riflessioni sul concetto di distretto logistico

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riflessioni sul concetto di distretto logistico
RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO
LOGISTICO *
Roberto Vona**
Abstract
I processi di outsourcing e la globalizzazione dell’economia, hanno richiesto
innovazioni radicali nei sistemi di gestione delle operazioni logistiche, al fine di conciliare
rapidità, regolarità e flessibilità nei cicli di produzione. Ciò ha generato una forte domanda
di imprenditorialità in grado di sviluppare capacità e competenze specialistiche nei processi
di attrazione dei flussi di traffico e di gestione delle attività logistiche a maggior valore
aggiunto. Nell’articolo si sostiene la tesi che le aggregazioni spaziali di imprese di servizi
logistici, se progettate guardando all’esperienza dei distretti industriali, dispongano delle
condizioni di vantaggio per poter attivare con successo le sinergie e le economie di sistema
necessarie per operare con successo nel business della logistica merci. Il lavoro è articolato
in due parti. La prima dedicata alla concettualizzazione del fenomeno dei distretti logistici.
La seconda, invece, prende spunto dai risultati di un’indagine empirica condotta su alcune
realtà operative di particolare rilievo, per supportare con esemplificazioni più dettagliate le
schematizzazioni e le considerazioni teoriche.
Keywords: distretti logistici, sistemi di logistica integrata, outsourcing logistico.
In the last years it has been creating the sector of logistic services, that presents
competitive and managerial problems typical of the "classic" industrial sectors. In particular,
the outsourcing fenomena and the globalization process are developing great business
opportunity for firms specialized in management of logistics services.
The article presents some theoretical reflections about the economics of spatial
concentration in the same location of firms supplying logistics operations. On this subject,
there is a part of the article dedicated to the conceptualization of the Logistics Districts and a
second one reporting the results of a focused empirical research, aimed to analyze relevant
case of logistics supplying systems.
Keywords: Logistics Districts, Logistics Supplying Systems, Logistics Outsourcing
*
**
Contributo realizzato rielaborando ed integrando alcune parti curate dall’autore in un
volume di recente pubblicazione (Ottimo, Vona, 2001).
Ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese e Docente di Gestione della
Produzione e dei Materiali - Università degli Studi di Napoli Federico II.
e-mail: [email protected]
sinergie n. 56/01
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1. Premessa
Nei Paesi industrialmente più avanzati lo sviluppo dei fenomeni di
polverizzazione dei sistemi di produzione ha creato nuove opportunità di business
per gli operatori della logistica, sia nelle attività di gestione dei flussi di materiali e
componenti dai luoghi di produzione (industriale o agricola) agli stabilimenti di
trasformazione o assemblaggio, sia in quelle di gestione dei flussi distributivi di
prodotti finiti. Si tratta, in particolare, di quelle attività di stoccaggio,
movimentazione, manipolazione, confezionamento, distribuzione, che un numero
crescente di imprese industriali e commerciali non ritengono più strategicamente
funzionale al proprio core business (Borghesi, Buffa, Canteri, 1997).
Per poter assumere un ruolo di rilievo nel settore dei servizi logistici ed aspirare
a gestire i grandi flussi di merci attivati dai processi di outsourcing e dalla
globalizzazione dei mercati e delle produzioni, è necessario realizzare sistemi di
gestione in grado di conciliare la rapidità (contenimento dei tempi di gestione delle
operazioni logistiche), la regolarità (a ritmi o “frequenze” crescenti) e la flessibilità
nella produzione del servizio (capacità di adattare le caratteristiche dei flussi alle
esigenze del mercato finale sia sulla base delle molteplici destinazioni geografiche
verso cui essi sono diretti, sia per quanto riguarda le dimensioni dei carichi).
Diventa, pertanto, indispensabile sviluppare capacità e competenze specialistiche nei
processi di attrazione dei flussi di traffico e di gestione delle attività logistiche a
maggior valore aggiunto. A tal riguardo, si ritiene che le aggregazioni spaziali di
imprese di servizi logistici, se progettate guardando all’esperienza dei distretti
industriali, dispongano delle condizioni di vantaggio per poter attivare con successo
le sinergie e le economie di sistema necessarie per operare con successo nel business
della logistica merci.
Si è pensato di dividere il lavoro in due parti. La prima dedicata alla
concettualizzazione del fenomeno dei distretti logistici. La seconda, invece, prende
spunto dai risultati di un’indagine empirica condotta su alcune realtà operative di
rilievo nazionale ed internazionale, per supportare, con esemplificazioni più
dettagliate, le schematizzazioni e le considerazioni teoriche presentate nella parte
iniziale dell’articolo; e per avviare, nel contempo, una riflessione sui possibili
percorsi da seguire per stimolare l’attenzione e l’interesse delle imprese di logistica
verso modelli di gestione delle operation in grado di realizzare “prodotti” innovativi
e flessibili, che presuppongono la volontà e la capacità di istituzionalizzare sistemi
di relazione e di partnership di diverso livello di complessità ed integrazione tra
operatori specializzati indipendenti.
2. Logistica conto terzi e logiche distrettuali
Lo studio dei fondamenti economici e delle traiettorie di sviluppo specifiche del
business dei servizi logistici conto terzi non può prescindere da una rilettura dei
fenomeni di reingegnerizzazione del “nocciolo duro” delle attività operative
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aziendali, cui sempre più spesso si associano processi di riconfigurazione dei confini
organizzativi dell’impresa. E’ noto, infatti, che dall’aumento della pressione
competitiva, dalla compressione dei tempi di recupero dell’investimento e dalla
contestuale crescita della rischiosità operativa, sono venuti i principali stimoli per
dar vita ad un radicale ripensamento strategico delle iniziative imprenditoriali e per
cercare soluzioni manageriali ed organizzative più flessibili (Sciarelli, 1987).
Si intuisce facilmente, pertanto, come in uno scenario competitivo caratterizzato
dai suddetti mutamenti le attività logistiche, e non solo dunque quelle trasportistiche,
siano state tra le prime ad essere assoggettate ad approfondite analisi del tipo “make
or buy”, guidate dalla necessità di snellire al massimo l’impegno produttivo diretto
tramite la cessione a terzi specializzati di parti del ciclo di lavorazione o di interi
rami d’azienda giudicati non più allineati agli standard di produttività ed efficienza
richiesti dal mercato. Là dove si è riusciti a trovare imprenditori convinti di gestire
con migliori risultati la rigidità dei fattori produttivi, i possibili “sprechi” di risorse e
i relativi rischi economico-finanziari, si è potuto percorrere la strada della
progressiva scomposizione fisica del nucleo originario d’impresa; anche se,
contestualmente, si sperimentavano nuovi meccanismi di coordinamento e controllo,
in grado di assicurare la necessaria sincronia alle diverse fasi del ciclo produttivo e il
rispetto degli accordi pattuiti.
Da queste operazioni di riassetto aziendale sono nate delle vere e proprie
costellazioni di imprese indipendenti, che, però, per esigenze di “squadra”,
continuano a lavorare in stretta simbiosi con le necessità e le indicazioni
dell’azienda “madre”, ed alla quale affidano la leadership e la responsabilità
generale del governo della nuova forma d’impresa. In questi casi può succedere che
una parte rilevante delle attività esternalizzate continui ad essere gestita in
prossimità dell’azienda “committente” e, talvolta, all’interno del sito industriale
originario e senza sostanziali stravolgimenti nella dotazione di risorse fisiche ed
umane, anch’esse “cedute” nel processo di outsourcing. Ciò accade, evidentemente,
quando le necessità di maggiore efficienza e flessibilità debbono conciliarsi con la
difficoltà di assicurare sincronia alle diverse fasi del ciclo produttivo ed affidabilità
qualitativa ed organizzativa all’innovazione nei modelli di management, che non
sempre trova soluzioni praticabili ed economicamente vantaggiose al di fuori della
classica concentrazione spaziale di attività.
Chiaramente, nell’esprimere tali considerazioni, non si vuole in alcun modo né
negare che attraverso la delocalizzazione di alcune attività operative in altri contesti
territoriali sia possibile recuperare, senza particolari sforzi, ampi margini di
redditività per effetto di politiche fiscali e finanziarie incentivanti, ovvero grazie alle
robuste convenienze sul versante dei costi di gestione della manodopera e della
tutela ambientale; né nascondere che ciò abbia trovato condizioni favorevoli di
implementazione nello sviluppo dei sistemi di trasporto merci in direzione di una
sempre maggiore velocità, affidabilità e competitività, e nella diffusione, a scala
mondiale, dell’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche per lo scambio in tempo
reale di conoscenze, che ha dato impulso alla creazione di reti di imprese proiettate
verso una dimensione cosiddetta virtuale. E’ pur vero, però, che in presenza di
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processi di outsourcing estesi a fasi del ciclo produttivo con output molto
“problematici” - come, ad esempio, le merci pesanti ed ingombranti dal valore
aggiunto modesto, per le quali l’incidenza dei costi logistici è particolarmente
elevata - associati a necessità di coordinamento organizzativo complesse ed
impegnative, si possono raggiungere standard di competitività migliori evitando di
estendere oltre certi limiti anche i confini geografici del nuovo sistema d’impresa
nato a seguito del “big bang” post-fordista.
L’importanza e la rilevanza strategica delle economie derivanti dalla contiguità
spaziale è testimoniata dallo sviluppo degli agglomerati distrettuali. E’ fuor di
dubbio, infatti, che dalla vicinanza possa venire un aiuto essenziale per poter
effettuare un’efficace e tempestiva verifica in progress del rispetto degli accordi
contrattuali di sub-fornitura, con riferimento principalmente alla qualità delle
lavorazioni e dei materiali impiegati, o anche per assicurare il giusto grado di
fluidità, sincronia e regolarità ai meccanismi di funzionamento dell’operatività
aziendale; obiettivi tutt’altro che semplici da gestire, specie quando si adottano
modelli di gestione cosiddetti a flusso teso1.
Schematizzando il ragionamento fatto in precedenza, le variabili che risultano
determinanti nell’analisi dei fattori di vantaggio competitivo specifici delle forme
distrettuali, rispetto ad altri sistemi di governance della disintegrazione dei processi
produttivi meno incentrati sulla “fisicità” delle relazioni, possono essere sintetizzate
nelle due condizioni sopra menzionate della problematicità dell’output produttivo e
della importanza strategica e complessità del coordinamento organizzativo (Tabella
1). Se i beni da realizzare presentano oneri logistici elevati, a monte e/o a valle del
ciclo operativo, e se le necessità di integrazione tra le diverse fasi della lavorazione
sono particolarmente stringenti e difficilmente demandabili a strumenti di
management ad elevato contenuto di “virtualità”, alla disgregazione economica
dell’iniziativa imprenditoriale non conviene associare anche una contestuale
separazione fisica delle attività cedute in outsourcing. Accade, infatti, in special
modo nei casi in cui il programma di esternalizzazione viene promosso e gestito da
imprese di grandi dimensioni, che molte delle operazioni cedute a terzi continuino
ad essere svolte nell’àmbito dello stesso sito industriale - se non addirittura nel
medesimo stabilimento di produzione - e senza mutamenti radicali sul piano della
quantità e qualità delle risorse impiegate. E’ evidente il riferimento ai fenomeni di
concentrazione spaziale di grandi aziende manifatturiere che, da un lato, sono state
costrette a destrutturarsi per rispondere alla crescente domanda di efficienza e
flessibilità, ma che, dall’altro, continuano a mantenere la leadership del
coordinamento organizzativo prima citato.
1
Oltre ai vantaggi indicati nel testo, nelle aggregazioni spaziali di imprese sono favorite:
la generazione e il trasferimento delle conoscenze-informazioni; l’iniziativa di mercato e
l’emulazione competitiva; la condivisione di investimenti e costi comuni, quali ad
esempio quelli di sicurezza, pulizia, manutenzione strade e segnaletica, adeguamento a
normative speciali; lo sviluppo di risorse fiduciarie e la sperimentazione di progetti di
partnership.
ROBERTO VONA
Importanza e complessità del coordinamento organizzativo
A
IMPRESE EXTRADISTRETTUALI
IMPRESE DISTRETTUALI
Coordinamento “out of site” realizzato Coordinamento “on site” realizzato
nelle aree distrettuali specializzate nelle aree distrettuali di produzione
nell’offerta di servizi logistici integrati
IMPRESE VIRTUALI
IMPRESE MULTIDISTRETTUALI
Coordinamento “out of site” realizzato Coordinamento “on site” realizzato
tramite lo sviluppo di tecnologie e tramite lo sviluppo di sistemi di trasporto
sistemi informativi evoluti
evoluti in grado di collegare più aree
distrettuali di produzione
B
Problematicità dell’output produttivo
A
B
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Tab. 1: Modelli di imprese reticolari a confronto
Esistono, però, anche esempi di aggregazioni industriali createsi spontaneamente
senza la regia di un’impresa promotrice dominante - dei quali molti distretti italiani
rappresentano un caso di specie - che, seguendo un percorso inverso a quello
accennato per spiegare la nascita dei poli distrettuali monocentrici, sono riusciti, in
talune realtà con risultati particolarmente brillanti, a coniugare in modo equilibrato
obiettivi notoriamente incompatibili se gestiti a livello di singola azienda. La
massimizzazione dei vantaggi derivanti dalla crescita della scala degli impianti di
produzione contrasta, infatti, con la necessità di mantenere al di sotto di certi limiti
la rischiosità operativa del business, che risponde all’obiettivo fondamentale di
aumentare la velocità di reazione al cambiamento tecnologico e di mercato.
Entrambe le configurazioni agglomerative, comunque, se le variabili considerate
nello schema di classificazione proposto evidenziano ognuna valori elevati, riescono
a garantire le migliori performance competitive soprattutto grazie alla “contiguità”
dei processi produttivi2. Ciò indipendentemente dalla circostanza che la
responsabilità del coordinamento dell’intero ciclo di approvvigionamento,
trasformazione e distribuzione rimanga in capo all’azienda “madre”, ovvero venga
2
Autorevoli studiosi dell’economia distrettuale (Becattini, 1999) sostengono che i sistemi
locali saranno ancora in futuro “una struttura portante dell’economia italiana anche (e
soprattutto) in un mondo caratterizzato da concorrenza globale e da crescente variabilità
delle tecnologie della produzione e del consumo”. E la politica industriale italiana degli
ultimi anni sembra orientata a favorire il rafforzamento delle realtà distrettuali
tradizionali e ampiamente conosciute, incentivando nel contempo la progressiva
legalizzazione del cosiddetto sommerso (Meldolesi, 1998), tradizionalmente molto
diffuso nelle aree economicamente meno sviluppate del nostro Paese.
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RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO
anch’essa affidata all’esterno ad altre imprese industriali; oppure, come sempre più
spesso accade, ad operatori specializzati nell’offerta di servizi logistici integrati.
Tornando allo schema di classificazione proposto nella Tabella 1, nel quadrante
in basso a sinistra sono state collocate le forme d’impresa che presentano
caratteristiche opposte a quelle definite distrettuali, con riferimento sia al livello di
problematicità dell’output produttivo realizzato sia al grado di importanza e
complessità dei meccanismi di coordinamento organizzativo. In questi casi lo
sviluppo delle tecnologie e dei sistemi informativi e di telecomunicazione può
favorire l’adozione da parte delle imprese industriali di modelli di management
iperdestrutturati, gli unici in grado di assicurare, in teoria, massima reattività ed
efficacia competitiva, senza sacrificare le fondamentali esigenze di produttività ed
efficienza. E’ fuor di dubbio, infatti, che per gestire processi di trasformazione per i
quali le problematiche “hardware” (ad esempio, macchinari, impianti, materiali e
componentistica) assumono un’importanza assolutamente marginale rispetto a
quelle di tipo “software” (progettazione, competenze, informazioni, ecc.), potranno
essere implementati, con risultati sempre più soddisfacenti, coordinazioni produttive
sostanzialmente libere dal condizionamento, dalle rigidità e dai rischi della fabbrica,
governabili anche senza seguire direttamente on site il ciclo operativo grazie al
supporto delle cosiddette reti virtuali3. Ciò consentirà di modificare più rapidamente
i confini e la morfologia del sistema d’impresa, facendo leva sulla possibilità di
creare servizi logistici di supporto al funzionamento della rete non particolarmente
complessi ed onerosi, specie se rapportati al valore della produzione.
Nel quadrante in basso a destra della matrice sono state invece raggruppate
quelle tipologie aziendali che, sulla spinta dei mutamenti dello scenario competitivo,
stanno sperimentando modelli di management più flessibili, senza però potere
prescindere dall’istituzione di meccanismi di coordinamento e controllo dell’attività
manifatturiera basati sulla contiguità delle fasi produttive e sulla verifica “fisica”
degli standard qualitativi raggiunti dai processi operativi e dagli output realizzati. In
questi casi può accadere che il ciclo di lavorazione di un determinato prodotto ricada
sotto la responsabilità di un’impresa reticolare definita multidistrettuale, poiché il
sistema di relazioni industriali posto in essere non è circoscritto ad un unico
distretto; ciò in quanto la complessità del business gestito richiede l’apporto di
competenze non presenti solo in un determinato territorio. Nasce, quindi, la
necessità di parcellizzare l’iter produttivo seguendo una logica di specializzazione
per processo e/o per prodotto, per poi governarlo tramite una rete nella quale le
singole “parti” siano realizzate nell’àmbito di più di una realtà distrettuale di matrice
industriale4. Naturalmente in queste circostanze diventa essenziale poter disporre di
servizi di trasporto evoluti, che garantiscano affidabilità, frequenza ed economicità
3
4
E’ intuibile, che tali fenomeni investiranno prevalentemente i settori dell’economia per i
quali la “digitalizzazione” di processi operativi e gamme di prodotto rappresenta una
prospettiva con concrete ed immediate possibilità di attuazione e significative
opportunità di sviluppo (si pensi ad esempio al business dell’editoria).
Questi fenomeni contraddistinguono ad esempio il settore aerospaziale.
ROBERTO VONA
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ad iniziative d’impresa dai confini anche geografici talvolta molto ampi; iniziative
caratterizzate da considerevoli problematiche organizzative e di coordinamento, per
le quali la logica multi site rappresenta una strategia di sviluppo percorribile, specie
quando l’incidenza degli oneri logistici in rapporto al valore dell’output realizzato
non raggiunge livelli particolarmente elevati.
Resta infine da analizzare il cluster aziendale riportato nel quadrante in alto a
sinistra dello schema di classificazione proposto. In questo raggruppamento sono
state collocate quelle imprese manifatturiere definite extradistrettuali, differenti
rispetto a quelle esaminate in precedenza per le maggiori possibilità che esse hanno
di procedere ad una progressiva frammentazione e gestione out of site delle attività
produttive. Si fa riferimento a quelle realtà imprenditoriali alla ricerca di soluzioni
per la gestione della produzione meno strutturate, che nel contempo siano anche
compatibili con le specificità e le problematiche derivanti dalla natura dei beni
trattati. In questi casi la vera e propria esplosione dell’impresa integrata
verticalmente e regolata da meccanismi di controllo gerarchico, ha fatto scaturire la
necessità di riaggregare in modo innovativo fasi e processi dell’intero ciclo acquistitrasformazione-distribuzione, creando nuove opportunità di business per gli
operatori tradizionalmente specializzati nella gestione di attività di trasporto (ad
esempio, trasportatori, spedizionieri, terminalisti). Sono loro, infatti, i soggetti
meglio “attrezzati” per recitare un ruolo da protagonista nell’àmbito del più ampio
settore della logistica integrata conto terzi, che in questi anni va arricchendosi di
contenuti per effetto dei fenomeni di outsourcing.
Sta accadendo, dunque, che l’esigenza di coordinamento organizzativo e di
integrazione, che evidentemente permane, seppur con connotazioni modificate,
anche a seguito di iniziative di ristrutturazione industriale del tipo di quelle
accennate in precedenza, viene assicurata - per quanto concerne le attività
considerate esterne al core business - da nuove figure imprenditoriali (i cosiddetti
integratori logistici); ciò avviene riportando on site, all’interno però di apposite
concentrazioni territoriali specializzate nell’offerta di servizi logistici, determinate
operazioni collocabili al confine tra le operation manifatturiere “classiche” e quelle
di supporto alla produzione materiale.
In sostanza, il successo e la diffusione, nel settore della logistica merci, dei
modelli di gestione incentrati sull’applicazione della logica Hub & Spoke,
costituisce un segnale chiaro ed inequivocabile dell’importanza e, dunque, della
insostituibilità del coordinamento organizzativo definito poc’anzi on site che, in
determinati settori industriali5, vede avvantaggiate le imprese reticolari supportate da
operatori specializzati nel governo dell’integrazione logistica anche al di fuori delle
aree distrettuali di produzione (in questo senso out of site).
5
Di particolare rilievo sono i distretti logistici esistenti a Brema e a Rotterdam,
specializzati nella concentrazione, “lavorazione” e distribuzione conto terzi di prodotti
ortofrutticoli. In questo business in particolare, ma anche in settori meno specifici come
quello dell’elettronica di consumo, dell’abbigliamento sportivo o della distribuzione di
automobili, nei prossimi anni si assisterà ad un grande sviluppo dell’offerta di servizi
logistici specializzati concentrati nell’àmbito di pochi grandi hub distrettuali.
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RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO
A tal proposito, l’esperienza sta dimostrando che in futuro chi avrà creato le
condizioni per operare nell’àmbito di quelle grandi concentrazioni spaziali di
imprese focalizzate sulla logistica, potrà godere di una posizione di vantaggio
competitivo (v. infra). Le suddette aggregazioni territoriali dovranno però con il
tempo acquisire una propria individualità ed autonomia strategica, al fine di
sviluppare la capacità di generare flussi di traffico aggiuntivi per l’intero sistema,
esplorando nel contempo nuove opportunità imprenditoriali a più elevato valore
aggiunto e promovendo la sperimentazione di iniziative operative di partnership
intra ed interdistrettuali. Soltanto in questo modo, infatti, sarà possibile perseguire
un maggior presidio sulla movimentazione delle merci, stimolando i processi di
riaggregazione di investimenti e competenze intorno a parti del ciclo operativo.
I punti di forza di questi poli, concettualmente paragonabili alle realtà distrettuali
manifatturiere6, possono essere riassunti nello schema riportato nella Tabella 2. In
particolare, i distretti logistici possono attivare le sinergie necessarie per acquisire e
gestire, con maggiori probabilità di successo, una quota significativa del business
logistico legato “a doppio filo” al trasporto stradale, facendo leva sulla vis attrattiva
del sistema di imprese fondata sulla specializzazione, sull’ampiezza
dell’”assortimento” di servizi offerti e, non ultimo, sulla possibilità di concentrare
determinate attività nel medesimo territorio. Si tratta solitamente di un mercato
generato da una domanda con esigenze particolari che, essendo molto frammentata e
dispersa sul territorio, non può essere facilmente oggetto di politiche di one to one
marketing.
Polarizzazione della domanda
Vantaggi localizzativi
Specializzazione ed emulazione competitiva
Condivisione di rilevanti investimenti in infrastrutture e nella formazione
professionale
Stimolo alla revisione dei modelli d’impresa e sviluppo nuove opportunità di
business
Composizione quantitativa e qualitativa del mix di servizi
Coordinamento organizzativo e integrazione dell’offerta
Tab. 2: I vantaggi di un distretto logistico
L’aggregazione crea, dunque, le condizioni economiche basilari per attivare
iniziative imprenditoriali finalizzate al soddisfacimento di bisogni specifici che, per
essere gestiti con standard di qualità ed efficienza competitivi, richiedono
investimenti a scala industriale e personale direttivo ed operativo dedicati;
l’avviamento distrettuale costituisce infatti una risorsa preziosa per affrontare e
governare con maggiori probabilità di successo - in virtù dell’allargamento del
bacino di utenza potenziale - i rischi operativi connessi al grado di impiego dei
6
Sul concetto di distretto logistico si veda il contributo di Sergio Bologna, pp. 160-165, in
Perulli, 1998.
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fattori produttivi disponibili e, quindi, uno stimolo importante alla nascita di nuove
imprese o al riposizionamento strategico di quelle già esistenti, per effetto di
fenomeni di emulazione competitiva7. Ciò permette di arricchire ulteriormente il
portafoglio prodotti del distretto, adeguandolo alle necessità della clientela ed
attivando un circolo virtuoso d’importanza fondamentale per il successo di queste
iniziative.
E’ innegabile, comunque, che i processi agglomerativi in oggetto non si possono
innescare senza creare, là dove sussistono le necessarie convenienze localizzative di
natura geografica8, una dotazione minima di infrastrutture di supporto alle attività
trasportistiche di base, essenziali per qualsiasi politica di traffic building che voglia
catturare davvero l’interesse del mercato e per le quali occorrono evidentemente
ingenti risorse finanziarie. In particolare, si fa riferimento ad un pacchetto di
investimenti che vanno dalla realizzazione di idonei collegamenti stradali e
ferroviari, alla costruzione di spazi ed impianti indispensabili per implementare
l’opzione intermodale (ad esempio, piazzali attrezzati, fasci di binari, elettrificazione
di linee ferroviarie, adeguamento della morfologia del territorio, sistemi informativi
e di telecomunicazioni) o per consentire l’ingresso in determinati business ad
elevato valore aggiunto (ad esempio, stoccaggio e manipolazione prodotti refrigerati
e ad atmosfera controllata) per i quali sussistono concrete opportunità di sviluppo.
Si tratta, evidentemente, di asset operativi la cui scala dimensionale minima è
talmente elevata in rapporto al grado di concentrazione della domanda da rendere
eccessivamente rischiosa l’iniziativa imprenditoriale privata pura. Per questa
ragione, dunque, ed in considerazione del fatto che l’attività di trasporto merci può
essere, a giusta ragione, per certi versi assimilabile ad un servizio di pubblica utilità,
i governi nazionali, locali e la stessa Unione Europea, tramite il finanziamento di
specifici programmi di investimento, hanno accresciuto i fondi destinati al
potenziamento delle reti infrastrutturali per l’interscambio dei prodotti agricoli e
industriali. Stesso discorso vale per la formazione del personale, che non sempre
vede gli organi istituzionalmente preposti a quest’attività distinguersi riguardo la
capacità di fornire stabilmente professionalità adeguate alle reali richieste delle
imprese.
Per superare queste barriere, che ostacolano di fatto l’esercizio dell’attività
7
8
La possibilità/necessità per le imprese che decidono di entrare nel settore della logistica
conto terzi, di percorrere la strada dell’estensione del mercato potenziale di sbocco,
presenta evidentemente difficoltà talvolta insormontabili nell’àmbito delle realtà
distrettuali di matrice industriale definite nel testo monocentriche. In questi casi, infatti,
il legame con l’impresa “madre”, che ha dato vita al processo di outsourcing, è talmente
forte da impedire di fatto ogni iniziativa finalizzata alla compressione del rischio
operativo cui si associa inevitabilmente una condivisione, non sempre senza effetti sul
piano concorrenziale, di know-how e competenze tecnologiche e/o di marketing.
Sono tali quelle aree territoriali baricentriche rispetto ai grandi flussi di merci di tipo
inbound e/o outbound, per le quali sia realizzabile, senza particolari difficoltà,
l’inserimento nei circuiti logistici internazionali, che hanno investito risorse, competenze
e relazioni nell’applicazione della logica Hub & Spoke per lo sviluppo del business nella
logistica merci.
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RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO
aziendale con capitale privato in condizioni di “normale” efficienza e profittabilità,
una politica economica specifica per la logistica appare quanto mai opportuna e
necessaria, almeno fino a quando il settore non avrà raggiunto quello stock di risorse
strutturali, imprenditoriali e tecnico-professionali giudicato dagli operatori adeguato
per consolidarne lo sviluppo. Naturalmente, trattandosi di investimenti pubblici,
esiste il rischio che le decisioni di finanziamento siano guidate dall’applicazione di
criteri non sempre oggettivi ed omogenei da cui possono scaturire sprechi di risorse
o anche realizzazioni sovradimensionate rispetto alle reali esigenze di mercato,
ovvero prive di alcun genere di coordinamento funzionale.
Si intuisce, pertanto, la necessità di istituire appositi organismi di regia di
emanazione istituzionale con competenze specialistiche nel business logistico ed un
raggio d’azione spazialmente delimitato9, che abbiano il compito di fornire un
supporto tecnico alle sopra indicate scelte di politica settoriale e alle iniziative di
promozione e sviluppo di una nuova cultura delle relazioni inter-imprenditoriali
nelle attività di servizi logistici di un determinato territorio, al fine di ottenere
performance soddisfacenti con riferimento sia al grado di sfruttamento della capacità
produttiva installata sia al livello qualitativo dei servizi offerti.
Ma se le problematiche derivanti dalla realizzazione dell’”impianto”, che
rappresenta lo strumento di lavoro, possono ritrovare nelle esperienze esistenti un
valido supporto ed una guida operativa, nell’àmbito, invece, delle relazioni
collaborative tra imprese della logistica e del trasporto intermodale la
sperimentazione è ancora nelle sue fasi iniziali. Ciò spiega perché la grande
parcellizzazione del settore e la conseguente disomogeneità culturale in materia di
problematiche di gestione aziendale, rendono estremamente difficile la
progettazione e l’attuazione di servizi innovativi incentrati sulla cooperazione
finalizzata ad ottenere sinergie ed economie d’interrelazione. Da questo punto di
vista, l’incapacità di proporre soluzioni chiare, credibili ed affidabili ad un mercato
potenziale ancora vergine e privo di punti di riferimento, rappresenta il principale
ostacolo alla più ampia diffusione dei processi di revisione dei modelli di
management adottati dalle imprese nell’ottica dell’outsourcing, da cui, si è visto,
nascono le opportunità di business più interessanti per gli operatori del settore in
esame.
9
Nell’esperienza di Gioia Tauro (Ottimo, Vona, 2001, pag. 289 e seguenti) si è visto che
la necessità di coordinamento e regia delle iniziative d’intervento pubblico cui si fa
riferimento nel testo possono essere soddisfatte pur in mancanza di un apposito
organismo istituzionale grazie alla collaborazione del privato. Nel caso specifico, però,
non vi era il problema di scegliere tra progetti d’impresa differenti ovvero
sostanzialmente sovrapponibili; così come determinate decisioni di investimento
riguardanti una parte rilevante delle dotazioni infrastrutturali dell’area erano state prese
ed in buona parte già attuate, in un’epoca in cui non si pensava certamente ad una
destinazione logistica del territorio.
ROBERTO VONA
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3. Distretti logistici: tipologie e scenario competitivo
Bisogna chiarire, comunque, che un’aggregazione spaziale di imprese di servizi
logistici rappresenta un’entità economica complessa dai contenuti mutevoli e
difficilmente tipizzabili. Nella realtà, infatti, esiste una grande varietà di
configurazioni agglomerative; lo spettro delle possibili differenze spazia dalle
piattaforme gestite da pochi operatori indipendenti ai più sofisticati poli della
logistica, in cui sono già state accumulate esperienze di successo nel campo della
partnership inter-aziendale tra imprese presenti nel distretto, consapevoli delle
grandi opportunità strategiche derivanti dal coordinamento sistemico di vocazioni,
risorse e competenze specialistiche complementari.
Al fine di semplificare l’analisi, sono stati definiti quattro raggruppamenti
tipologici, rappresentati nella Tabella 3, costruiti sulle peculiarità morfologiche e le
caratteristiche competitive differenziali derivanti dall’ampiezza della gamma di
servizi offerti e dalla quantità di iniziative specialistiche autonome facenti parte del
contesto distrettuale. Chiaramente, la crescita della partecipazione imprenditoriale e,
quindi, l’apporto di nuove energie manageriali possono senz’altro dare un contributo
fondamentale affinché il business logistico di un determinato territorio possa
acquisire il know-how tecnico e di mercato necessario per accreditarsi nei mercati
più complessi. Ciò nondimeno, come si accennava poc’anzi, il panorama dell’offerta
distrettuale di servizi logistici è particolarmente variegato e non sempre vede
premiare gli sforzi fatti in direzione di una sempre maggiore specializzazione.
D’altronde, la domanda manifesta esigenze ancora in larga parte banali e
polverizzate, che possono essere gestite, con risultati altrettanto soddisfacenti,
nell’àmbito di aggregazioni spaziali di imprese con connotazioni tipicamente
generaliste, facendo leva sulla maggior forza di attrazione e di penetrazione di
mercato derivante dall’ampiezza del portafoglio servizi attivati.
B Numero operatori specializzati A
B
Ampiezza della gamma di servizi offerti
A
DISTRETTI
FOCALIZZATI
DISTRETTI
MULTISPECIALIZZATI
PIATTAFORME
LOGISTICHE
DISTRETTI
GENERALISTI
Tab. 3: Le tipologie di distretti logistici
216
RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO
Nella realtà, dunque, coesistono le tipologie di distretto logistico qui di seguito
elencate. Alcune iniziative distrettuali sono talmente in embrione da poter essere
considerate delle “semplici” piattaforme logistiche, come il terminal container di
Gioia Tauro (Ottimo, Vona, 2001, pp. 289-318), caratterizzate dalla presenza di un
nucleo operativo molto ristretto, in alcuni casi composto da un’unica impresa,
dedicato essenzialmente alla produzione di un solo servizio logistico: nella
fattispecie calabrese, il transhipment di contenitori.
Altri distretti possono essere definiti focalizzati, come ad esempio il caso dei
distripark olandesi. Nell’àmbito del medesimo segmento di attività - ad esempio, lo
stoccaggio di prodotti ortofrutticoli - ma con il contributo indispensabile di un
numero generalmente più elevato di operatori specializzati, tali strutture riescono ad
approfondire la gamma di servizi offerti e a diventare un concreto punto di
riferimento attrezzato a soddisfare, e, se serve, a stimolare, una domanda esigente e
realmente orientata verso soluzioni di outsourcing evoluto.
Altre realtà distrettuali possono essere definite multi-specializzate, come ad
esempio quella di Rotterdam, poiché hanno deciso di estendere il proprio raggio di
azione adottando una tipica strategia di marketing differenziato, incentrata
sull’ampliamento dei campi di specializzazione nel tentativo di attrarre sempre
nuovi segmenti di clientela10. In questi casi, lo sviluppo dimensionale dell’iniziativa
determina, evidentemente, un progressivo allargamento dei confini geografici del
distretto, che, a sua volta, crea le condizioni per un ulteriore irrobustimento
quantitativo e qualitativo della presenza imprenditoriale. Si tratta di iniziative che
hanno raggiunto un apprezzabile livello di integrazione all’interno di ognuna delle
linee di servizio realizzate e che si avviano a sperimentare alleanze su progetti
specifici, con l’obiettivo di cogliere tutte le possibili opportunità derivanti dalla
diffusione, in un tessuto economico composto da numerose individualità operative,
delle logiche e dei valori della cultura manageriale sistemica11.
Altri distretti, infine, hanno una natura generalista, come ad esempio quello di
Bologna12. Essi ambiscono, infatti, a coprire un ampio ventaglio di bisogni logistici
(ad esempio, intermodalità, stoccaggio), ma non riescono, nonostante siano sovente
dotati di rilevanti asset strutturali, a raggiungere, per tutti i business gestiti, gli
standard di approfondimento specialistico necessari per operare in mercati con
esigenze complesse.
Da questa breve analisi si intuisce facilmente, che in futuro la competizione nel
settore dei servizi logistici non si limiterà al classico confronto tra imprese
appartenenti al medesimo raggruppamento strategico. La condotta degli operatori in
10
11
12
Sulla realtà di Rotterdam si veda l’analisi di Jarach (Ottimo, Vona, 2001, pp.242-272).
Sull’argomento in generale si veda il contributo di Rullani e Vicari (1999). Spunti di
riflessione interessanti su questi temi sono venuti dalle ricerche empiriche svolte sulle
attività logistiche operanti nel polo napoletano, definito “sistema incompiuto dalle
potenzialità inespresse” (Ottimo, Vona, 2001, pp. 318-357).
Sulla realtà di Bologna si veda il contributo di Ottimo e Cresta (Ottimo, Vona, 2001, pp.
272-289).
ROBERTO VONA
217
gioco, infatti, sarà sempre più condizionata dalle scelte fatte in merito alla
localizzazione degli impianti produttivi e, ancor più, dall’efficacia delle iniziative di
coordinamento e di partnership sviluppate dal distretto di appartenenza; con il
tempo, l’aggregazione di soggettività indipendenti dovrà assurgere al ruolo di metasistema di imprese, autonomo dalle sue componenti operative per quanto riguarda le
decisioni di marketing territoriale e, soprattutto, capace di competere o di avviare
politiche di networking con altre realtà distrettuali con un approccio macroaziendale. Ed a tal riguardo, un polo logistico rappresenta, già solo dal punto di vista
puramente immobiliare, un primo momento di avvicinamento, che potrebbe favorire
ulteriori e più evolute forme di associazionismo imprenditoriale. La convivenza di
natura prettamente condominiale, infatti, può aiutare a far crescere, attraverso la
frequentazione e lo scambio di idee ed esperienze, la cultura della ricerca e della
condivisione di risorse, finalizzata alla sperimentazione di innovazione tecnologiche
e di gestione, creando i presupposti per la creazione delle risorse fiduciarie
necessarie a supportare il processo di integrazione dell’offerta logistica13.
Il successo di iniziative di questo genere dipende, quindi, in primo luogo dalla
qualità imprenditoriale degli operatori specializzati chiamati a far parte della
“squadra” e dalla loro capacità di attrarre nel distretto la domanda di servizi logistici
esistente in un determinato mercato spaziale, il più delle volte tanto polverizzata da
poter essere gestita efficacemente soltanto da operatori specializzati di piccole
dimensioni. Se, poi, queste concentrazioni di imprese sapranno evolvere ed operare
anche adottando una logica sistemica, potranno aspirare a ruoli di rilievo nella filiera
produttiva, assumendo la responsabilità del coordinamento di una parte rilevante del
processo di creazione del valore e fungendo da stimolo per un allargamento dei
confini dell’outsourcing logistico e per una migliore valorizzazione del tessuto
economico locale.
Molto dipenderà, evidentemente, dal comportamento di chi ha avuto il mandato
di promuovere e gestire le attività infrastrutturali e d’impianto, dalla sua visione
strategica e di marketing, dal suo senso di equilibrio durante tutta la fase di
commercializzazione degli spazi e nei momenti di start up delle diverse attività
operative. E’ fuor di dubbio, infatti, che a questo livello scelte sbagliate e carenze di
coordinamento inter-imprenditoriale potrebbero compromettere la qualità generale
di un progetto finalizzato a dar vita ad un distretto logistico.
In conclusione, un’efficace politica di rafforzamento della capacità aziendale di
“stare sul mercato”, in particolare nei settori ad elevata pressione concorrenziale,
non può prescindere dalla ricerca continua di fonti di vantaggio competitivo sia sul
fronte dei costi sia sul piano della differenziazione. E’ evidente, pertanto, che in
queste circostanze la gestione coordinata delle attività logistiche tramite operatori
professionali in grado di accompagnare l’evoluzione degli scenari competitivi, non
può che crescere continuamente di importanza. Lo sviluppo di sinergie incentrate sul
13
Un esempio concreto in tal senso potrebbe essere l’istituzione di una borsa noli per
ovviare al “classico” problema del bilanciamento dei carichi.
218
RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO
potenziamento della qualità imprenditoriale dei distretti logistici può rappresentare
un’opportunità foriera di significativi e durevoli effetti benefici per tutte le
componenti del tessuto economico e sociale.
4. I sistemi logistici nel Mezzogiorno d’Italia
Alla luce delle analisi empiriche compiute di recente sulla realtà di Gioia Tauro e
su quelle appartenenti al cosiddetto polo logistico napoletano (Ottimo, Vona, 2001,
pp. 289-359), è possibile trasferire in un àmbito operativo le riflessioni concettuali
presentate nei paragrafi precedenti, sviluppando nuove considerazioni di carattere
più generale con riferimento in particolare al Mezzogiorno d’Italia.
Partendo dalla prima delle esperienze poc’anzi menzionate, si è visto che lo scalo
può assurgere al ruolo di hub primario del traffico marittimo gravitante sul mare
Mediterraneo, anche se sconta alcuni limiti da non sottovalutare, derivanti
dall’inesistenza di un sistema economico e infrastrutturale locale in grado di
avvalersi e di completare l’attuale offerta di servizi logistici. Questo per non
accennare all’emergere di nuovi concorrenti, quali ad esempio il porto di Taranto,
favorito dal timore delle grandi compagnie di navigazione di dovere in futuro
sottostare alle politiche monopolistiche del gestore dello scalo di Gioia Tauro.
Per incentivare il “feederaggio” terrestre (su ferro e su gomma) rispetto a quello
marittimo, Gioia Tauro dovrà dotarsi di nuove infrastrutture e dovrà collegarsi
meglio all’area napoletana o a quella pugliese. Ciò al fine di consolidare tutti i flussi
di merce del Sud con quelli internazionali sbarcati a Gioia Tauro, creando i
presupposti per un bilanciamento dei traffici provenienti dal Nord industrializzato.
Evidentemente, questo scenario presuppone la costruzione di un network in grado di
fornire servizi intermodali terrestri più competitivi di quelli marittimi in termini di
efficienza, frequenza ed affidabilità; in caso contrario, per l’intero Mezzogiorno non
rimane che fornire spazi, mezzi e servizi, a basso valore aggiunto e a scarsa intensità
di manodopera, di supporto a Gioia Tauro, a Cagliari o a Taranto, che effettuano
semplici attività di trasbordo contenitori, immediatamente reimbarcati verso altre
destinazioni.
E’ necessario creare, innanzi tutto, un clima di fiducia tra i soggetti interessati,
rafforzato dalla piena condivisione dei successi di un processo di sperimentazione
che, per essere avviato nonostante le inevitabili diffidenze e resistenze, potrebbe
richiedere l’istituzione di un’unità operativa di coordinamento e garanzia affidata ad
un organismo “super partes”, scelto con il consenso di tutti gli attori del nuovo
sistema reticolare. L’obiettivo ultimo dovrebbe essere quello di favorire la nascita ed
il consolidamento di una rete di relazioni professionali tra operatori indipendenti con
diversa specializzazione, mossi dal comune interesse di sviluppare il proprio
business, sfruttando la capacità di attrazione esercitabile sul mercato dall’insieme
delle infrastrutture logistiche di un determinato territorio. L’approccio sistemico
(Golinelli, 2000), pertanto, rappresenta di fatto l’unica strada da seguire per creare le
condizioni di scala necessarie al fine di operare con standard di efficienza
ROBERTO VONA
219
soddisfacenti nel business logistico, caratterizzato da comportamenti molto
aggressivi da parte della concorrenza e da elevata rischiosità operativa.
E’ chiaro, dunque, che l’attuazione di un progetto imprenditoriale di ampio
respiro, incentrato sullo sviluppo della cooperazione a livello regionale, il cui scopo
sia quello di dar vita ad un polo logistico accreditato a livello nazionale e
internazionale, oltre a richiedere i necessari interventi strutturali di completamento e
di raccordo, dovrà innanzi tutto favorire ed incentivare (anche con mezzi finanziari)
l’avvio di iniziative di partnership commerciale, anche se parziali e temporanee.
Soltanto sul terreno pratico delle convenienze operative delle singole imprese
interessate, infatti, e non mediante la retorica politica, è possibile costruire una
strategia di marketing territoriale, che esalti con successo le vocazioni e le
potenzialità dell’offerta logistica esistenti nel Paese, avviando nel contempo, in
modo graduale, il difficile processo di avvicinamento alla cultura del “fare insieme”.
E a tal fine, competenze specialistiche, credibilità e avviamento relazionale
rappresentano il presupposto necessario per poter avviare una politica di networking
realmente efficace e, soprattutto, calibrata rispetto alle specificità infrastrutturali e
imprenditoriali dei diversi contesti locali.
Ad esempio, il sistema logistico campano, per poter aspirare ad acquisire una
posizione di rilievo su scala nazionale e internazionale, non può guardare soltanto al
mercato dell’immediato hinterland di riferimento, ma deve farsi promotore di
iniziative mirate a sviluppare business nel bacino del Mediterraneo come in tutto il
Sud dell’Europa continentale, Italia settentrionale compresa. Ciò presuppone,
evidentemente, collegamenti infrastrutturali ed operativi efficienti ed affidabili con
le realtà portuali di Gioia Tauro e un domani di Taranto, con le relative reti di
relazioni e con gli operatori interportuali di Bologna, Verona e Padova, in modo da
accreditare l’intero distretto logistico regionale sul mercato quale polo di
concentrazione e smistamento d’importanza strategica. A tal riguardo, un contributo
decisivo allo sviluppo di un importante network logistico in Campania potrà venire
dal funzionamento efficiente ed affidabile delle free-way mediterranee, tirrenica e
adriatica, se si riuscirà a spostare una parte consistente del traffico dal classico
transhipment via feeder verso l’interscambio ferroviario, traendo vantaggio dalla
leadership di mercato di Gioia Tauro.
5.
La logistica dei prodotti agro-alimentari non trasformati: il progetto
“Freshlog”14 e l’esperienza francese di SNCF “Chronofroid”
Nel grande comparto dei prodotti agro-alimentari (Stampacchia, 1998),
l’ortofrutta destinata ai mercati di consumo “allo stato fresco”, senza cioè essere
14
Le informazioni relative al progetto denominato Freshlog contenute in questo paragrafo,
sono state fornite da alcune società promotrici dell’iniziativa (Interporto Campano,
Magazzini Generali di Verona e Clerici Logistic Group), alle quali si rivolge un sentito
ringraziamento per la collaborazione gentilmente data durante le attività di ricerca.
220
RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO
sottoposta a processi di trasformazione industriale15, occupa per molti Paesi una
posizione di particolare rilievo economico. In particolare, l’Italia è il secondo
produttore ortofrutticolo europeo (superata dalla Spagna nel corso del 1999) e terzo
al mondo dopo gli Stati Uniti; il business in questione nel 1998 ha prodotto circa 9
milioni di euro, pari al 26% della produzione lorda vendibile agricola italiana nel
suo complesso, e rappresenta il primo settore agricolo del Paese, con alcune
specialità (mele, pere, pesche, agrumi, patate, pomodori, nocciole) che da sole
sviluppano quasi la metà della PLV nazionale di ortofrutta, in gran parte concentrata
nelle regioni del Centro-Sud. Ciò nonostante, negli ultimi anni si è avuta una
crescita consistente delle importazioni, ed in special modo di quelle provenienti
dalla Spagna e dall’America Latina (rispettivamente da 79.000 a 114.000 e da
441.000 a 477.000 tonnellate dal ‘94 al ‘98; fonte: Istituto Tagliacarne), ed in futuro
sarà verosimilmente il bacino del Mediterraneo a dare il maggiore contributo allo
sviluppo dei traffici internazionali, con riferimento sia alle più semplici operazioni
di transito sia alle attività di produzione vere e proprie16.
In Italia i mercati all’ingrosso concentrano circa il 30% della vendita
complessiva di prodotti ortofrutticoli (Pilotti, 1987), che in altri Paesi europei
(Germania, Olanda e Inghilterra) raggiunge quote ben più consistenti grazie alla
presenza sul territorio di strutture moderne, localizzate in prossimità di nodi logistici
integrati, capaci di soddisfare le richieste delle imprese commerciali più evolute
(Pellegrini, 1987), particolarmente esigenti sul piano della continuità nelle forniture,
dell’uniformità delle qualità, della stabilità dei prezzi. In molti mercati italiani,
infatti, specie al Sud, il prodotto viene sottoposto soltanto a semplice
condizionamento refrigerato, per essere poi rapidamente consegnato ad operatori
specializzati, sovente localizzati molto lontano dalle zone di produzione, in grado di
gestire professionalmente le attività di selezione, calibratura, confezionamento e
trasporto, con gravi conseguenze negative sulla produzione di valore aggiunto e
sulla “brand awareness” della regione di provenienza delle merci, di cui in buona
sostanza si finisce per perdere traccia (Ersac, 2000).
5.1 Il progetto “Freshlog”.
Al termine Freshlog corrisponde un progetto17 pensato per dar vita ad una catena
15
16
17
Le lavorazioni cui sono sottoposti i prodotti in questione immediatamente dopo la
materiale attività di raccolta dal campo, consistono essenzialmente in operazioni di
selezione, lavaggio, calibratura e confezionamento, tradizionalmente gestite all’interno
delle imprese agricole, che sempre più spesso vengono delegate ad operatori
specializzati, meglio “attrezzati” per avere rapporti con i grandi succursalisti del grocery
(Vona, 1998) e per “fasare” la produzione agricola con i mutamenti del mercato.
Attualmente, due terzi delle importazioni ortofrutticole italiane provengono da Paesi
europei (24% Spagna, 19% Francia, 24% altri UE), così come oltre l’80% delle
esportazioni nazionali è destinato a mercati continentali (46% Germania, 11% Francia,
26% altri UE).
L’iniziativa Freshlog è stata anche oggetto di una domanda di finanziamento a valere sui
fondi della Comunità Europea destinati allo sviluppo di progetti pilota nel settore della
ROBERTO VONA
221
logistica dedicata alla razionalizzazione e allo sviluppo dei flussi distributivi di
prodotti ortofrutticoli deperibili originati e collocati nell’area meridionale
dell’Europa. L’idea alla base di questa iniziativa scaturisce dalle “anomalie” che
oggi caratterizzano il mercato e i percorsi fisici delle merci cosiddette fresche ed in
particolare i sistemi di approvvigionamento e distribuzione. Più in dettaglio, i
promotori di Freshlog18 si sono posti i seguenti obiettivi:
-
bilanciamento dei flussi logistici di alimentazione dei mercati di consumo;
supporti logistici innovativi ed efficienti ai processi di valorizzazione della
produzione ortofrutticola italiana;
incanalamento dei flussi logistici dei prodotti ortofrutticoli verso la portualità
italiana;
riequilibrio tra le modalità di trasporto a favore delle opzioni a minore impatto
sociale ed ambientale;
migliore utilizzo delle potenzialità infrastrutturali e professionali del territorio.
In sintesi, si vuole proporre un’alternativa ai porti del Northern Range per i
traffici transoceanici di provenienza americana ed asiatica, costruendo rapporti
18
logistica e del trasporto combinato (PACT), di cui però non si conosce l’esito del
procedimento istruttorio. Ci è stato riferito, invece, che, al momento, all’idea di business,
seppur definita nei suoi aspetti concettuali ed istituzionali, non è seguito ancora né un
piano esecutivo, con tutti i relativi dettagli economici e finanziari riferiti alle attività
operative da porre in essere, né una vera e propria fase implementativa con delle ipotesi
in ordine ai tempi di attuazione del progetto.
Partner dell’iniziativa sono: i Magazzini Generali di Verona, la cui sede operativa si
trova presso uno dei terminal interportuali italiani di maggiore rilievo (Verona Quadrante
Europa), punto focale di collegamenti ferroviari ad alto valore strategico per i prodotti
deperibili; il gruppo logistico Clerici, specializzato nella gestione di terminal portuali
dedicati allo stoccaggio e alla movimentazione di prodotti refrigerati (reefer); la società
tedesca di trasporto combinato strada-rotaia BTZ, già da anni impegnata insieme ai
Magazzini in attività di promozione e sviluppo di traffici di prodotti freschi tra Italia e
Germania con base a Verona, mediante un sistema bimodale innovativo flessibile ed
economico che utilizza oltre 200 veicoli stradali reefer direttamente trasformabili in
vagoni ferroviari; la società di gestione dell’interporto di Nola, che costituisce un nodo
logistico di rilevanza strategica nell’economia generale dell’iniziativa, in virtù della sua
posizione geografica e delle sue dotazioni strutturali; l’ente che gestisce il mercato
ortofrutticolo di Verona, diventato in questi anni uno dei principali punti di riferimento
italiani per la concentrazione e commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli; il
consorzio italiano di produttori di ortofrutta Conerpo; la società di consulenza di
direzione Intistudio (associata Consiel); ed, infine, l’Autorità Portuale di Venezia, ente
pubblico cui sono affidati i compiti di indirizzo, programmazione, coordinamento,
promozione e controllo delle operazioni portuali e delle altre attività commerciali e
industriali esercitate nel porto di Venezia, che, per meglio rispondere alle esigenze di
servizi logistici espresse dalla clientela portuale e per favorire l’utilizzo del trasporto
ferroviario, ha promosso la costituzione di una società, denominata Servizi Ferroviari e
Logistici, alla quale è stata affidata la gestione del servizio ferroviario svolto nel porto.
222
RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO
istituzionalizzati di partnership tra operatori in possesso di kwow-how tecnico e
commerciale specifico, che hanno scelto di concentrare i propri flussi nel distretto
logistico di Verona; quest’ultimo, infatti, già da tempo si è accreditato sul mercato
quale valida piattaforma di concentrazione e smistamento, per i bacini tedeschi di
Monaco, Colonia ed Amburgo, di prodotti ortofrutticoli trasportati via ferrovia
mediante “relazioni” a cadenza regolare.
Con l’implementazione del progetto si mira a dar vita ad un nuovo soggetto
imprenditoriale dotato di maggior potere contrattuale e delle risorse finanziarie e
manageriali necessarie per avviare un dialogo paritetico con tutti gli operatori
coinvolti nelle attività logistiche di supporto alla distribuzione fisica di prodotti
agro-alimentari non trasformati, assumendo la veste professionale di integratore
(general contractor) di segmenti di operation ad elevato contenuto di
specializzazione, unico responsabile nei confronti della clientela finale della qualità
del servizio logistico fornito. L’obiettivo è, dunque, quello di rendere complementari
le competenze e le strutture dei singoli partner in modo da sviluppare sinergie ed
efficienza nell’àmbito del processo distributivo delle merceologie alimentari
“fresche” di produzione agricola.
Il perno territoriale del progetto è il Veneto, che d’altronde ospita la maggioranza
delle sedi operative dei promotori dell’iniziativa, con le relative dotazioni
infrastrutturali. A tal riguardo, bisogna sottolineare che la collocazione geopolitica
di questa regione ha favorito lo sviluppo in questa parte del Paese di importanti
traffici commerciali a scala sia nazionale sia internazionale. Il Veneto, infatti, è ben
collegato con il sistema dei trasporti europeo19 e, pertanto, risulta particolarmente
adatto per costruire un sistema a rete finalizzato ad assumere una posizione di rilievo
nel business distributivo dell’ortofrutta, puntando soprattutto sui volumi prodotti
dalle regioni meridionali dell’Europa, e cercando di valorizzare al meglio le risorse
(infrastrutturali, tecnologiche, finanziarie) e le competenze gestionali sia dei partner
di Freshlog sia - mediante accordi ed alleanze su progetti specifici - di altri
importanti operatori logistici e commerciali complementari o comunque sinergici
all’iniziativa.
L’iniziativa sul piano operativo potrà fare leva sulla tecnologia utilizzata da BTZ
per i trasporti refrigerati, che costituisce senza dubbio un’innovazione rilevante
rispetto alle soluzioni adottate dalla maggioranza degli operatori europei. La
possibilità di trasformare con estrema semplicità e velocità i semitrailer stradali in
vagoni ferroviari e viceversa, permette di ottenere sia i vantaggi in termini di
19
Difatti, il Veneto fornisce risorse strategiche al corridoio adriatico, che connette a Sud le
regioni del Mediterraneo centro orientale ed il “Far East” mediante i porti hub di Gioia
Tauro e Taranto, a Nord i Paesi dell’Europa centrale, attraverso il valico del Brennero, e
a Nord-Est i paesi dell’Est europeo via valico di Tarvisio e via Villa Opicina; alla
direttrice che dai porti della Spagna, passando per la Francia meridionale attraversa
l’Alto Tirreno e l’Alto Adriatico; alla linea che, transitando per Trieste e Tarvisio, mette
in collegamento la costa atlantica dell’Europa ed i Paesi dell’Est; ed, infine, al corridoio
che utilizza la portualità albanese e greca per connettere i Balcani al Mar Nero.
ROBERTO VONA
223
flessibilità e capillarità del trasporto su strada nelle consegne minute e disperse sul
territorio sia gli spunti di efficienza della ferrovia per i carichi e le percorrenze
rispettivamente di maggiore entità e lunghezza. Il sistema bimodale, inoltre, rispetto
al combinato strada-ferrovia tradizionale, oltre a ridurre le rotture di carico, con
evidenti economie sul versante dei costi delle operation terminalistiche, rende
disponibile capacità di carico aggiuntiva a parità di numero di “vagoni ferroviari”
impiegati, in quanto le particolari caratteristiche delle unità di carico eliminano la
necessità di materiale rotabile di supporto. Il parco veicoli di BTZ rappresenta un
apporto tecnologico prezioso per il sistema logistico che Freshlog intende creare,
considerate le carenze (di mezzi, di relazioni e di volumi di attività) degli operatori
ferroviari tradizionali nel particolare segmento del trasporto di prodotti deperibili, di
fatto rassegnati di fronte ai plus competitivi “classici” (rapidità, flessibilità,
capillarità) del tutto strada.
In sostanza, si mira a diminuire l’utilizzo del trasporto su strada nelle
importazioni di prodotti agro-alimentari “freschi” dall’America meridionale
destinate in gran parte alle regioni del Centro Europa e del Nord Italia, che
solitamente transitano attraverso i porti del Northern Range (Rotterdam, Amburgo,
Brema). Si parte dalla semplice constatazione che la distanza tra Amburgo (o
Rotterdam) e Verona è all’incirca 2.000 Km, mentre quella tra Venezia e Verona
supera a malapena i 100 Km; il confronto evidenzia differenze meno eclatanti, ma
comunque significative quando si misurano le distanze tra Amburgo (o Rotterdam) e
Monaco di Baviera (circa 800 Km), e tra Venezia (o Verona) e Monaco di Baviera
(poco più di 500 Km). Per concretizzare questi vantaggi potenziali di natura
territoriale i partner di Freshlog hanno deciso di puntare sulle strutture portuali di
Genova e Verona, per “catturare” anche i flussi di traffico provenienti via mare
dall’Est europeo, dal Far East e dalla Grecia, dando invece all’Interporto di Nola il
compito di presidiare e gestire i volumi prodotti nel Mezzogiorno e quelli sviluppati
dal collegamento ferroviario con l’hub portuale di Gioia Tauro (Ottimo, Vona, 2001,
pp. 272-357).
5.2 L’esperienza “Chronofroid”
Chronofroid è stata concepita dalle Ferrovie francesi, che hanno sentito la
necessità di creare una nuova entità, autonoma sul piano gestionale, per cogliere nel
modo più efficace le opportunità presentate dal mercato per le spedizioni door to
door di ortofrutta e di prodotti alimentari deperibili; pertanto, il suo core business è
stato circoscritto alla produzione di servizi di trasporto e stoccaggio a temperatura
controllata incentrati sull’intermodalità strada-ferrovia, specie per le percorrenze più
lunghe. L’iniziativa può essere senz’altro considerata un esempio concreto
particolarmente significativo di network, nell’àmbito del quale strutture logistiche di
concentrazione e smistamento localizzate a Nord della Francia in aree territoriali ad
elevata intensità di consumo di ortofrutta (Paris e Lille) vengono alimentate da hub a
vocazione essenzialmente produttiva (Lyon, Nancy, Avignon, Perpignan, Tolouse)
presenti a Sud del Paese che, a loro volta, diventano luoghi di destinazione finale di
224
RIFLESSIONI SUL CONCETTO DI DISTRETTO LOGISTICO
beni deperibili realizzati dall’industria alimentare di trasformazione del Nord.
Più in dettaglio, Chronofroid si era attrezzata per convogliare le merci appena
raccolte “dal campo” presso le proprie piattaforme intermodali più vicine, sottoporle
ad operazioni di magazzinaggio condizionato e, successivamente, spedirle mediante
appositi treni “bloccati” ai poli distributivi per la preparazione e la consegna a
destinazione. Tutto ciò affidando il trasporto su strada ad imprese di trasporto
esterne, che, fatta eccezione per i lavori più minuti, dovevano mettere a disposizione
del sistema solo il proprio “parco motrici”, in quanto le unità di carico
(essenzialmente casse mobili reefer) dovevano essere di proprietà Chronofroid (20).
Dal punto di vista manageriale, per riuscire ad ottenere performance in linea con
le attese del mercato, la società ha dovuto risolvere numerosi problemi legati a
fenomeni strutturali quali la stagionalità della produzione e dei consumi di prodotti
ortofrutticoli e lo sbilanciamento nei flussi di traffico lungo le direttrici Nord-Sud
del Paese21. A tal riguardo, si è puntato alla differenziazione della politica tariffaria
in funzione della natura del carico e della sua destinazione, e al warehousing di
prodotti agricoli per fronteggiarne la domanda “fuori stagione”; anche se la
penetrazione e il successivo consolidamento dell’iniziativa nel mercato si devono
essenzialmente al pricing particolarmente aggressivo adottato da Chronofroid per
attrarre segmenti di clientela normalmente serviti dal “tutto strada”, avversario
molto difficile da affrontare e combattere sul terreno della puntualità e della
flessibilità, dove da sempre è leader incontrastato. Anche se, va detto, l’impresa ha
potuto godere del sostegno tecnico (apporto di piazzali, terminal intermodali,
attrezzature di movimentazione e know-how di gestione), economico (tariffe di
favore nella fase di lancio del servizio) e finanziario (cash-flow disponibile per il
potenziamento dei mezzi e delle strutture di supporto al business del reefer) delle
Ferrovie francesi, che hanno consentito alla loro partecipata di essere
immediatamente competitiva già dalle fasi di start up sotto la “copertura” totale dal
rischio scioperi e ritardi in generale.
E’ intuibile, dunque, che l’esperienza Chronofroid potrebbe essere un punto di
riferimento da seguire qualora ad esempio l’idea Freshlog, le cui linee generali sono
state descritte in precedenza, dovesse passare dal momento progettuale a quello
attuativo. L’hub intermodale di Nola potrebbe giocare un ruolo di grande
importanza, diventando sia polo di concentrazione per le produzioni ortofrutticole
20
21
Per avere un’idea dei volumi di attività prodotti dall’iniziativa, il centro di Avignone in
poco tempo è riuscito da solo a gestire circa 80 casse mobili al giorno tra arrivi e
partenze, utilizzando 26 motrici (in c/terzi) per la raccolta e la distribuzione dei carichi.
Sempre tramite l’hub di Avignone si potevano spedire 35 casse mobili al giorno di
prodotti freschi verso le strutture di Parigi e Lille formando 5 treni quotidiani (per 6
giorni a settimana) per un totale medio di 900 tonnellate al giorno. Il range di carico di
una cassa mobile oscilla tra le 17 e le 26 tonnellate.
Flussi regolari con prevalenza di merci ad elevato valore aggiunto da Nord a Sud;
viceversa, nel tragitto opposto, maggiori oscillazioni nei carichi trasportati, composti
generalmente da prodotti più poveri.
ROBERTO VONA
225
del Mezzogiorno destinate alle piazze italiane ed estere servite dalla logistica
veronese sia terminal naturale per lo smistamento delle merci industriali deperibili
provenienti dalle industrie del Nord e dirette ai mercati meridionali, favorendo
l’impiego del vettore ferroviario in competizione con l’autotrasporto. Freshlog,
infatti, attraverso i due partner di matrice interportuale può contare sulle dotazioni
di spazio e di attrezzature necessarie per una movimentazione efficiente, regolare,
veloce e puntuale delle casse mobili e di altri analoghe “tecnologie” trasportistiche
adatte al business della logistica dei prodotti deperibili; ciò non di meno, la
componente trasporto, ed in particolare la vezione ferroviaria, pur avendo senza
dubbio una valenza strategica, va integrata con la produzione di servizi di supporto
al ciclo di raccolta, magazzinaggio, condizionamento e “lavorazione” delle merci
deperibili, che deve vedere la partecipazione attiva di operatori specializzati in grado
di sviluppare politiche commerciali e “industriali” in linea con gli standard richiesti
dal mercato.
6. Considerazioni conclusive
In conclusione, non si può non riconoscere agli hub logistici una funzione
essenziale nell’àmbito dei processi di razionalizzazione dei flussi di trasporto; né si
può pensare che operatori del settore di livello internazionale possano dar vita ad
un’efficace strategia di sviluppo ignorando i principali poli di
consolidamento/smistamento di traffico esistenti nei bacini di loro interesse. La
disponibilità di elevate dotazioni infrastrutturali e di attrezzature, però, di per sé
rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente per poter operare sul
mercato. In sostanza, bisognerà affidare la gestione di questi asset ad imprese capaci
di valorizzarli al meglio. In futuro, infatti, la competizione nel cargo business
continuerà a crescere, rendendo la sopravvivenza e lo sviluppo un obiettivo
percorribile soltanto dalle migliori energie imprenditoriali; da coloro che sapranno
mettere a frutto il consistente capitale infrastrutturale ed umano di cui dispone il
territorio, conquistando, in tal modo, un ruolo ed uno spazio di mercato adeguati
rispetto alle capacità “messe in campo”. Soltanto partendo dall’integrazione delle
intelligenze e dei saperi e non dalla semplice sommatoria delle “macchine”, è
possibile incamminarsi sul sentiero impervio, ma ineluttabile, della cooperazione,
alla ricerca di un vantaggio competitivo di sistema concretamente percepibile dalla
clientela potenziale.
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