LE PREVISIONI - Confindustria

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LE PREVISIONI - Confindustria
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
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Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
LE PREVISIONI
1.1. Economia italiana
Per il 2008 lo scenario del CSC si sintetizza in una crescita del PIL italiano pari all’1%, stima rivista al ribasso rispetto alla previsione formulata in settembre (1,3%) e ben al di sotto dell’1,8% atteso per il
20071. A condizionare negativamente le prospettive di crescita per
l’Italia saranno una
Tabella 1.1
congiuntura internazionale meno favorevole, soprattutto nella prima parte
Le previsioni del CSC per l’Italia
(variazioni percentuali, salvo diversa indicazione)
dell’anno, la forza dell’euro, l’elevato
2006
2007
2008
2009
prezzo del petrolio e condizioni più reQuadro macroeconomico*
strittive nel mercato del credito.
Nel 2008 scende all’1%
la dinamica del PIL.
Pesano petrolio, dollaro,
credito e debolezza USA
Nel 2009, in linea con una congiuntura
internazionale in miglioramento e grazie in particolare al superamento delle
attuali tensioni finanziarie e creditizie,
il PIL italiano è previsto in accelerazione a ritmi prossimi al potenziale (1,4%),
nonostante il persistere di un tasso di
cambio sfavorevole (Tabella 1.1).
Prodotto interno lordo
Consumi delle famiglie residenti
Investimenti fissi lordi
Esportazioni di beni e servizi
Importazioni di beni e servizi
Saldo commerciale1 2
Occupazione totale (Ula)
Tasso di disoccupazione3
Prezzi al consumo
Retribuzioni totale economia
Saldo primario2
Indebitamento della P. A.2
Debito della P. A.2
1,9
1,5
2,3
5,3
4,3
-0,6
1,6
6,8
2,1
2,8
0,1
4,4
106,8
1,8
1,9
2,6
3,9
3,4
-0,1
0,8
6,2
1,8
2,5
2,6
2,2
104,8
1,0
1,2
1,6
3,8
3,7
0,1
0,6
6,0
2,2
3,4
2,5
2,2
103,4
1,4
1,4
2,1
4,4
4,6
0,3
0,9
5,8
2,0
2,7
2,6
2,1
101,2
* Dati annuali non corretti per le giornate lavorative.
1
2
3
Fob-fob; valori in percentuale del PIL; valori percentuali.
Nel 2008 l’attesa decelerazione della
domanda estera e
dei consumi interni determinerà un rallentamento della produzione industriale rispetto
alla seconda metà del 2007, quando già si è manifestata una certa debolezza2. Tale prospettiva risulta confermata dalle indicazioni che provengono dalle indagini ISAE sul clima di fiducia degli imprenditori e, in particolar modo, dalle aspettative di produzione e
ordini per i prossimi mesi (Grafico 1.1).
Rallenta la crescita
di produzione
e investimenti
1 Il profilo di crescita trimestrale nel corso del 2007 risulta moderato e la confortante espansione in media d’anno è
in buona parte dovuta alla forte dinamica di fine 2006 che ha determinato un trascinamento dell’1,1%. Viceversa,
il trascinamento nel 2008 è molto basso (0,4%) a causa della stima non brillante per il quarto finale del 2007 (0,3%
congiunturale).
2 Le indicazioni provenienti dall’indagine congiunturale condotta dal CSC lasciano prevedere un rimbalzo a novembre (+1,0%) della produzione industriale dopo il leggero calo registrato a ottobre (–0,3%).
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Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
Continuerà a rallentare anche la crescita
degli investimenti, dopo il rimbalzo del
Produzione industriale e fiducia delle imprese
terzo trimestre di quest’anno3. Per gli in110,0
8,0
Produzione industriale
vestimenti fissi lordi il CSC stima un in(var. % tendenziali; medie mobili su 3 mesi - scala destra)
6,0
105,0
4,0
cremento nel 2008 dell’1,6% (2,6% nel
100,0
2,0
2007), con una consistente frenata degli
95,0
0,0
investimenti in costruzioni (+1,4%, dal
-2,0
90,0
+3,5% nel 2007) cui contribuirà anche
-4,0
85,0
-6,0
l’andamento dell’edilizia non residenziaClima di fiducia delle imprese manifat. (gen. 2000=100)
80,0
-8,0
le pubblica. A frenare le decisioni di inve2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
stimento saranno sia l’incertezza sulle
Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT e ISAE.
prospettive della domanda finale, sia le
pressioni al rialzo sui tassi di interesse
dovute agli effetti della crisi dei mutui subprime americani, il cui impatto è stato finora limitato e si è tradotto in un aumento medio del costo del credito di 0,35 punti percentuali4. Inoltre è attesa la fine del lungo ciclo espansivo delle costruzioni residenziali, quale
conseguenza dell’inversione di tendenza dei prezzi degli immobili, fenomeno comune alla maggior parte dei paesi industriali (con l’eccezione di Germania e Giappone). Nel 2009
la ripresa della domanda globale consentirà una crescita del 2,1%.
Grafico 1.1
Nel 2008 i consumi
delle famiglie rallenteranno significativamente: il CSC stima una crescita dell’1,2% dal 1,9% dell’anno in corso. La tendenza alla moderazione, proseguirà anche nell’ultimo trimestre del 20075
(Grafico 1.2) ma si dispiegherà pienamente il prossimo anno, quando si sentiranno tutti gli effetti restrittivi della crisi
finanziaria, sotto forma di un rincaro del
costo del credito anche per le famiglie e
del rialzo dei prezzi energetici e alimentari. Il clima di maggiore incertezza dePoco vivaci i consumi
delle famiglie
3
Grafico 1.2
Clima di fiducia dei consumatori e consumi totali
(medie mobili su 3 trimestri)
12
1,8
Consumi totali (var. % tendenziali - scala destra)
1,6
10
1,4
08
1,2
06
1,0
04
0,8
0,6
02
0,4
00
Clima di fiducia dei consumatori (1980 = 100)
0,2
0
98
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT e ISAE.
È quanto rilevano le indagini condotte da Banca d’Italia - Il Sole 24 Ore (Indagine trimestrale sulle aspettative di inflazione e crescita, settembre 2007) e ISAE (Indagine mensile sulle imprese manifatturiere, novembre 2007).
4
Secondo una recente indagine condotta dal CSC vi è stato tra luglio e ottobre del 2007 un aumento medio dei tassi di interesse sul credito alle imprese pari a 0,35 punti percentuali. Non sono emerse invece indicazioni di un razionamento del credito che, sebbene più costoso, cresce ancora a tassi piuttosto elevati nell’ultima parte dell’anno
(vedi il riquadro Gli effetti sull’Italia del credit crunch internazionale).
5
Tale previsione è confortata dall’andamento negativo di alcuni significativi indicatori qualitativi provenienti dalle indagini ISAE: dopo il calo di ottobre vi è stato un considerevole deterioramento in novembre del clima di fiducia ed è peggiorato il giudizio su ordini e fatturato delle imprese che operano nei servizi alle famiglie, la componente più consistente dei consumi. La fiducia dei consumatori, in trend decrescente, è ai minimi da due anni.
Rallentamenti nella spesa privata sono suggeriti dall’ulteriore aumento in novembre dei giudizi sulla convenienza
del risparmio e dal calo di quelli relativi alla convenienza all’acquisto dei beni durevoli.
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GLI EFFETTI SULL’ITALIA DEL CREDIT CRUNCH INTERNAZIONALE
Rialzo dei tassi e maggiore selettività nell’erogazione dei prestiti. Questi sono gli effetti
già osservabili in Italia della crisi di liquidità e di fiducia nei mercati finanziari internazionali, innescata nel settore dei mutui subprime degli USA. La restrizione creditizia, che
ha preso la forma di un aumento del costo del denaro, frenerà la crescita del PIL, agendo sia sugli investimenti (anche in abitazioni) sia sul credito al consumo. L’impatto è stato tuttavia in parte compensato dalla rinuncia da parte della BCE di dar corso all’aumento del tasso di intervento che era stato annunciato prima dell’estate. Non si tratta comunque di un vero credit crunch, ossia di una minor disponibilità delle banche a erogare
prestiti, ma di un allargamento degli spread per quasi tutti i prenditori di fondi e di un
maggiore premio al rischio, che si traducono in un aumento del costo del denaro.
Quali sono in concreto gli sviluppi nel credito bancario alle imprese in Italia? Finora i
dati mostrano un’evoluzione di graduale restrizione. Tuttavia, la non felice coincidenza
con la prossima entrata a regime di Basilea 2 e la considerazione del particolare ruolo
della piccola impresa in Italia accrescono i rischi. Nell’immediato, l’indagine Banca d’Italia sulle banche1 eviGrafico A
denzia che nel Paese si è avuto nel terCredit standard applicati dalle banche in Italia
(indice di diffusione)
zo trimestre 2007 un significativo in0,40
nalzamento degli standard di credito
Negli ultimi tre mesi
0,35
applicati alle imprese (Grafico A).
Nei succesivi tre mesi
0,30
0,25
L’inasprimento è stato meno pronun0,20
ciato che nell’area euro, ma le banche
0,15
italiane si attendono che la restrizione
0,10
0,05
continui nel quarto trimestre. Una re0,00
strizione che riguarda in ugual misu-0,05
-0,10
ra i prestiti alle PMI e alle grandi im2003
2004
2005
2005
2007
prese, a breve e a lungo termine.
Fonte: elaborazioni CSC su dati Banca d'Italia.
Finora, però, non ne ha ancora risentito la dinamica dei prestiti al settore privato2 che in Italia, come nel complesso
dell’area euro, a settembre hanno registrato una crescita molto sostenuta: +10,6% tendenziale3, dopo l’11,1% di giugno (Grafico B) e con un profilo congiunturale del tutto simile
a quello dello scorso anno. Ma si tratta di variazioni che «guardano indietro» – riflettendo la storia dei precedenti dodici mesi – e non dicono molto sulle dinamiche future.
I mutui alle famiglie, invece, dopo il picco di marzo 2006 (+19,4% annuo), hanno frenato
già durante la seconda metà dello scorso anno e i primi mesi del 2007; dunque prima del
1 Condotta su 6 grandi gruppi bancari rappresentativi e che compongono la parte italiana dell’indagine trimestrale della BCE.
2 Anch’essi di fonte Banca d’Italia.
3 Pari a quasi tre volte la crescita del PIL in termini nominali.
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manifestarsi della crisi nell’estate di
quest’anno. Negli ultimi mesi si sono
stabilizzati su una dinamica nettamente minore, anche se ancora elevata
(+10% tendenziale a settembre, secondo i dati Banca d’Italia)4.
Grafico B
Il credito alle imprese in Italia
(variazioni % tendenziali e valori %)
12
Prestiti delle banche italiane
10
Tasso sui prestiti alle imprese
Tasso BCE
8
La turbolenza ha già avuto un impat6
to sui tassi. Il tasso medio sui prestiti
4
alle imprese è salito in agosto e set2
tembre (di 0,20 punti totali, fino al
5,8%), mentre il rialzo dei tassi BCE si
0
2002
2003
2004
2005
2006
2007
è fermato a giugno5. Dall’inizio della
*Prestiti: medie mobili a 3 mesi.
stretta BCE (fine 2005) il tasso sui preFonte: elaborazioni CSC su dati Banca d'Italia, Thomson Financial.
stiti è aumentato complessivamente
di 1,63 punti, meno di quello BCE (+2
punti). Ciò è in linea con l’esperienza
passata: nella fase di rialzo del 1999-2000 l’aumento del tasso ufficiale BCE fu di 2,25
punti e quello dei tassi sui prestiti di 1,23 punti. Il rialzo di questi ultimi si era allora fermato nello stesso mese in cui era terminato quello dei tassi ufficiali. Ciò sembra indicare che nella fase corrente i tassi siano sostenuti proprio dalla crisi di fiducia nei mercati finanziari, che ha comportato un balzo dei tassi interbancari, cioè di uno dei costi di
approvvigionamento per le banche6.
Secondo un’indagine ad hoc del CSC, a ottobre quasi la metà delle imprese italiane ha
subito un aumento dei tassi di interesse sui prestiti7, con un rincaro medio dello 0,35%.
Ad analoghe conclusioni giunge una rilevazione condotta da Assolombarda.
Dall’indagine CSC emergono anche dati confortanti: alla quasi totalità delle imprese
non sono state richieste ulteriori garanzie a seguito della crisi e l’entità del credito accordato è rimasta sostanzialmente invariata.
L’insieme di queste evidenze dice che le banche stanno soprattutto scaricando sulle imprese il maggior costo di approvvigionamento ed è probabile che tale tendenza prosegua nei prossimi mesi. Tanto più che la crisi estiva ha bloccato il meccanismo di cartolarizzazione dei prestiti, che aveva permesso di trasferire fuori dalle banche il rischio
dei prestiti e consentito di mantenere più basso, rispetto a quel che si sarebbe avuto altrimenti, il requisito di patrimonializzazione, cioè il capitale da remunerare.
Riguardo alle prospettive, l’indagine CSC segnala anche che nessuna impresa8 ha patito
in questa fase contraccolpi legati ai nuovi parametri di Basilea 2, che diventeranno pienamente operativi da gennaio 2008. L’intrecciarsi degli effetti della crisi finanziaria interna4
Dato l’aumento dell’importo medio dei mutui, a causa della crescita dei prezzi delle abitazioni, in termini di
numero di stipule la frenata dovrebbe essere ancora più forte.
5 L’ultimo rialzo del tasso BCE si è avuto il 13 giugno 2007.
6 Il tasso Euribor a 3 mesi è cresciuto dal 4,27% di inizio agosto al 4,81% a fine novembre.
7 A seguito della crisi finanziaria internazionale, secondo il 48,5% delle imprese.
8 Il campione è composto per lo più da imprese medio-grandi.
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zionale con quelli provenienti dall’applicazione di Basilea 2 costituisce però un fattore di
rischio importante per le imprese. Nei prossimi anni potrebbe in effetti cambiare l’atteggiamento delle banche, con la necessità di accrescere la loro dotazione di capitale. E dato
che il capitale è già divenuto più costoso sui mercati finanziari, si potrebbe determinare
un ulteriore aumento dei costi finanziari per le imprese. La questione è particolarmente
significativa in Italia, dove il peso delle piccole e medie imprese (PMI), per le quali Basilea
2 presenta rischi più elevati, è maggiore che nelle altre economie sviluppate.
Peraltro, aldilà di Basilea 2, in Italia la crisi finanziaria potrebbe avere un impatto maggiore proprio per la diffusione delle stesse PMI. Le PMI italiane hanno una qualità creditizia inferiore alle grandi, essendo indebitate in misura proporzionalmente maggiore
a breve termine e con elevata dipendenza da singole banche. Ciò riduce il loro rating e,
dato che in una crisi le banche tagliano le linee di credito inizialmente alle aziende considerate meno affidabili, aumenta la probabilità che esse subiscano per prime un eventuale razionamento (tanto più se si considera anche la maggiore rischiosità dei fidi di
minore entità). In aggiunta, un maggiore impatto sulle PMI si potrebbe avere visto il loro minor potere contrattuale nei confronti degli istituti di credito. Come per gli effetti di
Basilea 2, il più elevato peso delle PMI potrebbe generare un impatto della crisi complessivamente maggiore in Italia.
A fronte di questi rischi, vi sono alcuni dati favorevoli: il sistema bancario italiano è poco esposto in modo diretto alla crisi dei mutui subprime, ha fatto relativamente poco ricorso alle cartolarizzazioni e presenta un buon grado di patrimonializzazione.
terminerà un aumento del risparmio a scopo precauzionale e contribuirà a ridurre la propensione al consumo. La spesa delle famiglie subirà l’impatto negativo anche dell’aumento dei prezzi al consumo, più elevato nella prima parte dell’anno. Agiranno a sostegno dei consumi le misure fiscali, la dinamica retributiva nella P.A. (+4,2%) e nell’industria in senso stretto (+3,4%, come nel resto dell’economia) con l’entrata in vigore di alcuni importanti contratti di lavoro e la creazione di occupazione (+0,6%, dal +0,8% del 2007).
Nel 2009 l’attenuarsi della dinamica dei prezzi, l’ulteriore accelerazione dell’occupazione
e il venir meno delle tensioni creditizie favoriranno una crescita dei consumi dell’1,4%.
Regge l’espansione
delle esportazioni
Nel 2008, nonostante la decelerazione del commercio mondiale (Grafico
1.3), in particolare degli scambi nell’area dell’euro6, e la forza della moneta unica, le esportazioni italiane rallenteranno solo moderatamente, attestandosi nelle stime del CSC, al 3,8%7. La ripresa della domanda globale prevista per il 2009 riporterà al 4,4%
il tasso di crescita dell’export.
6 La
quota di esportazioni italiane nell’area dell’euro è del 60,4% (dati 2006).
la scarsa attendibilità della serie dei valori medi unitari all’export e all’import come misure degli andamenti di prezzo e, di conseguenza, la scarsa corrispondenza degli indici di quantità di commercio estero con i dati di
contabilità nazionale, si sconta una revisione da parte dell’ISTAT di entrambe le serie, che comporti un deciso rialzo dei dati sui volumi. Il miglioramento delle ragioni di scambio, basato sulle serie dei valori medi unitari di commercio estero, è condizionato al fatto che la revisione riguardi in misura paragonabile sia il lato dell’export che
quello dell’import.
7 Vista
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C
ENTRO
STUDIn. C
Scenari
economici
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Dicembre 2007
La maggiore dinamicità dell’export rispetto a quella dell’import e il guadagno
nelle ragioni di scambio (nell’ipotesi che
la dinamica dei valori medi unitari rifletta quella dei prezzi) determinerà un graduale miglioramento del saldo della bilancia commerciale. Dopo un 2007 ancora negativo (–0,1% del PIL) il saldo ritornerà a essere in avanzo nel 2008 (+0,1%).
Nel 2009 i progressi nello scenario economico internazionale consentiranno all’export di tenere il passo dell’import spinto
dall’accelerazione della domanda interna
e ciò migliorerà ulteriormente al +0,3%
del PIL il saldo commerciale.
Grafico 1.3
La performance delle esportazioni italiane
(variazioni %)
30
Commercio mondiale
25
Esportazioni italiane
20
15
10
5
0
-5
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT e Prometeia.
Nel 2009 le retribuzioni
reali più alte
di 635 euro
Secondo il CSC la crescita dell’occupazione nel 2008 cala allo 0,6%, dopo essersi già molto ridimensionata nel corso del 2007 (+0,8% dal
+1,6% del 2006), specialmente nell’industria in senso stretto e nei servizi privati. Il rallentamento è previsto intensificarsi nei prossimi trimestri. L’occupazione
dovrebbe tornare a espandersi a ritmi più sostenuti soltanto dalla seconda metà del 2008,
in linea con il maggior dinamismo dell’attività produttiva. Il contemporaneo e più accentuato rallentamento della crescita della forza lavoro – sembra essersi, infatti, arrestato l’aumento del tasso di partecipazione nel Mezzogiorno, soprattutto di quello femminile – determinerà comunque un’ulteriore riduzione del tasso di disoccupazione.
Grafico 1.4
Sebbene moderato, resta positivo il trend
delle retribuzioni pro capite reali che
continuano a crescere a ritmi superiori a
quelli della produttività (Grafico 1.4):
+4,5% negli ultimi sei anni (2001-2007),
contro +0,3%; l’anno prossimo +1,1% e
+0,4% rispettivamente.
Retribuzioni reali pro capite e produttività
(indici 2000 = 100)
108
107
Retribuzioni reali
106
105
Produttività
104
103
102
101
Nel 2008, anno in cui si concentreranno
100
numerosi rinnovi contrattuali, quali
99
quelli del pubblico impiego, del com98
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
mercio e di importanti settori dell’industria, sia le retribuzioni contrattuali sia
Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.
quelle di fatto registreranno una significativa accelerazione: +3,4% secondo le
previsioni del CSC per l’economia in complesso (+2,2% i prezzi al consumo). Le retribuzioni tornano a un passo più moderato ma comunque sempre nettamente superiore ai
prezzi al consumo nel 2009 (+2,7% contro +2,0%).
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Le retribuzioni di fatto per dipendente sono cresciute dell’1,4% a prezzi correnti durante
la prima metà del 2007 a causa dell’andamento molto contenuto delle retribuzioni nei servizi (+0,5%). L’aumento è stato, invece, molto sostenuto sia nell’industria in senso stretto
(+3,3%) sia nell’agricoltura (+5%). Complessivamente, le retribuzioni di fatto per dipendente dovrebbero crescere quest’anno al 2,5%, un incremento che non si discosta significativamente da quello delle retribuzioni contrattuali (+2,3% medio). Negli ultimi anni le
retribuzioni pro capite hanno più che mantenuto il passo con l’inflazione. Dal 2000 al 2006
le retribuzioni reali pro capite sono aumentate del 4,5% nel totale dell’economia e del 4%
nell’industria in senso stretto. Gli aumenti nell’intero periodo equivalgono, rispettivamente, a 1.087 e 958 euro di maggior retribuzione annua ai prezzi del 2006 e a incrementi
di 705 e 686 euro medi all’anno a prezzi correnti. Per il totale dell’economia, le retribuzioni reali pro capite sono previste crescere di un ulteriore 2,5% nei tre anni dal 2007 al 2009
(+3,2% nell’industria in senso stretto), con un progresso della retribuzione annua pari a
635 euro a prezzi 2006 (802 euro nell’industria in senso stretto).
L’inflazione rallenta
nel corso del 2008
Nella media del 2008 l’inflazione risulterà in aumento al 2,2% (+0,4 rispetto all’1,8% del 2007). La spinta che ha provocato il balzo dell’inflazione a ottobre e novembre scorsi, proveniente da energetici e alimentari, tenderà a esaurirsi nel corso del prossimo anno, anche se in parte travalicherà
nelle componenti core dei prezzi al consumo. Tanto che resterà una dinamica di fondo un
po’ più elevata rispetto alla dinamica contenuta osservata nei primi tre trimestri del 2007;
lo fanno presagire anche le crescenti tensioni sui prezzi alla produzione (vedi il riquadro
Il rialzo dell’inflazione: un pericoloso falso allarme). Quale risultato netto di queste due tendenze opposte, il CSC prevede un graduale rallentamento nel corso del 2008, verso l’1,9%
a fine anno. Nel 2009 l’accelerazione dell’attività economica e il rialzo del petrolio, dopo
la flessione attesa per l’anno venturo, porterebbero a un profilo di nuovo lievemente più
sostenuto, con una media d’anno al 2%.
Saldi di
finanza pubblica
migliori delle attese
Il CSC prevede per il 2008 un indebitamento pubblico al 2,2% del PIL,
comprensivo degli effetti della manovra di bilancio8. La stima coincide con quella del Governo, ma è ottenuta in presenza di una crescita
inferiore (–0,5 punti percentuali) e di un netto miglioramento del saldo di bilancio già nel 2007 (con un effetto di trascinamento sull’anno prossimo), determinato da un più forte aumento delle entrate (+6,2% nello scenario CSC) e da una crescita
delle spese lievemente minore (+1,4%). Per il 2009 l’indebitamento è previsto ridursi al
2,1% del PIL (stima tendenziale) grazie a una decelerazione delle uscite (+3,4%, dal +4%
del 2008).
L’avanzo primario della P.A. si attesterà al 2,5% del PIL nel 2008, in lieve riduzione rispetto al 2,6% previsto per il 20079. Nel 2009 tornerà al 2,6% del PIL.
8
Alla luce della sostanziale coincidenza tra la stima tendenziale e quella programmatica per il 2008, la manovra
netta presentata dal Governo nella RPP dello scorso settembre si può definire non correttiva ai fini del risanamento, così come preannunciato nel DPEF dello scorso luglio, bensì peggiorativa.
9 Si tratta comunque di un livello molto alto rispetto a quello registrato fino al 2006, quando è arrivato a toccare lo
0,1% del PIL.
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IL RIALZO DELL’INFLAZIONE: UN PERICOLOSO FALSO ALLARME
Il doppio balzo dell’inflazione in ottobre e novembre era atteso. È la conseguenza diretta e
immediata dei forti rincari delle materie prime energetiche e alimentari. Non è un fenomeno italiano ma internazionale: accelerazioni analoghe o perfino superiori a quella registrata dai prezzi al consumo in Italia (l’incremento annuo è salito dall’1,7% di settembre al
2,4% di novembre, secondo i dati preliminari1) si osservano in tutti i maggiori Paesi, dentro e fuori dall’Europa (con l’eccezione del Giappone). Inoltre, se confrontato con le dinamiche passate, l’incremento dei prezzi rimane molto contenuto. Infine, le previsioni degli
analisti e le aspettative dei mercati, incorporate nei tassi a lunga, indicano che si tratta di
un fenomeno destinato a rientrare in tempi brevi, di uno scalino nell’indice dei prezzi anziché dell’avvio di un vero processo inflattivo. Perciò il rischio inflazione è un falso allarme. Che contiene però il pericolo di autorealizzarsi, se contribuisse a mettere in moto una
rincorsa tra prezzi e salari a partire dai settori protetti dalla concorrenza con l’estero.
Il rialzo dell’inflazione negli ultimi due mesi si deve anzitutto ai prezzi delle due componenti più volatili: i prodotti energetici e gli alimentari freschi sembrano aver accelerato ancora a novembre2 (mese per il quale non è ancora disponibile la disaggregazione completa), dopo essere entrambi risaliti in ottobre al 3,1% tendenziale3. Si tratta cioè
di inflazione importata e tale per cui una moderazione dei prezzi delle corrispondenti
materie prime porterebbe ad altrettanto rapide decelerazioni. Più preoccupanti sono i
possibili effetti di second round, cioè auGrafico A
menti dei listini finali causati dai rincari
Componenti dell’inflazione italiana
delle materie prime (soprattutto energe(variazioni % tendenziali)
tiche), che potrebbero materializzarsi
4
14
però solo nel medio-lungo termine.
12
3
10
Anche la core inflation (al netto di prodotti energetici e alimentari non lavorati), rimasta moderata negli ultimi sei mesi tra
l’1,8 e l’1,9%, è risalita a ottobre (al 2,1%,
secondo l’indice armonizzato4; Grafico
A), risentendo soprattutto dei rincari di
alcuni beni alimentari lavorati (come la
pasta). In complesso, i prezzi degli alimentari lavorati hanno accelerato al
3,3% a ottobre, dal 2% toccato a luglio.
1
2
8
1
6
0
4
-1
-2
2
Alimentari
freschi
Core inflation
0
Energia (scala destra)
-3
2005m01
-2
-4
2006m01
2007m01
Fonte: elaborazioni CSC su dati EUROSTAT.
L’indice armonizzato per confronti europei segna a novembre un incremento più marcato, al 2,5%.
Forti rialzi si sono avuti a novembre per i prezzi dei due capitoli dell’abitazione, acqua, elettricità e combustibili (2,8% tendenziale) e dei trasporti (3,9%) che comprendono tutte le voci di spesa rappresentative della componente energetica. Anche il complesso dei beni alimentari segna una ulteriore accelerazione dei prezzi, al 3,7%.
3
Tra gli alimentari freschi, sono in forte accelerazione a ottobre 2007 il prezzo di latte (+5% tendenziale), pollame (+7,3%) e frutta fresca (+5,7%). I prezzi degli ortaggi e legumi freschi restano invece molto moderati (1,9%).
4
Secondo l’indice nazionale la risalita dell’inflazione di fondo è stata lievemente meno marcata, di due decimi,
dall’1,6% all’1,8% a ottobre.
2
16
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
Va notato che le accelerazioni nella dinamica di fondo dei prezzi al consumo sono più
lente a materializzarsi ma molto più persistenti. Nei prezzi al consumo anche la componente dei beni industriali non energetici è in graduale risalita (all’1,7% a ottobre), dal
minimo di luglio (0,9%), mentre i servizi, cioè la componente principale della core inflation, stanno oscillando senza per ora una chiara tendenza (2% annuo a ottobre, 2,3% a
luglio e 1,7% a settembre5); nei primi anni dell’area euro era proprio la sostenuta dinamica dei prezzi dei servizi a pesare sull’inflazione italiana.
2007/1
2006/1
2005/1
2004/1
2003/1
2002/1
2001/1
2000/1
1999/1
Alcune tensioni si sono manifestate anche nei prezzi alla produzione. L’incremento annuo di quelli dei beni di consumo è risaGrafico B
lito fino al 3,2% a ottobre 2007 (Grafico
Prezzi alla produzione in Italia
B). Tra i listini industriali migliori notizie
(variazioni % tendenziali)
vengono dai prezzi alla produzione dei
10
beni intermedi – sostenuti lo scorso anno
8
dai rincari delle quotazioni dei metalli –
6
che stanno decelerando significativamen4
te (3,7% annuo, da un picco del 7,6% a ottobre 2006). Tuttavia, la loro dinamica re2
sta elevata. Nel complesso, la crescita dei
0
prezzi alla produzione si sta accentuando
Beni intermedi
-2
Beni strumentali
e per i beni di consumo è tornata ai ritmi
Beni di consumo
-4
del 2001, quando l’inflazione italiana era
sì superiore al 2%, ma sempre a livelli
non allarmanti.
Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.
Sul fronte dei costi interni, gli andamenti sono complessivamente favorevoli. Se il costo del lavoro per unità di prodotto, che è
la principale determinante dell’inflazione, nell’industria in senso stretto ha accelerato il
ritmo di incremento (+3,6% tendenziale nel secondo trimestre del 2007), nell’intera economia ha invece decisamente frenato dalla fine del 2006, registrando addirittura variazioni annue negative, grazie sia a un lieve recupero della produttività sia alla moderazione del costo del lavoro.
Nell’industria in senso stretto nella prima metà del 2007 si è osservata una nuova compressione dei margini (misurati dal mark-up)6, dopo un intero decennio di lievi ma costanti erosioni. Questo conferma che non ci sono spazi per trasferire a valle tutti i rincari dei costi, sia a causa della concorrenza internazionale sia per la fiacchezza della domanda finale interna.
I rincari delle materie prime, ampiamente riportati sui media, hanno peggiorato nettamente le aspettative di inflazione dei consumatori, che in Italia sono salite al massimo
5
A novembre una spinta al rialzo è venuta dalle comunicazioni (i cui prezzi restano però in calo dell’8,1% tendenziale). In vari altri comparti dei servizi i prezzi hanno invece rallentato (spese per la salute, servizi ricettivi
e di ristorazione, istruzione).
6
Il prezzo dell’output è aumentato del 3,2% dal quarto trimestre 2006 al secondo trimestre 2007, superato dai
costi unitari variabili (+3,7%).
17
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
dal maggio 2005. Nel resto dell’area euro sono addirittura superiori e si attestano, nel
complesso di Eurolandia e in Germania, ai massimi dal marzo 2003, cioè quando ancora si sentivano gli effetti del changeover; in Francia hanno segnato il record dell’intera serie storica (che risale al 1985). Il rischio, non solo in Italia, è che tali aspettative si tramutino in crescenti richieste salariali7.
L’aumento dell’inflazione si è verificato, come accennato sopra, in tutta l’area euro, dove in novembre ha toccato il 3%. Come in Italia, a spingere il rialzo degli ultimi mesi sono state la componente energetica (salita al 5,5% tendenziale a ottobre) e i prezzi degli
alimentari freschi (3,1%), ma ha contribuito anche la core inflation, tornata a ottobre al
2,1%, anch’essa sopra la soglia BCE8. Tra le sue componenti, come in Italia, i beni industriali non energetici sono in lievissima risalita (1,1%) mentre gli alimentari lavorati
stanno accelerando rapidamente (3,8%); i servizi sono invece rimasti stabili al 2,5%.
L’inflazione nell’eurozona, anche più di quella italiana, pur ipotizzando un’assenza di
nuove fiammate delle materie prime, è destinata a restare nel prossimo anno sopra il
2%, che è la soglia BCE.
7
8
E, soprattutto, diano origine a nuove spirali prezzi-salari.
Riferita, però, unicamente all’inflazione generale.
Secondo le previsioni del CSC il debito pubblico nel 2008 sarà pari al 103,4% del PIL, in
ulteriore calo dal 104,8% del 200710; si tratta di uno scenario migliore di quello del
Governo spiegato dal più basso indebitamento nel 2007. Nel 2009 toccherà il 101,2% grazie alla crescita nominale del PIL superiore alle previsioni del Governo.
Grafico 1.5A
La spesa per interessi nel 2008 subirà una
brusca frenata (+4,2% rispetto al +9% del
2007), confermata anche nel 2009
(+2,5%). Ciò in virtù del calo del rapporto debito-PIL e di tassi di mercato in discesa nel corso del 200811.
Entrate e spese pubbliche: tassi di crescita…
(variazioni % annue in termini reali)
9,0
Entrate P.A.
6,0
Spese P.A.*
3,0
0,0
Nel 2008 l’incidenza
-3,0
sul PIL delle entrate
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006* 2007 2008 2009
continua a mante* Le spese sono calcolate al netto degli oneri straordinari.
nersi alta, nonostante la loro crescita ralFonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.
lenti (+3,8% rispetto al +6,2% del 2007).
In rapporto al PIL le entrate complessive della P.A. si attesteranno al 46,8% nel 2008 (mantenendosi al livello del 2007), per poi scendere lievemente al 46,7% nel 2009. In particolaEntrate ancora alte
sul PIL
10 La
riduzione del debito nel 2007 è sostenuta dall’andamento positivo del fabbisogno della P.A. che ha continuato a diminuire, avvicinandosi al minimo storico toccato nel 1997 (1,6%), secondo gli ultimi dati Banca d’Italia.
11 Secondo le stime del CSC, la spesa per interessi sarà pari al 4,8% del PIL sia nel 2008 che nel 2007 e scenderà al
4,7% nel 2009.
18
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
re, la pressione fiscale, dopo aver toccato
Grafico 1.5B
il 43% nel 2007, si stabilizza al 42,9% sia
… e in rapporto al PIL
(valori %)
nel 2008, a seguito degli interventi di ri55,0
duzione del carico fiscale12 previsti nella
Finanziaria, sia nel 2009, anche per gli efSpese P.A.*
50,0
fetti derivanti dalla rivalutazione dei beni di impresa introdotti già con la
45,0
Finanziaria per il 2006. L’eccezionale inEntrate P.A.
cremento registrato dalle entrate tra il
40,0
2006 e il 2007 è imputabile in parte alla
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006* 2007 2008 2009
buona crescita economica, in parte al mi* Le spese sono calcolate al netto degli oneri straordinari.
Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.
glioramento della compliance fiscale (vedi
il riquadro Evasori e tartassati: quanto incide davvero la pressione fiscale e i primi risultati della lotta all’evasione) e in parte ad altri fattori non chiaramente identificati.
<PIÙ CRESCITA E OCCUPAZIONE CON LA RIDUZIONE DI IRES E IRAP
La riduzione di 5,5 punti percentuali dell’aliquota IRES e di 0,35 punti dell’aliquoEffetti della riduzione delle aliquote IRES ed IRAP
ta IRAP, inclusa nella manovra finanziaria
2008
2009
2010
per il 2008, ha effetti positivi e immediati
% rispetto ai livelli tendenziali
sulla crescita del PIL e sull’occupazione. Scostamenti
PIL
0,34
0,62
0,70
0,71
1,38
1,40
Già nel 2008, il PIL risulterebbe dello 0,3% Investimenti
Consumi
0,58
0,99
1,05
più elevato rispetto all’andamento tenVariazioni assolute rispetto all’andamento tendenziale
denziale. Al termine del terzo anno di siOccupazione (migliaia)
48,4 104,8
145,8
mulazione, si avrebbero circa 150mila oc- Indebitamento netto in % del PIL
0,48
0,25
0,06
cupati in più. Gli investimenti, stimolati
dal miglioramento dei bilanci delle imprese e dall’innalzamento delle prospettive di domanda e i consumi, favoriti dalla crescita
dell’occupazione, trarrebbero la spinta maggiore dal provvedimento. Queste simulazioni
sono state condotte dal CSC senza considerare l’allargamento della base imponibile varato per finanziare il taglio delle aliquote; ciò perché gli effetti macroeconomici dell’allargamento sono difficili da imputare. Tale allargamento attenua gli effetti positivi del taglio
delle aliquote. Dal lato dei conti pubblici, gli effetti positivi della maggiore crescita sulle
entrate consentirebbero di recuperare gran parte della perdita di gettito determinata dalla riduzione di aliquote. Dopo tre anni, il rapporto tra indebitamento netto della P.A. e PIL
tornerebbe sostanzialmente sui livelli tendenziali. Questo è un aspetto molto importante
da considerare quando si varano misure di riduzione delle imposte.
12
La manovra finanziaria per il 2008 prevede l’introduzione di alcune misure a riduzione della pressione fiscale,
tra cui razionalizzazione con calo delle aliquote della disciplina fiscale IRES e IRAP (vedi il riquadro Più crescita e
occupazione con la riduzione di IRES e IRAP), detrazione fiscale dell’ICI e semplificazione della disciplina IRES e IVA.
19
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Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
EVASORI E TARTASSATI: QUANTO INCIDE DAVVERO LA PRESSIONE FISCALE E I PRIMI RISULTATI DELLA LOTTA
ALL’EVASIONE
Grafico A
Il carico fiscale che grava sul contribuente
La pressione fiscale effettiva
«onesto», cioè su chi paga integralmente
supera il 50% del PIL
imposte e contributi, è pari al 52,5% del
(valori in % del PIL, dati al netto dei condoni fiscali)
reddito nel 2007. Questa misura rappresenta la pressione fiscale effettiva ed è ottenuta rapportando al PIL depurato dal
sommerso economico1 il totale di tributi e
contributi pagati; si tratta di 9,5 punti percentuali in più rispetto alla misura della
pressione fiscale comunemente utilizzata
(che il CSC prevede al 43% nel 2007, confermando la stima del Governo), ma che è
Fonte: elaborazioni CSC su dati Agenzia delle Entrate per il periodo 1982apparente perché ha alla base un’ampia
2004; stime CSC per i restanti anni.
fetta di reddito non dichiarato. Il carico fiscale effettivo rimarrà elevato nel 2008, anche se lievemente in calo, mentre si riduce il divario con quello apparente perché si restringe l’area dell’evasione (Grafico A). La pressione
fiscale effettiva rappresenta il limite a cui arriverebbe la quota sul PIL degli incassi fiscali e
contributivi se venisse eliminata tutta l’evasione. Il suo alto livello indica che una parte cospicua di italiani subisce un prelievo da paese scandinavo ricevendo in cambio servizi di
qualità decisamente inferiore. Questa discrepanza è alla base della questione fiscale in Italia.
60,0
55,0
50,0
45,0
40,0
35,0
Effettiva (in % PIL al netto del sommerso)
Apparente (in % PIL)
30,0
1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008
Lo scostamento esistente tra la pressione fiscale effettiva e quella apparente è imputabile interamente all’evasione fiscale e contributiva. Un lavoro dell’Ufficio Studi
dell’Agenzia delle Entrate2 quantifica l’evasione calcolando la base imponibile IVA3
non dichiarata. Confrontando l’imponibile dichiarato al fisco con l’imponibile teorico si ottiene appunto la base imponibile evasa dai contribuenti. Nel 2007 il CSC stima che l’evasione fiscale IVA si attesti al 30% della base imponibile teorica, per un
ammontare assoluto di circa 281 miliardi di euro, in riduzione rispetto al 33% quantificato per il 2004 (ultimo anno disponibile nell’analisi dell’Agenzia delle Entrate).
Lo scenario economico e l’andamento del gettito tributario (in particolare dell’IVA),
conosciuti fino al 2006 e previsti per l’anno in corso e per il 2008, permettono di aggiornare le stime e di fotografare il miglioramento della tax compliance.
1
L’ISTAT pubblica annualmente la stima del PIL e dell’occupazione per quella parte dell’economia non osservata direttamente e attribuibile al sommerso economico (è un sommerso rispetto non alle misure statistiche, tanto è vero che entra a far parte del PIL totale, ma alle norme fiscali e contributive). Tale stima viene considerata
una proxy dell’evasione fiscale.
2 Marigliani M., Pisani S. (2007), «Le basi imponibili IVA. Aspetti generali e principali risultati per il periodo
1980-2004», Documenti di lavoro dell’Ufficio Studi, n. 7, Agenzia delle Entrate. Si veda inoltre: Convenevole R.,
Pisani S. (2003), «Le basi imponibili IVA: un’analisi del periodo 1982-2001», Documenti di lavoro dell’Ufficio Studi,
n. 1, Agenzia delle Entrate.
3 L’imposta sul valore aggiunto è considerata la seconda imposta del sistema tributario italiano per numero dei
contribuenti e per gettito: dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi per l’anno di imposta 2004 (ultime disponibili) risultano 5,6 milioni di contribuenti per un gettito pari a un quarto dei tributi erariali complessivi.
20
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
Un’emersione della base imponibile IVA, quale indicatore dell’adempimento spontaneo
dei contribuenti, sembra in corso dal 2006 e ciò contribuisce a spiegare un aumento della pressione fiscale apparente maggiore di quello della pressione fiscale effettiva. Molto
probabilmente tale risultato è imputabile alle iniziative di accertamento e controllo
messe in atto o anche solo annunciate
Grafico B
dal Governo. La propensione a evadeEvasione fiscale in diminuzione dal 2006
re, infatti, varia in relazione inversa al(valori in % della base imponibile teorica IVA)
la probabilità di essere accertati; non a
caso, negli anni dei condoni e delle sanatorie fiscali l’evasione si attestava
su livelli superiori, come dimostra
l’andamento del secondo grafico: negli anni con maggiori entrate da condoni e sanatorie (1982-83, 1992-93,
1995-96, 2003-04) l’andamento dell’evasione risulta sempre crescente
(Grafico B). La semplice dichiarazione
Fonte: elaborazioni CSC su dati Agenzia delle Entrate per il periodo 1982programmatica di lotta all’evasione,
2004; stime CSC per i restanti anni.
se ritenuta credibile, può aver mutato
le aspettative e indotto una maggiore
compliance spontanea.
40,0
35,0
30,0
25,0
1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008
Non è ancora possibile qualificare come strutturale la riduzione dell’evasione illustrata
in questa analisi. Evasione che sicuramente rimane molto ampia e territorialmente e settorialmente concentrata. È evidente però che il boom delle entrate registrato nel 2006 e
nel 2007 può essere spiegato in parte non piccola dalla maggiore propensione dei contribuenti a pagare imposte e contributi. Se ciò è vero, diventa plausibile una forte crescita del gettito fiscale e contributivo anche nei prossimi anni.
In termini reali la spesa pubblica è prevista nuovamente in accelerazione nel 2008 (+2,9% rispetto al –0,4% del 2007) e toccherà il 49% in
rapporto al PIL (dal 48,9% del 200713). Nel 2009 le spese complessive
scendono al 48,8% del PIL. Per le spese correnti primarie il CSC stima una crescita pari al
4,1% nel 2008 e al 3,4% nel 2009. La loro incidenza sul PIL sarà pari al 39,9% nel 2008 e calerà al 39,7% nel 2009. In particolare, i redditi da lavoro dipendente, dopo la crescita meno rapida osservata nell’anno in corso (+2,5%), sono previsti in forte accelerazione nel
2008 (+4,2% rispetto al 2007) e in leggero rallentamento nel 2009 (+3%). La manovra per il
2008 prevede, infatti, interventi di incremento della spesa proprio in materia di pubblico
impiego, oltre che di welfare14.
Le spese
tornano a crescere
in termini reali
13 Nel 2007 si è assistito a un aumento delle spese di 0,4 punti percentuali di PIL rispetto al 2006, se si considerano queste ultime al netto degli oneri straordinari registrati tra le spese in conto capitale e pari a circa 2 punti percentuali di PIL.
14 Il disegno di legge che recepisce il protocollo sul welfare, firmato da Governo e parti sociali in luglio, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 ottobre scorso ed è in attesa di essere presentato alla Camera, dove dovrà
essere licenziato entro il 31 dicembre in qualità di collegato alla Legge finanziaria per il 2008.
21
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
IL COSTO DELLE RIGIDITÀ: MINOR CRESCITA DELLE IMPRESE E PIL DECURTATO
Una sforbiciata al dinamismo delle aziende che oscilla tra il 2,7% e il 4,7% annuo. PIL,
occupazione, consumi e gettito fiscale sensibilmente più bassi. Sono i principali risultati di una simulazione, condotta in via sperimentale dal CSC, per quantificare l’impatto dei «lacci e lacciuoli» sulla vita e l’espansione aziendali e quindi sul benessere
del Paese.
Avviare un’attività d’impresa, ampliarla o interromperla, sono operazioni particolarmente complesse in Italia. Una serie di fattori esterni all’impresa ne condizionano la
competitività. Si tratta di quelle inefficienze e quei ritardi strutturali che rendono il sistema-Paese meno competitivo.
L’esercizio del CSC ha stimato l’impatto di alcuni di questi fattori sulle possibilità di sviluppo di un’impresa italiana1, domandandosi di quanto sarebbe cresciuta in termini di
fatturato se fosse stata avviata, avesse affrontato alcuni eventi o effettuato alcune operazioni in altri paesi OCSE (Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Stati Uniti e Giappone) piuttosto che in Italia.
A tal fine si sono considerate due categorie di fattori: quelli istituzionali che condizionano il business environment nel quale un’impresa opera; e quelli interni all’impresa,
maggiormente legati al processo di produzione. Le variabili «istituzionali» comprendono i costi derivanti da diversi adempimenti amministrativi, la rigidità del mercato del
lavoro, il peso del fisco e la dotazione tecnologica e di capitale umano qualificato2. Tra
i «fattori d’impresa» sono stati considerati, invece, i costi di produzione, a partire dall’investimento iniziale necessario per lo start up ai costi delle utility e delle materie prime, del credito e del lavoro3.
Si è ipotizzato che un’azienda-tipo avvii l’attività e che, dopo le difficoltà legate allo
start-up, affronti a partire dal secondo anno un evento particolare: pratiche amministrative per operazioni di import-export (dal secondo anno); disputa commerciale per recupero crediti (nel terzo anno); procedimento giudiziario per la riscossione di un assegno (nel quarto anno); causa di lavoro (nel quinto anno); licenziamenti connessi alla
chiusura di un ramo di attività (nel sesto anno).
Con la ponderazione delle ricadute di ciascun evento si è arrivati a quantificare l’effetto complessivo annuo e quello medio finale dopo sei anni sulla crescita del fatturato
1 Si assume che l’impresa operi nel settore manifatturiero e cresca (in termini di fatturato) annualmente a un tasso del 10%.
2 Le variabili istituzionali comprendono i costi amministrativi di apertura dell’attività (misurati in giorni), i costi per ottenere una licenza di avvio di un’attività (misurati in giorni), la registrazione della proprietà (numero
di procedure); la rigidità del mercato del lavoro (facilità/difficoltà ad assumere e licenziare); l’accesso al credito (in termini giuridici e in termini di informazione); la dotazione infrastrutturale del Paese; il carico fiscale; la
dotazione di tecnologia materiale e immateriale (computer per abitante e disponibilità di capitale umano con conoscenze in ICT); la disponibilità di lavoratori specializzati.
3 I fattori d’impresa considerati sono: costi fissi (terreno, capannone, immobili, macchinari e attrezzature, R&S e
altro); costo e produttività del lavoro; costo delle utility (energia, gas, tlc); costi delle materie prime (in percentuale dei costi operativi); costo del debito.
22
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Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
dell’impresa-tipo nei diversi Paesi4; il calcolo è stato effettuato come differenziale percentuale rispetto alla dinamica in Italia che per ipotesi di lavoro è stata posta pari al 10%
annuo costante nel tempo.
Risultati: imprese penalizzate fino al 47%
In tutti gli altri paesi si osservano tassi di incremento del fatturato maggiori di quello
italiano, grazie alle migliori condizioni strutturali e istituzionali nelle quali le imprese
operano (Tabella A). Gli Stati Uniti sono il paese in cui lo svolgimento dell’attività ecoTabella A
Tassi di crescita annuali
Anni di attività
Italia
Francia
Germania
Regno Unito
Stati Uniti
Giappone
Paesi Bassi
I
II
III
IV
V
VI
Tasso di crescita medio annuo
10,0
10,0
10,0
10,0
10,0
10,0
10,0
13,7
12,6
12,8
12,7
12,5
12,4
12,8
14,0
12,9
13,0
13,0
13,1
12,7
13,1
15,9
11,9
12,4
12,5
12,6
12,4
12,9
16,1
14,4
14,5
14,6
14,4
14,4
14,7
13,5
13,1
13,3
13,4
13,5
13,2
13,3
14,7
13,6
13,8
14,0
14,0
13,4
13,9
Fonte: elaborazioni CSC.
nomica è soggetto a minori vincoli e oneri e, dunque, il ritmo medio annuo di espansione supera del 47% quello dell’Italia; seguono i Paesi Bassi con una velocità annua del
39% più elevata. Queste percentuali esprimono il differenziale relativo nei tassi di crescita riportati nella Tabella A.
Quanto all’Italia, le maggiori difficoltà relative nell’avvio di un’impresa si riscontrano
nell’ottenimento del credito bancario. Dal secondo anno è la minore dotazione infrastrutturale ad allargare di più il divario di crescita del fatturato d’impresa.
Il freno al benessere del Paese
In che misura aumenterebbe il PIL se le imprese industriali potessero esprimere il potenziale di crescita in Italia tanto quanto avviene altrove? Per rispondere si è stimato
l’impatto diretto che avrebbe una maggiore crescita (+2% annuo) nel valore aggiunto
dell’industria in senso stretto su PIL, occupazione, consumi ed entrate pubbliche5.
4
Per la metodologia si rinvia alla Nota CSC Una stima del costo delle rigidità sulla crescita delle imprese a cura di
Massimo Rodà e Grazia Sgarra, in corso di pubblicazione.
5 A tal fine si è tenuto conto delle elasticità delle variabili considerate rispetto al PIL.
23
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
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I risultati ottenuti (Tabella B) mostrano
Tabella B
che, dopo cinque anni, l’incremento
L’impatto dopo cinque anni di una crescita del valore aggiunto
dell’industria in senso stretto pari al 2% addizionale annuo
reale aggiuntivo del PIL sarebbe del
2% (pari a circa 25.320 milioni di euro
Variabili
Var. %
a prezzi 2000), quello dei consumi del
PIL
2,0
2,6% (pari a 19.210 milioni di euro). La
Consumi delle famiglie
2,6
Occupazione (ULA )
1,5
crescita addizionale ipotizzata contriEntrate pubbliche totali
2,2
buirebbe a occupare 368 mila unità di
Fonte: elaborazioni CSC.
lavoro in più (per un incremento pari
all’1,5%). Infine, ne trarrebbero un forte giovamento anche le casse pubbliche grazie a un aumento delle entrate totali del
2,2%, pari a 17.409 milioni di euro correnti.
LE TRASFORMAZIONI DEL MADE IN ITALY
Le imprese italiane, sottoposte a forti pressioni competitive sui mercati internazionali,
hanno intrapreso negli ultimi anni un processo di ristrutturazione e riorganizzazione
che, pur non modificando radicalmente il modello di specializzazione, ha spostato la
produzione verso beni a più alto valore aggiunto. Ciò non ha ancora però colmato la distanza rispetto alle principali economie europee, in termini di andamento dell’attività
manifatturiera.
Sono numerosi i segni della trasformazione. La ripresa stessa dell’attività produttiva.
Un primo recupero delle quote sul commercio mondiale misurate sui dati a prezzi correnti (grazie anche al riorientamento dell’export verso i paesi più dinamici). Una crescita dell’export che in valore tiene il passo con quella tedesca. Un aumento dei valori
medi unitari delle esportazioni nettamente superiore a quello dei prezzi alla produzione.
Il numero di imprese che esportano è aumentato di circa il 2% nel 2006, sebbene l’incremento sia dovuto alle imprese di maggiori dimensioni. Si è infatti realizzato un processo di redistribuzione delle esportazioni italiane, perché l’attuale contesto competitivo e la maggiore lontananza e complessità dei mercati di sbocco, richiedono costi fissi
elevati che possono essere affrontati solo a partire da imprese di medio-grandi dimensioni. Il fatto che le vendite all’estero abbiano continuato a espandersi a ritmi sostenuti,
fino alla seconda metà del 2007, nonostante la rivalutazione dell’euro, indica che le produzioni italiane sono rivolte a una domanda meno sensibile al prezzo.
Esaminando più in dettaglio questi segnali si nota che a partire dal 2005 l’industria ma-
24
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Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
nifatturiera italiana ha avviato una ripresa non dettata esclusivamente dal rafforzamento del ciclo mondiale, ma originata anche da un recupero di competitività nei fattori diversi dal prezzo. Questo recupero è il frutto della ristrutturazione selettiva che ha
premiato le imprese più efficienti e dinamiche, in grado di innovare rapidamente prodotti, processi e organizzazione e spuntare prezzi maggiormente remunerativi. Negli
ultimi due anni l’euro si è rivalutato di circa il 6% in termini reali ed effettivi mentre la
performance dei produttori italiani sui mercati esteri è rimasta buona. Ciò indica che la
ristrutturazione ha reso meno decisivo il ruolo della competitività di prezzo1. Questo
non significa che la competitività di prezzo non conti più e che l’andamento del cambio
sia diventato irrilevante per le dinamiche delle esportazioni, ma vuol dire che è stata innalzata la soglia varcata la quale la rivalutazione diventa insopportabile e costringe a
delocalizzare massicciamente o a chiudere. In ogni frangente e contesto una rivalutazione, riducendo la competitività, frena comunque la dinamica dell’economia.
I dati mostrano che da un decennio i valori medi unitari delle esportazioni italiane crescono progressivamente e in maniera più rapida dei prezzi alla produzione. La dinamica così sostenuta dei valori medi unitari può avere due spiegazioni. Potrebbe essere
dovuta a un incremento dei prezzi all’export causato da maggiori costi e/o margini di
profitto. Può sottendere una ricomposizione dei prodotti esportati a favore di quelli con
un valore aggiunto superiore e quindi rilevare un upgrading qualitativo; in questo secondo caso non si tratta di un aumento del prezzo ma di un miglioramento dei prodotti che dovrebbe riflettersi su un più alto andamento del valore delle esportazioni misurato a prezzi costanti, mentre finora è stato deludente. Il sospetto, condiviso da tutti gli
analisti, è che vi sia bisogno di una revisione della serie statistica da parte dell’ISTAT;
una revisione che dovrebbe portare nei prossimi mesi a migliorare nettamente questa
misura della performance del made in Italy.
Un’indicazione in tal senso viene dalla
forbice tra fatturato totale (deflazionato
con i prezzi alla produzione) e produzione industriale, forbice che si è andata
progressivamente ampliando dal secondo trimestre 2005. Mentre la produzione
industriale (che misura le quantità fisiche prodotte) mantiene un profilo in lieve aumento, la curva del fatturato totale
mostra un trend decisamente in crescita
(Grafico A).
Se fosse corretta l’interpretazione dell’aumento del valore aggiunto come determinante dei maggiori valori medi, al-
Grafico A
In crescita il valore aggiunto della produzione italiana
(indici destagionalizzati; primo trimestre 2005 = 100)
109
107
105
103
101
99
Produzione industriale
97
Fatturato totale
95
I /05
II/05 III/05 IV/05 I /06
II/06 III/06 IV/06 I /07
II/07 III/07
Il fatturato totale è deflazionato con i prezzi alla produzione.
Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.
1
Tale affermazione è suffragata anche da un’analisi empirica eseguita dal CSC dove si sottolinea a partire dal
1990 la riduzione di importanza, in termini di determinanti delle esportazioni italiane, della competitività di
prezzo rispetto alla domanda internazionale.
25
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
lora questa sarebbe un’ulteriore indicazione di una ristrutturazione che ha determinato
la fuoriuscita dal mercato delle imprese marginali e meno innovative, collocate su fasce
di produzione a bassi valori unitari2 (veGrafico B
dere oltre la composizione dell’export
Aumenta la quota di esportazioni
per classi dimensionale di aziende).
a più elevato contenuto tecnologico
Questo processo di «distruzione creatri(indici destagionalizzati; primo trimestre 2005 = 100)
ce»3 ha comportato cambiamenti qualita45
40
1996
2005
tivi e strutturali che soltanto ora emergo41,8
35
41,6
no nelle statistiche nazionali e in modo
30
25
29,8
ancora parziale. Negli ultimi dieci anni
20
24,9
c’è stata una limitata ricomposizione set15
20,0
16,5
10
toriale dell’industria manifatturiera che,
13,4
12,0
5
senza aver mutato sostanzialmente il
0
Alta tecnologia
Medio-alta
Medio-bassa
Bassa tecnologia
modello di specializzazione, ha comunque contribuito a riposizionare l’export
Fonte: elaborazioni CSC su dati ICE.
italiano nei settori ad alta e medio-bassa
tecnologia (Grafico B).
In particolare il settore tessile e abbigliamento che rappresentava nel 1991 quasi il 13%
delle esportazioni manifatturiere italiane è sceso nel 2006 a una quota inferiore al 9%.
Contemporaneamente si sono consolidati sia le macchine e gli apparecchi meccanici che
i mezzi di trasporto. Nello stesso periodo i settori a medio-alta tecnologia (metalli e prodotti in metallo e prodotti chimici) hanno aumentato la loro quota in maniera rilevante
(+3 punti percentuali). Ciò dimostra che l’industria italiana è in grado di cambiare pelle e continuare a essere protagonista sui mercati internazionali, sebbene con caratteristiche ancora molto divergenti sia rispetto agli altri principali paesi industriali sia nei
confronti delle economie emergenti. La scelta vincente attuata dagli esportatori italiani
sta nel fatto di aver innovato e introdotto tecnologia avanzata anche nei settori definiti
«maturi o low-tech» rendendoli molto più competitivi.
Altra importante conferma del processo di selezione e ristrutturazione del tessuto imprenditoriale degli esportatori proviene dai dati per classi di addetti (Tabella A): dal
2000 al 2005 il peso delle piccole imprese sul valore delle esportazioni italiane si è ridotto dal 31,5% al 29%, a vantaggio delle medie imprese passate dal 27 al 27,6% e soprattutto delle grandi imprese, salite dal 41,5 al 43,3%, che ottengono risultati migliori
della media in quasi tutti i mercati.
Nei primi cinque settori che hanno trainato le esportazioni italiane nel 2006, caratterizzati da medio-alta tecnologia, sono le grandi imprese a mostrare la più alta propensio2 Si
tratta principalmente di imprese di piccola dimensione: in genere sono infatti le imprese di dimensioni maggiori a intraprendere con successo processi di riorganizzazione e di riposizionamento strutturale sui mercati
esteri. Tali attività, dati i costi molto elevati, non potrebbero essere facilmente realizzate da piccole imprese.
3 Cfr. Barba-Navaretti, Bugamelli, Faini, Schivardi e Tucci, Le imprese e la specializzazione produttiva dell’Italia. Dal
microdeclino alla microcrescita?, paper presentato al convegno I vantaggi dell’Italia organizzato a Roma dalla
Fondazione Rodolfo Debenedetti il 22 marzo 2007 e raccolto nel volume Come sta cambiando l’Italia curato da R.
Baldwin, G. Barba-Navaretti e T. Boeri e pubblicato da Il Mulino.
26
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
Tabella A
L’export italiano tra grandi e piccole imprese nel 2005
(valori in %)
Settori1
Manifattura
Macchine e apparecchi meccanici
Metallo e prodotti in metallo
Mezzi di trasporto
Prodotti chimici
Macchine elettriche
Tessile e abbigliamento
Alimentari
Altre
Conciarie
Materie plastiche
Raffinerie di petrolio
Minerali non metalliferi
Stampa e editoria
Legno
1
Propensione all’esportazione2
Quota del fatturato all’export settoriale3
Micro
Piccole
Medie
Grandi
Totali
Micro
Piccole
Medie
Grandi
8,6
16,2
3,5
12,2
13,6
4,9
11,9
4,2
13,2
15,6
28,7
3,4
7,9
3,8
1,4
18,5
31,1
11,0
25,7
23,8
22,6
24,2
11,9
27,9
34,2
17,2
1,1
14,3
5,5
9,4
32,4
49,3
28,7
40,4
37,2
34,9
33,5
16,2
37,4
49,8
37,5
8,5
19,6
18,2
19,1
35,5
60,8
34,8
41,8
23,0
44,5
51,3
14,7
48,1
61,5
54,7
20,8
28,7
18,5
32,1
27,6
46,5
21,2
39,9
27,0
32,6
31,7
12,8
30,7
41,0
34,3
18,8
19,3
13,3
10,6
3,4
3,3
2,2
0,6
1,2
1,6
5,2
4,8
6,5
6,0
8,8
0,1
5,5
3,6
4,2
16,4
15,1
16,7
4,8
9,5
16,8
25,6
24,5
27,3
29,3
16,2
0,4
21,3
10,1
33,9
30,5
31,7
42,0
11,5
40,1
27,6
29,7
33,4
29,0
38,1
36,1
2,3
27,2
33,6
39,1
50,0
49,9
39,1
83,2
49,2
54,0
39,5
37,2
37,3
26,6
39,0
97,2
46,0
52,8
22,8
Ordinati in modo decrescente rispetto al peso sulle esportazioni manifatturiere del 2006.
2
Fatturato esportato sul fatturato totale.
Fatturato esportato per dimensione sul fatturato totale esportato dal settore.
Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT.
3
ne all’export e contemporaneamente a contribuire in modo preponderante al fatturato
esportato. Caso particolare è quello del settore dei prodotti chimici e fibre sintetiche nel
quale, a fronte di una più alta propensione all’export delle PMI, si ha una ripartizione
sostanzialmente equilibrata del fatturato esportato, ma con una prevalenza delle grandi imprese. E queste ultime confermano anche nel settore del metallo e prodotti in metallo la più alta propensione a esportare, sebbene al fatturato esportato del settore contribuiscano di più le imprese di medie dimensioni. In generale quindi sono le mediograndi imprese a determinare la dinamica delle esportazioni italiane in quanto la dimensione di impresa può rappresentare un fattore di competitività qualora l’accesso ai
mercati internazionali richieda di sostenere elevati costi fissi.
Ai cambiamenti intervenuti nelle produzioni, nel riposizionamento sui mercati internazionali e nell’organizzazione aziendale, ha contribuito una strategia di riqualificazione
del personale dipendente volta ad accrescere il numero di figure professionali con un
profilo educativo più elevato. Tra il 2000 e il 2005 la quota di personale qualificato (dirigenti e tecnici) impiegato nel settore manifatturiero è cresciuta dal 18% al 23%. Nello
stesso periodo, l’ascesa delle nuove generazioni ha prodotto un rapido rinnovamento
della classe imprenditoriale in termini di età e istruzione: la quota degli imprenditori
con età compresa tra 36 e 55 anni è passata dal 29% al 44% e la quota di laureati è quasi raddoppiata (dal 23% al 41%)4.
La strada che le imprese italiane devono percorre per migliorare produttività, redditività e remunerazione dei lavoratori è però ancora lunga. Ciò è evidente dal confronto
4
EUROSTAT e Banca d’Italia, Indagine sulle imprese industriali e dei servizi, 2006.
27
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Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
internazionale, nel quale l’Italia, nonostante i progressi compiuti, ha perso ulteriormente terreno rispetto a paesi che, come la Spagna e la Germania, hanno messo a segno
miglioramenti ancora maggiori (Tabella B).
Tabella B
Le imprese manifatturiere: un confronto internazionale
Italia
Germania
Francia
Spagna
2000
2005
2000
2005
2000
2005
2000
2005
Dimensione delle imprese1
– da 1 a 49 addetti
– da 50 a 249 addetti
– oltre 250 addetti
97,9
1,8
0,3
97,8
1,9
0,3
90,9
7,2
1,9
90,0
8,0
2,0
95,8
3,4
0,9
96,1
3,0
0,8
97,2
2,4
0,4
96,7
2,8
0,5
Produttività del lavoro2
Retribuzioni3
Redditività delle imprese4
42,3
20,1
43,7
45,3
23,4
39,2
53,7
33,0
24,3
59,9
36,6
25,3
52,2
26,0
31,0
57,3
30,0
26,7
38,7
18,9
40,5
48,1
23,0
41,4
1 Numero
di imprese per classe dimensionale (valori in %).
2 Valore
aggiunto al costo dei fattori per addetto (valori in migliaia di euro).
3 Retribuzione lorda per dipendente (valori in migliaia di euro).
4 Quota di valore aggiunto assorbita dal MOL (valori in %).
Fonte: elaborazioni CSC su dati EUROSTAT.
PIÙ CRIMINALITÀ UGUALE MENO SVILUPPO: IL CASO DEL MEZZOGIORNO
Tasso di crescita del PIL, 2000-2006
(a prezzi 2000 - var % medio annue)
Grafico A
Il Mezzogiorno paga un «pizzo» salato
Crescita e legalità
alla criminalità sotto forma di mancato
4
sviluppo. La maggiore o minore diffusioGrecia
Spagna
Finlandia
Svezia
ne della criminalità in un determinato
3
Regno Unito
Stati Uniti
territorio, infatti, non ha effetti solo sulla
Norvegia
Francia Paesi
Belgio
Austria
2
Bassi
Danimarca
Giappone
sicurezza dei cittadini e sul progresso ciSvizzera
Italia
Portogallo
Germania
1
vile, ma incide anche sull’aumento del
benessere economico del territorio stes0
3,0
5,0
7,0
9,0
so. Il legame tra illegalità e crescita ecoIndice di legalità e sicurezza*, 2006-07
(Range: 0 = assenza di legalità; 10 = massima legalità)
nomica viene evidenziato in molteplici
1
studi . Da un’analisi condotta sui princi* L’indicatore è dato dalla media dei due indici elementari IMD del grado di
corruzione e di sicurezza personale e della proprietà privatain ciascun paese.
pali paesi OCSE emerge come a un magFonte: elaborazioni CSC su dati IMD e Thomson Financial.
giore valore dell’indicatore composito di
legalità e sicurezza corrisponda un più elevato tasso medio-annuo di crescita. Nel grafico A l’Italia è il paese con crescita del PIL tra le più lente e indice di legalità e sicurezza tra i più bassi dei Paesi industrializzati.
1
Banca Mondiale (2005), Doing Business 2005; Marselli R. e Tannini M. (1999), Economia della criminalità, UTET,
Torino.
28
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
All’interno del nostro Paese la situazione non è però omogenea. L’indice di criminalità2
nel Mezzogiorno risulta essere più alto del 15% rispetto al Centro e del 20% rispetto al
Nord.
L’analisi disaggregata dei principali reati denunciati evidenzia come le fattispecie delittuose tipiche della criminalità organizzata, che maggiormente incidono sull’attività degli agenti economici, si verificano principalmente nel Mezzogiorno: oltre la metà delle
estorsioni e dei reati connessi all’usura, nonché la quasi totalità (92%) dei crimini di associazione di stampo mafioso si consumano nel Sud Italia. Non bisogna inoltre dimenticare che i dati disponibili si riferiscono esclusivamente ai delitti denunciati e pertanto
non includono i crimini effettivamente verificatisi, ma non dichiarati. Considerato che
a una maggior diffusione della criminalità corrisponde una maggiore reticenza, se non
omertà, se ne deduce che l’indice di criminalità del Mezzogiorno e il relativo divario
con il resto del Paese siano largamente sottostimati.
Indice di criminalità 2005
Tasso di natalità medio 2000-2006
La situazione di illegalità nel Sud del Paese ostacola e scoraggia l’iniziativa imprenditoriale. Nelle regioni meridionali, infatti, tra il 2000 e il 2006, il tasso medio annuo di natalità delle imprese si è attestato al 7,9%, contro il 9,3% delle regioni centrali3 in cui il numero dei delitti denunciati è notevolmente inferiore (Grafico B). Chi fa impresa in un
contesto come quello meridionale, dove
Grafico B
la criminalità è particolarmente estesa,
La natalità delle imprese
e l’indice di criminalità
deve fare i conti con costi diretti (paga105
9,5
mento del pizzo, di tangenti, ecc.) e indiretti (sfiducia, incertezza, paura) che ini100
9,0
biscono l’attività delle aziende poiché in95
8,5
cidono sulla redditività e sulla capacità
90
di crescita dimensionale mentre alzano il
8,0
85
rischio.Un tasso di criminalità più eleva7,5
80
to, un’iniziativa imprenditoriale penaliz7,0
75
zata e una minore capacità competitiva
Nord
Centro
Mezzogiorno
hanno contribuito in modo decisivo a
Tasso di natalità medio*
Indice di criminalità
rallentare storicamente la crescita econo* È dato dal rapporto tra imprese registrate e imprese attive nel periodo di riferimento.
mica del Sud rispetto a quella del resto
Fonte: elaborazioni CSC su dati IMD e Thomson Financial.
del Paese e hanno impedito, con altri fattori, il processo di catching-up. Ciò sta accadendo anche nell’attuale ciclo espansivo: nel 2006 il divario di crescita è rimasto ampio, con il PIL del Mezzogiorno salito dell’1,5% contro il 2% del Centro-Nord (Svimez4).
Il gap tra Centro-Nord e Mezzogiorno in termini di reddito pro capite (gap superiore a
2
L’indice è dato dal numero dei delitti denunciati nel 2005 (pesati per la pena media che il vigente codice penale
stabilisce per ciascun delitto) per 100.000 abitanti.
3 Al Nord il tasso medio annuo di natalità delle imprese si è invece attestato all’8,1%. Lo stretto divario con il dato
del Mezzogiorno è in questo caso riconducibile all’elevato numero di imprese già attive nel Settentrione.
4 Svimez (2007), Rapporto 2007 sull’economia del Mezzogiorno, Il Mulino.
29
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
10.000 euro annui, Grafico C) è rimasto
pressoché invariato nell’ultimo quinquennio. Il divario tra le due aree del
Paese è evidente anche nell’attrattività:
nel 2006 il Mezzogiorno ha ricevuto appena lo 0,66% degli investimenti diretti
esteri in entrata in Italia e solo il 5,2%
delle imprese italiane partecipate dall’estero ha sede nelle regioni meridionali5.
Grafico C
Il divario di reddito pro capite tra
Mezzogiorno e Centro-Nord
(in migliaia di euro a prezzi costanti)
0,0
5,0
0,0
5,0
0,0
5,0
La crescita economica al Sud è dunque limitata dalla diffusione della criminalità
0,0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
che alimenta un circolo vizioso: l’illegaMezzogiorno
Centro-Nord
lità, in quanto economia parallela e «alternativa», attrae risorse umane e finan* È dato dal rapporto tra imprese registrate e imprese attive nel periodo di riferimento.
ziarie sottraendole all’economia legale e
Fonte: elaborazioni CSC su dati IMD e Thomson Financial.
riducendone le prospettive di crescita.
La bassa crescita dell’economia legale
genera, a sua volta, disoccupazione spingendo il capitale umano ad allocarsi nelle attività illegali che spesso finiscono per diventare le uniche fonti possibili di reddito. Per
spezzare questa spirale occorre agire anzitutto ripristinando la legalità, una funzione
genetica di ogni Stato di diritto. La minore diffusione dell’illegalità consentirebbe di liberare risorse per destinarle a finalità produttive, generando in tal modo maggior sviluppo e aumentando la ricchezza nel Mezzogiorno6.
5 Dati
Svimez (2007), ibidem.
Per una più ampia analisi sul tema si veda anche Confindustria, Quaderno 68 «Il peso dell’illegalità nel ritardo del
Mezzogiorno», novembre 2007.
6
1.2. Le esogene della previsione
Il rallentamento del
commercio mondiale, iniziato nel
corso del 2007, si estenderà a tutta la
prima metà del 2008. Ritmi di crescita
più sostenuti si avranno nel 2009 (+7%,
Tabella 1.2). I cambiamenti intervenuti
negli ultimi anni nella composizione
geografica del commercio mondiale
supportano lo scenario di crescita comunque elevata nell’orizzonte previsi-
Tabella 1.2
I paesi emergenti
sostengono il commercio
mondiale
30
Le esogene della previsione
(variazioni %, salvo diversa indicazione)
Commercio mondiale
Prezzo del petrolio1
PIL USA
PIL area euro
Cambio dollaro/euro2
Tasso FED3
Tasso di interesse a 3 mesi USA3
Tasso BCE3
Tasso di interesse a 3 mesi area euro3
1
2006
2007
10,2
66
2,9
2,8
1,26
5,0
5,2
2,8
3,1
6,3
73
2,2
2,6
1,37
5,1
5,3
3,8
4,3
Dollari per barile; 2 livelli; 3 valori percentuali.
2008
6,0
80
1,7
1,7
1,45
3,8
4,3
3,8
4,5
2009
7,0
76
2,4
2,2
1,45
3,8
4,0
3,8
4,1
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
vo. Difatti, a fronte di un ridimensionamento del peso degli Stati Uniti
(Grafico 1.6), si è assistito alla significativa espansione del valore degli
scambi tra i paesi asiatici e soprattutto
alla forte crescita dell’integrazione
commerciale tra i paesi europei e del
Mediterraneo, grazie al progressivo allargamento dell’area di libero scambio
della UE e all’intensificarsi degli investimenti diretti esteri realizzati dai
paesi dell’Europa Occidentale nelle
aree limitrofe.
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
Grafico 1.6
L'andamento dell'economia mondiale: un confronto con gli USA
(variazioni % del PIL)
7
Mondo netto USA
USA
6
5
4
3
2
1
0
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Lo scenario del
Fonte: elaborazioni CSC su dati World Market Monitor e nostre previsioni.
CSC si basa su un
prezzo del Brent
ancora elevato per alcuni mesi (attorno
ai 90 dollari al barile), nell’ipotesi del persistere di una carenza d’offerta e delle tensioni geopolitiche (vedi il riquadro Dai rincari delle materie prime meno crescita, poca inflazione e più export). Nel corso del 2008 si prevede però un graduale riequilibrio nel mercato
fisico mondiale, grazie alla ripresa della produzione e nonostante il proseguire dell’espansione della domanda; inoltre, si ipotizza una riduzione dell’influenza dei fattori extra-economici. Si determinerà così un trend decrescente dal secondo trimestre, con un
calo delle quotazioni a 75 dollari a fine 2008. A ciò seguirà un nuovo rialzo dei prezzi
nella seconda metà del 2009, sulla scia del rafforzamento dell’economia mondiale. In tale scenario, il Brent si attesterà a 80,5 dollari al barile nella media del 2008 (+7,7 dollari
sull’anno precedente), scendendo a 76 dollari nel 2009 (–4,5 dollari).
Il prezzo del petrolio
scende nel corso
del 2008
Gli Stati Uniti
rallentano ma non
ci sarà recessione
Nel 2008 l’economia americana cresce dell’1,8%. Già nel 2007 il ritmo
di aumento del PIL è stato moderato (+2,2%) e inferiore al potenziale,
ma il rallentamento maggiore si materializzerà soltanto il prossimo
anno. La crisi dell’edilizia americana, sebbene molto consistente (gli investimenti residenziali si sono ridotti del 25% dall’ultimo trimestre 2005 al terzo trimestre 2007), sembra
essere finora circoscritta a tale settore e ai comparti che ne rappresentano l’indotto; in particolare l’effetto ricchezza sui consumi è stato sinora contenuto. Ma vista l’entità della contrazione e considerata l’esperienza delle passate crisi immobiliari, il CSC si attende che il
punto di minimo per gli investimenti residenziali non sia ancora stato raggiunto e ipotizza che nei prossimi trimestri l’impatto sui consumi diventi via via più significativo, sebbene diluito nel tempo. Si sconta inoltre che la frenata dei prestiti bancari al sistema privato sia robusta nei prossimi anni. In tale scenario, gli Stati Uniti non entreranno in una
vera e propria fase recessiva, ma rallenteranno bruscamente nel quarto trimestre 2007 e
per tutta la prima metà del 2008. Ciò a causa della dinamica della domanda interna e soprattutto dei consumi delle famiglie. In particolare questi ultimi risentiranno dell’eccessi-
31
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
va esposizione ai debiti in generale e a
quelli a lunga in particolare, in un contesto di condizioni al credito molto più
restrittive (Tabella 1.3). La crescita sarà
invece sostenuta dal contributo positivo che continuerà a provenire dalle
esportazioni nette, alimentate dalla vivace domanda delle economie asiatiche
e dalla svalutazione del dollaro.
Tabella 1.3
Bilancio delle famiglie
(in % del reddito disponibile)
Francia
Germania
Italia
Giappone
Regno Unito
Stati Uniti
Tasso di
risparmio (*)
Debiti (**)
Debiti di
lungo termine (**)
11,9
10,5
11,9
3,1
4,9
-1,1
89
107
59
132
159
135
65
71
40
63
117
101
(*) 2006; (**) 2005.
Nel 2008 l’econoFonte: elaborazioni su dati OCSE.
mia dell’area euro
frena ulteriormente, con un PIL che cresce dell’1,7% dopo il +2,6% del 2007, anno in cui è avGrafico 1.7
venuto il sorpasso temporaneo sugli
Contributi alla crescita delle esportazioni dell'area euro
(variazioni %)
USA (+2,2%). Le cause della riduzione
1,2
della crescita sono: il rallentamento
1994
2006
1
della domanda estera (soprattutto
americana); le difficoltà del settore im0,8
15; l’evoluzione debole dei
mobiliare
0,6
consumi a causa delle restrizioni delle
0,4
condizioni creditizie; le elevate quota0,2
zioni petrolifere; l’apprezzamento del0
l’euro. I fattori di sostegno della cresciStati Uniti
Brasile
Cina
India
Russia
ta sono: l’interruzione della fase dei
Fonte: elaborazioni CSC su dati FMI.
rialzi dei tassi da parte della BCE (si
veda oltre); il migliore andamento delle finanze pubbliche nel corso del 2007,
che prelude a una neutralità se non a un orientamento espansivo delle politiche di bilancio nel 2008; una dinamica occupazionale ancora favorevole, accompagnata da aumenti retributivi, che sosterrà l’incremento dei consumi il prossimo anno; infine l’ulteriore riorientamento dell’export verso mercati di destinazione più dinamici (Grafico
1.7).
L’export dell’eurozona
tiene nonostante
il cambio
Va sottolineata la tenuta delle esportazioni, aiutata dalla maggiore resistenza competitiva
all’apprezzamento del tasso di cambio: almeno due tra i maggiori paesi membri dell’eurozona, quali Italia e Germania, mostrano una minore elasticità della domanda dei loro
prodotti al prezzo e quindi al rafforzamento del cambio. Rafforzamento che, va ribadito,
è più contenuto di quel che appare dal rapporto bilaterale con il dollaro, come dimostra
l’evoluzione del tasso di cambio effettivo.
15
All’interno dell’area coesistono realtà completamente differenti che vanno dalla situazione tedesca (completamente immune dalla bolla residenziale) a quella spagnola (con un’evoluzione molto simile alla realtà americana,
sia in termini di entità che di ricorso al debito bancario).
32
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
La BCE taglierà i tassi di un quarto di punto nel primo trimestre del
2008. Il CSC fonda questa previsione sui seguenti elementi. Da un lato la BCE resta preoccupata dagli andamenti monetari molto sostenuti nell’area – nonostante la crisi dei mutui subprime – e dal rialzo delle
aspettative di inflazione, cui si è aggiunto il recente emergere di tensioni sugli andamenti di fondo dei prezzi oltre che nelle componenti energetica e alimentare (vedi il riquadro
Il rialzo dell’inflazione: un pericoloso falso allarme). Dall’altro, la rivalutazione del cambio e
l’emergere di spinte recessive provenienti dalla stessa crisi finanziaria portano a prevedere un ribasso del tasso ufficiale, fermo al 4% dal giugno 2007. Nello scenario del CSC, dopo la riduzione al 3,75% del tasso di riferimento, la BCE non attuerà nuovi allentamenti,
in attesa degli sviluppi nell’economia reale. Nel 2008 il tasso ufficiale risulterà così pari al
3,8% in media (–0,05% rispetto al 2007). L’Euribor nel 2008 sarà in graduale discesa, nell’ipotesi di un lento rientro degli effetti della crisi di liquidità; comunque risulterà pari al
4,48% in media d’anno, quasi tre quarti di punto sopra il tasso BCE e in crescita di 0,2 punti sul livello medio del 2007. Nel 2009 l’Euribor proseguirà la normalizzazione, scendendo al 4,13% medio.
In calo i tassi
di interesse europei
e americani
I dati incoraggianti per il PIL statunitense nel terzo trimestre 2007 (+4,9%) non bastano
per evitare alla FED di dover tagliare ancora i tassi. Al momento di chiudere questo rapporto non è nota la decisione assunta l’11 dicembre. Qui si è ipotizzata una riduzione di
un quarto di punto dei FED Funds; le attese di mercato puntano a un calo anche maggiore. I timori di un aumento dell’inflazione, a seguito dei rialzi delle materie prime e
della debolezza del cambio, spingono a una scelta prudente. Nel primo trimestre del
2008, quando si sarà già accumulata maggiore evidenza degli effetti della crisi finanziaria sull’economia, si ipotizzano due nuovi piccoli tagli, che porteranno il tasso di riferimento al 3,75%, livello al quale poi resterà fermo lungo la rimanente parte dell’orizzonte previsivo. Nella media del 2008 si attesta al 3,8% (un punto e tre decimi in meno rispetto al 2007). Anche negli USA il tasso di mercato a 3 mesi si mantiene superiore a
quello ufficiale, come effetto della crisi di liquidità (4,3% nel 2008). Il differenziale del
tasso ufficiale di interesse con quello dell’area euro si annulla nel corso del 2008 (rispetto al +1,2% del 2007).
Resta debole
il dollaro
Nello scenario previsivo del CSC le determinanti del tasso di cambio
sostengono tutte l’euro rispetto al dollaro: l’ulteriore decisa riduzione
del differenziale dei tassi di interesse; il divario di crescita non più favorevole alla moneta americana; la lunga strada ancora da percorrere per riequilibrare il
deficit corrente americano. Si ipotizza, perciò, un euro ancora forte sul dollaro in tutto l’orizzonte previsivo, solo leggermente sotto gli elevati livelli attuali (1,45 dollari per euro in
media sia nel 2008 sia nel 2009). In media d’anno nel 2008 il cambio segna un rialzo del
5,8% rispetto agli 1,37 dollari per euro del 2007. Nel prossimo biennio, dunque, l’euro si
posiziona nella parte alta della forchetta disegnata dai diversi indicatori di cambio di
equilibrio (vedi il riquadro Sei misure per un dollaro equilibrato).
33
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
DAI RINCARI DELLE MATERIE PRIME MENO CRESCITA, POCA INFLAZIONE E PIÙ EXPORT
Perdita di potere d’acquisto per le famiglie, erosione dei margini per le imprese, ma anche nuove opportunità di export. I rincari delle materie prime avvenuti dopo l’estate
freneranno la domanda interna, ma daranno una mano a sostenere quella estera. Nel
complesso, prevarrà l’effetto di rallentamento, soprattutto perché il rialzo si somma al
clima di incertezza creato dall’andamento dei mercati finanziari. L’impatto sull’inflazione invece, al di là del rialzo di breve termine già in corso, sarà alla lunga più moderato rispetto ad analoghi episodi del passato.
L’aumento delle quotazioni è stato piuttosto diffuso, almeno fino alla metà dell’anno
quando anche i prezzi delle materie prime non alimentari erano saliti ai massimi storici.
Ciò avviene perché la gran parte dei mercati fisici internazionali è caratterizzata da una
domanda in forte espansione, piuttosto che da cali dell’offerta. I prezzi in euro delle
commodity hanno registrato nel complesso un incremento annuo del 26,4% a novembre
2007 rispetto a dodici mesi prima1. Le quotazioni delle materie prime alimentari segnano +7,7%2 e quelle dei combustibili +38,3%: il prezzo del Brent in euro (quello che conta
per l’Italia) è rapidamente cresciuto dai giorni della crisi finanziaria, toccando a fine novembre un nuovo massimo storico (64,9 euro per barile, +5,8% sul picco dell’agosto
2006); in dollari il Brent ha segnato il record a quota 96,1. Le materie prime non alimentari, invece, sono ora in calo dell’1,2% annuo3, pur restando su livelli molto elevati. Gli
incrementi dei prezzi delle materie prime sono essenzialmente il sintomo della robusta
crescita dei paesi emergenti (che rappresentano ormai la metà del PIL mondiale) e ridistribuiscono reddito e crescita a scapito dei paesi che ne sono importatori e a vantaggio
dei paesi che le esportano, peggiorando – a parità di altre condizioni – le ragioni di scambio dei primi e migliorando quelle dei secondi. L’incremento dei costi per le imprese e
dei prezzi al consumo per le famiglie è il meccanismo con cui il trasferimento di reddito
avviene, riducendo i margini aziendali e sottraendo potere d’acquisto ai consumatori.
Più che uno shock inflattivo è un freno alla crescita dei paesi, come l’Italia, trasformatori di materie prime.
Per alcune materie prime, in particolare il petrolio e i metalli non ferrosi, gli ultimi rialzi sono stati accentuati dall’afflusso di capitali finanziari in cerca di investimenti alternativi alle azioni e alle obbligazioni. Questi afflussi sono stati esaltati da fattori extraeconomici che hanno accresciuto le attese di scarsità di offerta: le tensioni geopolitiche
nel Medio Oriente4; il timore che gli uragani nel Golfo del Messico (da giugno a novembre) danneggiassero nuovamente le infrastrutture petrolifere USA; il protratto taglio di 600 mila barili giornalieri nella produzione messicana a causa del maltempo. Su
questi fattori5 e soprattutto sulla ricerca di asset-rifugio in cui investire in una fase di ri1
Secondo l’indice CSC, elaborato sulla base del fabbisogno italiano.
In particolare i prezzi dei cereali, nonostante il calo del 2,4% in novembre, sono più elevati del 20,5% rispetto
al novembre dello scorso anno, circostanza che molti collegano all’aumento della produzione di biocombustibili. A crescere di più è stato il prezzo del frumento (grano tenero) che in dodici mesi è salito del 23,7%.
3 I prezzi dei metalli (ferrosi e non) mostrano un marcato rallentamento nella seconda metà del 2007 (–15,1% a
novembre rispetto a maggio 2007, –11,1% l’acciaio).
2
34
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
bassi delle azioni e dei tassi a lunga, ha fatto leva la speculazione finanziaria sul greggio. Ciò però significa anche che un’inversione di rotta dei flussi di capitale6 può creare repentini ribassi delle quotazioni (come quelli osservati a fine novembre).
Comunque, in questa fase agisce la scarGrafico A
sità fisica di greggio: dopo il deficit di ofPetrolio, la carenza di offerta
ferta per 1,25 milioni di barili al giorno
(mbg)
(mbg) nel primo trimestre del 2007, nel
32
secondo se n’è avuto uno minore (–0,18
31
mbg), seguito da un altro ampio nel terzo trimestre (–0,85 mbg). Il quadro non
30
appare destinato a migliorare a breve,
perché si va verso un periodo di doman29
Produzione di greggio OPEC
da stagionalmente alta (Grafico A). Il
28
Richiesta di greggio OPEC
mercato non è più ben fornito come per
tutto il 2006, dato che la produzione
27
1Q07
2Q07
3Q07
4Q07
1Q08
2Q08
3Q08
4Q08
7 è risalita finora troppo lentamenOPEC
Fonte: elaborazioni CSC su dati OPEC.
te: la produzione del cartello dovrebbe
aumentare di circa 0,8 mbg rispetto al livello di settembre per garantire un pareggio nel quarto trimestre, un aumento facilmente realizzabile vista l’elevata capacità
inutilizzata; ma l´OPEC ha deciso un aumento di soli 0,5 mbg da inizio novembre. La
carenza d’offerta nel corso del 2007 ha provocato una riduzione delle scorte USA (–11
mb a settembre 2007 rispetto allo scorso anno), che restano però superiori alla media degli ultimi 5 anni (+28 mb). Le scorte di greggio e raffinati nell’insieme dei paesi OCSE
sono risultate in aumento fino al secondo trimestre 2007 (+22 mb sul livello del 2006,
+4,6% sulla media degli ultimi sei anni). Per i prossimi anni bisognerà verificare la capacità del Cartello di aumentare la produzione al passo con la domanda, il che rappresenta un’ulteriore spinta ai rincari.
La caduta del dollaro ha contribuito al rialzo dei prezzi delle materie prime, giacché con
tale aumento viene difeso il potere d’acquisto dei Paesi produttori di commodity dal calo della divisa USA8. Da agosto, in particolare il rialzo del greggio è avvenuto di pari
passo con l’indebolimento del dollaro. Questo significa, al tempo stesso, che l’incremento delle quotazioni delle materie prime in dollari (valuta nella quale, come il petrolio, la maggior parte sono espresse) è stato molto più marcato (+44,9% tendenziale a novembre9).
4
Non solo in Iraq (dove si è aggiunta di recente la questione turca), ma anche in Iran, con l´ONU che propone
nuove sanzioni, in Siria, dove si susseguono attacchi a oleodotti e in Afghanistan.
5 Solo alcuni dei quali comportano effettivi cali, per lo più temporanei, dell’offerta.
6 Che possa venir innescata da una serie di dati confortanti, come un aumento della produzione di greggio o delle scorte, o da una moderazione delle tensioni geopolitiche.
7 Pari a 30,6 mbg a settembre, con una quota di circa il 36% sulla produzione mondiale.
8 Negli ultimi mesi anche i metalli preziosi (oro e argento) stanno rincarando su livelli record.
9 Secondo l’indice CSC costruito sulla base delle quote del commercio mondiale.
35
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
Il più contenuto aumento dei prezzi in
euro, insieme all’intensità petrolifera in
costante calo e all’alta incidenza delle
imposte al consumo, motiva l’attesa di
un impatto moderato del rincaro del
greggio sugli andamenti economici nell’area euro e in Italia, sia sul fronte dell’inflazione sia della crescita. In termini
reali, nella media del 2007 si è avuta
una lieve riduzione, dello 0,7%, del
prezzo del Brent in euro (Grafico B)10. E
il calo dell’intensità petrolifera è proseguito ininterrotto negli ultimi anni nei
paesi sviluppati, e un po’ più velocemente in Italia che nel resto dell’area
euro (Grafico C). Per tutte le economie
avanzate l’intensità è meno della metà
di quella degli anni Settanta11.
Per quanto riguarda le ragioni di scambio
(che sono date dal rapporto tra i prezzi
all’export e i prezzi all’import e misurano
la quantità di esportazioni necessaria a
pagare un dato ammontare di import), in
Italia si sono avuti tra il 2004 e il 2006 tre
anni di perdite (–3,5% nel 2006), con un
profilo molto simile a quello degli USA. Il
2007 e poi anche, in minor misura, il 2008
dovrebbero vedere un parziale recupero
italiano (Grafico D), sulla base dei valori
medi unitari ISTAT che però sono una
misura non pienamente affidabile dei
prezzi all’export e all’import. Per gli USA
si prevedono invece nuovi lievi cali. Il
10
Grafico B
Prezzo del Brent
(euro per barile)
70
60
Euro correnti
50
Euro costanti
40
30
20
10
0
1970
1974
1978
1982
1986
1990
1994
1998
2002
2006
Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Financial, EUROSTAT.
Grafico C
Intensità petrolifera dell’economia:
consumo di petrolio su PIL
(barili al giorno per milioni di euro a prezzi costanti)
6,00
Italia
Regno Unito
5,00
USA
Giappone
Euro area (al netto
Italia)
4,2
4,00
3,00
1,8
2,00
1,00
0,00
1970
1974
1978
1982
1986
1990
1994
1998
2002
2006
Fonte: elaborazioni CSC su dati British Petroleum, EUROSTAT.
I prezzi energetici correnti in euro, visto il particolare profilo infrannuale nel 2007 (con un minimo a gennaio
e poi una lunga risalita), se valutati nei primi undici mesi del 2007 rispetto all’analogo periodo dello scorso anno, risultano inferiori dello 0,8%.
11 La domanda mondiale di petrolio continua a crescere a tassi sostenuti nonostante la riduzione dell’intensità
petrolifera nelle economie avanzate dato che nel PIL mondiale, la cui crescita resta elevata, contano sempre di
più le economie emergenti che hanno un’intensità petrolifera molto più elevata. La ricomposizione dei consumi
verso i paesi emergenti sta in effetti rallentando notevolmente la diminuzione dell’intensità energetica mondiale rispetto alla rapidità del calo nei paesi avanzati.
12 I paesi esportatori di materie prime agricole, come il Brasile, hanno invece subito significative erosioni delle
ragioni di scambio nel triennio 2004-2006, molto più forti di quelle subite dall’Italia. L’impennata delle quotazioni alimentari nel 2007 dovrebbe rappresentare semplicemente un parziale recupero per tali paesi.
36
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
complesso delle economie in via di sviluppo ha registrato viceversa un miglioramento delle ragioni di scambio negli
ultimi anni, particolarmente sostenuto
per i paesi OPEC12. Ciò rappresenta un
incremento del loro reddito che si sta
traducendo in maggiore domanda interna. È un’opportunità di export, ben colta dall’Italia: nei primi dieci mesi del
2007, come già nel 2006, le esportazioni
italiane sono cresciute soprattutto verso
i paesi esportatori di materie prime
energetiche (+30,1% verso la Russia,
+25,8% verso l’OPEC).
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
Grafico D
Andamento delle ragioni di scambio
1,10
1,05
1,00
0,95
Italia
USA
Paesi in via di sviluppo
0,90
1990
1993
1996
1999
2002
2005
2008
* Italia 2007-08 nostre previsioni; USA 2007-08 previsioni Global Insight;
PSV 2007-08 previsioni FMI.
Fonte: elaborazioni CSC su dati ISTAT, Thomson Financial, Global Insight,
FMI.
SEI MISURE PER UN DOLLARO EQUILIBRATO
C’è un pavimento che limita la caduta del dollaro? Un valore al di sotto del quale non
può scendere? In realtà ce n’è più di uno, a seconda della funzione economica svolta
dalla moneta americana e dei parametri di riferimento. Qui si considerano sei misure
del «giusto» livello del cambio del biglietto verde. La maggior parte di queste misure
indica che il dollaro è già nettamente sottovalutato rispetto all’euro, mentre rimane sopravvalutato verso lo yuan cinese.
Un dollaro competitivo. Il primo set di misure si riferisce alla competitività direttamente
osservata attraverso i confronti dei livelli di prezzo e di costo. Per paragonare i prezzi
si possono utilizzare le parità di potere d’acquisto (Purchasing-Power Parity, PPP), cambi di conversione ideali che rendono uguale il prezzo di un paniere di beni in ogni coppia di paesi; i tassi di cambio effettivi in teoria dovrebbero oscillare attorno alle PPP1.
Iniziamo da una speciale PPP: il Big Mac Index dell’Economist, cioè il raffronto tra i prezzi del famoso panino, un bene disponibile con pari qualità in 120 paesi. I listini del Big
Mac, rilevati lo scorso luglio, dicono che il cambio corretto tra dollaro ed euro è a 1,12,
quello tra yen e dollaro a 82,1 e tra yuan e dollaro a 3,23 (Tabella A). Lo yen contro euro dovrebbe collocarsi a 92 e lo yuan/euro a 3,62. Perciò l’euro risulta sopravvalutato
del 32% sul dollaro, del 203% nei confronti dello yuan e del 74% verso lo yen. Il lentis1 Tale teoria si basa sull’omogeneità dei prodotti presi in considerazione. Un altro approccio alla PPP è considerare solo i prezzi dei beni oggetto di commercio internazionale. Ciò implica che l’arbitraggio internazionale su merci si attui ogni qual volta il prezzo di un bene commerciato si discosti dal prezzo internazionale. Tuttavia la legge
del prezzo unico non sempre si realizza in quanto i prodotti possono essere apparentemente simili ma nascondere
significative differenze qualitative.
37
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
Tabella A
Il giusto cambio del dollaro: il verdetto delle PPP
Paesi
Stati Uniti
Area Euro
Gran Bretagna
Giappone*
Cina*
dollari per unità
delle altre monete:
26 nov. 2007
PPP del dollaro
(Big Mac Index)
PPP del dollaro
(OCSE)
PPP del dollaro
(UBS, beni alimentari)
PPP del dollaro
(IMD, costo
orario del lavoro)
1,48
2,07
108,24
7,40
1,12
1,71
82,10
3,23
1,15
1,54
121,25
1,47
2,07
143,90
5,47
1,31
1,89
94,19
3,33
* Il tasso di cambio è definito come: altre monete per un dollaro.
Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Financial, Economist, UBS e IMD.
simo apprezzamento dello yuan ha ridotto molto poco la sua sottovalutazione nei confronti del dollaro mentre l’ha accresciuta verso l’euro. Tra le altre principali valute solo
lo yen risulta sottovalutato contro il dollaro, del 24%2.
Un’altra PPP particolare viene dall’indagine UBS3 sui prezzi di un paniere di 39 beni alimentari in 71 città di diversi paesi. Dai dati di questa indagine, che è effettuata per rilevare il potere di acquisto nelle varie economie, si sono ricavate le PPP implicite del dollaro rispetto alle singole valute. Queste PPP dicono che il cambio corretto tra dollaro ed
euro è a 1,47, quello tra yen e dollaro a 143,9 e infine quello tra yuan e dollaro a 5,47. Lo
yen contro euro dovrebbe collocarsi a 211 e lo yuan euro a 8,04. Perciò l’euro risulta quasi al suo cambio di equilibrio rispetto al dollaro. La moneta europea risulta ancora sopravvalutata del 36% rispetto allo yuan, mentre è sottovalutata del 24% rispetto allo
yen.
Una terza PPP viene da una misura omogenea in termini di definizione e che rappresenta in modo molto efficace la similitudine o meno delle realtà economiche messe a
confronto: il costo orario del lavoro. Considerando i dati dell’IMD4 si sono calcolate le
PPP del dollaro in base a tale variabile. Il cambio corretto dollaro/euro dovrebbe essere pari a 1,31, quello tra yen e dollaro a 94,19 e tra yuan e dollaro a 3,33. Lo yen contro
euro dovrebbe attestarsi a 123,5 mentre lo yuan rispetto alla moneta europea a 4,4.
L’euro quindi risulta sempre sopravvalutato: rispetto al dollaro del 13%, rispetto allo
yen del 29,7% e del 150,7% rispetto allo yuan.
Le PPP più complete e generali si riferiscono all’intero PIL. Dalle PPP calcolate dall’OCSE risulta che l’euro è sopravvalutato del 22% sul dollaro e del 13% sullo yen5.
Il dollaro è competitivo anche quando si osservano due misure meno dirette: l’andamento del tasso di cambio effettivo reale e il saldo della bilancia corrente. In novembre
2 Lo
yen si è apprezzato del 6,5% sul dollaro negli ultimi 4 mesi.
delle principali società internazionali di servizi finanziari.
4 IMD World Competitiveness Yearbook 2007.
5 I dati benchmark dell’OCSE sono riferiti al 2005 e le serie, che arrivano al 2006, sono state riportate al 2007 con i deflatori del PIL.
3 Una
38
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
il cambio effettivo reale (calcolato dalla FED su un paniere di 26 valute e sulla dinamica dei prezzi al consumo) si colloca appena sopra ai minimi storici: 86,9, +3,5% sul record di svalutazione toccato nell’ottobre 1978, mentre è del 32,2% inferiore al massimo
storico del marzo 1985. Rispetto alla media di lungo periodo è dell’11,1% più basso. Nei
confronti delle sette principali valute (tra cui l’euro) emerge una sottovalutazione media effettiva ancora più accentuata: +2,2% sul minimo dell’aprile 1995, –38,9% dal massimo sempre del marzo 1985 e –15,9% sulla media di lungo periodo.
La zavorra del deficit. Il disavanzo nei conti con l’estero continua comunque a tirare giù
il dollaro. Il livello di equilibrio di un cambio può essere considerato quello che pareggia il saldo tra export e import, o perlomeno lo mantiene a un livello sostenibile
(che per gli USA può essere un disavanzo del 2-3% del PIL, considerata l’elevata attrattività di quella economia per gli investimenti dall’estero). In USA il deficit ha toccato il massimo nel quarto trimestre del 2005, quando è stato pari al 6,8% del PIL; poi
ha cominciato a calare ed è arrivato al 5,5% nel secondo trimestre di quest’anno
(Grafico A). Proiettando l’attuale dinamica di export (+12,9% annuo) e import (+5,5%)
la bilancia corrente americana tornerebbe in attivo nel 2013; probabilmente un po’ prima, considerati gli effetti della svalutazione del dollaro sugli afflussi in dollari dei
profitti realizzati all’estero dalle società USA. Il traguardo appare però ancora troppo
lontano per rassicurare gli investitori, ma come detto non è necessario il saldo zero
per stabilizzare il cambio. Nell’ultimo anno all’aggiustamento ha contribuito, rendendolo più rapido, una crescita per qualche trimestre inferiore al potenziale. Infatti,
il saldo nei conti con l’estero dipende anche dalla dinamica della domanda interna. Se
viceversa la domanda interna americana tornasse a espandersi a ritmi elevati e rilanciasse l’import, per ottenere l’aggiustamento solo attraverso il cambio, l’ulteGrafico A
riore svalutazione del tasso di cambio
USA: la svolta dei conti con l’estero
effettivo nominale del dollaro rispetto
agli attuali livelli dovrebbe essere del
-3,0
120
Saldo bilancia corrente USA
23% verso le principali valute: ciò porte-3,5
(in % del PIL, scala sinistra)
110
rebbe il deficit delle partite correnti al
Tasso di cambio effettivo
-4,0
reale del dollaro (2000=100)
100
3% del PIL entro il 2011. Nel caso in cui
-4,5
il costo della riduzione del deficit ame-5,0
90
ricano si dovesse scaricare solo sull’eu-5,5
80
ro, il cambio bilaterale dovrebbe arriva-6,0
re a circa 2 dollari per euro (–37,9% dai
70
-6,5
valori attuali). Ma si tratta di una svalu-7,0
60
tazione irrealistica per le implicazioni
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
che avrebbe su altre variabili, quali la
Fonte: elaborazioni CSC su dati Thomson Financial, BEA.
crescita e i tassi in Eurolandia.
Conviene il dollaro? La domanda e l’offerta di dollari ed euro dipendono, più che dagli
scambi di merci, dalle motivazioni finanziarie che regolano le scelte di portafoglio degli investitori. In termini di tassi di interesse e divario di crescita (quest’ultimo un in-
39
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
dicatore di andamento dei profitti) le attività in dollari hanno perso appeal. Per i tassi
di interesse nominali a breve termine c’è stata una decisa riduzione del gap a favore
degli USA, sceso a soli 0,5 punti a seguito del taglio di 0,75 punti da parte della Fed.
Anche sui tassi reali a lungo termine si è ristretta la forbice, dallo 0,6% di agosto allo
0,3% di ottobre6; mentre il differenziale di crescita economica è divenuto favorevole
nel 2007 all’area euro (2,5% contro 1,9% secondo l’FMI), dopo essersi quasi annullato
nel 2006, per la prima volta dal 2001.
Tuttavia, il deprezzamento già realizzato, se non innesca una vera fuga dal dollaro (di
cui vi è qualche segnale nel tentativo di diversificare le riserve ufficiali e nel suo utilizzo come mezzo di pagamento internazionale), sta rendendo più convenienti gli asset
espressi nella valuta americana.
6 Misurata
dallo spread sui T-bonds a 10 anni deflazionati con la core inflation.
1.3. I rischi dello scenario
Il 2008 si presenta denso di incognite per la crescita economica. Le turbolenze finanziarie
non sono terminate. Occorreranno ancora alcuni trimestri prima che le acque si plachino
e c’è da dubitare che i mercati tornino rapidamente a operare con modalità analoghe a
quelle in auge prima della crisi. Ancor maggiore è l’incertezza sugli effetti di queste turbolenze per l’economia reale: quanto selettive diventeranno le banche e in che misura scaricheranno su famiglie e imprese l’aumentato costo del loro finanziamento?
Nello scenario di previsione del CSC le conseguenze della crisi finanziaria sono state incorporate alzando il costo del denaro praticato dalle banche, rialzo solo in parte contrastato da un taglio di un quarto di punto da parte della BCE nei primi mesi del 2008, e riducendo le stime di crescita di consumi e investimenti. L’intensità dei fenomeni potrebbe
scostarsi comunque molto da quelli qui attesi, in una direzione o nell’altra.
Ci sono però altre incognite, che corrispondono al comportamento di altrettante variabili:
l’economia degli Stati Uniti cadrà in recessione? Il petrolio continuerà la sua corsa? E il
dollaro proseguirà a svalutarsi? È possibile che la BCE decida di tagliare in modo più deciso i tassi per sostenere la crescita?
Ciascuna di queste incognite racchiude un rischio per le previsioni e soprattutto per le decisioni degli operatori economici, a cominciare dalle imprese impegnate a effettuare investimenti. E ciascun rischio ha diverse probabilità di diventare realtà. Infine, esiste una forchetta molto ampia di intensità di realizzazione di ciascun evento: di quanto si svaluterà an-
40
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
cora il dollaro? In che misura salirà il petrolio? Quanto profonda sarà la frenata americana?
Quanto e quando la BCE agirà sui tassi, oltre a ciò che è previsto nello scenario del CSC?
Per aiutare a orientare le scelte degli operatori, il CSC ha stimato le conseguenze economiche dei seguenti quattro eventi: la recessione, breve ma intensa, negli Stati
Uniti; il deprezzamento di un altro 10% del
cambio effettivo del dollaro; l’aumento fino a 100 dollari al barile del prezzo del petrolio; il taglio di un punto percentuale nel
tasso di intervento della BCE (Tabella 1.4).
Senza pretendere di dare alcuna valutazione circa le probabilità che si realizzino.
Tabella 1.4
Le conseguenze economiche di quattro rischi
(effetti sul 2008, variazioni % del PIL)
Italia
Area dell’euro
Stati Uniti
Recessione USA
0,4
1,1
–0,4
Svalutazione del dollaro
verso tutti
verso l’area euro
1,0
0,1
1,7
1,1
2,6
2,6
Petrolio a 100 $
0,5
1,3
1,6
Taglio BCE
1,6
2,2
1,8
Fonte: elaborazioni e stime CSC.
Alcuni di questi eventi possono verificarsi assieme, anche attraverso relazioni di
causa-effetto. Altri si escludono o si attenuano l’un l’altro. Per esempio: il dollaro che si
svaluta può essere legato alla recessione che rende ancor meno attraenti le attività americane per gli investitori esteri; ma al tempo stesso tende ad attenuare la frenata americana
perché stimola le esportazioni e l’acquisto di made in USA anche da parte degli acquirenti interni. Oppure: con una vera recessione americana il prezzo del petrolio scenderà piuttosto che salire. Ciò significa che non è corretto sommare gli effetti di tutti questi eventi
per avere un dato complessivo.
La recessione USA
Una caduta dello 0,4% del PIL americano nel 2008 arresta all’1,1% la crescita in Eurolandia e allo 0,4% quella italiana (in entrambi i casi si tratta
di una decurtazione dello 0,6% nel ritmo di crescita del PIL). Per avere qualche termine di
paragone, durante l’ultima recessione USA avvenuta nel 2001 il PIL crebbe comunque in
media d’anno dello 0,8%; per trovare una discesa del PIL americano immortalata anche nei
dati annuali bisogna risalire al 1991 (–0,2%). Per determinare un arretramento così consistente (comporta una minor crescita del 2,2% rispetto alla previsione del CSC) dell’economia statunitense occorre una crisi delle costruzioni residenziali più profonda e prolungata,
con una caduta dei prezzi degli immobili del 5% a trimestre per tre trimestri consecutivi a
partire dall’ultimo del 2007. Ciò avrebbe impatti negativi sugli investimenti, specialmente
in costruzioni e sui consumi, con riflessi anche sulle quotazioni azionarie. La contrazione
della domanda interna indurrebbe la FED a tagliare drasticamente i tassi ma il mercato del
credito non risponderebbe nelle attuali circostanze in modo rapido ed efficace come in passato. L’ampliarsi dei differenziali di crescita e dei tassi di interesse tra gli Stati Uniti e l’area
dell’euro porterebbe a un ulteriore indebolimento del dollaro.
La svalutazione
del dollaro
Con una caduta del 10% della valuta USA i contraccolpi sul PIL italiano nel 2008 oscillano tra zero e 0,9%. L’impatto di un’ulteriore scivolone del biglietto verde varia notevolmente a seconda che avvenga in modo uniforme nei
confronti di tutte le valute o (come è accaduto finora) in misura prevalente verso l’euro e
le altre valute che si muovono in sintonia con la moneta unica. Nel primo caso le riper-
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Scenari economici n. 1, Dicembre 2007
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA
cussioni sulla crescita dell’area euro e dell’Italia sono sostanzialmente nulle il primo anno, sia perché le variazioni del cambio agiscono con qualche ritardo sulle variabili reali sia
perché la perdita di competitività è distribuita in modo omogeneo tra tutte le economie
concorrenti degli Stati Uniti. Inoltre, traendone slancio anche la domanda interna USA, ciò
attiva importazioni dal resto del mondo attenuando così l’impatto della minore competitività. Viceversa, le conseguenze per l’Europa sono massicce se l’onere dell’aggiustamento grava principalmente sull’euro. In questo secondo caso la svalutazione del 10% del
cambio effettivo del dollaro comporta una frenata del PIL di Eurolandia all’1,1% e quello
dell’Italia addirittura allo 0,1% nel 2008.
Petrolio a 100 dollari
Con un greggio così caro il PIL americano frena all’1,6% nel 2008
(dall’1,8% atteso), quello dell’area euro all’1,3% (dall’1,7%) e quello
italiano allo 0,5% (dall’1%). Se il prezzo del greggio si stabilizzasse a 100 dollari a barile
(la qualità di riferimento è il Brent) si tratterebbe di un rincaro ulteriore del 25% rispetto
allo scenario del CSC per il 2008. Il colpo sarebbe però assorbito in fretta in Europa e Italia,
mentre avrebbe un’eco prolungata nel 2009 per gli Stati Uniti.
La BCE taglia di un punto
Con una netta espansione monetaria nel 2008 il PIL dell’eurozona accelera al 2,2% e quello dell’Italia all’1,6%. Anche grazie a un euro meno forte. Mentre si osservano ripercussioni sull’inflazione non rilevanti nell’immediato
ma che diventano significative dal secondo anno in poi. Anche per questo la probabilità
che tale evento si verifichi, sebbene abbia effetti ampiamente positivi sulla crescita, sono
pressoché nulle nell’attuale contesto.
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