cit., p. 491, n. 10); una situazione questa che,
assieme all’alcolismo e al disturbo in senso globale della personalità, porta a concludere che «l’uomo
convenuto fu incapace di prestare e di assumere una decisione nel consenso matrimoniale con una
sufficiente deliberazione, a causa di gravi e antecedenti disturbi psichici» («virum conventum incapacem fuisse praestandi ac eliciendi cum sufficienti deliberatione iudicium in matrimoniali consensu
propter graves et antecedentes psychicas perturbationes»: cit., p. 492, n. 12).
71
claudia Ambroggi - [email protected]
160
Paolo Bianchi
anche a iniziativa del promotore di giustizia alle condizioni espresse
dal diritto73.
2) la domanda di matrimonio proposta da un soggetto transessuale prima dell’operazione di rettifica chirurgica del sesso va accuratamente vagliata, esercitando i poteri concessi dal diritto all’ordinario
nel can. 107774. L’esito di tale approfondimento potrà essere duplice: a)
l’ammissione alle nozze nel caso la condizione clinica risulti non grave
o dubbia75 ; b) la non ammissione alle nozze nel caso la situazione si
mostri grave.
Infatti, in questo secondo caso, il matrimonio potrebbe con
grande probabilità risultare nullo – con la conseguente possibilità di
proporre la relativa azione anche semmai da parte del promotore di
giustizia – o per le incapacità di cui ai nn. 2° e 3° del can. 1095 o per
altri difetti o vizi del consenso come meglio illustrato nella argomentazione sopra svolta. La gravità della condizione al momento delle
nozze potrà poi anche essere apprezzata indiziariamente ex post alla
luce per esempio delle condotte del soggetto, quali il modo di abbigliarsi e di interagire con gli altri o la tendenza attiva alla operazione
chirurgica76.
3) l’operazione di sex reassignment surgery resta gravemente
illecita da un punto di vista morale77 e giuridico (canonico), consistendo in un atto di disposizione circa il proprio corpo che sfugge alle
possibilità del soggetto, che si sottopone a una grave e irreversibile
mutilazione. Potrà essere tollerata (mai però attivamente proposta o
caldeggiata) laddove la tensione psichica che la persona interessata
vive sia così intensa da poter rappresentare un grave pericolo per la
sua salute psichica o per la sua stessa vita78.
Cf il can.1674, 2° e l’articolo 92, 2° DC.
Non ci può arrestare alla affermazione di alcuni Autori che il parroco non avrebbe il potere di esigere un approfondimento clinico. Ciò è vero, ma ciò che esula dalle competenze del parroco rientra
in quelle che il diritto attribuisce all’ordinario.
75
Cf in questo senso anche U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., p. 113.
76
In un senso analogo anche U. NAVARRETE , Transexualismus…, cit., p. 117.
77
R.P. F ITZGIBBONS - P.M. S UT TON - D. O’L EARY, La psicopatologia…, cit., pp. 156-163 discutono esplicitamente le obiezioni di carattere etico alla sex reassignment surgery.
78
Contestano che l’operazione possa essere considerata propriamente una necessità medica W.
H EYER , Paper genders…, cit., pp. 51. 61. 89-93 e R.P. F ITZGIBBONS - P.M. S UT TON - D. O’L EARY, La
psicopatologia…, cit., p. 161. G. GIUSTINIANO, Il fenomeno del transessualismo…, cit., p. 8, solleva un
interrogativo su «la reale terapeuticità dell’intervento chirurgico demolitivo-ricostruttivo in funzione
di un equilibrio psico-fisico sufficientemente stabile». Nelle conclusioni, dopo aver affermato che la
legge 164/1982 rende oggi problematico sostenere che l’operazione di riattribuzione del sesso sia
un atto di disposizione del proprio corpo vietata dall’articolo 5 del Codice civile (p. 153), riprende la
problematica della valutazione morale dell’intervento. Dopo aver delineato due diversi approcci – uno
che la ritiene in ogni caso illecita, perché comporta l’asportazione di organi sani e perché esita in una
73
74
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
161
4) in caso di avvenuta operazione, potrebbe essere opportuna
l’annotazione sul registro di Battesimo della nuova identità della persona, a tutela della sua buona fama e dell’intimità personale; tuttavia,
senza che ciò comporti alcuna (anche solo implicita) ammissione che
per l’interessato sia avvenuto un vero cambio di sesso e, quindi, che si
sia verificata una modifica dello stato canonico del soggetto. In questo
senso ha disposto, per quanto concerne la situazione italiana, una Notificazione della Presidenza della Conferenza episcopale nazionale79.
Tali conclusioni, soprattutto quanto ai limiti al matrimonio per
la persona transessuale che devono essere riconosciuti nell’ordinamento canonico, non devono essere lette come “discriminazioni”80,
ma piuttosto come il riconoscimento che ciascuno ha nella vita doni e
vocazioni diversi, come anche “croci” diverse da portare.
Per quanto il matrimonio sia riconosciuto dall’ordinamento canonico come un diritto della persona (cf il can. 1058), esso non è un
mutilazione dell’individuo (p. 154); e una invece che, basandosi «su un’interpretazione estensiva del
concetto di terapeuticità applicando il principio di totalità», la ritiene lecita quando rappresenti l’unico
modo per liberare il soggetto da una angoscia invincibile (pp. 154-155), si orienta (salvo errore di
comprensione) verso una posizione decisamente sfavorevole alla liceità dell’intervento, in quanto esso
«rappresenta una grave alterazione della natura originaria espressa anche e soprattutto mediante un
tipo particolare di corporeità» (p. 156). Anche M.P. FAGGIONI, Il transessualismo…, cit., pp. 294-297
discute ampiamente i pro et contra dell’intervento chirurgico dal punto di vista morale. Si orienta a
un generale giudizio sfavorevole circa la sua liceità, anche se lo ammette alla stregua di una cura
palliativa in casi dove il non eseguirlo potrebbe portare a conseguenze estreme. Ciò con l’avvertenza
che l’intervento non cura la malattia (psichica) di base e con il rischio anzi che «l’intervento correttivo
si presenti in realtà quasi come un’attuazione del sentimento psicotico del transessuale» (p. 297). Le
medesime argomentazioni e conclusioni vengono riesposte in M.P. FAGGIONI, I disturbi della sfera
sessuale, cit., pp. 385-387 e in M.P. FAGGIONI, I disturbi dell’identità di genere, cit., pp., 341-344.
79
Con lettera 21 gennaio 2003 (protocollo 72/03), poi pubblicata nel «Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana» 37 (2003) 35-36 è stata trasmessa ai Vescovi italiani una Notificazione in merito alla
eventuale iscrizione nei libri parrocchiali di un avvenuto riconoscimento, in sede civile, di un “cambio
di sesso”. Tale notificazione proibisce qualsiasi correzione o variazione in detti registi: «Infatti, atteso
che la mutata condizione del fedele agli effetti civili circa l’identità anagrafica non ne modifica la condizione canonica – maschile o femminile – definita al momento della nascita, sul Registro dei Battesimi
non può essere apportata alcuna variazione in seguito all’avvenuto intervento per il cambiamento di
sesso. Tuttavia, a motivo di eventuali situazioni che si potrebbero presentare in futuro per tali fedeli,
si ritiene necessario che a margine dell’Atto di Battesimo venga annotato tale intervento unicamente
per quanto attiene agli effetti civili della mutata condizione del fedele, indicando al riguardo la data e
il numero di protocollo della Sentenza del Tribunale Civile competente e/o del documento rilasciato
dall’Ufficio dello Stato Civile. In ogni caso è opportuno che il parroco competente conservi tutta la
documentazione, allegandola alla pagina del Registro dei Battesimi. L’annotazione di cui sopra, ovviamente, non potrà essere fatta valere dalla persona interessata per avviare l’istruttoria ai fini di un
eventuale futuro matrimonio da celebrare nella forma concordataria».
80
Nota acutamente M. I MPER ATORI, Sfide filosofico-teologiche…, cit., p. 237, che sulla base della attuale
cultura queer (la versione estrema di quella del gender) e delle esigenze strategiche del discorso pubblico e del politically correct, «sul piano giuridico, verrà poi introdotta la categoria dei presunti “nuovi
diritti”, fondandola su un’automatica equivalenza tra “deviante” sul piano sociologico e “discriminato”
sul piano giuridico, in perfetta sintonia con quel clima di società liquida che, almeno prima della grave
crisi economica che stiamo attualmente attraversando, sembrava dover caratterizzare tutte le società
cosiddette “avanzate”».
claudia Ambroggi - [email protected]
162
Paolo Bianchi
diritto assoluto. La stessa norma che sancisce il solenne riconoscimento del cosiddetto ius connubii ammette che vi possano essere delle proibizioni provenienti dallo stesso diritto: tutti possono contrarre
matrimonio qui iure non prohibentur, afferma il medesimo can. 1058.
Quanto poi all’esercizio di tale diritto, non va disatteso che anche i
diritti più importanti vanno esercitati nel rispetto del bene della collettività ecclesiale, dei diritti altrui e dei propri doveri verso gli altri (cf
il can. 223 § 1): e, nel caso del matrimonio, vengono in primo piano i
diritti del coniuge e della prole81. Peraltro, come ha con grande acutezza richiamato Benedetto XVI nella sua allocuzione alla Rota Romana
del 22 gennaio 201182, il diritto al matrimonio non può essere ridotto
alla pretesa di una mera celebrazione, che comunque debba trovare
soddisfacimento: il diritto al matrimonio sussiste solo laddove vi sia
la disponibilità a celebrare un vero matrimonio; esso consiste nella
possibilità di celebrare l’autentico matrimonio, così come inteso dalla
dottrina e dalla disciplina della Chiesa.
Né va dimenticato – come già si è peraltro richiamato fin dalle
premesse di questo articolo – che l’ordinamento canonico presuppone una visione antropologica, che la disciplina non può contraddire,
soprattutto laddove le disposizioni del diritto non siano puramente positive, disciplinari, ma profondamente coinvolgenti la dottrina
stessa, come per esempio in riferimento alle fondamentali strutture
antropologiche, quali quelle coinvolte nella tematica della quale ci
siamo occupati. L’esprimere la concezione antropologica retrostante
all’ordinamento canonico è un atteggiamento di correttezza e di onestà: il non poterlo fare – senza incorrere in sanzioni in senso proprio
o metaforico – non potrebbe che confermare la presenza, nella nostra
situazione culturale, di quella che efficacemente è stata denominata
l’intolleranza dei tolleranti83.
W. H EYER , Paper genders…, cit., p. 101 segnala che le posizioni del coniuge e della prole sono del
tutto trascurate dall’attivismo del movimento GLBT-Q: «Viene qui introdotto un punto importante.
Si considera raramente l’impatto psicologico sui figli o sulla moglie quando il marito si sottopone
all’intervento chirurgico. Troppo spesso la famiglia non è preparata a questo evento sconvolgente».
82
In A AS 103 (2011) pp. 109-110, n. 4. Tale passo della allocuzione è richiamato anche da J.A. F UENTES ,
Desviaciones de la sexualidad…, cit., pp. 678-679 alla nota 54.
83
Tale espressione è stata più volte usata dal Papa Benedetto XVI. Che l’ipotesi paventata non sia
puramente fantastica, lo si può comprendere anche solo considerando la proposizione numero 56 del
documento finale della recente Assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi, un’assemblea che,
data la sua rappresentatività a livello mondiale, ha certo una conoscenza non superficiale delle cose:
«È del tutto inaccettabile che i Pastori della Chiesa subiscano delle pressioni in questa materia e che
gli organismi internazionali condizionino gli aiuti finanziari ai Paesi poveri all’introduzione di leggi
che istituiscano il “matrimonio” fra persone dello stesso sesso».
81
claudia Ambroggi - [email protected]
Transessualismo e diritto matrimoniale canonico
163
Accoglienza verso le persone, infine, non è l’assecondare ogni
loro desiderio: ma aiutare ogni singolo individuo a porsi di fronte
alla realtà della propria condizione esistenziale e a vivere al meglio
possibile la sua chiamata alla santità, riconoscendone tutti gli aspetti
positivi al di là delle condizioni problematiche, che non vanno tuttavia
ignorate, né trattate con equivoca ambiguità 84. Non distinguere le
diverse situazioni personali in nome di un falso egualitarismo vuol
dire alla fin fine ingannare le persone stesse, non già promuoverne
la dignità85.
PAOLO BIANCHI
Piazza Fontana 2
20122 Milano
Una interessantissima analisi sulla lotta ai “nemici” della cultura gender e sui suoi mezzi – compresa
la creazione di una neolingua ormai adottata nella comunicazione pubblica e pure in documenti politically correct di rilevanza anche sopranazionale – si può trovare in C. ATZORI, Il binario indifferente…,
cit., pp. 73-79. Si veda anche R.P. F ITZGIBBONS - P.M. S UT TON - D. O’L EARY, La psicopatologia…, cit.,
pp. 163-165.
85
Molto interessanti appaiono le considerazioni che si possono leggere in un contributo del Cardinale
Angelo Scola in vista del Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2014, sui temi del matrimonio e della famiglia, considerazioni che toccano da vicino il nostro tema: «Nel quadro di una antropologia adeguata
è decisivo considerare attentamente l’esperienza comune, integrale ed elementare, che ogni uomo è
chiamato a vivere per il fatto stesso di esistere in un corpo sessuato. Si tratta anzitutto di comprendere tutto il peso della singolarità della differenza sessuale. Una delle radici della crisi del matrimonio
nasce proprio dal misconoscimento di questa dimensione fondamentale dell’esperienza umana: ogni
uomo è situato come singolo entro la differenza sessuale. Ed è necessario riconoscere che questa non
può mai essere superata. Misconoscere l’insuperabilità della differenza sessuale significa confondere
il concetto di differenza con quello di diversità. Al binomio identità-differenza la cultura contemporanea
sostituisce spesso il binomio uguaglianza-diversità. La giusta promozione dell’uguaglianza tra tutte
le persone, soprattutto tra l’uomo e la donna, ha spesso condotto a considerare come discriminante
la differenza. L’equivoco sta nel fatto che differenza e diversità non sono, a ben vedere, sinonimi. Denominano, almeno dal punto di vista antropologico, due esperienze umane profondamente dissimili.
In questa sede ci può aiutare il ricorso all’etimo originario dei due vocaboli. La parola diversità ha la
sua radice nel latino di-vertere. Identifica, normalmente, il muoversi del soggetto in un’altra direzione
rispetto ad un altro soggetto. Diversi quindi sono due o più soggetti autonomi che possono entrare in
relazione o andare in direzioni opposte, restando nella loro autonoma soggettività. La diversità mette
pertanto in campo la relazione interpersonale. Al contrario, ciò che sperimentiamo nella differenza
indica una realtà intrapersonale. È qualche cosa che riguarda la persona singola nella sua identità
costitutiva. Differenza proviene dal verbo latino dif-ferre che, nel suo livello più elementare, indica
portare altrove, spostare. L’apparire di un individuo dell’altro sesso “mi porta altrove”, “mi sposta” (differenza). Ogni singolo si trova iscritto in questa differenza ed ha sempre di fronte a sé l’altro modo, a
lui inaccessibile, di essere persona. La dimensione sessuale è interna alla singola persona, ne indica la
costitutiva apertura all’altro sesso. Il riconoscimento della differenza è fattore decisivo per pervenire
ad una adeguata coscienza di sé. Si può capire perché la differenza sessuale, il cui carattere insuperabile è originario e non derivato, non possa essere, come tale, foriera di alcuna discriminazione» (A.
S COLA , L’antropologia e l’eucaristia. Note del card. Scola su matrimonio e famiglia in vista dell’Assemblea
straordinaria [del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia], in «Il Regno - Attualità» 59 [2014] p. 541.
84
claudia Ambroggi - [email protected]
Fecondazione assistita eterologa
e matrimonio canonico
Quaderni
di diritto ecclesiale
28 (2015) 164-179
di Alessandro Giraudo
La Rivista ha già affrontato il tema della fecondazione assistita
in relazione con il diritto matrimoniale canonico in un ampio articolo
che dava ragione sia delle varie tecniche sia delle conseguenze che il
loro utilizzo comporta non solo per la validità del consenso1.
Il tema, allora affrontato e da diversi autori ripreso in numerosi
interventi2, resta ad oggi di attualità, soprattutto per il perfezionarsi
delle tecniche e il diffondersi di una mentalità che le ritiene rispondenti ad una sorta di diritto ad avere il figlio desiderato, allargando
ulteriormente lo spettro dei soggetti di tale diritto in quanto non più
riconoscibile solo ai coniugi infecondi ma anche a single o a coppie
omosessuali.
Lo scopo che ci prefiggiamo è quello di riprendere alcune delle questioni che specificamente la fecondazione assistita eterologa
pone all’ordinamento canonico e al matrimonio, esulando da tutte le
altre situazioni oggetto della riflessione morale, così da raccogliere
quanto già la dottrina canonica abbia avuto modo di indicare e quanto
rimanga di problematico nella riflessione e nella valutazione delle
conseguenze sulla validità del consenso coniugale.
Cf P. M ALCANGI, Tecniche di fecondazione artificiale e diritto matrimoniale canonico, in QDE 11 (1998)
406-432.
2
Cf M. GUIDA , Riflessi giuridici della fecondazione artificiale nel diritto matrimoniale canonico, in
«Apollinaris» 76 (2003) 183-201; G. DALLA TORRE , L’esclusione della prole e la fecondità assistita, in
A A .VV., Prole e matrimonio canonico, Città del Vaticano 2003, pp. 167-177; G. BONI, Aids ed esclusione
del bonum prolis, in A A .VV., Prole e matrimonio canonico, cit., pp. 179-259; M. WEGAN, Esclusione
del bonum prolis e fecondazione artificiale, in «Quaderni dello Studio Rotale» 15 (2005) 93-122; I.
ZUANAZZI, Valori fondamentali del matrimonio nella società di oggi: la filiazione, in A A .VV., Matrimonio
canonico e realtà contemporanea, Città del Vaticano 2005, pp. 175-211; F. CATOZZELLA , L’esclusione del
bonum fidei e del bonum prolis nei casi di fecondazione artificiale, in A A .VV., Il bonum fidei nel diritto
matrimoniale canonico, Città del Vaticano 2013, pp. 259-278; I. ZUANAZZI, La filiazione nel diritto
canonico della famiglia, in Famiglia e diritto nella Chiesa, a cura di M. Tinti, Città del Vaticano 2014,
pp. 117-172.
1
claudia Ambroggi - [email protected]
Fecondazione assistita eterologa e matrimonio canonico
165
La valutazione bioetica e magisteriale sulla fecondazione
assistita eterologa
La riflessione bioetica riguardo alla fecondazione assistita eterologa, cioè quella in cui si utilizza il patrimonio genetico di almeno
una figura esterna alla coppia che accede alla fecondazione artificiale,
muove i propri passi su alcune direttrici e, in primo luogo, sul rapporto tra sessualità e procreazione, e quindi sul ruolo dell’intervento
del medico nel compimento dell’atto generativo. In quest’ambito si
fronteggiano, da una parte, le posizioni favorevoli a qualsiasi tipo di
intervento che permetta il libero accesso per tutti ad ogni tecnica riproduttiva e la soddisfazione del desiderio di maternità/paternità per
chiunque e, dall’altra, quelle che pongono l’accento sulla dignità della
persona umana e quindi sulla necessità di evitare tecniche che riducano il concepimento ad un atto impersonale e altamente artificiale3.
In secondo luogo, il confronto tra le varie posizioni si pone sulle
motivazioni che consentono l’accesso alle tecniche di fecondazione
artificiale. Si afferma, così, la libertà di scelta che pone sullo stesso
piano tecniche naturali ed artificiali di concepimento a prescindere
dall’accertamento della sterilità o infecondità della coppia, e consente la determinazione della scelta per motivazioni strettamente
soggettive che esulino dalla condizione di chi vuole accedere alla
fecondazione assistita, dall’età, dalla presenza di una relazione matrimoniale, imponendo come unici criteri l’accertamento della capacità
di responsabilità di chi chiede di avere un figlio e, nel caso di tecniche
eterologhe, la garanzia dell’anonimato del donatore e il rispetto della
privacy sulle tecniche utilizzate4.
Tali posizioni sono fortemente criticate da chi, invece, pone al
centro della valutazione etica delle tecniche di fecondazione il valore
della famiglia fondata sul matrimonio, la responsabilità procreativa
non limitata esclusivamente alla generazione del figlio ma alla possibilità di assicurargli la bigenitorialità eterosessuale, e la necessità
di evitare l’indebita moltiplicazione di figure genitoriali laddove si
attuano tecniche eterologhe, così da consentire al nascituro di poter
vivere nelle condizioni più favorevoli allo sviluppo della propria identità personale5. Proprio in riferimento alla fecondazione eterologa si
può sottolineare come
Cf F. D’AGOSTINO - L. PALAZZANI, Bioetica. Nozioni fondamentali, Brescia 2007, pp. 82-83.
Cf ibid., pp. 84-85.
5
Cf ibid., pp. 87-89.
3
4
claudia Ambroggi - [email protected]
166
Alessandro Giraudo
«la bioetica nella prospettiva della “responsabilità procreativa” ritiene problematico il fenomeno della plurigenitorialità […]: nella misura in cui si
ritiene doveroso il riconoscimento del diritto di colui che nascerà a conoscere le proprie origini genetiche (non solo per ragioni mediche, al fine di
conoscere eventuali malattie genetiche ereditarie, ma anche e soprattutto
psicologiche-antropologiche), si creerebbe una inevitabile confusione che
potrebbe generare incertezza nel processo di identificazione del soggetto.
Inoltre la donazione del gamete non è considerata assimilabile a qualsiasi
altra donazione (ad esempio, la donazione del sangue o di un organo): chi
dona un gamete mette a disposizione metà del proprio patrimonio genetico,
dando vita ad un nuovo essere umano; si tratta di un gesto che implica una
responsabilità nei confronti di chi nasce»6,
con i risvolti alquanto problematici che si possono delineare nel caso
di donazione eterologa del seme maschile, che determinerebbe
«una asimmetria nella coppia: solo la madre ha un vincolo genetico, mentre
il padre, pur non avendolo, lo ritiene così irrinunciabile da acconsentire di essere sostituito da un donatore (anche, a volte, per sensi di colpa nei confronti
del desiderio di maternità insoddisfatto della moglie). Seppur inizialmente
la situazione pare essere accettata dalla coppia, spesso può emergere una
conflittualità psicologica (ne sono conferma empirica e giuridica i casi di richiesta di disconoscimento di paternità): il padre tende a vivere la donazione
di gamete come un “adulterio biologico”, avvertendo anche un sentimento di
rivalità e competizione nei confronti del donatore, che rende ancora più difficile l’elaborazione del “lutto” della propria sterilità e porta spesso a sentire
la paternità non genetica come estraneità rispetto al legame madre/figlio»7.
Da un punto di vista maggiormente giuridico, si può considerare come nel dibattito contemporaneo si tenda ad indicare nel diritto
alla fecondazione assistita un diritto umano all’interno dell’ampia
categoria di quelli che vengono chiamati i “diritti riproduttivi”. Tale
diritto, se si valuta la fecondazione artificiale sullo stesso piano di
quella naturale e come semplice alternativa ad essa, tende ad essere
inteso come un diritto fondamentale ed anche assoluto8. Viceversa,
nel caso si consideri l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita
come “terapia” ad una condizione di sterilità della coppia, tale diritto
conserva un carattere relativo quand’anche se ne riconoscesse un
valore fondamentale, ponendo nello stesso tempo l’accento sul fatto
Ibid., pp. 86-87.
Ibid., p. 88.
Per uno studio sintetico delle diverse scuole di pensiero che identificano nella fecondazione
artificiale un diritto assoluto, cf P. I AGULLI, Diritti riproduttivi e fecondazione artificiale, Milano 2013,
pp. 56-88.
6
7
8
claudia Ambroggi - [email protected]
Fecondazione assistita eterologa e matrimonio canonico
167
che l’atto procreativo avviene in un contesto relazionale che inevitabilmente chiede di far interagire numerosi e spesso contrastanti diritti:
ne consegue che non si possa indicare il diritto ad un figlio come
“assoluto” né per una coppia di genitori né per un single9.
La posizione del Magistero cattolico sulla fecondazione assistita
si delinea già a partire dal 1987 con l’istruzione Donum vitae [=DV]
della Congregazione per la dottrina della fede, in cui la valutazione
delle varie tecniche riproduttive artificiali si ispira a quel personalismo che il Vaticano II aveva posto al centro della riflessione sulla
dignità della persona umana10.
In riferimento alle tecniche eterologhe, che l’istruzione precisava da intendersi nel caso in cui la fecondazione avvenga «a partire da
gameti provenienti almeno da un donatore diverso dagli sposi, che
sono uniti in matrimonio»11, muovendo dal duplice principio che la
procreazione responsabile sia tale solo nel matrimonio e che la fedeltà
coniugale comporti «il reciproco rispetto del loro diritto di diventare
padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro»12, la valutazione morale era indicata in modo netto e preciso:
«La fecondazione artificiale eterologa è contraria all’unità del matrimonio,
alla dignità degli sposi, alla vocazione propria dei genitori e al diritto del
figlio ad essere concepito e messo al mondo nel matrimonio e dal matrimonio. Il rispetto dell’unità del matrimonio e della fedeltà coniugale esige che
il figlio sia concepito nel matrimonio; il legame esistente tra i coniugi attribuisce agli sposi, in maniera oggettiva e inalienabile, il diritto esclusivo a
diventare padre e madre soltanto l’uno attraverso l’altro. Il ricorso ai gameti
di una terza persona, per avere a disposizione lo sperma o l’ovulo, costituisce
una violazione dell’impegno reciproco degli sposi e una mancanza grave nei
confronti di quella proprietà essenziale del matrimonio, che è la sua unità.
La fecondazione artificiale eterologa lede i diritti del figlio, lo priva della
relazione filiale con le sue origini parentali e può ostacolare la maturazione
della sua identità personale. Essa costituisce inoltre una offesa alla vocazione comune degli sposi che sono chiamati alla paternità e maternità: priva
Cf ibid., pp. 88-106.
«Dio, che è amore e vita, ha inscritto nell’uomo e nella donna la vocazione a una partecipazione
speciale al suo mistero di comunione personale e alla sua opera di Creatore e di Padre. Per questo il
matrimonio possiede specifici beni e valori di unione e di procreazione senza possibilità di confronto
con quelli che esistono nelle forme inferiori della vita. Tali valori e significati di ordine personale
determinano dal punto di vista morale il senso e i limiti degli interventi artificiali sulla procreazione
e sull’origine della vita umana. Questi interventi non sono da rifiutare in quanto artificiali. Come
tali essi testimoniano le possibilità dell’arte medica, ma si devono valutare sotto il profilo morale
in riferimento alla dignità della persona umana, chiamata a realizzare la vocazione divina al dono
dell’amore e al dono della vita» (DV, intr., n. 3).
11
DV, II, nota *.
12
DV, II, n. 1.
9
10
claudia Ambroggi - [email protected]
168
Alessandro Giraudo
oggettivamente la fecondità coniugale della sua unità e della sua integrità;
opera e manifesta una rottura fra parentalità genetica, parentalità gestazionale e responsabilità educativa. Tale alterazione delle relazioni personali
all’interno della famiglia si ripercuote nella società civile»13.
I principi e le valutazioni, ora brevemente richiamati, sono stati
ripresi nei successivi documenti magisteriali14, ribadendo l’illiceità
morale di tutti quegli interventi che non sono volti alla cura dell’infertilità, cioè non consentono alla coppia di porre «atti coniugali con
esito procreativo, senza che il medico debba interferire direttamente
con l’atto coniugale stesso»15, o dissociando completamente la procreazione dagli atti coniugali16, in quanto
«la Chiesa […] ritiene eticamente inaccettabile la dissociazione della procreazione dal contesto integralmente personale dell’atto coniugale: la procreazione
umana è un atto personale della coppia uomo-donna che non sopporta alcun
tipo di delega sostitutiva. […] La Chiesa riconosce la legittimità del desiderio di un figlio, e comprende le sofferenze dei coniugi afflitti da problemi di
infertilità. Tale desiderio non può però venir anteposto alla dignità di ogni
vita umana, fino al punto di assumerne il dominio. Il desiderio di un figlio
non può giustificarne la “produzione”»17.
L’insegnamento morale del Magistero giunge, quindi, a negare
ogni giustificazione al riconoscimento o alla determinazione di un “diDV, II, n. 2.
Tra gli altri documenti, l’enciclica Evangelium vitae ricordava come «le varie tecniche di riproduzione
artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita e che sono praticate non poche volte
con questa intenzione, in realtà aprono la porta a nuovi attentati contro la vita […] esse sono
moralmente inaccettabili, dal momento che dissociano la procreazione dal contesto integralmente
umano dell’atto coniugale» (GIOVANNI PAOLO II, enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995, n. 14),
mentre il Catechismo della Chiesa Cattolica [= CCC] richiamava che «le tecniche che provocano una
dissociazione dei genitori, per l’intervento di una persona estranea alla coppia (dono di sperma o di
ovocita, prestito dell’utero) sono gravemente disoneste. Tali tecniche (inseminazione e fecondazione
artificiali eterologhe) ledono il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre conosciuti da
lui e tra loro legati dal matrimonio. Tradiscono “il diritto esclusivo [degli sposi] a diventare padre e
madre soltanto l’uno attraverso l’altro”» (CCC 2376).
15
C ONGREGAZIONE PER LA DOT TRINA DELLA FEDE , istruzione Dignitas personae [=DP], 8 settembre 2008,
n. 13.
16
È il caso delle tecniche di ICSI, con cui nella fecondazione in vitro si inietta nel citoplasma di un
ovocita un singolo spermatozoo: «Come la fecondazione in vitro, della quale costituisce una variante,
l’ICSI è una tecnica intrinsecamente illecita: essa opera una completa dissociazione tra la procreazione
e l’atto coniugale. Infatti anche l’ICSI “è attuata al di fuori del corpo dei coniugi mediante gesti di terze
persone la cui competenza e attività tecnica determinano il successo dell’intervento; essa affida la
vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica
sull’origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla
dignità e all’uguaglianza che dev’essere comune a genitori e figli. Il concepimento in vitro è il risultato
dell’azione tecnica che presiede alla fecondazione; essa non è né di fatto ottenuta né positivamente
voluta come l’espressione e il frutto di un atto specifico dell’unione coniugale”» (DP 17).
17
DP 14.
13
14
claudia Ambroggi - [email protected]
Fecondazione assistita eterologa e matrimonio canonico
169
ritto al figlio”, neppure per realizzare un umanamente comprensibile
desiderio di paternità o maternità18, in quanto
«il figlio non è qualcosa di dovuto, ma un dono. Il “dono più grande del matrimonio” è una persona umana. Il figlio non può essere considerato come
oggetto di proprietà: a ciò condurrebbe il riconoscimento di un preteso
“diritto al figlio”. In questo campo, soltanto il figlio ha veri diritti: quello di
“essere il frutto dell’atto specifico dell’amore coniugale dei suoi genitori
e anche il diritto a essere rispettato come persona dal momento del suo
concepimento”»19.
L’ampiezza delle questioni, di cui abbiamo cercato di dare ragione seppur in modo sintetico, ci ricorda come le considerazioni bioetiche e giuridiche sul valore, la giustificazione etica e la liceità legale
della fecondazione artificiale, portino con sé gravi conseguenze nel
caso in cui si perda di vista proprio l’insieme dei valori e dei diritti che
entrano in gioco, con il rischio di assimilare acriticamente un sentire
comune che tende a giustificare il ricorso a tali tecniche a partire
dalla sofferenza che inevitabilmente si ingenera in chi pensa di essere
ingiustamente privato di quel diritto ad un figlio come completamento
della propria esistenza.
Si tratterà ora di verificare come, richiamando quanto già in diversi autori è stato evidenziato, le tecniche di fecondazione assistita
eterologa pongano molti problemi in riferimento al matrimonio canonico e come non sia sempre facile il passaggio dalla chiarezza della
posizione magisteriale all’applicazione delle norme codiciali.
Fecondazione assistita eterologa e simulazione del consenso
matrimoniale
In mancanza di sentenze rotali pubblicate che abbiano specificamente affrontato casi in cui si sia valutata o compiuta la fecondazione eterologa, ci limitiamo a considerazioni sintetiche sui principi
dottrinali e sui mezzi di prova in sede di accertamento giudiziale della
validità del consenso coniugale.
In tal senso, non si può non condividere l’affermazione di Navarrete sul fatto che l’ordinamento giuridico non possa legittimare o staCf PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE , Compendio della dottrina sociale della Chiesa,
n. 235.
19
CCC 2378.
18
claudia Ambroggi - [email protected]
170
Alessandro Giraudo
bilire come obbliganti comportamenti contrari alla morale20, per cui è
evidente che l’accesso alla fecondazione eterologa non possa in alcun
modo essere ricompreso nelle modalità con cui i coniugi assumono
ed attuano l’apertura della comunità di tutta la vita alla generazione
della prole, avendo ben chiaro che nell’ordinamento canonico non
può mai delinearsi uno specifico ius ad prolem21. Nello stesso tempo
la fecondazione assistita eterologa pone una grave ferita all’unicità del
matrimonio, per cui potrebbe essere configurabile l’esclusione del
bonum fidei22 e, per alcuni autori, anche del bonum coniugum23.
Ma per valutare la consistenza del consenso coniugale di una
coppia che abbia posto in essere, o si sia riservata il diritto di utilizzare, la fecondazione eterologa, sarà sempre necessario valutare la
configurazione di un atto positivo della volontà e non semplicemente
la presenza di una mera previsione o una mentalità che possa accettare come possibile, e quindi buono, l’utilizzo anche di queste tecniche
per portare a compimento il desiderio, non altrimenti attuabile, di
avere un figlio24.
La volontà in riferimento al bonum prolis
Nel nostro mondo occidentale, viste anche le modifiche apportate alle legislazioni statali e gli interventi di organismi e movimenti
di pensiero a livello internazionale, la fecondazione eterologa non
è più intesa come metodo “straordinario”, ma spesso diviene cura
“ordinaria” della sterilità 25 o infecondità della coppia. La possibile
valutazione della positività della fecondazione eterologa da parte dei
nubendi deve però entrare nel consenso coniugale e quindi nella volontà con cui hanno ponderato e assunto, o escluso, l’ordinazione alla
prole del matrimonio. Si tratta delle fattispecie già ben identificate in
Cf U. NAVARRETE , Novae methodi technicae procreationis humanae et ius canonicum matrimoniale,
in «Periodica de re morali, canonica, liturgica» 77 (1988) 99.
Cf G. DALLA TORRE , L’esclusione della prole…, cit., p. 172; G. BONI, Aids ed esclusione…, cit., p. 250; M.
WEGAN, Esclusione del bonum prolis…, cit., p. 112; I. ZUANAZZI, Valori fondamentali del matrimonio…,
cit., p. 208; F. CATOZZELLA , L’esclusione del bonum fidei…, cit., p. 271.
22
Cf F. CATOZZELLA , L’esclusione del bonum fidei…, cit., pp. 274-276.
23
Cf ibid., p. 277.
24
Cf U. NAVARRETE , Novae methodi…, cit., p. 98.
25
«La “sterilità” viene generalmente definita come l’incapacità di una coppia di concepire dopo aver
trascorso un certo periodo di tempo [circa 18 mesi] avendo rapporti di normale frequenza e senza
usare alcun tipo di contraccezione. Nel linguaggio medico italiano, si considera invece l’infertilità
come l’incapacità di avere figli sani e vitali, per ragioni legate alla ripetizione di episodi abortivi o
alla reiterazione di mal conformazioni fetali incompatibili con la vita» (C. F LAMIGNI, La procreazione
assistita, Bologna 2011, p. 9).
20
21
claudia Ambroggi - [email protected]
Fecondazione assistita eterologa e matrimonio canonico
171
dottrina nella riserva, da parte di entrambi o di uno dei due, del diritto
ad utilizzare tecniche che contraddicono quella donazione reciproca
che obbliga a generare esclusivamente con l’apporto dei gameti del
proprio coniuge, che sono contrarie all’unità tra procreazione ed intimità coniugale, e che sono considerate nella valutazione morale come
gravemente illecite26.
L’accertamento della volontà dei nubendi dovrà evidentemente
ricostruire ciò che effettivamente è stato valutato in vista delle nozze,
e quindi il grado di consapevolezza sui motivi che hanno giustificato
un’eventuale riserva del diritto ad accedere alla fecondazione eterologa, e quale sia stata la reale conoscenza, e non solo un’ipotetica previsione, sulle tecniche di fecondazione assistita e sul loro significato
morale.
Fatti salvi i casi di conclamata e conosciuta condizione clinica
che sia di impedimento alla generazione di un figlio o all’utilizzo del
rapporto coniugale per il concepimento, nella maggior parte dei casi
la valutazione della possibilità di accedere alle tecniche di fecondazione assistita potrebbe prendere corpo solo durante il tempo del matrimonio al sorgere di effettivi problemi di sterilità o infecondità. In
tal caso occorrerà valutare con molta attenzione, in sede di accusata
nullità del consenso, come la presa in considerazione della possibilità
o il rifiuto di accedere alla fecondazione eterologa sia stato inteso dai
coniugi in ordine alla personale apertura alla prole o come ulteriore
indizio di una netta, e magari pre-nuziale, chiusura verso la generazione dei figli.
Sarà quindi necessario ricostruire ciò che i nubendi abbiano
inteso, considerato, voluto o rifiutato, tenendo ben presente che non
si tratta semplicemente di dedurre la nullità dall’immoralità delle
tecniche eterologhe. Allo stesso modo, si dovrà prendere in considerazione con attenzione quanto la diversità dell’invasività della tecnica
abbia influito sulla personale decisione e volontà dell’uomo o della
donna di quella specifica coppia in quella situazione: ogni valutazione
generica si presta al limite di non permettere di ricostruire quale sia
stata l’effettiva e positiva volontà dei nubendi.
26
Cf I. ZUANAZZI, Valori fondamentali del matrimonio…, cit., pp. 206-207.
claudia Ambroggi - [email protected]
172
Alessandro Giraudo
La volontà in riferimento al bonum fidei
Lo stesso ragionamento vale per i casi in cui l’accesso o la programmazione della fecondazione eterologa possa essere indice di una
volontà escludente il bonum fidei.
Già Navarrete indicava come l’immoralità della fecondazione
eterologa, in quanto atto che ferisce l’unità del matrimonio, richiedesse una considerazione diversa nell’ambito giuridico sotto questa
specifica dimensione rispetto alle considerazioni morali27.
La posizione maggioritaria degli autori, invece, ritiene che la
volontà positiva e pre-nuziale di accedere alla fecondazione eterologa
sia una modalità di esclusione del bonum fidei perché violazione dell’unicità della relazione coniugale e quindi della fedeltà 28.
Anche in questo caso riteniamo che non sia inutile ricordare come tale positiva volontà di accedere alla fecondazione eterologa debba
essere appurata ricostruendo in modo approfondito la consapevolezza
e le considerazioni che in epoca pre-nuziale la coppia, o il singolo che
si sia riservato il diritto di accedere a tale tecnica moralmente illecita,
abbia avuto e messo in atto in vista della scelta matrimoniale.
Allo stesso modo, la scelta di aver donato i propri gameti, sia da
parte dell’uomo che della donna, per consentire ad altri di accedere
alla fecondazione eterologa è una circostanza che va valutata con molta attenzione, in quanto potrebbe essere stata fatta a prescindere dal
preciso progetto coniugale ora accusato di nullità e non sia per nulla
indizio di una radicata e positiva volontà simulatoria, salvo applicare
automatismi che sono contrari all’antropologia cristiana e alla ricerca
della verità. Viceversa, la scelta di donare i propri gameti durante la
vita matrimoniale è un fatto da circostanziare con cura, sia nei tempi,
sia nelle modalità con cui si è sviluppato e nelle ragioni che lo hanno
sostenuto, così da non attribuire un valore “retroattivo” ad una volontà
che può avere preso forma nel corso della vita coniugale e da motivazioni che nulla hanno a che vedere con il significato che il coniuge
abbia dato e dia al valore e all’impegno della fedeltà.
27
28
Cf U. NAVARRETE , Novae methodi…, cit., pp. 102-103.
Cf F. CATOZZELLA , L’esclusione del bonum fidei…, cit., pp. 277-278.
claudia Ambroggi - [email protected]
Fecondazione assistita eterologa e matrimonio canonico
173
La volontà in riferimento al bonum coniugum
Ancora più complessa è la valutazione dell’eventuale esclusione
del bonum coniugum da parte di chi positivamente si riservi di procreare esclusivamente attraverso la fecondazione eterologa, o preveda
di utilizzare tale tecnica nel caso di impossibilità a generare in modo
naturale o con una fecondazione omologa il figlio desiderato.
Se si può condividere il ragionamento di chi individua nella fecondazione eterologa una frattura di quella comunione di vita che è
ordinata proprio al bonum coniugum e di come tale ordinazione sia
strettamente connessa con il bonum prolis29, nel caso concreto bisognerà valutare con grande attenzione come effettivamente l’assunzione di una volontà aperta, o esclusiva, verso la fecondazione eterologa
abbia posto in gioco una qualche strumentalizzazione del coniuge, e
dove, invece, si rischi di attribuire ai coniugi nella loro concreta vicenda una concezione e dei principi del tutto estranei al loro sentire
e al loro volere.
Se la coscienza dei due, infatti, ritenne come cosa buona l’accesso alla fecondazione artificiale eterologa perché considerata esclusivamente come strumento che rende possibile il raggiungimento di
quella realizzazione personale e di coppia che si sente non compiuta
in mancanza di un figlio, come si potrà attribuire loro una positiva
volontà di usare del bene cercato e voluto per abusare dell’altro in
vista del conseguimento di un proprio bene contrario al bonum coniugum? Non si vuole con questo attribuire valore moralmente lecito
e buono alla fecondazione eterologa, ma neppure applicare una sorta
di presunzione di positiva esclusione del bonum coniugum a chi abbia
accostato e valutato a partire da altri principi etici, o prescindendo da
essi, l’accesso a tale tecnica di fecondazione assistita. Sarà, quindi, necessario scandagliare con attenzione, e circostanziare, le motivazioni
di quel desiderio inappagato di maternità e/o paternità, per riconoscere l’effettiva o implicita volontà di chi abbia posto come riserva, o
solo come possibilità, l’accesso alla fecondazione eterologa, mentre è
da considerarsi in modo diverso l’accesso effettivo o la presa in considerazione di tale tecnica solo dopo le nozze e in conseguenza della
successiva scoperta di un’inattesa incapacità generativa.
29
Cf ibid., p. 277.
claudia Ambroggi - [email protected]
174
Alessandro Giraudo
Alcune considerazioni circa la prova della volontà escludente
In tutte queste fattispecie nel processo di dichiarazione di nullità,
accanto alla valutazione delle confessiones giudiziali o extra-giudiziali
dei coniugi, ci si potrà imbattere facilmente nella mancanza di una
qualche confessio raccolta da terzi, posta la complessità dei temi e la
delicatezza degli argomenti. Non sarà quindi facile ricostruire l’effettiva volontà pre-nuziale e le motivazioni che la determinarono senza
un’attenta ponderazione dei fatti e delle circostanze che possono evidenziare non solo la credibilità, ma il legame tra la volontà espressa,
soprattutto in sede giudiziale, e le scelte concrete della coppia.
Nella valutazione della prova indiretta molto peso sarà da attribuire, come sempre, alla consistenza delle causae simulandi, da
scandagliare anche nella loro ambiguità, perché potranno apparire
assolutamente deboli nel momento in cui rivelassero una convinta
apertura e un radicato desiderio di maternità e/o paternità tale da
voler abbracciare anche una tecnica così lontana da ciò che è l’essenza
dell’ordinazione del matrimonio al bonum coniugum e all’apertura al
bene della prole, e carica di una radice di infedeltà che può restare in
gran parte dei soggetti del tutto sottintesa o sottovalutata.
Le circostanze richiederanno ugualmente adeguati riscontri sia
nella documentazione clinica, ove si siano realizzati uno o più tentativi
di cura della sterilità e di accesso a tecniche di fecondazione assistita,
sia nei tempi e nei modi con cui le parti sono giunte alla consapevolezza dell’impossibilità di generare un figlio senza il ricorso alle tecniche
eterologhe, e quindi possono effettivamente aver valutato in modo
riflesso e positivo tale scelta e possono aver quanto meno previsto
non solo in modo astratto la possibilità, ma addirittura aver posto una
positiva riserva nell’utilizzo esclusivo di tale modalità di fecondazione.
Su questi temi eticamente complessi, la lontananza, anche solo
per indifferenza, dalla pratica della vita ecclesiale o dalla fede, può
diventare il terreno su cui poggiare e sviluppare valutazioni morali
molto lontane dagli insegnamenti del Magistero, il più delle volte
ignorati o, se conosciuti, ritenuti inadeguati allo sviluppo moderno e
alle possibilità offerte dalla scienza e dalla tecnica. Resta pur sempre
vero che tali valutazioni dovranno entrare nel consenso matrimoniale
in modo positivo, e quindi sarà da considerare ciò che i coniugi avranno voluto per la loro unione e per quali ragioni, anche solo affettive o
di sentire condiviso, siano giunti non solo ad una generica conside-
claudia Ambroggi - [email protected]
Fecondazione assistita eterologa e matrimonio canonico
175
razione sulla bontà dell’accesso alla fecondazione eterologa, ma alla
volontà di ritenerlo buono per loro e per il loro matrimonio.
Fecondazione assistita eterologa ed errore doloso
Già Navarrete elencava alcune qualità dell’uomo o della donna
che possono turbare gravemente la vita coniugale, secondo il dettato
del can. 1098, e che hanno riferimento diretto, o indiretto, proprio con
la fecondazione eterologa:
«– Vir qui semen dedit alicui “deposito seminis”, nec postea illud retraxit,
quamvis nondum adhibitum sit;
– a fortiori si semen iam adhibitum sit, cum probabiliter vir hac via pluries
pater devenit;
– vir qui directe semen dedit ad aliquam mulierem foecundandam, præsertim si praegnans effecta est;
– vir qui semen dedit ad foecundandum ovulum in vase vitreo, praesertim si
ovulum reapse foecundatum est;
– a fortiori, si embryones “surperflui” ex processu foecundationis in vase
vitreo, congelati conservantur;
– mulier quae foecundata est ex semine deprompto ex “deposito seminis” vel
ex semine directe “dato”;
– mulier quae ovulum dedit ut extra eius corpus quocumque modo
foecundaretur»30.
Si tratta ovviamente di qualità che devono essere taciute in modo doloso con lo scopo di contrarre matrimonio inducendo in errore
il futuro consorte, perché, se conosciute già prima delle nozze, pur
potendo gravemente perturbare la vita coniugale, sono state in qualche modo valutate e accolte dall’altro e non possono essere oggetto
dell’errore doloso.
Riguardo invece alla sterilità, Navarrete riteneva che solo nella
sua accezione giuridico-canonica essa possa costituire una qualità
della persona che sia oggetto dell’errore doloso invalidante il consenso matrimoniale, per cui
«errori doloso nullum momentum invalidans agnoscitur, si error versetur
circa sterilitatem sensu illo medico, biologico, genetico sumptam, nimirum
si generatio obtineri potest quibuscumque adhibiti mediis, etiam moraliter
illicitis, vitae periculosis vel extraordinariis»31.
30
31
U. NAVARRETE , Novae methodi…, cit., pp. 94-95.
Ibid., p. 94.
claudia Ambroggi - [email protected]
176
Alessandro Giraudo
Riteniamo, però, che proprio le riflessioni evidenziate in precedenza riguardo alla fecondazione eterologa e al suo rapporto con le
proprietà essenziali e l’ordinazione naturale del matrimonio, diano
ragione sufficiente per ritenere che l’errore doloso, indotto a scopo
di matrimonio come previsto dal can. 1098, da parte di chi sia a conoscenza della propria sterilità a cui con certezza non sia possibile
porre rimedio se non con l’utilizzo di gameti da parte di una figura
esterna alla coppia, possa riguardare una qualità che per sua natura
sia tale da turbare gravemente la vita coniugale, e sia perciò in grado
di invalidare il consenso nuziale.
Fecondazione assistita eterologa ed impedimenti
matrimoniali
Come già Navarrete enunciava e argomentava in modo chiaro ed
esaustivo in riferimento a tutte le tecniche di fecondazione assistita 32,
la fecondazione eterologa non può intendersi una modalità di consumazione per chi sia incapace a porre l’atto sessuale, per cui in alcun
modo può essere considerata una modalità di superamento dell’impotentia coeundi del can. 1084, quand’anche possa essere utilizzata
dalla coppia per generare un figlio che non si potrebbe altrimenti
concepire.
Riguardo, invece, all’impedimento di consanguineità del can.
1091 § 1, ci sembra evidente che, se il criterio della consanguineità
non sia da ricercarsi nella gestazione o nella paternità sociale, ma
bensì sia da rintracciarsi nel patrimonio genetico33, l’utilizzo dei gameti di uno o addirittura di due soggetti esterni alla coppia di sposi
uniti con un matrimonio canonico che socialmente si assumeranno
il compito della paternità e maternità del figlio generato tramite una
fecondazione eterologa pone gravi problemi, sia per quanto riguarda
la definizione dell’impedimento in ambito canonico, sia soprattutto
per la prova dell’eventuale consanguineità genetica posto che ordinariamente le disposizioni civili in materia impongono l’anonimato
assoluto per il donatore.
È bene ricordare che nel caso di una fecondazione eterologa ci
sia consanguineità, e il conseguente impedimento matrimoniale, tra
il figlio e coloro da cui questi abbia ricevuto il patrimonio genetico,
32
33
Cf ibid., cit., pp. 83-86.
Cf ibid., cit., pp. 91-92.
claudia Ambroggi - [email protected]
Fecondazione assistita eterologa e matrimonio canonico
177
mentre non c’è consanguineità con il genitore o i genitori che non
abbiano potuto offrire i propri gameti in vista della generazione. Quindi, nel caso in cui si sia ricorso ai gameti di un solo soggetto terzo
rispetto ai due coniugi, il figlio così concepito sarebbe consanguineo
con i donatori, ma sarebbe affine a norma del can. 109 con l’altro genitore non donatore della coppia, nei cui confronti sarebbe vincolato
dall’impedimento matrimoniale del can. 1092. Viceversa, nel caso che
i gameti provengano da due donatori esterni alla coppia, la consanguineità sorgerebbe solo con chi ha fornito il patrimonio genetico e
non ci sarebbe alcun impedimento matrimoniale tra quel figlio e i suoi
genitori “sociali”, non essendo configurabile neppure l’impedimento
di parentela legale del can. 1094.
Richiamando, quindi, quanto già in passato è stato oggetto di
ampia riflessione34, pensiamo che possa essere utile che la Suprema
autorità, a norma del can. 1075, articoli un nuovo impedimento matrimoniale che, in modo analogo all’impedimento di consanguineità per
i rapporti “genetici” che vengono a stabilirsi con i donatori di gameti
esterni alla coppia, sia riferito nei confronti dei genitori sociali uniti
in matrimonio canonico, con i quali si crea quel legame di “parentela”
frutto della scelta di cercare quel figlio, dell’assunzione della responsabilità di generarlo e del susseguente impegno alla sua crescita ed
educazione, anche se concepito con tecniche che, seppur immorali,
furono ritenute dagli sposi stessi come indispensabili e buone: si tratterebbe di una sorta di “consanguineità legale”.
Ugualmente da considerare sarebbe la consanguineità genetica
nella linea collaterale, cioè quella che lega tutti coloro che sono stati
generati a partire dai gameti di un unico soggetto donatore, e la
consanguineità “legale” nella linea collaterale, dove nuovamente può
venire a mancare qualsiasi legame genetico ma resta un significativo
legame “familiare” o parentale, indubbiamente di natura diversa, con
i consanguinei dei genitori “sociali”.
Resta evidentemente il problema di come appurare la presenza
di una consanguineità genetica o di quella “legale” sia nella fase di
preparazione al matrimonio, dove il parroco deve poter avere elementi per escludere la presenza di impedimenti dirimenti alla valida
celebrazione delle nozze, sia in fase di un eventuale processo, in cui
si debba accertare la nullità o per l’inabilità matrimoniale per diritto
naturale di chi sia soggetto di consanguineità solo genetica con un
34
Cf P. M ALCANGI, Tecniche di fecondazione…, cit., pp. 428-432.
claudia Ambroggi - [email protected]
178
Alessandro Giraudo
figlio mai conosciuto avendo soltanto donato i propri gameti o con un
fratello nato in un contesto assolutamente ignoto, o per l’eventuale
inabilità matrimoniale per diritto positivo per il genitore “sociale”
rispetto al figlio generato non con il proprio contributo genetico, o
per altri familiari a cui quel figlio sia legato dalle normali relazioni di
una familiarità sociale.
Proprio la diffusione delle tecniche eterologhe, e la possibilità
di accedervi anche con le agevolazioni che alcune legislazioni hanno
ormai consentito, potrebbero essere ragioni sufficienti per motivare
l’attenta valutazione e riformulazione dell’impedimento di consanguineità nelle due fattispecie, di diritto naturale per quanto attiene
il legame genetico e di diritto positivo per quanto riguarda il ruolo
sociale di genitore in un matrimonio valido, pur non mancando aspetti
problematici sul fatto che in questo modo si possa configurare una giustificazione indiretta di una modalità immorale di generare un figlio.
Fecondazione assistita eterologa e filiazione legittima
Alcuni autori hanno, infine, messo in luce come la fecondazione
eterologa ponga molti problemi anche riguardo all’istituto della filiazione legittima, in quanto quel figlio, essendo generato con il patrimonio genetico di almeno un soggetto terzo alla coppia, e quindi non
legato dal vincolo coniugale, è di fatto sempre illegittimo dal punto di
vista delle disposizioni canoniche35.
Posto che nell’ordinamento canonico non sono previste conseguenze, almeno a livello di diritto universale, in base all’essere figlio
legittimo o illegittimo, la questione della filiazione legittima può
essere intesa nella dimensione di riconoscere e tutelare la necessità
per ogni figlio di una famiglia e di quelle relazioni indispensabili alla
sua crescita ed educazione integrale. Ci sembra, quindi, di poter condividere la necessità di una sorta di favor filiationis che consenta il
riconoscimento di una legittimità che sorge anche solo dall’assunzione dell’impegno genitoriale da parte di chi è socialmente riconosciuto
come tale anche se non legato geneticamente al figlio, in analogia
con quanto avviene nel caso dell’adozione36. Ancora una volta, non si
tratta di un’indiretta giustificazione giuridica di un atto moralmente
Cf U. NAVARRETE , Novae methodi…, cit., pp. 103-106; F. CATOZZELLA , L’esclusione del bonum fidei…,
cit., p. 267; I. ZUANAZZI, La filiazione nel diritto canonico…, cit., pp. 138-147.
36
Cf I. ZUANAZZI, La filiazione nel diritto canonico…, cit., pp. 144-146.
35
claudia Ambroggi - [email protected]
Fecondazione assistita eterologa e matrimonio canonico
179
illecito come la fecondazione eterologa, ma la necessità che anche
nell’ordinamento canonico si riconoscano e abbiano tutela i doveri e
i diritti che sono espressione della ricchezza di valori propri del rapporto genitori – figli, che, seppur attraverso questo tipo di tecnica, la
coppia di sposi unita con un matrimonio canonico ha voluto assumersi
portando a compimento il desiderio di generare un figlio.
Conclusioni
Il taglio dell’articolo, che muoveva dalla valutazione etica della
fecondazione eterologa, ci ha permesso di accostare e richiamare
in sintesi alcuni temi che già in diverso modo la dottrina canonica e
morale hanno delineato, ricordando come il mutato contesto sociale
del nostro mondo occidentale richieda una maggiore attenzione al
fenomeno ed una adeguata riflessione.
Le questioni affrontate inevitabilmente invitano ad una rinnovata attenzione dei casi che si possono incontrare nella pastorale familiare, nell’accompagnamento delle coppie alla scelta matrimoniale,
nella formazione degli operatori pastorali, perché cresca l’educazione
ai principi morali che giustificano la valutazione della fecondazione
eterologa come atto gravemente disordinato e contrario ai beni essenziali e all’ordinamento stesso del matrimonio.
Ugualmente, nella valutazione giudiziale dei casi in cui si giunga
ad accusare la nullità del consenso a partire dall’accesso a tecniche
di fecondazione eterologa, la riflessione ci invita a porre maggiore
attenzione ai fatti di quella vicenda, per confrontarsi in modo corretto
con la decisione della coppia di riservarsi un diritto, programmare
o semplicemente accedere all’utilizzo di questa specifica tecnica di
fecondazione assistita.
Molto più vasti e complessi sono invece i problemi che pongono
i casi di inabilità matrimoniale conseguente ad un legame di consanguineità genetica o la valutazione di un’eventuale “consanguineità
legale”, posto che l’accesso alla fecondazione eterologa stia già diventando nel nostro mondo occidentale un fatto considerato normale o
addirittura un diritto da esigere, con il conseguente moltiplicarsi di
situazioni che per ora restano solo complicati casi di studio.
A LESSANDRO GIRAUDO
Via Porta Palatina 7
10122 Torino
claudia Ambroggi - [email protected]
Maternità surrogata:
profili canonistici matrimoniali
Quaderni
di diritto ecclesiale
28 (2015) 180-190
di Adolfo Zambon
Lo sviluppo della bioetica e delle conoscenze relative all’inizio
e alla fine della vita che stanno caratterizzando questi anni, pone la
riflessione etica e giuridica di fronte a fatti sempre nuovi, con i quali
confrontarsi per saper fornire una risposta adeguata e pertinente,
rispettosa dei principi dell’antropologia cristiana. Uno di questi ambiti
è fornito dalla maternità surrogata, che presenta alcune peculiarità
rispetto alla fecondazione artificiale (sia omologa che eterologa) e che
quindi interpella il giurista per la sua peculiarità.
La terminologia
Con il termine maternità surrogata si intende una situazione
specifica in cui, indipendentemente da chi fornisce il materiale genetico, la gestazione viene portata avanti da una donna diversa rispetto
a colei che fungerà da madre sociale1. In particolare,
«la maternità surrogata consiste nella possibilità che una donna offra (gratuitamente) o affitti (con remunerazione) il proprio utero per la gestazione
di uno o più embrioni: è la madre surrogata (detta anche aggiuntiva, per
contratto diretto o intermediazione, per delega, affitto, commissione, prestito o locazione d’utero). Va distinto il caso della madre “portante” (solo
gestazionale) o la madre “sostitutiva” (che dona il gamete, in genere fecondato con il seme del marito della coppia committente, e porta in gestazione
l’embrione)»2.
Abbiamo anche altre terminologie usate per fare riferimento al
fenomeno della maternità surrogata. Per la madre portante, ossia che
Cf D. M ILANI, L’inizio della vita nel diritto canonico, in D. ATIGHETCHI - D. M ILANI - A.M. R ABELLO,
Intorno alla vita che nasce. Diritto ebraico, canonico e islamico a confronto, Torino 2013, p. 160.
2
F. D’AGOSTINO - L. PALAZZANI, Bioetica. Nozioni fondamentali, Brescia 2007, p. 89.
1
claudia Ambroggi - [email protected]
Maternità surrogata: profili canonistici matrimoniali
181
accoglie un bambino concepito da altri, con l’impegno di consegnarlo
a una coppia determinata a nascita avvenuta, si usa anche il termine di madre surrogata gestazionale, oppure di madre gestazionale,
portatrice, in affitto o prestito. Per la madre sostitutiva che, invece,
attraverso la fecondazione dei suoi ovociti ha concepito un embrione,
lo porta in grembo e dopo la nascita lo consegna a una coppia con la
quale è stato stretto un accordo previo, si parla anche di madre su
commissione3. Altri termini usati sono «madre portante» e «madre
surrogata»4, «madre in affitto» e «affitto del ventre»5, «maternità
di sostituzione»6 oppure ancora fecondazione extracorporea «con
prestito momentaneo di utero» o «con prestito momentaneo di utero e
donazione di ovocita»7.
A partire da tale descrizione, si comprende come siano possibili
diverse fattispecie, accomunate da una «frammentazione della figura
materna in una serie di figure femminili fra loro indipendenti e tutte,
a diverso titolo, “materne”»8. Così, la madre genetica può essere distinta dalla madre gestazionale e dalla madre sociale (che poi terrà
il bambino); oppure la madre genetica e gestazionale può coincidere,
distinguendosi dalla madre sociale; la madre genetica e sociale può
coincidere, distinguendosi tuttavia dalla madre gestazionale; la madre gestante può essere estranea alla coppia committente o essere
parente, amica o conoscente di uno dei due genitori sociali9. Potremmo anche giungere a una fattispecie in cui abbiamo una triplice figura
materna (genetica, gestazionale e sociale), accanto a una duplice
figura paterna (genetica e sociale). Questo comporta evidentemente
una riflessione (e indicazioni legislative) su chi debba intendersi come genitore10.
M.P. FAGGIONI, Maternità surrogata. Un nuovo impedimento?, in «Periodica de re canonica» 102
(2013) 280-281.
4
M.L. DI P IETRO, La fecondazione artificiale: aspetti scientifici, in Progresso biomedico e diritto matrimoniale canonico, a cura di C. Zaggia, Conselve (PD) 1992, p. 19.
5
A. T R ABUCCHI, Nuove metodiche di intervento sulla vita umana: aspetti civilistici, in Progresso biomedico e diritto matrimoniale canonico, cit., p. 194.
6
Cf H. FR ANCESCHI, Il contenuto del bonum prolis e del bonum fidei alla luce del fenomeno della procreazione artificiale, in «Ius Ecclesiae» 10 (1998) 242.
7
P. M ALCANGI, Tecniche di fecondazione artificiale e diritto matrimoniale canonico, in QDE 11 (1998)
410-411.
8
M.P. FAGGIONI, Maternità surrogata…, cit., p. 279.
9
Cf F. D’AGOSTINO - L. PALAZZANI, Bioetica…, cit., p. 89, nota 26.
10
Un autore prospetta anche la possibilità di tre figure paterne e quattro figure materne, considerando
non solo l’aspetto genetico e sociale, ma anche quello giuridico: «Dopo la rivoluzionaria scoperta del
DNA e delle tecniche di riproduzione medicalmente assistita, i concetti tradizionalmente unitari di
maternità e paternità hanno subìto una scomposizione: si può avere una madre o un padre giuridici,
nella misura in cui tra lei o lui e il figlio sia sorto un iuris vinculum nei termini su descritti, biologici,
3
claudia Ambroggi - [email protected]
182
Adolfo Zambon
L’elemento comune che contraddistingue le diverse fattispecie è
dato dalla presenza di una donna che porta in gestazione, come madre
portante o come madre sostitutiva, un embrione per conto di terzi.
Ci soffermeremo quindi soprattutto su tale aspetto, con specifico
riferimento al matrimonio, senza addentrarci negli elementi implicati
in un eventuale ricorso alla fecondazione omologa o eterologa, già
oggetto di uno specifico contributo in questo numero della rivista. In
tale prospettiva, non si prende in considerazione la ectogenesi, ossia
la «possibilità di costruire un utero artificiale che ospiti la gestazione
extracorporea dell’embrione», vuoi in modo parziale vuoi in modo
totale11.
La maternità surrogata e l’oggetto del consenso: possibili
esclusioni di realtà essenziali del consenso
L’istruzione della Congregazione per la dottrina della fede, del
22 febbraio 1987, Donum vitae, affronta il tema della maternità sostitutiva, affermandone chiaramente l’illiceità anche in relazione al matrimonio. Nello specifico, infatti, afferma che essa non è moralmente
lecita
«per le medesime ragioni che portano a rifiutare la fecondazione artificiale
eterologa: è contraria, infatti, all’unità del matrimonio e alla dignità della
procreazione della persona umana. La maternità sostitutiva rappresenta una
mancanza oggettiva di fronte agli obblighi dell’amore materno, della fedeltà
coniugale e della maternità responsabile; offende la dignità e il diritto del
figlio ad essere concepito, portato in grembo, messo al mondo ed educato dai
propri genitori; essa instaura, a detrimento delle famiglie, una divisione fra
gli elementi fisici, psichici e morali che le costituiscono» (II, A, 3).
Passando al piano giuridico, il principio fondamentale di cui
tener conto nel valutare l’influsso dell’intenzione di ricorrere alla
qualora sia stata lei a partorire il figlio ovvero sia stato lui a fecondare la madre a seguito di un rapporto sessuale, genetici, qualora sia stato l’ovulo di lei ad essere fecondato o il seme di lui a fecondare,
sociali, qualora lei o lui abbia o eserciti di fatto la potestà genitoria sul figlio. È possibile che tutti i
requisiti si trovino riuniti in una stessa persona, così come è possibile che un figlio abbia tre padri –
visto che un padre biologico è necessariamente anche un padre genetico, mentre è escluso il reciproco
per il caso di inseminazione artificiale –, oppure abbia quattro madri – visto che la pratica dell’affitto
d’utero e l’inseminazione eterologa rendono possibile che ci sia una madre biologica e una diversa madre genetica –» (A. DIURNI, Storia e attualità della filiazione in Europa, in «Il diritto di famiglia e delle
persone» 36 [2007], fasc. 3, pag. 1403). L’articolo nel suo complesso offre una sintetica presentazione
dell’evoluzione del diritto civile in materia di filiazione e i tentativi posti dalla legislazione civile per
favorire la chiarezza in tale ambito (cf ibid., pp. 1397-1431).
11
F. D’AGOSTINO - L. PALAZZANI, Bioetica…, cit., p. 89.
claudia Ambroggi - [email protected]
Maternità surrogata: profili canonistici matrimoniali
183
maternità surrogata nel proprio concreto matrimonio è riconosciuto
in dottrina
«come contenuto nel fatto che la traditio-acceptatio propria del patto coniugale comporta non soltanto il diritto-obbligo agli atti coniugali, ma racchiude
altresì il diritto-obbligo di non procreare se non dal seme del coniuge, ad anzi
soltanto attraverso la copula compiuta in modo naturale, anche se coadiuvata
da mezzi moralmente leciti, non pericolosi né straordinari, atti a rendere più
facile la fecondazione»12.
Questo va riferito non solo alle situazioni in cui si intenda ricorrere alla fecondazione omologa o eterologa, ma anche qualora si
intenda avere
«il diritto di usare il seme del marito, se la moglie è sterile, per fecondare
un’altra donna, così tuttavia che i figli siano ritenuti giuridicamente come
propri di entrambi i coniugi, sia che ciò avvenga gratuitamente sia pagando
una somma alla madre per i servigi prestati; [...] il diritto di prendere in
prestito l’utero di altra donna per fare gestare in esso i figli dei coniugi»13.
Nello specifico, diversi possono essere i profili da prendere in
esame qualora una persona intenda ricorrere alla maternità sostitutiva al momento dello scambio del consenso, anche se non sempre e
immediatamente sembra identificabile in modo univoco la proprietà
o elemento essenziale che viene escluso. In questo ha rilevanza, infatti, la volontà del nubente, che intende fare ricorso alla maternità
surrogata a partire dalle proprie finalità o intenzioni oppure con una
volontà viziata. È superfluo inoltre ricordare che l’intenzione di ricorrere alla sola maternità surrogata per avere un figlio deve essere
presente al momento del consenso e non successivamente, una volta
scoperta l’impossibilità di avere figli oppure sorga un rifiuto a vivere
la gravidanza.
In ogni caso, emerge come
«contraggono […] invalidamente coloro che si riservano, con un atto positivo di volontà, che può avere la forma di condizione, di condizione pattuita o
M.F. POMPEDDA , Nuove tecniche di intervento sulla vita umana e diritto matrimoniale canonico,
in Progresso biomedico e diritto matrimoniale canonico, cit., p. 157. «È indubbio che canonicamente
possono essere accettati soltanto quei metodi di fecondazione artificiale, e quindi conseguire significato e importanza giuridica, i quali: a) siano in sé o nei mezzi moralmente leciti; b) non comportino
pericolo di vita (e neppure grave pericolo per la salute); c) non costituiscano un mezzo straordinario»
(ibid., p. 163).
13
Ibid., p. 157. Cf U. NAVARRETE , Novae methodi technicae procreationis humanae et ius canonicum
matrimoniale, in «Periodica de re morali, canonica, liturgica» 77 (1988) 97.
12
claudia Ambroggi - [email protected]
184
Adolfo Zambon
riserva mente retenta, il diritto di procreare ricorrendo al seme di una terza
persona o all’utero di una donna diversa dalla madre genetica del nascituro. Così facendo, infatti, i nubenti escludono una proprietà essenziale del
matrimonio e introducono un elemento contrario alla sua sostanza e natura
(in particolare contrario al bonum coniugum e al bonum prolis). Essi non
possono determinare arbitrariamente l’oggetto del patto coniugale istituito
dal Creatore sin dal principio, alla cui realizzazione e perfezionamento, con
lo scambio del consenso, impegneranno irrevocabilmente tutta la loro vita»14.
Nell’individuazione della proprietà o elemento essenziale escluso con l’intenzione di ricorrere alla maternità surrogata, è condivisa
la previsione della fattispecie dell’esclusione della prole15.
Circa l’esclusione della fedeltà, con riferimento alla fecondazione
artificiale eterologa, alcuni autori ritengono che non sia presente16,
altri invece la vedono possibile17. Infatti, in tal caso, «oltre la scissione
della intima unità tra atto matrimoniale e fecondità, tra fine unitivo
e fine procreativo, c’è una radicale violazione dell’esclusività della
donazione matrimoniale che, se già al momento della celebrazione
del matrimonio formava parte del progetto matrimoniale soggettivo,
intacca radicalmente lo stesso consenso»18. In ogni caso, sembra sia
rilevante considerare gli aspetti psicologici e fisici implicati in una
madre portante, che comportano un coinvolgimento interpersonale
significativo, e portano a ritenere venga escluso anche il bene della
fedeltà. A maggior ragione, questo va preso in considerazione qualora
si faccia riferimento non solo a una madre portante, ma anche a una
madre sostitutiva.
Non sembrano neppure potersi escludere motivi legati all’esclusione del bonum coniugum, qualora la volontà sia diretta non a creare
una comunione di vita, bensì all’avere un figlio ad ogni costo, senza
curarsi delle conseguenze possibili nell’altro coniuge.
Una possibile esclusione del bonum coniugum, oppure una simulazione totale, potrebbe configurarsi qualora una persona intenda
unirsi in matrimonio per costringere la propria futura moglie a una
prassi di surrogazione di maternità, magari in vista di un possibile
compenso.
P. M ALCANGI, Tecniche di fecondazione artificiale…, cit., p. 416.
Cf U. NAVARRETE , Novae methodi technicae…, cit., p. 103.
Cf Ibid., pp. 102-103; P. M ALCANGI, Tecniche di fecondazione artificiale…, cit., p. 419.
17
Cf H. FR ANCESCHI, Il contenuto del bonum prolis…, cit., pp. 250-252; P. MONETA , Procreazione artificiale e diritto matrimoniale canonico, in I D., Communitas vitae et amoris, Pisa 2013, pp. 167-168.
18
H. FR ANCESCHI, Il contenuto del bonum prolis…, cit., p. 252.
14
15
16
claudia Ambroggi - [email protected]
Maternità surrogata: profili canonistici matrimoniali
185
Possiamo infine avere delle situazioni specifiche in cui la donna
è già stata madre portante o sostitutiva, aspetti questi taciuti con dolo
(can. 1098) all’altra parte. Si sarebbe in presenza di una qualità che
può perturbare gravemente la comunità di vita coniugale in alcune
situazioni, quali:
«– la donna che ha prestato l’utero per la gestazione di un figlio di altri, sia
gratuitamente sia dietro compenso […]
– la donna che ha prestato l’utero in tal senso, che dal proprio ovulo e dal
seme “donato” (senza copula) genera un figlio col patto di non ritenerlo come
proprio, ma di cedere tutti i propri diritti agli altri, e generalmente al padre
del nascituro e alla di lui moglie;
– la donna che ha dato il proprio ovulo, fecondato “in vitro” ad altri per la
gestazione, sia gratuitamente, sia dietro compenso»19.
Si tratta evidentemente di qualità che per sua natura può perturbare gravemente la vita coniugale, per cui, verificata l’esistenza degli
altri elementi richiesti per il dolo (can. 1098), il matrimonio è nullo20.
Infine, senza ricorrere a letture deterministiche, la frantumazione delle figure materne – che avviene nel ricorso alla maternità
surrogata – potrebbe comportare delle conseguenze sul nascituro,
«che vivrebbe l’abbandono della madre gestazionale e si troverebbe in
una situazione confusa con più figure di riferimento nel suo processo
di identificazione»21. Pur non essendo «possibile oggi prevedere quali
possano essere le conseguenze future sul bambino che nascerà»,
anche per mancanza di studi psicologici sull’argomento sufficientemente motivati, emerge sempre «la possibilità che tale situazione
possa turbare il processo delicato di identificazione antropologica,
psicologica ed esistenziale del bambino»22, con conseguente possibile
influsso nello sviluppo della personalità della persona nata da madre
surrogata, e con eventuali conseguenze in ordine alla capacità di
emettere un valido consenso.
In altre parole, potrebbe esserci una «alterazione dei rapporti
parentali-filiali», che «può essere di ostacolo al bambino sia nell’individuare la propria identità biologica e giuridica sia nella maturazione
psicologica», dovendosi distinguere tra genitori genetici e genitori so19
M.F. POMPEDDA , Nuove tecniche di intervento…, cit., p. 169. Cf U. NAVARRETE , Novae methodi technicae…, cit., p. 95.
20
Cf ibid., pp. 95-96.
21
F. D’AGOSTINO - L. PALAZZANI, Bioetica…, cit., p. 90. Gli autori presentano anche le conseguenze della
frantumazione della figura materna sia sulla madre surrogata che sulla madre sociale.
22
L. cit.
claudia Ambroggi - [email protected]
186
Adolfo Zambon
ciali o giuridici23, senza considerare «le connessioni vitali intrauterine
da un’altra persona (la madre in affitto)»24.
Un nuovo impedimento ex gestatione?
Il diritto matrimoniale attuale non prevede un impedimento specifico al matrimonio tra la madre portante e i figli che le sono nati o tra
i figli che hanno in comune la stessa madre portante. In tali casi non
sussiste, infatti, l’impedimento di consanguineità. Questo si fonda
sulla comune origine: genitori sono quelle persone dalle quali provengono i gameti dalla cui unione sorge una nuova vita. Infatti, «nella
Tradizione occidentale, l’elemento essenziale della consanguineitas
era ritenuto, come dice la parola stessa, la comunanza di sangue»25.
Posto che il fondamento della consanguineità consiste nella comune
origine genetica, tale impedimento non risulta riferibile alla maternità sostitutiva, salvo il caso della madre sostitutiva, in cui la madre
gestante sia anche la madre genetica 26, in quanto viene a mancare la
comune origine genetica 27. In modo positivo, infatti,
«per stabilire la relatio di consanguineità non è rilevante stabilire se il nuovo
essere è stato procreato in modo naturale o artificiale, se attraverso una
unione sessuale o senza di essa, se la gestazione è avvenuta in modo normale o no, ma è necessario stabilire la provenienza dei gameti che hanno dato
origine al nuovo essere umano. Dobbiamo chiederci, insomma, chi sono le
persone che, attraverso i loro gameti, hanno dato origine a quella creatura»28.
È stata anche proposta una comparazione tra maternità surrogata e adozione. Infatti, anche nella situazione in cui un minore viene
23
E. S GRECCIA , La fecondazione artificiale di fronte all’etica: la prospettiva personalistica, in Progresso
biomedico e diritto matrimoniale canonico, cit., p. 64.
24
Ibid., p. 65.
25
M.P. FAGGIONI, Maternità surrogata…, cit., p. 284. Sull’impedimento di consanguineità, per un
primo approfondimento, si veda: K. BOCCAFOLA , Gli impedimenti relativi ai vincoli etico-giuridici tra
le persone: affinitas, consanguinitas, publica honestas, cognatio legalis (cann. 1091 - 1094), in Diritto
matrimoniale canonico, a cura di A. Bonnet - C. Gullo, I, Città del Vaticano 2002, pp. 555-568.
26
«Non ci sono dubbi sulla consanguineità – a nostro avviso – […] nel caso della madre surrogata su
commissione che ha fatto un figlio, su commissione di un’altra donna, attraverso l’uso del seme del
marito di questa. Questa madre surrogata è, a tutti gli effetti, la madre naturale del neonato e soddisfa,
fra l’altro, la condizione dell’averlo anche partorito secondo l’effato che “mater semper certa est”» (M.P.
FAGGIONI, Maternità surrogata…, cit., p. 298).
27
Cf U. NAVARRETE , Novae methodi technicae…, cit., pp. 90-92. «Diverso è il caso della maternità
gestazionale. Qui non si può parlare di consanguineità perché non c’è relazione genetica specifica
fra madre gestazionale e neonato. Tanto meno si può parlare di parentela legale perché il legame fra
madre gestazionale e neonato non sorge da adozione in senso stretto ed è ben diversa dalla relazione
adottiva» (M.P. FAGGIONI, Maternità surrogata…, cit., pp. 298-299).
28
Ibid., p. 287.
claudia Ambroggi - [email protected]
Maternità surrogata: profili canonistici matrimoniali
187
adottato, «la genitorialità biologica è qui separata dalla genitorialità
psicologica e legale»29. Non si deve tuttavia dimenticare che
«nell’adozione non esiste alcun rapporto fisico o naturale fra adottante e
adottato, mentre la madre gestazionale ha un vincolo naturale anche se non
di consanguineità con il generato. In secondo luogo, nell’adozione i genitori
accolgono il bimbo in seno alla loro famiglia stabilendo con lui vincoli affettivi e sociali, mentre invece la madre gestazionale si impegna a separarsi
dal bimbo portato in grembo e da lei partorito. Su queste basi è possibile
differenziare la maternità surrogata dalla adozione di embrione (adozione
prenatale)»30 .
Altri studiosi hanno equiparato la figura della madre sostitutiva
a quella della “nutrice”, assimilando la nutrizione con la gestazione
dell’embrione o del feto, e osservando come la madre gestante differisce solo accidentalmente dalla tradizionale donna “nutrice”, in quanto
entrambe nutrono un figlio non loro31. È stato tuttavia osservato come
la relazione intercorrente tra il fanciullo nato e la nutrice non sia identica, sotto il profilo biologico, psicologico e anche culturale, a quella
sussistente tra gestante e feto durante il suo sviluppo. In effetti, sorge
«un rapporto veramente di vita, e non soltanto di nutrizione dall’esterno, in soggetto già nato, tra la donna che porta avanti la gestazione,
sia pure di embrione cui lei non ha dato il proprio ovulo, e l’embrione
stesso fino alla completa maturazione di esso, ossia fino al parto»32.
Inoltre, dalla psicologia ricaviamo come «tra la gestante e il nascituro,
nel periodo della gravidanza, si instaura un dialogo, benché sul piano dell’inconscio, che poi perdura anche dopo la nascita, un dialogo
nel quale vi è realmente uno scambio di pensiero, di affettività, di
psiche»33. In effetti, «la donna chiamata per plasmare alla vita l’embrione altrui […] è, rispetto al figlio che nascerà, la donna che gli ha
Ibid., p. 295.
Ibid., p. 299, in nota.
«Illa enim mulier [mater substituta], ex hypothesi, non est mater seu “genitrix” illius pueri, sed
tantum “nutrix” quae illum in proprio utero inde ab initio vitae embryonariae nutrivit illumque
gestavit usque ad tempus partus. Casus non differt, nisi accidentaliter, ab illo quo mulier “nutrix”
est sensu traditionali; id est, mulier quae nutrit proprio lacte puerum qui non est eius, sed aliorum»:
U. NAVARRETE , Novae methodi technicae…, cit., p. 92. È utile osservare come «tanto la madre gestazionale quanto la balia nutrono, sia pure secondo modalità e tempi diverse, un figlio altrui e questa
circostanza instaura fra la donna e il neonato una particolare relazione fisica senza consanguineità.
Nel diritto islamico l’allattamento stabilisce, pertanto, un impedimento matrimoniale vero e proprio
e i fratelli di latte sono assimilati, per molti versi, ai fratelli di sangue. L’impedimento derivante dalla
parentela di latte si trova anche in alcune Chiese orientali, specie africane»: M.P. FAGGIONI, Maternità
surrogata…, cit., p. 302.
32
M.F. POMPEDDA , Nuove tecniche di intervento…, cit., p. 176.
33
Ibid., p. 176.
29
30
31
claudia Ambroggi - [email protected]
188
Adolfo Zambon
dato la vita»34. In altre parole, «la gravidanza non si esaurisce infatti
nell’offrire un ambiente favorevole alla crescita del bambino ma si
sostanzia in un processo di interazione che nel caso della maternità
surrogata ha come protagonisti esclusivi la madre sostitutiva e il
“figlio affidato”, lasciando fisiologicamente di lato la madre futura»35.
In effetti, il rapporto che si instaura durante la gestazione è caratterizzato da una «intensa interrelazione tra madre e figlio», così come
«il rapporto prolungato di interazione della madre verso il feto […
ha] un forte impatto sulla salute del feto e sulla sua stessa crescita
psichica».36
Tutte queste considerazioni portano ormai a proporre «un impedimento fra la “madre sostituta” e il figlio gestato nel suo utero, ed
ancora fra coloro che sono stati gestiti nello stesso utero ma non sono
legati da un impedimento di consanguineità»37. Infatti, se dall’adozione sorge un impedimento dirimente tra tutti coloro che sono uniti,
in linea retta o nel secondo grado della linea collaterale, da parentela
legale sorta da adozione (can. 1094), in modo ancora più evidente
risulta necessario, qualora la fattispecie diventi più numerosa, porre
un impedimento che sorge dalla gestazione38. In modo specifico,
«dal momento che la gestazione e il parto sono elementi altamente significativi della maternità, anche se non si può parlare di maternità genetica e,
quindi, di consanguineità, tuttavia la madre gestazionale svolge un ruolo
tipicamente materno che non si può sottovalutare: la madre gestazionale
presenta il caso di una madre non consanguinea. Si potrebbe parlare di una
nuova forma di cognatio e, per essere più precisi, di cognatio ex gestatione. Il
Legislatore potrebbe prendere in considerazione la opportunità di introdurre un nuovo impedimento matrimoniale (can. 1075 §2), prodotto dalla sola
gestazione del concepito, e diverso dalla “consanguinitas” (can. 1091) e dalla
“cognatio legalis ex adoptione orta” (can. 1094). L’eventuale impedimento
dirimente della cognatio ex gestatione non potendosi considerare di diritto
A. T R ABUCCHI, Nuove metodiche di intervento…, cit., p. 195.
D. M ILANI, L’inizio della vita nel diritto canonico, cit., p. 160; cf M.P. FAGGIONI, Maternità surrogata…,
cit., p. 299.
36
F. D’AGOSTINO - L. PALAZZANI, Bioetica…, cit., p. 92.
37
M.F. POMPEDDA , Nuove tecniche di intervento…, cit., p. 177; cf U. NAVARRETE , Novae methodi technicae…, cit., p. 93; P. M ALCANGI, Tecniche di fecondazione artificiale…, cit., pp. 430-431.
38
Cf U. NAVARRETE , Novae methodi technicae…, cit., p. 93. L’autore conclude il suo contributo precisando come «Si usus “matris substitutae” multum augeretur, fortasse oporteret ut impedimentum
dirimens statueretur inter mulierem gestantem et puerum gestatum, atque inter pueros et puellas in
eodem utero gestatos; impedimentum inquam simile impedimento cognationis legalis ex adoptione
ortae» (p. 107). Osserva, tuttavia, che i casi non sono ancora così numerosi da ritenere necessario un
intervento del legislatore. Essendo trascorsi più di 25 anni da queste affermazioni, resta necessario
valutare se nelle situazioni attuali si richieda una valutazione diversa.
34
35
claudia Ambroggi - [email protected]
Maternità surrogata: profili canonistici matrimoniali
189
divino, sarebbe dispensabile, anche se il Legislatore potrebbe stabilire de
iure che esso non sia dispensabile (can. 1078 § 3)»39.
Tale impedimento, che può essere stabilito dalla sola autorità
suprema nella Chiesa (can. 1075 § 2), non comporterebbe in alcun
modo il riconoscimento della liceità del ricorso alla maternità surrogata. Infatti, la costituzione di un impedimento non sarebbe dare
riconoscimento morale a determinate pratiche o comportamenti,
quanto piuttosto «constatare l’esito di essi e […] dare quindi una
collocazione giuridica a fatti pur derivati da operazioni contrarie alle
norme morali»40. Inoltre, visto il moltiplicarsi di casi e la progressiva
evoluzione in materia del diritto civile e della giurisprudenza, potrebbe essere utile porre tale impedimento, armonizzabile con il sistema
vigente degli impedimenti canonici41, favorendo in tal modo un quadro
antropologico coerente e rispettoso dell’autentica realtà coniugale.
Infatti,
«il diritto matrimoniale canonico, come qualunque altra realtà giuridica
profondamente agganciata alla realtà umana, sarà sempre più costretto
a confrontarsi con la mentalità, le aspettative, i mutamenti del costume
familiare e sociale, causati dalla crescente diffusione della procreazione
artificiale: diffusione che difficilmente, come l’esperienza insegna, verrà arrestata dalla condanna del Magistero ufficiale della Chiesa […]. Nonostante
questa condanna, il canonista dovrà quindi necessariamente interrogarsi
sui delicati problemi che l’uso della procreazione artificiale farà sorgere
nell’applicazione concreta del diritto matrimoniale, così come è avvenuto
e continua a verificarsi per altri comportamenti umani – quali il divorzio,
l’aborto, la contraccezione – che, pur riprovati dalla Chiesa, hanno avuto e
vanno, purtroppo, assumendo crescente rilievo nel costume sociale»42.
Un’altra possibile difficoltà riguarda la possibilità (o meno) fornita dalla legge civile per determinare la rintracciabilità non solo dei
donatori di gameti, ma anche delle madri surrogate, tenuto anche
conto che «riguardo alla maternità surrogata, la giurisprudenza è
M.P. FAGGIONI, Maternità surrogata…, cit., p. 300.
M.F. POMPEDDA , Nuove tecniche di intervento…, cit., p. 178. Inoltre, «il diritto canonico non può fare
a meno di prendere atto di situazioni delicate come queste legate alla genesi della vita umana, anche
se le stesse si sono verificate attraverso l’impiego di metodiche di procreazione ritenute illecite dalla
dottrina della Chiesa. Anzi, poiché il giudizio etico di illiceità è già stato chiaramente espresso dal
magistero della Chiesa, spetta all’interprete assumere provvedimenti in merito e affrontare, nell’interesse della comunità dei fedeli, queste nuove fattispecie, regolamentandone gli effetti» (P. M ALCANGI,
Tecniche di fecondazione artificiale…, cit., p. 431).
41
Cf M.P. FAGGIONI, Maternità surrogata…, cit., pp. 304-305.
42
P. MONETA , Procreazione artificiale…, cit., pp. 163-164.
39
40
claudia Ambroggi - [email protected]
190
Adolfo Zambon
disomogenea e il diritto positivo in continua ridefinizione»43. Ma qui ci
poniamo nell’ambito della conoscibilità di un possibile impedimento,
più che dell’esistenza del medesimo.
Sembra quindi che, rispetto al passato, la situazione è sufficientemente matura per porre tale impedimento, attesa anche la pertinenza a questioni concernenti i temi ultimi della vita, nelle quali si riflette
in modo decisivo una determinata visione del mondo e delle cose, e in
cui l’evoluzione degli ultimi anni – specie nell’ambito dell’etica secolare – ha portato a «una sorta di “esplosione” delle posizioni in campo,
quasi che non esistesse più una linea guida condivisa nello svilupparsi
del pensiero e del giudizio»44. In tale contesto, influiscono, tra l’altro,
alcuni motivi fondamentali45, che vale la pena ricordare. Anzitutto,
abbiamo la velocità dell’evoluzione nell’ambito della biogenetica, che
non consente una «sedimentazione tra accadimento e metabolizzazione dell’accaduto», con conseguente difficoltà a interpretare le
nuove possibilità nel contesto di un quadro di riferimento condiviso.
In secondo luogo è presente una frammentazione dei riferimenti personali, unita alla possibilità di conoscenza e di relazione globale, fino
a portare a una visione relativa dei diversi punti di vista etici. In terzo
luogo, è presente una secolarizzazione della sessualità, che sembra
spesso ridursi a «un mero bisogno evaso, come tanti altri ed effimeri,
dal mercato». Infine, influisce la visione del tempo senza prospettive
future, limitandosi il tutto a quanto riguarda il singolo individuo, senza altre considerazioni globali.
A DOLFO Z AMBON
Via Visinoni, 4/c
30174 Zelarino – Venezia
M.P. FAGGIONI, Maternità surrogata…, cit., p. 289.
A. Z ANOT TI, Introduzione, in D. ATIGHETCHI - D. M ILANI - A.M. R ABELLO, Intorno alla vita che nasce…,
cit., p. 1.
45
Cf ibid., pp. 1-3.
43
44
claudia Ambroggi - [email protected]
Risposte al questionario per il Sinodo
Quaderni
di diritto ecclesiale
28 (2015) 191-197
Snellimento della prassi canonica
in ordine alla dichiarazione di nullità
del vincolo matrimoniale?/5
La domanda in preparazione al Sinodo dei vescovi straordinario
dell’ottobre 2014, che ha dato il via a questa serie di contributi, ha
conosciuto nel corso dei mesi successivi importanti sviluppi: nell’agosto 2014 è stata costituita dal Sommo Pontefice una commissione
incaricata di studiare la questione1, il tema è stato ripreso nella Relatio
Synodi a conclusione del Sinodo 2014, ai nn. 48-492 e riappare anche
nel nuovo questionario in vista del Sinodo ordinario dell’ottobre 20153.
Nello stesso tempo, sono iniziate a circolare alcune proposte di
modifica dei processi di nullità, tra le quali possiamo richiamare l’adozione di una procedura amministrativa al posto dell’attuale procedura
giudiziale, l’abolizione dell’obbligo della doppia sentenza conforme e il
passaggio dal tribunale collegiale al giudice unico. Mentre la prima di
queste ipotesi è già stata affrontata – e sono state sollevate perplessità
– nella riflessione proposta da P. Bianchi4, può essere utile riflettere
sulle altre due.
Il criterio di valutazione con cui confrontarsi per capire se questi
cambiamenti siano opportuni è l’esplicita affermazione, contenuta
nella comunicazione dell’istituzione della commissione di studio sopra richiamata, che lo scopo deve essere «di preparare una proposta
di riforma del processo matrimoniale, cercando di semplificarne la
procedura, rendendola più snella e salvaguardando il principio di
indissolubilità del matrimonio». Analogamente il Sommo Pontefice,
ricevendo il 5 novembre 2014 i partecipanti a un corso organizzato
Cf Per la riforma del processo matrimoniale canonico, in «L’Osservatore Romano», 21 settembre
2014, p. 1.
2
Cf http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20141018_relatio-synodi-familia_it.html (accesso: 1° febbraio 2015).
3
Cf n. 37, in http://www.vatican.va/roman_curia/synod/documents/rc_synod_doc_20141209_lineamenta-xiv-assembly_it.html (accesso: 1° febbraio 2015).
4
Cf P. BIANCHI, Snellimento della prassi canonica in ordine alla dichiarazione di nullità del vincolo
matrimoniale?/2, in QDE 27 (2014) 316-317.
1
claudia Ambroggi - [email protected]
192
Massimo Mingardi
dalla Rota Romana, ha ribadito che «c’è tanta gente che ha bisogno di
una parola della Chiesa sulla sua situazione matrimoniale, per il sì e
per il no, ma che sia giusta. […] la madre Chiesa deve fare giustizia
e dire: “Sì, è vero, il tuo matrimonio è nullo — No, il tuo matrimonio
è valido”»5.
Occorre dunque chiedersi se le modifiche ora proposte, e che
evidentemente rappresenterebbero per chi le propone uno snellimento delle procedure di nullità (nel primo caso perché si eliminano dei
gradi di giudizio, nel secondo caso perché – incaricando della singola
causa un solo giudice anziché tre – il tribunale riesce ad espletare, a
parità di personale impiegato, un numero più elevato di cause), siano
rispettose del criterio di salvaguardia dell’indissolubilità del matrimonio, ovvero siano tali da rispettare l’esigenza che vengano date
decisioni “giuste”, secondo quanto sopra ricordato.
Va rilevato che mentre la dinamica con cui la causa si evolve
nei successivi gradi di giudizio è rilevabile statisticamente, e quindi
esistono parametri oggettivi che si possono assumere per fare la verifica, il valore aggiunto del giudizio collegiale rispetto alla decisione
del giudice unico è sperimentabile solo nel segreto della sessione
decisoria, e quindi su questo tema è solo possibile fidarsi di quanto
riferiscono i giudici che concretamente operano nelle cause dì nullità,
a parte alcune ovvie considerazioni di buonsenso che possono essere
proposte.
Con riferimento dunque alla prima delle due proposte, accogliendo la quale verrebbe meno l’obbligatorietà della doppia decisione conforme attualmente richiesta ai sensi del can. 1684 affinché la
sentenza sia esecutiva, e quindi già la sentenza affermativa di primo
grado consentirebbe l’accesso a nuove nozze se essa non viene appellata entro i termini di legge, possono essere considerati due aspetti.
Il primo consiste nel verificare quale percentuale di cause affermative in primo grado di giudizio venga poi confermata in secondo
grado, al fine di accertare se statisticamente il giudizio di appello
risulti sostanzialmente pleonastico o se incida significativamente nel
modificare l’esito finale della causa. Dalle sentenze rotali pubblicate
si rileva che esiste addirittura il caso di successivi Turni rotali che decidono in maniera difforme l’uno dall’altro, a testimonianza di quanto
possa essere complessa, almeno in alcuni casi, la definizione di una
5
Questione di giustizia, in «L’Osservatore Romano», 6 novembre 2014, p. 8.
claudia Ambroggi - [email protected]
Snellimento della prassi canonica in ordine alla dichiarazione di nullità…?/5
193
causa di nullità. Ma per rimanere ai livelli che potremmo definire
usuali di un iter di nullità, è possibile vedere, per esempio a livello
dei tribunali ecclesiastici regionali italiani, quante sono le conferme.
Il sito internet dei tribunali6 offre, sebbene non per tutti i tribunali di
appello operanti in Italia per le cause di nullità matrimoniale, dei dati
statistici che, al momento della stesura di queste note, si riferiscono
all’attività giudiziaria dell’anno 2013 per come è stata presentata
all’apertura dell’anno giudiziario 2014. I dati ivi pubblicati concernono cinque tribunali di appello. Il tribunale lombardo nel 2013 ha
deciso 223 cause di appello che erano affermative in primo grado, e
di queste 154 sono state ratificate con decreto, mentre 69 erano state
rimesse alla via ordinaria di giudizio e di esse 35 si sono concluse con
sentenza negativa; quindi, con un po’ di approssimazione, si può dire
che un terzo delle cause affermative pervenute non è stato passibile
di conferma immediata, e ben il 17% ha poi avuto un esito difforme
da quello del primo grado. Al tribunale ligure, su 167 cause pervenute nel grado di appello, 17 sono state decise in modo difforme dalla
decisione di primo grado (il 10%). Il tribunale triveneto, su 81 cause
decise nel 2013 in grado di appello, ne ha confermate con decreto 66
mentre 15 erano state rinviate alla via ordinaria (il 18-19%) e di queste
6 hanno avuto decisione negativa (il 7%). Il tribunale etrusco ha deciso 181 cause, delle quali 165 sono state ratificate e 16 hanno percorso
la via ordinaria, di cui 10 sono state confermate e 6 hanno avuto esito
negativo (il 4%). Il tribunale campano ha deciso in appello 533 cause,
di cui 459 ratificate con decreto e 43 decise con processo ordinario
(8%), senza che sia desumibile quante sono state poi affermative e
quante negative. Al di là del fatto che non tutti i tribunali elaborano
le statistiche nel medesimo modo, e questo spiega il modo parzialmente difforme di proporre i dati, sembra di poter concludere che in
circa un 20% delle cause provenienti dal primo grado non è possibile
al tribunale superiore di raggiungere la certezza morale sulla pura
base degli atti di primo grado, e in circa un 10% dei casi la decisione
di appello rovescia quella di primo grado. Sembra difficile ritenere
irrisorie percentuali di questo genere.
Questo spaccato fotografa la situazione italiana, ma non ovunque
la situazione è questa; altrove le percentuali di conferma del secondo
Cf http://www.siti.chiesacattolica.it/pls/siti/consultazione.mostra_pagina?id_pagina=945 (accesso: 1° febbraio 2015); da quella pagina si accede, ove esistente, al sito del singolo tribunale ecclesiastico regionale, dove è possibile rinvenire i dati che vengono riportati nel testo.
6
claudia Ambroggi - [email protected]
194
Massimo Mingardi
grado rispetto al primo sono più elevate, e raggiungono in alcuni casi
la quasi totalità delle cause. Se anche fosse così, non se ne potrebbe
comunque dedurre che l’esame di secondo grado sia superfluo, così
come – per fare un’analogia – il fatto che gli esami presenti ai diversi
livelli dei percorsi scolastici e accademici sia superato dalla stragrande maggioranza degli studenti non significa che gli esami siano inutili
e rappresentino uno spreco di tempo e di energie per chi vi è coinvolto, in quanto è ragionevole ritenere che il buon livello degli studenti
derivi precisamente dalla consapevolezza che esiste un momento di
verifica, e che se gli esami non ci fossero il livello di preparazione
degli studenti rischierebbe di essere alquanto inferiore.
Ma si potrebbero individuare ulteriori riscontri. L’estensore di
queste note, in vista di una relazione (che verrà a suo tempo pubblicata) da tenere nel 2014 all’annuale corso che la Rivista organizza per
gli operatori dei tribunali, ha recensito le sentenze rotali finora pubblicate in tema di esclusione della dignità sacramentale del matrimonio. Su sei cause esaminate, tutte conclusesi negativamente almeno
in riferimento a questo capo, ben quattro erano state affermative in
primo grado, e sono poi state rovesciate in secondo grado (che in tre
casi è stato emesso da un tribunale locale e poi confermato in Rota,
nel caso restante direttamente in Rota). A meno di ritenere eccessivamente rigoroso il Tribunale Apostolico (ma in realtà si è visto che in
tutti i casi di appello in sede locale già un tribunale di appello inferiore
aveva contraddetto il giudizio di primo grado), bisogna concludere
che è stato il tribunale di primo grado a giungere troppo frettolosamente a una decisione affermativa. Se non ci fosse stato l’obbligo di
una seconda decisione conforme per rendere esecutiva la sentenza,
quante di queste cause affermative in primo grado sarebbero state
effettivamente appellate? Avremmo avuto quattro casi su sei di “falso
affermativo”. Si comprende dunque come il mantenimento del requisito della doppia decisione conforme incida significativamente sull’esito
della causa, e sia importante per evitare il rischio – al di là delle intenzioni di chiunque, su cui non è lecito fare supposizioni e che vanno
pregiudizialmente ritenute sincere – di avallare di fatto un divorzio
cattolico. Per inciso, in questi quattro casi su sei di “falso affermativo”
tre riguardavano cause non italiane, e sono precisamente le tre cause
il cui esito è stato contraddetto da un tribunale di appello locale; per
cui si smentisce, almeno in riferimento a questo piccolo campione,
l’impressione che fuori d’Italia ci sia più unanimità tra primo e secondo grado di quanta ce ne sia presso i tribunali ecclesiastici italiani.
claudia Ambroggi - [email protected]
Snellimento della prassi canonica in ordine alla dichiarazione di nullità…?/5
195
Peraltro, ed è la seconda considerazione da fare circa la questione dell’obbligo della doppia decisione conforme, non si deve dimenticare che esiste già una procedura abbreviata per l’esame in secondo
grado delle cause giudicate affermativamente in primo, e – se ci sono
i presupposti per procedere con tale modalità – il giudizio di secondo
grado si risolve in modo rapido e con un onere di lavoro limitato. Il
grado di appello diventa veramente impegnativo, in termini di tempo
e di risorse da impiegare, se il processo di primo grado è stato svolto
in modo approssimativo e quindi deve essere integrato mediante il
ricorso alla via ordinaria. Pertanto, a conclusione di tutto il percorso,
sembra di dover dire che in relazione ai due (o talvolta tre) gradi di
giudizio la via da intraprendere, per una soluzione che snellisca l’iter
processuale, non è eliminare l’istanza di controllo, ma svolgere accuratamente il processo di primo grado, cosicché l’esame in grado di appello possa risolversi, appunto, in una verifica di quanto già avvenuto
(e in questo senso si è chiamata subito sopra questa fase “istanza di
controllo” sia pure con intenti non riduttivi della sua portata), senza
bisogno di ricominciare tutto da capo.
L’altra innovazione proposta per una semplificazione del processo di nullità matrimoniale che qui consideriamo è l’abbandono del
tribunale collegiale a favore del giudice unico. Su questo tema, come
detto, non esistono riscontri statistici, in quanto l’eventuale diversità
di giudizio sulla causa da parte dei giudici componenti il collegio
rimane confinata nel segreto della sessione decisoria e non se ne ha
conoscenza all’esterno. Quanti ricoprono l’ufficio di giudici, tuttavia,
sanno bene quanto sia proficuo il confrontarsi tra loro sul merito
della causa, e sanno anche come sia possibile, in caso di giudizi non
convergenti, che uno di loro (o talvolta anche due!) venga convinto
dalle argomentazioni proposte dai colleghi e muti il proprio orientamento (cf can. 1609 § 4). Questo non è indice di superficialità, ma
deriva dall’oggettiva complessità che non di rado le cause di nullità
hanno. Sotto un altro profilo, è facilmente immaginabile quanto sia
rasserenante per il singolo membro del collegio poter condividere con
altri due giudici (anzi con altri cinque, se si considerano i due gradi
di giudizio) l’onere della decisione, senza doversi assumere in modo
esclusivo la responsabilità di una valutazione così rilevante come è
quella del riconoscimento di nullità di un matrimonio.
Si potrebbe dire ancora di più. Chi scrive è stato personalmente
coinvolto in una causa di primo grado che, dopo appello rivolto diret-
claudia Ambroggi - [email protected]
196
Massimo Mingardi
tamente alla Rota Romana e dopo che un Turno di tre Uditori aveva
ritenuto di non poter confermare per decreto la sentenza di primo
grado, è stata decisa con una sentenza, recentemente pubblicata,
emessa da un collegio di cinque giudici (e, per inciso, sono stati risolti
affermativamente più capi di quanto fosse avvenuto in primo grado).
Presumibilmente, il tribunale apostolico ha ritenuto che quella causa
fosse troppo complessa per essere giudicata solo da un collegio di
tre persone, e l’ha affidata all’esame di cinque. Desta dunque quanto
meno meraviglia il fatto che, mentre a livello della Rota Romana – e
nonostante la competenza che hanno i Prelati Uditori – non ci si fa
scrupolo di sottoporre una causa al giudizio anche di cinque o di sette
giudici7, per i tribunali locali si voglia instaurare, come prassi generalizzata, che la decisione sia affidata a un giudice unico. È importante sottolineare che quel che creerebbe problema sarebbe proprio
l’instaurazione di una prassi generalizzata di questo tipo, perché per
provvedere a singole situazioni locali basta applicare la legislazione
canonica vigente, senza la necessità di alcuna innovazione: infatti
il can. 1425 § 4 già prevede che, nei territori in cui non è possibile
costituire in primo grado di giudizio il collegio, la conferenza episcopale possa permettere al vescovo diocesano di affidare le cause a un
giudice unico chierico, finché perdura la situazione di impossibilità.
Opportunamente, la responsabilità della scelta è affidata – secondo
un sano principio di sussidiarietà – alla valutazione prima della conferenza dei vescovi e poi dei singoli vescovi diocesani, e già nella Chiesa
la prassi è diffusa in molti luoghi.
Inoltre, è doveroso rilevare che, tanto maggiormente quanto più
la causa è ben istruita, ai giudici che non hanno l’onere della stesura
della sentenza (così come a quelli cui è affidato l’esame di secondo
grado) è richiesto un compito relativamente limitato, e sembra veramente di poter dire che non c’è proporzione tra l’onere tutto sommato
circoscritto che ad essi è richiesto e il vantaggio che deriva dal loro
intervento in ordine all’accuratezza e alla serietà della decisione.
A più riprese è emerso dalle precedenti considerazioni come il
momento decisorio, in primo e ancor di più in secondo grado, possa
essere risolto celermente e senza scrupoli di coscienza per i giudici,
Ipotesi non soltanto prevista in astratto dall’art. 18 § 3 delle Norme rotali vigenti (cf A AS 86 [1994]
514), ma che evidentemente viene concretamente attuata, come dimostra il caso specifico citato nel
testo.
7
claudia Ambroggi - [email protected]
Snellimento della prassi canonica in ordine alla dichiarazione di nullità…?/5
197
se l’istruttoria per la raccolta delle prove è stata ben condotta. Quando invece l’istruttoria è superficiale o approssimativa, i rischi sono
notevoli, sia qualora la causa proceda comunque approdando a una
decisione non adeguatamente fondata, sia qualora i giudici ritengano di non poter decidere sulla base degli elementi a disposizione e
richiedano un supplemento istruttorio, il che può avvenire in primo
grado (mediante un cosiddetto dilata) come in secondo (attraverso
il rinvio all’esame ordinario). In queste ultime eventualità, davvero i
tempi di svolgimento della causa e l’impiego di risorse da parte del
tribunale si dilatano a dismisura, con riflessi penalizzanti sia per le
parti in causa sia per il tribunale che è investito di un consistente
surplus di lavoro. Se ne deduce pertanto che massima cura dovrebbe
essere messa nell’adeguata conduzione dell’istruttoria, che – almeno
a personalissima opinione di chi scrive – appare davvero essere lo
snodo essenziale dell’intero iter processuale, in grado di influire in
modo determinante sia sulla rapidità di svolgimento del processo sia
sulla correttezza della decisione giudiziale.
Alla luce di queste ultime riflessioni, non si può non rilevare il
dato, un po’ singolare, che le proposte di modifica processuale finora avanzate si concentrino sulla fase decisoria dell’iter, trascurando
le altre, e tra queste la fase istruttoria a cui si è appena fatto cenno,
che invece potrebbero giovarsi di alcuni interventi correttivi. Per
esempio, in alcuni tribunali si riscontra una crescente conflittualità
delle parti, con istanze istruttorie quantitativamente spropositate a
scopo esclusivamente dilatorio e con il rischio, se esse non vengono
integralmente accolte, di trovarsi davanti a un ricorso al collegio che
comporta, ancora una volta, un aggravio sia di tempo (e quindi di
durata della causa) sia di impiego di energie per le persone coinvolte.
Una piccola innovazione, capace però di snellire l’iter delle cause di
nullità più conflittuali, potrebbe essere l’inibizione del ricorso al collegio contro le decisioni riguardanti la moderazione dell’istruttoria,
limitando al più la possibilità di replica a una rimostranza motivata a
colui – preside o ponente – che ha rifiutato l’ammissione di una prova.
Ci sembra che su questa linea possano muoversi più efficacemente eventuali modifiche tese a una maggiore celerità delle cause,
conservando al delicatissimo momento della decisione tutte le garanzie da cui oggi è tutelato, compresi il collegio di tre giudici e la
necessità della doppia decisione conforme.
a cura di Massimo Mingardi
claudia Ambroggi - [email protected]
Quaderni di diritto ecclesiale
28 (2015) 198-201
La cronaca e le relazioni
Anche nell’anno 2012 il corso residenziale di diritto canonico applicato organizzato dalla redazione della rivista Quaderni di diritto ecclesiale,
col patrocinio della Facoltà di Diritto canonico della Pontificia Università
Gregoriana e dell’editrice Ancora di Milano, si è svolto, da lunedì 20 a
giovedì 23 agosto, con una durata leggermente ridotta, nella consueta e
accogliente cornice della Domus Pacis di Assisi. Al centro dei lavori alcune
tematiche di carattere amministrativo relative ai beni ecclesiastici. Collaudato ormai lo schema degli incontri: relazione da parte di un esperto,
lavoro di gruppo e quindi restituzione assembleare.
La competenza non solo teorica, ma anche pratica dei relatori, per
lo più impegnati nelle cancellerie delle curie diocesane, unita al confronto nei gruppi di studio e quindi alla possibilità di condivisione a livello
assembleare, ha consentito a tutti i partecipanti di fare un’esperienza
certamente proficua e arricchente.
Di grande aiuto, d’altra parte, è stata la presenza di un gruppo di
corsisti particolarmente attivo e motivato che molto ha contribuito alla
riuscita del corso stesso.
I partecipanti, a seconda del loro ufficio e ministero ovvero dei
loro interessi, sono stati divisi in quattro gruppi: il primo, composto
soprattutto da vicari generali, era guidato da mons. Adolfo Zambon e da
mons. Giuliano Brugnotto; il secondo, dove prevalente era la presenza
di economi diocesani e di collaboratori degli uffici amministrativi delle
curie diocesane, era accompagnato da don Francesco Grazian e da mons.
Massimo Mingardi; infine due gruppi di cancellieri e operatori di cancelleria guidati rispettivamente da mons. Marino Mosconi e don Gianni
Trevisan e da don Gianluca Marchetti e don Matteo Visioli.
In un clima di grande fraternità e amicizia non sono mancati momenti di convivialità come la cena di gala presso la stessa Domus Pacis;
così come, ogni giorno, ci si è ritrovati per la celebrazione della liturgia
delle ore e della S. Messa.
Per quanto concerne le relazioni proposte il corso è iniziato sotto
i migliori auspici: S.E. il card. Velasio De Paolis, già presidente della
claudia Ambroggi - [email protected]
La cronaca e le relazioni
199
Prefettura degli affari economici della Santa Sede, insigne canonista e di
molti apprezzato professore, ci ha onorato con la sua presenza e la sua
vasta e approfondita conoscenza del diritto canonico.
Nella sua prolusione – che non viene pubblicata sulla rivista –, il
porporato non solo ha mostrato la sua competenza nella materia, ma
soprattutto ha saputo trasmettere quella sensibilità pastorale e attenzione all’uomo e all’evangelizzazione che è a fondamento del ministero del
canonista.
Così, ancor prima di entrare in alcuni specifici rilievi circa il rapporto beni temporali e Chiesa, tema tra l’altro sul quale il card. De Paolis
può vantare numerosissimi e approfonditi studi, egli ha saputo suggerire
piste di riflessione per un rinnovato riposizionamento del diritto in genere e di quello canonico in specie all’interno di una visione complessiva
e integrale dell’uomo e della Chiesa.
La relazione ha quindi esposto, in modo sintetico ed essenziale,
il tema delle realtà temporali nell’Antico Testamento, nell’esempio e
nell’insegnamento di Gesù, nella vita delle prime comunità cristiane, nei
padri della Chiesa e infine nel magistero della Chiesa.
Sono state quindi affrontate questioni decisive come quelle relative
alla definizione di bene ecclesiastico e alle ragioni per le quali la Chiesa
ha diritto ad usare dei beni temporali in ordine al conseguimento dei suoi
fini propri. Il relatore ha poi approfondito due peculiari aree tematiche:
quella delle finalità dei beni temporali della Chiesa e quella della titolarità
degli stessi beni.
Stimolanti infine alcune annotazioni circa la canonizzazione della
legge civile nell’ambito dell’amministrazione dei beni temporali, che
comunque si deve attenere sempre al principio secondo il quale la legge
civile canonizzata non deve essere contro il diritto divino e comunque
vige «a meno che il diritto canonico non disponga diversamente» e quelle
relative ad alcune norme canoniche significative come il rispetto della
volontà dei fedeli e il rapporto tra superiore e amministratore.
Martedì mattina mons. Adolfo Zambon, all’epoca del corso direttore dell’ufficio nazionale per i problemi giuridici della CEI, ha tracciato
il quadro complessivo del tema oggetto dei lavori del corso soffermando
l’attenzione su alcune categorie come quelle di: bene ecclesiastico, persone fisiche e giuridiche e il loro rapporto con i beni, persone giuridiche
private. La relazione è quindi continuata analizzando il concetto di amministrazione in genere e in specie: amministrazione ordinaria, amministrazione straordinaria, gli atti di maggiore importanza (can. 1277), gli
atti di alienazione e quelli potenzialmente peggiorativi (cann. 1291-1295)
claudia Ambroggi - [email protected]
200
Gianluca Marchetti
e si è conclusa con alcune annotazioni sui principi della buona amministrazione e sul compito della vigilanza.
Nel pomeriggio del 21 agosto, il cancelliere della curia di Verona,
don Francesco Grazian, nella sua relazione, si è invece soffermato sui
soggetti e soprattutto sulle procedure dell’amministrazione. Per quanto
riguarda i soggetti, in particolare: il vescovo e l’ordinario diocesano,
il consiglio diocesano per gli affari economici, il collegio consultori, il
consiglio presbiterale, l’ufficio amministrativo diocesano, l’economo,
l’ufficio beni culturali e la cancelleria. Nella seconda parte della sua
relazione, don Grazian ha fornito alcune interessanti annotazioni su
quali procedure utilizzare e a chi riferirsi nel caso di atti di straordinaria
amministrazione e di atti di alienazione.
Mercoledì 22 agosto, in mattinata, mons. Marino Mosconi, cancelliere della curia arcivescovile di Milano, ha messo a disposizione
dei corsisti un quadro articolato e completo del complesso tema del
sostentamento del clero e dell’istituto diocesano sostentamento del
clero [= IDSC]. Dopo aver indicato i riferimenti giuridici, il relatore ha
puntualmente analizzato i temi di maggior rilievo: l’iscrizione al sistema nazionale di sostentamento del clero, i sacerdoti aventi diritto alla
remunerazione e iscritti all’IDSC, i criteri di iscrizione all’IDSC e le
convenzioni (per esempio nei casi in cui un presbitero secolare svolge il
proprio ministero in una diocesi diversa da quella di incardinazione). Si è
quindi soffermato sull’entità del sostentamento del clero e del contributo
richiesto ai singoli enti: determinazione della remunerazione e dei punti
aggiuntivi e contributo al sostentamento da parte delle parrocchie e degli
altri enti. Altri argomenti trattati sono stati: il sostentamento del clero
in condizioni di uscita del servizio ministeriale (pensione integrativa,
abbandono del ministero); il provvedimento dell’ordinario con cui si determina annualmente l’importo della remunerazione dovuta dai diversi
enti, gli eventuali ricorsi contro i provvedimenti dell’IDSC. Infine mons.
Mosconi ha focalizzato l’attenzione sullo stesso IDSC sottolineando in
modo particolare: l’obbligo di costituzione e l’identità, lo statuto con gli
adempimenti richiesti per la sua approvazione e le eventuali modifiche, le
modalità per la nomina degli organi di governo del medesimo istituto, le
modalità per la designazione dei membri dei consigli di amministrazione
e dei revisori dei conti, la vigilanza e le licenze dell’ordinario e quindi i
rapporti con l’istituto centrale sostentamento clero.
Nel pomeriggio di mercoledì 22 agosto mons. Giuliano Brugnotto,
docente di diritto canonico e cancelliere della curia diocesana di Treviso,
ha trattato il tema dei beni culturali e di quelli «di interesse liturgico».
claudia Ambroggi - [email protected]
201
La cronaca e le relazioni
In primo luogo sono state specificate alcune nozioni di base come quella
di res sacra, cose preziose, beni di interesse liturgico e quindi quella di
beni culturali. Chiarimento necessario per affrontare il tema dei soggetti
competenti in materia di beni di interesse liturgico: Sede Apostolica, vescovo diocesano, conferenza episcopale. Preziose e utili alcune indicazioni pratiche circa alcuni uffici di curia come l’ufficio liturgico diocesano
e quello per i beni culturali e l’arte sacra. Un’ultima annotazione è stata
dedicata alla questione della verifica dell’interesse culturale dei beni immobili di proprietà degli enti ecclesiastici.
Ha concluso il corso, giovedì 23 agosto in mattinata, la relazione di
don Gianluca Marchetti, cancelliere della curia diocesana di Bergamo,
dedicata al tema delle offerte, delle tasse e dei tributi.
In modo semplice ed essenziale sono state analizzate le disposizioni codiciali in materia di: offerte per la celebrazione e l’applicazione di
Sante Messe, Messe iterate e plurintenzionali, legati per la celebrazione
di Messe, offerte in occasione dell’amministrazione di sacramenti e sacramentali, offerte finalizzate in giornate prescritte (collette), questue,
tributi ordinari e straordinari.
A CURA DI
GIANLUCA M ARCHETTI
claudia Ambroggi - [email protected]
Quaderni di diritto ecclesiale
28 (2015) 202-229
I beni ecclesiastici:
amministrazione e vigilanza
Il titolo proposto per la presente relazione permette di incentrare
l’attenzione attorno a tre nozioni-base, ossia quelle di bene ecclesiastico,
di amministrazione e di vigilanza. Considerata la natura del corso, si
intendono fornire alcuni elementi basilari attorno a questi tre concetti,
senza entrare in fattispecie dettagliate, che saranno oggetto della riflessione successiva. Inoltre, l’attenzione sarà focalizzata soprattutto sulle
realtà della diocesi e della parrocchia, oltre a quelle di altri enti sottoposti
alla vigilanza del vescovo diocesano, proprio a partire dalla proposta del
corso e dai partecipanti al medesimo.
I beni ecclesiastici
Le persone fisiche e giuridiche e il loro rapporto con i beni
Il rapporto con i beni è insito nella vita di qualsiasi persona. Ogni
persona umana, nel suo agire, infatti, si rapporta con i beni terreni,
ricercati come necessari o almeno utili per la propria esistenza e per il
perseguimento di determinati obiettivi. Questo vale non solo per le persone fisiche, ma anche per le persone giuridiche, ossia per un insieme
di persone o di cose ordinato a un fine, corrispondente alla missione
della Chiesa, che trascende il fine dei singoli (cf can. 114 § 1). Le persone giuridiche, come quelle fisiche, sono soggetti di obblighi e di diritti,
corrispondenti alla loro natura (cf can. 113 § 2)1, che trascendono, anche
in questo, le singole persone fisiche che ne fanno parte o a cui vengono
imputate peculiari responsabilità, come nel caso degli amministratori
per una fondazione.
1
«Si tratta di organismi per mezzo dei quali la Chiesa agisce istituzionalmente per il conseguimento delle proprie finalità. Più propriamente, esse sono enti ideali, a sostrato reale,
che servono come forme giuridiche di unificazione e di concentrazione di diritti e obblighi
– distinti e diversi dalla somma dei diritti e degli obblighi dei membri che le compongono –,
per il perseguimento potenziato e prolungato nel tempo di interessi umani» (A. PERLASCA, I
beni delle persone giuridiche private [can. 1257 § 2], in QDE 12 [1999] 380).
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
203
Anche le persone giuridiche, come le persone fisiche, si relazionano necessariamente con i beni. Questi sono, infatti, necessari per il
raggiungimento delle proprie finalità. Anzi, nel caso specifico delle pie
fondazioni autonome, i beni costituiscono il substrato necessario e ineludibile della loro stessa esistenza, dal momento che la fondazione è una
«massa di beni» (can. 1303 § 1, 1°) ordinata a un fine «attinente ad opere
di pietà, di apostolato o di carità sia spirituale sia temporale» (can. 114 §
2). La soggettività della persona giuridica comporta un peculiare aspetto
anche in relazione ai beni. Infatti, la persona giuridica
«è titolare di doveri e di diritti, che non coincidono né rappresentano la
semplice somma dei doveri e dei diritti di coloro che ne sono membri o
che, comunque, costituiscono il sostrato umano sul quale essa si radica.
La persona giuridica ha dunque una capacità giuridica sua propria. Ha
altresì la capacità di agire, cioè la prerogativa di esercitare, attraverso i
legittimi rappresentati e a norma degli statuti, i diritti che le sono propri»2.
Le persone giuridiche possono essere private o pubbliche (cf can.
116 § 1). Queste ultime sono costituite dalla competente autorità ecclesiastica per adempiere, a nome della Chiesa, il compito loro affidato in
vista del bene pubblico (cf can. 116 § 1), come l’insegnamento della dottrina cristiana o l’incremento del culto pubblico o altre finalità spirituali
cui non si sia sufficientemente provveduto mediante iniziative private (cf
can. 301).
La distinzione appena ricordata è fondamentale, in quanto solo i
beni delle persone giuridiche pubbliche sono beni ecclesiastici, che quindi sono retti dai canoni del libro V del Codice, oltre che dai propri statuti,
se presenti (cf can. 1257 § 13). Tale specificità non sorprende. Infatti, i
beni terreni sono strumentali al raggiungimento delle finalità proprie
della persona giuridica; i fini propri per cui la Chiesa cattolica ha il diritto
nativo di acquistare, possedere, amministrare e alienare i beni temporali
sono ordinare il culto divino, provvedere a un onesto sostentamento
del clero e degli altri ministri, esercitare le opere di apostolato sacro e di
carità (cf can. 1254). Si coglie immediatamente la stretta correlazione tra
I D., La capacità patrimoniale degli istituti religiosi, in QDE 22 (2009) 121.
«Bona temporalia omnia quae ad Ecclesiam universam, Apostolicam Sedem aliasve in Ecclesiam personas iuridicas publicas pertinent, sunt bona ecclesiastica et reguntur canonibus
qui sequuntur, necnon propriis statutis».
2
3
claudia Ambroggi - [email protected]
204
Adolfo Zambon
la natura e le finalità delle persone giuridiche pubbliche e i fini propri del
richiamato diritto nativo ai beni da parte della Chiesa cattolica4. Infatti,
«l’ecclesialità, comune a tutti questi beni, deriva dalla destinazione ai fini
propri della Chiesa. Questo, però, non impedisce che la proprietà appartenga esclusivamente a ciascuno degli enti singolarmente considerati»5.
La qualifica di bene ecclesiastico è fondamentale, in quanto i beni delle
«persone giuridiche ricevono la qualifica di beni ecclesiastici (can. 1257 § 1),
il che comporta che tutti i detti beni vengono assoggettati ad un controllo
e ad una vigilanza specifica (cf. can. 1276), più intensa rispetto a quella
sui beni delle persone giuridiche private. Gli atti di straordinaria amministrazione sono sottoposti ad autorizzazioni preventive (cf. can. 1277),
ogni anno tali persone devono presentare all’autorità ecclesiastica competente un rendiconto dell’amministrazione dei loro beni (cf. can. 1287 §
1), ecc. In questo modo tutti questi beni vengono ricondotti ad una certa
unità: sono beni della Chiesa, e questa vuole che siano custoditi, che non
escano dal patrimonio della Chiesa e, infine, che siano usati per finalità
confacenti la natura della Chiesa»6.
In sintesi, a partire dal soggetto che ne è titolare, si possono identificare tre tipologie di beni: a) i beni della persona fisica, che sono beni privati; b) i beni appartenenti a una persona giuridica privata; c) i beni di una
persona giuridica pubblica. Solo questi ultimi sono beni ecclesiastici7.
Già il Codice pio-benedettino stabiliva che «bona temporalia, sive corporalia, tum immobilia tum mobilia, sive incorporalia, quae vel ad Ecclesiam universam et ad Apostolicam
Sedem vel ad aliam in Ecclesia personam moralem pertineant sunt bona ecclesiastica» (can.
1497 § 1). Tuttavia, proprio a partire dalla stretta relazione tra bene ecclesiastico e finalità
propria della Chiesa, è stato osservato come «non mancavano Autori – pochi per la verità – i
quali affermavano che con l’espressione beni ecclesiastici s’intende far riferimento a tutti i
beni materiali o immateriali, immobili o mobili destinati immediatamente o mediatamente
al conseguimento dei fini della Chiesa, cioè destinati al soddisfacimento degli scopi di culto
e dei bisogni dei religiosi – chiese, arredi sacri ecc. – o al sostentamento degli ecclesiastici ed
a procurare i mezzi necessari per l’esercizio del culto – fondi rustici, denaro, ecc.» (A. PERLASCA, Personalità giuridica e aspetti patrimoniali, in «Ius Ecclesiae» 22 [2010] 57).
5
PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Nota esplicativa La funzione dell’autorità ecclesiastica sui beni ecclesiastici, 12 febbraio 2004, in «Communicationes» 36 (2004) 24-32, n. 1. Il
numero 2 della medesima nota riafferma il principio secondo cui «la proprietà appartiene alle
singole persone giuridiche».
6
L. NAVARRO, Considerazioni riguardo al ruolo della personalità giuridica nell’ordinamento canonico,
in «Ius canonicum», volumen especial 1999, Escritos en honor de Javier Hervada, p. 133.
7
«La qualifica di “ecclesiastico” riferita a un bene è dunque tecnica, e da assumersi in senso
stretto: indica l’appartenenza di un determinato bene a una persona morale o a una persona
4
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
205
Le Res sacrae
Accanto ai beni ecclesiastici esistono specifiche categorie di beni
che, pur non essendo tali, quindi non appartenenti a una persona morale
o a una persona giuridica pubblica, sono destinatari di specifiche indicazioni, anche vincolanti. In questo caso, si considera esplicitamente la
natura stessa del bene, non tanto la persona che ne ha il dominio o il possesso. Ci si può riferire, in particolar modo, alle res sacrae8, che non sono
necessariamente beni ecclesiastici, potendo essere di proprietà di persone
fisiche oppure di persone giuridiche private9. Si pensi, a titolo esemplificativo, a un calice o a un’immagine sacra, di proprietà di una persona
giuridica privata o di un privato. Altri esempi possono essere ricavati dai
cann. 1222 § l, qualora si tratti di chiesa o cappella di proprietà di privati,
e 1269. Per tali res sacrae il Codice prevede una peculiare restrizione nel
campo della prescrizione acquisitiva. Infatti, solo se già di proprietà di
privati possono essere acquisite tramite la prescrizione da altri privati,
pur senza adibirle a usi profani. Se tali beni, invece, appartengono a una
persona giuridica pubblica, questi possono essere acquistati «soltanto da
un’altra persona giuridica ecclesiastica pubblica» (can. 1269). Alla base
di tale disposizione sta «precisamente il significato di fede, o l’antichità
– e quindi la testimonianza storica – oppure la destinazione al culto –
mediante la dedicazione o la benedizione – che fondano e giustificano i
dettami codiciali»10.
Quanto detto motiva anche la richiesta, per l’alienazione di ex voto
donati alla Chiesa o di oggetti preziosi di valore storico o artistico, della
licenza della Santa Sede, prescindendo dal valore economico degli stessi.
giuridica pubblica, cioè ad un’entità che, in forza della stessa disposizione divina (persona
morale), o costituita dal diritto oppure dalla competente autorità ecclesiastica (persona giuridica), svolge nomine Ecclesiae compiti di rilevanza istituzionali, coinvolgendo, benché non
direttamente, la responsabilità dell’autorità ecclesiastica. Ciò spiega e giustifica la particolare
intensità dei controlli previsti dal diritto: mediante la vigilanza sui beni, si verifica, almeno
in qualche modo, l’attività del soggetto giuridico cui essi appartengono» (A. PERLASCA, La
capacità patrimoniale degli istituti religiosi, cit., pp. 124-125).
8
Sull’argomento si rinvia al contributo di G. BRUGNOTTO, I beni culturali e quelli di interesse
liturgico, di prossima pubblicazione nella rivista.
9
«La qualifica di res sacra o pretiosa non è sostitutiva o comprensiva della qualifica di bene
ecclesiastico. In pratica vi può essere un bene ecclesiastico che è anche una res pretiosa o sacra,
ma vi possono essere res pretiosae o sacrae che non sono beni ecclesiastici» (A. PERLASCA, I beni
delle persone giuridiche private…, cit., p. 390).
10
Ibid., p. 391.
claudia Ambroggi - [email protected]
206
Adolfo Zambon
Altre disposizioni presenti a partire dalla peculiare tipologia di beni
riguardano, a titolo esemplificativo, quanto disposto per le offerte della
Santa Messa (cf cann. 945-958).
Di fatto si è alla presenza di «limitazioni pubbliche della proprietà privata»11, anche se in realtà sembra configurarsi solo un «potere
morale»12, dal momento che oggettivamente mancano i mezzi e le modalità concrete per conoscere tempestivamente tali alienazioni e per esigere,
di conseguenza, quanto prescritto dalla legislazione codiciale.
Le persone giuridiche private
Nell’ordinamento canonico i beni delle persone giuridiche private non sono beni ecclesiastici. Questo tuttavia non esclude che tali
persone giuridiche operino ugualmente «sotto la vigilanza dell’autorità
ecclesiastica»13 competente. Tale vigilanza si radica nella «dimensione
ecclesiale» di detti enti, in quanto «essi sono destinati al perseguimento
di fini ecclesiali, appartengono a soggetti eretti in persona giuridica dalla
competente autorità della Chiesa e per questo sono sotto il controllo e
la vigilanza della stessa»14. Questo giustifica la situazione peculiare dei
loro beni, che
«non sono beni ecclesiastici nel senso tecnico del termine ma non sono neppure beni completamente estranei alla missione della Chiesa, e, quindi,
alla sua legittima autorità. Le persone giuridiche private, infatti, benché
non inserite nell’organizzazione ufficiale della Chiesa, sono propriamente
Chiesa. Sorge così il diritto di vigilanza da parte dell’autorità ecclesiastica
J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, Milano 20082, p. 47. L’autore esemplifica la distinzione tra bene ecclesiastico e res sacra nei seguenti termini: «la categoria canonica
di bene ecclesiastico non deriva dalla classificazione quale res sacra ma dalla natura (pubblica
o meno) della persona giuridica ecclesiastica titolare. Un calice appartenente a un sacerdote
o facente parte del materiale di una cappella privata, ad esempio, sarà un bene sacro privato.
Comunque, la relazione col culto attribuisce loro una peculiare dignità che il diritto canonico tutela, anche nei confronti della legge civile, per mezzo di un regime amministrativo
proprio. Si parla di limitazioni pubbliche della proprietà privata» (L. cit.).
12
A. PERLASCA, I beni delle persone giuridiche private…, cit., p. 390.
13
V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, Bologna 20112, p. 44.
14
Ibid., p. 123. A partire da tale caratteristica dei beni della persona giuridica privata, non
manca chi suggerisce la terminologia, a mio avviso non totalmente soddisfacente, di «bene
ecclesiale privato». La scelta di tale espressione intenderebbe esprimere «adeguatamente la
natura di questi mezzi: anche se non gestiti ufficialmente in nome della Chiesa, devono essere adoperati per scopi ecclesiali, a norma degli statuti propri, e sotto la vigilanza dell’autorità
ecclesiastica competente» (J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, cit., p. 38).
Su tale proposta, cf V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., pp. 43-44.
11
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
207
sulle persone giuridiche private, in particolare, sull’adeguamento delle
loro attività patrimoniali ai fini ecclesiastici»15.
Il legame con l’autorità ecclesiastica si evidenzia nella stessa concessione della personalità giuridica. Infatti, «tali beni sono pur sempre
destinati al conseguimento delle finalità della Chiesa. Precisamente per
il fatto che la personalità giuridica privata è sempre concessa dall’autorità ecclesiastica sulla scorta di valutazioni di opportunità e necessità,
si giustifica il controllo e la vigilanza che quest’ultima esercita sui beni
stessi»16. Lo stesso riconoscimento dello statuto, pur in mancanza di concessione della personalità giuridica privata (come può accadere per una
associazione privata di fedeli), rende manifesto il legame con l’autorità
ecclesiastica e la sua conseguente attività di vigilanza (cf can. 325 § 117).
Gli stessi statuti, infatti, «non sono semplice volontà privata, ma sono
espressione di un unum sentire con la Chiesa, essendo approvati da parte
delle competenti autorità ecclesiastiche»18.
I medesimi statuti, poi, reggono la persona giuridica privata, e a essi
bisogna fare riferimento per quanto riguarda i beni temporali. Questi,
infatti, sono amministrati in base agli statuti propri di ciascuna persona
giuridica, e non dai canoni del libro V del Codice di diritto canonico, a
meno che non sia disposto espressamente altro (cf can. 1257 § 2)19. L’aA. PERLASCA, I beni delle persone giuridiche private…, cit., p. 389.
Ibid., p. 384.
17
«L’associazione privata di fedeli amministra liberamente i beni che possiede, secondo le disposizioni degli statuti, salvo il diritto dell’autorità ecclesiastica competente di vigilare perché
i beni siano usati per i fini dell’associazione». Relativamente agli enti delle associazioni senza
personalità giuridica e, in generale, ai «beni degli enti non personificati», in effetti, «non si
può non vedere nell’ordinamento canonico l’esistenza di alcune realtà che, anche se non sono
formalmente personificate, sono soggetti di rapporti giuridici, hanno obblighi e diritti (così
viene stabilito esplicitamente dal can. 310 per le associazioni private). E tali realtà godono
di beni temporali per il raggiungimento dei loro fini. Ora, il legislatore non si è preoccupato
di conferire un regime concreto a tali beni, per cui non rimane che la necessità di valutare
prudenzialmente, nelle concrete fattispecie, le situazioni di giustizia che su di essi si vengono
a creare. Certamente, l’ambita sicurezza nel traffico giuridico richiederebbe forse qualcos’altro, qualche specificazione, ma giova anche ricordare che la sicurezza legale lavora spesso
contro la necessaria autonomia, restringe, per così dire, gli ambiti di libertà. La flessibilità
caratteristica dell’ordinamento della Chiesa permette la sopravvivenza di “contraddizioni” di
questo genere, che manifestano anche la sua vitalità» (J. M IÑAMBRES, I beni ecclesiastici: nozione,
regime giuridico e potere episcopale [cann. 1257-1258], in A A.VV., I beni temporali della Chiesa, Città
del Vaticano 1999, p. 14).
18
A. PERLASCA, I beni delle persone giuridiche private…, cit., p. 387.
19
Sul significato del termine expresse si rinvia a J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale
canonico, cit., p. 41: «I termini “nisi expresse aliud caveatur” devono intendersi in senso ampio,
giacché “expresse” è distinto da “esplicite”. Per introdurre un’eccezione espressa, basterebbe
15
16
claudia Ambroggi - [email protected]
208
Adolfo Zambon
zione di vigilanza, in particolare quella svolta sulla corretta amministrazione, comporta, pertanto, la necessità di prestare attenzione particolare
agli statuti di tali persone giuridiche, soprattutto su tali aspetti specifici.
Un ulteriore compito cui prestare attenzione è la devoluzione dei beni
conseguente all’estinzione dell’ente. È stato osservato che
«un punto al quale spesso non si presta soverchia attenzione nella redazione e nell’approvazione degli statuti è il destino dei beni in caso di estinzione dell’ente. Per le persone giuridiche pubbliche non ci sono problemi
in quanto il can. 123 stabilisce che i beni, i diritti patrimoniali e gli oneri
– salvi sempre la volontà dei fondatori e degli offerenti, come pure i diritti
acquisiti – sono regolati dal diritto e dagli statuti: se questi tacciono essi
vanno alla persona giuridica immediatamente superiore (per esempio, i
beni di una parrocchia legittimamente soppressa vanno alla diocesi). Per
le persone giuridiche private invece – recita lo stesso can. 123 – “la destinazione dei beni e degli oneri patrimoniali è retta dagli statuti propri”. È
quindi del tutto ovvia l’importanza di indicare negli statuti delle persone
giuridiche private la destinazione dei beni in caso di estinzione dell’ente.
Anzi, sarebbe bene indicare esplicitamente l’ente al quale si intendono devolvere i beni in caso di estinzione: in genere si tratta di enti che svolgono
attività identiche o simili a quelle dell’ente interessato»20.
Particolare attenzione dovrebbe esserci anche per gli statuti delle
associazioni private di fedeli, in quanto anche queste possono avere dei
beni con «finalità ecclesiale». Infatti,
«il can. 215 riconosce ai fedeli il diritto di costituire liberamente e di dirigere associazioni “che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure
l’incremento della vocazione cristiana nel mondo”. […] I loro beni non
sono ecclesiastici ma, in quanto sono al servizio delle finalità associative,
hanno una qualche dimensione ecclesiale. Essi devono quindi essere
amministrati a norma degli statuti e l’autorità ecclesiastica deve vigilare
perché siano effettivamente destinati per i fini istituzionali; in modo par-
una qualsiasi manifestazione della volontà del legislatore, sia implicita che esplicita. In questo senso, ogni norma destinata alle persone giuridiche in genere soddisfa il requisito della
formulazione codiciali “expresse”. Esempi di applicazione di norme codiciali alle persone
giuridiche private sono, fra l’altro, il potere del vescovo diocesano di imporre un tributo per il
seminario anche alle persone giuridiche private, tranne in qualche fattispecie (cf. can. 1263).
Si pensi anche all’autorizzazione episcopale per organizzare una questua (cf. can. 1265) e alla
presunzione secondo cui qualsiasi offerta fatta al superiore o all’amministratore è destinata
all’ente (cf. can. 1267)».
20
A. PERLASCA, I beni delle persone giuridiche private…, cit., pp. 392-393.
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
209
ticolare sottostanno alla vigilanza dell’ordinario i beni ricevuti in favore di
cause pie (can. 325). In caso di estinzione, i beni devono essere devoluti a
norma degli statuti, salvi i diritti acquisiti e la volontà degli offerenti (can.
326)»21.
Le persone giuridiche precedenti il Codice vigente
Sembra opportuno, prima di concludere questa parte, accennare
alla situazione delle persone giuridiche preesistenti l’entrata in vigore del
Codice del 1983. Infatti, il Codice pio-benedettino non prevedeva la distinzione tra persona giuridica pubblica e privata. Beni ecclesiastici erano
considerati quelli appartenenti alla Sede Apostolica o ad altra persona
morale nella Chiesa (can. 1497 § 1). «Non erano invece ritenuti beni ecclesiastici quelli appartenenti ad associazioni ecclesiastiche, che, pur approvate dall’autorità della Chiesa, non fossero state erette in persona morale,
benché la stessa autorità si riservasse una certa competenza su tali beni,
a motivo dei fini spirituali che dette associazioni perseguivano»22.
In linea generale, con specifico riferimento alle persone giuridiche
(morali) preesistenti il Codice vigente, è stato affermato che
«dovrebbe trattarsi di persone giuridiche pubbliche, sottoposte ai controlli dell’autorità ecclesiastica previsti per questa tipologia di soggetti. Si
dovrà, però, valutare caso per caso, attraverso un sereno confronto con
la competente autorità ecclesiastica, se, alla luce della nuova possibilità
offerta dal CIC del 1983, non sia più opportuno, in ragione delle finalità
effettivamente perseguite o delle modalità di azione esperite, passare dalla
personalità giuridica pubblica a quella privata»23.
V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., p. 125.
Ibid., p. 42.
23
A. PERLASCA, Personalità giuridica e aspetti patrimoniali, cit., p. 56. Per completezza, si accenna
alla Circolare n. 28 del Comitato per gli enti e i beni ecclesiastici e per la promozione del
sostegno economico alla Chiesa cattolica, del 1° marzo 1999, avente per oggetto Indirizzi per
la definizione della condizione giuridica delle confraternite. La Circolare prende in considerazione
la situazione giuridica (dal punto di vista civile e canonico) delle confraternite aventi fine di
culto civilmente riconosciuto oppure aventi fine di assistenza e beneficenza, oppure aventi
fine di culto non ancora riconosciuto formalmente. Soffermandosi sulla seconda tipologia, al
n. 4 la Circolare ricorda che «le confraternite fino all’entrata in vigore del nuovo codice erano
qualificate come persone giuridiche pubbliche: non solo perché il codice pio-benedettino
non prevedeva le associazioni private, ma anche per la ragione specifica che esse avevano
come fine l’incremento del culto pubblico e non potevano essere erette se non con formale
decreto dell’autorità ecclesiastica competente (cf. cann. 707-708 del codice del 1917)». Dopo
aver accennato alla distinzione tra associazioni pubbliche e private introdotta dal Codice
vigente, si afferma «la possibilità di qualificare come associazioni private di fedeli talune
21
22
claudia Ambroggi - [email protected]
210
Adolfo Zambon
Si potrebbe quindi porre, qualora ci fossero gli elementi, il «problema della riqualificazione secondo le categorie dell’attuale ordinamento
canonico delle persone morali costituite nel regime del CIC del 1917 e
tuttora esistenti»24.
L’amministrazione dei beni ecclesiastici
Il concetto di amministrazione
La capacità giuridica di agire, nell’ambito dei beni temporali, della
Chiesa universale, della Sede Apostolica, delle Chiese particolari e di tutte le altre persone giuridiche, pubbliche e private, è descritta dal can. 1255
tramite quattro verbi: acquistare, possedere, amministrare e alienare. I
primi tre titoli del libro V (il quarto è dedicato alle pie volontà in genere
e pie fondazioni) riprendono tali termini: l’acquisto dei beni (titolo I), la
loro amministrazione (titolo II), i contratti e specialmente l’alienazione
(titolo III). Non si riprende in modo specifico il “possedere”, in quanto
è l’esito dell’acquisto di un bene e il presupposto dell’amministrazione.
L’amministrazione di un bene si pone tra due azioni: la sua acquisizione e la sua alienazione. Pertanto, l’amministrazione
«in senso rigoroso, si distingue sia dall’acquisto dei beni che dalla loro
alienazione: essa ha infatti per oggetto i beni ecclesiastici di cui è titolare la persona giuridica che li ha legittimamente acquisiti. Questi non
sono ecclesiastici e non possono pertanto essere amministrati finché non
appartengono alla Chiesa, direttamente o attraverso la sede apostolica,
oppure per il tramite delle molteplici persone giuridiche pubbliche (cf.
can. 1257, § l)»25.
L’acquisto di un bene dice, quindi, relazione a un bene che si intende far entrare nel dominio del soggetto, mentre l’amministrazione fa
riferimento a un bene che è già entrato nel patrimonio di un determinato
soggetto giuridico. Acquisto e amministrazione non sono tuttavia disgiunte. Infatti, all’acquisto segue la possibilità/necessità di amministrare
il bene. Inoltre, l’acquisto, a titolo oneroso, di un bene richiede alcune
confraternite che in passato erano state qualificate pubbliche, sempreché esse abbiano le
connotazioni proprie dell’associazione privata (cf. cann. 298-311 e 321-326)», esplicitandone
le eventuali conseguenze nell’ordinamento canonico, specie «qualora la confraternita abbia
una propria chiesa».
24
A. PERLASCA, Personalità giuridica e aspetti patrimoniali, cit., p. 56.
25
V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., p. 175.
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
211
scelte amministrative previe, quali l’utilizzo di alcune risorse per poter
procedere all’acquisto. Proprio per tale stretto legame tra acquisto e amministrazione, «nella pratica, l’acquisto viene considerato un atto di amministrazione, anche se straordinaria, quando è al di là di certi limiti»26.
Anche un atto di alienazione non coincide con l’amministrazione, in
quanto rappresenta l’esito finale di un processo decisionale concernente
la non conservazione della proprietà di un determinato bene che, quindi,
dopo l’alienazione, non è più oggetto di attività di amministrazione da
parte della specifica persona giuridica che ne aveva il possesso.
Poste tali precisazioni, nella presente comunicazione ci soffermeremo sugli atti di amministrazione in senso lato, comprendendo quindi sia
gli atti di acquisto sia quelli di alienazione, nella misura in cui riguardano
sia l’amministrazione dei beni sia il compito di vigilanza dell’ordinario.
Oltre a quanto appena detto, si deve anche ricordare che «il termine “amministrare” non è univoco»27. Infatti, ha una «duplice valenza
semantica». La prima si riferisce, nell’ambito del potere di giurisdizione,
a quella funzione propria dell’autorità ecclesiastica di porre atti di governo
nel rispetto della legge; la seconda, nell’ambito economico, indica l’azione
che mira a conservare, far fruttare e migliorare il patrimonio28. Le due
accezioni del termine, più che opporsi nella loro valenza, si richiamano
tra loro. Infatti, anche «l’amministrazione dei beni rientra nel campo del
potere di governo. La nozione di amministrazione è di fatto presentata
come “governo delle cose”, accanto al governo delle persone»29.
Gli atti di amministrazione ordinaria e straordinaria
Nell’amministrazione dei beni si possono porre atti di amministrazione ordinaria o straordinaria (cf can. 1277). Questi ultimi oltrepassano
i limiti e le modalità dell’amministrazione ordinaria (cf can. 1281). Spetta
agli statuti stabilire quali siano gli atti di straordinaria amministrazione;
se questi non li specificano, oppure in assenza di statuti, «spetta al Vescovo diocesano, udito il consiglio per gli affari economici, determinare
tali atti per le persone a lui soggette» (can. 1281 § 2). La Conferenza Epi-
Ibid., p. 177.
J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, cit., p. 14.
28
Cf PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Nota esplicativa La funzione dell’autorità
ecclesiastica…, cit., n. 4.
29
V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., p. 71.
26
27
claudia Ambroggi - [email protected]
212
Adolfo Zambon
scopale, invece, stabilisce quali atti debbano ritenersi di amministrazione
straordinaria per la diocesi.
L’espressione “amministrazione ordinaria” indica quell’insieme di
attività, di spettanza dell’amministratore, che concerne la «gestione normale e priva di rischi per la stabilità patrimoniale dell’ente»30, ossia la «gestione
quotidiana»31 dei beni dell’ente.
Volendo specificare alcuni criteri per individuare un atto di amministrazione straordinaria, che quindi supera i limiti e le modalità dell’amministrazione ordinaria, si possono indicare
«la quantità, i rischi di perdita; l’incidenza che l’atto può avere sulla sostanza o solamente sui frutti; pericoli sulla stabilità dello stesso patrimonio; la natura della cosa oggetto dell’atto di amministrazione e del servizio
che viene prestato; la modalità e la complessità del negozio; il valore della
cosa; la durata dei tempi di esecuzione; l’incertezza dei risultati economici;
la consistenza patrimoniale, economica e finanziaria della stessa persona
giuridica ecc.»32.
Per favorire la certezza giuridica, e la retta amministrazione, è fondamentale che tali atti siano ulteriormente specificati nel diritto proprio
o negli statuti o comunque dall’autorità competente. Ne consegue che
è necessario prestare attenzione alla formulazione degli statuti, che, se
presenti, devono specificare con precisione quali siano gli atti di straordinaria amministrazione. Anche la corretta formulazione del decreto
del vescovo diocesano, di cui al can. 1281 § 2, che stabilisce gli atti di
straordinaria amministrazione per le persone giuridiche a lui soggette,
aiuta a garantire la corretta amministrazione dell’ente e la funzione di
vigilanza propria del vescovo diocesano.
L’Istruzione in materia amministrativa della Conferenza Episcopale Italiana [= IMA], al n. 66, esplicita alcuni atti di straordinaria amministrazione che sarebbe opportuno inserire nel decreto del vescovo diocesano,
al fine di garantire un «criterio uniforme» tra le singole diocesi. L’allegato
c) della medesima Istruzione, inoltre, specifica ulteriormente tali atti di
straordinaria amministrazione, che possono utilmente essere inseriti
nel decreto di cui al can. 1281 § 2, ponendo anche peculiare attenzione
agli istituti diocesani per il sostentamento del clero. Si ricorda, inoltre,
che per porre validamente un atto di straordinaria amministrazione si
J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, cit., p. 141. Il corsivo è nel testo.
V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., p. 182.
32
L. cit.
30
31
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
213
richiede l’autorizzazione scritta dell’ordinario del luogo (cf can. 1281
§ 1), allegando il parere del consiglio per gli affari economici dell’ente,
che quindi deve essere preliminarmente consultato dall’amministratore
dell’ente medesimo.
Per quanto riguarda la diocesi, la determinazione degli atti di straordinaria amministrazione è affidata alla Conferenza Episcopale. In tal
modo, «la determinazione sarà più facilmente rispondente alle situazioni
locali e potrà essere più duttile al mutare delle circostanze e dunque più
adeguata alle concrete esigenze»33. Per l’Italia, il testo cu riferirsi è costituito dalla Delibera n. 37, del 21 settembre 199034. Per porre tali atti, si
richiede il consenso del consiglio per gli affari economici e del collegio
dei consultori (can. 1277).
Si ricorda, infine, che «l’invalidità o inefficacia canonica non può
essere opposta a terzi che non ne fossero a conoscenza quando derivi
da limitazioni dei poteri di rappresentanza o da omissioni di controlli
canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro
delle persone giuridiche (cf. art. 18 della legge n. 222/1985)» (IMA 75).
Gli atti di maggiore importanza
Il can. 1277 fa riferimento, per la diocesi, anche agli atti di maggiore
importanza. Nonostante pareri diversi35, sembra potersi affermare che si
tratta di specifici atti all’interno dell’ordinaria amministrazione36. Tali
Ibid., p. 196.
La delibera, pubblicata in «Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana» [= NCEI] 24
(1990) p. 205, stabilisce: «Gli atti di straordinaria amministrazione, diversi da quelli previsti dai canoni 1291, 1295 e 1297, per la diocesi e le altre persone giuridiche eventualmente
amministrate dal Vescovo diocesano sono determinati come segue: a) l’alienazione di beni
immobili, diversi da quelli che costituiscono per legittima assegnazione il patrimonio stabile
della persona giuridica, di valore superiore alla somma minima fissata dalla delibera n. 20
[attualmente fissata in e 250.000,00]; b) la decisione di nuove voci di spesa rispetto a quelle
indicate nel preventivo approvato, che comportino una spesa superiore alla somma minima
fissata dalla delibera n. 20; c) l’inizio, il subentro o la partecipazione in attività considerate
commerciali ai fini fiscali; d) la mutazione di destinazione d’uso di immobili di valore superiore alla somma minima fissata dalla delibera n. 20, determinando il valore dell’immobile
attraverso la moltiplicazione del reddito catastale per i coefficienti stabiliti dalla legislazione
vigente in Italia; e) l’esecuzione di lavori di costruzione, ristrutturazione o straordinaria manutenzione per un valore superiore alla somma minima fissata dalla delibera n. 20».
35
Cf, per esempio, J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, cit., p. 139. L’autore,
infatti, distingue tra atti di ordinaria amministrazione, atti di ordinaria amministrazione,
atti di alienazione e assimilati, atti di maggiore importanza.
36
«Ci sembra molto più corretto affermare, sulla scia della dottrina precedente, che si tratta
di atti di amministrazione ordinaria, ma che hanno una particolare procedura dal momen33
34
claudia Ambroggi - [email protected]
214
Adolfo Zambon
atti vanno definiti «attento statu economico dioecesis», lasciando quindi
spazio «alla prudenza del Vescovo, che deve decidere tenendo conto della
situazione economica della diocesi»37. Il fatto che il Codice non indichi
alcun criterio specifico circa la determinazione di tali atti non può far
ritenere che «ci si trovi di fronte a una “lacuna legis”, perché il canone,
pur non definendo quali siano gli atti di “maggiore rilievo”, specifica
comunque che essi rientrano nell’ambito dell’“ordinaria amministrazione”». Piuttosto, si è preferito lasciare «una certa discrezionalità», in
quanto, nell’ambito degli atti di ordinaria amministrazione,
«non tutti gli atti sono da considerarsi di lieve entità, a volte, alcuni di essi,
pur essendo al di fuori della straordinarietà, possono modificare lo stato
economico e patrimoniale della diocesi o della persona giuridica, perché
sono da ritenersi di grande importanza. Mediante questo criterio può verificarsi che negozi giuridici di poca importanza per un ente ecclesiastico,
assumono grande rilevanza per un altro, perché modesto, o perché si è
creata in esso una situazione economica instabile»38.
Lo stesso can. 1277 stabilisce che per porre tali atti di maggiore
importanza il vescovo diocesano deve udire il consiglio per gli affari economici e il collegio dei consultori, agendo in modo conforme a quanto
previsto dal can. 127 per la richiesta del parere. A tal proposito, è opportuno osservare che il consiglio per gli affari economici «ha particolarmente il compito di evidenziare gli aspetti tecnici, economico-finanziari
dell’atto che il vescovo intende porre»; il collegio dei consultori, invece,
ha il compito particolare «di valutare gli aspetti pastorali dello stesso.
L’atto di amministrazione infatti non può non avere anche risvolti di
quest’ultimo tipo». Inoltre, «il vescovo può necessitare del parere o del
consenso di altri enti, gruppi oppure di singole persone, in base al diritto
universale, a quello proprio o alle tavole di fondazione. Anche in questi
casi trova applicazione il can. 127»39.
to che, proprio all’interno della categoria di atti di amministrazione ordinaria, hanno una
maggiore importanza dato lo stato economico della persona giuridica. Del resto il c. 1277 li
oppone agli atti di amministrazione straordinaria» (V. DE PAOLIS, Negozio giuridico «quo condicio
patrimonialis personae iuridicae peior fieri possit» [cf. c. 1295], in «Periodica de re canonica» 83
[1994] 497, nota 2). Cf inoltre I D., I beni temporali della Chiesa, cit., p. 183.
37
A. LONGHITANO, L’amministrazione dei beni: la funzione di vigilanza del Vescovo diocesano (cann.
1276-1277 CIC), in A A.VV., I beni temporali della Chiesa, Città del Vaticano 1999, p. 100.
38
A. VIZZARRI, L’amministrazione dei beni ecclesiastici, in A A.VV., I beni temporali della Chiesa, a cura
del Gruppo italiano docenti di diritto canonico, Milano 1997, pp. 77-78.
39
V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., p. 197.
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
215
Gli atti di alienazione e quelli potenzialmente peggiorativi
Oltre agli atti di amministrazione ordinaria e straordinaria, appena
ricordati, ci sono gli atti di alienazione e quelli potenzialmente peggiorativi della situazione patrimoniale dell’ente (cf cann. 1291-1295). A tal
proposito, è utile porre tre premesse.
La prima è costituita dalla distinzione del concetto di alienazione
rispetto a quello di amministrazione, inteso in senso proprio o stretto,
come evidenzia la stessa sistematica del libro V, che colloca in due titoli
diversi l’amministrazione e l’alienazione. Oltre al fatto che il Codice
regola, in modo diverso, l’alienazione rispetto agli atti di straordinaria
amministrazione, occorre considerare che
«la legislazione relativa all’alienazione […] risponde a esigenze diverse
rispetto a quella stabilita per gli atti di amministrazione straordinaria.
Con l’alienazione, qualora questa non sia fatta nei confronti di un’altra
persona giuridica canonica pubblica, i beni cessano di essere ecclesiastici
e ritornano al campo profano, cioè non sono più al servizio della Chiesa.
Da questo punto di vista, la legislazione in proposito è nata in funzione
proprio di proibire l’alienazione dei beni ecclesiastici. Una caratteristica
di questi è infatti la sacralità e perciò l’inalienabilità. Con il passare del
tempo si è tuttavia riconosciuta la necessità che, in alcuni casi, i beni
ecclesiastici possano essere alienati: ciò deve però avvenire sotto il controllo dell’autorità superiore e a determinate condizioni. Si è in tal modo
progressivamente formato quel sistema normativo circa l’alienazione dei
beni ecclesiastici che, pur con diverse innovazioni, rimane anche nel
vigente Codice. Essa è riportata sotto il titolo “I contratti e specialmente
l’alienazione” (cann. 1290-1298). In questo caso, la Chiesa non “canonizza” semplicemente la legge civile, ma dà proprie disposizioni normative»40.
Inoltre,
«a chi obiettava perché nel can. l254, § l fosse stato aggiunto anche il
verbo “alienare”, la Commissione per la revisione del Codice rispose che
tale introduzione era dovuta precisamente al fatto che l’amministrare
non include l’alienare. Diversa, inoltre, è la regolamentazione degli atti di
amministrazione, anche straordinaria, rispetto a quelli di alienazione. Il
can. 1277 prevede la determinazione degli atti di amministrazione straordinaria per la diocesi da parte della conferenza episcopale e il can. 1281, §
2 da parte del vescovo diocesano per le persone giuridiche a lui soggette;
40
Ibid., pp. 184-185.
claudia Ambroggi - [email protected]
216
Adolfo Zambon
per l’alienazione invece vi provvede il can. l292. Per quest’ultima, poi,
è prevista anche la necessità della licenza, oltre certi limiti, della stessa
Santa Sede; tale requisito non esiste invece per gli atti di amministrazione
anche se straordinaria. È necessario pertanto che sull’alienazione si faccia
non solo un discorso a parte, ma anche più ampio, data la speciale regolamentazione contenuta nel Codice»41.
La seconda premessa è costituita dal fatto che l’alienazione, per la
quale è richiesta la licenza per la validità dell’atto, deve riguardare un bene facente parte del patrimonio stabile della persona giuridica pubblica, il
cui valore supera la somma minima stabilita dalla Conferenza Episcopale
per la propria regione (can. 1292 § 1)42.
Infine, il concetto di alienazione può essere inteso in senso stretto
o in senso lato:
«in senso stretto esso si realizza ogniqualvolta si trasferisce il dominio
diretto su di un bene da una persona giuridica canonica pubblica ad un
altro titolare. In senso lato quando, pur senza realizzarsi un trasferimento
di dominio diretto sulla cosa, si concede un diritto reale sulla stessa, per
modo che il dominio diretto ne risulti diminuito»43.
Il Codice fa riferimento a entrambi i significati del concetto di
alienazione: il can. 1291 riguarda l’alienazione in senso stretto, mentre
il can. 1295 l’alienazione in senso lato. I cann. 1291-1294 presentano i
requisiti che devono essere osservati non solo per l’alienazione, ma anche
in qualunque affare che intacchi il patrimonio della persona giuridica
peggiorandone la situazione44.
È opportuno precisare che non tutti gli atti di straordinaria amministrazione rientrano tra quelli che potenzialmente possono peggiorare
la situazione patrimoniale dell’ente, ma solamente «quelli che hanno
delle somiglianze con l’alienazione, nel senso anche che si riferiscono a
beni che fanno parte del patrimonio stabile e che hanno per oggetto un
diritto reale»45. A partire da questo, è possibile specificare che
Ibid., p. 242.
Resta in facoltà al vescovo far rientrare tra gli atti di straordinaria amministrazione, di cui
al can. 1281 § 2, l’alienazione di beni mobili o immobili di qualunque valore o di un valore
inferiore alla somma minima stabilita dalla Conferenza episcopale.
43
A. PERLASCA, Alienazioni e altri atti potenzialmente pregiudizievoli nei monasteri sui iuris e negli
istituti religiosi di diritto pontificio (can. 638 § 4), in QDE 22 (2009) 144-145.
44
Cf V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., p. 248.
45
A. PERLASCA, Alienazioni e altri atti potenzialmente pregiudizievoli…, cit., p. 146.
41
42
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
217
«non trattandosi di un criterio teorico, occorrerà esaminare il negozio e
valutare in concreto se sia effettivamente in grado di peggiorare il patrimonio
della persona giuridica. Non basterebbe, in conseguenza, un pericolo
puramente potenziale derivato da elementi accidentali all’atto stesso (come può verificarsi, ad es., in qualsiasi atto di acquisto). Possiamo, invece,
pensare a numerosi e assai vari atti che, senza costituire un’alienazione
propriamente detta, sono suscettibili di limitare il patrimonio (costituzione d’una servitù su una proprietà ecclesiastica o, inversamente, rinuncia
ad una servitù attiva su beni altrui) o di metterlo in pericolo (dazione ipotecaria d’un bene ecclesiastico, accettazione d’una successione gravata da
importanti oneri, assunzione di personale per lavorare al servizio di una
persona giuridica titolare di un patrimonio limitato, ecc.)»46.
Si tratta, quindi, di una situazione patrimoniale della persona giuridica che può peggiorare non solo a causa di un atto di alienazione, ma
anche a motivo di altri negozi giuridici onerosi con cui si cedono vantaggi
vincolanti che ne peggiorano la situazione patrimoniale, come è la concessione di una servitù, di un usufrutto, oppure un’ipoteca47.
Il Codice, nel titolo dedicato ai contratti e in particolare all’alienazione, fa esplicito riferimento alla locazione: benché non faccia sorgere
diritti reali, può essere un negozio peggiorativo della situazione patrimoniale della persona giuridica, a seconda delle circostanze e dei luoghi.
Per questo, il can. 1297 rinvia alla Conferenza Episcopale stabilire norme
per la locazione dei beni della Chiesa. Nella situazione italiana, si rinvia
alla delibera n. 38, del 21 settembre 199048, a partire dalle «circostanze
J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, cit., pp. 145-146.
Cf A. PERLASCA, Commento al can. 1295, in Codice di diritto canonico commentato, a cura della
Redazione di QDE, Milano 20093, p. 1028. Per la contrazione di debiti, cf V. DE PAOLIS, I beni
temporali della Chiesa, cit., p. 248. Sul concetto di atto potenzialmente peggiorativo, si rinvia
alle pagine 258-281 del medesimo volume.
48
La delibera n. 38, pubblicata in NCEI 24 (1990) 206, stabilisce: «art. 1. Per la valida stipulazione di contratti di locazione di immobili di qualsiasi valore appartenenti a persone
giuridiche pubbliche soggette al Vescovo diocesano, ad esclusione dell’Istituto per il sostentamento del clero, è necessaria la licenza scritta dell’Ordinario diocesano. art. 2. Per la
valida stipulazione di contratti di locazione di immobili appartenenti all’Istituto diocesano
per il sostentamento del clero, di valore superiore alla somma minima fissata dalla delibera
n. 20, è necessaria la licenza scritta dell’Ordinario diocesano. art. 3. Per la valida stipulazione
di contratti di locazione di immobili appartenenti alla diocesi o ad altra persona giuridica
amministrata dal Vescovo diocesano, di valore superiore alla somma minima fissata dalla
delibera n. 20, è necessario il consenso del consiglio per gli affari economici e del collegio dei
consultori, eccetto il caso che il locatario sia un ente ecclesiastico. art. 4. Il valore dell’immobile da locare è determinato moltiplicando il reddito catastale per i coefficienti stabiliti
dalla legge vigente in Italia».
46
47
claudia Ambroggi - [email protected]
218
Adolfo Zambon
di diritto e di fatto che si verificano in Italia in materia locativa e che
possono dare origine a conflitti tra locatore e conduttore. Si tenga conto
che, in caso di vendita, un immobile locato subisce un deprezzamento»
(IMA 67).
Si deve inoltre ricordare che sono sottoposti a necessità della licenza
non solo i casi in cui il peggioramento dello stato patrimoniale sia certo.
Infatti, se così fosse, l’autorità competente a concedere la licenza
«sarebbe chiamata non più ad un controllo, ma solamente ad avallare o
meno i casi di sicuro peggioramento. Il che invece è quanto positivamente
si vuole escludere con il controllo; esso esiste proprio per verificare che i
negozi giuridici che sono di tale natura che possono anche compromettere
la situazione patrimoniale di una persona giuridica, di fatto non la danneggiano. Il controllo, se deve esserci e perché abbia senso, ha proprio la
funzione di impedire, fin dove è possibile, che si compiano negozi, a causa
dei quali “condicio patrimonialis personae iuridicae peior fit”»49.
Volendo fornire uno sguardo sintetico a quanto finora detto, si può
dire che
«oltre agli atti di amministrazione ordinaria, esistono quelli di amministrazione straordinaria che il Codice regola sotto il titolo dell’amministrazione dei beni ecclesiastici. Esiste poi una categoria di atti che il Codice
regola in modo specifico, distintamente da quelli di amministrazione
straordinaria, in quanto il loro scopo è quello di preservare, mediante
un particolare controllo tra cui anche l’intervento della Santa Sede, il
patrimonio stabile della persona giuridica: sono gli atti di alienazione, sia
in senso stretto o proprio che in senso improprio o lato. Questi atti, al
limite, possono anche essere chiamati di amministrazione straordinaria,
ma devono essere ricondotti a una speciale categoria, in quanto hanno
per oggetto, in un modo o nell’altro, il patrimonio stabile e sono pertanto
fatti oggetto di una particolare regolamentazione. Il Codice, di fatto, li
distingue dagli atti di amministrazione straordinaria in genere. Li indica,
anzi, con un’altra denominazione e li regola in modo proprio e autonomo.
In particolare, la Santa Sede in forza del diritto universale non ritiene opportuno intervenire negli atti di amministrazione straordinaria in genere.
49
M. M ARCHESI, La Santa Sede e i beni ecclesiastici, in A A.VV., I beni temporali della Chiesa, Milano
1997, p. 126, citato in A. PERLASCA, Alienazioni e altri atti potenzialmente pregiudizievoli…, cit.,
pp. 145-146, nota 15.
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
219
Reputa però necessario tale intervento quando si tratta di atti che toccano
il patrimonio stabile»50.
I criteri dell’amministrazione
Sembra opportuno specificare anche alcuni aspetti specifici riferiti
alla corretta amministrazione dei beni della Chiesa.
In primo luogo, è opportuno ricordare i cinque criteri di amministrazione elencati al n. 190 del Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi
“Apostolorum Successores”, della Congregazione per il clero51:
– criterio della competenza pastorale e tecnica, per usufruire del
contributo di persone competenti oltre che oneste, esempio di
trasparenza nell’amministrazione;
– criterio della partecipazione, coinvolgendo nelle decisioni gli
organismi di partecipazione presenti, quali il consiglio presbiterale per la diocesi e il consiglio per gli affari economici nella
parrocchia;
– criterio ascetico, ossia capacità di essere moderati e disinteressati, fiduciosi nella divina provvidenza e generosi con chi è nel
bisogno;
– criterio apostolico, utilizzando i beni come strumento al servizio
dell’evangelizzazione e della catechesi;
– criterio della diligenza del buon padre di famiglia, responsabile
e capace nel condurre l’amministrazione. Tale diligenza indica
l’attenzione, la prudenza, la perizia richiesta all’uomo medio per
svolgere, in via normale, una certa attività (cf can. 1284 § 1).
Essa, quindi, varia in rapporto all’importanza di ciò che si deve
compiere e vale a evitare sia la trascuratezza sia inutili sensi di
colpa e rimorsi di coscienza.
Il secondo aspetto è relativo alla trasparenza nell’amministrazione.
A tal proposito, una nota dell’Episcopato italiano Sostenere la Chiesa per
servire tutti, pubblicata il 4 ottobre 200852 a vent’anni dall’entrata a regime
V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., p. 281. Cf I D., Negozio giuridico «quo condicio
patrimonialis…, cit., pp. 527-528.
51
Il testo fa specifico riferimento al vescovo e alla diocesi. Si ritiene, tuttavia, che fornisca
criteri significativi per ogni amministratore di beni ecclesiastici.
52
Il testo è reperibile in NCEI 42 (2008) 112-122.
50
claudia Ambroggi - [email protected]
220
Adolfo Zambon
del nuovo sistema di finanziamento della Chiesa e di sostentamento del
clero, afferma:
«Amministrare i beni della Chiesa esige chiarezza e trasparenza. Ai fedeli
che contribuiscono con le loro offerte, agli italiani che firmano per l’otto
per mille, alle autorità dello Stato e all’opinione pubblica abbiamo reso
conto in questi anni di come la Chiesa ha utilizzato le risorse economiche
che le sono state affidate. Siamo fermamente intenzionati a continuare
su questa linea, cercando, se possibile, di essere ancora più precisi e
dettagliati. Nelle nostre comunità si è sviluppata infatti una mentalità
gestionale più attenta e una maggiore sensibilità all’informazione contabile. Su questo fronte, tuttavia, dobbiamo ancora crescere: ogni comunità
parrocchiale ha diritto di conoscere il suo bilancio contabile, per rendersi
conto di come sono state destinate le risorse disponibili e di quali siano
le necessità concrete della parrocchia, perché sia all’altezza della sua missione» (n. 10).
I beni ecclesiastici vanno amministrati rettamente, come esige la
loro natura stessa, a norma delle leggi ecclesiastiche53, secondo i fini
per cui alla Chiesa è lecito possedere e a partire dagli ordinamenti della
Chiesa (cf Presbyterorum ordinis 17). Infatti, «personalmente inserito nella
vita della comunità e responsabile di essa, il sacerdote deve offrire anche
la testimonianza di una totale “trasparenza” nell’amministrazione dei
beni della comunità stessa, che egli non tratterà mai come fossero un
patrimonio proprio, ma come cosa di cui deve rendere conto a Dio e ai
fratelli, soprattutto ai poveri» (Pastores dabo vobis 30) 54.
53
IMA 59 ricorda come la retta amministrazione dei beni ecclesiastici «non può comunque
sottrarsi alle esigenze di una sana organizzazione», come riassunto in alcuni adempimenti
previsti dal Codice: la redazione del verbale di consegna e riconsegna dei beni, compresi
quelli culturali, con relativo inventario (cf can. 1283, 2°); l’accensione di idonee garanzie
contro i rischi, tramite assicurazioni (cf can. 1284 § 2, 1°); la tenuta delle scritture contabili
(cf can. 1284 § 2, 7°); la presentazione dello stato di previsione (cf can. 1284 § 3); la presentazione del rendiconto annuale all’ordinario del luogo (cf can. 1284 § 2, 8°; 1284 § 3) e, secondo
le norme del diritto particolare, del rendiconto ai fedeli delle offerte da loro ricevute (cf can.
1287 § 2); catalogazione e conservazione dei documenti (cf can. 1284 § 2, 9°).
54
«Vorrei soffermarmi in particolare sul valore della trasparenza, perché, a mio giudizio,
dovrebbe costituire oggi il criterio-guida nell’amministrazione dei beni. [...] Se di onestà e
correttezza non mette punto neppure parlare, trovandoci all’interno di una realtà costituita
dai principi genetici della parola di Dio e dei sacramenti della salvezza, tali atteggiamenti di
fondo devono oggi tradursi anche in una limpida trasparenza di gestione, sia “ad intra” sia
“ad extra”. Oggi se ne sente più che mai l’esigenza: la trasparenza e la visibilità hanno grande
rilevanza etica» (L. M ISTÒ, La responsabilità del vescovo nell’amministrazione dei beni ecclesiastici,
con particolare riferimento alla situazione della Chiesa italiana, in A A.VV., L’esercizio dell’autorità
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
221
In terzo luogo, si richiama l’importanza di un’amministrazione capace di una testimonianza di sobrietà. La semplicità di vita e la povertà
riguardano anzitutto la modalità concreta con cui la Chiesa vive. Infatti,
come affermato al n. 2 del documento della CEI Sovvenire alle necessità
della Chiesa,
«il discorso sulle risorse economiche di cui la Chiesa abbisogna, pur necessario, non può contraddire, anzi deve profondamente intrecciarsi con
l’imperativo evangelico e con la virtù cristiana della povertà, che valgono
non soltanto per i singoli fedeli, ma anche per la realtà istituzionale e per
le modalità d’azione della Chiesa medesima»55.
Lungi dal portare alla sciatteria, questo implica una oculata gestione delle risorse e la cura dei beni di cui si è amministratori. A titolo
esemplificativo, si riporta quanto affermato da IMA 115 con specifico
riferimento al parroco (e ai sacerdoti che vi abitano), invitando ad aver
cura degli immobili della parrocchia:
«Il parroco ha l’obbligo di conservare gli immobili di proprietà della parrocchia con la diligenza del buon padre di famiglia. A tale riguardo è fondamentale programmare ed eseguire una corretta manutenzione ordinaria
di tutti gli immobili (tinteggiatura, verniciatura, sostituzione delle parti
usurate, controlli periodici, ecc.). La manutenzione ordinaria trascurata
comporta, con il trascorrere del tempo, la necessità di intervenire in modo
straordinario e spesso molto oneroso sugli immobili».
nella Chiesa. Riflessioni a partire dall’esortazione apostolica «Pastores gregis», a cura di A. Cattaneo,
Venezia 2004, p. 118).
55
A tal proposito, non si può non ricordare il n. 8 della costituzione apostolica conciliare
Lumen gentium: «Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i
frutti della salvezza. Gesù Cristo “che era di condizione divina... spogliò se stesso, prendendo
la condizione di schiavo” e per noi “da ricco che era si fece povero”: così anche la Chiesa,
quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani, non è costituita per
cercare la gloria terrena, bensì per diffondere, anche col suo esempio, l’umiltà e l’abnegazione. Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre “ad annunciare la buona novella ai poveri,
a guarire quei che hanno il cuore contrito”, “a cercare e salvare ciò che era perduto”, così
pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi
riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa
premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo».
claudia Ambroggi - [email protected]
222
Adolfo Zambon
La funzione della vigilanza
Nell’ultima parte del contributo si intende specificare cosa si intende per vigilanza dell’ordinario, e della Santa Sede. È noto, infatti, che
spetta all’ordinario vigilare con cura sull’amministrazione di tutti i beni
appartenenti alla persone giuridiche pubbliche a lui soggette (cf can.
1276 § 1), eventualmente tramite speciali istruzioni entro i limiti del diritto universale e particolare (can. 1276 § 2) 56. A tal proposito, IMA 2257
ricorda che l’ordinario diocesano può emanare,
«secondo l’opportunità, […] istruzioni (cfr cann. 34, 1276 § 2) per chiarire e precisare i modi e i tempi di attuazione delle leggi in materia di beni
ecclesiastici, entro i limiti del diritto universale, particolare, concordatario
e di derivazione pattizia con effetto per tutte le persone giuridiche a lui
soggette: potrebbe rivelarsi utile, ad esempio, un’istruzione che presenti
in modo organico tutte le licenze richieste nella diocesi per compiere atti
di amministrazione straordinaria. Il Vescovo diocesano, d’altro canto,
all’interno del suo compito di magistero e di guida pastorale, può offrire
indicazioni di carattere generale in materia amministrativa, rivolgendosi,
ad esempio, ai parroci, ai membri dei consigli per gli affari economici, agli
amministratori delle persone giuridiche a lui soggette. Può anche forni-
«Per raggiungere lo scopo di “ordinare” l’amministrazione dei beni, il legislatore mette
in mano all’ordinario lo strumento giuridico della istruzione, vale a dire una disposizione
normativa propria della potestà esecutiva (congruente quindi con il soggetto, l’ordinario,
che deve emetterla) che rende chiara una disposizione di legge e determina i procedimenti
nell’eseguirla (cf. can. 34 § 1). L’ordinamento dell’amministrazione dei beni che il vescovo,
in quanto ordinario, deve fare, consiste dunque nel chiarire le disposizioni della legge universale o particolare e nel determinare le procedure di attuazione di tali disposizioni nei
confronti dei beni ecclesiastici che si “muovono”, giuridicamente parlando, nell’ambito della
sua circoscrizione» (J. M IÑAMBRES, I beni ecclesiastici…, cit., p. 18).
57
Un’ulteriore esemplificazione è fornita da Redaelli: «Quali possono essere le istruzioni in
materia amministrativa? Se ne possono ipotizzare di diverse tipologie. Potrebbero esserci
delle istruzioni destinate a chiarire in modo generale la legislazione concernente i beni
temporali, facendo attenzione a coordinare le norme provenienti da diverse fonti […]. Un
altro tipo di istruzione potrebbe avere come oggetto le procedure da seguire nel richiedere
un’autorizzazione da parte degli amministratori degli enti e insieme le procedure da attuare, da parte degli uffici competenti (Ufficio amministrativo, Economo diocesano), per
istruire le pratiche da sottoporre all’esame dell’ordinario o del Collegio dei consultori e del
Consiglio per gli affari economici e quindi del vescovo. Anche un “manuale” per la corretta
amministrazione delle parrocchie, destinato ai parroci e ai membri dei consigli per gli affari
economici parrocchiali, si presenterebbe come una vera e propria istruzione. Naturalmente
le Istruzioni saranno tanto più efficaci, quanto più saranno corredate da modelli e fac-simili
per le diverse circostanze (modelli di domande di autorizzazione, schemi per contabilità e
bilanci, fac-simile di diverse tipologie contrattuali, ecc.)» (C. R EDAELLI, La responsabilità del
Vescovo diocesano nei confronti dei beni ecclesiastici, in QDE 4 [1991] 327-328).
56
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
223
re indirizzi più specifici sulla gestione dei beni ecclesiastici, nel rispetto
dell’autonomia e della responsabilità di chi regge le diverse persone giuridiche, avvalendosi della competenza e del parere del consiglio diocesano
per gli affari economici e del collegio dei consultori».
La funzione di vigilanza indica, dal punto di vista etimologico,
«l’azione di chi non si lascia vincere dal sonno e veglia per prestare attenzione a determinati fatti o comportamenti; in senso traslato significa la
diligenza che si pone nel vigilare, perché quest’azione diventi efficace»58.
Nel testo codiciale il dovere della vigilanza è riferito a diversi soggetti59
e con vari significati, tra cui rientra anche l’esercizio della giurisdizione
sull’amministrazione dei beni degli enti privati o pubblici (can. 325 § 1;
1276 § 1) 60.
Con specifico riferimento alla vigilanza nell’amministrazione dei
beni, si precisa che la vigilanza è distinta dall’amministrazione61. Infatti,
i beni «appartengono alla persona giuridica che li ha legittimamente acquistati» (can. 1256). Anche la loro amministrazione «spetta a chi regge
immediatamente la persona cui gli stessi beni appartengono, a meno che
non dispongano altro il diritto particolare, gli statuti, la legittima consuetudine» (can. 1279 § 1). A tal proposito, è utile ricordare che il vescovo
diocesano ha piena responsabilità anche amministrativa nei confronti
dell’ente diocesi, coadiuvato in questo dal consiglio per gli affari economici e dall’economo62. Contemporaneamente, e a un livello diverso, ha
A. LONGHITANO, L’amministrazione dei beni…, cit., p. 83.
Longhitano così li esplicita: «Il dovere della vigilanza è riferito a diversi soggetti: – autorità
in genere, senza ulteriori specificazioni (can. 305 § 1, 323; 325 § 1) – un semplice sacerdote
delegato dal Vescovo (can. 235 § 2) – Vescovo o Ordinario (can. 259 § 1; 392 § 1; 615; 806;
810 § 2; 823 § 1; 957; 1276; 1301 § 2; 1302) – Conferenze Episcopali (can. 810 § 2) – Metropolita (436 § 1, l°) – parroco (528 § 2; 914; 922) – superiori religiosi (642) – amministratori
dei beni ecclesiastici (1284 § 2) – Segnatura Apostolica (can. 1445 § 3, 1°) – Santa Sede (can.
305 § 2; 838 § 2)» (ibid., pp. 83-84).
60
Sempre Longhitano esplicita tali significati: «Nel contesto di questi canoni il verbo “vigilare” assume significati diversi: – osservare attentamente, seguire da vicino (can. 235 §
2) – essere diligenti nell’esercizio del proprio ufficio (1284 § 2, 1°) – esercitare l’autorità in
genere (can. 259 § 2; 323 § 2; 392 § 2; 436 § 1, 1°; 528 § 2; 642; 823 § 1; 914; 922; 957; 1301
§ 2; 1302 § 2; 1445 § 3, 1°) – esercizio della propria giurisdizione su enti (privati o pubblici)
che hanno una propria autonomia (can. 305; 615; 806; 810 § 2; 838 § 2) – esercizio della
propria giurisdizione sull’amministrazione dei beni degli enti privati o pubblici (can. 325 §
1; 1276 § 1)»: ibid., p. 84.
61
Cf PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Nota esplicativa La funzione dell’autorità
ecclesiastica…, cit., n. 5, lett. a.
62
Cf cann. 373; 393; 492-494; 1277.
58
59
claudia Ambroggi - [email protected]
224
Adolfo Zambon
una responsabilità nei confronti delle persone giuridiche a lui soggette,
senza tuttavia esserne amministratore in senso proprio63.
Il compito della vigilanza è descritto come «un potere sulle persone
e sui beni e interviene a tutela di un pubblico interesse»64. La vigilanza
«comprende il diritto di ispezione, di esigenza dei conti, di stabilire le
modalità di una corretta ed ordinata amministrazione, di dare la licenza
per alcuni atti amministrativi di una certa gravità o rilevanza (cfr. cann.
1277, 1281, 1285, 1292)»65.
La necessità della vigilanza «è determinata dalla natura stessa dei
beni ecclesiastici e dal loro carattere pubblico e perciò non deve essere
concepita come limitazione dell’autonomia degli enti ma come garanzia
dei medesimi, anche in relazione a eventuali conflitti di interesse tra
l’ente e chi agisce a suo nome»66. Il legame tra vigilanza e natura dei beni
ecclesiastici richiama il «principio della concentricità» che caratterizza i
beni ecclesiastici, che sono beni della Chiesa, con una «profonda unità
nei fini ecclesiali», facenti capo a una molteplicità di soggetti, uniti tra di
loro da vincoli gerarchici67. Oltre a questo, si evidenzia «una ragione di
cautela e di prudenza, per cui da una parte si evita che i beni siano messi
63
Cf C. R EDAELLI, La responsabilità del Vescovo diocesano…, cit., pp. 317-335. L’autore illustra la
figura del vescovo quale amministratore dei beni della diocesi, per poi presentare l’impegno
del vescovo nell’ordinare l’ambito dei beni ecclesiastici in riferimento alla comunione ecclesiale e il suo compito di vigilanza sull’amministrazione dei beni.
64
A. LONGHITANO, L’amministrazione dei beni…, cit., p. 91.
65
PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Nota esplicativa La funzione dell’autorità ecclesiastica…, cit., n. 5, lett. a.
66
Ibid.¸ n. 5.
67
Cf V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit.,. pp. 73-74. L’autore scrive: «I beni ecclesiastici sono caratterizzati dal principio della concentricità. Ciò deriva dal fatto che essi, in
quanto beni della Chiesa, hanno una profonda unità nei fini ecclesiali. Dal momento però
che appartengono a persone giuridiche diverse, individuano una molteplicità di soggetti.
Questi ultimi sono sempre enti giuridici, che agiscono a nome e per conto della Chiesa, perseguono fini ecclesiali e, in forza dell’erezione in persona giuridica, hanno il diritto ai beni.
Tra le diverse persone giuridiche esiste una profonda unità, ma c’è anche una dipendenza
gerarchica: al vertice di tutte, opera la sede apostolica, con l’ufficio primaziale o petrino
del sommo pontefice, organo rappresentativo della Chiesa universale. Il diritto pertanto di
acquistare, ritenere, amministrare e alienare i beni è un diritto che si possiede e si esercita
a norma del diritto della Chiesa (cf. can. 1255). Il dominio su di essi, che appartiene a ogni
persona giuridica, è posto sotto la suprema autorità del sommo pontefice (cf. can.1256), il
quale è il supremo amministratore e dispensatore dei beni ecclesiastici (cf. can. 1273). Al
di sotto di tale autorità, nell’ambito del diritto e delle proprie competenze, operano poi gli
ordinari, sia diocesani che religiosi (cf. can.1276), i quali hanno la vigilanza sui beni delle
persone giuridiche a loro soggette».
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
225
in pericolo disperdendoli e, dall’altra, si garantisce la non introduzione
di abusi che possano adombrare la missione della Chiesa»68.
IMA 24 presenta in modo dettagliato la modalità di espletamento
del dovere di vigilanza, da parte del vescovo diocesano, verso le persone
giuridiche a lui soggette69. In primo luogo si pone la vigilanza sull’amministrazione ordinaria dei beni:
«l’esame del rendiconto annuale (cfr cann. 1284 § 2, 8°, 1287 § 1) e dell’eventuale preventivo, che può essere richiesto dal diritto particolare (cfr
can. 1284 § 3); la cura del subentro di nuovi amministratori, che può
offrire l’occasione per una verifica più approfondita e di carattere complessivo (cfr can. 1283); un esame generale della situazione dei beni della
persona giuridica in occasione della visita pastorale (cfr cann. 396-398).
Altri interventi riguardano, invece, gli atti di amministrazione straordinaria e si esplicitano nell’attuazione dei cosiddetti controlli canonici, che
hanno rilevanza civile».
In secondo luogo, si ricorda
«l’esercizio della potestà esecutiva attraverso la produzione di atti amministrativi singolari (cfr cann. 35ss.: tra questi, ad esempio, la licenza per gli
atti di straordinaria amministrazione); altri, pur essendo riconducibili alla
potestà esecutiva, non comportano un esercizio formalizzato della stessa
(ad esempio, l’esame dei bilanci e le ispezioni amministrative)».
Infine, si osserva che l’esercizio della vigilanza
«può comportare, in circostanze particolari, la necessità di intervenire
sugli amministratori con atti precettivi (cfr can. 49) e anche con provvedimenti di natura disciplinare (cfr can. 1377), non esclusa nei casi più
gravi la rimozione dall’ufficio (cfr cann. 192-193, 1740ss., in particolare
can. 1741, 5°)»70.
A. VIZZARRI, L’amministrazione dei beni ecclesiastici, cit., p. 88.
Cf, inoltre, A. LONGHITANO, L’amministrazione dei beni…, cit., p. 96. L’autore distingue tre
modalità di esercizio della vigilanza del vescovo: di carattere generale (come la visita alla
diocesi, la visione del registri di amministrazione), di carattere occasionale (come le licenze
per singoli atti), di supplenza nell’amministrazione.
70
Si accenna, inoltre, a quella peculiare forma di vigilanza costituita dalla supplenza, come
contemplata nel can. 1279 § 1, «che prevede “il diritto dell’Ordinario di intervenire in caso di
negligenza dell’amministratore”. Si tratta di una possibilità che va attentamente valutata prima
di essere attuata, visto che deroga al principio generale […] e tenuto conto soprattutto del
rischio di ledere la buona fama (cf c. 220) dell’amministratore o degli amministratori. Pre68
69
claudia Ambroggi - [email protected]
226
Adolfo Zambon
La licenza richiesta per porre un determinato atto non comporta
un coinvolgimento della persona giuridica che concede la licenza nella
responsabilità dell’atto. Infatti,
«in Diritto canonico per licenza si intende la concessione fatta dall’autorità competente ad un soggetto per esercitare una facoltà od un diritto di
cui egli è già titolare, ma l’esercizio del quale, per motivi di interesse pubblico, è condizionato a un controllo “esterno” al diritto stesso. In realtà,
le licenze, e altri interventi amministrativi di questo tipo, non implicano
l’assunzione in proprio del contenuto del progetto per il quale la licenza o
il nulla osta sono stati rilasciati»71.
L’oggetto del controllo e della vigilanza verte, infatti,
«sia sulla conformità degli atti con i principi costitutivi ed i principi informatori del diritto patrimoniale (congruenza con i fini ecclesiali, esigenze
di giustizia nell’adempimento della volontà del donatore, spirito di povertà
e di corresponsabilità “comunionale” ...) che sull’adempimento delle norme canoniche di gestione patrimoniale di ambito universale, particolare
e statutario (nella misura in cui esistano)»72.
supposto della supplenza dell’Ordinario è, infatti, una dichiarazione di negligenza di chi ha
la responsabilità amministrativa dell’ente. Sulla base di questa dichiarazione, l’Ordinario
può sostituirsi agli amministratori o “in toto”, compiendo cioè tutti gli atti loro spettanti,
o, più spesso, parzialmente, attuando quindi il singolo atto o quell’insieme di atti trascurati
da chi amministra la persona giuridica (un esempio di intervento specifico dell’Ordinario
potrebbe essere la promozione di un’azione a tutela dei diritti dell’ente in caso di urgenza e di
inazione degli amministratori: è il caso specificamente previsto dal c. 1480, par. 2). L’intervento suppletivo dell’Ordinario si configura ovviamente come un provvedimento di natura
temporanea, perché o la negligenza riguarda solo alcuni atti, posti i quali la persona giuridica
può continuare ad essere amministrata dai propri responsabili non negligenti in tutti gli altri
adempimenti, o la negligenza è di carattere generale: nel qual caso occorrerà procedere, sulla
base del diritto e degli statuti dell’ente, alla sostituzione degli amministratori» (C. R EDAELLI,
La responsabilità del Vescovo diocesano…, cit., p. 335).
71
PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Nota esplicativa La funzione dell’autorità ecclesiastica…, cit., n. 12. Il testo continua affermando: «Quando la Santa Sede accorda la licenza
per un’alienazione di beni ecclesiastici, essa non si assume le eventuali responsabilità economiche relative all’alienazione, ma soltanto garantisce che l’alienazione è congruente con le
finalità del patrimonio ecclesiastico. La responsabilità derivata dal suo intervento si riferisce
esclusivamente al retto esercizio della potestà della Chiesa. La licenza, dunque, di cui ora si
tratta non è un atto di dominio patrimoniale, bensì di potestà amministrativa mirante a garantire il buon utilizzo dei beni delle persone giuridiche pubbliche nella Chiesa». È evidente
che lo stesso ragionamento vale anche per un superiore inferiore alla Santa Sede, che concede la licenza necessaria per porre un atto di amministrazione straordinaria o di alienazione.
72
J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, cit., p. 161.
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
227
La licenza, quindi, non è un «mandato» per lo svolgimento di
un determinato atto, ma piuttosto «un atto di controllo preventivo»,
che non comporta l’assunzione di responsabilità in relazione a esso73,
o meglio «un atto previo all’atto di amministrazione o di alienazione
che la competente autorità intende porre»74. Si osserva, sul punto, una
progressiva chiarificazione rispetto al Codice pio-benedettino. Questo,
infatti, al can. 100 § 3 equiparava la persona morale al minore75, con la
conseguenza che una eventuale licenza data dall’autorità ecclesiastica
competente figurava come completamento essenziale della volontà. In
tal caso, «l’intervento dell’autorità “tutoria”, attraverso per esempio la
licenza per compiere determinati atti, veniva considerato come elemento
essenziale per avere la piena volontà della persona morale (cf c. 89)»76.
L’attuale comprensione della persona giuridica, quale soggetto nel diritto
canonico di obblighi e di diritti che corrispondono alla sua natura (cf
can. 113 § 2), senza limitazioni a questa soggettività, aiuta a specificare
l’autonomia dell’ente e il ruolo di vigilanza dell’autorità ecclesiastica distinto da quello di amministrazione.
Sia la licenza richiesta che il parere o il consenso degli organi consultivi, quali il consiglio per gli affari economici della persona giuridica
o i due consiglieri che coadiuvano l’amministratore nel suo compito (cf
can. 1280), non fanno venire meno l’imputabilità dell’atto a chi concretamente lo pone, e non a coloro che hanno dato il consenso o il parere.
Questi ultimi esprimono, per ciò che compete loro, una partecipazione
nella responsabilità all’atto stesso. Tutto questo, comunque, si presenta
come «un requisito dell’atto giuridico (cf. can. 124), necessario per la
validità dello stesso (cf. can. 127)»77. Va osservato che il can. 1292 § 4
V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., p. 251.
Ibid., p. 74.
75
«Persona moralis, non secus ac persona physica, potest esse subiectum omnium iurium,
exceptis iis tantummodo quae natura sua personalitatem physicam supponunt omnino. […]
Quae tamen capacitas iuridica non est proprio et stricto sensu plena ac perfecta. Sane omnes
personae morales inistitutionis humanae peculiaribus limitationes coarctantur, ratione boni
publici, in exercitio iurium suorum; at simul favoribus quibusdam gaudent, cum minoribus aequiparentur (can. 100 § 3)» (F.M. CAPPELLO, Summa iuris canonici in usum scholarum concinnata,
Editio sexta accurate recognita, I, Romae 1961, p. 188).
76
C. R EDAELLI, La responsabilità del Vescovo diocesano…, cit., p. 332; cf F. COCCOPALMERIO, Diritto
patrimoniale della Chiesa, in Il diritto nel mistero della Chiesa, a cura del Gruppo italiano Docenti
di Diritto Canonico, IV, Roma 1980, pp. 28-29.
77
V. DE PAOLIS, I beni temporali della Chiesa, cit., p. 74. «Da quanto fin qui indicato sembra che
si debbano desumere le seguenti conclusioni in ordine al coinvolgimento nella responsabilità
oggettiva del Vescovo, o comunque del Superiore competente, in merito agli atti amministrativi compiuti da un rappresentante legale degli enti ecclesiastici a lui soggetti. Se il legale
73
74
claudia Ambroggi - [email protected]
228
Adolfo Zambon
ammonisce coloro che sono chiamati a dare il parere o il consenso per
l’alienazione a darlo solo dopo essere stati informati esattamente (exacte
fuerint edocti) sia dello stato economico della persona giuridica di cui si
propone l’alienazione dei beni, sia di eventuali altre alienazioni già fatte.
Perché ciò sia possibile è necessario che l’autorità competente trasmetta
previamente agli interessati tutta la documentazione necessaria. A integrazione della comprensione di tale norma è opportuno richiamare
anche il can. 127 § 3, che invita coloro che partecipano alle decisioni a
dare il proprio parere o consenso con sincerità e a mantenere, se lo richiede la gravità della materia, il segreto. Quanto appena affermato può
riferirsi non solo agli organismi consultivi dell’ente che pone l’atto di
amministrazione o alienazione, ma anche agli organismi consultivi per
l’autorità che concede la licenza, quali il consiglio diocesano per gli affari
economici e il collegio dei consultori per il vescovo diocesano.
Prima di concludere, si ricorda che molti enti ecclesiastici, in specie
fondazioni di culto, oltre agli istituti diocesani per il sostentamento del
clero (cf art. 19 dello Statuto-tipo dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero), prevedono nel loro statuto l’esistenza di un organo di
controllo, denominato anche con altri termini, quali, per esempio: collegio
dei revisori, collegio sindacale, collegio dei probiviri. Spesso, inoltre, gli statuti
specificano che tra i membri di tale organo di controllo almeno un componente sia iscritto all’albo dei revisori dei conti. I componenti di tale
organo di controllo, quando presente, adempiono il loro compito secondo le finalità previste dallo statuto dell’ente medesimo, dal momento che
la normativa civile non indica, per gli enti ecclesiastici, le competenze,
la composizione, i diritti, gli obblighi e le responsabilità di tale organo
di controllo78. Un organo di controllo virtuoso è composto da persone
rappresentante agisce nel proprio ambito di competenza, le sue eventuali negligenze non
sono imputabili al suo superiore. Se il rappresentante legale porta a compimento un negozio
giuridico contro le direttive del superiore, all’insaputa di questi, la responsabilità dell’atto
non può essere imputata al superiore. Se il rappresentante legale agisce con la licenza prescritta del superiore falsificando la documentazione così da indurre in errore la buona fede,
il superiore non può essere incolpato. Se il rappresentante legale, manifestando chiaramente
i suoi propositi non corretti, agisce con la licenza prescritta del superiore diverrebbe logico
un suo coinvolgimento di responsabilità. Va infine precisato che una cosa è la responsabilità
delle persone, un’altra quella dell’ente» (PONTIFICIO CONSIGLIO PER I TESTI LEGISLATIVI, Nota
esplicativa La funzione dell’autorità ecclesiastica…, cit., nota 14).
Al riguardo, si ricorda la specificità dell’ente ecclesiastico come riconosciuto anche dall’allegato
n. 1, punto n. III, dello Scambio di Note con Allegati 1 e 2 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede costituente un’intesa tecnica interpretativa ed esecutiva dell’Accordo modificativo del Concordato lateranense del 18
febbraio 1984 e del successivo Protocollo del 15 novembre 1984, 10 aprile – 30 aprile 1997: «Le norme approvate con il Protocollo del 15 novembre 1984, nella parte relativa agli enti ecclesiastici civilmente
78
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: amministrazione e vigilanza
229
oneste, riservate e in grado di svolgere professionalmente un compito
non invasivo dell’autonomia degli amministratori e contemporaneamente di sostanziale salvaguardia della correttezza e della continuità nel
tempo dell’ente ecclesiastico. Contemporaneamente, non si esclude che i
componenti tale organismo di controllo possano instaurare una corretta
e proficua relazione non solo con il consiglio di amministrazione e con
il personale dell’ente, ma anche con l’ordinario diocesano, nei confronti
del quale, quando possibile, è utile accompagnare le proprie relazioni
con un colloquio esplicativo preventivo o successivo alla stesura della
relazione annuale. In tale modo questo organismo di controllo, che si
pone a salvaguardia e tutela dell’ente, può fornire ulteriori elementi utili
agli amministratori per una retta amministrazione, e all’ordinario nel
suo esercizio di vigilanza.
A DOLFO ZAMBON
riconosciuti recano una disciplina che presenta carattere di specialità rispetto a quella del codice
civile in materia di persone giuridiche. In particolare, ai sensi dell’articolo 1 delle norme predette
e in conformità a quanto già disposto dall’articolo 7, comma 2, dell’Accordo del 18 febbraio 1984,
gli enti ecclesiastici sono riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili nel rispetto delle
loro caratteristiche originarie stabilite dalle norme del diritto canonico. Non sono pertanto applicabili agli enti ecclesiastici le norme dettate dal codice civile in tema di costituzione, struttura,
amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private».
claudia Ambroggi - [email protected]
Quaderni di diritto ecclesiale
28 (2015) 230-246
I beni ecclesiastici:
soggetti e procedure
Il presente intervento intende presentare e approfondire il concreto
funzionamento, all’interno di una curia, di alcune procedure riguardanti
i beni temporali, procedure che di solito coincidono con la richiesta di
autorizzazione per il compimento di un atto di amministrazione che oltrepassa l’ordinaria amministrazione. Cercheremo dunque di evidenziare
soprattutto l’aspetto dinamico, cioè i passaggi da compiere, nel rapporto
tra i vari uffici e tra le loro competenze, affinché una procedura (una pratica) giunga a compimento. L’intento non è di essere esaustivi, ma di far
emergere gli aspetti nodali e le attenzioni giuridiche sostanziali da curare
affinché sia garantita la correttezza del processo, e quindi la sua legalità.
Va anzitutto notato che non si possono opporre aspetti formali
e aspetti sostanziali: il rispetto delle procedure formali (interpellanza
degli uffici competenti, rilascio dei documenti previsti con le formalità
richieste, ecc.) salvaguarda gli aspetti sostanziali, che, nel caso in questione, sono soprattutto legati alla tutela non solo del bene ecclesiastico
in quanto tale, ma del suo utilizzo per le finalità dell’ente che li possiede
(cf can. 1254).
Tra i due aspetti, formale e sostanziale, può esserci una sana tensione, che però deve evitare i due estremi: l’enfatizzazione burocratica
(occorre quindi domandarsi e aver presente a cosa serve ogni documento
e ogni passaggio) e l’approssimazione, che spesso sconfina nell’abuso
(perché una procedura giuridica sia buona occorre anche che sia correttamente compiuta).
L’inquadramento presentato nella precedente relazione, in riferimento alla diversa tipologia di atti, costituisce evidentemente una premessa ineludibile.
Parlando di procedure, va infine tenuta presente l’estrema varietà
delle situazioni e delle modalità in cui gli uffici di curia operano: si tratterà soprattutto, e questo è lasciato al lavoro di gruppo che seguirà, di
individuare se e come i parametri formali e sostanziali che cercheremo di
evidenziare, sono riconoscibili e sono rispettati nelle varie prassi.
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
231
Premesse
È opportuno richiamare alcune brevi premesse:
Autonomia amministrativa dell’Ente
Rappresenta un principio fondamentale, sancito e voluto così già
a partire dal CIC 1917, il fatto che la soggettività amministrativa spetti
all’ente cui i beni appartengono1. Ciò determina un fondamentale punto
di partenza, che individua anzitutto la distinzione tra due azioni sui beni:
l’amministrazione e la vigilanza (a volte chiamata anche amministrazione
intermedia2), con le conseguenti distinte competenze che ne conseguono. Se all’amministratore va lasciata la giusta autonomia perché possa
amministrare, egli, da parte sua, dovrà essere dotato di una sufficiente
competenza ed essere chiaro e trasparente nell’amministrazione (cf can.
1284 §§ 1-2). La richiesta e l’ottenimento di licenze e di autorizzazioni
non lo libera mai dalla responsabilità che cade (e resta) anzitutto su di
lui. Dall’altro lato il corretto esercizio del compito/potere di vigilanza
richiede trasparenza nei criteri di esercizio della stessa, verifica costante
(che non deve mai diventare, né essere interpretata, come sospettosità)
ed assistenza qualificata.
Amministrare i beni: cosa significa?
Amministrare significa in un certo senso esercitare un’arte, quella
di saper utilizzare bene i beni, cioè saperli utilizzare per i fini dell’ente.
Non solo i beni vanno custoditi, ma vanno utilizzati per i fini per cui
sono posseduti.
Anche quando si tratta di beni che vengono utilizzati commercialmente, al fine di generare risorse economiche, va sempre ricordato che
la finalità ultima è pastorale, per cui i beni non possono mai diventare il
fine ultimo di un ente giuridico ecclesiale.
Atti di amministrazione ordinaria e non
Dal punto di vista dottrinale, soprattutto nel passato, si sono accesi
interessanti dibattiti sulla natura e i confini tra i vari atti che riguardano i
1
2
Cf can. 1255.
Cf J.P. SCHOUPPE, Elementi di diritto patrimoniale canonico, Milano 1997, pp. 148ss.
claudia Ambroggi - [email protected]
232
Francesco Grazian
beni temporali. È chiaro però che chi amministra ha bisogno anzitutto di
conoscere il limite della propria azione e, al di sopra di esso, quali adempimenti gli sono chiesti per gli atti che li esigono. Le tre tipologie di atti,
già evidenziati nella relazione precedente, costituiscono un punto di riferimento essenziale: amministrazione ordinaria, atti che superano i limiti della
amministrazione ordinaria (detti anche atti di amministrazione straordinaria),
alienazione. Tralasciamo per ora la categoria di atti di maggior importanza,
che è riservata all’ente diocesi.
Certamente, dato di partenza imprescindibile è costituito dal decreto
vescovile che individua gli atti di amministrazione straordinaria3.
Alcuni atti eccedono per loro natura l’amministrazione straordinaria, indipendentemente dalla “quantità” di impegno economico che
possono prevedere (per esempio una servitù, o una locazione a lungo
tempo, o l’utilizzo di prodotti o servizi bancari complessi o fortemente
condizionanti, variazioni sostanziali di finalità di un bene, ecc.). Sta di
fatto che una chiara individuazione degli atti di amministrazione straordinaria
rappresenta un buon punto di partenza anche per poter esercitare bene
la vigilanza, e quindi per la individuazione dei soggetti competenti a
compiere le varie procedure.
Beni culturali
Una categoria particolare è rappresentata dai cosiddetti beni culturali, categoria poco usata nel diritto canonico, assai usata nel diritto civile4. Essendo ritenuti tali, sappiamo che molti dei nostri beni sono soggetti
da parte dello Stato a tutele proprie previste dalla legge. Di conseguenza,
sia a livello parrocchiale sia a livello diocesano, gli atti che riguardano
tali beni prevedono procedure proprie. Qui ci interessa solamente richia-
Il Codice, pur dando al can. 1281 § 1 un criterio “teorico” dell’atto che supera la ordinaria
amministrazione (qui finem et modum ordinariae adimnistrationis excedunt), chiede al § 2 che tali
atti vengano positivamente identificati. Sono in essere vari modelli, alcuni molto sintetici,
altri molto dettagliati. Qualche diocesi ha scelto criteri più teorici, altre molto pratici, alcune
elenchi sintetici, altre il più possibile dettagliati ed esaustivi. Va tenuta presente la grande
differenza di estensione, e non solo, tra le varie diocesi. Cf V. DE PAOLIS, L’amministrazione
dei beni temporali, Bologna 1995, pp. 146-148; F. GRAZIAN, La nozione di amministrazione e di
alienazione nel codice di diritto canonico, Roma 2002, pp. 200-221.
4
Solo una volta compare il termine, in modo indiretto, nel Codice (can. 1283, 2°). Troviamo
invece nel diritto canonico la categoria di bene insigne per preziosità e/o per storia, l’ex voto o
la res sacra: cf V. DE PAOLIS, L’amministrazione…, cit., pp. 16-18; J.P. SCHOUPPE, Elementi…, cit.,
pp. 44-51; F. GRAZIAN, La nozione…, cit., pp. 32-36.
3
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
233
marlo e ricordare che un apposito ufficio in diocesi ha competenza sulle
attività che li riguardano.
Soggetti
Passiamo quindi alla individuazione dei soggetti che “ruotano” attorno alla amministrazione dei beni temporali. Sono molti: persone, enti
ed uffici; sono sia interni che esterni alla curia; sono ecclesiastici e civili.
Ci soffermiamo sui soggetti che sono interessati a questo scopo in curia.
Se la curia si è dotata dello statuto, i compiti dei singoli uffici sono
già là richiamati. Tali compiti devono essere però in accordo con il diritto
universale e con le indicazioni date anche, secondo le deleghe ricevute,
dalla Conferenza Episcopale Italiana.
Scorriamoli brevemente.
Il vescovo e l’ordinario diocesano: competenze in campo amministrativo
Al vescovo diocesano spetta la responsabilità ultima, sia per quanto
riguarda l’amministrazione dell’ente diocesi, sia per quanto riguarda il
compito di vigilanza sull’amministrazione dei beni degli enti a lui sottoposti (parrocchie, enti in diocesi, ecc.). Il primo compito è esercitato,
per l’ordinaria amministrazione, dall’economo. Il secondo compito è
delegato, in parte, all’ordinario del luogo (vicario generale o vicario amministrativo), o può essere affidato all’economo5.
Al vescovo spettano alcuni compiti fondamentali, in via soprattutto
legislativa, ma anche esecutiva: individuare le modalità di compimento
dell’amministrazione ordinaria, se non determinate dagli statuti (cf can.
1281 § 2), dare norme per il consiglio degli affari economici parrocchiale (cf can. 537), erigere l’istituto diocesano per il sostentamento del
clero, il fondo di cui al can. 1274, con statuto e organismi propri, fissare
o organizzare le varie collette e tributi. Attraverso lo statuto di curia o
attraverso istruzioni amministrative, il vescovo potrà regolare modalità
e procedure dell’amministrazione dei beni.
La vigilanza, oltre alla determinazione degli atti di cui al can. 1281
§ 2 (amministrazione straordinaria), si esercita soprattutto attraverso
decreti, licenze e interventi in via suppletiva, ma anche con visite sul
luogo. Non sempre il vescovo rappresenta l’ultima istanza di vigilanza, in
5
Cf can. 1278.
claudia Ambroggi - [email protected]
234
Francesco Grazian
quanto alcuni atti, come vedremo, hanno bisogno anche dell’intervento
della Santa Sede.
In via generale, si può dire che per gli atti di amministrazione straordinaria (can. 1281 § 2) la licenza spetta all’ordinario del luogo, quindi
al vescovo diocesano o al vicario generale o anche al vicario amministrativo (in via ulteriormente subordinata). Per le alienazioni e gli atti equiparati, ma di beni appartenenti al patrimonio stabile e il cui valore superi
la cifra minima stabilita, è previsto l’intervento del vescovo diocesano, a
cui si aggiunge, se si supera la cifra massima, quello della Santa Sede6.
Il consiglio diocesano per gli affari economici [= CDAE]
Il CDAE collabora con il vescovo nella gestione economica della
diocesi (cf cann. 492-493). In questo senso il CDAE è coinvolto sia nel
compito di amministrazione dei beni della diocesi, sia nel compito di
vigilanza. È opportuno che tale distinzione sia ben spiegata ai membri,
sia in riferimento alla diversa tipologia di atti che si vanno a compiere,
sia alla diversa modalità dell’intervento: una cosa è amministrare e una
cosa è vigilare. La cancelleria deve verificarne la corretta costituzione, a
norma del can. 493 (composizione, durata, ecc.).
In riferimento alle direttive e alla vigilanza nell’amministrazione dei
beni diocesani, si rimanda a quanto verrà detto più avanti.
Va ricordato anche che spetta al CDAE:
a) dare il parere per imporre tributi diocesani ordinari e straordinari (cf can. 1263);
b) dare il parere per l’indicazione degli atti di amministrazione
straordinaria (cf can. 1281 § 2);
c) dare il parere per questioni relative alle fondazioni (cf cann.
1305 e 1310 § 2).
Circa l’amministrazione dei beni della diocesi, oltre al consenso per
gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, per i quali si rimanda pure
a quanto verrà detto dopo, vanno ricordati i seguenti compiti:
a) predisporre il bilancio preventivo della diocesi, secondo le indicazioni del vescovo, e stabilire il modo di realizzarlo (cf can.
493);
b) approvare il rendiconto annuale dell’economo sulle spese ed
entrate effettive (cf cann. 493-494);
6
Si rimanda, per una disamina più articolata e completa, a J.P. SCHOUPPE, Elementi…, cit.,
pp. 163-167.
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
235
c) assumere altre competenze che il vescovo riterrà opportuno
affidargli, in relazione alla corretta gestione del bilancio;
d) dare il parere per nominare e rimuovere l’economo diocesano
(cf can. 494 § 1);
e) dare l’assenso in caso di rinuncia dell’istanza in giudizio da
parte del vescovo (cf can. 1524 § 2);
f) dare o il parere o l’assenso se questo è previsto dagli statuti di
enti soggetti o non soggetti al vescovo diocesano per il compimento di atti che superano l’ordinaria amministrazione (cf
cann. 1281 § 2 e 1292 § 2)7.
Il collegio dei consultori
Il collegio dei consultori è emanazione del consiglio presbiterale,
anche se, una volta costituito, rimane in carica indipendentemente da
esso. Si rimanda, circa la sua costituzione, al can. 502 § 1.
In riferimento alla materia economica, il Codice stabilisce che il
vescovo deve ascoltarne il parere per nominare e rimuovere l’economo
diocesano (cf can. 494 §§ 1-2) e per compiere gli atti di maggior importanza (cf can. 1277).
È invece necessario il suo assenso negli stessi casi stabiliti per il
consiglio degli affari economici, cui si rimanda. Occorre però ricordare
che l’apporto dei due organismi è diverso: il collegio dei consultori darà
un apporto pastorale a differenza del CDAE che darà una valutazione
economica.
Il consiglio presbiterale
Anche il consiglio presbiterale ha alcuni compiti in materia economica, che consistono nel dare il parere al vescovo diocesano quando egli
debba:
a) erigere, sopprimere, modificare in modo rilevante le parrocchie
(cf can. 515 § 2);
b) stabilire norme per la destinazione delle offerte ricevute dai
fedeli o dai sacerdoti nello svolgimento di qualche incarico (cf
can. 531);
c) autorizzare la costruzione di chiese (cf can. 1215 § 2);
7
Cf ibid., pp. 167-170.
claudia Ambroggi - [email protected]
236
Francesco Grazian
d) ridurre ad uso profano non indecoroso chiese non più adibite al
culto divino (cf can. 1222 § 2);
e) imporre tributi e tasse (cf can. 1263) 8.
Ufficio amministrativo diocesano
Esso ha il compito di sovrintendere, assistere, coordinare tutte le
operazioni di vigilanza sull’amministrazione dei beni ecclesiastici che sono soggetti al vescovo, sotto l’autorità o del vescovo stesso o di chi da lui
è delegato per tali compiti. Ma solitamente esso anche assiste l’economo
e il vescovo nell’amministrazione dei beni della diocesi.
A sua volta esso si compone di varie persone e spesso di sotto-uffici,
che fanno comunque capo al delegato del vescovo per la vigilanza, che
può essere, come richiamato, una figura a sé, oppure lo stesso economo
diocesano (cf can. 1278).
Solitamente vi si trovano: ufficio di segreteria, ufficio tecnico, ufficio
legati, archivio amministrativo. Si avvale di altri uffici e persone, interni od
esterni alla curia, come l’ufficio beni culturali, l’ufficio legale, la ragioneria, i consulenti commerciali e tributari, ecc.
La definizione e la regolamentazione di questi uffici dovrebbe essere contenuta nello statuto di curia, o nel regolamento, o almeno nell’atto
costitutivo dello stesso.
Economo ed ufficio economato
Si rimanda al Codice (can. 494 § 1) e alla dottrina9 per la scelta
dell’economo e la durata di questo ufficio. Le mansioni sono varie, in
quanto possono essere limitate o estese dal vescovo diocesano10. L’economo sovrintende alla amministrazione ordinaria dei beni della diocesi,
che egli amministra in modo dipendente e non autonomo, in quanto
sottostà sia al vescovo, sia alle indicazioni del CDAE (cf can. 494 § 3).
L’economo può amministrare direttamente alcuni enti sprovvisti di un
economo proprio (cf cann. 1278 e 1279 § 2)11. Anche se la figura dell’economo e quella del vicario per l’amministrazione coincidessero nella
Cf ibid., p. 173.
Cf ibid., pp. 170-171.
10
L’Istruzione in materia amministrativa della Conferenza Episcopale Italiana, nella redazione
del 1° aprile 1992, lo definiva al n. 23 «figura aperta».
11
In questi casi, avverte J.P. SCHOUPPE, Elementi…, p. 171, dovrà affidare ad altri i compiti di
vigilanza.
8
9
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
237
stessa persona, si tratterebbe comunque di ruoli e di azioni ben distinte.
Per non moltiplicare le figure, alcune diocesi affidano al vicario generale,
in collaborazione con l’economo, il compito della vigilanza. L’economo
infatti agisce sub auctoritate episcopi nell’amministrazione ordinaria dei
beni della diocesi. Il vicario per l’amministrazione compie invece azioni di vigilanza; segue le pratiche di autorizzazione che gli enti soggetti
all’autorità del vescovo chiedono.
Circa l’amministrazione dei beni della diocesi, va ricordato che
l’economo deve presentare annualmente al CDAE il bilancio consuntivo
delle entrate e delle uscite (cf can. 494 § 4).
Solitamente nelle diocesi non estese all’economo viene affidato
anche il compito della vigilanza sui beni degli enti soggetti al vescovo
diocesano. Se invece a tale incarico è deputata un’altra persona, e/o un
altro ufficio, occorrerà chiarire le competenze, ma soprattutto i rapporti
tra i due ruoli e i due uffici12.
Di conseguenza l’ufficio “economato” può avvalersi delle stesse
persone dell’ufficio amministrativo. Collegati a questo ufficio possono
essercene altri: tesoreria, ragioneria, ufficio tecnico, ecc. Si avvale anche di altri
uffici, interni od esterni della curia, come sopra.
Ufficio (per i) beni culturali
In questi ultimi anni tale ufficio è stato investito di notevoli competenze ed incaricato di varie operazioni, condotte a livello nazionale, come
la inventariazione, che sta ancora continuando.
Suo compito in particolare è l’individuazione, la valorizzazione e la
custodia dei beni culturali della diocesi e degli enti ecclesiastici sul suo
territorio. Spetta a questo ufficio anche il contatto con gli uffici competenti della Soprintendenza.
Si tratta di un ufficio che deve per sua natura lavorare a stretto
contatto con l’ufficio amministrativo e con l’economato: per esempio, se
viene introdotta nell’ufficio beni culturali una pratica (per esempio un
restauro cospicuo di un dipinto o di un’opera d’arte, ecc.), esso deve interessare subito l’ufficio amministrativo per la verifica della sostenibilità
economica dell’operazione; viceversa se una pratica di tal genere viene
introdotta all’ufficio amministrativo, sarà quest’ultimo a interessare
La vigilanza sull’amministrazione dei beni della diocesi ha già infatti una sua procedura,
indicata dal diritto universale. Nello stesso tempo alcune azioni di vigilanza possono avere
una ricaduta sull’andamento economico della diocesi.
12
claudia Ambroggi - [email protected]
238
Francesco Grazian
l’ufficio beni culturali, per quanto di sua competenza, onde ottenere le
dovute autorizzazioni dopo le debite verifiche.
Si trovano ampie descrizioni degli atti e delle autorizzazioni che a
livello civile devono essere compiuti sui beni culturali delle parrocchie
e della diocesi, meno indicazioni sui compiti specifici che l’ufficio deve
avere in quanto ufficio di curia.
Collegata all’ufficio beni culturali è anche la commissione arte sacra,
che pure è chiamata a dare proprie e specifiche valutazioni e approvazioni.
La cancelleria
La cancelleria solitamente lavora a margine delle procedure riguardanti la materia economica. Il motivo è in parte legato alla competenza
che i cancellieri pensano di non avere riguardo alle problematiche relative ai beni temporali. Sovente, inoltre, gli uffici amministrativi sono già
carichi di adempimenti, e rischiano di avvertire il ruolo della cancelleria
come un’ulteriore disbrigo, se non un’intrusione. È emblematica, a riguardo, la protocollazione, che di solito è a sé stante.
Ma vanno precisate opportunamente alcune cose. Alla cancelleria è
affidato il compito di esercitare una vigilanza giuridica sulle procedure.
Il suo giudizio, in re oeconomica, raramente può essere di merito, ma è importante che sia di forma. Spesso infatti, come ricordato all’inizio, dietro
l’inadempimento formale può nascondersi un abuso, salvo il bisogno di
non burocratizzare inutilmente le pratiche.
In qualche diocesi questo compito è assunto da un ufficio specifico,
quello di protocollo, che non ha il mero compito di attribuire dei numeri ad
una pratica o a dei documenti, e di archiviarli, ma di identificare il tipo di
pratica, individuando di conseguenza la corretta procedura da compiere,
seguendone poi l’iter.
Stando alle indicazioni CEI (Istruzione in materia amministrativa del
2005, n. 65), il dispositivo finale del vescovo, per quanto attiene gli atti
che eccedono l’ordinaria amministrazione della diocesi, deve essere redatto per iscritto e controfirmato dal cancelliere.
Il coordinamento tra i vari uffici va infine svolto dal moderator curiae
che in questo senso ha un compito specifico di coordinamento e di cura
del corretto svolgimento delle pratiche.
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
239
(Eventuali) altri uffici
In relazione alla prassi e alla tradizione delle curie, altri uffici possono essere predisposti in riferimento all’amministrazione dei beni della
diocesi, o al compito di vigilanza. Oltre al già richiamato ufficio legale,
ci potrebbe per esempio essere uno specifico ufficio personale. Oppure
potrebbero essere costituiti uffici ad hoc, per determinate operazioni ad
tempus (per esempio censimenti, ecc.).
Spetta al moderator curiae identificarne i compiti ed integrarne l’attività. Spetta alla cancelleria sovrintendere (ed eventualmente urgere) la
legittimità giuridica del loro operato. Devono infatti essere costituiti con
iter specifico, a partire dall’atto costitutivo del vescovo.
I due compiti distinti dell’economo, qualora a lui venisse affidata in
delega anche la vigilanza sull’amministrazione dei beni degli enti soggetti alla vigilanza da parte del vescovo (come per esempio le parrocchie),
anche se sono chiari dal punto di vista teorico, non sempre lo sono dal
punto di vista pratico. Egli anzitutto amministra i beni dell’ente diocesi
(o equiparati), e come tale si limita alla amministrazione ordinaria. Per
gli atti eccedenti (che possono essere suggeriti da lui stesso, ma anche
essere proposti dal vescovo, o dal consiglio per gli affari economici, o da
altri soggetti), deve egli stesso attenersi alle procedure previste dal diritto.
Il compito della vigilanza, come già richiamato, è invece di indirizzo e di verifica, e può spaziare in vari campi, dal controllo dei bilanci, a
quello della verifica del funzionamento dei consigli degli affari economici
parrocchiali, alle indicazioni e alle autorizzazioni per il compimento degli
atti eccedenti l’amministrazione ordinaria degli stessi enti.
A volte invece le due figure sono distinte: l’economo si occupa
dell’amministrazione dei beni della diocesi, il vicario generale o il vicario
episcopale per l’amministrazione si occupa della vigilanza.
In ogni caso non vanno confusi i due ruoli!
Procedure
Atti che oltrepassano l’amministrazione ordinaria degli enti soggetti al vescovo
Nel caso in cui l’amministratore di un ente soggetto al vescovo diocesano debba compiere un atto che supera l’amministrazione ordinaria
cosa deve fare?
Contatto previo. È opportuno anzitutto che vi sia un contatto previo
con l’ufficio competente della curia (solitamente l’ufficio amministrativo,
claudia Ambroggi - [email protected]
240
Francesco Grazian
ma anche ufficio beni culturali)13, per comunicare l’intenzione di avviare
le procedure per il compimento dell’atto e per indicarne sommariamente
le motivazioni. Il contatto previo è necessario se l’atto è particolarmente
complesso e oneroso. Può invece essere omesso se l’atto è circoscritto e
di immediata individuazione. L’ufficio aiuterà ad inquadrare la natura
dell’atto e indicherà la documentazione da acquisire e da produrre. Va
qui ricordato che in ogni caso l’ente che intende compiere un atto che
supera l’ordinaria amministrazione non deve prendere impegni con nessuno. Se impegni devono essere presi devono essere unilaterali14. Molto
spesso atti preparatori ad una operazione di questo tipo (per esempio un
progetto, una verifica tecnica) disposti senza passaggi previ (il preventivo), sono già essi stessi atti di amministrazione straordinaria!
Soprattutto se l’atto è complesso, l’ufficio amministrativo può compiere una verifica di massima, proprio per non impegnare la parrocchia
a procedere nella preparazione delle formalità di un atto che si sa già in
partenza che non verrà mai autorizzato. Se l’atto è complesso, esso può
avere più fasi (autorizzazione per lo studio, per la presentazione del progetto, per il compimento).
Va anche verificato se l’amministratore, presentando l’intenzione
di compiere un atto, ha interessato gli organismi di corresponsabilità
propri.
Presentazione della formale domanda. Tale atto è fondamentale e spesso
complesso. La domanda deve contenere, oltre alla richiesta formale, alcuni elementi indispensabili, come l’indicazione precisa dell’atto o degli
atti da compiere, le motivazioni, la copertura finanziaria e altri documenti correlati, che ne dimostrino la fattibilità. Altri elementi possono
diventare necessari (per esempio se il vescovo stabilisce la necessità del
parere o del consenso del consiglio parrocchiale per gli affari economici).
Come si comporta la curia? Se l’atto è semplice, l’ufficio competente (ufficio amministrativo) darà una risposta in tempi brevi. Se l’atto è
complesso dichiarerà l’accettazione della domanda e indicherà sommariamente i passaggi che essa dovrà compiere per l’approvazione o meno.
È comunque importante che l’ufficio amministrativo compia una
prima verifica della documentazione inoltrata e comunichi immedia-
13
Il contatto può essere informale se la diocesi è piccola, o avere una sua formalità se la diocesi è più ampia e articolata.
14
Cf ECONOMI DELLE GRANDI DIOCESI, La gestione e l’amministrazione della Parrocchia, Bologna
2008, p. 61. Si porta l’esempio di una disponibilità ad acquistare un bene che si pensa di
alienare.
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
241
tamente all’ente se mancano o non sono completi o corretti alcuni
documenti.
a) Atti di amministrazione straordinaria
Se l’atto supera l’amministrazione ordinaria, ma non è tra quelli di
alienazione già regolamentati, è sufficiente la licenza dell’ordinario diocesano. A volte il vescovo, per non appesantire di competenze se stesso o
il vicario generale, stabilisce una distinzione tra operazioni di amministrazione straordinaria, lasciando all’economo e/o al vicario episcopale la
risposta per tutti o alcuni atti di amministrazione straordinaria15.
b) Atti per cui la licenza dell’ordinario è richiesta dal diritto universale
Va ricordato che, indipendentemente dal decreto vescovile, per
molti atti è prevista già dal diritto universale la licenza dell’ordinario:
contestazione di liti attive e passive in foro civile, impiego di denaro eccedente alle spese (cf can. 1284 § 2, 6°)16, rifiuto di offerte (cf can. 1267
§ 2), accettazione di offerte gravate da modalità di adempimento che
comunque non peggiorino la situazione patrimoniale, locazione di immobili superiore a 250.000 euro.
Ci si può chiedere: vi sono atti che per loro natura sono da considerarsi eccedenti l’ordinaria amministrazione? Alcuni autori sostengono
di sì17. In pratica è più difficile rispondere, in quanto, essendo dal diritto
richiesta una formale indicazione, si può invocare l’ignoranza o il dubbio
di diritto o di fatto.
A volte potrebbe accadere che alcuni atti di amministrazione straordinaria vengano autorizzati dall’economo. Questo può accadere per esempio per piccole autorizzazioni di spesa,
o fidi esigui, pur eccedenti l’ordinaria amministrazione, dove non è coinvolto nessun ente
esterno alla parrocchia. La piena correttezza di tali azioni può essere però assicurata quando
vi sia formale mandato e trasparente informazione.
16
Per la problematicità della formulazione di questo numero, cf A. PERLASCA, Commento al can.
1284, in Codice di diritto canonico commentato, a cura della Redazione di QDE, Milano 20093,
pp. 1020-1021.
17
Cf V. DE PAOLIS, L’amministrazione…, cit., p. 147.
15
claudia Ambroggi - [email protected]
242
Francesco Grazian
c) Atti di alienazione o ad essi assimilati
Evitando la discussione, pur interessante, a riguardo della natura e
della individuazione di tali atti, si può dire che alcuni atti di alienazione,
ed altri che vengono ad essa equiparati, vengono identificati e regolamentati a parte dal Codice. Ovviamente non si parla di qualsiasi alienazione,
ma della alienazione ex cann. 1291 e 1292 (alienazione del patrimonio
stabile e dentro limiti stabiliti) e dei negozi ad essa assimilati (quelli che
possono peggiorare la situazione patrimoniale, ex can. 1295). La particolarità di questi atti consiste, dal punto di vista delle autorizzazioni,
nel fatto che per il loro compimento è necessaria la licenza del vescovo
diocesano, ma previo consenso del CDAE e del collegio dei consultori.
Solo però se superano la cifra minima (attualmente 250.000 euro), ma
sono sotto quella massima (1 milione di euro). Sono compresi anche i
negozi che possono peggiorare la situazione patrimoniale, se rientrano
nei due citati parametri.
Si aggiunge invece la necessità dell’autorizzazione della Santa Sede,
quando le dette alienazioni e atti peggiorativi superano la cifra massima
stabilita. La Santa Sede procede solo se ha già la licenza del vescovo diocesano, secondo quanto indicato sopra, licenza che quindi costituisce
conditio sine qua non per poter procedere.
Sono richieste le stesse licenze anche nel caso di ex voto o di cose
preziose per arte e per storia (cf can. 1292 § 2). In questo caso non vi è
indicazione di cifre. Una questione particolare si è creata a riguardo: i
notai a volte applicano nella identificazione di tali beni semplicemente la
V.I.C. (verifica di interesse culturale) redatta dalla soprintendenza competente, con la conseguenza che a volte per alienare beni esigui sia circa
il valore economico, sia circa il valore storico/culturale, viene dagli stessi
notai richiesta la licenza della Santa Sede.
E per le altre alienazioni (non del patrimonio stabile, sotto la cifra
minima)? Esse possono (o dovrebbero) essere integrate negli atti di amministrazione straordinaria. È sufficiente in questi casi quindi la licenza
dell’autorità prevista per l’amministrazione straordinaria. Altrimenti
costituiscono atto di amministrazione ordinaria.
Come si procede? Si presuppone che l’economo (o il vicario per
l’amministrazione) sia a conoscenza della situazione. In questo caso sarà
lui a presentare ai due consigli (CDAE e collegio dei consultori) i termini della questione. Dovrà distinguere tra presentazione (il più possibile
oggettiva) e il proprio parere personale. L’intervento dei due consigli
dovrebbe essere su due piani diversi: valutazione tecnico-economica per
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
243
il primo, valutazione pastorale per il secondo. Potrebbe esserci un rinvio
tra i due (in realtà un po’ complesso) oppure la decisione, in determinate
situazioni, di una convocazione unitaria. Trattandosi di consigli dati al
vescovo, spetta poi allo stesso, in caso di discordanza, provare a superare
la dialettica18.
Vale la pena che almeno il collegio dei consultori sia presieduto dal
vescovo? Indipendentemente dalla risposta a questa domanda si ritiene
opportuno che il vescovo sia a conoscenza delle licenze (almeno le più
onerose) che stanno per essere concesse o negate.
L’atto finale è costituito dal decreto del vescovo. Si tratta di un’autorizzazione. Può trattarsi di una negazione della autorizzazione. Può trattarsi di una autorizzazione modale o condizionata o limitata. Trattandosi
di un decreto del vescovo, si possono applicare le norme per il ricorso.
Procedimenti di atti che oltrepassano l’amministrazione ordinaria della diocesi
Sempre all’interno della curia, toccando spesso gli stessi soggetti (persone e uffici), ma con significato, procedure e limiti diversi, si
svolgono anche le procedure di compimento degli atti che oltrepassano
l’amministrazione ordinaria della diocesi. Tali procedure hanno lo scopo
di creare comunque un sistema di vigilanza anche per l’amministrazione
dei beni della diocesi, favorendo quindi un processo di “dialettica” interna, se così possiamo chiamarlo, dove soggetti distinti da chi solitamente
compie l’atto, esprimano una valutazione sulla bontà o opportunità dello
stesso. Possiamo dire che ai due poli di tale procedimento stanno l’economo e il vescovo. Al centro stanno gli uffici competenti e i due consigli
detti sopra (CDAE e collegio dei consultori).
Nel caso della diocesi si introduce un nuovo concetto, e cioè quello
di atto di maggior importanza (cf can. 1277). L’individuazione di questi atti
dovrebbe essere fatta dal diritto particolare, e cioè dal vescovo stesso, tenuto presente il profilo economico-finanziario della propria diocesi. Non
mi risulta che siano molte le diocesi che si sono date questo strumento.
Ci può essere il rischio concreto che gli atti che riguardano i beni della
diocesi non vengano discussi in questi consigli. Il canone invece ribadisce
che tutti gli atti di maggior importanza passino dalla valutazione dei due
consigli.
L’elenco degli atti di amministrazione straordinaria deve essere indicato dalla Conferenza Episcopale Italiana, che lo ha fatto attraverso la
18
Cf J.P. SCHOUPPE, Elementi…, p. 172.
claudia Ambroggi - [email protected]
244
Francesco Grazian
delibera n. 37 del 18 aprile 1985, con modifiche del 21 settembre 1990;
a ciò si aggiungono anche in questo caso atti già determinati dal diritto
canonico: locazione di immobili sopra la somma massima (cf can. 1297),
eccetto che il locatario sia un ente ecclesiastico. In questo caso dunque
non è richiesta la licenza della Santa Sede.
Da dove inizia la procedura? Nel caso della diocesi e del compimento degli atti eccedenti l’amministrazione ordinaria, l’iniziativa potrebbe
venire dall’economo stesso, che suggerisce un atto di amministrazione
straordinaria o di alienazione per il bene economico della diocesi stessa,
ma la richiesta potrebbe anche partire dal vescovo, e non è raro che ciò
avvenga. Potrebbe partire da un soggetto terzo (per esempio l’ufficio beni culturali, oppure da altri uffici o enti). In ogni caso deve essere fatta
propria dal vescovo, e va condivisa tra vescovo ed economo, che devono
essere inizialmente d’accordo sulla opportunità di compiere tale atto.
Anche se vi è stata e vi è un discussione a riguardo, la titolarità della
amministrazione straordinaria appartiene al vescovo e quindi il punto di
partenza formale proprio di questi atti pare essere la sua persona19.
Facendo un raffronto con le procedure indicate sopra, ne notiamo
velocemente le differenze. Per il compimento degli atti di amministrazione straordinaria, indicati dalla delibera CEI, non è ovviamente indicata la necessità della licenza del vescovo, quanto il consenso del CDAE e
del collegio dei consultori. La pratica, in questo caso, si conclude con il
provvedimento del vescovo che dispone il determinato atto, annotando
il pervenuto consenso dei due consigli. Opportunamente l’istruzione
CEI al n. 65 afferma: «Il decreto del Vescovo diocesano, controfirmato
dal cancelliere, deve menzionare il consenso dei due organi consultivi e
la data delle rispettive sedute. Non è opportuno esibire il verbale delle
adunanze degli organi consultivi della diocesi». Vorrei sbagliarmi, ma
ritengo che il più delle volte la cancelleria non venga coinvolta. Proprio
perché riguarda un dinamismo interno della curia, è opportuno che
almeno un organo “notarile” come la cancelleria sancisca l’atto finale. È
pur vero che le cancellerie si troverebbero a siglare una pratica di cui sono
praticamente estranee, non essendo partecipi né degli aspetti sostanziali
dell’atto né solitamente membri dei consigli di cui sopra. Si può discutere
di questo aspetto.
Non sono previste consultazioni per molti atti per cui alle parrocchie o agli enti soggetti al vescovo era richiesta la licenza dell’ordinario
Cf C. R EDAELLI, La responsabilità del Vescovo diocesano nei confronti dei beni ecclesiastici, in QDE
4 (1991) 317-335; V. DE PAOLIS, L’amministrazione…, cit., pp. 160-161.
19
claudia Ambroggi - [email protected]
I beni ecclesiastici: soggetti e procedure
245
diocesano, e cioè: contestazione di liti attive e passive in foro civile,
impiego di denaro eccedente le spese (cf can 1284 § 2, 6°), rifiuto di
offerte (cf can. 1267 § 2), accettazione di offerte gravate da modalità di
adempimento che comunque non peggiorino la situazione patrimoniale, locazione di immobili di valore inferiore a 250.000 euro. Non sono
richieste autorizzazioni nemmeno per le alienazioni che sono inferiori
alla somma di cui sopra (somma minima).
La modalità del compimento di questi atti è lasciata alla prassi
di curia, ma non sempre le prassi “assodate” rispondono ai criteri di
legittimità. Deve essere richiesto ciò che il diritto chiede come necessario, oltre che una corretta informazione-trasparenza tra economo e
vescovo diocesano. È richiesto invece il consenso dei due consigli per
la locazione di immobili superiore a 250.000 euro, se non locati a enti ecclesiastici. Spesso tali atti costituiscono amministrazione di maggiore
importanza.
Per le alienazioni e gli atti che sono ad esse equiparati, si rimanda alle considerazioni già fatte a riguardo delle parrocchie; è richiesto
sempre il consenso dei due consigli, quando il valore dei beni è inferiore
alla cifra massima stabilita. Nel caso la superino è richiesta anche l’autorizzazione della Santa Sede.
Anche in questi casi la pratica dovrebbe terminare con un decreto
del vescovo che disponga l’esecuzione di quell’atto, dopo aver richiamato
l’assolvimento degli adempimenti previsti.
Amministrazione di grandi patrimoni
Tutte le diocesi hanno a che fare con grandi patrimoni che possono essere gestiti in modi diversi: fondazioni autonome, fondazioni non
autonome, beni cospicui semplicemente gestiti in modo separato. Sarà
importante verificare anzitutto se si tratta di patrimoni non autonomi
della diocesi, e quindi si tratta di beni dell’ente diocesi, o se invece si
tratta di enti che, pur diocesani, non sono parte dell’ente diocesi, e quindi
rientrano nella prima categoria, cioè di enti sotto la vigilanza del vescovo.
Ciò, abbiamo visto, comporta modalità assai diverse nel compimento
degli atti amministrativi e nella richiesta delle licenze.
In tutti questi casi è però opportuno che gli statuti indichino le
procedure da seguire nel compimento dei vari atti che eccedono l’amministrazione ordinaria.
Il rischio può essere che tali enti vengano erroneamente ritenuti
parte dell’ente diocesi quando non lo sono, e si creino situazioni di non
claudia Ambroggi - [email protected]
246
Francesco Grazian
chiarezza e di commistione che non giovano al fine del patrimonio stesso, né a quello della diocesi.
Ne vanno richiamati almeno due. E cioè l’istituto diocesano per il
sostentamento del clero e la Caritas. Per quanto concerne l’IDSC l’identificazione e le modalità di compimento degli atti di eccedenti l’ordinaria
amministrazione sono stati determinati dalla CEI e fatti propri dagli
statuti di ciascun ente20.
Altro caso è invece rappresentato dalla Caritas. Essa è e resta organismo diocesano. In questo caso dunque i suoi beni sono in effetti
parte dell’ente diocesi. Tuttavia i suoi beni sono a volte gestiti attraverso
associazioni e/o fondazioni che si occupano di finalità specifiche oppure
ne costituiscono semplicemente il braccio operativo. Va ricordato che,
qualora venisse creata un’associazione, o una fondazione, tali enti, e i loro patrimoni, si configurerebbero come separati dall’ente diocesi. È d’obbligo dunque un chiaro inquadramento statutario, che se da una parte
non deve imporre vincoli eccessivi per un ente che gestisce solitamente
cospicui flussi di denaro, dall’altra garantisca la vigilanza e offra consigli
tecnici e pastorali nell’occasione del compimento di atti che superino
l’ordinaria amministrazione21.
FRANCESCO GRAZIAN
20
21
Cf CEI, Istruzione…, 1° settembre 2005, cit., nn. 92-96.
Cf ibid., nn. 89-90.
claudia Ambroggi - [email protected]
LIBRI RICEVUTI
A A .VV., Famiglia e diritto nella Chiesa, a cura di M. Tinti, Città del
Vaticano 2014, pp. 315.
A A .VV., Il “bonum fidei” nel diritto matrimoniale canonico, Città del
Vaticano 2013, pp. 377.
A A .VV., Il corpo e l’esperienza religiosa, a cura di G. Ruggieri, Catania
2013, pp. 269.
A A .VV., Il potere (Quaderni teologici del seminario di Brescia 24),
Brescia 2014, pp. 332.
A A .VV., Il sacramento della penitenza. Il ministero del confessore: indicazioni canoniche e pastorali, a cura di E. Miragoli, presentazione di C. Redaelli, Milano 20152, pp. 365.
A A .VV., Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione
nella Chiesa cattolica, a cura di R. Dodaro, Siena 2014, pp. 302.
GHIRLANDA G., Il diritto nella Chiesa mistero di comunione. Compendio
di diritto ecclesiale, Roma 2014, pp. 959.
Instructionis “Dignitas connubii” synopsis historica, edidit Facultas
Iuris Canonici. Pontificia Universitas Gregoriana, Roma 2015,
pp. 287.
MONTINI G.P., De iudicio contentioso ordinario. De processibus matrimonialibus. I. Pars statica. Ad usum Auditorum. Romae 2014, pp.
463.
claudia Ambroggi - [email protected]
248
Libri ricevuti
Pius et Prudens. Libro homenaje a Mons. Dr. Bonet Alcón, Buenos
Aires 2014, pp. 443.
Processi di formazione del consenso. Atti del Convegno di Studi organizzato dallo Studio Teologico S. Paolo di Catania e dal Dipartimento Seminario Giuridico dell’Università degli Studi di Catania.
Catania 18-19 aprile 2013, a cura di N. Capizzi - O. Condorelli,
Catania 2013, pp. 269.
ROSSANO S., La costituzione apostolica “Pastor bonus”. Evoluzione
storico-giuridica e possibili prospettive future, prefazione di G.
Sciacca, Ariccia (Roma) 2014, pp. 284.
claudia Ambroggi - [email protected]
I temi della parte monografica di QDE
nei prossimi fascicoli
n. 3/2015 La cooperazione missionaria
della Chiesa particolare
n. 4/2015 Irregolarità e impedimenti
agli ordini sacri
n. 1/2016 Riduzione di chiese ad uso
profano
n. 2/2016 La confermazione
Hanno collaborato a questo numero:
MONS. PAOLO BIANCHI
Vicario giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Regionale Lombardo
DON ALESSANDRO GIRAUDO
Vicario giudiziale aggiunto del Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese
MONS. ADOLFO ZAMBON
Vicario Giudiziale del Tribunale Ecclesiastico Regionale Triveneto
MONS. MASSIMO MINGARDI
Vicario giudiziale aggiunto del Tribunale Ecclesiastico Regionale Flaminio
DON GIANLUCA MARCHETTI
Cancelliere della curia diocesana di Bergamo
DON FRANCESCO GRAZIAN
Cancelliere della curia diocesana di Verona
claudia Ambroggi - [email protected]
La Redazione di Quaderni di Diritto Ecclesiale,
con il patrocinio della Pontificia Università Gregoriana
e dell’Editrice Àncora
organizza il seguente
Corso residenziale di diritto canonico applicato
I BENI ECCLESIASTICI: PROFILI CANONISTICI
III anno
Assisi, Domus Pacis, 24-27 agosto 2015
Il corso è rivolto a coloro che intendono acquisire o completare
una preparazione di base per meglio operare nelle strutture ecclesiastiche come l’ufficio amministrativo, l’economato, l’ufficio
cassa, le cancellerie e altri uffici di curia. Inoltre è aperto a coloro
che, licenziandi o licenziati in diritto canonico o laureati in giurisprudenza oppure in possesso del baccellierato in teologia o del
magistero in scienze religiose, hanno un interesse pratico alla
prassi amministrativa ecclesiale. Si intende così favorire l’aggiornamento e la formazione di coloro che già operano o inizieranno
ad operare in tale settore.
Saranno offerte relazioni di esperti, con ampia possibilità di
confronto, ed esercitazioni pratiche in gruppo su pratiche
della Curia diocesana in materia amministrativa ed economica.
Il programma dettagliato del Corso è segnalato sul sito di QDE.
Per informazioni e iscrizioni visitare il sito:
www.quadernididirittoecclesiale.org
claudia Ambroggi - [email protected]
Corso residenziale di diritto canonico applicato
CAUSE MATRIMONIALI
II anno
Perugia, Hotel Sacro Cuore, 30 agosto - 3 settembre 2015
Il corso è rivolto a coloro che intendono acquisire o completare una formazione di base per meglio operare nelle strutture
ecclesiastiche come i tribunali, le curie, i consultori. Inoltre è
aperto a coloro che, licenziati in diritto canonico o laureati in
giurisprudenza oppure in possesso del baccellierato in teologia
o del magistero in scienze religiose, hanno un interesse pratico
alle questioni matrimoniali.
Saranno offerte relazioni di esperti sui seguenti temi:
- Il can. 1095: origine, sistematica e cause di natura psichica
- La perizia nelle cause di nullità per incapacità psichica (can.
1095): i disturbi che più comunemente si riscontrano (anamnesi
e lettura degli atti)
- Il can. 1095: gli obblighi essenziali oggetto dell’incapacità e la
sua prova
- La perizia nelle cause di nullità per incapacità psichica (can.
1095): la metodologia e gli strumenti di indagine (esame psichico ed eventuali test psicodiagnostici)
- La procedura del processo di nullità matrimoniale
- La raccolta delle prove nella fase istruttoria
- Scioglimento del matrimonio rato e non consumato.
Il corso offre una ampia possibilità di confronto, ed esercitazioni pratiche in gruppo su alcune “cause di nullità”. Il
programma dettagliato del Corso è segnalato sul sito di QDE.
Per informazioni e iscrizioni visitare il sito:
www.quadernididirittoecclesiale.org
claudia Ambroggi - [email protected]
pp. 360 - E 25,00
www.ancoralibri.it
Questo è il quarto di una serie di volumi che intendono percorrere la
storia dell’identità teologica, pastorale, spirituale del presbiterio e del
presbiterato, entro la domanda, che cosa a questo proposito oggi lo
Spirito dica alle chiese. Copre la storia delle chiese d’Occidente tra
i secoli X e XI, un periodo apparentemente breve, ma in cui il volto
dell’Europa e la sua civiltà cambiano molto profondamente; e gli stili
del vissuto ecclesiale, pur sostenuti dalla stabilità connaturale dei riti
liturgici, essi stessi si trasformano in modo irreversibile.
claudia Ambroggi - [email protected]
pp. 128 - E 13,50
www.ancoralibri.it
Un vescovo si confessa. Lo fa sulle orme di sant’Agostino: una confessione di lode. L’arcivescovo GianCarlo Maria Bregantini, rispondendo
alle domande del teologo Valentino Salvoldi, rivede la sua vita alla luce
dell’eroica fede dell’apostolo Pietro. Fede, fonte di estasi e di tormento,
dono che porta i suoi frutti in noi nella misura in cui testimoniamo il
nostro credo con quella carità che «tutto crede, tutto spera, tutto sopporta», con la grandezza e i limiti di tutto il nostro essere.
claudia Ambroggi - [email protected]
pp. 192 - E 17,00
www.ancoralibri.it
Con tutta la sua opera letteraria, e specialmente con la favola dell’ometto giunto sul nostro pianeta dall’asteroide B 612, Saint-Exupéry
ha scritto una sorta di «Nuovissimo Testamento», nel quale può specchiarsi ogni persona in ricerca dell’assoluto e di Dio. Le pagine del
pilota-scrittore francese sono colme di riferimenti religiosi e biblici, nel
senso più largo e profondo del termine. Questo libro li porta in luce e
svela la Parola che si nasconde dietro ogni pagina del Piccolo Principe.