Bollettino numero 14 1996

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Bollettino numero 14 1996
ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA
GRUPPO REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA
✂
Sì, mi interesso all'ASPI.
Vogliate inviarmi altre informazioni.
Affrancare
P.F.
Non voglio più ricevere la vostra
pubblicazione
Vogliate inviarmi... esemplari del
bollettino ASPI al seguente indirizzo:
Ho pagato l'abbonamento alla rivista
che desidero ricevere
Nome:
Cognome
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Città:
Tel.
ASPI
GR della Svizzera Italiana
c/o Dr. A.Tonella
Viale Portone 2
6500 Bellinzona
N.14 APRILE 1996
Da ritagliare e inviare al seguente indirizzo:
BOLLETTINO ASPI
P.P.
6500 BELLINZONA 4
Editoriale
Il gruppo POP: perché?
Lettera del 26 ottobre 1995 di presentazione del Gruppo POP, in occasione della
giornata di studio del 2 dicembre 1995 a Mendrisio
Interazione tra servizi e reti sociali per prevenire evoluzioni psicopatologiche:
Modelli d'intervento
I figli di genitori malati di mente
Violenze dei pazienti, violenza delle cure
Comunicati importanti
Libri e recensioni
ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA
GRUPPO REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA
PRO MEMORIA
Chi vuole entrare a far parte del nostro
Gruppo Regionale della Svizzera Italiana dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia deve:
1. chiedere di far parte dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia: Brunnmattstrasse 38, 3000
Berna 14 tel. 031 382 02 33 Fax 031
382 45 21
2. versare la quota sociale (attualmente 50 fr.), dell’Associazione svizzera
per la protezione dell'infanzia a Berna
CCP 30-12478-8
3. annunciarsi alla segretaria del Gruppo Regionale (vedere pag. 2 l'indirizzo) per avere il materiale.
Comitato
Presidente
Dr. Amilcare, TONELLA, pediatra, Bellinzona tel. 092/825 52 52
Segretaria, cassiera
Jenny Lazzarotto, assistente medico, Biasca
Chantal Heiz, assistente medico, Bellinzona
Membri
Marina ARMI, consulente famigliare, Pazzallo
Fabrizio FAZIOLI, giornalista, Bellinzona
Gabriele FERRARI, avvocato, Chiasso
Dr. Donato GERBER, pedopsichiatra, Bellinzona
Pierre KAHN, psicologo, Canobbio
Apparizione:
3 volte all'anno
Indirizzo Redazione:
Dr. med. A. Tonella
Viale Portone 2
CH- 6500 Bellinzona
I versamenti vanno
effettuati presso la: BSI di Bellinzona
CCP 65-991-0
ASPI conto M 123790 B
Copyright:
Riproduzione autorizzata citando la fonte
Impaginazione:
Fondazione Diamante - Laboratorio Laser - Lugano
Stampa:
1700 copie - Tipografia Coduri e Bremer - Lugano
stampato su carta rispettosa dell'ambiente
Fotografia:
di Amilcare Tonella
Si rimane membri del Gruppo
Regionale pagando annualmente
la sola tassa sociale all'ASPI di Berna
Il Bollettino lo si può ricevere versando
30.– fr. (50.– fr. per associazioni, scuole, enti, ecc.) sul nostro CCP. Ogni offerta superiore ai 50.– fr. fa scattare automaticamente l'abbonamento.
Ogni offerta è ben accetta e ci permette di continuare il nostro lavoro.
BSI di Bellinzona.
CCP 65-991-0
ASPI conto M 123790 B.
✂
Le vostre osservazioni ci interessano, qui avete uno spazio a vostra disposizione:
Indice
EDITORIALE
4/7
IL GRUPPO POP: PERCHÈ?
8/9
LETTERA DEL 26 OTTOBRE 1995 DI PRESENTAZIONE DEL GRUPPO POP, IN OCCASIONE
DELLA GIORNATA DI STUDIO DEL 2 DICEMBRE
1995 A MENDRISIO
10/12
INTERAZIONE TRA SERVIZI E RETI SOCIALI PER
PREVENIRE EVOLUZIONI PSICOPATOLOGICHE:
MODELLI D'INTERVENTO
13/23
I FIGLI DI GENITORI MALATI DI MENTE
24/32
VIOLENZE DEI PAZIENTI, VIOLENZA DELLE CURE
33/52
COMUNICATI IMPORTANTI
53/56
LIBRI E RECENSIONI
57/59
3
Care lettrici e cari lettori… nella speranza che possiate essere in molti a
leggere questo Bollettino nr. 14!
Buona Pasqua! Infatti usciremo in quel
periodo e l’augurio è di prammatica.
Questo è il primo dei tre bollettini del
1996 e spero di poter sempre presentarvi articoli interessanti e ricchi di
argomenti per una riflessione. Per fare
questo ho naturalmente bisogno anche della vostra collaborazione, inviatemi articoli che toccano il campo
dei maltrattamenti o della loro prevenzione oppure testimonianze o recensioni di libri interessanti che avete
letto e magari anche delle critiche o
delle osservazioni.
4
Alla fine di questo mese la Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale dovrebbe riunirsi per
discutere quel messaggio che il Consiglio federale, l’estate scorsa, ha redatto a proposito del rapporto “Infanzia maltrattata in Svizzera” del 1992
(vedere anche Bollettino nr. 13). Non
so che cosa succederà, già fin troppe
volte questa trattanda è stata rimandata! Oggi (18.3.96) al notiziario della
nostra RSI ho sentito che negli Stati
Uniti negli ultimi 10 anni il numero dei
bambini maltrattati, abusati e negletti
sono passati da 120000 a oltre
600000… un bel progresso in una
società che si dice civile! Le violenze
sui bambini al di sotto dei quattro
anni, sempre negli Stati Uniti, sono la
causa numero uno di morte in questa
fascia di età! I soldi che vengono stanziati per la lotta ai maltrattamenti sui
minori scompaiono senza essere usati
per questo scopo! La sensibilità politica verso questo problema sembra
battere la fiacca! Tanti punti esclamativi per tante notizie che scottano come
delle bruciature. Perché la sofferenza
di questi minori non scuote il mondo
degli adulti ? Fino a quando le autorità
resteranno insensibili o cercheranno
solo delle pseudo-soluzioni che serviranno solo come alibi politici ? Perché
i politici si trovano tutti d’accordo per
investire milioni di franchi in progetti
che poi magari al momento dei consuntivi risultano più che raddoppiati
(vedere galleria della Fart a Locarno
passata da 54 a ben 114 milioni di
franchi) e che vengono comunque stanziati, mentre briciole sono i soldi che
vengono investiti nella lotta contro i
maltrattamenti e la loro prevenzione ?
I maltrattamenti e le negligenze causano alti costi sociali, nel nostro Cantone su 425 minori collocati fuori famiglia in istituti, oltre il 65 % lo era per
motivi che toccavano direttamente i
maltrattamenti oppure la trascuratezza per grave disagio familiare o incapacità educativa dei genitori (dati
desunti dal lavoro di Lina Butti del
1995 per il Dipartimento delle Opere
Sociali).
La sensibilità della gente in questi
ultimi anni sembra essere comunque
aumentata nei riguardi dei problemi
dei maltrattamenti ai minori e della
loro protezione, infatti più di 8700
persone hanno sottoscritto le proposte di aggiunte al nuovo progetto di
Costituzione Federale che ho pubblicato nell’ultimo numero. Con una conferenza stampa il 29 febbraio u.s. questi dati sono stati comunicati ai rappresentanti dei media e le firme inviate al Consiglio Federale… che non ha
accusato ricevuta!
Non dobbiamo disperare, continuiamo a chiedere ad alta voce e a impe5
gnarci tutti per concretizzare questa
nuova cultura verso i minori.
trica e con un destino già quasi segnato, e poi quello di vedere il terapista
che ricerca una alleanza terapeutica
come un illuso e in fondo tranquillizza
chi lavora in queste situazioni se non
ottiene alcun successo… magari perché il lavoro è fatto in modo inadeguato! Per fare meglio riflettere chi mi
legge ho perciò aggiunto un articolo
tradotto dal francese. Si tratta di un
lavoro di più persone, letto da Odette
Masson il 14 settembre 1995 a Lione
durante le ottave giornate francofone
di terapia familiare sistemica. In questo articolo vi sono riportate due storie emblematiche. Una fa benissimo
da controaltare all’articolo del Prof.
Henny, infatti per tutti la situazione di
grave disturbo psichiatrico che Marianne presentava, era chiaro e il decorso
senza sbocco, ma una nuova terapista,
con un approccio più coinvolgente,
scevro di pregiudizi riuscirà la dove altri
cinquanta hanno fallito. Un articolo da
leggere e da avere sempre davanti agli
occhi quanto si lavora con bambini
maltrattati e genitori maltrattanti!
Tra i COMUNICATI troverete il
contoreso per l’anno 1995 che verrà discusso nell’assemblea ordinaria
annuale del nostro Gruppo regionale il
20 novembre 1996. Abbiamo terminato con un margine di utile notevole
grazie alle generose offerte di molte
persone ma anche grazie alla vendita
Il nostro Bollettino nr. 14 porta le conferenze che il Prof. E. Loperfido di
Bologna e il Prof. R. Henny di Ginevra
hanno tenuto nella giornata di studio
del 2 dicembre 1995 a Mendrisio.
Quella giornata era stata organizzata
dal neocostituito Gruppo POP, gruppo che raccoglie rappresentanti della
psichiatria, dell’ostetricia e della pediatria, per meglio, più rapidamente e
tempestivamente prendersi a carico
future madri o madri con problemi
psichiatrici. Grazie alla collaborazione e all’amicizia con il dr. Alberto
Spinelli ideatore e motore di questo
gruppo posso ora presentarvi questa
iniziativa con una introduzione del dr.
Spinelli, la lettera del 26 ottobre 1995
di presentazione del Gruppo con la
lista delle persone che fanno parte del
“Nucleo” e come detto sopra le due
conferenze della prima giornata di studio del 2.12.95. L’articolo di Loperfido
è di facile lettura, un po’ meno quello
di Henny, almeno per chi, come me
non ha fatto studi di psicologia o di
psichiatria. Alcuni concetti comunque
mi sono balzati all’occhio in questo
articolo, forse soggettivi, uno quello
di presentare il bambino di madre malata mentale come un bambino ad alto
rischio di decompensazione psichia6
delle nostre statuette “Arturo” (ne
resta una sola invenduta!) che ci hanno permesso di contabilizzare un utile
netto di oltre 20000 fr.-.
Per quanto concerne l’anno in corso
posso già anticiparvi la notizia che
grazie alla BSI (Banca della Svizzera
italiana) abbiamo ottenuto per l’ASPI
svizzera 125000.- fr. La metà di questa
somma, per decisione della donatrice,
è stata destinata al nostro Gruppo
regionale della Svizzera italiana. Un
grazie che viene dal cuore per questo
gesto ai dirigenti della BSI, in modo
particolare al direttore signor Reto
Kessler, per quanto ci ha generosamente donato con l’impegno che sapremo usarlo a favore di chi soffre per
maltrattamenti o per prevenire questa
piaga.
Tra i comunicati troverete l’annuncio dell’Assemblea annuale dell’ASPI del 28 aprile. È vero che il numero
dei membri dell’ASPI svizzera è molto
basso e che nel nostro Cantone si
contano solo una settantina di persone che hanno chiesto di entrare in
questa associazione e che ne hanno
pagato le tasse, vorrei però ciónostante ricordarvi che quest’anno siamo noi del Gruppo regionale della
Svizzera italiana ad organizzare questo incontro e vi invitiamo tutti, membri e simpatizzanti in Augio, Val
Calanca per quella data.
Avvocati, magistrati, operatori dei
servizi medico-psicologici e medici
dovrebbero non mancare la data del
15 giugno prossimo a Ginevra. Sappiamo sempre ancora troppo poco
come valutare le segnalazioni che i
bambini ci fanno, in modo particolare
di abusi sessuali subiti.
Termino questa mia chiacchierata comunicandovi che la nostra segretariacassiera, signora Claudia Danielli,
ha inoltrato le sue dimissioni dalla
carica che deteneva dal giorno della
fondazione. Claudia è sempre stata
assidua nel suo lavoro dal primo minuto, ha avuto la fortuna di diventare e
mamma di Sara e ora, mentre è in
attesa di un altro/a bambino/a ha deciso che l’impegno di segretaria-cassiera era troppo. A nome di tutto il nostro
Comitato le diciamo GRAZIE per tutto
il lavoro fatto e per il suo entusiastico
impegno, speriamo di vederla alle assemblee e di continuare ad averla
come membro del Gruppo.
Le mie assistenti di studio, Jenny Lazzarotto di Biasca e Chantal Heiz di
Bellinzona fungeranno ora da segretarie-cassiere del Gruppo.
VI auguro buona lettura e vi aspetto
numerosi il 28 aprile in Augio!
Amilcare Tonella
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Un gruppo nato spontaneamente sull’onda di un bisogno, quello di aiutare
il bambino e la madre affetta da turbe
psichiche, possibilmente individuando le situazioni a rischio già durante la
gravidanza. E se la strada è assai ardua, come lo dimostrano le esperienze di chi ci ha preceduti, l’obiettivo da
raggiungere è di tale importanza ideale e reale che già il solo tentare di
raggiungerlo può essere appagante.
Dalla lettera del 26 ottobre 1995 che
pubblichiamo, appare chiaramente lo
scopo di questo gruppo:
“Obiettivo ideale di questo gruppo è di garantire un normale svi8
luppo psicofisico al bambino, favorendo la sua relazione con la
madre nei modi e nei tempi più
adeguati ad ogni singola situazione.”
Il gruppo POP: non vuole creare nulla
di nuovo, vuole tentare di coordinare
le forze e le energie già presenti in
modo da ottimare gli interventi.
Il primo anno di attività, impegnato
nel capire come muoverci tra le persone, tra le organizzazioni private e statali, come raggiungere gli interessati
e motivarli a partecipare, impegnato a
superare la diffidenza che sempre insorge di fronte a qualcosa di nuovo, di
sconosciuto, ha mostrato a tutti noi le
infinite sfaccettature di un problema
che da sempre esiste ma che spesso,
troppo spesso non vuole essere visto
poiché frequentemente ci trova impreparati ed impotenti ad affrontarlo.
Chiudo questa breve introduzione con
l’augurio che il nostro lavoro non si
fermi al suo stato embrionale ma possa svilupparsi, crescere ed ancor più
dare frutti.
Dr.med. Alberto Spinelli
Ginecologo-ostetrico FMH
Via Turconi 10
6850 Mendrisio
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Gentili Signore, Egregi Signori,
l’attività quotidiana nel campo dell’ostetricia, della neonatologia, dell’assistenza sociale e della psichiatria
ci ha confrontati a più riprese con il
problema di riuscire a preservare la
relazione madre bambino anche quando la madre presenta gravi problemi
psichiatrici e sociali.
Queste situazioni ci hanno quasi
sempre trovati impreparati, non già
per l’incapacità di ogni singolo operatore ad affrontare la situazione nel
campo di sua competenza, bensì per
l’evidente insufficienza o mancanza di
coordinamento tra gli operatori delle
varie istituzioni. Il risultato è che chi si
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occupa della madre, non sempre pianifica interventi che tutelino l’interesse del neonato, e viceversa.
Da questa constatazione deriva il
primo e più importante dei nostri obiettivi.
Dalla volontà di riuscire a coordinare i vari interventi è nato un gruppo
spontaneo composto da ostetrici, pediatri, psichiatri, psicologi, assistenti
sociali, rappresentanti delle autorità
tutelari ed altre persone interessate
ad assistere nel miglior modo possibile le neo madri che presentano
gravi problemi psichiatrici e sociali ed
i loro figli.
2 offrire occasioni di formazione a
tutti coloro che, lavorando nel settore pubblico o in quello privato, si
trovano confrontati a future o neo
madri che presentano le difficoltà
sopraccitate.
3 documentare il tipo di presa a carico effettuata ed i risultati dei vari
interventi.
Struttura
Il Nucleo: l’idea è quella di avere un
nucleo centrale che possa raccogliere
le segnalazioni e i dati per tutto il
Cantone, verificando poi che si attivi
la Corona (definita più avanti).
Il nucleo si compone di quattro figure professionali: ostetrico, rappresentante del servizio psicosociale, rappresentante del servizio medico psicologico, assistente sociale.
Obiettivi
Obiettivo ideale di questo gruppo
è di garantire un normale sviluppo psicofisico al bambino, favorendo la sua relazione con la madre nei modi e nei tempi più adeguati ad ogni singola situazione.
Gli intermediari: si tratta di singole
persone, una per zona (vedi: Corona),
designate ad attivare la Corona per i
singoli interventi e a mantenere i contatti con il Nucleo.
Da questo obiettivo ideale conseguono alcuni obiettivi pragmatici:
1 permettere il coordinamento e la
verifica del lavoro svolto sul territorio, utilizzando le risorse già disponibili (persone, mezzi e strutture pubbliche e private), garantendo la continuità dell’intervento nel tempo.
La Corona: è la componente attiva
sul territorio ed ha quattro punti chiave: Locarno, Bellinzona, Lugano, Mendrisio. È composta dalle medesime
figure professionali che strutturano il
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nucleo, ma si tratta di persone attive
nel settore del territorio in cui il caso
viene preso a carico.
Ben sappiamo che prendere la decisione di segnalare questo genere di
situazioni non è mai facile, così come
può essere difficoltoso convincere le
madri interessate a dare il loro consenso. Vi invitiamo pertanto a voler
consultare i membri del nostro Nucleo
(vedi lista degli indirizzi di seguito
riportata) per concordare la strategia
migliore per giungere ad una segnalazione consensuale. La consulenza
può avere carattere anonimo, cioè
senza la segnalazione del nome della
paziente.
La consulenza dei membri del Nucleo, in quanto risorsa terapeutica a
disposizione del medico curante, è
comunque coperta dal segreto professionale.
La Vostra collaborazione sarà un
fattore determinante per la riuscita
del lavoro preventivo che ci proponiamo di svolgere.
È una rete già esistente di operatori
che deve poter agire subito (idealmente già prima della nascita del bambino) in favore del neonato e della sua
famiglia.
Questa lettera informativa è rivolta a
tutti coloro (medici, operatori sociali,
autorità di tutela, ecc.) che nell’esercizio della loro attività professionale
possono venire a conoscenza di situazioni personali e familiari suscettibili
di compromettere seriamente il normale sviluppo psicofisico di un neonato.
Segnalandoci i casi a rischio, possibilmente prima della nascita, collaborerete con noi per la diagnosi precoce e la prevenzione delle difficoltà
relazionali genitori-bambino.
servizio
titolare
supplente
assistente sociale
Rosetta Teodori-Ambrosini
Servizio Sociale
Carla Riva-Castagna
Servizio Sociale
rapp. SMP
StellaDeCarli
SMP
Franco Marangoni Dr.Med.
SMP
rapp. SPS
J.FrançoiseMottaDr.Med.
SPS
ostetrico/a
AlbertoSpinelliDr.Med.
OBV Mendrisio
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MariangelaGalfettiDr.Med.
OBV Mendrisio
Prof. Eustachio Loperfido
Penso che a nessuno sia sfuggita l’insistenza con cui, negli ultimi anni, le
grandi Organizzazioni mondiali per la
salute (OMS) e per la protezione dell’Infanzia (UNICEF) hanno lanciato e
diffuso richiami e invocato attenzioni
sulle problematiche psicosociali che
sottostanno ad una crescente rilevazione di disturbi, seri e gravidi di conseguenze, dei processi di regolazione
dello sviluppo nel corso dell’infanzia e
dell’adolescenza. Solo pochi giorni fa
Leon Eisenberg, consulente esperto
dell’OMS, in un Convegno Internazionale a Bologna sulla “Salute del bambino alle soglie dell’anno 2000“ cosi si
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esprimeva in un passo della sua Lettura Magistrale: “Molti Paesi si trovano
a fronteggiare una vera epidemia di
comportamento violento di adolescenti e giovani adulti.
I fattori di rischio per tale comportamento, tutti fortemente intercorrelati, comprendono povertà, limiti
educativi, residenza in quartieri degradati, famiglie monoparentali,
abuso e maltrattamento, carcerazione di altri membri della famiglia, adesione a bande di adolescenti (antisociali). La criminalità aumenta mentre
diminuiscono le opportunità di una
legittima occupazione.”.
me le esperienze di Winnicott sotto il
titolo “Il bambino deprivato” 1984 e il
libro di Mary Boston e Rolen Szur “Il
lavoro-psicoterapeutico con bambini
precocemente deprivati” 1987, l.ª edizione italiana). Altri riportano studi sul
campo, o di tipo epidemiologico con
l’obiettivo di valutare su campioni di
popolazione infantile le correlazioni
tra ipotizzati fattori di rischio e modelli
di psicopatologia, o l’intento di cogliere questa correlazione nella dinamica
e nel divenire delle concrete interazioni
genitori di tipo clinico con - bambini ambiente.
Tra i primi ricorderò per tutti la serie di
ricerche di M. Rutter e collaboratori,
vari nel tempo, dalla metà degli anni
70 all’inizio degli anni 90; per i secondi
mi limiterò a citare il lavoro di G.
Diatkine sulle “Familles sans qualités” pubblicato su Pschyatrie de l’enfant del 1979 e quello dl M. David e
coll. che riporta una ricerca su un
gruppo di neonati lattanti di “famiglie
carenziate”.
Parallelamente, in campo scientifico,
è andato assumendo forma e penetranza il concetto di “rischio psicosociale” inteso come nesso e relazione
causale tra condizioni socioambientali ed educative carenti e distorte ed
alterazioni nella strutturazione e nella
organizzazione della personalità in via
di sviluppo.
Sono molti i lavori che su questo
tema compaiono nella letteratura
scientifica a partire dall’inizio degli
anni ’80. Alcuni di questi testimoniano l’impegno e la sfida della psicoterapia a confronto con il “bambino
deprivato” e l’adolescente socialmente deviante (ricordo, al proposito, la
pubblicazione che ha raccolto in volu-
L’accezione semantica dell’attributo
psicosociale è andata via via ampliandosi in psichiatria dell’età evolutiva
ad evocare l’incidenza di fattori socioambientali nella genesi di tanta parte
dei disturbi psicopatologici infantili,
in una società soggetta a tumultuosi
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cambiamenti, sia a livello macro che
micro e di ciò è testimonianza anche
l’introduzione dell’”asse psicosociale” nei sistemi internazionali di classificazione diagnostica.
specifici effettuati sul campo, possiamo presumere, in base a criteri di
valutazione teorica, e desumere dalla
esperienza dei Servizi che il fenomeno
è in aumento, in quanto sono in aumento nelle società industrializzate i
Ma c’è, a mio parere, un’area di spe- processi di emarginazione sociale che
cificità che possiamo considerare sono quasi sempre causa di creazione
come la punta emergente di un ice- di “enclaves” di patologia sociale comberg o, se si vuole, un nocciolo duro plessa, terreno di cultura elettivo di
che è dato dalla psicopatologia con- psicopatologia sociale individuale e
nessa strettamente a condizioni di familiare.
patologia sociale e che compie il suo
percorso strutturante nel passaggio Ma, al di là di questo presunto e proattraverso la cattiva qualità (fatta di babile aumento, due ordini di fattori
disordine, dissinergia, confusione) vanno tenuti in considerazione: uno è
delle relazioni primaria. Tale psicopa- dato dalla maggiore “visibilità“ del
tologia ha espressioni individuali e al problema nel sociale e nel suo quotitempo stesso coinvolge tutto il gruppo diano, per effetto e in conseguenza
familiare. Affermare la specificità e delle politiche di deistituzionalizzal’identità clinica di questa patologia zione praticate in campo psichiatrico
psicosociale è importante per definire e in campo socio-assistenziale minol’approccio di cura che, come vedremo rile, a partire dagli anni ’70; l’altro è
in seguito, non può che essere multi- più complesso e potrebbe essere defivalente, multidisciplinare e al tempo nito come “nuove edizioni dei problestesso globale. Ci si chiede se la pre- mi“ che indicherò per soli titoli:
valenza di questa patologia nelle nostre popolazioni è cresciuta negli ulti- a) mutamento della condizione di “pomi 15 - 20 anni e, in caso affermativo,
vertà“ e della corrispondente conse è questo che ha sollecitato la magcezione sociologica;
gior attenzione di studiosi e di operatori (peraltro tuttora insufficiente!).
b) mutamento dello statuto del malato mentale, soprattutto per le posAnche se non disponiamo (almeno a
sibilità di accesso alla socializzamia conoscenza) di studi di incidenza
zione e, in questo contesto, alla
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soddisfazione di bisogni affettivi e
pulsionali;
base al quale tutti i soggetti hanno
diritto di vivere nel tessuto sociale di
appartenenza e di trovare in esso le
risorse e le opportunità per far fronte
ai loro bisogni. Questo principio ha
guidato un processo che si è sviluppato nel corso del tempo a partire dalla
fine degli anni ’60 e che ha comportato:
c) emergenza di nuove patologie sociali connesse alla diffusione delle
tossicomanie;
d) aumento progressivo di flussi
migratori con conseguenti sradica–
menti affettivi, etnici e culturali,
difficoltà di adattamento nei luoghi
di arrivo e collusioni con le patologie
sociali indigene.
a) il superamento di tutte le istituzioni emarginanti (dagli istituti per
minori alle scuole speciali per handicappati e...caratteriali);
Ce n’è dunque quanto basta per farci
dire che il livello più idoneo (e più
vincolato) a fronteggiare le patologie
sociali è senza dubbio quello della
politica di governo delle società, in
tutte le sue articolazioni istituzionali.
Ma c’è un livello che chiama in causa
noi come tecnici e operatori della salute inseriti in un sistema di servizi
sociosanitari alla popolazione e alla
persona (che la politica di governo
dovrebbe prevedere e sostenere come
una delle categorie degli interventi da
mettere in atto). Su questo livello tecnico ci troviamo noi oggi a discutere e
confrontarci. Il mio contributo attinge
ovviamente alle esperienze effettuate nel corso degli anni nella realtà
locale bolognese. Il filo rosso delle
storie di queste esperienze è dato dal
principio di integrazione sociale, in
b) la ricollocazione dei bambini nei
loro contesti naturali (famiglie e
scuole);
c) l’allestimento di un sistema di servizi sociali e sanitari sul territorio,
ripartito in ambiti territoriali, coincidenti con i quartieri civici in cui è
articolata la citth;
d) dal 1980 il blocco dei ricoveri dei
malati mentali nei tradizionali ospedali psichiatrici e la distribuzione
sul territorio dei servizi di salute
mentale per la cura dei medesimi.
Come si può intuire il progetto prevedeva che all’integrazione sociale corrispondesse un’integrazione operativa dei servizi sociosanitari tra loro e
con i servizi educativi ed ogni altra
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risorsa del territorio: una rete predisposta a riconoscere, accogliere e
gestire i bisogni della comunità sociale vivente nello stesso territorio. Tutto
ha funzionato in maniera imperfetta,
discontinua, contraddittoria, ma complessivamente possiamo dire che il
modello si è formato ed è rimasto,
almeno fino a ieri!
Nell’ambito di questo modello i
servizi socio-sanitari sono in grado di
conoscere molto presto la famiglia
che ha difficoltà nell’allevamento e
nell’educazione dei figli attraverso la
segnalazione da parte di terzi (enti,
agenzie educative, privati cittadini) che
entrano in contatto, per motivi diversi,
con il disagio vissuto dai nuclei. Inoltre, col trascorrere degli anni, la continuità di presenza dei servizi su territori definiti consente agli operatori di
disporre di una mappa delle famiglie
gravemente disfunzionali con cui viene stabilita una trama di contatti attraverso i quali diviene possibile venire a conoscenza di eventi critici. Per
molti anni, appartenenti alla prima
fase (anni '70 e prima metà degli anni
'80), il primo contatto è stato determinato dall’impatto dei bambini di queste famiglie con la scuola, che li segnalava ai nostri servizi per insuccesso nell’apprendimento, disinteresse e
disaffezione rispetto alla vita scolastica, disturbi della condotta con
connotazione aggressiva e disturbatrice, disordine nella cura della persona. La presa in carico di questi bambini costituiva la porta di accesso alla
conoscenza della famiglia di appartenenza. Consentiva quindi di valutare
in essa la presenza e l'incidenza dei
vari fattori di rischio psico-sociale e di
procedere ad una presa in carico complessa, guidata da una progettualità
comprensiva di interventi sul bambino
designato e di altri interventi diretti
sulla costellazione di bisogni del nucleo familiare. L'intento era di far coesistere risposte di trattamento del
disagio già manifesto nelle sue varie
espressioni e azioni finalizzate alla
prevenzione. procedendo su questa
strada, per prove ed errori, nell’alternanza di successi ed insuccessi ma
nella continuità della riflessione e della
valutazione sistematiche (che hanno
tra l'altro portato ad una pubblicazione editoriale firmata da tre colleghe,
Bortolotti, Galli, Garavini, “Storie di
minori e di servizi”, Franco Angeli,
1994), sono maturate con chiarezza
due linee operative che segnano un
avanzamento nella strategia verso la
problematica della patologia psicosociale. La prima consiste nell’attivazione di strumenti di servizio atti ad assicurare forme differenziate di “trattamento“ dei bambini e degli adolescenti segnalati per i loro disturbi
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psicopatologici: interventi educativi
individuali a partenza domiciliare;
gruppi socioeducativi pomeridiani con
programmi educativo-terapeutici formulati ed aggiornati sulla base delle
caratteristiche del gruppo e dei suoi
singoli componenti; gruppi residenziali in appartamento per quei casi che
richiedono, di necessità, una separazione temporanea dal nucleo familiare.
sfuggono ad una classificazione sistematica sia di tipo sociologico che di
tipo nosografico, possiamo convenire
che esse sono sempre il risultato della
combinazione di vari fattori a diversa
incidenza di peso e qualità, fra i quali
sono a ricorrenza costante:
L’altra linea è sintetizzabile nell’obbiettivo di affinare la tempestività degli interventi concentrando l’attenzione di cura e vigilanza sugli eventi di nascita che
si verificano nelle famiglie ad alto
rischio psicosociale. Su questo
obbiettivo, che è il tema di questo
Seminario e del vostro progetto in
corso di elaborazione e di attuazione,
mi soffermerò più a lungo.
c) una persistente difficoltà di rapporto col mondo sociale circostante e con le istituzioni in senso lato
che ne segna la condizione di
emarginazione e di esclusione.
a) una condizione materiale gravemente disagiata (mezzi economici
scarsi, spesso sotto il limite per la
Con analoghe finalità gli operatori dei
sopravvivenza, abitazione insuffiservizi socio-sanitari, oltre a collabociente e inadeguata negli spazi,
rare con le agenzie educative pubblinelle suppellettili e nei requisiti
che, utilizzano risorse rese disponibili
igienici),
dal volontariato organizzato e da entità privato-sociali, per supporto ai com- b) una patologia psichica che coinvolpiti scolastici e apertura alla socializge uno o più membri e che è comunzazione con i pari nelle attività di temque pervasiva di tutto il gruppo
po libero e di sport.
familiare,
Il prodotto della combinazione di questi fattori (e di altri che si aggiungono
di volta in volta) è una famiglia senza
progetto e senza regola; una famiglia
priva di una organizzazione degli spazi, dei tempi e delle relazioni nella
quale la dinamica dei ruoli è sconvolta
e non di rado rovesciata; una famiglia
Vediamo innanzi tutto come sono caratterizzate queste famiglie. Anche se
18
in cui gli affetti sono sopravanzati
dalle pulsioni, una famiglia fortemente limitata nelle funzioni educative.
“E’ a livello della quotidianith più terra
a terra, dice G. Diatkine, che si può
constatare più facilmente come i contrasti più banali perdono i loro contorni di ordinarietà....La notte e il giorno,
lo sporco e il pulito, l’ingestione e
l’escrezione, l’interiore e l’esteriore,
che sono in qualunque famiglia dei
contrasti fortemente rimarcati e della
più grande importanza per i bambini,
continuano si ad esistere anche qui,
ma la pertinenza della loro distinzione
è alquanto affievolita.”
biente; agitazione vuota con o senza
eccitazione; perturbazione nel processo di separazione-individuazione; somatizzazioni come diarrea, vomito,
infezioni frequenti.
Uno spettro impressionante, dunque,
che ricorda le descrizioni di Spitz, tanto che qualche autore ha parlato di
sindrome di “ospitalismo domiciliare“.
D’altronde i numerosi studi compiuti
negli ultimi due decenni sulla relazione madre-bambino, sull’importanza
delle interazioni all’interno della diade ai fini di un sano decorso dello
sviluppo, e sulle varie modalità con
In tali condizioni non è difficile preve- cui si costruisce il processo di attaccadere l’avverarsi di perturbazioni più o mento, trovano nella patologia che
meno severe nelle relazioni madre - prima ho sinteticamente descritto una
bambino sin dalla più piccola età di conferma, in negativo, quasi speriquesti, con l’esordio di manifestazioni mentale. Ma vorrei aggiungere che
psicopatologiche molto precoci. In ef- queste più recenti acquisizioni nel
fetti Myriam David e coll. nella loro nostro patrimonio tecnico-culturale ci
ricerca su un campione di 12 bambini offrono più strumenti e più opportunisotto i 30 mesi appartenenti ad altret- tà per intervenire nel tentativo di pretante famiglie multiproblematiche venire, arginare o limitare i danni.
hanno rilevato, in varie combinazioni
tra loro: ritardi staturo-ponderali, ri- Ne deriva pertanto la necessità di
tardi dello sviluppo motorio; disturbi mettere a punto strategie mirate aldi linguaggio; segni deficitari, disturbi l’intervento precoce, cioè a quell’area
delle condotte alimentari; apatia e temporale che ha come epicentro
atonia; espressioni di “bambino vuo- l’evento nascita: in concreto si tratta
to“ (indicative di un mancato o insuf- di intercettare il processo di nascita o
ficiente investimento del sé e dell’am- nel corso della gravidanza (soluzione
19
più favorevole) o al momento del parto
o dopo la dimissione dall’ospedale di
maternità, nell’arco del primo mese di
vita del bambino.
4) Il Servizio Recupero Tossicodipendenti (SERT) tramite il suo Assistente Sociale;
5) Il Servizio di Pediatria di Comunità
Nella nostra realtà l’individuazione è
tramite l’Assistente Sanitaria che
andata progressivamente anticipaneffettua la visita domiciliare su tutdosi, grazie ad un sistema di segnalati i nuovi nati entro la seconda setzione che è fondato sulla rete dei
timana dalla data di dimissione
servizi e sull’attivazione di collegadall’Ospedale di Maternità o, in
menti ad hoc, efficaci quando tutto e
mancanza, tramite il pediatra che
tutti funzionano. L’asse centrale di
riceve il neonato per le prime vacciriferimento per tutte le segnalazioni è
nazioni obbligatorie;
costituito dal Servizio Sociale Distrettuale dell’area Materno Infantile, che 6) Le Agenzie educative, (soprattutto
poi cogestisce il caso, a partire dalla
gli asili nido) nel caso (ormai ipoteformulazione di un progetto, in colletico) in cui siano sfuggiti tutti i
gamento con altri servizi di competenprecedenti punti di individuazione
za. I punti di individuazione delle mae la famiglia faccia richiesta di colternità a rischio psicosociale (che sono
locazione del bambino al nido.
quindi fonti di segnalazione) sono:
Metodologia: ricevuta la segnalazio1) Il Servizio Sociale per tutte le fami- ne il S.S. di area Materno Infantile si
glie multiproblematiche che sono fa carico di attivare un team di progetgià in carico al Servizio stesso;
to che comprende operatori rappresentanti dei Servizi segnalanti e di
2) Il Servizio di Salute Mentale trami- quelli che potranno essere coinvolti
te l’Assistente Sociale di quel Ser- nelle varie fasi della gestione (gravivizio;
danza - nascita - relazione madrebambino).
3) L’Ospedale di maternità, tramite
Partendo dalla conoscenza e dalun suo Assistente Sociale, in coin- l’analisi del caso, si individuano i bisocidenza o con una visita ostetrico- gni immediati e le modalità di accoginecologica occasionale o con glierli e si delineano le linee di progetl’espletamento del parto;
to per la prospettiva, su cui poi si
20
coinvolge la donna direttamente interessata.
nella quale peraltro non avevano investito, mentre i due bambini sono stati
rapidamente posti in adozione: di enI bisogni immediati hanno non di rado trambi abbiamo notizie molto positive).
il carattere di urgenza: è il caso della
giovane figlia di una famiglia multi- A parte queste eccezioni, di solito la
problematica che, a seguito della gra- gravidanza è accettata e proseguita
vidanza (accidentale?), viene rifiutata anche con manifesto orgoglio ed i
ed espulsa dalla famiglia e pertanto servizi sono impegnati ad accomparichiede una soluzione di accoglienza. gnare la donna in un percorso di maternità consapevole, per quanto reso
In ogni caso comunque si predispone possibile dalle sue condizioni mentali,
un programma di aiuti e sostegni me- e a predisporre un progetto di protedico-ostetrici e psicologici orientati zione e sostegno della relazione maalla crescita della consapevolezza dre-bambino dopo l’evento nascita.
della maternità in atto e alla sollecitaIl progetto, pur sempre centrato su
zione di fantasie e aspettative proiet- questo obbiettivo, deve ovviamente
tate sulla nascita e sull’allevamento tener conto dei limiti e delle risorse
del bambino.
della persona, delle potenziali risorse
integrative o, all’occorrenza, di supIn due casi nel corso degli ultimi 6 anni plenza, rilevabili nell’entourage famiè accaduto che lungo il percorso così liare nucleare e allargato e infine (ma
assistito della gravidanza le donne non ultimo) delle probabilità-possibiabbiano maturato e dichiarato la scel- lità di adesione e consenso della perta di rinunciare al bambino dopo il sona (e del suo entourage) alla soluparto: i servizi sociale e di salute men- zione che si propone.
tale hanno sostenuto e tutelato queTenendo conto delle variabili che
sta scelta operando perché essa si entrano in gioco e riferendomi ancora
attualizzasse con modalità corrette, alla nostra esperienza, emergono fino
non traumatiche e rispettose della ad ora quattro modelli di intervento:
persona. (Posso aggiungere che dopo
il parto le donne, assiduamente assi- 1) Permanenza in famiglia e nella prostite con rapporti personalizzati, hanpria abitazione con attivazione di
no rapidamente ripreso la loro vita
un sistema di sostegni multipli coordinaria precedente alla gravidanza
ordinati dal servizio che ha la presa
21
mantiene rapporti soprattutto con
il personale della comunità (salvo
visite brevi alle madri) fino a quando si deve preparare l’uscita dalla
comunità ed il rientro a casa, dove
non di rado si attiva un sostegno
domiciliare di tipo educativo.
in carico: educatrice a domicilio in
ore definite per svolgere compiti di
aiuto alla madre nel governo della
casa e nella regolazione dei rapporti col bambino: Assistente sanitaria con presenza a domicilio a
periodicità mediamente settimanale per guidare la madre nella cura
fisica del bambino e nel rispetto
delle regole igienico-sanitarie
ambientali e personali, ma anche
per accompagnarla nell’uso di servizi pubblici per la salute sua e del
bambino, collocazione di quest’ultimo in asilo nido, al momento opportuno, coinvolgendo il personale
educativo nel progetto di “arricchimento psicosociale“ a sostegno di
un sano sviluppo.
3) Collocazione in un appartamento
messo a disposizione dall’Amministrazione del servizio con sostegno
educativo alla madre sia nella gestione domestica che nell’apprendimento delle funzioni materne verso il bambino (o i bambini nel caso
che altri abbiano preceduto l’ultimo nato). L’educatrice è, durante
l’esercizio di questa funzione, parte integrante dell’équipe di presa
in carico, nella quale riporta il diario
dell’andamento della situazione.
2) Collocazione in Struttura protetta
comunitaria residenziale: si tratta
di piccole comunità private di ispirazione religiosa in cui convivono
da 4 a 8 madri con bambini che
hanno spazi e tempi riservati alla
diade e tempi e spazi di vita in
comune. Il personale è personale
non tecnico ma di esperienza ed
interviene secondo i criteri derivati
dalla sua esperienza per aiutare,
confortare, sollecitare le madri nei
rapporti con il loro figlio. L’équipe
che ha la presa in carico nel territorio e che ha progettato l’intervento
4) Collocazione in appartamento messo a disposizione dall’Amministrazione- del servizio con autogestione della vita quotidiana e supporto
di tipo psicologico e sociale dall’esterno. (Questa soluzione può
essere di prima scelta, o più frequentemente consecutiva ad altra
come percorso evolutivo verso l’autonomia).
Anche il 3.o e il 4.o modello di intervento sono definiti nel tempo e si
22
concludono o col ritorno nell’abitazione di famiglia o strategico progettuale. Abbiamo la consapevolezza che
margini di ampliamento del successo
all’interno di questi modelli esistono,
e dipendono da noi, soprattutto in termini di qualificazione di tutto il personale professionale in particolare sul
tema della “cura della relazione madre-bambino” e dell”’educare le interazioni madre-bambino”, ma anche
della possibilità che altri modelli siano
sperimentati.
C’è da considerare comunque, con
molto realismo che, malgrado tutto,
gli esiti negativi sono dietro la porta. E
allora? Winnicott, in Pediatria e Psicoanalisi, faceva questa considerazione:
“Bisogna far notare che si può aiutare
a far meglio le madri che hanno in loro
stesse la capacità di fornire cure sufficientemente buone; è sufficiente occuparsi di loro in modo che riconoscano la natura essenziale del loro compito. Per le madri che non hanno in loro
questa potenzialità, non è istruendole
che le si renderà capaci di svolgerlo.”
Penso che grazie agli studi che hanno
sviluppato la conoscenza scientifica
delle competenze interattive del neonato e che hanno aperto nuovi campi
di intervento terapeutico ed educativo
sulla relazione madre-bambino, oggi
23
possiamo spingere più avanti i limiti
dichiarati da Winnicott: ma certamente non possiamo pensare di abbatterli.
Ci siamo fatti la convinzione che quando, attuati tutti i tentativi, non si perviene ad un risultato che garantisca al
bambino una sopravvivenza fisica, ma
soprattutto psicologica, sia doveroso
per noi attivare (dunque precocemente e non a giochi fatti) i meccanismi
procedurali della separazione del bambino dalla madre, che è anche una
speranza di differenziarne i destini,
dando al bambino una madre e una
famiglia adottiva. Anche se queste
sono sempre scelte e decisioni conflittuali e laceranti, credo di poter dire
che quasi mai abbiamo trovato ragioni
a posteriori per pentirci.
Prof. Eustachio Loperfido
Piazza Rooswelt 3
40121 Bologna (I)
Prof. René Henny
È auspicabile e nell’ordine delle cose
che ci si identifichi col paziente nel
quadro di un approccio psicoterapeutico. La qualità stessa dello psicoterapeuta è legata a questa capacità dì
insight. L’ascolto tende a sostenere il
discorso del paziente e, come si sa
bene, questo è sotteso di lamentele,
di accuse nei confronti di un ambiente
giudicato insoddisfacente e spesso
responsabile della sofferenza e della
disorganizzazione attuale. Mi ricordo
ancora oggi delle mie prime prese di
contatto con degli ammalati che scoprivo sottoposti alle peggiori tribolazioni nel loro ambiente. Sicuramente,
24
benché ingenuo, diffidavo del modo di
vedere la realtà percepita in funzione
delle più o meno massicce proiezioni.
Nelle più elementari delle tattiche terapeutiche si cerca di tener conto, nel
proprio giudizio, di come stanno le
cose. Quando il delirio scoppia nella
sua neo-realtà diventa caricaturale e
quindi facile da giudicare.
Da giovane psichiatra pensavo proprio che le circostanze esterne avessero accelerato la scompensazione, e
avevo tendenza - nella mia identificazione - di confermare le lamentele del
paziente. Lasciando perdere ogni prudenza, sarei stato tentato di passare a
degli atti per meglio soddisfare costui. Così, per esempio, avrei chiesto
al parente una maggiore tolleranza o
forse ai bambini di sostenere di più il
genitore nel suo smarrimento.
Ingenuità beninteso che però mi
sembra bene illustrare quello che tento di descrivere qui. Nel quadro dell’istituzione, spesso troppo separata
dal mondo, lo psicoterapeuta tende a
parteggiare per il paziente con la simpatia che gli testimonia e per rafforzare l’alleanza terapeutica. È un movimento che ho avuto occasione di osservare nel servizio per bambini e adolescenti, o nelle sintesi. Lo psicoterapeuta impegnato si fa talvolta criticare davanti alla realtà di una percezione
troppo soggettiva legata precisamente
a un’interazione empatica che non permette più di prendere le distanze.
Del resto questo non si manifesta soltanto nello scambio concreto legato
allo studio del caso, ma anche e molto
di più a distanza nella letteratura. Cosa
non è stato detto a proposito del soggetto vittima di una madre abusiva, di
un padre sadico o seduttore, di un
genitore schizofrenigenico? La letteratura degli anni tra il 1950 e il 1960 è
farcita di questi rilievi. Ho ancora nella mia testa il commento brutale di
uno dei miei maestri nel dossier che
consultavo prima di ricevere una famiglia nel quale la madre era qualificata
di pseudo- stregoneria. E tremavo
aprendole la porta per farla entrare
nel mio ufficio… da qualche parte
stupito di non vederla cavalcare una
scopa. Ma smetterete di ascoltare un
discorso così elementare.
Per giustificarmi desidererei rifarmi a Freud. Effettivamente solo
tardivamente si è pienamente reso
conto della problematica del sé e dell’altro. Fino al 1915 egli elabora come
il soggetto gestisce il suo dispiacere.
La pulsione, delega di una domanda
corporea imperativa, deve trovare uno
sbocco e deve per questo appellarsi
alle risorse dell’apparato psichico per
far fronte alla minaccia della nonsoddisfazione. Il ristabilimento di una
certa pace interiore ha questo prezzo.
25
E si sa bene che il destino obbligato è
nella rappresentazione, che permette
di soprassedere al subitaneo appagamento del desiderio. A questo livello
la maggior preoccupazione del creatore della psicoanalisi è stata quella
di comprendere e di descrivere questo
metabolismo soprattutto economico
attraverso il quale si elaborano le strategie che mirano non soltanto a rimediare il dispiacere della frustrazione
tentando di trovare delle soluzioni laterali, sia a titolo di consolazione che
di spostamento. Elaborazione, dunque, di un funzionamento del soggetto
in un quadro solipsistico. Solo più tardi Freud introduce nella costruzione
metapsicologica quel dato fondamentale che è l’Altro, I’oggetto, nella sua
risposta aleatoria e perfettamente
incontrollabile poiché, almeno in un
primo tempo, fuori dell’apparato
psichico. Beninteso il creatore della
psicoanalisi non è diventato socioterapeuta o terapeuta della famiglia,
cioè non ha concepito l’Altro nella sua
realtà esterna come io lo consideravo
agli esordi del mio lavoro, ma all’interno dell’apparato psichico. Sarà quindi
la rappresentazione dell’oggetto, cioè
la costruzione dell’oggetto interno a
fornire la soluzione. Questa rappresentazione interna che assicura una
presenza intrapsichica legata alle tracce mnesiche costituite dalle esperien-
ze anteriori della madre (i comportamenti del soggetto modulantisi in funzione di questo ricordo, di ciò che è
buono o pericoloso nella permanenza
o nella discontinuità dell’Altro). Penso
a questo paziente che mi dice in modo
patetico il sentimento che egli vive di
non potermi trattenere all’interno di
se stesso, tra le sedute, e di soffrire
dopo qualche ora di separazione di un
sentimento di vuoto pazzesco.
Interiorizzare la fonte esterna di
soddisfacimento permette forse di
conservarla in maniera costante. Assicurare - dice Green - una rappresentazione al di dentro di ciò che è di fuori
nei confronti della quale il dentro dovrà prendere posizione per far fronte
ai problemi posti, non soltanto dal
fuori, ma da quello che dentro è inevitabilmente legato al fuori. Protezione
che evita il panico dell’lo a rischio di
perdere l’oggetto.
Questa deviazione per ricordare che
c’è un movimento ben naturale quando ci si avvicini all’ammalato psichico,
cioè quello di capire come funziona o
disfunzione prima di preoccuparsi dell’ambiente.
L’evoluzione e la maturazione del
bambino è contrassegnata da un certo
numero di ostacoli legati alla sua dipendenza e alla sua fragilità. Il suo
percorso è complicato da numerose
impasse interiori, di cui si potrebbe
26
qui qualificare soprattutto la sua avidità insaziabile, i suoi sentimenti di
impotenza nei confronti della sua identità sessuata che lo costringe a rinunciare alla bisessualità, le rinunce legate alla sua prematurazione che gli
impedisce di spingersi al livello delle
realizzazioni invidiate degli adulti. È
sottomesso per questo a una quantità
di costrizioni che non sono altro che il
fatto della sua neotenia. Se in aggiunta l’Altro, I’oggetto nella sua inadeguatezza, nella sua angoscia, nella
sua aggressività non può rispondere
ai bisogni del bambino, questi sarà
costretto a difendersi sui due fronti,
quello della costituzione del suo self
nello stesso tempo che quello dell’affrontare l’oggetto. Allora tutto è messo in modo da condurlo a dei disturbi
del suo sviluppo che lo porteranno a
delle difficoltà sintomatiche o comportamentali specifiche.
molto particolare che isola l’analizzando dal suo ambiente e l’analisi
effettivamente si svolge in un quadro
solipsistico.
Da parte nostra dobbiamo ritornare
alla situazione più difficile di un paziente nella sua realtà concreta,
ospedalizzato o no, ma incluso in una
famiglia con dei bambini. Vale a dire
come articolare il nostro lavoro per
aiutare il paziente senza troppo nuocere ai bambini che dipendono da lui?
È qui l’articolazione di ciò che vorrei
decriptare tentando, cioè, di non mai
perdere di vista la realtà, essendo
però capace di puntualizzare ciò che
all’interno del paziente è il frutto del
suo metabolismo, proiezione/introiezione. Forse più chiaramente capire
bene la lamentela del malato, potersi
identificare allo scopo di - in un movimento di disimpegno - tenere conto
dei differenti parametri della realtà
che lo circondano e particolarmente
Avete capito che lo psicoanalista rim- quelli che riguardano i bambini, e quepatria in qualche modo l’Altro, I’og- sto quanto più sono piccoli, cioè migetto e tende a designarlo, a trattarlo nacciati nella loro integrità psichica.
come essendo originato dalla propria
Lasciamo dunque per un momento
sostanza del soggetto, non sarà più la queste considerazioni psicodinamiche,
madre reale nel suo valore o nelle sue per entrare nel concreto delle realtà
insufficienze, ma la madre interiore, biologiche e sociali. Biologiche, dapinternalizzata che gratifica o perse- prima, per ricordare che il figlio di un
guita l’lo. In questo senso lo psico- malato mentale è portatore di un
analista ridiventa solipsistico. Si sa genoma problematico. Si sanno ancobene che la cura si svolge in un quadro ra poche cose certe sull’eredità della
27
psicosi, malgrado numerosissimi lavori spesso dissonanti. È soprattutto
nella relativa permanenza dell’eredità diretta della psicosi bipolare, la
maniaco-depressiva, che siamo tutti
d’accordo sulla pregnanza di questo
problema. Nel quadro della schizofrenia si sa e si è verificato che se nell’insieme della popolazione l’incidenza
della malattia è dell’uno per cento,
questa minaccia si realizza per il 20%
dei bambini figli di un genitore schizofrenico, e del 10% se c’è un ammalato
tra i fratelli. Queste proporzioni estremamente pesanti si verificano largamente negli studi sui bambini separati
da genitori ammalati o su gruppi di
gemelli. Si è così spesso tentato, senza sempre riuscirci, di far sorgere l’impatto dell’eredità, separandola dai
fattori ambientali che restano. beninteso, in questo tipo di studio una variabile sempre difficile da codificare.
Ma tutto questo per ricordare che il
figlio di un genitore sofferente di una
grave psicosi, schizofrenica, o maniaco-depressiva o paranoica, è essenzialmente minacciato nella sua salute
mentale senza che la malattia sia del
resto inevitabile. Un eccellente amico, perfettamente al corrente di questi parametri scientifici, allo studio
dei quali aveva partecipato, ha proclamato il suo ottimismo circa la correzione di questi fattori attraverso un
ambiente soddisfacente, adottando un
bambino figlio di una madre schizofrenica, figlio nato durante un ricovero in
clinica psichiatrica. Questo bambino
ad alto rischio è oggi un uomo che è
perfettamente riuscito nella sua vita
affettiva e professionale, a quarant’anni dalla nascita.
È un problema che si è attualizzato
in funzione dei progressi della
terapeutica. Oggi una giovane schizofrenica, anche se ha fatto un lungo
soggiorno in ospedale psichiatrico, non
è più un’invalida come lo era una volta. Ciò vuol dire che, diversamente da
venti anni fa, può ritrovare un adattamento sociale che le permetta di sposarsi. Per questo la frequenza delle
maternità è aumentata. Nella policlinica di Ginevra Manzano nota che su
323 nuovi casi di donne diagnosticate
psicotiche, 200 si sono sposate, divorziate o sono vedove.
Il comportamento durante la gravidanza di una madre malata mentale
costituisce un problema? È difficile
determinare scientificamente l’impatto delle difficoltà personali della madre sulla crescita del feto. Si è detto
certamente che il feto ha già una percezione degli stati d’angoscia della
madre, Mann nel 1959 rivela la presenza della psicosi materna nell’etiologia dell’aborto, Eastman nella
prematurazione del parto, Cerutti nel
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prolungamento patologico della gravidanza. Numerosi autori confermano
delle perturbazioni e delle complicanze
del parto che potrebbero essere diminuite significativamente da un trattamento psicoterapeutico e socioterapeutico miranti a rassicurare la madre. In modo più urgente questo accompagnamento dovrebbe prevenire
l’infanticidio che, come si sa, è un
movimento per niente eccezionale
della madre, una volta sgravata.
Quel che sembra certo è che i giorni
successivi al parto sono particolarmente critici. La rottura con una parte
del self investito nel feto porta a uno
scompenso per cui uno sforzo particolare di presenza di intervento preventivo deve essere mantenuto durante
questo periodo.
Il neonato è particolarmente esposto e l’operatore sociale dovrà confrontarsi coi problemi angosciosi del
mantenimento del contatto con la
madre o della separazione. Si conosce
la statistica orripilante di Serge
Lebovici che parla di un gruppo di
venti bambini separati dalla loro madre depressiva. Tutti e venti sono morti
nel giro di 15 anni: malattie, ma soprattutto incidenti e suicidi hanno avuto ragione della loro capacità di sopravvivere. Paradigma che pone il problema in modo urgente e nello stesso
tempo tragico. Si potrebbe dire in modo
definitivo che un neonato non deve in
alcun modo essere separato dalla madre; il trattamento di una madre anche
molto ammalata dovrebbe essere
modulato in una certa forma di permanenza della relazione. Evidentemente
soltanto l’ospedalizzazione in un ambiente specializzato e adeguatamente dotato permette una realizzazione
terapeutica che resta vitale.
Da cinquant’anni, dopo i lavori di
Spitz, Bowlby, Roudinesco si sa che
non è auspicabile separare un bambino e particolarmente un bebè dalla
propria madre. La depressione anaclitica e il marasma hanno occupato
molto i servizi sociali a favore dell’infanzia. Si sa forse meglio oggi che la
separazione crea danni esistenziali nel
bambino, ma anche - se a un altro
livello - nella madre. Per lei effettivamente c’è la rottura di quello che Stern
ha chiamato la costellazione materna,
I’organizzazione specifica della madre dopo il parto e che allontana l’economia edipica per centrare la madre
su quattro temi:
• Primo tema: la sopravvivenza del
neonato e il suo nutrimento: paura
della morte per soffocamento, paura di un’alimentazione insufficiente (la madre animalesca probabilmente viene mobilizzata nelle sue
tracce istintive).
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• Il secondo tema è centrato sull’affetto: “sono una buona madre o
un’altra potrebbe fare meglio di
me?”
ce di un’evoluzione sfavorevole del
bambino figlio di genitori malati mentali. Ricordo qui le osservazioni di
Mahler che denuncia nel futuro malato mentale: un peso scarso alla nasci• Il terzo tema è la preoccupazione di ta, una debilità motoria, una plasticità
mantenere una rete di donne che muscolare e un certo livello di apatia.
possa dare alla madre una prova Si sono ancora descritti nel bambino
della sua adeguatezza: nonne, zie, più grande dei disturbi alimentari, delle
donne spesso più vecchie che han- difficoltà di linguaggio che sarebbero
no avuto dei figli con la riesuma- molto patognomoniche, e delle diffizione di ricordi legati al rapporto coltà relazionali, isolamento o disturcon la propria madre della madre. bi più banali del comportamento. Bisogna ricordare qui i lavori di Fisch su
• Infine il quarto tema che sfocia in quello che ha chiamato la pandismatuun ricentramento dell’identità pas- razione dello sviluppo fisico, motorio
seggera dello statuto di donna a e posturale. In una prospettiva francaquello di madre, passaggio che con- mente biologica egli stima questi bamcerne anche il padre ma che si bini ad alto rischio in funzione di un
produce molto più lentamente ne- disturbo della cronologia e dell’integrazione della maturazione neurologigli anni successivi.
ca. Come si articola questo quadro
Questi recenti lavori di Stern confer- clinico tra espressione del genoma e
mano che l’organizzazione, l’econo- perturbazioni relazionali legate all’ammia dell’apparato psichico della ma- biente non saprei dirvelo, ma queste
dre si trovano sconvolti dalla gravi- osservazioni indicherebbero che fordanza e dalla nascita di un bambino e se. molto precocemente, si potrebbe
che la separazione potrebbe spesso designare il bambino ad alto rischio di
arrivare a una rottura che conduce per una evoluzione psicotica.
È evidente che in queste circostanesempio ad un disinvestimento dal
bambino da parte della generatrice, ze ci si trovi davanti ad un pronostico
che potrebbe non più riconoscerlo con riserva di un’evoluzione essenzialmente deficitaria, eventualmente
come figlio.
Un certo numero di lavori di ricer- nel senso della caratteropatia, ma non
catori è centrato sulla diagnosi preco- nell’inevitabile insorgenza di una schi30
zofrenia nell’adolescenza, Effettivamente la mia esperienza mi lascerebbe intendere che in queste situazioni
ci si trova spesso confrontati con l’insorgenza di un’ebefrenia che niente
annunciava. Il contesto familiare descrive la traiettoria di un bambino saggio, spesso superdotato, forse un po’
solitario, ma senza nessuna stigmata
deficitaria. Si è descritto una crescita
marcata dall’ipermaturità. Bambini di
solito diventati dei genitori che devono prendere troppo presto delle responsabilità per sostenere e in un
certo senso trattare la loro madre fragile e depressa. Questi bambini che
sviluppano un apparato psichico
“come se”non sono probabilmente
percepiti dall’ambiente come patologici, al contrario ci si felicita della loro
saggezza e della loro premurosità.
Spesso, partendo da questo quadro,
appare bruscamente nell’adolescenza, dopo un periodo di ansietà e di
perplessità, un quadro delirante, spesso molto povero, ma che indica la
scompensazione ebefrenica.
Lo stile delle transazioni familiari è
stato ben descritto dalla scuola di
Palo Alto e dai sistemici. Penso ai
lavori di Bateson e di Wynne come a
quelli di Abelin. Si conosce il successo
di interesse suscitato dai disturbi della comunicazione, distorsioni che si
distinguono da una parte per la pover-
tà degli scambi spesso stereotipati,
che producono un setting familiare
immutabile nella distribuzione dei ruoli
permanenti e rigidi. La comunicazione
è pervertita da paradossi che inducono dei disturbi del pensiero e un blocco dell’azione. È il famoso doppio legame descritto da Winne di cui il
paradigma è nella prescrizione: “sii
spontaneo”, che dice bene il malessere che deve sentire il soggetto così
lacerato da un doppio messaggio irriducibile.
È effettivamente difficile oggi attenersi a delle constatazioni tanto sommarie quanto quelle di Fromm Reichmann che nel 1948 stigmatizzava delle madri schizofrenigene tra simbiosi
e rifiuto, madri frigorifero e anaffettive
che sono state forse colpevolizzate da
un giudizio sommario che non sembrava tener conto minimamente della
loro sofferenza.
Soggetti fin qui diffidenti e difesi
nei riguardi di un intervento terapeutico sono in crisi, pronti spesso a collaborare e a chiedere aiuto.
Abbiamo mostrato che il bambino
giovane generato da un genitore malato mentale è particolarmente da una
madre psicotica è un soggetto ad alto
rischio. Certamente ci sono alcuni di
questi bambini che fortunatamente si
riveleranno singolarmente immuni da
una evoluzione sfavorevole, certi bam31
bini effettivamente attraversano le
tempeste della loro esistenza senza
esserne troppo sconvolti. Probabilmente è una minoranza. Appunto per questo il medico deve sviluppare a questo
livello degli stratagemmi preventivi in
funzione della crisi, ciò che in seguito
sarà sempre più difficile da iniziare.
Abbiamo mostrato prima che un certo
numero di fattori appartenenti al controatteggiamento dello psicoterapeuta tende a isolarlo con il suo paziente.
Questa perorazione vorrebbe rimediare al disfunzionamento delle nostre
istituzioni psichiatriche e sociali.
L’intervento dell’équipe psichiatrica dovrebbe investirsi in tutte le direzioni, ad azimut, terapia del malato
beninteso, ma anche in quella dei bambino, terapia di coppia, possibilmente
trattamento della famiglia come descritto sopra, con - e questo è essenziale - appoggio sull’ambiente familiare allargato e in collaborazione stretta con tutte le risorse della comunità
sociale: medico di famiglia, infermiere del servizio di cura a domicilio,
servizi d’assistenza tipo della “Protezione della gioventù”. Un coordinatore al corrente della psichiatria di liaison
assicurerà la coerenza dell’approccio
terapeutico. Il risultato di un intervento di questo tipo è spesso positivo,
costa caro in tempo e in personale, e
questo tanto più in quanto la tempora-
lità di un simile tipo di intervento si
calcola in anni. La flessibilità e l’agilità degli intervenienti permetteranno
di mantenere un continuum negoziato
talvolta quando le cose sono a posto,
a una certa distanza, in un timing che
potrebbe situarsi ad un contatto mensile. Bisognerebbe, nell’ambito di una
buona relazione e in un’alleanza di
lavoro positiva, trovare un accordo
tacito che successivamente dovrebbe
poter lasciare del campo alla famiglia
o, se l’evoluzione peggiora, investire
più attenzione di sostegno e di inquadramento. Evidentemente non ci sono
regole da prescrivere qui, ognuno operi
al meglio della sua competenza e della sua disponibilità. L’essenziale è probabilmente nell’accordo dei servizi di
cura affinché i messaggi dati alla famiglia restino coerenti. L’équipe
ginevrina, ci indica Manzano, ha così
preso in carico negli anni ‘80 una ventina di famiglie a transazione psicotica.
Statisticamente e grosso modo i due
terzi dei suoi pazienti hanno fatto
un’evoluzione positiva, e ciò sembra
un grande successo quando si sa della
gravità del pronostico affettivo, sociale, come pure economico della malattia mentale.
Prof. René Henny
Avenue du Chablais 53
1007 Lausanne
32
M. Christen, M.C. Cabié, J.Y. Frappier, O. Masson, G. Prata.
Chiari e scuri degli interventi
medico-sociali.
Le violenze dei pazienti verso sé
stessi o verso altre persone hanno
funzioni diverse:
esplosione di sentimenti di disperazione o di vendetta, di ricerca d’attenzione o di aiuto e di richiesta di riparazione per violenze subite, spesso nell’infanzia. Ricorrono alla violenza quelle persone che hanno difficoltà ad
1
2
33
Conferenza tenuta dalla dottoressa Odette Masson il
14 settembre 1995 all’Università cattolica di Lione
(Francia) durante le VIII giornate francofone di terapia sistemica familiare (13-16 settembre)
Traduzione dal francese : dr.med. Amilcare Tonella
esprimersi verbalmente oppure altri
che, benché abbiano segnalato il loro
disagio, non sono stati né ascoltati e
nemmeno aiutati (16). Infatti le risposte che gli operatori danno individualmente o in gruppo o come rete possono attenuare o calmare le violenze ma
anche perpetuarle o aggravarle.
Dagli anni ‘50 in avanti tutta una parte
della ricerca psichiatrica è stata consacrata allo studio di quei fattori che
agendo nel sistema di cure stimolano
nel paziente una evoluzione positiva o
che, al contrario, possono comportare
un peggioramento del suo stato di
salute.
Questi lavori si sono inizialmente
occupati delle terapie individuali e di
gruppo (13,22), per poi estendersi più
tardi al funzionamento di tutta la rete
d’aiuto (1,3,6,8,9,11,19) e alle istituzioni educative (25,21). Benché questo genere di riflessioni e di ricerca
non sia molto considerato durante gli
anni della formazione, esso costituisce la base essenziale per la formazione iniziale e continua di tutti i professionisti che operano nel campo della
salute.
abusando sessualmente di pazienti
adulti o minorenni. Secondo studi recenti, dal 10 al 17 % degli operatori di
questo settore di cure ammettono di
“agire” la propria sessualità nei contatti con i loro pazienti (20). Altre forme di violenza o di cure carenti possono generare effetti molto negativi senza dover per forza cadere sotto l’occhio della legge.
Già solamente nel campo della valutazione, diagnosi affrettate, basate
su anamnesi succinte, e che non prestano sufficiente attenzione al significato dei sintomi e ai contesti nei quali
questi sintomi si iscrivono, possono
essere la causa del mancato successo
terapeutico.
La valutazione che sostiene il trattamento è in effetti quella che viene
costantemente verificata sulla base
degli aspetti co-evolutivi che si sviluppano nel contesto paziente-curante.
Alcuni metodi di cura che generano un
effetto di cronicizzazione, si basano
su dei presupposti ideologici, che si
ripresentano oggi con forza, come
quello del’ereditarietà di ogni genere
di sindrome associato con la credenza
che tali situazioni siano incurabili.
Le cure possono comportare aspetti
differenti di violenza. Operatori possono trasgredire le leggi rifiutandosi
di aiutare persone in pericolo oppure
Questi metodi condizionano allora la
scelta delle cure non prendendo in
considerazione, anche per pazienti
molto giovani, l’accompagnamento
34
psicoterapeutico. Ai primi attacchi
psicotici si risponde con la terapia
medicamentosa pesante mettendo
subito il paziente in uno stato di invalidità mentre differenti lavori hanno
dimostrato la possibilità di ottenere
dei risultati migliori associando con o
senza ospedalizzazione, terapia medicamentosa e psicoterapia (5,14).
gli effetti delle cure prestate facendo
più attenzione a questi fenomeni. Due
esempi clinici sostengono la riflessione che seguirà sul quel modo di funzionamento del sistema di cure che si
accompagna ad un peggioramento
dello stato del paziente e sulle altre
modalità che per contro favoriscono la
ripresa evolutiva del soggetto.
La discontinuità delle cure è una
mancanza di attenzione che genera
effetti molto distruttivi. Pure la persistenza di atteggiamenti e di modalità psicoterapeutiche sono all’origine di molti insuccessi terapeutici: evitare di delimitare il problema, di
fissare degli obiettivi e di valutare gli
effetti della cura, non volersi calare
nel problema restando “passivi, riflessivi, inattivi, silenziosi e sfiduciati” rappresentano altrettanti sistemi
per non aiutare il paziente (10).
In effetti, tutti i sistemi di maltrattamento descritti per le famiglie, si
ritrovano anche nei comportamenti
degli operatori: carenze e negligenze;
maltrattamenti fisici quando ospedalizzazioni e medicamenti vengono utilizzati in modo pesante; maltrattamenti
psicologici generati dall’incomprensione delle situazioni vissute dal paziente; abusi sessuali. Tutto ciò si definisce come maltrattamento socioistituzionale. Si possono migliorare
I pazienti vittime del maltrattamento
socio-istituzionale, vedono spesso che
i loro problemi vengono delegati da
una istituzione all’altra; effettuano così
dei viaggi a zig zag nella rete d’aiuto
dando ad ogni stazione qualche informazione senza suscitare un interesse
sufficiente a far nascere un’alleanza
terapeutica. Questo modo di fare è
segnato dalla mancanza di implicazione professionale, da lacune nella formazione o dall’inesperienza degli operatori e dall’abuso socio-affettivo, per
non dire finanziario, della sofferenza
altrui!
Eccovi il racconto del lungo viaggio di
Maurizio. Nato da una madre e da un
padre ambedue molto disturbati e
ambedue gravemente maltrattati durante la loro infanzia, avrà due anni
quando i suoi genitori divorziano. Il
giudice opterà per un diritto di custodia alternato con cambiamenti continui di domicilio del bambino senza
35
alcuna considerazione della sua età.
Questo gli impedirà di “mettere radici” e di vivere quegli scambi relazionali che gli potevano assicurare una coerenza nella costruzione della sua
personalità. Maurizio avrà quattro anni
quando il pediatra lo piazzerà in un
asilo-nido per disturbi del sonno e del
comportamento. Contemporaneamente un pedopsichiatra porrà la diagnosi
di psicosi infantile e ordinerà un trattamento individuale del quale però
verranno effettuate solo poche sedute. Durante lo stesso anno interverrà
un secondo pedopsichiatra, questi proporrà un trattamento individuale alla
madre ed uno al bambino. Il padre,
descritto come un uomo rigido, dice di
essere contrario ad ogni trattamento
perché è persuaso che il bambino è
sano. Perciò non verrà coinvolto nella
terapia. Un terzo pedopsichiatra supervisiona tutti questi interventi. Questa fase dura due anni.
All’età di sette anni Maurizio inizia
la scuola elementare. Il docente si
preoccuperà subito della gravità dei
disturbi del comportamento che Maurizio presenta. Picchia la testa contro
i muri, non riesce a controllare le sue
emozioni, è triste, non gioca con gli
altri compagni. Lo psicologo della scuola vuol parlare con i genitori ma cozza
contro il rifiuto del padre e non capita
niente. Un anno più tardi, la madre
segnala al docente scene di violenza
che il figlio presenta in casa. Maurizio
la picchia. Lo psicologo della scuola
riprende le sue osservazioni. Maurizio
dimostra di essere intelligente e fino a
quel momento non presenta difficoltà
di apprendimento. Ciónonostante si
stanno manifestando dei sintomi inquietanti che lo psicologo mette in
relazione con una grave carenza affettiva: bizzarrie nel discorso, idee di
persecuzione e forte agitazione
psicomotoria. Con l’aiuto di un adulto
che lo trattiene, Maurizio riesce ancora a controllarsi. Il bambino viene indirizzato a un quarto pedopsichiatra che,
come gli altri precedenti, dipende dallo stesso servizio universitario. Non
verrà preso alcun provvedimento. La
madre allora si rivolge al “telefono
amico” che le indica una istituzione
fino ad allora non ancora contattata,
l’AEMO. Un delegato di questo servizio vedrà la madre alcune volte. Durante lo stesso anno il pedopsichiatra
numero 4 passa il bambino a quello
interpellato come terzo, che a sua
volta lo passa ad un nuovo pedopsichiatra (il quinto!) di un servizio pubblico con l’indicazione di entrare in
terapia di un day hospital. Il pediatra,
che nel frattempo è sempre rimasto lo
stesso, lavora indipendentemente
dagli altri operatori. Quando si accorge del grave sconforto nel quale versa
36
la madre, invia Maurizio ad un sesto
pedopsichiatra, questa volta un “privato”, che a sua volta con un altro
collega (il settimo), pure lui operante
in privato, vedranno assieme per i due
anni seguenti i genitori del bambino.
Maurizio a sua volta verrà visto da uno
dei due medici in sedute singole e la
madre dall’altro pedospichiatra pure
in sedute singole. Lo psichiatra del
servizio pubblico quando viene a sapere che il bambino è seguito privatamente si ritirerà dalla storia. Sempre
durante questo periodo la madre viene ospedalizzata in clinica psichiatrica. Il bambino andrà a vivere con suo
padre mentre la madre manterrà il
diritto di custodia. Lo stato della madre non migliorerà, uscirà una prima
volta dalla clinica per poi rientrarci
poco dopo e venire in seguito indirizzata ad un centro diurno.
ta a scuola sono dovuti al cattivo lavoro degli insegnanti. La madre sperando sempre di trovare dell’aiuto si indirizza ad una assistente sociale di un
servizio di protezione dei minori che,
senza sollecitare un incarico, si attacca al gruppo di tutti gli altri operatori.
Simultaneamente la terapista incaricato delle cure alla madre nel centro
diurno cerca di fare una valutazione
globale della situazione. Prende contatto con tutti i professionisti che avevano operato su questo caso e che
fino ad allora non si erano mai trovati.
Incontra pure il bambino con la sua
mamma. Maurizio, afflitto da una costante agitazione psicomotoria, rifiuta di entrare in contatto visivo e verbale con l’esaminatrice. In preda ad
un’ansia molto forte, esprime propositi aggressivi e a tratti anche bizzarri.
La madre resta passiva davanti a questi comportamenti del figlio. Esprime
Maurizio avrà 10 anni quando l’inse- tutta la sua impotenza educativa e
gnante segnalerà la sua situazione al ricorda, per spiegare il suo sconforto,
direttore della scuola. Il bambino si le sofferenze della sua infanzia.
automutila, sbatte la testa contro i
Lei ed il suo ex-marito vicendevolmuri, minaccia di suicidarsi, attacca i mente si lanciano accuse squalificansuoi compagni, non è in grado di con- ti davanti al bambino senza poter tetrollare le sue emozioni. Un secondo stimoniargli mai né della tenerezza né
psicologo della scuola esamina il bam- chiari propositi educativi.
bino e tenta di vedere il padre che
La terapista propone allora a tutti
rifiuta ogni contatto, dichiarando che gli operatori, sotto decisione dell’aula salute di suo figlio è ottima. Secon- torità di tutela, di piazzare il bambino
do lui i problemi che Maurizio presen- in una istituzione educativa professio37
nalmente all’altezza della situazione
e che tiene pochi bambini. Il pediatra
dirà che è troppo tardi per impedire
una evoluzione patologica della situazione e rifiuta il suo sostegno ad una
richiesta di intervento all’autorità di
tutela, unica istanza, vista l’opposizione paterna, capace di promuovere
misure di protezione adeguate. I psichiatri e l’assistente sociale del servizio per la protezione dei minori sono
solidali con il pediatra e “accusano”
l’ultima operatrice di “voler salvare il
bambino”. Diranno pure che “anche
lei deve avere dei problemi”.
Ci troviamo confrontati con un comportamento abituale tra gli operatori
della rete di aiuto. I professionisti che
si preoccupano seriamente dei loro
clienti, come molti genitori o altre
persone quando vengono a conoscere
situazioni di maltrattamento su minori, vengono regolarmente attaccati da
altri operatori, mal formati e disimpegnati o insensibili alle sofferenze che
vivono i loro pazienti.
La soluzione proposta dall’ultima
operatrice è decisamente l’unica ragionevole e suscettibile di proteggere
l’ulteriore evoluzione di Maurizio (15).
Gli altri operatori formulano altre proposte: una ospedalizzazione diurna,
aggiungendo però che sarebbe stata
rifiutata dal padre, una presa a carico
da parte di un altro servizio la cui
inefficacia era però leggendaria, dei
colloqui regolari con i genitori che,
sappiamo già, non hanno comportato
alcun successo, quando furono organizzati precedentemente sull’arco di
due anni. Sono queste tutte delle
pseudo-proposte fatte da operatori che
non credono più alle possibilità, anche se ancora presenti, di curare e di
proteggere dei bambini che presentano una affettività malstrutturata da
condizioni ambientali continuamente
deviate e carenti e perciò si arrendono. A dieci anni Maurizio è sicuramente molto fragile, ma ha conservato le
sue capacità di apprendimento situazione da valutare positivamente per la
sua prognosi futura. Se in questa situazione, gli operatori della rete non si
alleano per richiedere ed ottenere una
protezione da parte dell’autorità tutelare, unica istanza capace di far ripartire una terapia adeguata, lo stato di
Maurizio non potrà che peggiorare e
saranno gli psichiatri dell’età adulta
che dovranno riprendere le cure, sempre che il paziente sia ancora in vita,
viste le tendenze suicidali che già aveva esternato all’età di dieci anni.
Questo percorso istituzionale è tipico di un modo malauguratamente
molto praticato di “trattare” bambini
che vivono in contesti caotici e/o maltrattanti. L’incoerenza di valutazioni
frammentarie, l’assenza di concerta38
zione tra i vari operatori al fine di
trovare delle soluzioni che tengano
conto dell’evoluzione globale dei problemi specifici a ogni situazione, comportano delle attività di rete che sono
solo degli alibi, molto costosi per il
dispendio di energie da parte degli
operatori stessi e di soldi da parte dei
contribuenti. I minori e le famiglie che
vengono “curate” secondo questi principi subiscono una chiara vittimizzazione secondaria. I bambini che vivono in situazioni di rischio e che diventano poi vittime di maltrattamenti
socio-istituzionali sviluppano diverse
patologie psichiatriche, tra le quali si
possono ritrovare i disturbi del comportamento, le affezioni psicosomatiche e i comportamenti suicidali; possono poi presentare molte difficoltà
nella loro formazione (3). L’operatore
che viene confrontato con una situazione così deteriorata come quella di
Maurizio, può e deve cercare di
evidenziare i processi patogeni di delega. Comincia con il ristabilire una
relazione con il o i genitori per valutare in modo globale a quale rete
relazionale, familiare, sociale e di cure
si possono attribuire le difficoltà attuali di gestione della situazione. Questa rivalutazione della problematica
comprende anche un esame individuale approfondito di colui che è individuato come paziente; si tratta di
comprendere come i comportamenti
sintomatici attivino il disfunzionamento delle relazioni del gruppo familiare e di della rete di cura. Fanno
parte di questa valutazione, l’esame
minuzioso delle transazioni tra gli operatori della rete di aiuto e i membri
della famiglia, l’analisi degli scambi o
delle carenze di scambi tra i vari operatori per quanto attiene alla situazione, la verifica delle misure proposte,
l’esame delle modalità della loro applicazione e dei loro effetti così come
le condizioni attuali di applicazione e
di operabilità delle nuove misure
terapeutiche. Rendersi conto che i trattamenti effettuati fino a quel momento non hanno sortito l’effetto desiderato, è evidentemente importante per
non reiterare in misure dello stesso
tipo. Nel caso di Maurizio gli operatori
che persistono a prescrivere dei colloqui con i genitori, sembrano dimenticare che due anni di sforzi in questa
direzione non hanno impedito il deterioramento dello stato del bambino.
Quando questi stessi operatori progettano di richiedere l’intervento di
una istanza supplementare, continuano a battere la stessa strada piena di
sofferenze per il bambino che è stata
seguita in questi 8 anni di “terapia”.
L’insuccesso di questa situazione è
dovuto a differenti fattori. Il più importante è sicuramente rappresentato dal
39
boicotto paterno che non riconosce la
sofferenza del bambino. Occuparsi di
questo padre, maltrattato nella sua
infanzia, costituisce la prima condizione per poter poi curare questa situazione. La madre, detentrice del diritto di custodia del figlio, da parte sua
potrebbe, sostenuta adeguatamente,
richiedere lei stessa un intervento
dell’autorità tutelare per la protezione
di suo figlio. Infatti batte a tutte le
porte per domandare dell’aiuto per
lui, cosciente delle sue difficoltà ad
assumersi i suoi compiti di madre. La
sua preoccupazione sembra non essere stata, fino a questo momento, sufficientemente valorizzata, anzi sembrerebbe quasi essere stata sempre
considerata come patologica. Ogni situazione diventata cronica merita una
riflessione approfondita che, oltre all’analisi dei sintomi e delle transazioni familiari, valuti anche i funzionamenti del sistema paziente-operatori
e della rete. Le responsabilità degli
insuccessi negli interventi sono infatti
da ripartire. Farne cadere la colpa interamente sul paziente è moneta corrente - lui non è richiedente, è intrattabile, è manipolatore, ecc. -, ma questo modo di agire non da possibilità
alcuna di migliorare gli effetti dell’azione psicosociale (16). Trovare i
nostri errori e le nostre dimenticanze,
le nostre difficoltà a raccogliere le
competenze dei vari operatori per
meglio capire e seguire il paziente, fa
parte del normale lavoro di routine. La
figura nr. 1 enumera qualcuno dei comportamenti professionali che bloccano il lavoro medico-sociale. La figura
nr. 2 dà, a sua volta, un quadro delle
carenze di valutazione e di azione nella storia di Maurizio.
Vi sono per fortuna delle situazioni di
violenza delle cure che, anche se già
croniche, sono riversibili. È il caso, in
particolare, di quelle che possono essere riprese e trattate da un solo terapista, ma che abbia le competenze
adeguate e che dimostri un ingaggio
necessario. Ecco un esempio di una
situazione di questo tipo: Una donna
di 37 anni, madre di una bambina di 3
anni, ha vissuto due differenti fasi di
relazioni con i suoi operatori della rete
psicosociale. La prima fase è durata 4
anni, nel corso della quale la paziente
ha incontrato una cinquantina di differenti operatori. Questo turismo psichiatrico, indotto dagli operatori della
rete di aiuto, aveva causato un aggravamento dello stato psichico della
paziente, che si ritrovava disoccupata, dipendente dall’assicurazione invalidità, suicidaria e con una diagnosi
di psicosi maniaco-depressiva (DSM
III R 296.63 (2)). La sua vita e quella
della sua bambina erano state messe
40
Maltrattamenti Socio-Istituzionali
41
Maltrattamenti Socio-Istituzionali
42
in pericolo da 2 tentativi di suicidio e
da progetti di suicidio collettivo.
La seconda fase è iniziata un anno fa
e dura tuttora. La paziente segue un
trattamento ambulatoriale, una seduta per settimana. La patologia
iatrogena si è rapidamente dissolta.
La giovane donna inquadra i suoi problemi personali e lavora a risolverli in
modo calmo e responsabile. È puntuale alle sue sedute, alle quali tiene
molto. Le sue crisi di scompenso acuto
alle quali aveva abituato il servizio
delle urgenze psichiatriche e il centro
di crisi, non si verificano più. La terapia medicamentosa (riceveva giornalmente: Anafranil 150 mg, Tegretol 300
mg, Melleril 50 mg e Tranxilium 20
mg) è stata progressivamente diminuita a partire dall’inzio della seconda
fase di questa storia. Dopo sei mesi,
Marianne non riceveva più alcun medicamento.
Per capire come una persona possa sviluppare una sindrome così allarmante, che viene diagnosticata
come un disturbo bi-polare misto,
che giustifica una terapia medicamentosa pesante, degli interventi di
crisi, delle ospedalizzazioni psichiatriche e che poi si dimostra, con una
nuova relazione terapeutica, come
una persona calma che cerca di risolvere i suoi problemi, conviene analizzare le differenze esistenti tra le due
fasi di questa storia. Le teorie e le
cure che impiegano gli operatori della prima fase, divergono infatti su
molti punti dallo spirito e dal metodo
che anima la cura della seconda fase.
Qui di seguito vengono riportati
degli elementi della storia di Marianne che possono servire per comprendere la differenza del trattamento
delle due fasi.
La storia di Marianne è segnata dall’incapacità dei suoi genitori di educarla. Vive fino all’adolescenza dalla
sua nonna materna e intrattiene con
questa donna colta, che si era molto
dedicata a lei, un contatto privilegiato. La malattia della nonna e la sua
morte obbligano Marianne a lasciare
ben presto la casa dei suoi genitori e
a gestire la sua vita, dalla metà della
sua adolescenza, orfana ormai dell’unica persona adulta che le avesse
mai dimostrato un contatto caloroso.
Marianne è intelligente. Ha terminato
una formazione professionale vivendo varie storie nelle sue relazioni sentimentali. La promiscuità sessuale
nella quale aveva vissuto sua madre,
la mancanza di armonia nella coppia
dei suoi nonni non le avevano dato
degli elementi validi per modellare la
sua vita sessuale. Mancando totalmente di fiducia in se stessa, fa delle
scelte desolanti di partners, interrom43
pe delle gravidanze non desiderate,
ha una bambina da un uomo che non
se ne può occupare, conosce delle
difficoltà socio-economiche e di lavoro e vive uno scoraggiamento e un
ansia crescente. Molto attaccata alla
sua bambina, le da molto, dubitanto
tuttavia delle sue capacità materne,
che lei sottostima. Tutte queste situazioni di stress la costringeranno a diventare sempre più dipendente di una
moltitudine di servizi psico-medicosociali: ospedali, policliniche per adulti
e per bambini, polizia, servizi sociali,
pronto soccorsi, psichiatri privati ecc.
Durante i quattro anni della prima
fase la gravità della diagnosi di aggrava di volta in volta. Personalità
borderline durante la prima ospedalizzazione psichiatrica dopo una interruzione volontaria di gravidanza, la paziente si ritroverà, quattro anni più
tardi, con la diagnosi di disturbo bipolare misto grave. Questa diagnosi
le verrà comunicata e Marianne va a
leggersi testi di psichiatria. Così si
convincerà di essere portatrice di questa grave malattia, cosa che aggraverà le sue tendenze suicidarie. Riceverà una rendita invalidità al cento per
cento, cioè 2000 franchi al mese (rendita abbastanza buona ma insufficiente per una madre con la sua bambina).
La diagnosi e la sua prognosi fanno
il giro degli operatori della rete di
aiuto medico-sociale e ognuno ne fa
eco. Le riunioni degli operatori si intensificano e si elaborano scenari sempre più pessimisti della situazione della
paziente. Depressa e suicidaria, alle
volte prolissa e agitata, Marianne viene avvertita che verranno prese delle
misure tutelari per la bambina e contemporaneamente viene indirizzata
per una terapia ambulatoriale ad un
nuovo gruppo di operatori.
È in questo contesto esplosivo che
l’ultima terapista prende informazioni
su tutta l’evoluzione della storia e
decide di rivalutare la situazione. Ella
acconsente a una domanda reiterata
di Marianne che fino ad allora era
rimasta insoddisfatta, cioè di potersi
incontrare con sua figlia. Ha infatti
bisogno di essere vista e vuole che
una terza persona commenti la relazione con sua figlia.
Con l’accordo di Marianne, andrà in
casa sua e vi resterà per tre ore, fino a
quando si stabilirà un contatto. Questo incontro sarà centrato sul vissuto
di questi ultimi quattro anni e servirà
a RINQUADRARLA. La terapista da la
sua valutazione della situazione e il
suo giudizio su quanto sta succedendo a Marianne. Per fare questo si
baserà sulle competenze di Marianne
e sugli elementi positivi della sua vita,
44
prima di abbordare il discorso dei suoi
disturbi.
Marianne ha alle spalle un periodo
di scolarità buono e ha terminato la
sua formazione professionale con un
diploma. È dotata in diversi campi.
Anche se spesso ansiosa, già dalla
sua infanzia, non ha decompensato
psichicamente prima di conoscere le
ripercussioni della sua vita amorosa.
La terapista sottolinea che Marianne
si occupa bene di sua figlia, che sta
bene e che presenta uno sviluppo normale per la sua età. L’appartamento è
curato, Marianne si veste semplicemente ma con gusto. Marianne accoglie sollevata l’interesse caloroso che
le dimostra la nuova terapista, ultima
di un corteo di molti operatori. Accetta
pure di discutere quei punti che nella
sua vita causano dei problemi. Come
persona adulta e con una sua vita
sessuale, Marianne vive dei forti sentimenti di svalorizzazione; ed è questo
che la fa continuamente scegliere dei
partners distruttivi. Ammette che la
paura di vivere meglio di sua madre ne
è la causa. Tutto questo la conduce a
dubitare delle sue capacità materne
che sono però presenti e buone.
zione. Infatti ammette che inizialmente aveva sottoscritto questa diagnosi
quando non conosceva ancora così
bene il vissuto di Marianne. La paziente si mette a piangere dicendo che per
la prima volta qualcuno ammette di
essersi sbagliato sul suo conto. Molto
onestamente, Marianne aggiunge, che
essa pure porta una parte di responsabilità in questo errore diagnostico. Dice
di aver dato dei segni ingannevoli invece di parlare chiaramente. Spiega
le sue ambiguità dicendo che dubitava dei curanti, le decisioni di alcuni dei
quali l’angosciavano molto, per esempio, quella di coinvolgere l’autorità
tutelare per sua figlia. Marianne che
si sente capita e ascoltata dalla nuova
terapista, chiede un sostegno psicoterapeutico. Vengono fissati degli
obiettivi per le prossime sedute di
trattamento: riflettere sulle origini dei
comportamenti che hanno causato gli
insuccessi terapeutici che contrastano con le forze e le competenze di cui
lei dispone; risolvere anche delle difficoltà pratiche, finanziarie e professionali. Come uscire, ad esempio, dallo statuto di invalida al cento per cento con rendita che molto la svalorizza
e non ha nessuna possibilità di uscita.
La diagnosi di psicosi maniaco-de- Molto velocemente, Marianne dice di
pressiva viene rimessa in causa dalla voler smettere con i medicamenti che
terapista che si dice essere in parte di in fondo, confessa, non ha mai preso
colpevole di questo errore di valuta- nelle dosi ordinate dai medici. Ma45
rianne spia le reazioni della sua terapista. Con quanto richiede ha infatti
una possibilità di mettere alla prova la
coerenza dei suoi atteggiamenti. Se la
terapista è sicura che Marianne non è
psicotica, accetterà con calma il progetto di smettere a poco a poco con le
medicine, ciò che in realtà si avvera.
Marianne ora può affrontare le cause
del suo scoraggiamento, della sua
mancanza di sicurezza e dei suoi comportamenti che la spingono costantemente all’insuccesso. Cerca un lavoro
a tempo parziale per abbandonare il
suo statuto di invalida. Il suo trattamento le fornisce i mezzi adeguati per
permetterle di capire come, dalla sua
adolescenza traumatizzante, si è costantemente messa in situazioni di
pericolo e si è continuamente sottostimata. L’appoggio incondizionato di
sua nonna le mancava; ne ha ritrovato
uno che le permette di completare la
sua maturazione bloccata da un lutto
troppo precoce. Rassicurata, Marianne ora funziona su un registro banalmente “nevrotico”. Ha un dialogo costante con se stessa nel quale riprende, tra una seduta e l’altra, quanto
avviene nelle sedute di psicoterapia. Si
lancia delle sfide ”- riuscirò a sormontare questa difficoltà senza richiedere
aiuto. Ce la farò da sola. Se non dovessi
riuscirci entro tre giorni, chiederò l’aiuto della mia terapista”. Si trova gratifi-
cata dalla sua bambina della quale si
occupa con molta creatività. Si arroga
poco a poco il diritto di riconoscersi
come una buona mamma.
Le differenze tra i due tipi di approccio
terapeutico sono di ordine epistemologico, tecnico e finanziario.
Epistemologico
L’approccio della prima fase centra
osservazione e diagnosi sull’individuo,
quello della seconda fase sull’individuo e la sua evoluzione nel contesto
specifico. La prima diagnosi contabilizza le lacune e si formula in termini
deficitari; enumera dei sintomi senza
rileggerli nella storia e nel vissuto
della paziente.
La valutazione sistemica permette di capire che Marianne, allevata da
una nonna morta troppo presto, si è
ritrovata al momento di entrare nell’età adulta, fragile ed immatura e che
questo l’ha condotta ad accumulare
errori e difficoltà che hanno esacerbato i suoi dubbi su se stessa. Nel suo
isolamento affettivo, Marianne sempre più ansiosa, ha tradotto il suo
scoraggiamento in sintomi, che hanno
loro pure la funzione di una richiesta di
aiuto. La conferma della validità di
queste ipotesi si basa sulla calma e
l’ordine che appaiono nella vita della
paziente appena la terapista, all’inizio
46
della cura, le formula. Le reazioni dei
primi curanti fanno panicare la paziente esacerbando i dubbi su se stessa. Moltiplica le minacce di suicidio,
fa dei tentativi, che a loro volta allarmano i medici che sulla scorta dei
sintomi vedono in modo ancora più
nero diagnosi e prognosi dubitando
della possibilità di un trattamento. La
paziente viene passata da una parte
all’altra della rete di servizi, riempita
di medicamenti, in modo tale da impedire ogni possibilità di stabilire un’alleanza terapeutica. Piuttosto che di
vedere nel peggioramento dei sintomi
gli effetti della loro incomprensione, i
curanti cercano nella paziente e nella
sua vita le cause dell’aggravamento
della situazione (16). Una delle violenze di questo tipo di cure risiede nell’incapacità del curante di considerarsi
come significativo e parte in causa nel
sistema terapeutico. Gli effetti del loro
proprio comportamento non vengono
considerati nella valutazione dell’evoluzione del sistema relazionale curante-paziente. Una altro genere di violenza consiste nello sbarazzarsi del
paziente quando il pericolo di suicidio
aumenta. Impotente nel prevenirlo, il
curante cerca di proteggersi della responsabilità di una soluzione fatale
passando il malato a un’altra istituzione. L’ultima terapista siccome ha potuto annodare una relazione significa-
tiva con Marianne, non conosce questo genere di angoscia. La paziente si
sente ormai veramente accompagnata e pensa a vivere piuttosto che a
morire.
Tecnica delle cure
Nessuno dei curanti intervenuti nei
primi quattro anni aveva stabilito una
alleanza terapeutica con la paziente e di conseguenza si era ingaggiato
in un processo di cura.
Dall’inizio della seconda fase una
terapista trova le condizioni che permettono di stabilire una alleanza. Lei
si ingaggia da sola in questa relazione e fa sapere alla paziente che resterà presente e disponibile per tutto il
periodo necessario alla terapia. Lo
preciserà alla paziente rispondendo
alle prime domande che concernono
appunto questo tema.
Altri elementi danno più possibilità
di successo a questa terapia: vengono fissati degli obiettivi, centrati
su dei problemi chiaramente identificati nella sfera intrapsichica,
relazionale ed esistenziale. per
raggiungere questi obiettivi, viene fatto ricorso alle risorse di Marianne.
Senza ignorare gli insuccessi, la
terapista sottolinea i successi e i progressi.
Alla relazione con la bambina
viene prestata particolare atten47
zione. Lei è infatti un punto centrale
nella vita di Marianne, i cui scambi
principali si elaborano con sua figlia,
nella fase attuale della sua vita. È con
lei e per lei che Marianne può ricreare
una relazione di sicurezza affettiva,
come con la sua nonna, e tramite
questo forgiare la sua identità di donna e di madre. Gli operatori precedenti
hanno negletto questo mezzo terapeutico seguendo gli usi dei servizi di
psichiatria tradizionali. La bambina è
stata vistata da un pedopsichiatra, la
madre inviata ad un servizio di psichiatria per adulti. L’esempio di
Marianne dimostra come questo sistema di sezionare la riflessione e le
attività sia inefficace, pericolo e contrario ad ogni spirito di protezione e di
prevenzione.
la sua bambina. Non è stata ascoltata.
Interpretare come patologica ogni
domanda di diminuzione del dosaggio
dei medicamenti costituisce pure una
forma di violenza nelle cure. Negando
al paziente la sua capacità di giudicare le sue percezioni, i curanti rinforzano la simmetria delle relazioni e l’inflazione dei sintomi. Perdono una possibilità di stabilire un rapporto fiducioso con la malata e di correggere un
loro errore diagnostico. La storia di
Marianne dimostra come, squalificando le sensazioni le percezioni della
paziente, la si può condurre a sviluppare dei comportamenti sempre più
aberranti (23). Dimostra inoltre che
una alleanza terapeutica, che da alla
paziente le possibilità di utilizzare le
sue forze, permette certe volte di non
dover utilizzare medicine.
Le medicine psicotropiche prescritte a dosi ragionevoli sono utili a molti
pazienti. In questo caso la loro somministrazione sembra riflettere di più le
ansie vissute dai medici davanti a
questa paziente i cui comportamenti
diventavano sempre di più suicidari,
che non un contributo ai bisogni reali
della situazione. Marianne, prima di
gettare una parte delle sue medicine,
aveva tentato di spiegare ai medici
prescrittori che il dosaggio era troppo
alto, che lei non riusciva più a pensare
e neanche a stabilire un contatto con
Aspetti finanziari
Circa una cinquantina di professionisti si sono occupati di questa paziente
e della sua bambina nella prima fase
di questa storia. I costi sono stimabili
a circa 120000 franchi svizzeri, circa
30000 franchi per ogni anno di terapia. I costi della psicoterapia del primo anno della fase due sono inferiori
ai 5000 franchi. Le cure molto più
efficaci di questa seconda fase sono
dunque 6 volte inferiori alle cure inco48
erenti e spezzettate della prima fase
che hanno portato Marianne ad un
passo dalla morte. Dobbiamo inoltre
aggiungervi poi, nella prima fase, i
costi sopportati dalla collettività per
la rendita di invalidità, che nella seconda fase veniva progressivamente
ridotta.
Riassumendo, più le cure sono efficace, meno costano! È forse questo un
fattore che blocca il cambiamento?
voli quando si è costretti a seguire usi
e costumi istituzionali che si sa essere
contrari all’etica e all’efficacia delle
cure ? (18) Come perfezionarsi in un
lavoro quando non si può constatare
regolarmente effetti positivi delle proprie attività ? Come investire nelle
relazioni con pazienti che volteggiano
nel denso sistema di servizi istituzionali ? Come immaginare delle relazioni di lavoro seriamente professionalizzate in organizzazioni di servizi di
cure alla cui sommità vi sono sovente
delle persone di formazione completamente estranee al campo di attività
che dovrebbero dirigere ? la delega
sempre più massiccia, in corso da circa una ventina d’anni, dell’organizzazione delle cure psichiatriche a delle
istanze amministrative-politiche, i cui
rappresentanti non conoscono le esigenze etiche e scientifiche delle professioni medico-sociali, è in gran parte responsabile degli insuccessi nel
funzionamento di servizi ricchi di potenziali e pagati dai contribuenti. Le
condizioni di formazione sfavorevoli
perché troppo teoretiche e spezzettate, sono loro pure, molto dettate dalle
istanze politiche e amministrative. Una
formazioni di qualità richiede in effetti
esercizi pratici e stabili di cure per
molti anni in co-terapia con delle persone didatticamente preparate e che
hanno dimostrato le loro capacità te-
Conclusioni:
I servizi, previsti per coordinare valutazione e progetti di intervento, la cui
responsabilità esecutiva dovrebbe
essere delegata a una o due persone
adeguatamente formate, stabili e capaci di intrattenere relazioni creative
con i pazienti, possono essere utilizzati per delegare e diluire le responsabilità. Il loro funzionamento può diventare a tal punto perverso che alle volte
soli i curanti e le istituzioni restano
beneficiari della considerevole energia necessaria al suo mantenimento.
Non ci sorprende sentire sempre di
più operatori di questi servizi lamentarsi di uno sfinimento professionale,
Come mantenere l’entusiasmo e il dinamismo quando si partecipa a imprese poco compatibili con gli obiettivi
teorici della professione ? Come non
sentirsi abbacchiati e alle volte colpe49
rapeutiche. Queste condizioni sono
raramente presenti tutte assieme. Le
situazioni le più pesanti sono spesso
affidate agli operatori meno formati.
Psichiatri “in formazione” lavorano
come ad una catena di montaggio
avendo da seguire un centinaio di casi.
Un gran capo del dipartimento della
sanità pubblica cancella proposte di
ristrutturazione e di riorganizzazione
con una paternalistico “non prendete
sulle vostre spalle tutta la miseria del
mondo”. Regole istituzionali rompono
le relazioni con i pazienti: i medici di
un centro di terapia corta che accolgono situazioni gravi sono, ad esempio,
costretti a passare ad altre squadre di
curanti i pazienti che dopo tre mesi di
cure non sono guariti!
ritardo preso dal nostro paese nel campo delle cure alle famiglie in difficoltà
e verso la protezione dei minori. Programmi di prevenzione psichiatrica,
elaborati a partire dagli anni 1940,
restano allo stadio embrionale
(24,12,6). Tra i professionisti della
salute, alcuni cercano di innovare, ma
si urtano, per gli interventi in rete, alle
carenze dei funzionamenti dei servizi
istituzionali. I pazienti non sono nella
possibilità, in mezzo alle loro sofferenze, di domandare delle cure adeguate. Restano i cittadini-contribuenti che, più intensamente informati,
potrebbero esigere una migliore utilizzazione dei larghi mezzi messi a
disposizione dei servizi di cura.
Dottoressa Odette Masson
Le Châtelard
1095 Lutry
Quando, come e chi mai potrà ristrutturare le cure, umanizzarle, rispondere in un altro modo ai bisogni crescenti
dei pazienti ? L’interesse dei politici
per una medicina psicosociale di qualità si sta piuttosto assottigliando. Le
raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 1979 (7) concernenti la protezione dei minori maltrattati non hanno
sortito, diciassette anni più tardi, nessun effetto in Svizzera. La risposta del
Consiglio Federale, datata luglio 1995,
al rapporto federale “Infanzia maltrattata in Svizzera” (4) del giugno 1992
rivela un inquietante ignoranza del
Bibliografia:
1 Almqvist F. (1988): Mental health
in young people in relation to child
welfare and institutional care in
childhood. Acta psychiatric.
Scand 78: 41-48
2 American Psychiatric Association
(1989): DSM-III-R Manuel diagnostique et statistique des troubles
mentaux. Masson, Paris
3 Berger M. (1992): Séparation à but
thérapeutique. Ed. Privat
50
4 Bouverat G. et al. (1992): Enfance
maltraitée en Suisse. Rapport Fédéral. Office central fédéral des
imprimés et du matériel, 3000
Berne
5 Cabié M.-C. (1992): Vers une
reprise existentielle... L’insititution psychiatrique pour éviter la
chronicisation, in “L’adolescence,
crise familiale” Gammer C., Cabié
M.-C. Ed. Erès, Toulouse
6 Caplan G. (1964): Principles of Preventive Psychiatry. Basic Books,
London
7 Conseil de l’Europe (1979): Recommandation No R (79) 17 du Comité
des Ministres aux Etats membres
concernant la protection des
enfants contre les mauvais traitements
8 Duyme M. (1987): Mauvais traitements institutionnels. Ed. Science
Libre
9 Geng J.-M. (1980): Mauvaises
pensées d’un travailleur social. Ed.
Seuil, Coll. Points
10 Haley J. (1984): Tacticiens du
pouvoir. ESF, Paris
11 Kempe C.H., Kempe R..E.(1977):
L’enfant battu et sa famille. Ed.
Fleurus
12 Kempe R..S., Kempe C.H. (1978):
La prédiction et la prévention, in
“L’enfance torturée” Ed. P. Mardaga, chap. V: 95: 108
13 Lambert M.S., Bergin A.E., Collins
J.L. (1977): Therapist-induced
deterioration in psychotherapy, In
“Effective Psychotherapy” Gurman
A.S., Razin A.M. Ed. Pergmon
Press, Oxford, New York, Toronto,
Sydney, Paris, Frankfurt, chap 17
452-481
14 Langsley d.G., Kaplan D.M. (1968):
The treatment of families in crisis.
Grune & Stratton
15 Masson O. (1988): Mandats
judiciaires et thérapies en pédopsychiatrie. Thérapie Familiale,
Genève, Vol IX; No 4: 283-300
16 Masson O. (1983): La thérapie des
patients “professionnels” de la
psychiatrie. Thérapie Familiale,
Genève, Vol IV; No 1: 101-114
17 Masson O. (1991): La violence dans
la famille, in “Familles en Suisse”
Fleiner T., Gilliand P., Lüscher K.
Ed. Editions Universitaires, Fribourg, CH
18 Masson O. (1990): L’épuisement
professionnel. Thérapie familiale
Vol. XI, No 4 355-370
19 Masson O. (1991): Difficultés de
communication entre professionnels et institutions in “L’enfance maltraitée” Afirem. Karthala,
Paris, chap. 4, 61-75
20 Reimer C., Argast U. (1990): Zur
Problematik intimer Beziehungen
während psychotherapeutischer
51
Behandlung. Bulletin des médecins suisses, Band 71, Heft 37
21 Rice M.E., Harris G.T., Varney G.W.,
Quinsey V.L. (1989): Violence in
Institution Unterstanding, Prention
and Control. Hogrefe & Huber Publishers, Toronto, Lewiston, New
York, Bern, Göttingen, Stuttgart
22 Rufer M. (1988): Irrsinn Psychiatrie. Zytglogge Verlag, Bern
23 Searles H. (1977): L’effort pour rendre l’autre fou. Gaillmard, Paris
24 Spitz R.A., Wolf L.M. (1946):
Anaclitic Depression. An Inquiery
into the genesis of psychiatric
conditions in early childhood in
“The Psychonalitic Study of the
Child” vol II, International University Press, New York: 323-342
25 Tomkiewicz S. (1984): Violences
et négligences envers les enfants
et les adolescents dans les institutions. Child abuse and neglect.
Vol 8: 319-335
9 GIUGNO 1996
regalate, regalatevi 70 minuti di relax con lo spettacolo comico
I CASI DELLA FAME E DELL’AMORE
(Commedia dell’Arte)
regia di Alessandro Marchetti; testo di Luisella Sala
con la compagnia Teatro Paravento di Locarno
Grazie alla sponsorizzazione della SES
(Societá Elettrica Sopracenerina)
l’intero incasso sará devoluto al nostro
Gruppo regionale della Svizzera italiana dell’ASPI.
Lo spettacolo é adatto a tutti a partire da otto anni.
VI ASPETTIAMO NUMEROSI ALLA
SALA DELLA SOPRACENERINA A LOCARNO
ALLE ORE 17.00
52
Errata corrige
Nel Bollettino Nr. 13 siamo incorsi in
uno spiacevole errore, per ben cinque
volte (pag. 6,44,48,49 e 51) abbiamo
scritto “lic. jur. Isabelle Fumagalli De
Chezally” sbagliando. La nostra collaboratrice si chiama infatti: Lic. jur.
Isabelle Fumagalli De Chezelles. La preghiamo di volerci scusare !
Ringraziamento
Alla Banca della Svizzera Italiana di
Ginevra che ha distribuito una grossa
somma di denaro a differenti associazioni. Grazie al direttore generale Reto
Kessler della BSI di Lugano l’ASPI di
Berna ha ottenuto 125000 franchi la cui
metà ci é stata versata per desiderio
53
della donatrice nella cassa del nostro
Gruppo regionale della Svizzera italiana. Una statua dell’Arturo ci é sembrato il regalo ideale al dir. Kessler per
il suo gesto; una seconda statuetta l’ho
poi consegnata a Ginevra al momento
della donazione ufficiale al rappresentante della BSI di Ginevra il 6 marzo u.s.
10 maggio 1996 - venerdì, dalle ore
10.00 alle ore 16.00, giornata dei CANteams Svizzeri, presso il Stadtspital
Triemli Birmensdorferstrasse 497,
8063 Zurigo, con relatrici G. Marneffe
di Bruxelles e R. VanderLaan di San
Diego.
INFO: Dr.med. H.P. Kind Winterthur
tel. +41 52 212 12 21
Fax +41 52 212 29 32
Campagna di abbonamento
Continua la campagna di abbonamento al nostro Bollettino. Ricordo che i tre
numeri di quest’ anno costano 30 fr. per
persone singole e 50 fr. per istituzioni.
I sostenitori che versano almeno 50 fr.
ricevono gratuitamente il Bollettino. I
versamenti vanno effettuati alla BSI,
vedere a pagina 2 !
15 maggio 1996 - mercoledì sera alle
ore 20.30 al Palazzo dei Congressi di
Lugano, conferenza organizzata dal
“Telefono amico Ticino”: Tema - La
comunicazione nei rapporti di coppia
e nella famiglia.
Relatrici: Silvia Vegezzi-Finzi, Anna
Lafranchi, Anna Mattia e Raffaele
Deschenaux.
Entrata libera.
Date da ricordare
28 aprile 1996 - Domenica alle ore
10.00 presso il Centro ricreativo e culturale “La Cascata” di Augio in Val
Calanca si terrà l’ ASSEMBLEA ANNUALE ORDINARIA dell’ASPI svizzera. Dopo il pranzo (a pagamento e
su prenotazione a chi fosse interessato, con preghiera di telefonare alla
nostra Redazione) alle ore 15.00 verrà
offerto alla popolazione della Valle lo
spettacolo di pupazzi giganti del Teatro dei Fauni di Locarno diretto da
Santuzza Oberholzer, “I Corvi e la fanciulla” (per bambini dai 6 anni di età
circa). Entrata libera.
15 maggio 1996 - a Ginevra. Tema:
L’enfant mis à nu - giornata di studio
sull’abuso sessuale, in modo particolare sulla validità della segnalazione
della vittima. Relatore: Hubert van
Gijseghem di Montréal.
INFO: Transit Communications, 29, rue
Edouard Herriot 69002 Lyon.
tel. 78 27 88 44
15 giugno 1996 - Sabato dalle ore
08.45 alle ore 18.00 A Ginevra presso
l’auditoire Rouiller dell’università in
54
via Général Dufour 24 giornata di studio sul tema: Crédibilité et discernement.
INFO: Philippe D. Jaffé e Hélène Rey
Wicky, tel 0041 22 705 97 89 /18
13 settembre 1996 - venerdì alle ore
18.00 al Palazzo dei Congressi di
Lugano, conferenza organizzata dal
“Telefono amico Ticino”: Tema - Il
Telefono amico e l’ascolto.
Relatori: Ernesto Caffo, Elena Crema,
Kurt Mahnig e Pietro Martinelli.
20 novembre 1996 - mercoledì Giornata dei diritti dei bambini. Riservate questa data, alla sera per la nostra Assemblea annuale ordinaria
del Gruppo regionale della Svizzera italiana dell’ASPI. Ulteriori informazioni seguiranno sul prossimo
Bollettino nr. 15
55
ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA
GRUPP0 REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA
56
Zio Vampiro
Edizioni: Mondadori, Milano, 1995
pag. 115
Cynthia D. Grant
(questa segnalazione é apparsa nel
Corriere del Ticino del 13 marzo 1996
sotto la rubrica “in vetrina, per i ragazzi”)
Carolyn inventa una sorella e uno
zio vampiro per nascondere una terribile verità: quella della violenza sessuale subita dallo zio Toddy.
Il libro è una sorta di terapia destinata a guarire nelle intenzioni, una
ferita insanabile: una lotta senza quartiere contro silenzi, connivenze e mec57
canismi di difesa tenaci e ostinati, più
adatti a provocare dolore che dimenticanze. Fatto di una sintassi sconvolta,
sempre a metà strada tra sogno e realtà, tra voglia di dire e timore di confessare, il libro é una testimonianza di vita
di profondissimo valore affettivo.
(Adatto ad un lettore maturo di IV
media).
tali violazioni alla luce del diritto internazionale. Si trattava di tracciare sinteticamente gli elementi principali che
costituiscono le trame di una realtà
che invade sempre piè e straripa violentemente dalla cronaca di tutti i
giorni. Il contesto più generale era
quello definito dall’incontro del G-7,
che si doveva riunire da lì a pochi
giorni sempre a Napoli, per fare il
punto sullo “stato del mondo”, sul suo
“sviluppo”, sulle regole e gli “aggiustamenti” dei processi economici. La proposta era - ed é - di mettere in rapporto
i due contesti, così che i bambini e i
loro diritti non andassero smarriti nuovi desparecidos - tra i tanti indicatori di sviluppo-sottosviluppo”.
E più sotto continuava dicendo:
“Ricercare le responsabilità, chiamarle per nome, qualificarle non significa infatti mettere insieme gli elementi per una condanna, ma delineare la prima traccia di un cammino dove
le priorità possano riprendere la loro
gerarchia, e non sia più così facile e
accettabile dire il falso e restarne impuniti.”
Un libro da leggere per tutti coloro
che al fronte lavorano con i minori
maltrattati e le loro famiglie, un libro
infatti che risale alle radice del male e
ne mostra nuovi aspetti e da nuovi
impulsi per una soluzione del problema.
(To)
Violazione dei diritti dei bambini
(un metodo di approccio)
Edizioni: Gruppo Abele, Torino 1995
pag. 230
ISBN 88-7670-236-9
Curato da Linda Bimbi e Maria Paola
Tini per conto della Fondazione internazionale Lelio Basso. Il libro raccoglie
il materiale del seminario “Nord-Sud:
l’essere umano variabile dipendente? I
bambini come indicatore economico”
tenuto il 23 e 24 giugno 1994 a Napoli.
Gianni Tognoni, dell’istituto farmacologico Mario Negri, nell’introduzione
del libro così ne sintetizzava gli obiettivi:
“Questo libro ha cominciato a prendere forma a Napoli nel giugno 1994.
Il suo contesto più prossimo era la
“audizione” convocata dal Tribunale
permanente dei popoli per iniziare un
percorso di documentazione-riflessione sui diritti violati dei bambini, in
vista della convocazione di una sessione formale sulla qualificazione di
58
ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA
GRUPPO REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA
PRO MEMORIA
Chi vuole entrare a far parte del nostro
Gruppo Regionale della Svizzera Italiana dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia deve:
1. chiedere di far parte dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia: Brunnmattstrasse 38, 3000
Berna 14 tel. 031 382 02 33 Fax 031
382 45 21
2. versare la quota sociale (attualmente 50 fr.), dell’Associazione svizzera
per la protezione dell'infanzia a Berna
CCP 30-12478-8
3. annunciarsi alla segretaria del Gruppo Regionale (vedere pag. 2 l'indirizzo) per avere il materiale.
Comitato
Presidente
Dr. Amilcare, TONELLA, pediatra, Bellinzona tel. 092/825 52 52
Segretaria, cassiera
Jenny Lazzarotto, assistente medico, Biasca
Chantal Heiz, assistente medico, Bellinzona
Membri
Marina ARMI, consulente famigliare, Pazzallo
Fabrizio FAZIOLI, giornalista, Bellinzona
Gabriele FERRARI, avvocato, Chiasso
Dr. Donato GERBER, pedopsichiatra, Bellinzona
Pierre KAHN, psicologo, Canobbio
Apparizione:
3 volte all'anno
Indirizzo Redazione:
Dr. med. A. Tonella
Viale Portone 2
CH- 6500 Bellinzona
I versamenti vanno
effettuati presso la: BSI di Bellinzona
CCP 65-991-0
ASPI conto M 123790 B
Copyright:
Riproduzione autorizzata citando la fonte
Impaginazione:
Fondazione Diamante - Laboratorio Laser - Lugano
Stampa:
1700 copie - Tipografia Coduri e Bremer - Lugano
stampato su carta rispettosa dell'ambiente
Fotografia:
di Amilcare Tonella
Si rimane membri del Gruppo
Regionale pagando annualmente
la sola tassa sociale all'ASPI di Berna
Il Bollettino lo si può ricevere versando
30.– fr. (50.– fr. per associazioni, scuole, enti, ecc.) sul nostro CCP. Ogni offerta superiore ai 50.– fr. fa scattare automaticamente l'abbonamento.
Ogni offerta è ben accetta e ci permette di continuare il nostro lavoro.
BSI di Bellinzona.
CCP 65-991-0
ASPI conto M 123790 B.
✂
Le vostre osservazioni ci interessano, qui avete uno spazio a vostra disposizione:
ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA
GRUPPO REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA
✂
Sì, mi interesso all'ASPI.
Vogliate inviarmi altre informazioni.
Affrancare
P.F.
Non voglio più ricevere la vostra
pubblicazione
Vogliate inviarmi... esemplari del
bollettino ASPI al seguente indirizzo:
Ho pagato l'abbonamento alla rivista
che desidero ricevere
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Cognome
Via:
Città:
Tel.
ASPI
GR della Svizzera Italiana
c/o Dr. A.Tonella
Viale Portone 2
6500 Bellinzona
N.14 APRILE 1996
Da ritagliare e inviare al seguente indirizzo:
BOLLETTINO ASPI
P.P.
6500 BELLINZONA 4
Editoriale
Il gruppo POP: perché?
Lettera del 26 ottobre 1995 di presentazione del Gruppo POP, in occasione della
giornata di studio del 2 dicembre 1995 a Mendrisio
Interazione tra servizi e reti sociali per prevenire evoluzioni psicopatologiche:
Modelli d'intervento
I figli di genitori malati di mente
Violenze dei pazienti, violenza delle cure
Comunicati importanti
Libri e recensioni