Bollettino numero 14 1996
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Bollettino numero 14 1996
ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA GRUPPO REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA ✂ Sì, mi interesso all'ASPI. Vogliate inviarmi altre informazioni. Affrancare P.F. Non voglio più ricevere la vostra pubblicazione Vogliate inviarmi... esemplari del bollettino ASPI al seguente indirizzo: Ho pagato l'abbonamento alla rivista che desidero ricevere Nome: Cognome Via: Città: Tel. ASPI GR della Svizzera Italiana c/o Dr. A.Tonella Viale Portone 2 6500 Bellinzona N.14 APRILE 1996 Da ritagliare e inviare al seguente indirizzo: BOLLETTINO ASPI P.P. 6500 BELLINZONA 4 Editoriale Il gruppo POP: perché? Lettera del 26 ottobre 1995 di presentazione del Gruppo POP, in occasione della giornata di studio del 2 dicembre 1995 a Mendrisio Interazione tra servizi e reti sociali per prevenire evoluzioni psicopatologiche: Modelli d'intervento I figli di genitori malati di mente Violenze dei pazienti, violenza delle cure Comunicati importanti Libri e recensioni ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA GRUPPO REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA PRO MEMORIA Chi vuole entrare a far parte del nostro Gruppo Regionale della Svizzera Italiana dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia deve: 1. chiedere di far parte dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia: Brunnmattstrasse 38, 3000 Berna 14 tel. 031 382 02 33 Fax 031 382 45 21 2. versare la quota sociale (attualmente 50 fr.), dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia a Berna CCP 30-12478-8 3. annunciarsi alla segretaria del Gruppo Regionale (vedere pag. 2 l'indirizzo) per avere il materiale. Comitato Presidente Dr. Amilcare, TONELLA, pediatra, Bellinzona tel. 092/825 52 52 Segretaria, cassiera Jenny Lazzarotto, assistente medico, Biasca Chantal Heiz, assistente medico, Bellinzona Membri Marina ARMI, consulente famigliare, Pazzallo Fabrizio FAZIOLI, giornalista, Bellinzona Gabriele FERRARI, avvocato, Chiasso Dr. Donato GERBER, pedopsichiatra, Bellinzona Pierre KAHN, psicologo, Canobbio Apparizione: 3 volte all'anno Indirizzo Redazione: Dr. med. A. Tonella Viale Portone 2 CH- 6500 Bellinzona I versamenti vanno effettuati presso la: BSI di Bellinzona CCP 65-991-0 ASPI conto M 123790 B Copyright: Riproduzione autorizzata citando la fonte Impaginazione: Fondazione Diamante - Laboratorio Laser - Lugano Stampa: 1700 copie - Tipografia Coduri e Bremer - Lugano stampato su carta rispettosa dell'ambiente Fotografia: di Amilcare Tonella Si rimane membri del Gruppo Regionale pagando annualmente la sola tassa sociale all'ASPI di Berna Il Bollettino lo si può ricevere versando 30.– fr. (50.– fr. per associazioni, scuole, enti, ecc.) sul nostro CCP. Ogni offerta superiore ai 50.– fr. fa scattare automaticamente l'abbonamento. Ogni offerta è ben accetta e ci permette di continuare il nostro lavoro. BSI di Bellinzona. CCP 65-991-0 ASPI conto M 123790 B. ✂ Le vostre osservazioni ci interessano, qui avete uno spazio a vostra disposizione: Indice EDITORIALE 4/7 IL GRUPPO POP: PERCHÈ? 8/9 LETTERA DEL 26 OTTOBRE 1995 DI PRESENTAZIONE DEL GRUPPO POP, IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DI STUDIO DEL 2 DICEMBRE 1995 A MENDRISIO 10/12 INTERAZIONE TRA SERVIZI E RETI SOCIALI PER PREVENIRE EVOLUZIONI PSICOPATOLOGICHE: MODELLI D'INTERVENTO 13/23 I FIGLI DI GENITORI MALATI DI MENTE 24/32 VIOLENZE DEI PAZIENTI, VIOLENZA DELLE CURE 33/52 COMUNICATI IMPORTANTI 53/56 LIBRI E RECENSIONI 57/59 3 Care lettrici e cari lettori… nella speranza che possiate essere in molti a leggere questo Bollettino nr. 14! Buona Pasqua! Infatti usciremo in quel periodo e l’augurio è di prammatica. Questo è il primo dei tre bollettini del 1996 e spero di poter sempre presentarvi articoli interessanti e ricchi di argomenti per una riflessione. Per fare questo ho naturalmente bisogno anche della vostra collaborazione, inviatemi articoli che toccano il campo dei maltrattamenti o della loro prevenzione oppure testimonianze o recensioni di libri interessanti che avete letto e magari anche delle critiche o delle osservazioni. 4 Alla fine di questo mese la Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale dovrebbe riunirsi per discutere quel messaggio che il Consiglio federale, l’estate scorsa, ha redatto a proposito del rapporto “Infanzia maltrattata in Svizzera” del 1992 (vedere anche Bollettino nr. 13). Non so che cosa succederà, già fin troppe volte questa trattanda è stata rimandata! Oggi (18.3.96) al notiziario della nostra RSI ho sentito che negli Stati Uniti negli ultimi 10 anni il numero dei bambini maltrattati, abusati e negletti sono passati da 120000 a oltre 600000… un bel progresso in una società che si dice civile! Le violenze sui bambini al di sotto dei quattro anni, sempre negli Stati Uniti, sono la causa numero uno di morte in questa fascia di età! I soldi che vengono stanziati per la lotta ai maltrattamenti sui minori scompaiono senza essere usati per questo scopo! La sensibilità politica verso questo problema sembra battere la fiacca! Tanti punti esclamativi per tante notizie che scottano come delle bruciature. Perché la sofferenza di questi minori non scuote il mondo degli adulti ? Fino a quando le autorità resteranno insensibili o cercheranno solo delle pseudo-soluzioni che serviranno solo come alibi politici ? Perché i politici si trovano tutti d’accordo per investire milioni di franchi in progetti che poi magari al momento dei consuntivi risultano più che raddoppiati (vedere galleria della Fart a Locarno passata da 54 a ben 114 milioni di franchi) e che vengono comunque stanziati, mentre briciole sono i soldi che vengono investiti nella lotta contro i maltrattamenti e la loro prevenzione ? I maltrattamenti e le negligenze causano alti costi sociali, nel nostro Cantone su 425 minori collocati fuori famiglia in istituti, oltre il 65 % lo era per motivi che toccavano direttamente i maltrattamenti oppure la trascuratezza per grave disagio familiare o incapacità educativa dei genitori (dati desunti dal lavoro di Lina Butti del 1995 per il Dipartimento delle Opere Sociali). La sensibilità della gente in questi ultimi anni sembra essere comunque aumentata nei riguardi dei problemi dei maltrattamenti ai minori e della loro protezione, infatti più di 8700 persone hanno sottoscritto le proposte di aggiunte al nuovo progetto di Costituzione Federale che ho pubblicato nell’ultimo numero. Con una conferenza stampa il 29 febbraio u.s. questi dati sono stati comunicati ai rappresentanti dei media e le firme inviate al Consiglio Federale… che non ha accusato ricevuta! Non dobbiamo disperare, continuiamo a chiedere ad alta voce e a impe5 gnarci tutti per concretizzare questa nuova cultura verso i minori. trica e con un destino già quasi segnato, e poi quello di vedere il terapista che ricerca una alleanza terapeutica come un illuso e in fondo tranquillizza chi lavora in queste situazioni se non ottiene alcun successo… magari perché il lavoro è fatto in modo inadeguato! Per fare meglio riflettere chi mi legge ho perciò aggiunto un articolo tradotto dal francese. Si tratta di un lavoro di più persone, letto da Odette Masson il 14 settembre 1995 a Lione durante le ottave giornate francofone di terapia familiare sistemica. In questo articolo vi sono riportate due storie emblematiche. Una fa benissimo da controaltare all’articolo del Prof. Henny, infatti per tutti la situazione di grave disturbo psichiatrico che Marianne presentava, era chiaro e il decorso senza sbocco, ma una nuova terapista, con un approccio più coinvolgente, scevro di pregiudizi riuscirà la dove altri cinquanta hanno fallito. Un articolo da leggere e da avere sempre davanti agli occhi quanto si lavora con bambini maltrattati e genitori maltrattanti! Tra i COMUNICATI troverete il contoreso per l’anno 1995 che verrà discusso nell’assemblea ordinaria annuale del nostro Gruppo regionale il 20 novembre 1996. Abbiamo terminato con un margine di utile notevole grazie alle generose offerte di molte persone ma anche grazie alla vendita Il nostro Bollettino nr. 14 porta le conferenze che il Prof. E. Loperfido di Bologna e il Prof. R. Henny di Ginevra hanno tenuto nella giornata di studio del 2 dicembre 1995 a Mendrisio. Quella giornata era stata organizzata dal neocostituito Gruppo POP, gruppo che raccoglie rappresentanti della psichiatria, dell’ostetricia e della pediatria, per meglio, più rapidamente e tempestivamente prendersi a carico future madri o madri con problemi psichiatrici. Grazie alla collaborazione e all’amicizia con il dr. Alberto Spinelli ideatore e motore di questo gruppo posso ora presentarvi questa iniziativa con una introduzione del dr. Spinelli, la lettera del 26 ottobre 1995 di presentazione del Gruppo con la lista delle persone che fanno parte del “Nucleo” e come detto sopra le due conferenze della prima giornata di studio del 2.12.95. L’articolo di Loperfido è di facile lettura, un po’ meno quello di Henny, almeno per chi, come me non ha fatto studi di psicologia o di psichiatria. Alcuni concetti comunque mi sono balzati all’occhio in questo articolo, forse soggettivi, uno quello di presentare il bambino di madre malata mentale come un bambino ad alto rischio di decompensazione psichia6 delle nostre statuette “Arturo” (ne resta una sola invenduta!) che ci hanno permesso di contabilizzare un utile netto di oltre 20000 fr.-. Per quanto concerne l’anno in corso posso già anticiparvi la notizia che grazie alla BSI (Banca della Svizzera italiana) abbiamo ottenuto per l’ASPI svizzera 125000.- fr. La metà di questa somma, per decisione della donatrice, è stata destinata al nostro Gruppo regionale della Svizzera italiana. Un grazie che viene dal cuore per questo gesto ai dirigenti della BSI, in modo particolare al direttore signor Reto Kessler, per quanto ci ha generosamente donato con l’impegno che sapremo usarlo a favore di chi soffre per maltrattamenti o per prevenire questa piaga. Tra i comunicati troverete l’annuncio dell’Assemblea annuale dell’ASPI del 28 aprile. È vero che il numero dei membri dell’ASPI svizzera è molto basso e che nel nostro Cantone si contano solo una settantina di persone che hanno chiesto di entrare in questa associazione e che ne hanno pagato le tasse, vorrei però ciónostante ricordarvi che quest’anno siamo noi del Gruppo regionale della Svizzera italiana ad organizzare questo incontro e vi invitiamo tutti, membri e simpatizzanti in Augio, Val Calanca per quella data. Avvocati, magistrati, operatori dei servizi medico-psicologici e medici dovrebbero non mancare la data del 15 giugno prossimo a Ginevra. Sappiamo sempre ancora troppo poco come valutare le segnalazioni che i bambini ci fanno, in modo particolare di abusi sessuali subiti. Termino questa mia chiacchierata comunicandovi che la nostra segretariacassiera, signora Claudia Danielli, ha inoltrato le sue dimissioni dalla carica che deteneva dal giorno della fondazione. Claudia è sempre stata assidua nel suo lavoro dal primo minuto, ha avuto la fortuna di diventare e mamma di Sara e ora, mentre è in attesa di un altro/a bambino/a ha deciso che l’impegno di segretaria-cassiera era troppo. A nome di tutto il nostro Comitato le diciamo GRAZIE per tutto il lavoro fatto e per il suo entusiastico impegno, speriamo di vederla alle assemblee e di continuare ad averla come membro del Gruppo. Le mie assistenti di studio, Jenny Lazzarotto di Biasca e Chantal Heiz di Bellinzona fungeranno ora da segretarie-cassiere del Gruppo. VI auguro buona lettura e vi aspetto numerosi il 28 aprile in Augio! Amilcare Tonella 7 Un gruppo nato spontaneamente sull’onda di un bisogno, quello di aiutare il bambino e la madre affetta da turbe psichiche, possibilmente individuando le situazioni a rischio già durante la gravidanza. E se la strada è assai ardua, come lo dimostrano le esperienze di chi ci ha preceduti, l’obiettivo da raggiungere è di tale importanza ideale e reale che già il solo tentare di raggiungerlo può essere appagante. Dalla lettera del 26 ottobre 1995 che pubblichiamo, appare chiaramente lo scopo di questo gruppo: “Obiettivo ideale di questo gruppo è di garantire un normale svi8 luppo psicofisico al bambino, favorendo la sua relazione con la madre nei modi e nei tempi più adeguati ad ogni singola situazione.” Il gruppo POP: non vuole creare nulla di nuovo, vuole tentare di coordinare le forze e le energie già presenti in modo da ottimare gli interventi. Il primo anno di attività, impegnato nel capire come muoverci tra le persone, tra le organizzazioni private e statali, come raggiungere gli interessati e motivarli a partecipare, impegnato a superare la diffidenza che sempre insorge di fronte a qualcosa di nuovo, di sconosciuto, ha mostrato a tutti noi le infinite sfaccettature di un problema che da sempre esiste ma che spesso, troppo spesso non vuole essere visto poiché frequentemente ci trova impreparati ed impotenti ad affrontarlo. Chiudo questa breve introduzione con l’augurio che il nostro lavoro non si fermi al suo stato embrionale ma possa svilupparsi, crescere ed ancor più dare frutti. Dr.med. Alberto Spinelli Ginecologo-ostetrico FMH Via Turconi 10 6850 Mendrisio 9 Gentili Signore, Egregi Signori, l’attività quotidiana nel campo dell’ostetricia, della neonatologia, dell’assistenza sociale e della psichiatria ci ha confrontati a più riprese con il problema di riuscire a preservare la relazione madre bambino anche quando la madre presenta gravi problemi psichiatrici e sociali. Queste situazioni ci hanno quasi sempre trovati impreparati, non già per l’incapacità di ogni singolo operatore ad affrontare la situazione nel campo di sua competenza, bensì per l’evidente insufficienza o mancanza di coordinamento tra gli operatori delle varie istituzioni. Il risultato è che chi si 10 occupa della madre, non sempre pianifica interventi che tutelino l’interesse del neonato, e viceversa. Da questa constatazione deriva il primo e più importante dei nostri obiettivi. Dalla volontà di riuscire a coordinare i vari interventi è nato un gruppo spontaneo composto da ostetrici, pediatri, psichiatri, psicologi, assistenti sociali, rappresentanti delle autorità tutelari ed altre persone interessate ad assistere nel miglior modo possibile le neo madri che presentano gravi problemi psichiatrici e sociali ed i loro figli. 2 offrire occasioni di formazione a tutti coloro che, lavorando nel settore pubblico o in quello privato, si trovano confrontati a future o neo madri che presentano le difficoltà sopraccitate. 3 documentare il tipo di presa a carico effettuata ed i risultati dei vari interventi. Struttura Il Nucleo: l’idea è quella di avere un nucleo centrale che possa raccogliere le segnalazioni e i dati per tutto il Cantone, verificando poi che si attivi la Corona (definita più avanti). Il nucleo si compone di quattro figure professionali: ostetrico, rappresentante del servizio psicosociale, rappresentante del servizio medico psicologico, assistente sociale. Obiettivi Obiettivo ideale di questo gruppo è di garantire un normale sviluppo psicofisico al bambino, favorendo la sua relazione con la madre nei modi e nei tempi più adeguati ad ogni singola situazione. Gli intermediari: si tratta di singole persone, una per zona (vedi: Corona), designate ad attivare la Corona per i singoli interventi e a mantenere i contatti con il Nucleo. Da questo obiettivo ideale conseguono alcuni obiettivi pragmatici: 1 permettere il coordinamento e la verifica del lavoro svolto sul territorio, utilizzando le risorse già disponibili (persone, mezzi e strutture pubbliche e private), garantendo la continuità dell’intervento nel tempo. La Corona: è la componente attiva sul territorio ed ha quattro punti chiave: Locarno, Bellinzona, Lugano, Mendrisio. È composta dalle medesime figure professionali che strutturano il 11 nucleo, ma si tratta di persone attive nel settore del territorio in cui il caso viene preso a carico. Ben sappiamo che prendere la decisione di segnalare questo genere di situazioni non è mai facile, così come può essere difficoltoso convincere le madri interessate a dare il loro consenso. Vi invitiamo pertanto a voler consultare i membri del nostro Nucleo (vedi lista degli indirizzi di seguito riportata) per concordare la strategia migliore per giungere ad una segnalazione consensuale. La consulenza può avere carattere anonimo, cioè senza la segnalazione del nome della paziente. La consulenza dei membri del Nucleo, in quanto risorsa terapeutica a disposizione del medico curante, è comunque coperta dal segreto professionale. La Vostra collaborazione sarà un fattore determinante per la riuscita del lavoro preventivo che ci proponiamo di svolgere. È una rete già esistente di operatori che deve poter agire subito (idealmente già prima della nascita del bambino) in favore del neonato e della sua famiglia. Questa lettera informativa è rivolta a tutti coloro (medici, operatori sociali, autorità di tutela, ecc.) che nell’esercizio della loro attività professionale possono venire a conoscenza di situazioni personali e familiari suscettibili di compromettere seriamente il normale sviluppo psicofisico di un neonato. Segnalandoci i casi a rischio, possibilmente prima della nascita, collaborerete con noi per la diagnosi precoce e la prevenzione delle difficoltà relazionali genitori-bambino. servizio titolare supplente assistente sociale Rosetta Teodori-Ambrosini Servizio Sociale Carla Riva-Castagna Servizio Sociale rapp. SMP StellaDeCarli SMP Franco Marangoni Dr.Med. SMP rapp. SPS J.FrançoiseMottaDr.Med. SPS ostetrico/a AlbertoSpinelliDr.Med. OBV Mendrisio 12 MariangelaGalfettiDr.Med. OBV Mendrisio Prof. Eustachio Loperfido Penso che a nessuno sia sfuggita l’insistenza con cui, negli ultimi anni, le grandi Organizzazioni mondiali per la salute (OMS) e per la protezione dell’Infanzia (UNICEF) hanno lanciato e diffuso richiami e invocato attenzioni sulle problematiche psicosociali che sottostanno ad una crescente rilevazione di disturbi, seri e gravidi di conseguenze, dei processi di regolazione dello sviluppo nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza. Solo pochi giorni fa Leon Eisenberg, consulente esperto dell’OMS, in un Convegno Internazionale a Bologna sulla “Salute del bambino alle soglie dell’anno 2000“ cosi si 13 esprimeva in un passo della sua Lettura Magistrale: “Molti Paesi si trovano a fronteggiare una vera epidemia di comportamento violento di adolescenti e giovani adulti. I fattori di rischio per tale comportamento, tutti fortemente intercorrelati, comprendono povertà, limiti educativi, residenza in quartieri degradati, famiglie monoparentali, abuso e maltrattamento, carcerazione di altri membri della famiglia, adesione a bande di adolescenti (antisociali). La criminalità aumenta mentre diminuiscono le opportunità di una legittima occupazione.”. me le esperienze di Winnicott sotto il titolo “Il bambino deprivato” 1984 e il libro di Mary Boston e Rolen Szur “Il lavoro-psicoterapeutico con bambini precocemente deprivati” 1987, l.ª edizione italiana). Altri riportano studi sul campo, o di tipo epidemiologico con l’obiettivo di valutare su campioni di popolazione infantile le correlazioni tra ipotizzati fattori di rischio e modelli di psicopatologia, o l’intento di cogliere questa correlazione nella dinamica e nel divenire delle concrete interazioni genitori di tipo clinico con - bambini ambiente. Tra i primi ricorderò per tutti la serie di ricerche di M. Rutter e collaboratori, vari nel tempo, dalla metà degli anni 70 all’inizio degli anni 90; per i secondi mi limiterò a citare il lavoro di G. Diatkine sulle “Familles sans qualités” pubblicato su Pschyatrie de l’enfant del 1979 e quello dl M. David e coll. che riporta una ricerca su un gruppo di neonati lattanti di “famiglie carenziate”. Parallelamente, in campo scientifico, è andato assumendo forma e penetranza il concetto di “rischio psicosociale” inteso come nesso e relazione causale tra condizioni socioambientali ed educative carenti e distorte ed alterazioni nella strutturazione e nella organizzazione della personalità in via di sviluppo. Sono molti i lavori che su questo tema compaiono nella letteratura scientifica a partire dall’inizio degli anni ’80. Alcuni di questi testimoniano l’impegno e la sfida della psicoterapia a confronto con il “bambino deprivato” e l’adolescente socialmente deviante (ricordo, al proposito, la pubblicazione che ha raccolto in volu- L’accezione semantica dell’attributo psicosociale è andata via via ampliandosi in psichiatria dell’età evolutiva ad evocare l’incidenza di fattori socioambientali nella genesi di tanta parte dei disturbi psicopatologici infantili, in una società soggetta a tumultuosi 14 cambiamenti, sia a livello macro che micro e di ciò è testimonianza anche l’introduzione dell’”asse psicosociale” nei sistemi internazionali di classificazione diagnostica. specifici effettuati sul campo, possiamo presumere, in base a criteri di valutazione teorica, e desumere dalla esperienza dei Servizi che il fenomeno è in aumento, in quanto sono in aumento nelle società industrializzate i Ma c’è, a mio parere, un’area di spe- processi di emarginazione sociale che cificità che possiamo considerare sono quasi sempre causa di creazione come la punta emergente di un ice- di “enclaves” di patologia sociale comberg o, se si vuole, un nocciolo duro plessa, terreno di cultura elettivo di che è dato dalla psicopatologia con- psicopatologia sociale individuale e nessa strettamente a condizioni di familiare. patologia sociale e che compie il suo percorso strutturante nel passaggio Ma, al di là di questo presunto e proattraverso la cattiva qualità (fatta di babile aumento, due ordini di fattori disordine, dissinergia, confusione) vanno tenuti in considerazione: uno è delle relazioni primaria. Tale psicopa- dato dalla maggiore “visibilità“ del tologia ha espressioni individuali e al problema nel sociale e nel suo quotitempo stesso coinvolge tutto il gruppo diano, per effetto e in conseguenza familiare. Affermare la specificità e delle politiche di deistituzionalizzal’identità clinica di questa patologia zione praticate in campo psichiatrico psicosociale è importante per definire e in campo socio-assistenziale minol’approccio di cura che, come vedremo rile, a partire dagli anni ’70; l’altro è in seguito, non può che essere multi- più complesso e potrebbe essere defivalente, multidisciplinare e al tempo nito come “nuove edizioni dei problestesso globale. Ci si chiede se la pre- mi“ che indicherò per soli titoli: valenza di questa patologia nelle nostre popolazioni è cresciuta negli ulti- a) mutamento della condizione di “pomi 15 - 20 anni e, in caso affermativo, vertà“ e della corrispondente conse è questo che ha sollecitato la magcezione sociologica; gior attenzione di studiosi e di operatori (peraltro tuttora insufficiente!). b) mutamento dello statuto del malato mentale, soprattutto per le posAnche se non disponiamo (almeno a sibilità di accesso alla socializzamia conoscenza) di studi di incidenza zione e, in questo contesto, alla 15 soddisfazione di bisogni affettivi e pulsionali; base al quale tutti i soggetti hanno diritto di vivere nel tessuto sociale di appartenenza e di trovare in esso le risorse e le opportunità per far fronte ai loro bisogni. Questo principio ha guidato un processo che si è sviluppato nel corso del tempo a partire dalla fine degli anni ’60 e che ha comportato: c) emergenza di nuove patologie sociali connesse alla diffusione delle tossicomanie; d) aumento progressivo di flussi migratori con conseguenti sradica– menti affettivi, etnici e culturali, difficoltà di adattamento nei luoghi di arrivo e collusioni con le patologie sociali indigene. a) il superamento di tutte le istituzioni emarginanti (dagli istituti per minori alle scuole speciali per handicappati e...caratteriali); Ce n’è dunque quanto basta per farci dire che il livello più idoneo (e più vincolato) a fronteggiare le patologie sociali è senza dubbio quello della politica di governo delle società, in tutte le sue articolazioni istituzionali. Ma c’è un livello che chiama in causa noi come tecnici e operatori della salute inseriti in un sistema di servizi sociosanitari alla popolazione e alla persona (che la politica di governo dovrebbe prevedere e sostenere come una delle categorie degli interventi da mettere in atto). Su questo livello tecnico ci troviamo noi oggi a discutere e confrontarci. Il mio contributo attinge ovviamente alle esperienze effettuate nel corso degli anni nella realtà locale bolognese. Il filo rosso delle storie di queste esperienze è dato dal principio di integrazione sociale, in b) la ricollocazione dei bambini nei loro contesti naturali (famiglie e scuole); c) l’allestimento di un sistema di servizi sociali e sanitari sul territorio, ripartito in ambiti territoriali, coincidenti con i quartieri civici in cui è articolata la citth; d) dal 1980 il blocco dei ricoveri dei malati mentali nei tradizionali ospedali psichiatrici e la distribuzione sul territorio dei servizi di salute mentale per la cura dei medesimi. Come si può intuire il progetto prevedeva che all’integrazione sociale corrispondesse un’integrazione operativa dei servizi sociosanitari tra loro e con i servizi educativi ed ogni altra 16 risorsa del territorio: una rete predisposta a riconoscere, accogliere e gestire i bisogni della comunità sociale vivente nello stesso territorio. Tutto ha funzionato in maniera imperfetta, discontinua, contraddittoria, ma complessivamente possiamo dire che il modello si è formato ed è rimasto, almeno fino a ieri! Nell’ambito di questo modello i servizi socio-sanitari sono in grado di conoscere molto presto la famiglia che ha difficoltà nell’allevamento e nell’educazione dei figli attraverso la segnalazione da parte di terzi (enti, agenzie educative, privati cittadini) che entrano in contatto, per motivi diversi, con il disagio vissuto dai nuclei. Inoltre, col trascorrere degli anni, la continuità di presenza dei servizi su territori definiti consente agli operatori di disporre di una mappa delle famiglie gravemente disfunzionali con cui viene stabilita una trama di contatti attraverso i quali diviene possibile venire a conoscenza di eventi critici. Per molti anni, appartenenti alla prima fase (anni '70 e prima metà degli anni '80), il primo contatto è stato determinato dall’impatto dei bambini di queste famiglie con la scuola, che li segnalava ai nostri servizi per insuccesso nell’apprendimento, disinteresse e disaffezione rispetto alla vita scolastica, disturbi della condotta con connotazione aggressiva e disturbatrice, disordine nella cura della persona. La presa in carico di questi bambini costituiva la porta di accesso alla conoscenza della famiglia di appartenenza. Consentiva quindi di valutare in essa la presenza e l'incidenza dei vari fattori di rischio psico-sociale e di procedere ad una presa in carico complessa, guidata da una progettualità comprensiva di interventi sul bambino designato e di altri interventi diretti sulla costellazione di bisogni del nucleo familiare. L'intento era di far coesistere risposte di trattamento del disagio già manifesto nelle sue varie espressioni e azioni finalizzate alla prevenzione. procedendo su questa strada, per prove ed errori, nell’alternanza di successi ed insuccessi ma nella continuità della riflessione e della valutazione sistematiche (che hanno tra l'altro portato ad una pubblicazione editoriale firmata da tre colleghe, Bortolotti, Galli, Garavini, “Storie di minori e di servizi”, Franco Angeli, 1994), sono maturate con chiarezza due linee operative che segnano un avanzamento nella strategia verso la problematica della patologia psicosociale. La prima consiste nell’attivazione di strumenti di servizio atti ad assicurare forme differenziate di “trattamento“ dei bambini e degli adolescenti segnalati per i loro disturbi 17 psicopatologici: interventi educativi individuali a partenza domiciliare; gruppi socioeducativi pomeridiani con programmi educativo-terapeutici formulati ed aggiornati sulla base delle caratteristiche del gruppo e dei suoi singoli componenti; gruppi residenziali in appartamento per quei casi che richiedono, di necessità, una separazione temporanea dal nucleo familiare. sfuggono ad una classificazione sistematica sia di tipo sociologico che di tipo nosografico, possiamo convenire che esse sono sempre il risultato della combinazione di vari fattori a diversa incidenza di peso e qualità, fra i quali sono a ricorrenza costante: L’altra linea è sintetizzabile nell’obbiettivo di affinare la tempestività degli interventi concentrando l’attenzione di cura e vigilanza sugli eventi di nascita che si verificano nelle famiglie ad alto rischio psicosociale. Su questo obbiettivo, che è il tema di questo Seminario e del vostro progetto in corso di elaborazione e di attuazione, mi soffermerò più a lungo. c) una persistente difficoltà di rapporto col mondo sociale circostante e con le istituzioni in senso lato che ne segna la condizione di emarginazione e di esclusione. a) una condizione materiale gravemente disagiata (mezzi economici scarsi, spesso sotto il limite per la Con analoghe finalità gli operatori dei sopravvivenza, abitazione insuffiservizi socio-sanitari, oltre a collabociente e inadeguata negli spazi, rare con le agenzie educative pubblinelle suppellettili e nei requisiti che, utilizzano risorse rese disponibili igienici), dal volontariato organizzato e da entità privato-sociali, per supporto ai com- b) una patologia psichica che coinvolpiti scolastici e apertura alla socializge uno o più membri e che è comunzazione con i pari nelle attività di temque pervasiva di tutto il gruppo po libero e di sport. familiare, Il prodotto della combinazione di questi fattori (e di altri che si aggiungono di volta in volta) è una famiglia senza progetto e senza regola; una famiglia priva di una organizzazione degli spazi, dei tempi e delle relazioni nella quale la dinamica dei ruoli è sconvolta e non di rado rovesciata; una famiglia Vediamo innanzi tutto come sono caratterizzate queste famiglie. Anche se 18 in cui gli affetti sono sopravanzati dalle pulsioni, una famiglia fortemente limitata nelle funzioni educative. “E’ a livello della quotidianith più terra a terra, dice G. Diatkine, che si può constatare più facilmente come i contrasti più banali perdono i loro contorni di ordinarietà....La notte e il giorno, lo sporco e il pulito, l’ingestione e l’escrezione, l’interiore e l’esteriore, che sono in qualunque famiglia dei contrasti fortemente rimarcati e della più grande importanza per i bambini, continuano si ad esistere anche qui, ma la pertinenza della loro distinzione è alquanto affievolita.” biente; agitazione vuota con o senza eccitazione; perturbazione nel processo di separazione-individuazione; somatizzazioni come diarrea, vomito, infezioni frequenti. Uno spettro impressionante, dunque, che ricorda le descrizioni di Spitz, tanto che qualche autore ha parlato di sindrome di “ospitalismo domiciliare“. D’altronde i numerosi studi compiuti negli ultimi due decenni sulla relazione madre-bambino, sull’importanza delle interazioni all’interno della diade ai fini di un sano decorso dello sviluppo, e sulle varie modalità con In tali condizioni non è difficile preve- cui si costruisce il processo di attaccadere l’avverarsi di perturbazioni più o mento, trovano nella patologia che meno severe nelle relazioni madre - prima ho sinteticamente descritto una bambino sin dalla più piccola età di conferma, in negativo, quasi speriquesti, con l’esordio di manifestazioni mentale. Ma vorrei aggiungere che psicopatologiche molto precoci. In ef- queste più recenti acquisizioni nel fetti Myriam David e coll. nella loro nostro patrimonio tecnico-culturale ci ricerca su un campione di 12 bambini offrono più strumenti e più opportunisotto i 30 mesi appartenenti ad altret- tà per intervenire nel tentativo di pretante famiglie multiproblematiche venire, arginare o limitare i danni. hanno rilevato, in varie combinazioni tra loro: ritardi staturo-ponderali, ri- Ne deriva pertanto la necessità di tardi dello sviluppo motorio; disturbi mettere a punto strategie mirate aldi linguaggio; segni deficitari, disturbi l’intervento precoce, cioè a quell’area delle condotte alimentari; apatia e temporale che ha come epicentro atonia; espressioni di “bambino vuo- l’evento nascita: in concreto si tratta to“ (indicative di un mancato o insuf- di intercettare il processo di nascita o ficiente investimento del sé e dell’am- nel corso della gravidanza (soluzione 19 più favorevole) o al momento del parto o dopo la dimissione dall’ospedale di maternità, nell’arco del primo mese di vita del bambino. 4) Il Servizio Recupero Tossicodipendenti (SERT) tramite il suo Assistente Sociale; 5) Il Servizio di Pediatria di Comunità Nella nostra realtà l’individuazione è tramite l’Assistente Sanitaria che andata progressivamente anticipaneffettua la visita domiciliare su tutdosi, grazie ad un sistema di segnalati i nuovi nati entro la seconda setzione che è fondato sulla rete dei timana dalla data di dimissione servizi e sull’attivazione di collegadall’Ospedale di Maternità o, in menti ad hoc, efficaci quando tutto e mancanza, tramite il pediatra che tutti funzionano. L’asse centrale di riceve il neonato per le prime vacciriferimento per tutte le segnalazioni è nazioni obbligatorie; costituito dal Servizio Sociale Distrettuale dell’area Materno Infantile, che 6) Le Agenzie educative, (soprattutto poi cogestisce il caso, a partire dalla gli asili nido) nel caso (ormai ipoteformulazione di un progetto, in colletico) in cui siano sfuggiti tutti i gamento con altri servizi di competenprecedenti punti di individuazione za. I punti di individuazione delle mae la famiglia faccia richiesta di colternità a rischio psicosociale (che sono locazione del bambino al nido. quindi fonti di segnalazione) sono: Metodologia: ricevuta la segnalazio1) Il Servizio Sociale per tutte le fami- ne il S.S. di area Materno Infantile si glie multiproblematiche che sono fa carico di attivare un team di progetgià in carico al Servizio stesso; to che comprende operatori rappresentanti dei Servizi segnalanti e di 2) Il Servizio di Salute Mentale trami- quelli che potranno essere coinvolti te l’Assistente Sociale di quel Ser- nelle varie fasi della gestione (gravivizio; danza - nascita - relazione madrebambino). 3) L’Ospedale di maternità, tramite Partendo dalla conoscenza e dalun suo Assistente Sociale, in coin- l’analisi del caso, si individuano i bisocidenza o con una visita ostetrico- gni immediati e le modalità di accoginecologica occasionale o con glierli e si delineano le linee di progetl’espletamento del parto; to per la prospettiva, su cui poi si 20 coinvolge la donna direttamente interessata. nella quale peraltro non avevano investito, mentre i due bambini sono stati rapidamente posti in adozione: di enI bisogni immediati hanno non di rado trambi abbiamo notizie molto positive). il carattere di urgenza: è il caso della giovane figlia di una famiglia multi- A parte queste eccezioni, di solito la problematica che, a seguito della gra- gravidanza è accettata e proseguita vidanza (accidentale?), viene rifiutata anche con manifesto orgoglio ed i ed espulsa dalla famiglia e pertanto servizi sono impegnati ad accomparichiede una soluzione di accoglienza. gnare la donna in un percorso di maternità consapevole, per quanto reso In ogni caso comunque si predispone possibile dalle sue condizioni mentali, un programma di aiuti e sostegni me- e a predisporre un progetto di protedico-ostetrici e psicologici orientati zione e sostegno della relazione maalla crescita della consapevolezza dre-bambino dopo l’evento nascita. della maternità in atto e alla sollecitaIl progetto, pur sempre centrato su zione di fantasie e aspettative proiet- questo obbiettivo, deve ovviamente tate sulla nascita e sull’allevamento tener conto dei limiti e delle risorse del bambino. della persona, delle potenziali risorse integrative o, all’occorrenza, di supIn due casi nel corso degli ultimi 6 anni plenza, rilevabili nell’entourage famiè accaduto che lungo il percorso così liare nucleare e allargato e infine (ma assistito della gravidanza le donne non ultimo) delle probabilità-possibiabbiano maturato e dichiarato la scel- lità di adesione e consenso della perta di rinunciare al bambino dopo il sona (e del suo entourage) alla soluparto: i servizi sociale e di salute men- zione che si propone. tale hanno sostenuto e tutelato queTenendo conto delle variabili che sta scelta operando perché essa si entrano in gioco e riferendomi ancora attualizzasse con modalità corrette, alla nostra esperienza, emergono fino non traumatiche e rispettose della ad ora quattro modelli di intervento: persona. (Posso aggiungere che dopo il parto le donne, assiduamente assi- 1) Permanenza in famiglia e nella prostite con rapporti personalizzati, hanpria abitazione con attivazione di no rapidamente ripreso la loro vita un sistema di sostegni multipli coordinaria precedente alla gravidanza ordinati dal servizio che ha la presa 21 mantiene rapporti soprattutto con il personale della comunità (salvo visite brevi alle madri) fino a quando si deve preparare l’uscita dalla comunità ed il rientro a casa, dove non di rado si attiva un sostegno domiciliare di tipo educativo. in carico: educatrice a domicilio in ore definite per svolgere compiti di aiuto alla madre nel governo della casa e nella regolazione dei rapporti col bambino: Assistente sanitaria con presenza a domicilio a periodicità mediamente settimanale per guidare la madre nella cura fisica del bambino e nel rispetto delle regole igienico-sanitarie ambientali e personali, ma anche per accompagnarla nell’uso di servizi pubblici per la salute sua e del bambino, collocazione di quest’ultimo in asilo nido, al momento opportuno, coinvolgendo il personale educativo nel progetto di “arricchimento psicosociale“ a sostegno di un sano sviluppo. 3) Collocazione in un appartamento messo a disposizione dall’Amministrazione del servizio con sostegno educativo alla madre sia nella gestione domestica che nell’apprendimento delle funzioni materne verso il bambino (o i bambini nel caso che altri abbiano preceduto l’ultimo nato). L’educatrice è, durante l’esercizio di questa funzione, parte integrante dell’équipe di presa in carico, nella quale riporta il diario dell’andamento della situazione. 2) Collocazione in Struttura protetta comunitaria residenziale: si tratta di piccole comunità private di ispirazione religiosa in cui convivono da 4 a 8 madri con bambini che hanno spazi e tempi riservati alla diade e tempi e spazi di vita in comune. Il personale è personale non tecnico ma di esperienza ed interviene secondo i criteri derivati dalla sua esperienza per aiutare, confortare, sollecitare le madri nei rapporti con il loro figlio. L’équipe che ha la presa in carico nel territorio e che ha progettato l’intervento 4) Collocazione in appartamento messo a disposizione dall’Amministrazione- del servizio con autogestione della vita quotidiana e supporto di tipo psicologico e sociale dall’esterno. (Questa soluzione può essere di prima scelta, o più frequentemente consecutiva ad altra come percorso evolutivo verso l’autonomia). Anche il 3.o e il 4.o modello di intervento sono definiti nel tempo e si 22 concludono o col ritorno nell’abitazione di famiglia o strategico progettuale. Abbiamo la consapevolezza che margini di ampliamento del successo all’interno di questi modelli esistono, e dipendono da noi, soprattutto in termini di qualificazione di tutto il personale professionale in particolare sul tema della “cura della relazione madre-bambino” e dell”’educare le interazioni madre-bambino”, ma anche della possibilità che altri modelli siano sperimentati. C’è da considerare comunque, con molto realismo che, malgrado tutto, gli esiti negativi sono dietro la porta. E allora? Winnicott, in Pediatria e Psicoanalisi, faceva questa considerazione: “Bisogna far notare che si può aiutare a far meglio le madri che hanno in loro stesse la capacità di fornire cure sufficientemente buone; è sufficiente occuparsi di loro in modo che riconoscano la natura essenziale del loro compito. Per le madri che non hanno in loro questa potenzialità, non è istruendole che le si renderà capaci di svolgerlo.” Penso che grazie agli studi che hanno sviluppato la conoscenza scientifica delle competenze interattive del neonato e che hanno aperto nuovi campi di intervento terapeutico ed educativo sulla relazione madre-bambino, oggi 23 possiamo spingere più avanti i limiti dichiarati da Winnicott: ma certamente non possiamo pensare di abbatterli. Ci siamo fatti la convinzione che quando, attuati tutti i tentativi, non si perviene ad un risultato che garantisca al bambino una sopravvivenza fisica, ma soprattutto psicologica, sia doveroso per noi attivare (dunque precocemente e non a giochi fatti) i meccanismi procedurali della separazione del bambino dalla madre, che è anche una speranza di differenziarne i destini, dando al bambino una madre e una famiglia adottiva. Anche se queste sono sempre scelte e decisioni conflittuali e laceranti, credo di poter dire che quasi mai abbiamo trovato ragioni a posteriori per pentirci. Prof. Eustachio Loperfido Piazza Rooswelt 3 40121 Bologna (I) Prof. René Henny È auspicabile e nell’ordine delle cose che ci si identifichi col paziente nel quadro di un approccio psicoterapeutico. La qualità stessa dello psicoterapeuta è legata a questa capacità dì insight. L’ascolto tende a sostenere il discorso del paziente e, come si sa bene, questo è sotteso di lamentele, di accuse nei confronti di un ambiente giudicato insoddisfacente e spesso responsabile della sofferenza e della disorganizzazione attuale. Mi ricordo ancora oggi delle mie prime prese di contatto con degli ammalati che scoprivo sottoposti alle peggiori tribolazioni nel loro ambiente. Sicuramente, 24 benché ingenuo, diffidavo del modo di vedere la realtà percepita in funzione delle più o meno massicce proiezioni. Nelle più elementari delle tattiche terapeutiche si cerca di tener conto, nel proprio giudizio, di come stanno le cose. Quando il delirio scoppia nella sua neo-realtà diventa caricaturale e quindi facile da giudicare. Da giovane psichiatra pensavo proprio che le circostanze esterne avessero accelerato la scompensazione, e avevo tendenza - nella mia identificazione - di confermare le lamentele del paziente. Lasciando perdere ogni prudenza, sarei stato tentato di passare a degli atti per meglio soddisfare costui. Così, per esempio, avrei chiesto al parente una maggiore tolleranza o forse ai bambini di sostenere di più il genitore nel suo smarrimento. Ingenuità beninteso che però mi sembra bene illustrare quello che tento di descrivere qui. Nel quadro dell’istituzione, spesso troppo separata dal mondo, lo psicoterapeuta tende a parteggiare per il paziente con la simpatia che gli testimonia e per rafforzare l’alleanza terapeutica. È un movimento che ho avuto occasione di osservare nel servizio per bambini e adolescenti, o nelle sintesi. Lo psicoterapeuta impegnato si fa talvolta criticare davanti alla realtà di una percezione troppo soggettiva legata precisamente a un’interazione empatica che non permette più di prendere le distanze. Del resto questo non si manifesta soltanto nello scambio concreto legato allo studio del caso, ma anche e molto di più a distanza nella letteratura. Cosa non è stato detto a proposito del soggetto vittima di una madre abusiva, di un padre sadico o seduttore, di un genitore schizofrenigenico? La letteratura degli anni tra il 1950 e il 1960 è farcita di questi rilievi. Ho ancora nella mia testa il commento brutale di uno dei miei maestri nel dossier che consultavo prima di ricevere una famiglia nel quale la madre era qualificata di pseudo- stregoneria. E tremavo aprendole la porta per farla entrare nel mio ufficio… da qualche parte stupito di non vederla cavalcare una scopa. Ma smetterete di ascoltare un discorso così elementare. Per giustificarmi desidererei rifarmi a Freud. Effettivamente solo tardivamente si è pienamente reso conto della problematica del sé e dell’altro. Fino al 1915 egli elabora come il soggetto gestisce il suo dispiacere. La pulsione, delega di una domanda corporea imperativa, deve trovare uno sbocco e deve per questo appellarsi alle risorse dell’apparato psichico per far fronte alla minaccia della nonsoddisfazione. Il ristabilimento di una certa pace interiore ha questo prezzo. 25 E si sa bene che il destino obbligato è nella rappresentazione, che permette di soprassedere al subitaneo appagamento del desiderio. A questo livello la maggior preoccupazione del creatore della psicoanalisi è stata quella di comprendere e di descrivere questo metabolismo soprattutto economico attraverso il quale si elaborano le strategie che mirano non soltanto a rimediare il dispiacere della frustrazione tentando di trovare delle soluzioni laterali, sia a titolo di consolazione che di spostamento. Elaborazione, dunque, di un funzionamento del soggetto in un quadro solipsistico. Solo più tardi Freud introduce nella costruzione metapsicologica quel dato fondamentale che è l’Altro, I’oggetto, nella sua risposta aleatoria e perfettamente incontrollabile poiché, almeno in un primo tempo, fuori dell’apparato psichico. Beninteso il creatore della psicoanalisi non è diventato socioterapeuta o terapeuta della famiglia, cioè non ha concepito l’Altro nella sua realtà esterna come io lo consideravo agli esordi del mio lavoro, ma all’interno dell’apparato psichico. Sarà quindi la rappresentazione dell’oggetto, cioè la costruzione dell’oggetto interno a fornire la soluzione. Questa rappresentazione interna che assicura una presenza intrapsichica legata alle tracce mnesiche costituite dalle esperien- ze anteriori della madre (i comportamenti del soggetto modulantisi in funzione di questo ricordo, di ciò che è buono o pericoloso nella permanenza o nella discontinuità dell’Altro). Penso a questo paziente che mi dice in modo patetico il sentimento che egli vive di non potermi trattenere all’interno di se stesso, tra le sedute, e di soffrire dopo qualche ora di separazione di un sentimento di vuoto pazzesco. Interiorizzare la fonte esterna di soddisfacimento permette forse di conservarla in maniera costante. Assicurare - dice Green - una rappresentazione al di dentro di ciò che è di fuori nei confronti della quale il dentro dovrà prendere posizione per far fronte ai problemi posti, non soltanto dal fuori, ma da quello che dentro è inevitabilmente legato al fuori. Protezione che evita il panico dell’lo a rischio di perdere l’oggetto. Questa deviazione per ricordare che c’è un movimento ben naturale quando ci si avvicini all’ammalato psichico, cioè quello di capire come funziona o disfunzione prima di preoccuparsi dell’ambiente. L’evoluzione e la maturazione del bambino è contrassegnata da un certo numero di ostacoli legati alla sua dipendenza e alla sua fragilità. Il suo percorso è complicato da numerose impasse interiori, di cui si potrebbe 26 qui qualificare soprattutto la sua avidità insaziabile, i suoi sentimenti di impotenza nei confronti della sua identità sessuata che lo costringe a rinunciare alla bisessualità, le rinunce legate alla sua prematurazione che gli impedisce di spingersi al livello delle realizzazioni invidiate degli adulti. È sottomesso per questo a una quantità di costrizioni che non sono altro che il fatto della sua neotenia. Se in aggiunta l’Altro, I’oggetto nella sua inadeguatezza, nella sua angoscia, nella sua aggressività non può rispondere ai bisogni del bambino, questi sarà costretto a difendersi sui due fronti, quello della costituzione del suo self nello stesso tempo che quello dell’affrontare l’oggetto. Allora tutto è messo in modo da condurlo a dei disturbi del suo sviluppo che lo porteranno a delle difficoltà sintomatiche o comportamentali specifiche. molto particolare che isola l’analizzando dal suo ambiente e l’analisi effettivamente si svolge in un quadro solipsistico. Da parte nostra dobbiamo ritornare alla situazione più difficile di un paziente nella sua realtà concreta, ospedalizzato o no, ma incluso in una famiglia con dei bambini. Vale a dire come articolare il nostro lavoro per aiutare il paziente senza troppo nuocere ai bambini che dipendono da lui? È qui l’articolazione di ciò che vorrei decriptare tentando, cioè, di non mai perdere di vista la realtà, essendo però capace di puntualizzare ciò che all’interno del paziente è il frutto del suo metabolismo, proiezione/introiezione. Forse più chiaramente capire bene la lamentela del malato, potersi identificare allo scopo di - in un movimento di disimpegno - tenere conto dei differenti parametri della realtà che lo circondano e particolarmente Avete capito che lo psicoanalista rim- quelli che riguardano i bambini, e quepatria in qualche modo l’Altro, I’og- sto quanto più sono piccoli, cioè migetto e tende a designarlo, a trattarlo nacciati nella loro integrità psichica. come essendo originato dalla propria Lasciamo dunque per un momento sostanza del soggetto, non sarà più la queste considerazioni psicodinamiche, madre reale nel suo valore o nelle sue per entrare nel concreto delle realtà insufficienze, ma la madre interiore, biologiche e sociali. Biologiche, dapinternalizzata che gratifica o perse- prima, per ricordare che il figlio di un guita l’lo. In questo senso lo psico- malato mentale è portatore di un analista ridiventa solipsistico. Si sa genoma problematico. Si sanno ancobene che la cura si svolge in un quadro ra poche cose certe sull’eredità della 27 psicosi, malgrado numerosissimi lavori spesso dissonanti. È soprattutto nella relativa permanenza dell’eredità diretta della psicosi bipolare, la maniaco-depressiva, che siamo tutti d’accordo sulla pregnanza di questo problema. Nel quadro della schizofrenia si sa e si è verificato che se nell’insieme della popolazione l’incidenza della malattia è dell’uno per cento, questa minaccia si realizza per il 20% dei bambini figli di un genitore schizofrenico, e del 10% se c’è un ammalato tra i fratelli. Queste proporzioni estremamente pesanti si verificano largamente negli studi sui bambini separati da genitori ammalati o su gruppi di gemelli. Si è così spesso tentato, senza sempre riuscirci, di far sorgere l’impatto dell’eredità, separandola dai fattori ambientali che restano. beninteso, in questo tipo di studio una variabile sempre difficile da codificare. Ma tutto questo per ricordare che il figlio di un genitore sofferente di una grave psicosi, schizofrenica, o maniaco-depressiva o paranoica, è essenzialmente minacciato nella sua salute mentale senza che la malattia sia del resto inevitabile. Un eccellente amico, perfettamente al corrente di questi parametri scientifici, allo studio dei quali aveva partecipato, ha proclamato il suo ottimismo circa la correzione di questi fattori attraverso un ambiente soddisfacente, adottando un bambino figlio di una madre schizofrenica, figlio nato durante un ricovero in clinica psichiatrica. Questo bambino ad alto rischio è oggi un uomo che è perfettamente riuscito nella sua vita affettiva e professionale, a quarant’anni dalla nascita. È un problema che si è attualizzato in funzione dei progressi della terapeutica. Oggi una giovane schizofrenica, anche se ha fatto un lungo soggiorno in ospedale psichiatrico, non è più un’invalida come lo era una volta. Ciò vuol dire che, diversamente da venti anni fa, può ritrovare un adattamento sociale che le permetta di sposarsi. Per questo la frequenza delle maternità è aumentata. Nella policlinica di Ginevra Manzano nota che su 323 nuovi casi di donne diagnosticate psicotiche, 200 si sono sposate, divorziate o sono vedove. Il comportamento durante la gravidanza di una madre malata mentale costituisce un problema? È difficile determinare scientificamente l’impatto delle difficoltà personali della madre sulla crescita del feto. Si è detto certamente che il feto ha già una percezione degli stati d’angoscia della madre, Mann nel 1959 rivela la presenza della psicosi materna nell’etiologia dell’aborto, Eastman nella prematurazione del parto, Cerutti nel 28 prolungamento patologico della gravidanza. Numerosi autori confermano delle perturbazioni e delle complicanze del parto che potrebbero essere diminuite significativamente da un trattamento psicoterapeutico e socioterapeutico miranti a rassicurare la madre. In modo più urgente questo accompagnamento dovrebbe prevenire l’infanticidio che, come si sa, è un movimento per niente eccezionale della madre, una volta sgravata. Quel che sembra certo è che i giorni successivi al parto sono particolarmente critici. La rottura con una parte del self investito nel feto porta a uno scompenso per cui uno sforzo particolare di presenza di intervento preventivo deve essere mantenuto durante questo periodo. Il neonato è particolarmente esposto e l’operatore sociale dovrà confrontarsi coi problemi angosciosi del mantenimento del contatto con la madre o della separazione. Si conosce la statistica orripilante di Serge Lebovici che parla di un gruppo di venti bambini separati dalla loro madre depressiva. Tutti e venti sono morti nel giro di 15 anni: malattie, ma soprattutto incidenti e suicidi hanno avuto ragione della loro capacità di sopravvivere. Paradigma che pone il problema in modo urgente e nello stesso tempo tragico. Si potrebbe dire in modo definitivo che un neonato non deve in alcun modo essere separato dalla madre; il trattamento di una madre anche molto ammalata dovrebbe essere modulato in una certa forma di permanenza della relazione. Evidentemente soltanto l’ospedalizzazione in un ambiente specializzato e adeguatamente dotato permette una realizzazione terapeutica che resta vitale. Da cinquant’anni, dopo i lavori di Spitz, Bowlby, Roudinesco si sa che non è auspicabile separare un bambino e particolarmente un bebè dalla propria madre. La depressione anaclitica e il marasma hanno occupato molto i servizi sociali a favore dell’infanzia. Si sa forse meglio oggi che la separazione crea danni esistenziali nel bambino, ma anche - se a un altro livello - nella madre. Per lei effettivamente c’è la rottura di quello che Stern ha chiamato la costellazione materna, I’organizzazione specifica della madre dopo il parto e che allontana l’economia edipica per centrare la madre su quattro temi: • Primo tema: la sopravvivenza del neonato e il suo nutrimento: paura della morte per soffocamento, paura di un’alimentazione insufficiente (la madre animalesca probabilmente viene mobilizzata nelle sue tracce istintive). 29 • Il secondo tema è centrato sull’affetto: “sono una buona madre o un’altra potrebbe fare meglio di me?” ce di un’evoluzione sfavorevole del bambino figlio di genitori malati mentali. Ricordo qui le osservazioni di Mahler che denuncia nel futuro malato mentale: un peso scarso alla nasci• Il terzo tema è la preoccupazione di ta, una debilità motoria, una plasticità mantenere una rete di donne che muscolare e un certo livello di apatia. possa dare alla madre una prova Si sono ancora descritti nel bambino della sua adeguatezza: nonne, zie, più grande dei disturbi alimentari, delle donne spesso più vecchie che han- difficoltà di linguaggio che sarebbero no avuto dei figli con la riesuma- molto patognomoniche, e delle diffizione di ricordi legati al rapporto coltà relazionali, isolamento o disturcon la propria madre della madre. bi più banali del comportamento. Bisogna ricordare qui i lavori di Fisch su • Infine il quarto tema che sfocia in quello che ha chiamato la pandismatuun ricentramento dell’identità pas- razione dello sviluppo fisico, motorio seggera dello statuto di donna a e posturale. In una prospettiva francaquello di madre, passaggio che con- mente biologica egli stima questi bamcerne anche il padre ma che si bini ad alto rischio in funzione di un produce molto più lentamente ne- disturbo della cronologia e dell’integrazione della maturazione neurologigli anni successivi. ca. Come si articola questo quadro Questi recenti lavori di Stern confer- clinico tra espressione del genoma e mano che l’organizzazione, l’econo- perturbazioni relazionali legate all’ammia dell’apparato psichico della ma- biente non saprei dirvelo, ma queste dre si trovano sconvolti dalla gravi- osservazioni indicherebbero che fordanza e dalla nascita di un bambino e se. molto precocemente, si potrebbe che la separazione potrebbe spesso designare il bambino ad alto rischio di arrivare a una rottura che conduce per una evoluzione psicotica. È evidente che in queste circostanesempio ad un disinvestimento dal bambino da parte della generatrice, ze ci si trovi davanti ad un pronostico che potrebbe non più riconoscerlo con riserva di un’evoluzione essenzialmente deficitaria, eventualmente come figlio. Un certo numero di lavori di ricer- nel senso della caratteropatia, ma non catori è centrato sulla diagnosi preco- nell’inevitabile insorgenza di una schi30 zofrenia nell’adolescenza, Effettivamente la mia esperienza mi lascerebbe intendere che in queste situazioni ci si trova spesso confrontati con l’insorgenza di un’ebefrenia che niente annunciava. Il contesto familiare descrive la traiettoria di un bambino saggio, spesso superdotato, forse un po’ solitario, ma senza nessuna stigmata deficitaria. Si è descritto una crescita marcata dall’ipermaturità. Bambini di solito diventati dei genitori che devono prendere troppo presto delle responsabilità per sostenere e in un certo senso trattare la loro madre fragile e depressa. Questi bambini che sviluppano un apparato psichico “come se”non sono probabilmente percepiti dall’ambiente come patologici, al contrario ci si felicita della loro saggezza e della loro premurosità. Spesso, partendo da questo quadro, appare bruscamente nell’adolescenza, dopo un periodo di ansietà e di perplessità, un quadro delirante, spesso molto povero, ma che indica la scompensazione ebefrenica. Lo stile delle transazioni familiari è stato ben descritto dalla scuola di Palo Alto e dai sistemici. Penso ai lavori di Bateson e di Wynne come a quelli di Abelin. Si conosce il successo di interesse suscitato dai disturbi della comunicazione, distorsioni che si distinguono da una parte per la pover- tà degli scambi spesso stereotipati, che producono un setting familiare immutabile nella distribuzione dei ruoli permanenti e rigidi. La comunicazione è pervertita da paradossi che inducono dei disturbi del pensiero e un blocco dell’azione. È il famoso doppio legame descritto da Winne di cui il paradigma è nella prescrizione: “sii spontaneo”, che dice bene il malessere che deve sentire il soggetto così lacerato da un doppio messaggio irriducibile. È effettivamente difficile oggi attenersi a delle constatazioni tanto sommarie quanto quelle di Fromm Reichmann che nel 1948 stigmatizzava delle madri schizofrenigene tra simbiosi e rifiuto, madri frigorifero e anaffettive che sono state forse colpevolizzate da un giudizio sommario che non sembrava tener conto minimamente della loro sofferenza. Soggetti fin qui diffidenti e difesi nei riguardi di un intervento terapeutico sono in crisi, pronti spesso a collaborare e a chiedere aiuto. Abbiamo mostrato che il bambino giovane generato da un genitore malato mentale è particolarmente da una madre psicotica è un soggetto ad alto rischio. Certamente ci sono alcuni di questi bambini che fortunatamente si riveleranno singolarmente immuni da una evoluzione sfavorevole, certi bam31 bini effettivamente attraversano le tempeste della loro esistenza senza esserne troppo sconvolti. Probabilmente è una minoranza. Appunto per questo il medico deve sviluppare a questo livello degli stratagemmi preventivi in funzione della crisi, ciò che in seguito sarà sempre più difficile da iniziare. Abbiamo mostrato prima che un certo numero di fattori appartenenti al controatteggiamento dello psicoterapeuta tende a isolarlo con il suo paziente. Questa perorazione vorrebbe rimediare al disfunzionamento delle nostre istituzioni psichiatriche e sociali. L’intervento dell’équipe psichiatrica dovrebbe investirsi in tutte le direzioni, ad azimut, terapia del malato beninteso, ma anche in quella dei bambino, terapia di coppia, possibilmente trattamento della famiglia come descritto sopra, con - e questo è essenziale - appoggio sull’ambiente familiare allargato e in collaborazione stretta con tutte le risorse della comunità sociale: medico di famiglia, infermiere del servizio di cura a domicilio, servizi d’assistenza tipo della “Protezione della gioventù”. Un coordinatore al corrente della psichiatria di liaison assicurerà la coerenza dell’approccio terapeutico. Il risultato di un intervento di questo tipo è spesso positivo, costa caro in tempo e in personale, e questo tanto più in quanto la tempora- lità di un simile tipo di intervento si calcola in anni. La flessibilità e l’agilità degli intervenienti permetteranno di mantenere un continuum negoziato talvolta quando le cose sono a posto, a una certa distanza, in un timing che potrebbe situarsi ad un contatto mensile. Bisognerebbe, nell’ambito di una buona relazione e in un’alleanza di lavoro positiva, trovare un accordo tacito che successivamente dovrebbe poter lasciare del campo alla famiglia o, se l’evoluzione peggiora, investire più attenzione di sostegno e di inquadramento. Evidentemente non ci sono regole da prescrivere qui, ognuno operi al meglio della sua competenza e della sua disponibilità. L’essenziale è probabilmente nell’accordo dei servizi di cura affinché i messaggi dati alla famiglia restino coerenti. L’équipe ginevrina, ci indica Manzano, ha così preso in carico negli anni ‘80 una ventina di famiglie a transazione psicotica. Statisticamente e grosso modo i due terzi dei suoi pazienti hanno fatto un’evoluzione positiva, e ciò sembra un grande successo quando si sa della gravità del pronostico affettivo, sociale, come pure economico della malattia mentale. Prof. René Henny Avenue du Chablais 53 1007 Lausanne 32 M. Christen, M.C. Cabié, J.Y. Frappier, O. Masson, G. Prata. Chiari e scuri degli interventi medico-sociali. Le violenze dei pazienti verso sé stessi o verso altre persone hanno funzioni diverse: esplosione di sentimenti di disperazione o di vendetta, di ricerca d’attenzione o di aiuto e di richiesta di riparazione per violenze subite, spesso nell’infanzia. Ricorrono alla violenza quelle persone che hanno difficoltà ad 1 2 33 Conferenza tenuta dalla dottoressa Odette Masson il 14 settembre 1995 all’Università cattolica di Lione (Francia) durante le VIII giornate francofone di terapia sistemica familiare (13-16 settembre) Traduzione dal francese : dr.med. Amilcare Tonella esprimersi verbalmente oppure altri che, benché abbiano segnalato il loro disagio, non sono stati né ascoltati e nemmeno aiutati (16). Infatti le risposte che gli operatori danno individualmente o in gruppo o come rete possono attenuare o calmare le violenze ma anche perpetuarle o aggravarle. Dagli anni ‘50 in avanti tutta una parte della ricerca psichiatrica è stata consacrata allo studio di quei fattori che agendo nel sistema di cure stimolano nel paziente una evoluzione positiva o che, al contrario, possono comportare un peggioramento del suo stato di salute. Questi lavori si sono inizialmente occupati delle terapie individuali e di gruppo (13,22), per poi estendersi più tardi al funzionamento di tutta la rete d’aiuto (1,3,6,8,9,11,19) e alle istituzioni educative (25,21). Benché questo genere di riflessioni e di ricerca non sia molto considerato durante gli anni della formazione, esso costituisce la base essenziale per la formazione iniziale e continua di tutti i professionisti che operano nel campo della salute. abusando sessualmente di pazienti adulti o minorenni. Secondo studi recenti, dal 10 al 17 % degli operatori di questo settore di cure ammettono di “agire” la propria sessualità nei contatti con i loro pazienti (20). Altre forme di violenza o di cure carenti possono generare effetti molto negativi senza dover per forza cadere sotto l’occhio della legge. Già solamente nel campo della valutazione, diagnosi affrettate, basate su anamnesi succinte, e che non prestano sufficiente attenzione al significato dei sintomi e ai contesti nei quali questi sintomi si iscrivono, possono essere la causa del mancato successo terapeutico. La valutazione che sostiene il trattamento è in effetti quella che viene costantemente verificata sulla base degli aspetti co-evolutivi che si sviluppano nel contesto paziente-curante. Alcuni metodi di cura che generano un effetto di cronicizzazione, si basano su dei presupposti ideologici, che si ripresentano oggi con forza, come quello del’ereditarietà di ogni genere di sindrome associato con la credenza che tali situazioni siano incurabili. Le cure possono comportare aspetti differenti di violenza. Operatori possono trasgredire le leggi rifiutandosi di aiutare persone in pericolo oppure Questi metodi condizionano allora la scelta delle cure non prendendo in considerazione, anche per pazienti molto giovani, l’accompagnamento 34 psicoterapeutico. Ai primi attacchi psicotici si risponde con la terapia medicamentosa pesante mettendo subito il paziente in uno stato di invalidità mentre differenti lavori hanno dimostrato la possibilità di ottenere dei risultati migliori associando con o senza ospedalizzazione, terapia medicamentosa e psicoterapia (5,14). gli effetti delle cure prestate facendo più attenzione a questi fenomeni. Due esempi clinici sostengono la riflessione che seguirà sul quel modo di funzionamento del sistema di cure che si accompagna ad un peggioramento dello stato del paziente e sulle altre modalità che per contro favoriscono la ripresa evolutiva del soggetto. La discontinuità delle cure è una mancanza di attenzione che genera effetti molto distruttivi. Pure la persistenza di atteggiamenti e di modalità psicoterapeutiche sono all’origine di molti insuccessi terapeutici: evitare di delimitare il problema, di fissare degli obiettivi e di valutare gli effetti della cura, non volersi calare nel problema restando “passivi, riflessivi, inattivi, silenziosi e sfiduciati” rappresentano altrettanti sistemi per non aiutare il paziente (10). In effetti, tutti i sistemi di maltrattamento descritti per le famiglie, si ritrovano anche nei comportamenti degli operatori: carenze e negligenze; maltrattamenti fisici quando ospedalizzazioni e medicamenti vengono utilizzati in modo pesante; maltrattamenti psicologici generati dall’incomprensione delle situazioni vissute dal paziente; abusi sessuali. Tutto ciò si definisce come maltrattamento socioistituzionale. Si possono migliorare I pazienti vittime del maltrattamento socio-istituzionale, vedono spesso che i loro problemi vengono delegati da una istituzione all’altra; effettuano così dei viaggi a zig zag nella rete d’aiuto dando ad ogni stazione qualche informazione senza suscitare un interesse sufficiente a far nascere un’alleanza terapeutica. Questo modo di fare è segnato dalla mancanza di implicazione professionale, da lacune nella formazione o dall’inesperienza degli operatori e dall’abuso socio-affettivo, per non dire finanziario, della sofferenza altrui! Eccovi il racconto del lungo viaggio di Maurizio. Nato da una madre e da un padre ambedue molto disturbati e ambedue gravemente maltrattati durante la loro infanzia, avrà due anni quando i suoi genitori divorziano. Il giudice opterà per un diritto di custodia alternato con cambiamenti continui di domicilio del bambino senza 35 alcuna considerazione della sua età. Questo gli impedirà di “mettere radici” e di vivere quegli scambi relazionali che gli potevano assicurare una coerenza nella costruzione della sua personalità. Maurizio avrà quattro anni quando il pediatra lo piazzerà in un asilo-nido per disturbi del sonno e del comportamento. Contemporaneamente un pedopsichiatra porrà la diagnosi di psicosi infantile e ordinerà un trattamento individuale del quale però verranno effettuate solo poche sedute. Durante lo stesso anno interverrà un secondo pedopsichiatra, questi proporrà un trattamento individuale alla madre ed uno al bambino. Il padre, descritto come un uomo rigido, dice di essere contrario ad ogni trattamento perché è persuaso che il bambino è sano. Perciò non verrà coinvolto nella terapia. Un terzo pedopsichiatra supervisiona tutti questi interventi. Questa fase dura due anni. All’età di sette anni Maurizio inizia la scuola elementare. Il docente si preoccuperà subito della gravità dei disturbi del comportamento che Maurizio presenta. Picchia la testa contro i muri, non riesce a controllare le sue emozioni, è triste, non gioca con gli altri compagni. Lo psicologo della scuola vuol parlare con i genitori ma cozza contro il rifiuto del padre e non capita niente. Un anno più tardi, la madre segnala al docente scene di violenza che il figlio presenta in casa. Maurizio la picchia. Lo psicologo della scuola riprende le sue osservazioni. Maurizio dimostra di essere intelligente e fino a quel momento non presenta difficoltà di apprendimento. Ciónonostante si stanno manifestando dei sintomi inquietanti che lo psicologo mette in relazione con una grave carenza affettiva: bizzarrie nel discorso, idee di persecuzione e forte agitazione psicomotoria. Con l’aiuto di un adulto che lo trattiene, Maurizio riesce ancora a controllarsi. Il bambino viene indirizzato a un quarto pedopsichiatra che, come gli altri precedenti, dipende dallo stesso servizio universitario. Non verrà preso alcun provvedimento. La madre allora si rivolge al “telefono amico” che le indica una istituzione fino ad allora non ancora contattata, l’AEMO. Un delegato di questo servizio vedrà la madre alcune volte. Durante lo stesso anno il pedopsichiatra numero 4 passa il bambino a quello interpellato come terzo, che a sua volta lo passa ad un nuovo pedopsichiatra (il quinto!) di un servizio pubblico con l’indicazione di entrare in terapia di un day hospital. Il pediatra, che nel frattempo è sempre rimasto lo stesso, lavora indipendentemente dagli altri operatori. Quando si accorge del grave sconforto nel quale versa 36 la madre, invia Maurizio ad un sesto pedopsichiatra, questa volta un “privato”, che a sua volta con un altro collega (il settimo), pure lui operante in privato, vedranno assieme per i due anni seguenti i genitori del bambino. Maurizio a sua volta verrà visto da uno dei due medici in sedute singole e la madre dall’altro pedospichiatra pure in sedute singole. Lo psichiatra del servizio pubblico quando viene a sapere che il bambino è seguito privatamente si ritirerà dalla storia. Sempre durante questo periodo la madre viene ospedalizzata in clinica psichiatrica. Il bambino andrà a vivere con suo padre mentre la madre manterrà il diritto di custodia. Lo stato della madre non migliorerà, uscirà una prima volta dalla clinica per poi rientrarci poco dopo e venire in seguito indirizzata ad un centro diurno. ta a scuola sono dovuti al cattivo lavoro degli insegnanti. La madre sperando sempre di trovare dell’aiuto si indirizza ad una assistente sociale di un servizio di protezione dei minori che, senza sollecitare un incarico, si attacca al gruppo di tutti gli altri operatori. Simultaneamente la terapista incaricato delle cure alla madre nel centro diurno cerca di fare una valutazione globale della situazione. Prende contatto con tutti i professionisti che avevano operato su questo caso e che fino ad allora non si erano mai trovati. Incontra pure il bambino con la sua mamma. Maurizio, afflitto da una costante agitazione psicomotoria, rifiuta di entrare in contatto visivo e verbale con l’esaminatrice. In preda ad un’ansia molto forte, esprime propositi aggressivi e a tratti anche bizzarri. La madre resta passiva davanti a questi comportamenti del figlio. Esprime Maurizio avrà 10 anni quando l’inse- tutta la sua impotenza educativa e gnante segnalerà la sua situazione al ricorda, per spiegare il suo sconforto, direttore della scuola. Il bambino si le sofferenze della sua infanzia. automutila, sbatte la testa contro i Lei ed il suo ex-marito vicendevolmuri, minaccia di suicidarsi, attacca i mente si lanciano accuse squalificansuoi compagni, non è in grado di con- ti davanti al bambino senza poter tetrollare le sue emozioni. Un secondo stimoniargli mai né della tenerezza né psicologo della scuola esamina il bam- chiari propositi educativi. bino e tenta di vedere il padre che La terapista propone allora a tutti rifiuta ogni contatto, dichiarando che gli operatori, sotto decisione dell’aula salute di suo figlio è ottima. Secon- torità di tutela, di piazzare il bambino do lui i problemi che Maurizio presen- in una istituzione educativa professio37 nalmente all’altezza della situazione e che tiene pochi bambini. Il pediatra dirà che è troppo tardi per impedire una evoluzione patologica della situazione e rifiuta il suo sostegno ad una richiesta di intervento all’autorità di tutela, unica istanza, vista l’opposizione paterna, capace di promuovere misure di protezione adeguate. I psichiatri e l’assistente sociale del servizio per la protezione dei minori sono solidali con il pediatra e “accusano” l’ultima operatrice di “voler salvare il bambino”. Diranno pure che “anche lei deve avere dei problemi”. Ci troviamo confrontati con un comportamento abituale tra gli operatori della rete di aiuto. I professionisti che si preoccupano seriamente dei loro clienti, come molti genitori o altre persone quando vengono a conoscere situazioni di maltrattamento su minori, vengono regolarmente attaccati da altri operatori, mal formati e disimpegnati o insensibili alle sofferenze che vivono i loro pazienti. La soluzione proposta dall’ultima operatrice è decisamente l’unica ragionevole e suscettibile di proteggere l’ulteriore evoluzione di Maurizio (15). Gli altri operatori formulano altre proposte: una ospedalizzazione diurna, aggiungendo però che sarebbe stata rifiutata dal padre, una presa a carico da parte di un altro servizio la cui inefficacia era però leggendaria, dei colloqui regolari con i genitori che, sappiamo già, non hanno comportato alcun successo, quando furono organizzati precedentemente sull’arco di due anni. Sono queste tutte delle pseudo-proposte fatte da operatori che non credono più alle possibilità, anche se ancora presenti, di curare e di proteggere dei bambini che presentano una affettività malstrutturata da condizioni ambientali continuamente deviate e carenti e perciò si arrendono. A dieci anni Maurizio è sicuramente molto fragile, ma ha conservato le sue capacità di apprendimento situazione da valutare positivamente per la sua prognosi futura. Se in questa situazione, gli operatori della rete non si alleano per richiedere ed ottenere una protezione da parte dell’autorità tutelare, unica istanza capace di far ripartire una terapia adeguata, lo stato di Maurizio non potrà che peggiorare e saranno gli psichiatri dell’età adulta che dovranno riprendere le cure, sempre che il paziente sia ancora in vita, viste le tendenze suicidali che già aveva esternato all’età di dieci anni. Questo percorso istituzionale è tipico di un modo malauguratamente molto praticato di “trattare” bambini che vivono in contesti caotici e/o maltrattanti. L’incoerenza di valutazioni frammentarie, l’assenza di concerta38 zione tra i vari operatori al fine di trovare delle soluzioni che tengano conto dell’evoluzione globale dei problemi specifici a ogni situazione, comportano delle attività di rete che sono solo degli alibi, molto costosi per il dispendio di energie da parte degli operatori stessi e di soldi da parte dei contribuenti. I minori e le famiglie che vengono “curate” secondo questi principi subiscono una chiara vittimizzazione secondaria. I bambini che vivono in situazioni di rischio e che diventano poi vittime di maltrattamenti socio-istituzionali sviluppano diverse patologie psichiatriche, tra le quali si possono ritrovare i disturbi del comportamento, le affezioni psicosomatiche e i comportamenti suicidali; possono poi presentare molte difficoltà nella loro formazione (3). L’operatore che viene confrontato con una situazione così deteriorata come quella di Maurizio, può e deve cercare di evidenziare i processi patogeni di delega. Comincia con il ristabilire una relazione con il o i genitori per valutare in modo globale a quale rete relazionale, familiare, sociale e di cure si possono attribuire le difficoltà attuali di gestione della situazione. Questa rivalutazione della problematica comprende anche un esame individuale approfondito di colui che è individuato come paziente; si tratta di comprendere come i comportamenti sintomatici attivino il disfunzionamento delle relazioni del gruppo familiare e di della rete di cura. Fanno parte di questa valutazione, l’esame minuzioso delle transazioni tra gli operatori della rete di aiuto e i membri della famiglia, l’analisi degli scambi o delle carenze di scambi tra i vari operatori per quanto attiene alla situazione, la verifica delle misure proposte, l’esame delle modalità della loro applicazione e dei loro effetti così come le condizioni attuali di applicazione e di operabilità delle nuove misure terapeutiche. Rendersi conto che i trattamenti effettuati fino a quel momento non hanno sortito l’effetto desiderato, è evidentemente importante per non reiterare in misure dello stesso tipo. Nel caso di Maurizio gli operatori che persistono a prescrivere dei colloqui con i genitori, sembrano dimenticare che due anni di sforzi in questa direzione non hanno impedito il deterioramento dello stato del bambino. Quando questi stessi operatori progettano di richiedere l’intervento di una istanza supplementare, continuano a battere la stessa strada piena di sofferenze per il bambino che è stata seguita in questi 8 anni di “terapia”. L’insuccesso di questa situazione è dovuto a differenti fattori. Il più importante è sicuramente rappresentato dal 39 boicotto paterno che non riconosce la sofferenza del bambino. Occuparsi di questo padre, maltrattato nella sua infanzia, costituisce la prima condizione per poter poi curare questa situazione. La madre, detentrice del diritto di custodia del figlio, da parte sua potrebbe, sostenuta adeguatamente, richiedere lei stessa un intervento dell’autorità tutelare per la protezione di suo figlio. Infatti batte a tutte le porte per domandare dell’aiuto per lui, cosciente delle sue difficoltà ad assumersi i suoi compiti di madre. La sua preoccupazione sembra non essere stata, fino a questo momento, sufficientemente valorizzata, anzi sembrerebbe quasi essere stata sempre considerata come patologica. Ogni situazione diventata cronica merita una riflessione approfondita che, oltre all’analisi dei sintomi e delle transazioni familiari, valuti anche i funzionamenti del sistema paziente-operatori e della rete. Le responsabilità degli insuccessi negli interventi sono infatti da ripartire. Farne cadere la colpa interamente sul paziente è moneta corrente - lui non è richiedente, è intrattabile, è manipolatore, ecc. -, ma questo modo di agire non da possibilità alcuna di migliorare gli effetti dell’azione psicosociale (16). Trovare i nostri errori e le nostre dimenticanze, le nostre difficoltà a raccogliere le competenze dei vari operatori per meglio capire e seguire il paziente, fa parte del normale lavoro di routine. La figura nr. 1 enumera qualcuno dei comportamenti professionali che bloccano il lavoro medico-sociale. La figura nr. 2 dà, a sua volta, un quadro delle carenze di valutazione e di azione nella storia di Maurizio. Vi sono per fortuna delle situazioni di violenza delle cure che, anche se già croniche, sono riversibili. È il caso, in particolare, di quelle che possono essere riprese e trattate da un solo terapista, ma che abbia le competenze adeguate e che dimostri un ingaggio necessario. Ecco un esempio di una situazione di questo tipo: Una donna di 37 anni, madre di una bambina di 3 anni, ha vissuto due differenti fasi di relazioni con i suoi operatori della rete psicosociale. La prima fase è durata 4 anni, nel corso della quale la paziente ha incontrato una cinquantina di differenti operatori. Questo turismo psichiatrico, indotto dagli operatori della rete di aiuto, aveva causato un aggravamento dello stato psichico della paziente, che si ritrovava disoccupata, dipendente dall’assicurazione invalidità, suicidaria e con una diagnosi di psicosi maniaco-depressiva (DSM III R 296.63 (2)). La sua vita e quella della sua bambina erano state messe 40 Maltrattamenti Socio-Istituzionali 41 Maltrattamenti Socio-Istituzionali 42 in pericolo da 2 tentativi di suicidio e da progetti di suicidio collettivo. La seconda fase è iniziata un anno fa e dura tuttora. La paziente segue un trattamento ambulatoriale, una seduta per settimana. La patologia iatrogena si è rapidamente dissolta. La giovane donna inquadra i suoi problemi personali e lavora a risolverli in modo calmo e responsabile. È puntuale alle sue sedute, alle quali tiene molto. Le sue crisi di scompenso acuto alle quali aveva abituato il servizio delle urgenze psichiatriche e il centro di crisi, non si verificano più. La terapia medicamentosa (riceveva giornalmente: Anafranil 150 mg, Tegretol 300 mg, Melleril 50 mg e Tranxilium 20 mg) è stata progressivamente diminuita a partire dall’inzio della seconda fase di questa storia. Dopo sei mesi, Marianne non riceveva più alcun medicamento. Per capire come una persona possa sviluppare una sindrome così allarmante, che viene diagnosticata come un disturbo bi-polare misto, che giustifica una terapia medicamentosa pesante, degli interventi di crisi, delle ospedalizzazioni psichiatriche e che poi si dimostra, con una nuova relazione terapeutica, come una persona calma che cerca di risolvere i suoi problemi, conviene analizzare le differenze esistenti tra le due fasi di questa storia. Le teorie e le cure che impiegano gli operatori della prima fase, divergono infatti su molti punti dallo spirito e dal metodo che anima la cura della seconda fase. Qui di seguito vengono riportati degli elementi della storia di Marianne che possono servire per comprendere la differenza del trattamento delle due fasi. La storia di Marianne è segnata dall’incapacità dei suoi genitori di educarla. Vive fino all’adolescenza dalla sua nonna materna e intrattiene con questa donna colta, che si era molto dedicata a lei, un contatto privilegiato. La malattia della nonna e la sua morte obbligano Marianne a lasciare ben presto la casa dei suoi genitori e a gestire la sua vita, dalla metà della sua adolescenza, orfana ormai dell’unica persona adulta che le avesse mai dimostrato un contatto caloroso. Marianne è intelligente. Ha terminato una formazione professionale vivendo varie storie nelle sue relazioni sentimentali. La promiscuità sessuale nella quale aveva vissuto sua madre, la mancanza di armonia nella coppia dei suoi nonni non le avevano dato degli elementi validi per modellare la sua vita sessuale. Mancando totalmente di fiducia in se stessa, fa delle scelte desolanti di partners, interrom43 pe delle gravidanze non desiderate, ha una bambina da un uomo che non se ne può occupare, conosce delle difficoltà socio-economiche e di lavoro e vive uno scoraggiamento e un ansia crescente. Molto attaccata alla sua bambina, le da molto, dubitanto tuttavia delle sue capacità materne, che lei sottostima. Tutte queste situazioni di stress la costringeranno a diventare sempre più dipendente di una moltitudine di servizi psico-medicosociali: ospedali, policliniche per adulti e per bambini, polizia, servizi sociali, pronto soccorsi, psichiatri privati ecc. Durante i quattro anni della prima fase la gravità della diagnosi di aggrava di volta in volta. Personalità borderline durante la prima ospedalizzazione psichiatrica dopo una interruzione volontaria di gravidanza, la paziente si ritroverà, quattro anni più tardi, con la diagnosi di disturbo bipolare misto grave. Questa diagnosi le verrà comunicata e Marianne va a leggersi testi di psichiatria. Così si convincerà di essere portatrice di questa grave malattia, cosa che aggraverà le sue tendenze suicidarie. Riceverà una rendita invalidità al cento per cento, cioè 2000 franchi al mese (rendita abbastanza buona ma insufficiente per una madre con la sua bambina). La diagnosi e la sua prognosi fanno il giro degli operatori della rete di aiuto medico-sociale e ognuno ne fa eco. Le riunioni degli operatori si intensificano e si elaborano scenari sempre più pessimisti della situazione della paziente. Depressa e suicidaria, alle volte prolissa e agitata, Marianne viene avvertita che verranno prese delle misure tutelari per la bambina e contemporaneamente viene indirizzata per una terapia ambulatoriale ad un nuovo gruppo di operatori. È in questo contesto esplosivo che l’ultima terapista prende informazioni su tutta l’evoluzione della storia e decide di rivalutare la situazione. Ella acconsente a una domanda reiterata di Marianne che fino ad allora era rimasta insoddisfatta, cioè di potersi incontrare con sua figlia. Ha infatti bisogno di essere vista e vuole che una terza persona commenti la relazione con sua figlia. Con l’accordo di Marianne, andrà in casa sua e vi resterà per tre ore, fino a quando si stabilirà un contatto. Questo incontro sarà centrato sul vissuto di questi ultimi quattro anni e servirà a RINQUADRARLA. La terapista da la sua valutazione della situazione e il suo giudizio su quanto sta succedendo a Marianne. Per fare questo si baserà sulle competenze di Marianne e sugli elementi positivi della sua vita, 44 prima di abbordare il discorso dei suoi disturbi. Marianne ha alle spalle un periodo di scolarità buono e ha terminato la sua formazione professionale con un diploma. È dotata in diversi campi. Anche se spesso ansiosa, già dalla sua infanzia, non ha decompensato psichicamente prima di conoscere le ripercussioni della sua vita amorosa. La terapista sottolinea che Marianne si occupa bene di sua figlia, che sta bene e che presenta uno sviluppo normale per la sua età. L’appartamento è curato, Marianne si veste semplicemente ma con gusto. Marianne accoglie sollevata l’interesse caloroso che le dimostra la nuova terapista, ultima di un corteo di molti operatori. Accetta pure di discutere quei punti che nella sua vita causano dei problemi. Come persona adulta e con una sua vita sessuale, Marianne vive dei forti sentimenti di svalorizzazione; ed è questo che la fa continuamente scegliere dei partners distruttivi. Ammette che la paura di vivere meglio di sua madre ne è la causa. Tutto questo la conduce a dubitare delle sue capacità materne che sono però presenti e buone. zione. Infatti ammette che inizialmente aveva sottoscritto questa diagnosi quando non conosceva ancora così bene il vissuto di Marianne. La paziente si mette a piangere dicendo che per la prima volta qualcuno ammette di essersi sbagliato sul suo conto. Molto onestamente, Marianne aggiunge, che essa pure porta una parte di responsabilità in questo errore diagnostico. Dice di aver dato dei segni ingannevoli invece di parlare chiaramente. Spiega le sue ambiguità dicendo che dubitava dei curanti, le decisioni di alcuni dei quali l’angosciavano molto, per esempio, quella di coinvolgere l’autorità tutelare per sua figlia. Marianne che si sente capita e ascoltata dalla nuova terapista, chiede un sostegno psicoterapeutico. Vengono fissati degli obiettivi per le prossime sedute di trattamento: riflettere sulle origini dei comportamenti che hanno causato gli insuccessi terapeutici che contrastano con le forze e le competenze di cui lei dispone; risolvere anche delle difficoltà pratiche, finanziarie e professionali. Come uscire, ad esempio, dallo statuto di invalida al cento per cento con rendita che molto la svalorizza e non ha nessuna possibilità di uscita. La diagnosi di psicosi maniaco-de- Molto velocemente, Marianne dice di pressiva viene rimessa in causa dalla voler smettere con i medicamenti che terapista che si dice essere in parte di in fondo, confessa, non ha mai preso colpevole di questo errore di valuta- nelle dosi ordinate dai medici. Ma45 rianne spia le reazioni della sua terapista. Con quanto richiede ha infatti una possibilità di mettere alla prova la coerenza dei suoi atteggiamenti. Se la terapista è sicura che Marianne non è psicotica, accetterà con calma il progetto di smettere a poco a poco con le medicine, ciò che in realtà si avvera. Marianne ora può affrontare le cause del suo scoraggiamento, della sua mancanza di sicurezza e dei suoi comportamenti che la spingono costantemente all’insuccesso. Cerca un lavoro a tempo parziale per abbandonare il suo statuto di invalida. Il suo trattamento le fornisce i mezzi adeguati per permetterle di capire come, dalla sua adolescenza traumatizzante, si è costantemente messa in situazioni di pericolo e si è continuamente sottostimata. L’appoggio incondizionato di sua nonna le mancava; ne ha ritrovato uno che le permette di completare la sua maturazione bloccata da un lutto troppo precoce. Rassicurata, Marianne ora funziona su un registro banalmente “nevrotico”. Ha un dialogo costante con se stessa nel quale riprende, tra una seduta e l’altra, quanto avviene nelle sedute di psicoterapia. Si lancia delle sfide ”- riuscirò a sormontare questa difficoltà senza richiedere aiuto. Ce la farò da sola. Se non dovessi riuscirci entro tre giorni, chiederò l’aiuto della mia terapista”. Si trova gratifi- cata dalla sua bambina della quale si occupa con molta creatività. Si arroga poco a poco il diritto di riconoscersi come una buona mamma. Le differenze tra i due tipi di approccio terapeutico sono di ordine epistemologico, tecnico e finanziario. Epistemologico L’approccio della prima fase centra osservazione e diagnosi sull’individuo, quello della seconda fase sull’individuo e la sua evoluzione nel contesto specifico. La prima diagnosi contabilizza le lacune e si formula in termini deficitari; enumera dei sintomi senza rileggerli nella storia e nel vissuto della paziente. La valutazione sistemica permette di capire che Marianne, allevata da una nonna morta troppo presto, si è ritrovata al momento di entrare nell’età adulta, fragile ed immatura e che questo l’ha condotta ad accumulare errori e difficoltà che hanno esacerbato i suoi dubbi su se stessa. Nel suo isolamento affettivo, Marianne sempre più ansiosa, ha tradotto il suo scoraggiamento in sintomi, che hanno loro pure la funzione di una richiesta di aiuto. La conferma della validità di queste ipotesi si basa sulla calma e l’ordine che appaiono nella vita della paziente appena la terapista, all’inizio 46 della cura, le formula. Le reazioni dei primi curanti fanno panicare la paziente esacerbando i dubbi su se stessa. Moltiplica le minacce di suicidio, fa dei tentativi, che a loro volta allarmano i medici che sulla scorta dei sintomi vedono in modo ancora più nero diagnosi e prognosi dubitando della possibilità di un trattamento. La paziente viene passata da una parte all’altra della rete di servizi, riempita di medicamenti, in modo tale da impedire ogni possibilità di stabilire un’alleanza terapeutica. Piuttosto che di vedere nel peggioramento dei sintomi gli effetti della loro incomprensione, i curanti cercano nella paziente e nella sua vita le cause dell’aggravamento della situazione (16). Una delle violenze di questo tipo di cure risiede nell’incapacità del curante di considerarsi come significativo e parte in causa nel sistema terapeutico. Gli effetti del loro proprio comportamento non vengono considerati nella valutazione dell’evoluzione del sistema relazionale curante-paziente. Una altro genere di violenza consiste nello sbarazzarsi del paziente quando il pericolo di suicidio aumenta. Impotente nel prevenirlo, il curante cerca di proteggersi della responsabilità di una soluzione fatale passando il malato a un’altra istituzione. L’ultima terapista siccome ha potuto annodare una relazione significa- tiva con Marianne, non conosce questo genere di angoscia. La paziente si sente ormai veramente accompagnata e pensa a vivere piuttosto che a morire. Tecnica delle cure Nessuno dei curanti intervenuti nei primi quattro anni aveva stabilito una alleanza terapeutica con la paziente e di conseguenza si era ingaggiato in un processo di cura. Dall’inizio della seconda fase una terapista trova le condizioni che permettono di stabilire una alleanza. Lei si ingaggia da sola in questa relazione e fa sapere alla paziente che resterà presente e disponibile per tutto il periodo necessario alla terapia. Lo preciserà alla paziente rispondendo alle prime domande che concernono appunto questo tema. Altri elementi danno più possibilità di successo a questa terapia: vengono fissati degli obiettivi, centrati su dei problemi chiaramente identificati nella sfera intrapsichica, relazionale ed esistenziale. per raggiungere questi obiettivi, viene fatto ricorso alle risorse di Marianne. Senza ignorare gli insuccessi, la terapista sottolinea i successi e i progressi. Alla relazione con la bambina viene prestata particolare atten47 zione. Lei è infatti un punto centrale nella vita di Marianne, i cui scambi principali si elaborano con sua figlia, nella fase attuale della sua vita. È con lei e per lei che Marianne può ricreare una relazione di sicurezza affettiva, come con la sua nonna, e tramite questo forgiare la sua identità di donna e di madre. Gli operatori precedenti hanno negletto questo mezzo terapeutico seguendo gli usi dei servizi di psichiatria tradizionali. La bambina è stata vistata da un pedopsichiatra, la madre inviata ad un servizio di psichiatria per adulti. L’esempio di Marianne dimostra come questo sistema di sezionare la riflessione e le attività sia inefficace, pericolo e contrario ad ogni spirito di protezione e di prevenzione. la sua bambina. Non è stata ascoltata. Interpretare come patologica ogni domanda di diminuzione del dosaggio dei medicamenti costituisce pure una forma di violenza nelle cure. Negando al paziente la sua capacità di giudicare le sue percezioni, i curanti rinforzano la simmetria delle relazioni e l’inflazione dei sintomi. Perdono una possibilità di stabilire un rapporto fiducioso con la malata e di correggere un loro errore diagnostico. La storia di Marianne dimostra come, squalificando le sensazioni le percezioni della paziente, la si può condurre a sviluppare dei comportamenti sempre più aberranti (23). Dimostra inoltre che una alleanza terapeutica, che da alla paziente le possibilità di utilizzare le sue forze, permette certe volte di non dover utilizzare medicine. Le medicine psicotropiche prescritte a dosi ragionevoli sono utili a molti pazienti. In questo caso la loro somministrazione sembra riflettere di più le ansie vissute dai medici davanti a questa paziente i cui comportamenti diventavano sempre di più suicidari, che non un contributo ai bisogni reali della situazione. Marianne, prima di gettare una parte delle sue medicine, aveva tentato di spiegare ai medici prescrittori che il dosaggio era troppo alto, che lei non riusciva più a pensare e neanche a stabilire un contatto con Aspetti finanziari Circa una cinquantina di professionisti si sono occupati di questa paziente e della sua bambina nella prima fase di questa storia. I costi sono stimabili a circa 120000 franchi svizzeri, circa 30000 franchi per ogni anno di terapia. I costi della psicoterapia del primo anno della fase due sono inferiori ai 5000 franchi. Le cure molto più efficaci di questa seconda fase sono dunque 6 volte inferiori alle cure inco48 erenti e spezzettate della prima fase che hanno portato Marianne ad un passo dalla morte. Dobbiamo inoltre aggiungervi poi, nella prima fase, i costi sopportati dalla collettività per la rendita di invalidità, che nella seconda fase veniva progressivamente ridotta. Riassumendo, più le cure sono efficace, meno costano! È forse questo un fattore che blocca il cambiamento? voli quando si è costretti a seguire usi e costumi istituzionali che si sa essere contrari all’etica e all’efficacia delle cure ? (18) Come perfezionarsi in un lavoro quando non si può constatare regolarmente effetti positivi delle proprie attività ? Come investire nelle relazioni con pazienti che volteggiano nel denso sistema di servizi istituzionali ? Come immaginare delle relazioni di lavoro seriamente professionalizzate in organizzazioni di servizi di cure alla cui sommità vi sono sovente delle persone di formazione completamente estranee al campo di attività che dovrebbero dirigere ? la delega sempre più massiccia, in corso da circa una ventina d’anni, dell’organizzazione delle cure psichiatriche a delle istanze amministrative-politiche, i cui rappresentanti non conoscono le esigenze etiche e scientifiche delle professioni medico-sociali, è in gran parte responsabile degli insuccessi nel funzionamento di servizi ricchi di potenziali e pagati dai contribuenti. Le condizioni di formazione sfavorevoli perché troppo teoretiche e spezzettate, sono loro pure, molto dettate dalle istanze politiche e amministrative. Una formazioni di qualità richiede in effetti esercizi pratici e stabili di cure per molti anni in co-terapia con delle persone didatticamente preparate e che hanno dimostrato le loro capacità te- Conclusioni: I servizi, previsti per coordinare valutazione e progetti di intervento, la cui responsabilità esecutiva dovrebbe essere delegata a una o due persone adeguatamente formate, stabili e capaci di intrattenere relazioni creative con i pazienti, possono essere utilizzati per delegare e diluire le responsabilità. Il loro funzionamento può diventare a tal punto perverso che alle volte soli i curanti e le istituzioni restano beneficiari della considerevole energia necessaria al suo mantenimento. Non ci sorprende sentire sempre di più operatori di questi servizi lamentarsi di uno sfinimento professionale, Come mantenere l’entusiasmo e il dinamismo quando si partecipa a imprese poco compatibili con gli obiettivi teorici della professione ? Come non sentirsi abbacchiati e alle volte colpe49 rapeutiche. Queste condizioni sono raramente presenti tutte assieme. Le situazioni le più pesanti sono spesso affidate agli operatori meno formati. Psichiatri “in formazione” lavorano come ad una catena di montaggio avendo da seguire un centinaio di casi. Un gran capo del dipartimento della sanità pubblica cancella proposte di ristrutturazione e di riorganizzazione con una paternalistico “non prendete sulle vostre spalle tutta la miseria del mondo”. Regole istituzionali rompono le relazioni con i pazienti: i medici di un centro di terapia corta che accolgono situazioni gravi sono, ad esempio, costretti a passare ad altre squadre di curanti i pazienti che dopo tre mesi di cure non sono guariti! ritardo preso dal nostro paese nel campo delle cure alle famiglie in difficoltà e verso la protezione dei minori. Programmi di prevenzione psichiatrica, elaborati a partire dagli anni 1940, restano allo stadio embrionale (24,12,6). Tra i professionisti della salute, alcuni cercano di innovare, ma si urtano, per gli interventi in rete, alle carenze dei funzionamenti dei servizi istituzionali. I pazienti non sono nella possibilità, in mezzo alle loro sofferenze, di domandare delle cure adeguate. Restano i cittadini-contribuenti che, più intensamente informati, potrebbero esigere una migliore utilizzazione dei larghi mezzi messi a disposizione dei servizi di cura. Dottoressa Odette Masson Le Châtelard 1095 Lutry Quando, come e chi mai potrà ristrutturare le cure, umanizzarle, rispondere in un altro modo ai bisogni crescenti dei pazienti ? L’interesse dei politici per una medicina psicosociale di qualità si sta piuttosto assottigliando. Le raccomandazioni del Consiglio d’Europa del 1979 (7) concernenti la protezione dei minori maltrattati non hanno sortito, diciassette anni più tardi, nessun effetto in Svizzera. La risposta del Consiglio Federale, datata luglio 1995, al rapporto federale “Infanzia maltrattata in Svizzera” (4) del giugno 1992 rivela un inquietante ignoranza del Bibliografia: 1 Almqvist F. (1988): Mental health in young people in relation to child welfare and institutional care in childhood. Acta psychiatric. Scand 78: 41-48 2 American Psychiatric Association (1989): DSM-III-R Manuel diagnostique et statistique des troubles mentaux. Masson, Paris 3 Berger M. (1992): Séparation à but thérapeutique. Ed. Privat 50 4 Bouverat G. et al. (1992): Enfance maltraitée en Suisse. Rapport Fédéral. Office central fédéral des imprimés et du matériel, 3000 Berne 5 Cabié M.-C. (1992): Vers une reprise existentielle... L’insititution psychiatrique pour éviter la chronicisation, in “L’adolescence, crise familiale” Gammer C., Cabié M.-C. Ed. Erès, Toulouse 6 Caplan G. (1964): Principles of Preventive Psychiatry. Basic Books, London 7 Conseil de l’Europe (1979): Recommandation No R (79) 17 du Comité des Ministres aux Etats membres concernant la protection des enfants contre les mauvais traitements 8 Duyme M. (1987): Mauvais traitements institutionnels. Ed. Science Libre 9 Geng J.-M. (1980): Mauvaises pensées d’un travailleur social. Ed. Seuil, Coll. Points 10 Haley J. (1984): Tacticiens du pouvoir. ESF, Paris 11 Kempe C.H., Kempe R..E.(1977): L’enfant battu et sa famille. Ed. Fleurus 12 Kempe R..S., Kempe C.H. (1978): La prédiction et la prévention, in “L’enfance torturée” Ed. P. Mardaga, chap. V: 95: 108 13 Lambert M.S., Bergin A.E., Collins J.L. (1977): Therapist-induced deterioration in psychotherapy, In “Effective Psychotherapy” Gurman A.S., Razin A.M. Ed. Pergmon Press, Oxford, New York, Toronto, Sydney, Paris, Frankfurt, chap 17 452-481 14 Langsley d.G., Kaplan D.M. (1968): The treatment of families in crisis. Grune & Stratton 15 Masson O. (1988): Mandats judiciaires et thérapies en pédopsychiatrie. Thérapie Familiale, Genève, Vol IX; No 4: 283-300 16 Masson O. (1983): La thérapie des patients “professionnels” de la psychiatrie. Thérapie Familiale, Genève, Vol IV; No 1: 101-114 17 Masson O. (1991): La violence dans la famille, in “Familles en Suisse” Fleiner T., Gilliand P., Lüscher K. Ed. Editions Universitaires, Fribourg, CH 18 Masson O. (1990): L’épuisement professionnel. Thérapie familiale Vol. XI, No 4 355-370 19 Masson O. (1991): Difficultés de communication entre professionnels et institutions in “L’enfance maltraitée” Afirem. Karthala, Paris, chap. 4, 61-75 20 Reimer C., Argast U. (1990): Zur Problematik intimer Beziehungen während psychotherapeutischer 51 Behandlung. Bulletin des médecins suisses, Band 71, Heft 37 21 Rice M.E., Harris G.T., Varney G.W., Quinsey V.L. (1989): Violence in Institution Unterstanding, Prention and Control. Hogrefe & Huber Publishers, Toronto, Lewiston, New York, Bern, Göttingen, Stuttgart 22 Rufer M. (1988): Irrsinn Psychiatrie. Zytglogge Verlag, Bern 23 Searles H. (1977): L’effort pour rendre l’autre fou. Gaillmard, Paris 24 Spitz R.A., Wolf L.M. (1946): Anaclitic Depression. An Inquiery into the genesis of psychiatric conditions in early childhood in “The Psychonalitic Study of the Child” vol II, International University Press, New York: 323-342 25 Tomkiewicz S. (1984): Violences et négligences envers les enfants et les adolescents dans les institutions. Child abuse and neglect. Vol 8: 319-335 9 GIUGNO 1996 regalate, regalatevi 70 minuti di relax con lo spettacolo comico I CASI DELLA FAME E DELL’AMORE (Commedia dell’Arte) regia di Alessandro Marchetti; testo di Luisella Sala con la compagnia Teatro Paravento di Locarno Grazie alla sponsorizzazione della SES (Societá Elettrica Sopracenerina) l’intero incasso sará devoluto al nostro Gruppo regionale della Svizzera italiana dell’ASPI. Lo spettacolo é adatto a tutti a partire da otto anni. VI ASPETTIAMO NUMEROSI ALLA SALA DELLA SOPRACENERINA A LOCARNO ALLE ORE 17.00 52 Errata corrige Nel Bollettino Nr. 13 siamo incorsi in uno spiacevole errore, per ben cinque volte (pag. 6,44,48,49 e 51) abbiamo scritto “lic. jur. Isabelle Fumagalli De Chezally” sbagliando. La nostra collaboratrice si chiama infatti: Lic. jur. Isabelle Fumagalli De Chezelles. La preghiamo di volerci scusare ! Ringraziamento Alla Banca della Svizzera Italiana di Ginevra che ha distribuito una grossa somma di denaro a differenti associazioni. Grazie al direttore generale Reto Kessler della BSI di Lugano l’ASPI di Berna ha ottenuto 125000 franchi la cui metà ci é stata versata per desiderio 53 della donatrice nella cassa del nostro Gruppo regionale della Svizzera italiana. Una statua dell’Arturo ci é sembrato il regalo ideale al dir. Kessler per il suo gesto; una seconda statuetta l’ho poi consegnata a Ginevra al momento della donazione ufficiale al rappresentante della BSI di Ginevra il 6 marzo u.s. 10 maggio 1996 - venerdì, dalle ore 10.00 alle ore 16.00, giornata dei CANteams Svizzeri, presso il Stadtspital Triemli Birmensdorferstrasse 497, 8063 Zurigo, con relatrici G. Marneffe di Bruxelles e R. VanderLaan di San Diego. INFO: Dr.med. H.P. Kind Winterthur tel. +41 52 212 12 21 Fax +41 52 212 29 32 Campagna di abbonamento Continua la campagna di abbonamento al nostro Bollettino. Ricordo che i tre numeri di quest’ anno costano 30 fr. per persone singole e 50 fr. per istituzioni. I sostenitori che versano almeno 50 fr. ricevono gratuitamente il Bollettino. I versamenti vanno effettuati alla BSI, vedere a pagina 2 ! 15 maggio 1996 - mercoledì sera alle ore 20.30 al Palazzo dei Congressi di Lugano, conferenza organizzata dal “Telefono amico Ticino”: Tema - La comunicazione nei rapporti di coppia e nella famiglia. Relatrici: Silvia Vegezzi-Finzi, Anna Lafranchi, Anna Mattia e Raffaele Deschenaux. Entrata libera. Date da ricordare 28 aprile 1996 - Domenica alle ore 10.00 presso il Centro ricreativo e culturale “La Cascata” di Augio in Val Calanca si terrà l’ ASSEMBLEA ANNUALE ORDINARIA dell’ASPI svizzera. Dopo il pranzo (a pagamento e su prenotazione a chi fosse interessato, con preghiera di telefonare alla nostra Redazione) alle ore 15.00 verrà offerto alla popolazione della Valle lo spettacolo di pupazzi giganti del Teatro dei Fauni di Locarno diretto da Santuzza Oberholzer, “I Corvi e la fanciulla” (per bambini dai 6 anni di età circa). Entrata libera. 15 maggio 1996 - a Ginevra. Tema: L’enfant mis à nu - giornata di studio sull’abuso sessuale, in modo particolare sulla validità della segnalazione della vittima. Relatore: Hubert van Gijseghem di Montréal. INFO: Transit Communications, 29, rue Edouard Herriot 69002 Lyon. tel. 78 27 88 44 15 giugno 1996 - Sabato dalle ore 08.45 alle ore 18.00 A Ginevra presso l’auditoire Rouiller dell’università in 54 via Général Dufour 24 giornata di studio sul tema: Crédibilité et discernement. INFO: Philippe D. Jaffé e Hélène Rey Wicky, tel 0041 22 705 97 89 /18 13 settembre 1996 - venerdì alle ore 18.00 al Palazzo dei Congressi di Lugano, conferenza organizzata dal “Telefono amico Ticino”: Tema - Il Telefono amico e l’ascolto. Relatori: Ernesto Caffo, Elena Crema, Kurt Mahnig e Pietro Martinelli. 20 novembre 1996 - mercoledì Giornata dei diritti dei bambini. Riservate questa data, alla sera per la nostra Assemblea annuale ordinaria del Gruppo regionale della Svizzera italiana dell’ASPI. Ulteriori informazioni seguiranno sul prossimo Bollettino nr. 15 55 ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA GRUPP0 REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA 56 Zio Vampiro Edizioni: Mondadori, Milano, 1995 pag. 115 Cynthia D. Grant (questa segnalazione é apparsa nel Corriere del Ticino del 13 marzo 1996 sotto la rubrica “in vetrina, per i ragazzi”) Carolyn inventa una sorella e uno zio vampiro per nascondere una terribile verità: quella della violenza sessuale subita dallo zio Toddy. Il libro è una sorta di terapia destinata a guarire nelle intenzioni, una ferita insanabile: una lotta senza quartiere contro silenzi, connivenze e mec57 canismi di difesa tenaci e ostinati, più adatti a provocare dolore che dimenticanze. Fatto di una sintassi sconvolta, sempre a metà strada tra sogno e realtà, tra voglia di dire e timore di confessare, il libro é una testimonianza di vita di profondissimo valore affettivo. (Adatto ad un lettore maturo di IV media). tali violazioni alla luce del diritto internazionale. Si trattava di tracciare sinteticamente gli elementi principali che costituiscono le trame di una realtà che invade sempre piè e straripa violentemente dalla cronaca di tutti i giorni. Il contesto più generale era quello definito dall’incontro del G-7, che si doveva riunire da lì a pochi giorni sempre a Napoli, per fare il punto sullo “stato del mondo”, sul suo “sviluppo”, sulle regole e gli “aggiustamenti” dei processi economici. La proposta era - ed é - di mettere in rapporto i due contesti, così che i bambini e i loro diritti non andassero smarriti nuovi desparecidos - tra i tanti indicatori di sviluppo-sottosviluppo”. E più sotto continuava dicendo: “Ricercare le responsabilità, chiamarle per nome, qualificarle non significa infatti mettere insieme gli elementi per una condanna, ma delineare la prima traccia di un cammino dove le priorità possano riprendere la loro gerarchia, e non sia più così facile e accettabile dire il falso e restarne impuniti.” Un libro da leggere per tutti coloro che al fronte lavorano con i minori maltrattati e le loro famiglie, un libro infatti che risale alle radice del male e ne mostra nuovi aspetti e da nuovi impulsi per una soluzione del problema. (To) Violazione dei diritti dei bambini (un metodo di approccio) Edizioni: Gruppo Abele, Torino 1995 pag. 230 ISBN 88-7670-236-9 Curato da Linda Bimbi e Maria Paola Tini per conto della Fondazione internazionale Lelio Basso. Il libro raccoglie il materiale del seminario “Nord-Sud: l’essere umano variabile dipendente? I bambini come indicatore economico” tenuto il 23 e 24 giugno 1994 a Napoli. Gianni Tognoni, dell’istituto farmacologico Mario Negri, nell’introduzione del libro così ne sintetizzava gli obiettivi: “Questo libro ha cominciato a prendere forma a Napoli nel giugno 1994. Il suo contesto più prossimo era la “audizione” convocata dal Tribunale permanente dei popoli per iniziare un percorso di documentazione-riflessione sui diritti violati dei bambini, in vista della convocazione di una sessione formale sulla qualificazione di 58 ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA GRUPPO REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA PRO MEMORIA Chi vuole entrare a far parte del nostro Gruppo Regionale della Svizzera Italiana dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia deve: 1. chiedere di far parte dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia: Brunnmattstrasse 38, 3000 Berna 14 tel. 031 382 02 33 Fax 031 382 45 21 2. versare la quota sociale (attualmente 50 fr.), dell’Associazione svizzera per la protezione dell'infanzia a Berna CCP 30-12478-8 3. annunciarsi alla segretaria del Gruppo Regionale (vedere pag. 2 l'indirizzo) per avere il materiale. Comitato Presidente Dr. Amilcare, TONELLA, pediatra, Bellinzona tel. 092/825 52 52 Segretaria, cassiera Jenny Lazzarotto, assistente medico, Biasca Chantal Heiz, assistente medico, Bellinzona Membri Marina ARMI, consulente famigliare, Pazzallo Fabrizio FAZIOLI, giornalista, Bellinzona Gabriele FERRARI, avvocato, Chiasso Dr. Donato GERBER, pedopsichiatra, Bellinzona Pierre KAHN, psicologo, Canobbio Apparizione: 3 volte all'anno Indirizzo Redazione: Dr. med. A. Tonella Viale Portone 2 CH- 6500 Bellinzona I versamenti vanno effettuati presso la: BSI di Bellinzona CCP 65-991-0 ASPI conto M 123790 B Copyright: Riproduzione autorizzata citando la fonte Impaginazione: Fondazione Diamante - Laboratorio Laser - Lugano Stampa: 1700 copie - Tipografia Coduri e Bremer - Lugano stampato su carta rispettosa dell'ambiente Fotografia: di Amilcare Tonella Si rimane membri del Gruppo Regionale pagando annualmente la sola tassa sociale all'ASPI di Berna Il Bollettino lo si può ricevere versando 30.– fr. (50.– fr. per associazioni, scuole, enti, ecc.) sul nostro CCP. Ogni offerta superiore ai 50.– fr. fa scattare automaticamente l'abbonamento. Ogni offerta è ben accetta e ci permette di continuare il nostro lavoro. BSI di Bellinzona. CCP 65-991-0 ASPI conto M 123790 B. ✂ Le vostre osservazioni ci interessano, qui avete uno spazio a vostra disposizione: ASSOCIAZIONE SVIZZERA PER LA PROTEZIONE DELL'INFANZIA GRUPPO REGIONALE DELLA SVIZZERA ITALIANA ✂ Sì, mi interesso all'ASPI. Vogliate inviarmi altre informazioni. Affrancare P.F. Non voglio più ricevere la vostra pubblicazione Vogliate inviarmi... esemplari del bollettino ASPI al seguente indirizzo: Ho pagato l'abbonamento alla rivista che desidero ricevere Nome: Cognome Via: Città: Tel. ASPI GR della Svizzera Italiana c/o Dr. A.Tonella Viale Portone 2 6500 Bellinzona N.14 APRILE 1996 Da ritagliare e inviare al seguente indirizzo: BOLLETTINO ASPI P.P. 6500 BELLINZONA 4 Editoriale Il gruppo POP: perché? Lettera del 26 ottobre 1995 di presentazione del Gruppo POP, in occasione della giornata di studio del 2 dicembre 1995 a Mendrisio Interazione tra servizi e reti sociali per prevenire evoluzioni psicopatologiche: Modelli d'intervento I figli di genitori malati di mente Violenze dei pazienti, violenza delle cure Comunicati importanti Libri e recensioni