Articolo Corriere della Sera - Studio Legale Internazionale Mondini

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Articolo Corriere della Sera - Studio Legale Internazionale Mondini
Corriere della Sera Martedì 21 Aprile 2015
CRONACHE
I primi trent’anni del buco dell’ozono
Il mondo scoprì l’ecologia (e i suoi critici)
Su Facebook
Diego Dalla Palma:
«Ho programmato
il mio fine vita
e vendo le case»
La battaglia fu vinta dagli ambientalisti ed è considerata un esempio
di Anna Meldolesi
Dalla scoperta del buco dell’ozono sono passati trent’anni.
Nel frattempo il pensiero ecologista è diventato di massa,
incassando vittorie e sconfitte,
fino a entrare un po’ in crisi. E
del buco nell’ozono ci siamo
dimenticati un po’ tutti. Eppure è ancora lì, bello grande, sopra ai poli. Il paradosso è che la
storia di questo eco-allarme e
dell’accordo siglato per fronteggiarlo è considerata (a ragione) dagli esperti il più grande successo nella storia delle
politiche per l’ambiente. Un
esempio da seguire anche per
l’emergenza più calda dei nostri giorni: i cambiamenti climatici.
È il 16 maggio del 1985 quando tre ricercatori del «British
Antarctic Survey» firmano su
Nature l’articolo che rappresenta la pistola fumante nel dibattito sui possibili danni causati all’atmosfera dai clorofluorocarburi (Cfc) contenuti in
tanti prodotti industriali.
Joe Farman, Brian Gardiner e
Jon Shanklin si sono accorti
che ogni primavera si verifica
una sostanziosa riduzione della fascia che protegge il pianeta
dalle radiazioni ultraviolette.
24,1
Milioni
di chilometri
quadrati,
lo «strappo»
nell’ozono
rilevato
sopra
l’Antartide
●
Non usano la parola buco, il
primo a farlo è il Washington
Post. L’osservazione, comunque, viene confermata dalla
Nasa e la comunità internazionale passa tempestivamente
all’azione. Le sostanze incriminate vengono messe al bando
con il protocollo di Montreal,
che entra in vigore nel 1989 e
nel corso degli anni viene sottoscritto da tutti i Paesi del
mondo.
Rapidità e incisività delle
contromisure sono sorprendenti, se confrontate con le
lungaggini delle trattative per
il protocollo di Kyoto e per l’accordo che dovrà sostituirlo.
La parola
BUCO DELL’OZONO
Si chiama così la diminuzione dell’ozono
nell’atmosfera, in paricolare nella zona sopra
i Poli terrestri, individuata negli Anni 80 e
causata da gas, i clorofluorcarburi e i bromofluorcarburi, immessi nell’atmosfera
dall’azione dell’uomo. La fascia di ozono
nella stratosfera è fondamentale perché
protegge dai raggi ultravioletti del sole: se si
assottiglia, si riduce l’effetto di schermatura.
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Come si spiega la differenza e
quali lezioni possiamo trarne?
I pareri su questi punti divergono. È stata la politica a
perdere coraggio assoggettandosi alle ragioni del mercato,
sostiene una delle firme di
punta dell’ambientalismo, George Monbiot. «Se il buco fosse
stato scoperto oggi, i governi
avrebbero aperto tavoli su tavoli e staremmo qui a discutere».
La differenza l’ha fatta la tecnologia, ipotizza lo studioso di
politiche ambientali Roger
Pielke. Ci sono state industrie
chimiche che hanno colto l’occasione per investire nello sviluppo di alternative, anche prima dello studio di Nature,
quando la comunità scientifica
era ancora divisa. «Immaginate come sarebbe il problema
del riscaldamento globale se
non ci fossimo arenati in confusi dibattiti. Cosa sarebbe successo se il focus fosse stato subito sulle tecnologie?». Invece
la scena è stata occupata dai
duelli tra ambientalisti preoccupati (o catastrofisti) e scettici
(o negazionisti, dipende dai
punti di vista), con i summit a
scandire il passare dei decenni.
Nel caso del riscaldamento
globale, non basta sostituire
l’energia sporca con quella pulita, come abbiamo fatto tro-
vando delle alternative ai Cfc,
ribatte l’analista Andrew Simms. «Dobbiamo cambiare le
abitudini di consumo incoraggiate nell’età dei combustibili a
basso costo». Ma secondo
Shanklin, uno degli scopritori
del buco, l’insegnamento principale è un altro ancora: per fare grossi danni basta poco tempo, mentre per consentire alla
natura di rimediare ne serve
molto. «Se l’avessimo capito
oggi staremmo più attenti a
quello che facciamo all’atmosfera».
L’ultima stima parla di uno
strappo pari a 24,1 milioni di
chilometri quadrati sull’Antartide, il 9% in meno rispetto al
2000, ma senza progressi sostanziali recenti. Probabilmente dovremo aspettare la seconda metà del secolo perché il
buco si chiuda. Come risultato
può sembrare modesto, ma
l’Unep calcola che eviterà 2 milioni di tumori della pelle l’anno entro il 2030. È una di quelle vittorie che ci permettono di
dimenticare i problemi, sostiene Monbiot. «Non siamo fatti
per riconoscere le assenze.
Non passiamo i giorni a celebrare l’eradicazione del vaiolo».
@annameldolesi
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La crescita negli anni
1979
1985
1990
1995
2000
2005
2010
2015
La Nasa
raccoglie
i primi dati
sul buco
dell’ozono
Viene scoperto
il fenomeno
sulla regione
Antartica. Il buco
è di 16,5 milioni
di kmq
Il buco sale
a 20 milioni
di kmq
La lacerazione
si amplia
e il buco
misura
21 milioni
di kmq
Il secondo buco
più grande:
28,3 di kmq
(più del Nord
America)
Il buco
si riduce:
25 milioni
di kmq
Nuovo aumento
record del buco
dell’ozono:
30 milioni
di kmq
Il buco scende
a 24,1 milioni
di kmq
COME SI FORMA L'OZONO NELL'ARIA CHE RESPIRIAMO
Al livello del suolo la molecola
di ozono si forma quando
certi inquinanti reagiscono
alla luce del sole. Le sorgenti
sorgenti
di questi inquinanti, precursori
inquinanti
dell'ozono, sono di tipo antropico
(i veicoli a motore, le centrali
termoelettriche, le industrie,
i solventi chimici,
i processi di combustione
etc), e di tipo naturale:
boschi e foreste
RAGGI
DEL SOLE
DOVE SI TROVA L’OZONO
STRATOSFERA
OZONO
TROPOSFERA
sorgenti
naturali
da 10
a 50 km
27
Gli effetti
● I danni
del buco
dell’ozono
sono a lungo
termine e sono
legati agli
effetti negativi
dei raggi
ultravioletti
(Uv), che così
raggiungono
la superfice
terrestre
in quantità
maggiori
● Tra queste
c’è l’aumento
dei tumori
della pelle,
soprattutto
nelle zone
più vicine al
«buco» come
l’Oceania.
Ci sono poi
pericoli per gli
occhi, con
un rischio
maggiore
di cataratta.
Infine il sistema
immunitario
viene depresso
dall’eccessiva
esposizione
ai raggi Uv
● Nel 1987
una serie di
Paesi, tra cui
l’Italia, hanno
firmato il
«protocollo di
Montreal» per
vietare i gas
che riducono
l’ozono. Il
trattato è
entrato in
vigore nel 1989
e nel settembre
2009, con la
firma di Timor
Est, è diventato
un Protocollo
Universale
perché vi
hanno aderito
tutti i 196 Paesi
dell’Onu
da 0
a 10 km
Diego Dalla Palma vuole
morire. Anzi no. Giovedì
scorso il visagista pubblica su
Facebook un post (nella foto
sotto) nel quale scrive: «Anche
se sono sano, fra non molto la
morte sarà per me un
passaggio liberatorio».
Quindi, aggiunge: «Ho preso
una decisione: vendo tutti i
miei immobili (di un paio solo
la nuda proprietà, poiché devo
abitarvi per una decina di
anni). Parte del ricavato
desidero vada devoluta a
strutture o iniziative che
ospitano e accolgono orfani di
ogni parte del mondo».
Spiega di averlo scritto su
Facebook «perché ho bisogno
di chi, leggendomi, mi aiuti a
mettere in moto opportunità,
contatti e programmi
(investitori, studi legali,
commercialisti, notai)». Il
giorno dopo, scrive un nuovo
post per chiarire: «Per quanto
riguarda il tema riguardante la
fine della mia vita, desidero
sia chiaro che non ho mai
fatto mistero di tutto questo:
sono da anni iscritto ad Exit
proprio perché voglio
programmare lo spegnimento
del mio esistere... Qualcuno
vuole chiamarlo suicidio?
E allora, accidenti!,
chiamiamolo suicidio! Per me
ha un diverso significato». Poi,
però: «Per la mia, di morte, c’è
ancora tempo! Sparirò quando
lo riterrò opportuno,
salutando prima le persone
che amo. Ho programmato già
tutto, nei dettagli, con una
lucidità e un senso lirico che
mi fa vedere il sole anche nel
cuore della notte». Quindi,
chiede: «Avete un amico
facoltoso, con ingenti
disponibilità economiche,
generoso e amante della
giustizia? Potrebbe essere
interessato ad acquistare degli
immobili di pregio per sé o i
propri cari? Può partire una
trattativa».
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Corriere della Sera
«Era un plagio la canzone che Montagné portò a Sanremo»
Condannato a Milano a pagare due milioni per «On va s’aimer». Vittima un connazionale francese
58
Milioni
È quanto si
calcola che
Gilbert
Montagné
abbia
guadagnato
lo scorso anno
per i suoi
successi che
spopolano in
tutto il mondo
MILANO In Francia è popolare
più di Aznavour e i giornali di
musica calcolano che ancora
l’anno scorso abbia incassato
58 milioni di dollari in introiti
vari, negli Stati Uniti (dove pure
ha spopolato negli anni con la
traduzione dei suoi successi) lo
paragonano spesso a Steve
Wo n d e r p e r c h é a n c h e i l
63enne cantante e pianista
francese Gilbert Montagné è
cieco. Ma ora ha un altro motivo, meno lusinghiero, per tornare alla ribalta: il Tribunale civile di Milano lo ha infatti condannato — in solido con il paroliere Didier Barbelivien, con
la Abramo Allione Edizioni
Musicali srl e la Universal Mu-
sic Italia srl — a un risarcimento di 2 milioni di euro per plagio di una delle sue canzoni più
famose, On va s’aimer, del
1983, che Montagné l’anno dopo presentò come ospite al Festival di Sanremo nella traduzione Just for tonight.
Ad essere vampirizzata — ha
stabilito un lunghissimo procedimento trascinatosi dal
I successi e il danno
Il cantante e pianista
non vedente è noto
in tutto il mondo: danni
calcolati dal 1995
2002 al 2012 nel merito, e poi
dal 2012 ad oggi nella quantificazione del danno — fu la canzone Une fille de France composta nel 1975 dal musicista
Michel Cywie e dal paroliere
Jean Max Riviere, ed edita da
Premiére Music Srl.
La cifra del risarcimento è
straordinariamente alta per gli
standard dei danni riconosciuti nei tribunali in caso di plagio
musicale, solitamente attestati
intorno alle decine di migliaia
di euro. In questo caso, invece,
la giudice della prima sezione
civile, Martina Flamini, ha valorizzato la direttiva comunitaria n. 48 del 2004 sul rafforzamento dei diritti di proprietà
intellettuale, direttiva attuata
da un articolo del decreto legislativo 140/2006 in sostituzione della norma del 1914. Nel caso in questione, il risarcimento
è stato così calcolato in misura
pari al totale dei proventi maturati dalla canzone sia in Italia
che all’estero dal 1995 ad oggi,
da riversare appunto agli autori
ed editori vittime del plagio. E
il risarcimento sarebbe potuto
essere ancora più gigantesco se
gli anni più gonfi di royalties, e
cioè quelli tra il 1983 e il 1994,
non fossero ormai prescritti.
All’esito del giudizio, il Tribunale nella sentenza pubblicata il 17 aprile ha condannato
Montagné (con i suoi paroliere
Chi è
● Il musicista
francese Gilbert Montagné,
63 anni. Tra i
suoi album,
«Rien sans
ton amour»
ed editori) a risarcire alle controparti assistite dagli avvocati
Giacomo Bonelli e Giorgio
Mondini non solo il danno
emergente e lucro cessante del
plagio (cioè i mancati introiti
se fossero stati rispettati i diritti d’autore) stimati in 1 milione
e 949.908 euro più interessi,
ma anche i danni morali ai coautori della canzone, fissati in
50 mila euro a testa, nonché le
spese legali per 109.000 euro; e
ha ordinato la pubblicazione
per estratto della sentenza su
Repubblica e sul mensile XL a
spese dei condannati.
Luigi Ferrarella
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