Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
E se Dio, anzi dio, fosse un sadico che gode a far soffrire le sue creature? E se fosse un idiota, un padre padrone
maschilista e privo di senno? E se Gesù non fosse stato il suo unico figlio? E se ci fosse stata anche una figlia,
portatrice di un Testamento Nuovo-Nuovo? Quel che a prima vista appare blasfemo e dissacrante, è invece l'inizio
di un viaggio comico e surreale in un mondo alla rovescia, dove la religione è solo uno spunto per giocare a
trasformare i destini dell'umanità mettendone in ridicolo alcune debolezze.
scheda tecnica
titolo originale:
durata:
nazionalità:
anno:
regia:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musiche:
scenografia:
distribuzione:
LE TOUT NOUVEAU TESTAMENT
115 MINUTI
LUSSEMBURGO, FRANCIA, BELGIO
2015
JACO VAN DORMAEL
THOMAS GUNZIG E JACO VAN DORMAEL
CHRISTOPHE BEAUCARNE
HERVÉ DE LUZE
AN PIERLÉ
PASCALLE WILLAME
I WONDER PICTURES
interpreti:
BENOÎT POELVOORDE (Dio), PILI GROYNE (Ea), YOLANDE MOREAU (moglie di
Dio), CATHERINE DENEUVE (Martine), FRANÇOIS DAMIENS (François), LAURA VERLINDEN (Aurélie), SERGE
LARIVIÈRE (Marc), DAVID MURGIA (Gesù Cristo), JOHAN LEYSEN (marito di Martine), PASCAL DUQUENNE
(Georges), GASPARD PAUWELS (Kevin), DIDIER DE NECK (Jean-Claude), KODY (Jean-Pierre), ROMAIN GELIN
(Willy), MARCO LORENZINI (Victor).
premi e nomination:
2016, Golden Globes, nomination come Miglior film straniero; Cesar,
nomination come Miglior film straniero; selezionato dal Belgio per rappresentare il Paese agli Oscar (short list);
2015, European Film Awards, Miglior scenografo europeo e nomination come Miglior commedia europea;
Biografilm Festival Bologna, Audience Award e Guerrilla Staff Award.
Jaco Van Dormael
Regista e sceneggiatore cinematografico belga, nato a Ixelles (Bruxelles) il 9 febbraio 1957.
Dopo studi di cinema a Bruxelles e a Parigi, ha lavorato come mimo, clown e regista nel teatro per bambini. Già
nel primo cortometraggio, Maedeli-la-breche (1980), breve storia della vacanza in campagna di un ragazzino di
città, ha rivelato l'acuta capacità di rappresentare l'universo infantile, ingenuo e insieme minacciato, e il bizzarro
umorismo che avrebbero caratterizzato le sue opere principali. Dopo svariati cortometraggi, fra cui Stade (1981)
e De Boot (1985), ha esordito nel lungometraggio con Toto le héros (1991), storia surreale e ironica dell'ospite di
una casa di riposo che, convinto di essere stato scambiato nella culla con un altro, medita di uccidere il suo rivale
e intanto inventa la vita che gli sarebbe stata rubata, diventando l'agente segreto 'Toto le héros'. Strampalato e
malinconico, lieve e divertente, narrato con un libero andirivieni temporale, ha suscitato unanimi consensi,
imponendo il regista esordiente fra le promesse del cinema europeo degli anni Novanta, e guadagnando
numerosi premi, fra cui la Caméra d'or per il miglior film d'esordio al Festival di Cannes nel 1991 e il César per il
miglior film straniero nel 1992. Toto le héros richiese dieci anni di lavoro: Van Dormael riscrisse il copione almeno
otto volte. Solo in parte ha confermato le attese il film successivo, che l'autore ha voluto più lineare e semplice,
Le huitième jour (1996; L'ottavo giorno), storia del bizzarro incontro e dell'amicizia fra un uomo d'affari integrato
e 'normale' e un giovane down che non trova il proprio posto nel mondo degli 'altri'. Nel 2001 Van Dormael
iniziò a lavorare a quello che sarebbe divenuto il suo terzo lungometraggio, Mr. Nobody, le cui riprese iniziarono
solo sei anni dopo. Il film, la produzione belga più costosa di tutti i tempi, fu girato in inglese e Van Dormael
giustificò tale scelta affermando: «La storia mi è arrivata in inglese. Essa è ambientata su tempi e distanze molto
lunghe. Uno dei fili della trama riguarda un ragazzo che deve scegliere se vivere con la madre in Canada o col
padre in Inghilterra. Ci sono inoltre grandi attori anglofoni con cui volevo lavorare». Mr. Nobody ebbe la sua
anteprima mondiale alla 66ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove ricevette il premio
Osella per il migliore contributo tecnico e il Biografilm Lancia Award per il miglior film biografico. Acclamato dalla
critica cinematografica, fu candidato a sette premi Magritte e ne vinse sei. Ricevette inoltre il premio André
Cavens del Sindacato Belga della Critica Cinematografica e il premio del pubblico al miglior film europeo agli
European Film Awards. Estimatore di Fellini, Tarkovskij, Meliés e del pittore belga Henri Magritte, Van Dormael ha
sorpreso inizialmente per l'originalità del suo modo di narrare, mettendo a punto uno stil ben riconoscibile in
tutti i suoi (pochi) film, come il racconto ironico fatto da un punto di vista apparentemente ingenuo, lo sguardo
colorato, fantasioso e spesso surreale, la particolarità delle strutture temporali.
La parola ai protagonisti
Intervista al regista
Da quanto tempo era in gestazione il suo ultimo film? Si è trattato di una reazione a Mr. Nobody?
È la prima volta che scrivo insieme a qualcuno e il nostro obiettivo era farci ridere a vicenda. Avevamo realizzato
insieme il pitch del film da qualche tempo, prima di girare Mr. Nobody: Dio esiste e vive a Bruxelles con la moglie
e la figlia di 10 anni che diffonde su internet le date di morte di tutto il mondo. La reazione a Mr. Nobody, film di
portata considerevole, è stata Kiss & Cry, un'esperienza minimalista che combina teatro, danza e cinema per la
quale mi sono chiesto com'è fare un film sul tavolo della cucina...Avevo bisogno di questa libertà. Questo film
effimero mi ha permesso di esprimermi nel campo dell'Arte Povera. Dio esiste e vive a Bruxelles è la conseguenza
delle mie due esperienze precedenti. Non ho speso molto perché ho preferito realizzare le scene con
dell'artigianato altrettanto convincente. Ciò che mi interessa non è un film che descrive il reale, ma un film che
parla di percezione.
Dio esiste e vive a Bruxelles è dunque il nostro mondo visto attraverso la percezione di una bambina che è anche
un essere straordinario : la figlia di Dio...
Tutto ciò che scopre è sia vero che falso. C'è una certa teatralità nelle scene e nella struttura ad episodi del film
che abbiamo presentato come vangeli. Con Christophe Beaucarne, il mio direttore della fotografia e Sylvie Olivier,
la scenografa, ci siamo messi in testa di filmare tutto in modo frontale e simmetrico, come nelle chiese. Il
risultato sono delle scenografie molto reali come un parcheggio, ma sembrano anche altro grazie alla simmetria
che aggiunge una certa religiosità alle scene. Mescoliamo costantemente sacro e profano...
E la religione, il concetto di Dio e degli apostoli, è un pretesto?
Il film non parla di religione. È una storia comica. Abbiamo realizzato il film chiedendoci "E se ...?". E se Dio
esistesse e vivesse a Bruxelles? E se fosse un idiota? E se Gesù non fosse stato il suo unico figlio? E se Dio fosse
stato donna, avrebbe fatto qualcos'altro del mondo in cui viviamo? Era importante notare che, contrariamente
alla Bibbia e alla religione, avevamo intenzione di dedicare più di due frasi alle donne. Hanno il diritto di parlare e
di creare. Ci sono due nuove Sante e un'altra donna parla poco, ma salva il mondo...
Gli effetti speciali del film hanno richiesto molto lavoro?
Ciò che conta sono le scene, ma ci sono effetti ben visibili nel film, come il cielo alla fine, che sono stati fatti
l'ultimo giorno su un computer portatile in una cucina.
Com'è stato dirigere gli attori?
Le performance degli attori sono molto variegate. Vedere Benoit Poelvoorde in un ruolo stupido e malvagio o
Yolande Moreau in accappatoio che passa l'aspirapolvere...sono piaceri che condivido con il pubblico. Sono attori
che ovviamente conosco molto bene e con cui non avevo ancora lavorato. Volevamo divertirci e rendere
l'esperienza piacevole per tutti. Può sembrare quasi un cliché, ma il risultato è divertente e inarrestabile. Ci sono
ruoli che spiccano di più e che sono altrettanto divertenti come quello di François Damiens o di Catherine
Deneuve. Si sono divertiti a interpretare dei personaggi diversi per loro.
Il film è stato accolto molto calorosamente dal pubblico della Quinzaine. Quest'energia la aiuterà per il suo
prossimo film o dovremo aspettare ancora diversi anni?
È vero che sono un regista che prende il suo tempo. Non ho fatto molti film. Dio esiste e vive a Bruxelles è il film
che ho realizzato più velocemente, solo due anni durante i quali ho preso solo 5 giorni di vacanza. Non so come
fanno quelli più veloci di me. Essere sceneggiatore quando si hanno bambini piccoli è un grande lavoro che
consente di lavorare a casa. Ora che i miei figli sono più grandi, penso che essere regista e trascorrere del tempo
con gli amici su un set sia una professione stupenda alla quale forse dedicherò più tempo.
Recensioni
Marzia Gandolfi. Mymovies.it
(…) Egoista e bisbetico, Dio governa il mondo da un personal computer facendo letteralmente il bello e il cattivo
tempo sugli uomini. (...)
Sei anni dopo Mr. Nobody, che gettava un dubbio sul punto di vista assunto dal film (è quello di un bambino che
anticipa un vecchio o quello di un vecchio che (in)segue il bambino che è stato?), Jaco Van Dormael ci mostra il
punto di vista onnipotente di chi governa il mondo e il destino degli uomini. Rispolverando la voce off (e infantile)
di Toto le héros, il regista belga realizza una commedia surreale e inconcludente in cui riconosciamo comunque il
suo sguardo singolare e visionario. Perché Le Tout Nouveau Testament, dentro un prologo esilarante, dichiara
l'impianto e getta le premesse di un discorso che poi dimentica di svolgere, limitandosi a esiliare Dio in
Uzbekistan e a supplirlo con una dea svampita che decora il cielo con cornici digitali. Ordinato secondo i libri che
compongono la Bibbia (Genesi, Esodo, Levitico etc) e apprestato a rispondere a una domanda esistenziale (che
cosa fareste se conosceste in anticipo la data della vostra dipartita?), Le Tout Nouveau Testament finisce per
perdersi in un bicchiere d'acqua e in un impegno evidentemente troppo ambizioso. Il dispositivo, appena
collaudato nell'incipit, non riesce a correggere le fragilità congenite e a sostenere l'intenzione 'rivoluzionaria' di
partenza, ripiegando su una serie di ritratti e personaggi dismessi che lasciano tutto e intraprendono un viaggio
in un mondo sconosciuto, dove ritroveranno naturalmente quello che hanno perso. Tutti tranne dio, interpretato
da Benoït Poelvoorde con nervosa immedesimazione, che finirà per condannarsi, disegnando un percorso in
forma di deriva. Il problema col cinema di Van Dormael è che tutto quello che lo rende spettacolare e
sorprendente, l'umorismo, l'oniricità, il lirismo, le sospensioni, le metafore, le incursioni nel fantastico, i
folgoranti intermezzi, finisce quasi sempre per annullarne la profondità e la sostanza anche quando a reggere i
destini del mondo (e del film) ci sono attori efficaci e imprevedibili come Benoît Poelvoorde e Yolande Moreau.
Diffusa di una saggezza popolare e naïf e stordita da effetti digitali, la nuova commedia di Van Dormael è un
incrocio singolare tra Il favoloso mondo di Amélie e Una settimana da Dio, a cui si aggiunge una colonna sonora
composta da 'brani facili' e più adatti ad accompagnare intervalli pubblicitari. Furbo e didascalico, Le Tout
Nouveau Testament galleggia su un immaginario di riporto che oscilla tra la legge di Dio e quella di Murphy, tra
sentenza e motto, tra autocitazione e citazione ammiccante, su tutte quella 'bestiale' che innamora Catherine
Deneuve di un gorilla, omaggio evidente a Max amore mio di Nagisa Oshima. Nondimeno, come tutti i film di Van
Dormael, Le Tout Nouveau Testament muove al riso e al pianto e ha gli strumenti emozionali per diventare
oggetto di inesauribile passione, fosse solo per quel dio 'umano troppo umano' che osserva il mondo in cattività
e dentro un'orizzontalità assunta come asse espressivo della messa in scena. Una splendida operazione di
'abbassamento' che purtroppo non riesce a innalzarsi oltre l'universo artificiale che Van Dormael dispiega davanti
ai nostri occhi. Amen.
Paolo D'Agostini. Repubblica
Dio esiste e vive a Bruxelles, dice il film di Jaco van Dormael. Il belga che sorprese quasi venticinque anni fa con la
sua opera prima Totò le héros dove un uomo triste e frustrato è tanto convinto di essere stato scambiato alla
nascita con un altro, che ha invece vissuto una vita piena di soddisfazioni, da decidersi, ormai vecchi entrambi, a
farlo fuori per vendetta. La cifra comico-malinconica sopravvive nel tempo. E si radicalizza. Dio sarebbe un tipo
capriccioso e maligno, un vero infame che provoca sciagure e se ne compiace sadicamente, che con il suo
operato non ha fatto altro che generare rabbia e inimicizie. (…) La bambina manomette il computer del padre
inviando a tutti gli esseri umani un sms con la data della loro morte. Per sottrarre l’immeritato strapotere al
padre, per – svelando la finitezza – consentire a tutti di usare liberamente la consapevolezza e goderne a pieno,
per apprezzare la ricerca della felicità. Per destituire inoltre di ogni senso le rivalità e le guerre tra gli esseri
umani. Trovato un varco di uscita, si mette in cerca di chi l’aiuti a scrivere un Nuovo-Nuovo Testamento, nonché
di sei apostoli supplementari. Il papà ne avrebbe decisi dodici perché gli piace l’hockey, e allora Ea ne cerca altri
sei perché la mamma preferisce il baseball che si gioca in diciotto. E parte l’avventura, inquietante ed esilarante a
un tempo (vedrete che tipi quelli che Ea va raccogliendo). Un po’ nello spirito dello stravagante svedese Un
piccione seduto su un ramo eccetera, ma meno allegoricamente rarefatto, più acido e anche più divertente.
Sovreccitato quanto l’altro era impassibile. La visione molto personale, supportata dall’originale e insistita
artificialità degli effetti visivi e da una forte sensibilità musicale che reclama protagonismo, ne fa chiaramente
una favola. Una favola piuttosto nera e anche un po’ sentimentale. Tuttavia, e ci si mette anche l’ambientazione
con i suoi tenebrosi richiami (involontari, evidentemente) all’attualità, la favola si carica di un messaggio
inequivocabile e molto provocatorio. Sia pur parlando sostanzialmente d’amore e non d’altro (magari evocato,
questo sì). Contro ogni suggestione fideistica e a sostegno di quei valori (occidentali? Liberal democratici? Laici?)
che esaltano la libertà dell’individuo. Con tutti gli oneri e le responsabilità inclusi. Tra gli interpreti, tutti davvero
notevoli, spicca la presenza genialmente incongrua di una Catherine Deneuve che sembra darsi senza riserve a
un’avventura che mortifica il suo divismo.
Mauro Donzelli. Comingsoon.it
Il Belgio è una grande terra di comici. Lo confermano anche i due principali artefici di questa irriverente black
comedy dall’irresistibile titolo italiano: Dio esiste e vive a Bruxelles. Davanti alla macchina da presa c’è quello
splendido attore, tutto istinto, che risponde al nome di Benoît Poelvoorde; dietro, lo stile un po’ folle di Jaco Van
Dormael, autore fuori dalle convenzioni fin dal suo esordio, Toto le héros, con cui vinse la Caméra d’or per la
migliore opera prima al Festival di Cannes. Sempre vicino alla diversità e alle impervie strade che conducono un
bambino verso la crescita, in Dio esiste e vive a Bruxelles affronta la sfida di rappresentare nientemeno che il
padreterno, che non solo vive in Belgio, ma è anche irascibile, bugiardo e dispotico nei confronti della figlia e
della moglie, sempre impegnata nelle faccende di casa.
(…) Insomma, dimenticatevi ogni possibile riferimento religioso, ogni intento parodistico o dissacrante che abbia
come diretto obiettivo la religione cattolica. Qui Van Dormael utilizza Dio come icona, scegliendo semmai di
parlare della figlia, visto che “avete già sentito molto parlare del figlio. La figlia sono io, mi chiamo Ea e ho 10
anni”. Inizia così il film, con un folgorante cambio di prospettiva. Non che la piccola sia una bambina risolta, non
potrebbe essere altrimenti, con un padre così; tanto che per vendicarsi delle pesanti imposizioni domestiche
invia dalla posizione di comando paterna la data della morte a tutti gli esseri umani, con un semplice ma
raggelante sms.
Prende il via da questa terribile materializzazione dell’incubo peggiore di tutti noi, la data della nostra morte, il
tentativo di Ea di assoldarare degli apostoli poco tradizionali, costruendo una squadra tanto improbabile, quanto
sempre più coesa in una significativa rappresentazione di un’epoca in cui la solitudine toglie il fiato e l’iper
comunicazione spesso è un rifugio palliativo. Qui grandi e piccoli, bambini e donne, si dovranno imparare a
conoscere, rispettare ed amare. Nonostante questo, inutile cercare troppi aiuti spirituali, la pulsione rassicurante
viene da sentimenti terreni, dall’amore e l’altruismo come impegno di uno per l’altro. Al massimo sarà il caso ha
limitare i suoi capricci e per una volta un bel tocco femminile in cabina di comando a colorare il mondo di nuova
speranza.
Premesse davvero intriganti, peccato che quando l’irriverenza diventa parabola si affievolisca la carica di rottura,
finendo per ricondurre il film in territori piuttosto convenzionali. Non sappiamo se Catherine Deneuve, sempre
più coraggiosa e autoironica, si sarebbe mai immaginata di interpretare un’apostola, figuriamoci di innamorarsi di
un seducente gorilla.
Davide Turrini. Il Fatto Quotidiano
Dio esiste e, se vive a Bruxelles, sarà in stato d’allerta pure lui. Non c’è molto da star seri quando si ha di fronte un
ciclone performativo che prende il nome di Benoit Poelvoorde. Il 51enne attore belga, una delle facce
cinematografiche comiche più note in Francia, è in Italia per promuovere l’ultimo film che lo vede protagonista,
pantofole e vestaglia, nientemeno che nel ruolo di Dio. (...)
“Abbiamo cominciato a scrivere la sceneggiatura del film quando a Parigi c’erano le manifestazioni contro i
matrimoni gay. L’abbiamo montato nelle ore in cui avveniva la strage a Charlie Hebdo. Allora ci siamo detti:
dobbiamo tenere in vita questa utopia, il poter ridere di tutto con tutti”, spiega l’ateo dichiarato Van Dormael a
FQMagazine. “Quindi non mi sono mai preoccupato. Sarò incosciente, ma non ho mai pensato che questo film
fosse pericoloso per chi lo faceva solo perché in scena ci sono Dio, Gesù, il nuovo testamento, ecc… Poi certo se
fossi in Iran e avessi voluto girare “Allah esiste e abita a Teheran” non l’avrei potuto fare”.
“Quello che è successo a Parigi il 13 novembre non ha niente a che fare con la religione, questi folli hanno
utilizzato dio in modo deplorevole. Parliamo di una decina di pazzi”, spiega invece il cattolicissimo Poelvoorde.
“Non raccontiamoci palle: non avrei mai potuto interpretare un Allah nel film, è un fatto, c’è poco da fare. È più
facile dire che si chiama Dio piuttosto che dargli un altro nome, perché in fondo noi cattolici accettiamo la critica
e la comicità. Nell’interpretare un dio in ciabatte e scurrile non penso d’esser stato blasfemo. Vedendo questo
film invece ci si diverte e si riflette”.
Dio esiste e vive a Bruxelles è sì un ritratto inedito di colui che tutto ordina e stabilisce sul globo, per chi ci crede;
ma è soprattutto un modo per ridare senso all’esistenza quotidiana, proprio quando grazie agli sms mandati dalla
figlia di Dio, ogni umano scopre che morirà più o meno a breve. “Sapere che finiranno le cose che si vivono per
apprezzarle, è questa la vera domanda che pone il film – continua l’attore belga. “Dio non è il deus ex machina di
tutto. La protagonista è la ragazzina che potrebbe essere uscita da Alice nel paese delle meraviglie, e il nuovo
testamento alternativo che scrive. La vera questione è: vivi la tua vita come se dovessi morire domani. Se ti
dicono tra quanto morirai sono convinto che non continuereste a fare questa intervista!”.
Continueremo a “scopare, cenare e bere insieme”, ha dichiarato il regista Michel Hazanavicius qualche giorno fa
in risposta alla violenza sanguinaria degli omicidi parigini in guerra contro il “perverso” occidente. “Conosco bene
Michel non scopa da parecchio, non beve mai, non esce nemmeno. Non è un buon esempio da fare. Piuttosto
questa dichiarazione potevano farla che so Richard Bohringer o Gerard Depardieu”, risponde l’irriverente
Poelvoorde. “Credo sia importante tornare a Parigi per bere un caffè o cenare in un bistrot, passeggiare per
strada con un’amica in minigonna, andare a un concerto”, aggiunge Van Dormael. “Noi francofoni abbiamo
sempre un buon motivo per andare a bere”, lo interrompe la furia iconoclasta di Poelvoorde. “Son successe cose
tragiche, ma la solidarietà diventa un ottimo motivo per tornare più spesso a bere!”. “Scherzo ovviamente,
perché dobbiamo continuare a sorridere e a far ridere”, conclude l’interprete di Tre Cuori e Asterix che torna
subito serio. “Nonostante tutto in Europa possiamo contare davvero sulla libertà di espressione. Ci sono invece
persone, artisti, intellettuali, ma anche gente comune, che in questo momento in parecchi paesi del mondo non
possono esprimersi e hanno davvero bisogno di essere ascoltati. Solo il nostro interesse verso di loro ora li
mantiene in vita”.
Roy Menarini. Mymovies.it
(…) Per qualche motivo, il cinema si è sentito incaricato - specie nella modernità - di rappresentare
l'irrappresentabile, ovvero la divinità, anche nei modi più ironici e sarcastici. Per fortuna, l'iconoclastia non è un
dogma della settima arte, anzi ne è l'antitesi più assoluta, e dunque raffigurare il Signore in pose tutt'altro che
commendevoli è possibile e foriero di sicure risate.
Chi ha visto Dio esiste e vive a Bruxelles sa che ci sono due temi fondamentali del film. Uno, quello che emerge
più prepotentemente, è appunto una rappresentazione divina in forma di riduzione all'umano, e per di più a un
umano beone, violento e selvatico. Il secondo - quello che ci pare interessi di più al regista - è invece il "what if",
caro alla fantascienza, che potremmo tradurre in italiano con "che cosa succederebbe se...". Il "what if" di Dio
esiste e vive a Bruxelles è: che cosa succederebbe se tutti conoscessimo la data esatta della nostra morte? È
dall'intreccio dei due aspetti - il Dio hooligan e l'umano che non può più dimenticare la sua finitezza - che scocca
la scintilla del film.
Se li esploriamo, vediamo che ciascuno ha i suoi precedenti. Si diceva della divinità mondanizzata. Se già Una
settimana da Dio, Un'impresa da Dio e Un'occasione da Dio hanno mostrato che cosa potrebbe rischiare di fare
una persona che si trovasse con poteri divini, bisogna tornare al 1977 per ricordare un grande e bonario successo
dell'epoca, Bentornato Dio!, con il maturo e bravissimo attore George Burns a riapparire agli umani come un Dio
vecchietto e pimpante, con un nuovo messaggio per la modernità. Ben più sulfureo, il Dogma di Kevin Smith,
raccontando di un mondo alla rovescia attraversato da due angeli ribelli, proponeva un Dio al femminile,
interpretato niente meno che da Alanis Morissette. E non contiamo poi le blasfemie dei Monty Python e le prese
in giro di Woody Allen, oltre che di tutta l'autoironica tradizione ebraica al cinema.
Ma la finitudine umana ha suggerito al cinema ben altri scenari, visto che l'interrogarsi sulla propria morte e sul
senso della vita sono i grandi temi dei capolavori della storia del grande schermo. Che il destino del singolo sia
icasticamente spiegato da una partita a scacchi con la morte, come in Il settimo sigillo, o regalato ai mondi
apparentemente distanti della fantascienza (il replicante con data di scadenza, che pensa di essere umano, in
Blade Runner), non cambia in verità troppo nei rovelli esistenziali del soggetto. E in fondo il cinema ha spesso
consegnato alle grandi produzioni il tema delle collettività e al cinema d'autore il compito di scandagliare lo
sperdimento dell'individuo di fronte al suo fato. Van Dormael cerca una particolare forma di commedia d'autore
collettiva, mettendo di fronte un Dio troppo umano e un umano troppo divino (almeno fino al momento di
sapere quando muore, ben diverso dal "sapere che si muore", garanzia di un'incertezza simile all'infinito).
Temi filosofici troppo grandi per Dio esiste e vive a Bruxelles? Forse sì ma utili per attraversare la storia del
cinema e i suoi intrecci nascosti.
Claudio Trionfera. Panorama.
(…) Bruxelles è grigia. Emblema di quel plat pays cantato da Jacques Brel. E il grigiore pare portarsi dietro le
brume rotolanti dell’opacità più malefica, della caligine più maligna e patibolare.
Ci sarà scampo per l’umanità? La speranza non è più nel Figlio, scappato da tempo con la sua croce. Neppure
nella moglie, silenziosa, passiva, inebetita. Piuttosto nella figlia. Ribelle. Che decide di andare alla ricerca dei
“suoi” apostoli pescati nel mondo dei reietti e dei disperati e di restituire agli uomini la felicità perduta scrivendo
un Nuovissimo Testamento dopo aver violato il computer paterno (strumento principe delle malefatte) ed averlo
sabotato.
Non prima di averne estratto i dati sensibili ed aver spedito a ciascun essere umano, via SMS, la propria data di
morte in forma di vero e proprio countdown. Scatenando una rivoluzione planetaria ma cambiando,
naturalmente in meglio, la qualità della vita di tutti.
Jaco Van Dormael, autore belga di immensa creatività in vari campi dell’arte che raramente si affaccia al cinema
(lo ha fatto solo quattro volte, compresa questa, negli ultimi venticinque anni, sempre con risultati incisivi: Toto
le héros - Un eroe di fine millennio, 1991; L'ottavo giorno (Le Huitième jour), 1996; Mr. Nobody, 2009), elabora da
sempre temi legati al concetto, alla percezione e alla consapevolezza dell’esistenza. Con uno stile che lo conduce
lontano dalla realtà pure restandone saldamente ancorato attraverso un linguaggio che privilegia il simbolo, il
paradosso, la visione quasi onirica.
Tutti elementi che ritroviamo in questo film baluginante ed elettrico, capace di mescolare follemente sacro e
profano, di rileggere i passi del percorso biblico dalla genesi all’esodo elaborando una sorta di immaginario
espanso in un viaggio che qualche volta rasenta il delirio. Senza che, però, i personaggi così nitidi e incisi nei
caratteri vengano persi di vista, o, peggio, sopraffatti dall’impeto della composizione visiva.
“Dio” è l’attore Benoît Poelvoorde, segaligno, schiumoso e perverso in una recitazione magnificamente isterica;
sua figlia Éa è la giovanissima Pili Groyne, vitale ed espressiva abbastanza da lasciare una traccia benefica
sull’orizzonte horror disegnato dal padre e sostituirsi al “fratello” fuggiasco arrivando addirittura a camminare
sull’acqua.
Luminosa anche la figura di quella moglie attonita, muta, istupidita e pietrificata ma anche lei destinata al
riscatto, interpretata da Yolande Moreau. E sono molti i personaggi, per lo più bizzarri, che ruotano attorno al
nucleo centrale della disputa divina: tra gli altri Catherine Deneuve in una scena con un gorilla che sembra
riecheggiare l’icona del Ciao, maschio di Ferreri, François Damiens, Laura Verlinden, Serge Larivière.
Già, Ferreri. Sono citabili, per affinità, anche Fellini, Tarkovskij, il surrealismo e ogni possibile orizzonte visionario.
In un racconto che a tratti sembrerebbe andare un po’ a ruota libera ma che in realtà si allinea su un progetto
ben determinato e sviluppato, con gli esiti di una fruizione molto piacevole. Fino alla conclusione “psichedelica”
che chiama a raccolta perfino il Cantico dei cantici. Il funerale è lontano. Si vede la luce. È l’apoteosi.
Filmtv.it
(…) Ci sono molte idee, un immaginario spumeggiante e molto da ridere in "le tout nouveau testament", ma
avrei preferito che avesse preso un'altra strada. La sfacciata aggressività dell'incipit mi aveva fatto sperare in una
satira blasfema più mirata, in uno humor nero che andasse a colpire elementi più sostanziali del rapporto tra Dio,
fede e "creature". Invece, dopo qualche divertente nota sui capricci di un Dio burbero, sadico e annoiato (che
gioca ai disastri come Gomez Addams), appare chiaro che la maggior parte delle attenzioni sono riservate alla
figlia di Dio (non a caso il film inizialmente doveva intitolarsi "La fille de Dieu") e al suo surreale ma "non
scomodo" viaggio (ri)formativo punteggiato tangenzialmente dal calvario di contrappassi comici che il padre-orco
per nulla divino si trova a patire in un mondo (da lui) così malfatto.
Il vero spunto generatore si rivela essere la diffusione su scala mondiale delle date di scadenza degli esseri umani
(fatto che, sbraita l'Altissimo, gli toglie lo strumento con cui "tenerli per le palle"). In questo cambiamento di
prospettiva i nuovi apostoli, più che riportare vita e parole di una profetessa, saranno chiamati ad essere loro
stessi profeti, imparando grazie ad Ea a conoscere sè stessi, ascoltarsi e a dar senso al tempo che rimane. Dalle
loro esperienze nasceranno i passi di un testamento tutto nuovo fatto a misura d'uomo.
La macchina comico-immaginifica di Van Dormael procede sicura e produttiva. Sfoggia dapprima tutti i paradossi
che si generano dal cercare di evitare una morte scritta o dal voler sfidare la morte quando non è il tuo momento
(qui c'è spazio per del bell'umorismo nero) e in seconda battuta punta su degli improbabili apostoli, sulle loro
vite e sulla bizzarria dei loro desideri più profondi. La storia conserva una forza creativa che non manca di
produrre diverse trovate visive (l'uomo guidato dallo stormo d'uccelli, i polli al cinema, il cielo...) e momenti più
intimi e sentiti affidati alla divina ingenuità di Ea ( il suo amare l'odore forte e composito del suo
accompagnatore/barbone/scrivano; la capacità di sentire la musica interiore delle persone... e non in senso
figurato), o affidati al viaggio verso la piena realizzazione degli apostoli, viaggio costellato di ricordi e di
esperienze sensoriali e sensuali.
Non posso che essere d'accordo con chi ha avvicinato lo stile di "le tout nouveau testament" a quello del JeanPierre Jeunet di DELICATESSEN e soprattutto di AMELIE. La tenerezza e il candore altruista di Ea la richiamano a
viva forza e di AMELIE c'è anche il tono complessivo (e finale): positivo, colorato, stralunato e decisamente
umanistico. Qui però, come si diceva, c'era la possibilità di fare qualcosa di più incisivo, qualcosa che risuonasse
più provocatorio e iconoclasta. Qualcosa di più personale. Ma alla carica eversiva delle battute iniziali non si dà
seguito e si finisce per battere una strada più ordinaria e meno spigolosa: in fondo stanno poi punendo e
ridicolizzando un Dio senza potere che del Dio a cui siamo - più o meno - abituati aveva solo il nome fin dal
principio. In ultima analisi, quindi, l'anarchia si è fatta sistema sia in relazione allo spirito che alla struttura del
film (sviluppato ordinatamente come un buon prodotto d'intrattenimento dal percorso inevitabile) e a fronte di
queste atmosfere sempre più felici e realizzate viene una certa voglia di tifare per 'sto povero diavolo di Dio
decaduto e di rimpiangere i suoi goliardici dispetti all'umanità