non cadrà - Chiesa di Cristo Gesù

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non cadrà - Chiesa di Cristo Gesù
chiesa di cristo in pomezia
ROBERTO TONDELLI
NON CADRÀ
Non cadrà
Proprietà letteraria riservata©
Roberto Tondelli
I edizione: settembre 2014
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Lo scemo crede tutto quel che si dice,
ma l’uomo prudente bada ai suoi passi
(Prov. 14,15)
Se non diversamente indicato, le citazioni bibliche sono tratte
dalla Versione Riveduta (G. Luzzi).
INDICE
Non cadrà / 1
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Quando piovono pietre. . . , 8 – Padre e madre saggi , 13 –
Adulterio e omicidio, il parallelo giacobiano, 14.
Non cadrà / 2
17
«Figlio mio» (Prov. 2, 1) , 20 – Primo pericolo letale (Prov. 2,
12–15) , 21 – Secondo pericolo mortale (Prov. 2, 16–19) , 22 –
Si impongono qui domande critiche , 23 – Slealtà, 25.
Non cadrà / 3
27
Famiglia, parentela e ruoli drammatici. Marco ci porta a
teatro , 27 – Il motivo (Mc. 6, 17b) , 30 – Giovanni ha sbagliato?
, 31 – Che cosa fa Antipa , 33 – Che cosa fa Erodiade , 35 – «Il
tempo e le circostanze» (Qohelet) , 36 – Il ballo , 37 – Doppio
regalo , 39 – Come è andata a finire la storia / Come potrebbe
finire / La Vera Storia, 40.
Saluto e invio
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Piccola bibliografia
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5
Non cadrà / 1
Feriae Augusti, Anno Domini 2014.
Assumptione beatae Mariae Virginis in coelum (?).
Ove si dimostra, tra le altre cose, che: è più facile
scagliare versetti contro gli altri che applicare a se
stessi i consigli della Scrittura.
Chi fa così agisce male e per il male (1 Cor. 4, 6).
È male decidere in base alla legge della parentela (Lc.
8, 19 ss).
Chi non conosce vergogna non può conoscere onore
(Rm. 2, 7).
In queste note ogni riferimento a fatti e persone non è casuale. Né mai
potrebbe esserlo. Come infatti la cura medica buona dovrebbe essere ad
personam, personalizzata, e non standardizzata com’è ora, così l’Evangelo
che salva dovrebbe essere indirizzato e adatto alla persona concreta,
nella sua realtà e situazione personale. Chi non prende l’Evangelo in
senso personale, lo rende generico, lo banalizza e quindi lo ridicolizza.
Colui che più di ogni altro si è accostato alla persona facendone il
centro della propria attenzione e cura spirituali è stato Gesù.
Talvolta la cura ad personam di Gesù fu accolta (anzi persino anticipata)
dal paziente realmente ravveduto, anche se si dimostrò per lui molto
costosa. Si pensi a Zaccheo e a quanto gli costò il suo pentimento;
si pensi anche a Saulo e a ciò che fece per una vita intera pur di far
dimenticare che egli aveva “perseguitato la chiesa”. Di qui le domande:
— la cura personalizzata di Cristo non dovrebbe essere accolta e
utilizzata dal paziente anche se, proprio sul piano personale, si
rivelasse impegnativa per le scelte di sanità morale che implica,
costosa per le rinunce che prevede?
— È ragionevole che il paziente non si fidi della cura sana suggerita
dal medico Gesù, per affidarsi invece al cerusico che prescrive
quel che il paziente vuol sentirsi dire?
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r. tondelli – non cadrà
— D’altra parte, c’è forse qualcosa come una fede verace che non
sia costosa e impegnativa proprio sul piano personale?
— La stessa fede di Gesù non fu forse impegnativa e costosa per lui
personalmente?
— Una fede facile, accomodante, che non lotta è davvero la fede
che imita Cristo?
— Come mai oggi si insiste sul battesimo e i suoi effetti (sacramentali?) ma ben poco si dice e ancor meno si fa in termini di
ravvedimento personale? Si ignora forse che, privo di fiducia
responsabile e di ravvedimento fattivo, il battesimo non è che un
tuffo?
Quando piovono pietre. . .
«Le parole sono pietre», scrive Carlo Levi. Lo stesso Autore rimproverò
al “Cristo” di essersi “fermato a Eboli”. Parlò del nostro sud, ma in
realtà intendeva forse dire l’Italia intera:
paese chiuso, claustrofobico, ignorante, senza memoria. . .
Italiani brava gente? O piuttosto gente che di rado adotta parole
incoraggianti e azioni dirette, schiette. Anzi spesso ne usa di doppie.
Paese dove il sorriso può talvolta celare ipocrisia, invidia e dove è così
arduo edificare qualcosa di serio, stabile, durevole (anche comunità
di credenti serie, stabili, durevoli?). Un Paese dove Cristo trova forse
difficile progredire, e per questo si è “fermato”; o forse si dovrebbe
dire che è stato arrestato? Sarà forse per questo che è così difficile
“edificare”, nel senso nobile, neotestamentario della parola: edificare
comunità di discepoli dalla fede responsabile.
La chiesa è dei preti, io voglio stare tranquillo. . .
Il predicatore deve fare sermoni edificanti che mi facciano stare tranquilla. . .
Le due frasi, citate alla lettera, tratte l’una dall’ambito cattolico l’altra
dall’ambito cristiano, riflettono entrambe un atteggiamento mentale
malato di irresponsabilità, svogliatezza, ignavia. Dinanzi a problemi che
richiedono cura, serietà, dedizione, alcuni decidono di scendere dalla
nave incagliata e di “salvarsi” (?) su una scialuppa di fortuna. . .
Non sarà forse proprio con tale atteggiamento che si arresta la rivoluzione spirituale morale di Cristo, non consentendogli di andare
oltre “Eboli”?
Se non si è letto Levi, forse non si è letto neppure Lorenzini, detto
Collodi. Quando si era alle elementari la maestra diceva dolcemente che
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˙ non cadrà / 1
se non si legge non si sa né parlare né tacere. Perciò da grandi si rischia
di leggere in malo modo (= ignoranza) anche Matteo apostolo e Paolo
il “rozzo”. Parrà strano, ma per sapere di risurrezione e generi letterari
si potrebbe partire persino da una ri/lettura di Pinocchio. Poi si ri/leggerà
anche Levi, sia Carlo sia il pubblicano, e poi Levitico. Forse allora s’imparerà
a pensare. Si provi ad esempio col terribile capitolo 18 di Levitico: un uomo
non deve andare a letto con la nuora né con la zia. . . roba d’altri tempi?!
Imparando a pensare, s’imparerà forse a rispettare Dio, a esser migliori.
Poi, aggiungendo alle letture la preghiera fervida si imparerà forse (non è
detto) a emulare invece che a invidiare. Ovvero:
— quando criterio e sapienza non vengono ascoltati da. . . da chi
secondo la Scrittura? da chi secondo te?
— quando cordialità costante e intelligenza discreta sono disprezzate
da. . . da chi secondo la Bibbia? da chi secondo te?
— quando delicatezza e affetto e rispetto e cura sono azzannati da
evangelici “porci” che scambiano queste perle per ovine olive;
— quando all’impegno a favore della sposa di Cristo si preferisce
favorire la transumanza e anzi invitare le pecore di Cristo alla
transumanza di ovile in ovile;
— quando invece del Bene della comunità si ricerca il bene proprio
e il plauso degli uomini;
— quando Erodiade vuole la testa di Giovanni perché l’onesto predicatore
le dice che lei è ciò che è e dice che chi sta con lei è ciò che è...
. . . allora hic–et–nunc, qui–e–ora, è il momento di annunciare:
l’Evangelo per fratelli (coltelli?) e per parenti (serpenti?).
Queste brevi note vogliono essere un modesto tentativo di arginare
la «marea nera» (J. Joyce) di «ignoranza e instabilità» (Pietro) che sembra
avvolgere oggi società laica e credenti. Il tentativo è qoheletico, perché
«non c’è niente di nuovo sotto il sole», e lo scopo è faticoso seppure
antico, perché antichi sono i tentativi di stravolgere le Scritture, le
difficili e le facili, ispirate da Dio. Un dato essenziale del problema, un
elemento da tener sempre presente è che tali tentativi sono attuati da
uomini ignoranti e instabili (2 Pt. 3, 16).
In una società dove tutti usano parole (cellulari, SMS) ma nessuno
comunica (che significa com/unic–are?), si dovrebbe cercare di evitare
le banalità e la banalizzazione dell’Evangelo. Può diventare banale anche
dire: Bisogna fare ciò che la Scrittura dice.
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r. tondelli – non cadrà
Se si prova a chiederne il motivo o un significato o un ragionamento
o una comparazione testuale o un’osservazione filologica o un’analisi
esegetica (non eisegetica) o contestuale, si rischia di ricevere per risposta
una serie di diapositive power point (che può servire, ma spesso cela
incompetenza comunicativa e ignoranza). Si può provare per esempio a
chiedere: Bisogna ubbidire alla Scrittura anche quando si contraddice?
E si può verificare se chi usa parole in libertà (= ignorante) ha il
coraggio di dire di sì; anzi che bisogna ubbidire soprattutto quando
essa si contraddice:
Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza
per non divenire anche tu simile a lui.
Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza
perché egli non si creda saggio.
(Prov. 26, 4 s.)
Ma ecco il punto dolente. Per superare le difficoltà testuali (contraddizioni) occorre la “pazienza” del “ragionamento” scritturale e
amore umile per la verità; cose faticose, ma rimunerative (Rm. 15, 4;
Atti 17, 2; Ef. 4, 15). E, sempre come diceva dolcemente la maestra
alle elementari, qui casca l’asino. Perché proprio qui può rivelarsi la
evangelistica reputazione immeritata di chi, ignorando il ragionamento
sul testo biblico originale, cerca di supplire a tale seria carenza con immaginifiche invenzioni o ricopiature mal fatte o citazioni internettistiche
(ci si passi il neologismo).
In questa paginetta si vuol dimostrare anzitutto la validità e serietà e
bellezza della seguente formuletta capitale:
o la fede in Cristo è etica o non è
La sua dimostrazione è bene attestata nei fatti, racconti, ragionamenti,
brani biblici e in tutte le epistole, dotate in genere di una sezione
biblico–teologica e di una sezione parenetica (p.es. Ef, Col). Qui però
ci si contenta di citare quel giudeo cristiano che tanto ha da insegnare,
fondandosi sia sulla cultura della Bibbia ebraica ispirata sia sulla guida
dello spirito del Cristo:
[. . . ] chiunque avrà osservato tutta la legge, e avrà fallito in un
solo punto, si rende colpevole su tutti i punti. Poiché colui che
ha detto: Non commettere adulterio, ha anche detto: Non uccidere
(Gc. 2, 9 s; v. contesto).
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˙ non cadrà / 1
Si vedrà più oltre che il parallelo adulterio/omicidio si rivelerà
illuminante.
La fede che «non ha opere», cioè la fede che non agisce per il
bene dell’altro (etica), «è per se stessa morta» (Gc. 2, 17; v. contesto).
La nostra formuletta capitale resta dunque dimostrata.
∗∗∗∗∗∗∗∗∗
Tutto il paese sapeva che Erodiade era sposata. Nei pub e nei ritrovi
giovanili lo sapevano tutti. Solo l’insensato ignorava che Erodiade fosse
la moglie d’un altro. Cioè, fece finta di ignorarlo (“Chissà che mi
dirà Giovanni quando saprà che mi sono messo con Erodiade!”). Fece
quindi finta di non sapere che:
Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un’altra, commette
adulterio verso di lei; e se la moglie, ripudiato il marito, ne sposa
un altro, commette adulterio (Mc. 10, 11).
Marco presenta la norma generale, utile ad affrontare e risolvere il
problema. Nel contesto Gesù ha richiamato le parole finali della legge
mosaica in cui si parla della creazione della donna: «I due saranno una
sola carne». Ne conclude «talché non sono più due, ma una stessa
carne. Quello dunque che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi».
L’unione coniugale a due è stata sancita direttamente da Dio, per cui non
può essere infranta da alcuna legge umana. Non ci può essere alcun
ripudio da parte del marito o della moglie (o di entrambi) che possa
spezzare la nuova personalità a due costituitasi col connubio coniugale.
Il mandar via, il ripudio — sia da parte dell’uomo sia della donna —
non scioglie il vincolo, ma rende adultero colui/colei (o entrambi) che
passa a seconde nozze. L’atto del mandar via non infrange il vincolo
stabilito da Dio, e non può restituire ai due coniugi quella libertà (di
risposarsi) che tanto ebrei che pagani attribuivano al ripudio stesso.
Non è strano che oggi alcuni sembrano pensarla proprio come gli
antichi ebrei e pagani?
La norma di Gesù raggiunge una profondità ben maggiore. Più che
sottolineare l’indissolubilità del matrimonio, essa vuole ristabilire la
unione monogamica originariamente intesa da Dio. Per il costume
ebraico, l’uomo poteva unirsi a una donna qualsiasi senza violare il
diritto della propria moglie; gli era proibito solo unirsi con una donna
sposata perché in tal caso avrebbe violato il diritto del marito di lei.
Gesù, al contrario, afferma qui che unirsi con un’altra donna significa
peccare contro la “propria” moglie. Gesù pone così la moglie sullo
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r. tondelli – non cadrà
stesso piano di parità del marito. Come la donna sposata non può —
senza incorrere in adulterio — unirsi a un altro uomo, così un marito
non può unirsi con un’altra donna, perché peccherebbe contro sua
moglie. Il matrimonio implica quindi una unione a due che non
può essere infranta dal ripudio. Qui non entra affatto in considerazione
il caso eccezionale in cui uno dei due coniugi “abbia già infranto tale
unione con l’adulterio” — di ciò tratterà Matteo.
In Marco Gesù enuncia dunque la regola generale. E per ora
stiamo alla regola, che è limpida. «La chiarezza del detto in Marco e
Luca è indiscussa» (J.L. McKenzie). Negli ultimi venti secoli le chiese
ortodosse (orientali), le chiese latine (occidentali), le chiese copta,
etiope, maronita, le chiese della riforma hanno compreso questa regola
così come essa è espressa. Se dunque la regola è chiara, può emergere
qualche domanda e osservazione critica:
— è erroneo operare un’inversione, facendo diventare l’eccezione
regola e la regola eccezione; se si fa così, si adotta il criterio
biblico o l’arbitrio?
— esplicitiamo: quando ci si arrampica a tutti i costi sullo specchio
dell’eccezione, non lo si fa forse per far dimenticare la regola?
Ma così si ragiona secondo il criterio di Cristo o secondo un
criterio interessato?
— innescare calunnie contro Giovanni il battezzatore che predica la
regola di Gesù e innalzare contro di lui «piramidi di fango» (A.
Camilleri) nel tentativo di far dimenticare la regola è da discepoli
di Gesù o da «lupi rapaci»?
— affermare che se marito e moglie si separano oggi e poi entrambi
si risposano allora la regola non li riguarda, non equivale forse a
vanificare la parola di Gesù?
— esplicitiamo: che cosa accade se nella regola si introduce — surrettiziamente — il fattore tempo? Si discuta sulla questione, ma
ne discutano medici, non macellai. Qualche spunto interessante:
a) nell’ambito dei matrimoni falliti e successive nozze lo si chiama waiting game o gara dell’attesa — i macellai ignorano
questa terminologia, ma sposano il concetto. Moglie e marito non vanno d’accordo e si dividono. Poi restano in attesa,
waiting, appunto, o in stand by (le stupidaggini dette in inglese sono così esotiche!). Così il primo dei due che cade in
adulterio libera/libererebbe dal vincolo matrimoniale l’altro coniuge, che si può/potrebbe risposare perché Gesù ha
detto. . .
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˙ non cadrà / 1
b) Si possono porre diverse domande, quali ad esempio: è davvero questo che dice Gesù nell’Evangelo? O questo è un
abuso del «quando non sia per causa di fornicazione», letto
male e in chiave legalistico farisaica (Mt. 19, 9)? Che cosa
significa che chi lascia la propria moglie «la fa essere» adultera (Mt. 5, 32)? Dunque: lui lascia lei, ma diventa lui stesso
responsabile del peccato (adulterio) di lei? Come valutare e
arginare l’efficace capacità del male di moltiplicarsi in questo
modo? E sciogliere un tale problema sarebbe facile come dire
tana libera tutti grazie a chi vince la gara dell’attesa? [Il problema posto dal waiting game può essere risolto alla luce
dell’Evangelo, ma al Lettore può essere utile cimentarvisi].
Padre e madre saggi
Gli scriteriati mostrano di ignorare sia la regola di Cristo sia gli
avvertimenti etici del “padre e della madre sapienti” che parlano con
preoccupazione all’inizio del libro di Proverbi:
Ero alla finestra della mia casa, e dietro alla mia persiana stavo
guardando, quando vidi, tra gli sciocchi, scòrsi tra i giovani, un
ragazzo privo di senno, che passava per la strada, presso all’angolo
dove lei abitava, e si dirigeva verso la casa di lei, al crepuscolo, sul
declinar del giorno, allorché la notte si faceva nera, oscura (Prov.
7, 6 ss.; v. pure 1; 5; 6, 2 ss.).
Notte nera, oscura, che pervade il cervello del giovane privo di senno.
Un pensiero buio lo guida all’insensatezza, che gli fa dire che:
l’adulterio è un peccato che uno fa e poi chiede scusa e passa tutto.
Questa frase, pur aberrante, è significativa e consente, come insegna
N. Chomsky, di entrare nel cervello del giovane. L’organo è spento. La
frase è, purtroppo, il prodotto di una mente resa ottusa da un’ignoranza
inattesa in un credente che “per ragioni di tempo dovrebbe esser
maestro” (ma cfr. Eb. 5, 12 ss.). La logica scriteriata della frase è che:
la fede è cosa diversa dall’etica,
in contraddizione perfetta con la formuletta capitale dimostrata sopra.
Beato il giovane che non è moralmente orfano ma che ha “un padre
e una madre saggi” che gli ricordano:
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r. tondelli – non cadrà
Uno si metterà forse del fuoco in seno senza che i suoi abiti si
brucino? [. . . ]. Chi commette un adulterio è privo di senno; chi
fa questo vuol rovinar se stesso. Troverà ferite e ignominia, e la
sua vergogna non sarà mai cancellata. . . (Prov. 6, 27 ss.).
Beato il giovane che non è moralmente orfano, e che ha “un padre
e una madre saggi” che non lo spingono verso la donna che si trova
nelle condizioni indicate da Gesù, la quale si offre con disinvoltura al
proprio e all’altrui adulterio (Mc. 10, 11). L’adulterio è un peccato che uno
fa e poi chiede scusa e passa tutto. Questa frase grave è la dichiarazione al
maschile dell’analoga espressione antietica al femminile:
Tale è la condotta della donna adultera:
ella mangia, si pulisce la bocca, e dice:
Non ho fatto nulla di male!
(Prov. 30, 20)
Queste vogliono essere note sintetiche, perciò si rileva solo il valore
eufemistico di “mangiare” e “pulirsi la bocca”. Si sottolinea invece il
perverso “non ho fatto nulla di male!”
Adulterio e omicidio, il parallelo giacobiano
Si è detto sopra che nella lettera di Giacomo il parallelismo tra adulterio
e omicidio si rivela illuminante. Purtroppo non si tratta di semplice
esercizio retorico. La reazione dell’insensato a chi lo avverte di non
proseguire sulla via dell’adulterio è sorprendente. Ma è analoga alla reazione del giovane catanese che, dopo aver confessato di aver strangolato
una quattordicenne, chiese al giudice:
Signor giudice, le ho confessato tutto. Ora posso andare a casa?
(“Giornale di Sicilia”, 16/05/2008).
Si parlò allora di mancanza di sentimenti, di un ragazzo che non
realizzava ciò che aveva fatto. La psicologia dell’Evangelo, più seria,
offre questa diagnosi: «mancanza di affezione naturale» (Rm. 1, 31). La
mente è spenta nel black–out cerebrale:
L’adulterio è un peccato che si fa e poi si chiede scusa e passa tutto.
Signor giudice, ora posso andare a casa?
Giacomo ci aiuta a ragionare. Colui che ha detto: Non commettere
adulterio, ha anche detto: Non uccidere. Chi uccide, confessa e poi
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˙ non cadrà / 1
vuole andare a casa desta ancor oggi una certa meraviglia. L’adulterio
non più. Non lo si commette. Non è percepito come peccato. Poi passa
tutto. Per qualche ragione (ma c’è davvero una ragione?) ci si sta abituando
a porre i due atti su piani del tutto diversi. Non si tratta forse di una
delle mille modalità di desensibilizzazione a ciò che è bene e ciò che è
male?
∗∗∗∗∗∗∗∗∗
Così, con un atto plateale d’ignoranza etica e con tentativi vari di
intorbidare la regola di Gesù mediante erodiane calunnie, principia la
storia. Storia che adduce «infiniti lutti», come canta Omero e come
mostrerà la vicenda.
Quasi una parabola. Se si ha bisogno dell’aspirina si può andare dal
medico di famiglia per la prescrizione del farmaco. Se si necessita
di chirurgia cardiovascolare occorre lo specialista. Se però un
padre consulta il macellaio, caro amico di vecchia data, per far
operare il proprio figlio cardiopatico e il macellaio osa entrare in
sala operatoria, è auspicabile che entrambi siano condotti subito
in un buon centro per l’igiene mentale onde ricevere le urgenti
cure necessarie.
Morale. In ambito biblico l’ignoranza presuntuosa non deve passare. Errare è umano, ma aver stima dell’ignoranza e perseverare
in essa porta a risultati disastrosi. Che sia tempo di rammentare e
praticare l’evangelico “basta”?
Dove l’ignoranza passa per sapienza e l’incapacità per competenza,
vengono assassinati il merito, lo studio, la conoscenza, l’amore umile
alla verità e lo stesso spirito della verità. Ma l’uomo si valuta alla
«prova» (Giacomo), la quale fa emergere incompetenza e reputazione
immeritata.
Se davvero si accolgono le relazioni:
ignoranza = sapienza
e
incapacità = competenza
piovono pietre, soffia «il venticello della calunnia» (G. Rossini). Si dicono
e si ascoltano scempiaggini assortite con bibliche elucubrazioni, si
ripetono stoltezze. «Le parole del maldicente sono come ghiottonerie»,
sono «penetranti» (Prov. 18, 8) come il sesso abusato descritto in Levitico
18 [occorre proprio leggerlo questo brano, altrimenti non s’intende].
Si realizza la tragica profezia oseana sulla sposa infedele:
15
r. tondelli – non cadrà
Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza [ignoranza!].
Siccome tu hai sdegnata la conoscenza, anch’io sdegnerò di averti
per sacerdote; giacché tu hai dimenticata la legge del tuo Dio, anch’io
dimenticherò i tuoi figlioli (Os. 4, 6).
In una società ridotta a postribolo a cielo aperto, cristiani tonti,
finti tonti, ignoranti o dotati di evangelistica reputazione immeritata,
fratelli (coltelli?) e parenti (serpenti?) vengono penetrati dall’andazzo
del mondo, si spingono pecorelle alla transumanza di ovile in ovile, si
semina morte. Così la profetica parola oseana si attua ancora in tutta la
sua potenza.
E il giovane insensato? Quale speranza per lui? Quale futuro per
colui che riesca a sfuggire al guinzaglio di Erodiade? Anche se fosse
moralmente orfano, avrebbe pur sempre una Madre che gli è anche
Padre, che lo consiglia per il suo Bene:
Come potrà un giovane tenere pura la sua via?
Custodendo le tue parole.
Con tutto il cuore ti cerco:
non farmi deviare dai tuoi precetti.
Conservo nel cuore le tue parole
per non offenderti con il peccato.
Benedetto sei tu, Signore;
mostrami il tuo volere.
Con le mie labbra ho enumerato
tutti i giudizi della tua bocca.
Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia
più che in ogni altro bene.
Voglio meditare i tuoi comandamenti,
considerare le tue vie.
Nella tua volontà è la mia gioia;
mai dimenticherò la tua parola
(Sl. 119, 9 ss.).
Saluto
Caro Lettore, si spera che tu non sia desocupado (sfaccendato) come
quello a cui si rivolge Cervantes nel Don Chisciotte, ma ti si augura
impegno e vigilanza.
16
Non cadrà / 2
Feriae Augusti, Anno Domini 2014.
Ove si dimostra, tra le altre cose, l’importanza creativa
della oralità della parola, si dice della benedizione di
avere genitori come Elkana e Anna e della maledizione di avere genitori quali Anania e Saffira. Dove si
annuncia il destino degli “sleali” e il Lettore è messo
in grado di rispondere alla domanda critica: posso
sposare chi ha “dimenticato” il suo “patto”?
Il libro di Proverbi appartiene alla grande letteratura sapienziale
della Bibbia ebraica, quella che così spesso echeggia nelle parole
di Gesù Cristo e degli scrittori neotestamentari, in particolare di
Giacomo: «Se qualcuno manca di sapienza la chieda a Dio, che
la dona generosamente. . . ». Giacomo sa bene, infatti, che è Dio
il generoso donatore di saggezza: «Infatti l’Eterno dà la sapienza;
dalla sua bocca procedono la conoscenza e l’intelligenza» (Gc. 1, 5
e Prov. 2, 6).
A qualunque età, chi può dire di non aver bisogno di aderire alla
preghiera suggerita da Giacomo? Nonostante l’ondata giovanilistica
che percorre oggi il nostro Paese — chiacchiere, come al solito, vista
la disoccupazione giovanile; nonostante inviti, convegni e oceanici
congressi giovanili e minuscole adunate riservate a giovani — ancora,
di molte chiacchiere fatte ad arte per il mercato giovanile; la Scrittura,
e in particolare Proverbi, ritiene ancora che il giovane necessiti di
apprendere il «rispetto di Dio come principio della conoscenza» (1,
7), che necessiti di «istruzione, insegnamento» (1, 8) e di intendere
«tutte le vie del bene» (2, 9). Il giovane infatti rischia di seguire il male
se si fa sedurre da chi fa il male (1, 10 ss.). Quest’ultima nota tornerà
utile poco più avanti.
Un commento testuale a Proverbi è fuori della portata di queste note,
ci si accontenterà di appuntare la nostra attenzione e, speriamo, quella
del Lettore su un
17
r. tondelli – non cadrà
consiglio proverbiale saggio
e sul corrispondente
consiglio proverbiale stolto
tenendoci ai primi due capitoli del testo di Proverbi. Il libro si
presenta come «di Salomone, figlio di Davide, re d’Israele» (1, 1),
forse più un’attribuzione letteraria onorifica che reale. Salomone,
il patrono della sapienza, il sapiente per antonomasia di cui si
sentono discendenti diretti persino i moderni etiopi! Nei testi
antichi quello del vero Autore non è un problema, e forse una
dedica alta intende affermare subito l’altezza morale dei contenuti
testuali.
Anche lo scopo è esplicitato subito in modo netto: render nota la
«sapienza», istruire, far comprendere i detti dotati di senso e apportatori di «assennatezza»; fornire «avvedutezza» agli ingenui; equipaggiare
«il giovane» con «conoscenza e riflessione» (1, 2 ss.). D’altro canto,
le cose che l’A. si propone di dire sono così elevate che persino «il
saggio» e «l’intelligente» potranno giovarsi di «proverbi, allegorie,
parole dei saggi ed enigmi» (1, 6) che stanno per essere sciorinati
come bucato profumato steso al sole e al vento di Palestina — povera
terra del latte e del miele, di cannonate e bombardamenti e morti in
questa estate 2014.
L’Autore ha così a cuore il suo scopo morale che in vari momenti
di questi primi due capitoli ricorre a espedienti letterari utili da
un lato ad attrarre la mente del suo “giovane” Lettore e dall’altro
ad avvalorare ciò che dice. Ecco infatti che al giovane parlano
anzitutto
il padre e la madre (1, 8):
cioè due autorità morali spirituali alte per chi aveva/ha la benedizione
di avere genitori del calibro di Elkana e Anna, Abramo e Sara. . .
(diverso è il caso che si abbia per genitori Anania e Saffira o Achab e
Jezabel. . . ).
Subito dopo entra in scena «la sapienza» stessa, che grida, chiama,
interroga, richiama, avverte (1, 20–23). La sapienza agisce mediante
la parola. A tale proposito, si legga lo stupendo Proverbi 8 — altra
versione del racconto della creazione — che molto potrebbe insegnare
sul valore della parola:
18
˙ non cadrà / 2
dialogo, apertura della mente, ascolto attento, conversazione sapiente,
spiegazione
contro
chiacchiera, calunnia, chiusura mentale, violenza verbale, vendetta
parolaia.
Si pensi anche al valore della oralità della parola (nel testo
biblico tutti i verbi riguardanti predicazione, insegnamento, comunicazione hanno proprio questo significato e valore) contro altre
forme, mezzi, strumenti di comunicazione che si vanno aggiungendo
alla parola nel tentativo di persuadere meglio (?). Ebbene, la parola
della Sapienza è:
— pubblica: parla «ai crocicchi. . . all’ingresso delle porte»: nulla di
furtivo nella sua parola, ben diversa quindi dalle parole di chi
calunnia, sparla per invidia o malanimo;
— franca: «chiama. . . pronuncia discorsi. . . »: di nuovo, schiettezza
che non ha nulla a che vedere con il parlare alle spalle, con la
mal/dicenza (= male/dire!), con il basso calcolo;
— preoccupata: «Fino a quando, o insensati?» odierete la conoscenza
per stare attaccati ai vostri sporchi e bassi interessi? È la preoccupazione reale di chi non vede l’ora che finiscano le stoltezze e
gli stolti che le seguono, schernendo la saggezza;
— attrattiva: attrae gli insensati promettendo loro il suo «spirito» e
la conoscenza delle sue «parole»: Gesù non seguirà proprio un
analogo procedimento morale?
— responsabile: «Ma siccome quando ho chiamato avete rifiutato
di ascoltare. . . avete respinto il mio consiglio e della mia correzione non ne avete voluto sapere. . . »: ci saranno conseguenze
serissime. . .
. . . quando infatti sarete presi nei lacci dei problemi esistenziali (“sventure. . . spavento. . . tempesta. . . angoscia. . . ”), voi mi chiamerete
ma io non risponderò, mi cercherete, ma non mi troverete
(Prov. 1, 20 ss.). Come mai? Che significa? Forse la sapienza è cattiva? Non vuol rispondere né farsi trovare? Nulla di ciò. La sapienza
è responsabile. Fino a un certo momento infatti è possibile parlare, avvertire, ammonire, chiamare, richiamare. Poi, una volta che
certe scelte sono state fatte, tornare indietro non è possibile: si chiama invano e si cerca invano la sapienza che prima è stata respinta e
schernita:
19
r. tondelli – non cadrà
non è questa una legge della vita a cui non si sfugge?
La medesima legge, ma in senso positivo, afferma:
«chi ascolta [= attua] la sapienza se ne starà al sicuro,
senza paura d’alcun male» (1, 33).
«Figlio mio» (Prov. 2, 1)
L’attenzione amorevole dell’A. si volge di nuovo al «figlio mio». È la
quarta volta che la parola ‘figlio’ viene usata: una volta «figlio di Davide»
(1, 1) e tre volte «figlio mio» (1, 8.10; 2, 1). Salomone doveva sapere
di aver avuto un fratellino che suo padre e sua madre, Batsheba, non
avevano potuto salvare. Si rifletta:
— «figlio mio» è la sommessa perorazione accorata, preoccupata di
un “padre e una madre sapienti” che vogliono salvare il figlio;
— è forse il grido di Dio, padre/madre, che tenta di ri/prendere la
sua creatura? Adamo, dove sei? È la domanda ancestrale echeggiante dalla notte dei tempi e posta sulla bocca di un Dio che cerca
chi “è nascosto” e non vuole farsi trovare. . . (domanda critica:
dunque davvero chi cerca trova?).
— Oppure, forse, in quel «figlio mio» c’è la tutta la preoccupazione
amorevole di chi è intervenuto a cercare di salvare tuo figlio
come fosse suo figlio, e grazie a Dio lo ha salvato con sapienza e “garbatezza”, senza sollevare polvere ma con accuratezza
delicatezza amorevolezza.
— Domanda critica: dunque, quando tu potrai fare qualcosa per
aiutare il figlio di chi ha salvato tuo figlio sarai meno generoso?
meno accurato? meno garbato? meno delicato? meno amorevole?
Come potrai, per esempio, adoperare un linguaggio da postribolo
(indegno di Cristo), toni accusatori e parole sciape nel trattare il
figlio di chi ha salvato tuo figlio?
Il “padre e la madre sapienti” (= la Sapienza, Dio) desiderano il bene
del figlio, per questo gli parlano con saggezza. Ed ecco ciò che essi
non fanno:
— ciò che proprio non fanno (non dovrebbero fare) è trattare
con presunzione, stoltezza, insensatezza, ingiustizia il figlio del
fratello;
20
˙ non cadrà / 2
— e perché agiscono (dovrebbero agire) così? Semplice: il figlio del
fratello è anch’egli “figlio mio”!
Presunzione, stoltezza, insensatezza, dissennatezza, ingiustizia son
cose contrarie a quelle che noi genitori avevamo consigliato al “figlio
mio”, e quindi non le adotteremo mai nel trattare il “figlio” del fratello.
Ecco invece le virtù positive, elencate in Prov. 2, 1–11, che sono
proprio quelle che io, padre/madre, avevo raccomandato al “figlio
mio”:
cura, prestare orecchio, inclinare il cuore all’intelligenza, chiamare il discernimento, rispetto di Dio, sapienza, conoscenza, intelligenza, equità, rettitudine,
le vie del bene, sapienza, conoscenza, riflessione.
Si notino in particolare:
— la sapienza: illuminerà la mente del “figlio mio”; e anche la
mente del figlio del fratello?
— la conoscenza: gli sarà gradevole; e lo sarà anche al figlio del
fratello?
— la riflessione: veglierà su di lui; e anche sul figlio del fratello?
— l’intelligenza: sarà sua protettrice; e proteggerà anche il figlio
del fratello?
Questa quadruplice virtù (sapienza+conoscenza+riflessione+intelligenza) permetterà al “figlio mio” di “scampare”. Ma scampare da
quali pericoli? Il Sapiente ce ne indica due davvero terribili.
Primo pericolo letale (Prov. 2, 12–15)
Si tratta del modo malvagio di agire (“via malvagia”). Evitare la gente
che parla di cose perverse, che si comporta in modo tenebroso, cioè in
maniera non solare, nascosta, non franca, le persone che operano con
sotterfugi, che agiscono per proprie jezabeliche vendette, che seguono
vie “tortuose”, modi di fare e di ragionare non lineari:
— Sono contorti, doppi, inutilmente complicati anche quando
ragionano sulla Scrittura; sono «ignoranti e instabili» (Pietro);
sono «uomini dalla mente doppia» (Giacomo);
— sono tenebrosi, perché non conoscono onore e non hanno
rispetto dell’onorabilità altrui;
21
r. tondelli – non cadrà
— godono nel fare il male perché, al contrario di quel che fa il bravo
chirurgo competente, con la loro incompetenza non fanno che
spandere il male;
— pensano con le loro parole di abbassare gli altri per innalzare se
stessi: troveranno sempre qualche stolto loro pari disposto a dar
loro credito. Non certo Dio.
Secondo pericolo mortale (Prov. 2, 16–19)
La «donna adultera». Pochi colpi di pennello ce la ritraggono al vivo. La
sua dote è l’infedeltà, ma anche parole dolcissime; «melate»: è l’aggettivo
che la Scrittura adopera per indicare parole persuasive ma false.
Questa donna ha abbandonato il «compagno della sua giovinezza».
Lei stessa non è perciò una giovane nel fiore degli anni, ma ha già
una certa età, e con l’età esperienza di vita. Proprio quell’esperienza
che il «figlio mio» non possiede. . . E mai accade che l’inesperto sia il
“capo” dell’esperto (“capo”, come il marito lo è della moglie, in senso
biblico).
Nel testo si menziona anche il «compagno» della donna. Forse lei
era accompagnata? No, tutt’altro. Lei era legata a lui da un patto, anzi «il
patto del suo Dio».
Se c’è una “parola” fondamentale nella Scrittura, capace di concentrare l’attenzione massima dell’ebreo prima e del cristiano poi, questa
è la parola ‘patto’. ‘Patto’ descrive il forte rapporto d’amore, il vincolo d’acciaio tra: Dio e il suo popolo e parallelamente tra: uomo
e donna (i brani sono numerosi, ad es. Mal. 2, 14b; cfr. De Vaux,
Scorer).
D’altra parte è disperato e disperante parlare in termini di “patto” a
un mondo che ha rotto tutti i patti, di qualsiasi genere («il mondo è
fuori di sesto», dice Amleto).
Persino i cristiani preferiscono talvolta (quando fa comodo?) fidarsi
più delle parole di pagani che delle parole di credenti ai quali sono
legati (o dovrebbero esserlo) da un “patto in Cristo”.
Un evangelista il quale dica che esiste un problema morale serio
quando un credente si fidanza con una donna sposata (= che ha dimenticato “il patto”), vede alcuni cristiani allargare le braccia, come per dire:
Che esagerato!
È questo il «patto» che la donna di Proverbi 2 «ha dimenticato».
Il contrario di ‘dimenticanza’ è ‘memoria’, che nella Bibbia non è
semplice ricordo di qualcosa, bensì ‘presenza’, adesione fattiva alla cosa
22
˙ non cadrà / 2
o persona di cui si fa memoria. In questo “dimenticare il patto” sta
dunque l’infedeltà. Lei era sposata con suo marito. Poi ha tradito il
«patto», ne ha perduto la “memoria”. Ha lasciato suo marito.
Si impongono qui domande critiche:
— Lo ha lasciato forse perché il marito la maltrattava? Può darsi. O
forse lei maltrattava lui? D’altro canto, se si riflette un momento,
non è forse vero che chi lascia tende quasi sempre a trovare
giustificazioni per il suo atto di abbandono? Cioè, non è forse vero
che mentire a se stesse/stessi è una delle cose che riescono
meglio alla persona insincera?
— Forse la maltrattava perché aveva un’altra? Dunque l’adultero era
lui? Forse è stato lui a lasciare lei? Ma allora perché accusare lei
di adulterio?
— Sarebbe diversa la loro reciproca responsabilità verso il “patto”
se marito e moglie si fossero lasciati decidendo unanimemente
di rompere il “patto”?
— Questa donna forse da già qualche anno non vive più col marito;
dove sta perciò o in che consiste l’adulterio di cui l’accusa il
Sapiente? Tanto più che il marito probabilmente è sposato /
accompagnato con un’altra. . . Dunque, forse il Sapiente sbaglia
nel considerarla “adultera”?
— Forse la donna ha già chiesto perdono a Dio del suo “abbandono”.
E forse Dio l’ha già perdonata. Dov’è perciò il suo adulterio?
Qual è il problema. . . ?
— D’altra parte, il fatto che lei abbia “lasciato il compagno della sua
giovinezza” non potrebbe/dovrebbe farmi riflettere e considerare che, domani, potrebbe lasciare me, giovane compagno
della sua maturità?
— Perché nel contesto immediato si legge che “la casa dell’adultera
pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti”? Che cosa significa questa inattesa menzione di morte e
defunti in un contesto in cui il verbo dominante è ‘scampare’?
— Come mai è scritto che “nessuno” di quelli che si uniscono a lei
riprende poi il sentiero della vita? vuol dire cioè che muore? Ma
perché e in che senso muore? Ecco evocata di nuovo la morte.
Ma come si può morire se si sta insieme a una donna ancora
piena di vita?
— Dato che qui mi si avverte di “scampare”, il che richiama un
pericolo serio, non dovrei già soltanto per questo motivo chiedere
23
r. tondelli – non cadrà
a Dio quella sapienza+conoscenza+riflessione+intelligenza che
mi soccorra per poter “scampare”?
— E tu, Lettore sfortunato, che vivi nell’epoca dei massimi sistemi
di conoscenza eppur di massima diffusione d’ignoranza, credi
proprio che ci debba essere sempre qualcuno che ti fornisca
le risposte esistenziali, senza che tu ti assuma le tue personali
responsabilità delle tue scelte di padre, di madre, di figlio, di
figlia?
— Credi proprio che la gente ti debba giustificare solo perché ti
lamenti incessantemente di problemi che forse sono il risultato
delle tue scelte nella vita e dietro i quali pensi di celare te stesso
e le tue responsabilità? (Ancora e con preoccupazione crescente:
Adamo, dove sei? — Mi sono nascosto).
— Non pensi sia venuto anche per te, padre, madre, figlio, figlia, il
momento umile di chiedere a Dio sapienza+conoscenza+riflessione+intelligenza per rispondere fattivamente e in prima persona
a guai, problemi, drammi e tragedie che tu hai creato con la tua
insipienza e stoltezza e mancanza di conoscenza?
Tenendoli a debita distanza, si dica ai folli che la vita non è un
blog, né messaggini girati a destra e a manca, né svergognate paginette
facebook con amenità da sfaccendati in rete. Dove c’è puzza di morti e
defunti c’è poco da mettersi in mostra. Hanno ben poco da chattare
coloro che dicono di credere che “la parola è Dio” e la usano ben poco
divinamente. Qui c’è solo la vita che dice: Non c’è scampo per gli stolti. E
una volta tanto, ma più spesso di quanto non si pensi, la vita e la Bibbia
sono d’accordo. O si prende «la via dei buoni» o c’è lo «sterminio» (2,
20.22; e poco importa che lo sterminio sia escatologico o apportato
da una cultura religiosamente diversa ma che forma famiglie salde che
ancora conoscono la differenza tra onore e vergogna).
Comunque tu risponda alle domande critiche poste sopra (rivolte a
medici coscienziosi, non a macellai senza onore), comunque tu risponda
esistenzialmente a quelle domande e ad altre che la tua riflessione ti
proporrà, gioia e giustizia afferrano il Lettore che s’accosta al libro di
Proverbi con onestà e rispetto quando legge la chiusa del capitolo 2:
gli sleali saranno divelti dalla terra (2, 22b).
Una frase che è squillo di tromba apocalittica. Ricordiamo la quadruplice virtù? Sapienza+conoscenza+riflessione+intelligenza. Ebbene,
se sono stolto posso chiedere a Dio sapienza, la riceverò (saggezza). Se
sono ignorante posso imparare dalla Parola, migliorerò (conoscenza).
24
˙ non cadrà / 2
Se sono irriflessivo posso darmi a “scavare” discernimento, lo troverò
(riflessione). Se sono stupido posso chiedere a Dio di farmi trovare la
sua conoscenza, progredirò (intelligenza).
Ma se sono “sleale”, se mi comporto in modo “sleale”, se parlo
e agisco in modo “sleale”, se la mia cifra è doppiezza ipocrisia invidia
menzogna, se oggi affermo e domani nego una stessa cosa, allora posso
star certo che:
non ho scampo.
Slealtà:
— le tue domande sono fastidiosamente maleducate (hai persino
osato chiedere ad Eva: Quanto pagate d’affitto in questo giardino?)
— non hai scampo;
— hai tentato di entrare in casa d’altri e di mettere marito contro
moglie — non hai scampo;
— invece di rispettare l’integrità della famiglia del Signore hai tratto
vantaggio da amicizie e parentele per trascinarti dietro discepoli
— non hai scampo;
— hai profittato della generosità del fratello per metterlo in cattiva
luce — non hai scampo;
— il fratello nel “patto di Cristo” ti telefona per avvertirti di un
male in atto e tu registri a sua insaputa la telefonata. . . (lo ius
romanum, il diritto romano, operò male nel caso di Gesù, il codice
penale può non servire, ma l’Evangelo del regno di Dio ti dice
che sei in mala fede) — non hai scampo;
— hai sminuito la calunnia pagana fatta ai danni del fratello — non
hai scampo;
— hai calunniato amici “in Cristo” da cui hai tratto aiuto e incoraggiamento — non hai scampo;
— ad alcuni hai detto che la famiglia di Dio fa solo chiacchiere; con
altri lo hai negato — non hai scampo;
— commosso, dai la mano di associazione al pastore che ha tolto il
tuo agnello dai rovi salvandolo, mentre già ti rivolgi al macellaio
perché getti di nuovo il tuo agnello nel folto della boscaglia per
perderlo — non hai scampo.
Slealtà: puoi chiamare il mondo intero. E convincerlo. Puoi telefonare a tutti. E convincerli. E farti amici tutti. E convincere parenti
(serpenti?), fratelli (coltelli?), amici (nemici?). Pur di farti credere puoi
piangere. E puoi ridere. La tua patologia resta conclamata:
25
r. tondelli – non cadrà
Non hai scampo: sarai divelto
(il passivo del verbo indica un’azione di Dio, non di uomini).
Un cieco guarito da Gesù vede uomini e gli paiono “alberi”. Lo
sleale è un albero che, al tempo e al momento che Dio vuole, ha un
destino segnato:
sarà divelto dal terreno,
perché si possono gabbare tutti per poco tempo; si possono gabbare
pochi per tanto tempo; ma non si possono gabbare sempre tutti (A.
Lincoln). L’albero dai frutti sleali sarà sradicato. Da Dio.
Saluto
La domanda era: qual è il consiglio proverbiale saggio e qual è il
consiglio proverbiale stolto dati al “figlio mio”? La risposta al Lettore
sapiente attento intelligente. Gli si augura impegno e vigilanza e divino
discernimento.
26
Non cadrà / 3
Feriae Augusti, Anno Domini 2014.
A duemila anni esatti dalla morte di Gaius Iulius Octavianus Augustus (23 settembre 691 ab urbe condita
— 19 agosto 14 d.C.).
Ove si rammenta che Ottaviano impose la pax romana mediante il gladio. Gesù, principe irenico, ottenne
pace mediante la parola. Dove si risponde alla sublime domanda teologica capitale sul perché Giovanni
il battezzatore non abbia/avrebbe evangelizzato Erodiade. Dove si tratta di onore personale disonorevole
e disonorante e di famiglia disonorevole e disonorante. Eppure, ciò nonostante, si propone positivamente il valore attuale della ricerca di «gloria, onore e
immortalità» presso Dio (Rm. 2, 7).
Si celebra il secondo millennio dalla morte di Ottaviano — celebrare
le morti sarà un ulteriore segno di declino? — e il mausoleo del primo
imperatore di Roma si allaga come è accaduto proprio intorno alla
metà di agosto. Né romani de Roma né turisti per caso possono accedervi.
Il mausoleo si richiude come se l’imperator che aveva trovato Roma
costruita di mattoni e l’aveva lasciata ricostruita in marmo, volesse non
vedere la ignoranza e instabilità culturali che caratterizzano l’attuale
povera Roma (povera Italia, e povere chiese. . . ), che deve accontentarsi
di Totti imperatore — e non è poco.
I brani biblici cui si farà riferimento in queste note sintetiche sono:
Mc. 6, 14 ss; Mt. 14, 1 ss; Lc. 3, 19 s. e 9, 7 ss. Il Lettore è consigliato di
rileggerli per familiarizzarsi coi testi.
Famiglia, parentela e ruoli drammatici.
Marco ci porta a teatro
Si accenna qui a un po’ di storia delle parentele erodiane in quella
che può esser letta come una tragedia, e non solo per Giovanni il
27
r. tondelli – non cadrà
battezzatore che morirà decapitato dalla mannaia d’odio, d’ignoranza,
di rancore.
Erode il Grande — quello della strage degli innocenti, per intenderci
— ebbe una famiglia ben poco esemplare. Lui e i suoi discendenti
furono cospiratori, intrallazzatori, calunniatori, maldicenti, insabbiatori,
villani, donnaioli, incestuosi, adùlteri, fornicatori, spie, spiati, bugiardi,
macchinatori di mali, arroganti.
Non si possono scegliere né i genitori né la famiglia da cui nascere. Ma ci sono famiglie che sembrano tarate. Uno degli aspetti della
modernità e della postmodernità sembra esser questo: che quanto di negativo accadeva un tempo in famiglie altolocate accade oggi in famiglie
comuni.
Quando Gesù stabilisce la sua parentela nel suo sangue (Lc. 8, 19
ss.), è consapevole di attuare rotture proprio all’interno della famiglia
umana: il padre contro il figlio, la figlia contro la madre e nemici in casa
propria. . . a causa della buona notizia di Cristo! Talvolta i suoi discepoli
non ne sembrano altrettanto consapevoli. Per questo motivo occorre
ribadire (e la cosa non è ovvia) che i cristiani sono — dovrebbero essere
— persone sante anche nella loro testimonianza famigliare. Intrallazzi,
calunnia, maldicenza, arroganza, adulterio, fornicazione, bugia, cattivi
sospetti, macchinazioni e dulcis in fundo volgarità, doppiezze e simili
non dovrebbero albergare nella casa dei credenti, perché qui si riflette
il reame di Dio. Ma è sempre così? È ovviamente così?
Un tempo il teatro aveva un’importante funzione sociale (ce l’ha ancora,
nonostante tutto), serviva da specchio al popolo e ai potenti che vedevano
riflesse sulla scena le varie problematiche del momento. La narrazione di
Marco è quasi un copione del dramma che, antico di duemila anni, si
ripropone mutatis mutandis (cambiando quel che c’è da cambiare) sulla scena
sociale anche oggi, “dentro e fuori” le chiese («Non giudicate voi quelli di
dentro? Quelli di fuori li giudica Dio. . . » — 1 Cor. 5, 12). Che qualcuno
si riconosca nella vicenda drammatica narrata da Marco è possibile, seppur
improbabile. Ma se ciò dovesse accadere, non può prendersela né con
Marco né con Dio che l’ha ispirato, ma solo con se stesso riflesso nel
dramma teatrale che mostra la vita.
Dramatis personae, personaggi principali del dramma:
Erodiade: poco più di trent’anni, figlia di Aristobulo, nipote di
Erode il Grande, sorella di Erode Agrippa I, moglie di Erode Filippo
(suo zio) da cui ha una figlia, Salome (giovane, ambiziosa, danzatrice
attraente).
28
˙ non cadrà / 3
Erode Antipa(–tro): figlio di Erode il Grande, fratellastro di Erode
Filippo, zio di Erodiade. Governa Galilea e Perea per lascito testamentario paterno. Confermato da Ottaviano, avrà familiarità anche con
Tiberio, che servirà in qualità di spia contro i magistrati romani in
oriente, incluso Pilato (ciò spiega Lc. 23, 12).
Giovanni il battezzatore: 27 anni circa, predicatore che incute,
impetuoso, dai modi diretti, ottimo conoscitore della Legge di Mosè,
degno parente di Yehoshua (Gesù di Nazaret), ritenuto dal popolo
un profeta di Dio [è raro, ma talvolta accade che la vox populi coincida
con la vox Dei].
Gli antefatti si sono già svolti, in un luogo che gli evangelisti neppure nominano, Roma. Qui Erode Filippo risiede con la bella moglie
Erodiade; assieme fanno vita di corte. Antipa viene accolto fraternamente in casa loro durante un viaggio a Roma. Tra Antipa e Erodiade
è amore a prima vista, cioè adulterio continuato, cioè fornicazione
[fratelli coltelli! appunto]. Antipa ripudierà poi sua moglie — figlia del
re dei Nabatei, Areta IV — e sposerà Erodiade, la quale porterà con sé
la figlia Salome (avuta da Filippo), giovane dote di cotanta madre. Il
dramma inizia dunque in medias res, nel mezzo dell’azione. La testa di
Giovanni è già caduta. . .
Oggi il tetrarca Antipa è agitatissimo, il palazzo è in subbuglio, le
guardie sono in allerta, le donne ed Erodiade parlano sussurrando. Che
accade? Accade che al telegiornale hanno dato in diretta due interi
minuti della predica dell’ultimo predicatore che si è presentato qui in
Palestina.
Sono tempi strani, lontani anni luce da noi, quando predicazione
e predicatori (medici seri) potevano ancora scuotere le mura del
palazzo. . . oggi siamo progrediti e moderni: il predicatore che
cerchi di scuotere i cristiani dalla loro immoralità viene attaccato
e scoraggiato in ogni modo; il suo collo è in pericolo; se ne vuole
la testa in dono.
Ecco dunque che la predicazione sapiente e la fama ben meritata
di Gesù gettano nello sgomento il superstiziosissimo e ignorantissimo
Antipa: «Quel Giovanni che io stesso ho fatto decapitare, è lui che
è risuscitato!» (Mc. 6, 16). La paura attiva la coscienza, che rimorde.
Gli occhi di Antipa — dei suoi occhi si dovrà riparlare — vedono
Giovanni redivivus, il profeta tornato dallo sheól. Antipa vede e teme:
“È Giovanni risuscitato!”
29
r. tondelli – non cadrà
— Strano, vero?, come la paura abbia il dono di riattivare nella
mente potenzialità che sembravano seppellite e dimenticate;
— Antipa ammette e confessa d’esser proprio lui il mandante dell’assassinio di Giovanni; non prova neppure ad accennare a responsabilità indirette di altri: Erodiade? Salome?
— Antipa crede! È fede vera: gli si riaccende dentro d’improvviso
la fede nientemeno che nella risurrezione dei morti. A lui che
era «ellenista e sadduceo» (F. Salvoni) torna la fede nell’Unico
che può attuare la risurrezione! È fede falsa: frutto di paura e
non d’amore sincero: «Anche i demoni credono e tremano. . . »
(Giacomo). Antipa è demonio: crede e trema. Ma non si ravvede [si esamini bene che cosa sia davvero il ravvedimento
/ metánoia se si vuol fare i cristiani e non solo fare numero];
— Potenza della paura: dinanzi all’Unico che può far rivivere, Antipa
non può mentire a se stesso!
È a questo punto che la voce narrante di Marco si leva e, con una
lunga analessi (flashback), ricorda e racconta gli eventi, che qui non
ripetiamo, se non per quel tanto che basti alla nostra sintetica analisi.
Il motivo (Mc. 6, 17b)
Giovanni è incatenato in prigione «a motivo di Erodiade» moglie di
Filippo, fratello di Antipa, poi sposata da Antipa.
Per negare un adulterio simile non occorrerà molto tempo al (de–)genere (dis–)umano. Lo si chiamerà sentimento profondo, irresistibile
amore, romantica fatalità. . .
Erodiade non è solo la moglie di un altro (= adulterio, Es. 20, 14).
L’adulterio con la sposa del fratello era in modo speciale proibito dalla
Legge (Lev. 18, 16 e 20, 21).
La scena si anima. Arrivano popolani, ricchi possidenti, imprenditori,
entrano capitani, amici di corte, addetti del palazzo. . . Tutti sanno. Tutti
non possono non sapere ciò che dice la Legge in merito. Che poi è
ciò che ribadirà Gesù nel suo insegnamento (chi guarda una donna per
desiderarla. . . con gli occhi si guarda. . . ). Tutti i parenti (serpenti), tutti
i fratelli (coltelli), tutti gli amici, tutti i nemici, tutti sanno.
Tutti quanti, ma proprio tutti, nessuno escluso, sanno, vedono e
tacciono. È la madre di tutte le omertà. E pensare che siamo sì nel
bacino del Mediterraneo, ma lontanissimi dalla Sicilia. . .
30
˙ non cadrà / 3
— Ci sono famiglie omertose in cui si sa di lui o di lei. . . ma tutti
stanno zitti. . .
— Famiglie pagane? Forse anche cristiane? Silenzio frutto di modernità? Si sa che certe cose càpitano? Bisogna accettarle come sono? È
mio fratello e non gli posso dire nulla? È mio nipote e non posso
intervenire? È mio marito e sto zitta? È mia moglie e taccio?
Mi faccio i fatti miei, come dice il Vangelo? [Davvero lo dice il
Vangelo?]
D’improvviso la pesante coltre d’ipocrisia omertosa viene squarciata
da una predica a dir poco irriverente. Una predica di quelle come non
se ne sentono più da anni (i predicatori sono forse diventati presentatori?
sistemati? mercenari? pieni d’aria invece che di Spirito di Cristo?). La
spada di Damocle impugnata dal giovane Giovanni cala divina sul caso
famigliare:
Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello!
(Mc. 6, 18: in italiano sono dieci parole, nove in greco).
Giovanni, predicatore della conversione, non teme di rimproverare
apertamente il comportamento dell’uomo forte: Non ti è lecito. . .
Giovanni ha sbagliato?
Anche duemila anni fa c’era il social network, si chiamava pettegolezzo.
Oggi, certo, si usano molti mezzi di comunicazione. Il telefono è
ancora il preferito. Si messaggia. Si girano messaggi. Si dice. Si ridice.
Ci si contraddice. La parola non vale più nulla. Ci si gode a pagare
perfino per parlare. “Tanto ho i minuti”. Parlano, parlano, parlano quelli
che dicono di credere che “la parola è Dio”, ma che la usano molto
poco divinamente (lo si è già detto ma repetita iuvant, le cose ripetute
giovano, forse). Ascoltiamoli i loro mormorii squisiti:
— Si sa come sono questi giovani predicatori, impulsivi, irascibili,
e pure esagerati. . . !
— Dio mio, com’è nervoso questo Giovanni stamattina. . . !
— Suvvia, c’è modo e modo di dir le cose. . .
— Con gli uomini che contano bisogna andar cauti e saperle dire,
le cose, con modo e maniera. . .
— Bisogna dire le cose con parole dolci dolci dolci, non brusche e
perentorie. . .
31
r. tondelli – non cadrà
— E poi Giovannino (proprio così, lo chiamano Giovann–ino, per
sminuirne l’autorevolezza). . . Giovannino deve rendersi conto!
In fondo Antipa ha sposato Erodiade solo quando è tornato da
Roma, cioè parecchio tempo dopo il suo viaggio a Roma. . .
— Vero! Ne è passato di tempo! Mesi e mesi. . . forse un anno? forse
due? Sicché in fondo tra Erodiade e il suo primo marito non
c’era più niente. . . e forse già da prima le cose non andavano fra
loro. . . matrimonio sfortunato fu. . .
— E poi Filippo non è stato certo a guardare; subito subito si è
consolato! hai voglia a concubine e nuove compagne. . . anche lui
non è uno stinco di santo. . .
— Chissà che non ce l’abbia spinta proprio lui Erodiade fra le braccia
di Antipa. . .
Intermezzo cervantino. Spiegava recentemente un amico che
la maldicenza è oggi ritenuta una patologia psichiatrica. Dev’essere così, perché il vero maldicente è anche ottuso e
pretenzioso — siamo sempre in ambito psichiatrico. Egli
pretende infatti di continuare nella sua maldicenza (doppiezza, falsità, bugie, voltafrittate varie), mentre chi viene
toccato dalla auretta assai gentile della sua calunnia, se reagisce
e lo spubblica, viene da lui tacciato di. . . maldicenza.
Una volta Fefè chiese al suo amico Gegé di mettere per
scritto e firmare le sottili calunnie venefiche che spargeva
generosamente contro certi che abitavano nel vicolo e nei
dintorni. E sapete che successe. . . ?
Torniamo ad ascoltare i cristiani pettegolezzi raccolti qua e là:
— A me questo Giovanni mi mette l’ansia addosso, non lo posso
stare a sentire. . .
— Lecito o illecito, a me non interessa niente. . . questo matrimonio s’ha da fare e quando si farà, io e mio marito ci andiamo,
chissà che banchetto! e chi s’è visto s’è visto. . .
— Io ho sentito che il vestito di Erodiade sarà di porpora, stupendissimo. . .
— Ma chi si crede di essere ’sto Giovanni! In fondo è poco più che
un ragazzo. . .
— Non solo, ma Giovannino conosce solo certi passi della Bibbia,
e non ha mai letto prima–corinzi–sette dove si capisce bene che. . .
— La cosa grave è che questo predicatore è un vero maldicente, ogni
volta se ne viene con la storia di Erode e Erodiade, ma perché
32
˙ non cadrà / 3
non si fa gli affari suoi, come dice il santo Vangelo, “studiate di
fare i fatti vostri”. . . !
Queste voces, pericolosi pettegolezzi pazzi, sono i suoni ipocriti emessi dai Don Abbondio ignoranti e instabili presenti forse in quasi tutte
le chiese, pardon in tutte le corti degli Erodi. Questo chiacchiericcio
(chatting, è più esotico) sarà complice dell’assassinio di Giovanni. Sono
le parole di quelli che lo lasciano solo. Antica macchinazione satanica
è isolare chi dice il vero (ma ci può essere anche chi dice stoltezze e
va “schivato”, come scrive Paolo a Tito). Quelle frasi vanno additate
come blasfemie di ignoranti e instabili. Volgari commenti paranoici
al criterio alto di Dio (Non ti è lecito. . . !) espresso dal predicatore,
sprezzato per la sua giovinezza, sprezzato per la sua adesione senza
compromesso al dato scritturale, sprezzato per aver proclamato la verità
con dieci parole.
Dunque: Giovanni si è sbagliato? E in che cosa si sarebbe sbagliato?
Non ha tenuto conto di qualche cosa? Ha omesso qualcosa? Ha trascurato qualche concetto? Non ha commentato il brano giusto? C’è
qualcosa da aggiungere o da togliere alla sua predicazione? Non è stato
buono?
La risposta a Lettore “intelligente” (Proverbi).
Che cosa fa Antipa
La storia descrive Erode Antipa come un governante astuto, superbo,
corrotto, con qualche preoccupazione per il bene pubblico e con certe
caratteristiche di sentimentalismo religioso. Ricorda qualcuno, ma in
questo momento non ce ne sovviene il nome. Ci si rammenta però
che Gesù, dotato di parola creativa, lo ha significativamente paragonato
a una «volpe» (Lc. 13, 32). La presentazione che ne fa Marco sembra
più dolce:
Erode aveva soggezione di Giovanni, sapendolo uomo giusto e
santo, e lo proteggeva; dopo averlo udito era molto perplesso e lo
ascoltava volentieri (Mc. 6, 20).
Giovanni sarà pure giovane, ma incute; Antipa ne ha soggezione.
Quanto alla protezione del tetrarca, non ricorda un po’ quella offerta
dal padrino all’ecclesiastico? Ma questo predicatore è fatto di ben altra
stoffa. Antipa lo ascolta “volentieri”, come fanno tutti gli uomini di
potere (cfr. Atti 26, 28). Ascoltano. E basta. Sono perfetti uditori inetti
(Giacomo). Ha ragione Gesù, Antipa è «volpe».
33
r. tondelli – non cadrà
Però c’è un lato di Erode Antipa che è estremamente interessante. La
parola proclamata da Giovanni lo rende “molto perplesso”. Questa
espressione invita a entrare nel suo cervello volpino mentre rimugina
le parole della predica: E se avesse ragione lui? Se fosse davvero illecito
il mio matrimonio con la moglie di mio fratello. . . ? In fondo gli ho
fatto proprio una porcata a Filippo, ho leso il suo diritto. . .
La notte Erode dorme poco e male. Pensa: Come mai Erodiade,
che pure faceva la bella vita a Roma con mio fratello, mi ha seguito
tanto facilmente? Solo per la mia bella faccia? Una sera Filippo m’aveva
accennato a qualcosa che non andava fra loro. . .
Erode pensa, ripensa, si spreme le volpine meningi: E se Giovanni
avesse ragione. . . in fondo in fondo, di Erodiade mi sono già un po’
stancato; donna ancor bella sì, ma noiosa come la goccia cinese; anche
nell’intimità non fa che battere sempre sullo stesso tasto: fai fuori
Giovanni! Se, invece, io seguissi il consiglio di Giovanni, allora dovrei
rimandarla da mio fratello, e così. . . Ma guarda il caso! la predicazione
di Giovanni si sposa bene con gli interessi miei. . . Come dice quel
versetto? quello che Giovanni ripete sempre. . . ? Me lo devo far ridire
quel versetto quando lo incontro, può tornarmi utile. . . O che c’è di
male se una tantum la Legge serve anche ad personam regis, per l’interesse
personale del re! C’è chi fa i salti mortali pur di far dire alle Scritture ciò
che gli conviene in quel momento; e questo Giovanni predica proprio
ciò che potrebbe convenire a me. . .
Commentiamo: ha ragione Gesù: Erode Antipa è «volpe».
Attualizziamo: qualche cristiano ragiona come lui. Faine che
pensano d’esser furbe, che entrano nell’ovile per distruggere e
rubare, che sbranano versetti a seconda del loro comodo interesse
personale privato.
Riflettiamo: grande Giovanni! predicatore coraggioso che rimprovera un porco, che è anche volpe — e poi dicono che l’evoluzionismo non esiste! Giovà, ma chi te lo fa fare! Non gettare le perle ai porci,
che le calpestano. Non dare ciò che è santo ai cani, che ti sbranano, dai retta
a Gesù. Predica, e sarai salvato tu e quelli che ti ascoltano, dai retta a Paolo
apostolo. Le tue dieci parole sono distorte ad arte dalle “piccole
volpi” (Salomone) che ti attorniano e sorridono mostrando i canini.
Ti fraintendono apposta. Fingono di non capire. Fingono di non
sentire. Fanno i tonti e i finti tonti. Hanno facce adatte. Criticano i
tuoi modi di fare e di dire per non sentire la parola nobile “Non
ti è lecito. . . !”. Criticano i tuoi modi e i tuoi sandali e il tuo vestito
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˙ non cadrà / 3
di pelo di cammello e invidiano anche il tuo “miele selvatico”, che
invece dona potenza e freschezza e veracità alle tue parole, in dolce
armonia con le parole del tuo Dio, sia benedetto in eterno!
Ringraziamo: Grazie, Giovanni, perché hai evangelizzato/bastonato Antipa con dieci parole, come merita il suo scandalo.
Grazie perché sei un esempio raro di serietà per tutti gli stolti
buonisti di ieri e di oggi. Grazie per la tua franchezza, che
gli ignoranti instabili tentano di seppellire nella discarica del
religiously correct, che è la sottile vergognosa ipocrisia religiosa di
alcuni cristiani e di qualche chiesa. Grazie, perché nonostante
tutto ti sei guadagnato persino la soggezione della “volpe”, ma
molto più perché hai meritato onore, onore di Dio presso Dio,
sia benedetto in eterno!
Che cosa fa Erodiade
Nulla. Non fa nulla. Non può fare nulla: «desidera ardentemente far
morire Giovanni, ma non può, perché Erode ha soggezione di lui. . . »
(Mc. 6, 19b).
Nel dramma che si svolge dinanzi a noi, l’azione dei personaggi è
bloccata. Calma piatta. La gente — popolo, potenti e parenti — tace
bloccata dall’omertà. Erode forse vorrebbe, ma non può. Erodiade
vorrebbe, ma non può. L’azione drammatica è ferma. L’unico personaggio libero di agire è il predicatore che dichiara e ripete: “Non ti è
lecito. . . !”
Il problema degli altri è: come fermare Giovanni; come distruggere
Giovanni; come liberarsi di Giovanni; oppure come usare Giovanni.
Erodiade attende, non come Penelope ma come una mantide. Attende e tace: «. . . serbava rancore a Giovanni e desiderava ardentemente
di farlo morire» (Mc. 6, 19a). Il rancore è sordo. E quindi muto:
— Erodiade tace forse in ossequio al famoso «tacciansi le donne»?
(1 Cor. 14, 34 — v. contesto);
— tace forse perché persuasa che alla donna «non è permesso usare
autorità sull’uomo»? (1 Tim. 2, 12 — v. contesto);
— tace forse per rispetto di «le donne stiano sottomesse, come dice
anche la Legge»? (v. contesto);
— No, Erodiade tace per odio. Glielo si legge in faccia. Tace per
malanimo. Tace per rancore. . .
Il rancore le stravolge i tratti del volto, non più solare e alto, ma
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r. tondelli – non cadrà
cupo e basso, come quello di un Caino femmina (Gen. 4, 7a). Dolci
massaggi e balsami d’oriente non riescono a cancellare la tensione dal
suo viso, che è livido, scheletrico; borse scure sotto gli occhi infossati
e fissi, a rimuginare; le labbra sottili, un filo scuro, serrate; la mascella
contratta. Ultimamente Erode le ha chiesto: “Ma che hai, stai male?”
Lei non ha risposto. Ma sta male dentro e fuori. E una donna in queste
condizioni non è buona moglie. La sua è una lunga attesa snervante.
Silenzio interminabile è il suo. L’odio femminile è un peccato perfetto. Il
suo volto si distende solo quando, nelle stanze interne del palazzo, dove
accedono solo le donne, può incontrare Salome, ridente e ambiziosetta.
Erodiade la guarda: come è cresciuta! le è venuto il seno, le cosce sono
ben tornite, è ben formata, il volto radioso. E come somiglia al padre!
In fondo Filippo è un bell’uomo. . . ne ricorda gli abbracci e l’amore. . .
e rivede la splendida vita di corte a Roma. Roma, che splendore! e che
vita! non come questi buchi di città, Tiberiade e le altre, con la gente
che puzza e predicatori che predicano, predicano sempre, e le mettono
l’agitazione addosso. Erodiade cogita: Ma perché ho corrisposto all’amore
di Antipa? ma perché ho lasciato il certo per l’incerto! e questa figlia
bella che cresce, che ne sarà di lei? E quello predica, predica. . .
Rancore e amore materno albergano entrambi nel cuore di Erodiade,
e finché i due sentimenti restano separati e distinti
l’azione drammatica non parte.
[C. Dickens insegna: lo stolto giudica in base a “fatti, fatti, fatti”.
Il sapiente ascolta, analizza, dialoga, medita, riflette, considera, valuta,
riascolta, in ogni cosa, anche nelle questioni concernenti mogli e mariti
e figli e motivi e ragioni e pro e contro e amori e tradimenti e adultèri
e fornicazioni — non è certo questa la via battuta dai superficiali che
tutto banalizzano; ma questo è un discorso su cui forse si tornerà altra
volta.]
«Il tempo e le circostanze» (Qohelet)
Tutto tace nella reggia. Erode sorseggia un tè. Erodiade brama e medita.
Salome canticchia e accenna un passo di danza. Ma:
Ma venne un giorno “opportuno”. . . (Mc. 6, 21).
Giorno opportuno per Erode: al suo compleanno potrà esaltare
la propria ambizione, pavoneggiandosi dinanzi ai primi di Galilea.
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˙ non cadrà / 3
Giorno opportuno per Erodiade: è il natale di Erode, si prepara
la festa. E finalmente tra i due poli opposti del rancore e dell’amore
materno scatta la scintilla creazionale che scatena il dramma. Erodiade
ora sembra sorridere dentro di sé. Vede uno spiraglio alle sue brame:
Ma come ho fatto a non pensarci prima? Disporrò che tra le danzatrici,
una si distingua su tutte, mia figlia! Mi gioco la dote che. . .
— Il rancore trova nell’amore materno lo strumento semplice e ideale per attuare ciò che desidera ardentemente: la morte dell’odiato
predicatore;
— Quali e quante cose non si fanno usando i propri figli per i propri
scopi. . . Sventurato chi, avendo genitori, è moralmente orfano.
Giorno opportuno per Salome: mamma mi ha fatto una bella
promessa; ho quindici anni e potrò danzare davanti al tetrarca e agli altri
uomini adulti; entro in società! L’ambizione presuntuosa di Salome sta
montando di ora in ora come la marea assassina di Mont Saint Michel:
— si sente bella, sa di esserlo, ma non è guardata né ammirata come
pensa di meritare: è del tutto priva di modestia;
— non ha nessuna stima del padre, Filippo, che si è fatto togliere la
moglie di sotto il naso; non lo conosce bene, ma deve essere un
imbecille;
— non ha né stima né attaccamento per il patrigno, Antipa; non le
è permesso vederlo spesso, ma certe volte ha sentito gli occhi di
lui su di sé. . .
— per questo non riesce a provare né stima né rispetto per gli
uomini in genere, la sua cifra è il disprezzo verso gli altri;
— è consapevole del suo status, e da un po’ di tempo in qua ha
cominciato a non salutare quelli più grandi di lei; talvolta anzi
risponde loro in malo modo; nessuno può più rimproverarle
nulla; invece di ascoltare, dà in escandescenze; l’ambizione la
rende altezzosa mentre pensa al ballo: Avrò gli occhi di tutti
appuntati su di me! Com’è bella la vita. . . !
Il ballo
Salome, «figlia della stessa Erodiade, essendo entrata, ballò e piacque»
moltissimo a Erode e agli invitati (Mc. 6, 22a).
Guardando la scena di danza lo spettatore deve fare doppia attenzione.
Gli spettacoli sono due. C’è infatti lo spettacolo offerto dalla danzatrice.
Salome è stata ben preparata dalla madre. Sono alleate. Le sue lezioni
37
r. tondelli – non cadrà
di danza si sono svolte nelle stanze interne, ed ora è il momento della
rivelazione artistica erotica della fanciulla.
L’altro polo d’attenzione è quello offerto dagli spettatori. E tra loro,
anzitutto Antipa: i suoi occhi. Da tempo non vedeva la giovanetta, ma
ora ne può ammirare le grazie!
Che cosa vedono i miei occhi! capelli, spalle, seni, fianchi, gambe
tutto si muove con armonia attraente (sex appeal, è più esotico) che mai
sazia l’occhio. Il corpo mi sembra quello che fu di Erodiade, ma oggi
lei è flaccida, mentre sua figlia, che figlia! (= nel dialettale ‘figghia’ la
gutturale può esprimere il gusto goloso dell’eros scatenato). Il vecchio
porco–volpe la vede con gli occhi come fosse la prima volta. Vede e
gusta. Vede e confronta quel corpo con quello di sua moglie. . .
Gli occhi di Erode bevono la danzatrice e naufragano dolci nel mare
dell’adulterio:
— ma lui, adultero, può commettere adulterio? E che senso può
mai avere per un adultero commettere adulterio. . . ?
— ma se poi passa un po’ di tempo, il suo adulterio è ancora adulterio
o scade?
— Che significa: «hanno occhi pieni di adulterio che non possono
smettere di peccare. . . adescano gli instabili. . . » (2 Pt. 2, 14)?
La musica dolce e suadente si fa allegra e coinvolgente. La danza
lenta e ammiccante si fa frenetica e sensuale. . . gambe e seni e braccia
volteggiano, l’immagine penetra gli occhi, impatta il cervello, rimbalza
nel basso ventre di Antipa, che per una epifanica frazione di secondo
riesce finalmente a sbloccare ogni sua perplessità: Giovanni è proprio
bravo, predica proprio la verità! Non mi è lecito tenere la moglie di
mio fratello Filippo! Giustissimo! Ecco che farò: rimando la madre
e tengo la figlia!
— Guai (da Dio) a chi calunnia un predicatore di verità. E quasi
sempre guai (dagli uomini) quando al predicatore di verità gli
si fanno dei complimenti — il che non significa che non lo si
possa/debba stimare e ringraziare come «lavoratore che ha diritto
al suo salario» (1 Tm. 5, 18; N. Diodati);
— Che ci volete fare? la volpe–porco ha anche lui le sue aspirazioni
nella vita. . .
— Mia moglie non è stata poi un gran ché, in fondo mi son preso
lo scarto di mio fratello; da tempo Erodiade non mi dà alcun
piacere. . . carne vecchia, alterata;
— Carne, carne, carne! sarx, sarcoma, caro–carnis, carnale, carnalità,
38
˙ non cadrà / 3
carnalmente . . . ma la carne è debole. Debole? Gesù ha sbagliato.
Debolissima è! Carne del ventre di Erode. Carne del cervello di
Erodiade. Carne dei seni di Salome. Carne del collo di Giovanni.
— Se questa pulzella me la coltivo, sarà una compagna perfetta. . .
Salome volteggia leggiadra, ma consapevole. Antipa sul triclinio
muove a tempo di musica il suo vecchio deretano flatulento, accompagnando la fanciulla che ha già fatto sua (chi guarda una donna per
desiderarla. . . ). Inebriato di veli e trasparenze, è così eccitato che per
una volta nella vita si lascia andare a un sincero moto di profonda
generosità calcolata:
Ti giuro, Salome, che ti darò qualunque cosa mi chiederai, fosse
pure la metà del mio regno (Mc. 6, 23).
Il suo non è affatto un giuramento sconsiderato, come si ritiene, anzi
è ben pensato. È «la metà» del regno che si dà solo a una principessa. . . è
un’offerta ricca che, dietro l’iperbole apparente, cela intenzioni mirate.
Ma questa volta la volpe–porco ha fatto male i suoi conti. Non sa che
il male ha raggiunto il suo kairós, la misura è colma perché:
l’orgoglio di Eva — la malvagità di Jezabel — la calunnia di Miriam
la falsità di Saffira — le cosce della gran meretrice apocalittica
sono dèmoni che hanno atteso troppo a lungo imprigionati nella psiche
di Erodiade per non esplodere oggi, “giorno opportuno”:
tutte le cose false, tutte le cose vergognose, tutte le cose ingiuste,
tutte le cose impure, tutte le cose odiose, tutte le cose di cattiva
fama, quelle in cui c’è qualche malizia e qualche ipocrisia siano
oggetto dei vostri pensieri, delle vostre telefonate, delle vostre
chatting, del vostro facebook (dal Vangelo secondo Erodiade; si contrasti
con Fil. 4, 8 ss.).
Questo è il versetto del Vangelo che condanna a morte il giovane
predicatore Giovanni.
Doppio regalo
Il male è adesso una bomba ad alto potenziale deflagrante nelle parole
di una richiesta infame. La bella danzatrice esce di scena. Ed ecco che
il tempo dell’azione tragica accelera:
39
r. tondelli – non cadrà
Salome rientra frettolosamente (Mc. 6, 25a);
Voglio che sul momento tu mi dia in un piatto la testa di. . . (Mc. 6,
25b).
Una guardia va, decapita Giovanni e dà la testa a Salome.
Salome va e dà la testa di Giovanni a Erodiade. Doppio regalo.
Erodiade fa bingo.
Invece, la volpe–porco vede sfumare di colpo tutte le sue aspettative, i
suoi progetti, i suoi sogni erotici. Lo stolto persevera nella sua stoltezza:
— è molto triste, la volpe, per un problema causato dalle sue stesse
parole (Mc. 6, 26a);
— non riesce, cioè “non vuole” dir di no alla richiesta infame (6,
26b). È questione d’onore, e onore vuol dire non sottrarsi mai
alla parola data, quali che siano le terribili conseguenze che da
ciò possano scaturire; cioè onore = orgoglio;
— Io sono Erode Antipa, non devo ringraziare nessuno. Non
devo chiedere scusa a nessuno. Mai. Ne va del mio onore.
— Ma Erode è una volpe gabbata. Non ci arriva ad arraffare l’uva.
Perciò dice che è acerba. Oltre che volpe–porco, Erode Antipa
è anche uno stolto perfetto.
Come è andata a finire la storia / Come potrebbe finire / La
Vera Storia
Antipa e Erodiade — Accusato da Agrippa, fratello (coltello!) di
Erodiade, di essersi alleato coi Parti fornendo loro armi, Antipa verrà
mandato in esilio nelle Gallie, a Lugdunum (Lione), accompagnato da
Erodiade. Qui finirono i loro giorni.
Che peccato! Potrebbe finire diversamente: Antipa potrebbe ricordare le parole di una madre al re suo figlio:
. . . apri la tua bocca, giudica con giustizia,
fa’ ragione al misero e al bisognoso
(Prov. 31, 9).
I re hanno orrore di fare il male,
perché il trono è reso stabile con la giustizia
(Prov. 16, 12)
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˙ non cadrà / 3
Antipa potrebbe seguire il primo impulso della sua fede–per–paura e
tradurlo poi in fede–per–amore (1 Gv. 4, 18).
Erodiade potrebbe cercare di riconciliarsi con Filippo il quale, per
amore di lei e del politically correct forse la riprenderebbe (avere la moglie
accanto favorisce la carriera politica; se Hillary si è ripreso Bill. . . ).
Erodiade, una volta a Roma, potrebbe far tesoro delle prediche palestinesi
e fare quello che Giovanni suggeriva: cambiare mentalità, ravvedersi
(= metánoia), darsi alle opere buone (1 Tim. 5, 10; Ef. 2, 10).
E se Filippo la respingesse? Erodiade potrebbe/dovrebbe rimanere senza
maritarsi (come dice Paolo ai Corinzi, o no?!) e dedicare gli anni della
sua vita a tirare su bene la figlia, a darle una educazione al bene (Prov.
1, 8b), e vivere lei stessa per il bene.
Salome — Di lei si sa poco, come di chi pensava di contare e invece. . .
Ma con l’ambizione presuntuosa che si ritrova non le sarà difficile trovare
in questa società postribolare un Erode che le farà abbassare le penne.
Perseguendo ambizione, presunzione e supponenza, si incamminerà
sulla via della morte.
Che peccato! Potrebbe finire diversamente: in fondo è così giovane e forse potrebbe fare in tempo a imparare cose buone, a
vergognarsi e convertirsi prima che sia tardi:
Una donna bella, ma senza giudizio,
è un anello d’oro nel grifo di un porco
(Prov. 11, 22).
Parimente, voi più giovani, siate soggetti agli anziani. E tutti
rivestitevi di umiltà gli uni verso gli altri (1 Pt. 5, 5).
. . . la bellezza è cosa vana,
ma la donna che rispetta l’Eterno, è quella che sarà lodata
(Prov. 31, 30).
Giovanni — E Giovanni, che ne è di lui?
Ringraziamento: grazie Signore per la morte rapida concessa a Giovanni.
I discepoli andarono a prendere il suo corpo e lo deposero in un
sepolcro (6, 29).
A proposito, è bene non lasciare in ansia il superstiziosissimo Erode
e informarlo che il corpo di Giovanni è proprio sepolto. Giovanni sta
41
r. tondelli – non cadrà
bene e attende la risurrezione. Stai tranquillo, Erode, non è Giovanni
quello che predica. È Uno molto peggio di lui.
Il corpo è seppellito. Ma dov’è la testa del predicatore? Non se ne ha
notizia certa. Si registrano però varie interessanti tradizioni reliquiarie
per le quali ci sarebbero parecchie teste di Giovanni sparse per il
mondo e ben conservate. La cosa dev’esser vera, ci sono infatti tutt’oggi
molti predicatori che continuano con coraggio, fiducia e speranza a
proclamare le dieci parole: Non ti è lecito sposare la moglie di un altro!
Vecchie volpi porcine, flaccide Erodiadi malevole, volgari Salome
ancheggianti cercano ancora oggi di sbarazzarsi delle belle teste dei
predicatori giovannei. Non ci riusciranno. La testa di Giovanni non
cadrà. Starà saldamente al suo posto. E la sua parola continuerà a incutere.
Perché Giovanni sta lavorando bene, con serietà e forza e umiltà, perché
è Dio colui che lo sostiene. E chi vuol rompere i camilleriani gabbasisi
lo vada a fare sulla swiftiana isola di Laputa:
Quello che predica è Giovanni, è lui risuscitato!
La tragedia è finita. Il narratore Marco ha un’esitazione. Guarda il
pubblico che pende dalle sue labbra come il bambino che vuole ancora
altra storia. Poi conclude:
C’è una storia piccola piccola scritta dagli uomini coi loro atti
piccoli piccoli e misfatti frutto di piccolezza. Questa storia vi ho
narrato. Ma c’è una storia grande grande, scritta da Colui che solo
è Buono e che pesa i cuori. In questa storia grande grande non
è Giovanni il decollato, ma è lui che ha decapitato i suoi nemici
con la spada della parola, eterna, benedetta in eterno. Amen. Di
questa storia grande grande io conosco poche cose, ma solo Lui
la sa tutta e la scrive.
Chi presta attenzione alla parola se ne troverà bene,
e beato colui che confida nell’Eterno!
(Prov. 16, 20).
42
Saluto e invio
Durante le Feriae Augusti questo lavoro è stato svolto con fatica serena,
cercando di attenersi ai due opposti biblici che esigono da un lato di
Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza e dall’altro di Rispondere
allo stolto secondo la sua stoltezza, evitando di proposito di creare una
armonizzazione forzata e quindi falsa.
Navigando nel tratto di mare burrascoso compreso tra Scilla e Cariddi, forse si è presa qualche onda sulla fiancata invece che tagliarla di
prua, forse si sarà toccata qualche boa e si sarà perfino squarciata qualche
rete di pescatori di frodo. Ma si è evitato di urtare lo scoglio mortale di
parlare male, di fare mal/dicenza. Qui infatti si è scritto del male. Si
è enunciata e denunciata la maldicenza di coloro che, privi di dignità,
«non hanno orrore di dire male delle dignità» (2 Pt. 2, 11). Al dubbio
che queste noterelle riescano a indurre riflessione e ravvedimento negli
stolti, si risponde senza dubbio che:
Un rimprovero fa più impressione all’uomo intelligente,
che cento percosse allo stolto.
Anche se tu pestassi lo stolto in un mortaio in mezzo al grano
col pestello,
la sua follia non lo lascerebbe
(Prov. 17, 10; 27, 22).
Questi detti, pur saggi, sono propri della durezza e severità della
vecchia legge e non della clemenza e della bontà della dolcissima legge
del Vangelo (Nicodemo Agiorita). Si spera dunque che quel che è
zoppo guarisca e che la grazia del ravvedimento non manchi ad alcuno
(Eb. 12, 13 ss.).
Da ultimo, come mai Giovanni non ha/avrebbe evangelizzato Erodiade? Il problema, come altri su menzionati, rispecchia quaestiones
sorte negli ambienti teologici di Littoria (Latina), nome che echeggia
una latinità ormai decaduta, richiamato da Octavianus Augustus al
quale queste note sono collegate.
43
r. tondelli – non cadrà
Nel rispondere alla domanda, si può tentare l’approccio sociologico,
e considerare l’impossibilità di Giovanni di accedere alle camere più
interne del palazzo dove Erodiade risiedeva.
Adottando invece la teoria dei sistemi, si osserva che in fondo Erodiade fu evangelizzata eccome, tanto da manifestare una forte controreazione,
un odio rancoroso alla predicazione, tuttora non sopito.
Dal punto di vista testimoniale, si conferma poi che Erodiade fu
sicuramente evangelizzata da Giovanni, tanto che inizialmente affermò
d’aver lasciato suo marito Filippo per incompatibilità di carattere (prima
versione, disinteressata) e solo più tardi, dopo aver ascoltato l’Evangelo,
parlò di adulterio maritale (seconda versione, comoda). Come Erode,
anche lei era a caccia del versetto risolutivo per il suo caso. Per
trovarlo ebbe l’idea, non originale, di scrivere un suo Vangelo (v. sopra).
Va ritenuta testimone inattendibile, inaffidabile.
La verità è che l’evangelizzazione di Erodiade costituisce una vera impossibilità morale. Non gettate le vostre perle dinanzi ai porci. . .
«Non rivolger la parola allo stolto, perché sprezzerà il senno dei tuoi
discorsi» (Prov. 23, 9). Chi infatti usa la parola per intrighi e calunnie
contro il popolo della parola e contro coloro che — con scienza e
coscienza — predicano la parola, si iscrive nella lista dei peccatori
senza ravvedimento — battezzabili ed enumerabili certo, ma senza metànoia. Quel che fate ai miei discepoli lo fate “a me”, dice Gesù. Contro
questo genere di peccatori senza ravvedimento Gesù si esprime senza
mezzi termini: «Guai a te Corazin e guai a te Betsaida, perché non vi
siete ravvedute!» (Lc. 10, 13). E Paolo apostolo non è da meno. Dinanzi
ad alcuni che si induriscono e dicono male della chiesa (= Cristo =
“nuova Via”), Paolo “si ritira” da loro e addirittura “separa” i discepoli
da loro (Atti 19, 9). Anche questo è esempio apostolico.
Dal punto di vista linguistico, si dice che Giovanni “non evangelizzò”
Erodiade nello stesso senso in cui si dice che “non si vende” ghiaccio
agli eschimesi o sabbia agli africani.
Perché Giovanni non ha/avrebbe evangelizzato Erodiade? La verità, per
dirla con eleganza, è che la domanda è mal posta (eufemismo, per non
dire altro).
Infine, per compiutezza: cui prodest? A chi interessa porre tale
domanda? Si tenta forse di mettere Giovanni in cattiva luce? forse
per tagliargli la testa? A chi interessa far fuori Giovanni con veemenza
malevola, mostrando i segni inequivoci del male, senza curarsi che
fra il pubblico ci sono famiglie, ragazzi che crescono, persone che
amano la parola e si stanno avvicinando alla parola? Interessa a Erode?
a Erodiade? a Salome? o forse interessa a un sergente del palazzo che vuol
mettersi in mostra per ottenere un avanzamento di grado?
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˙ saluto e invio
Odio, rancore, ignoranza, doppiezza e un tocco d’invidia spiegano
atteggiamenti e comportamenti, e non necessitano di giustificazioni per
la loro azione mortale. Se si comprende chi è Erodiade/Erode/Salome,
la teologica qestione (accusa) si dimostra priva di senso, infondata. Per
questo ha senso chiedersi: cui prodest? A chi interessa? A chi giova?
In assenza di un cui prodest, non esiste alcun problema “dottrinale” che
non si possa risolvere con preghiera, studio, cura, rispetto, attenzione
al testo biblico originale. Ma occorre imparare a non voltare la faccia
dall’altra parte. Occorre imparare che gravi questioni etiche come quelle
qui accennate sono “dottrinali”. L’ignoranza presuntuosa in ambito
biblico non deve passare. Bisogna resistere, resistere, resistere all’ignoranza
presuntuosa, manifestazione di evangelistica reputazione immeritata.
Mirare al cui prodest è l’esatto contrario di un criterio fondamentale praticato e insegnato da Gesù, dagli apostoli e da molti (non tutti)
primi cristiani:
Cosa più felice è dare che ricevere (Atti 20, 35);
Infatti non ho nessuno d’animo uguale al suo [di Timoteo] e
che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre, perché tutti
cercano i propri interessi, non quelli di Cristo Gesù. . . ma egli
[Timoteo] ha servito l’Evangelo con me. . . (Fil. 2, 20 s.; Bibbia
TOB–NT).
L’esempio di Gesù e Timoteo è buono. Può/deve essere attuato
da discepoli e discepole. Ma quel «tutti cercano i propri interessi» fa
pensare. E dovrebbe preoccupare. Perché si tratta di una precisa accusa
realistica mossa da Paolo, ispirato da Dio. Ciò nonostante, c’è ancora
qualcuno d’animo generoso che «si occupa di cuore delle cose vostre»,
agendo per il bene altrui, per servire davvero l’Evangelo, comportandosi
con sapienza e discrezione e educazione e rispetto nella chiesa e per
la chiesa di Dio che è in Cristo Gesù. Dio aiuti il suo popolo a cercare
e trovare onore umile in Dio (Rm. 2, 7b).
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Piccola bibliografia
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finito di stampare nel settembre 2014.